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#confraternita san Giuseppe
gregor-samsung · 1 year
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“ Nel maggio Pietro andò in pellegrinaggio a San Michele del Gargano. La compagnia di Guardia era costituita da sessanta persone con tre crocifissi, due labari della confraternita di San Giuseppe, e quattro campanelli. Uomini avanti e donne dietro: erano ordinati come una processione: ma l'ordine rigoroso era mantenuto solo all'ingresso dei villaggi e sulle strade larghe: per i viottoli di campagna, andavano in gruppi di quattro, cinque uomini e donne, cianciando e ridendo, informandosi dai pastori del nome dei proprietari delle terre che attraversavano. I piú anziani valutavano il valore dei raccolti, la qualità delle terre, il tempo giusto per le semine. I giovani sentivano vagamente l'odore della primavera, il fermento della terra in fiore; vedevano il cielo profondo, le nuvole grasse di maggio e si guardavano negli occhi con una sorta di angoscia. Le ragazze strappavano ai margini delle strade i primi papaveri e le margherite e ne facevano mazzetti che poi portavano nelle rozze mani, non sapendo che farsene. Carmela Rivullo s'era messa due papaveri tra i capelli, ma poi uno aveva detto che pareva una capra adornata per il giorno della benedizione, facendo ridere tutti; e Carmela s'era strappata i fiori e li aveva buttati. Sperava che Pietro la guardasse; camminava dietro al giovane con un atteggiamento umile di bestia, respirando le sue orme. Pietro camminava distratto a testa alta; il suo passo era lungo, snodato come quello dei lupi; respirava a narici aperte l'aria profumata di erbe, e sentiva il vigore inesauribile del suo corpo dividere lo spazio con quel ritmo facile di respiro come se anch'egli fosse una cosa della terra e andasse per il suo cammino, senza opera di volontà. Carlo Antenucci chiacchierava continuamente, dava indicazione a tutti dei luoghi, dava spago alle ragazze con frizzi puerili, con bravate, bugie. Era la quarta volta che faceva quella strada, la conosceva a palmo a palmo, l'avrebbe fatta a occhi chiusi. Un anno c'era stato anche a mietere ed era stato l'antiniero per quindici giorni di seguito. Carlo Antenucci portava il fucile; di tanto in tanto si allontanava dal gruppo in cerca di introvabile selvaggina. Ma un giorno una lepre gli era capitata a tiro mentre tentava di attraversare il Tratturo e Carlo aveva sparato un fulmineo colpo che aveva steso a terra l'animale. Se ne vantò per tutta una giornata: e mostrava a Pietro il modo d'imbracciare l'arma, di puntare, di sparare. Pietro maneggiava il fucile con una bambinesca riluttanza che divertiva molto Carlo. Ma un giorno si allontanarono insieme e Pietro sparò a un corvo appollaiato su un pero: lo fece secco. – Hai il polso fermo e la mira giusta e poi, – gli fece il compagno cordiale, – sei solido e pieghevole come un carpino. Gli occhi di Pietro brillarono di gioia. Ma poi, ripreso il cammino, si era messo a fantasticare sulla morte: «c'era un corvo su un ramo, un colpo e rimase solo il ramo. Al posto del corvo ci va l'aria; se l'albero secca e si taglia l'albero, al posto dell'albero ci va l'aria; l'aria va in tutti i luoghi dove c'erano prima le cose vive». Camminava a testa alta con una specie di furia di cui si rendeva conto, e il leggero vento di maggio gli entrava tra i folti capelli ricciuti scompigliandoglieli. “
Francesco Jovine, Signora Ava, Einaudi, 1958; pp. 153-154.
[1ª edizione originale: 1942]
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madonnacelestiale · 11 hours
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Beata Vergine Maria Addolorata
— presso Taranto Vecchia
22 settembre 2024
Qui siamo su via Garibaldi, Taranto vecchia. Questa sera passa la processione della Madonna Addolorata. Come ogni anno nel mese di settembre, la statua è la stessa che esce il giovedì santo notte, ma il vestito è diverso. Grazie alla preziosa testimonianza video di Claudia Cianciaruso.
Festa della Beata Vergine Maria Addolorata 8-22 settembre 2024
Si concludono a Taranto nella serata di domenica 22  i festeggiamenti in onore della Beata Vergine Addolorata a cura della confraternita Ss.ma Addolorata e San Domenico.
Dopo la recita dei primi vespri nella chiesa di San Domenico (ore 17.30), che saranno presieduti dall’arcivescovo mons. Ciro Miniero, alle ore 18 uscirà la processione con il seguente itinerario: via Duomo, piazza Castello, discesa Vasto, via Garibaldi, piazza Fontana e pendio San Domenico, nella cornice delle luminarie della ditta Memmola di Francavilla Fontana.
Durante la sosta in via Garibaldi, davanti alla chiesa di San Giuseppe, spettacolo di fuochi pirotecnici a mare a cura della ditta Itria Fireworks di Martina Franca.
Presteranno servizio i complessi bandistici cittadini “Lemma” diretto dal m° Giuseppe Pisconti e “Santa Cecilia” diretto dal m° Giuseppe Gregucci.
#madonnacelestiale #beataverginemaria #auspicemaria #madonnaaddolorata #settembre #settembre2024 #taranto #tarantovecchia #puglia
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lamilanomagazine · 8 months
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Catania, San Giovanni Galermo, celebrazioni nei luoghi dove nacque Sant’Agata
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Catania, San Giovanni Galermo, celebrazioni nei luoghi dove nacque Sant’Agata Un programma di celebrazioni per ricordare la Santa Patrona Agata, venerdì 2 febbraio, avrà come epicentro il quartiere periferico di San Giovanni Galermo, nei luoghi dove secondo la tradizione sarebbe nata la martire catanese, iniziativa promossa con il supporto del Consiglio Comunale presieduto da Sebastiano Anastasi, dal parroco Giuseppe Catalfo e dal coordinatore del comitato organizzatore Pippo Di Mariano. A partire dalle 10:30, una solenne processione da piazza Chiesa Madre si muoverà per raggiungere Casa Bertuccia, in via Immacolata, laddove, secondo la tradizione, ebbe i natali Sant'Agata, luogo ricordato adesso da un altarino. Sfileranno in preghiera, tra gli altri, i soci della confraternita di San Giovanni Battista, il gruppo di preghiera "padre Pio", il Comitato Agatino, le associazioni agatine e quelle operanti nel territorio e i ragazzi dell'Istituto Comprensivo "Padre Santo Di Guardo – Quasimodo". A conclusione, cenni storici e notizie bibliografiche in merito al luogo dell'altarino, a cura dell'ingegnere Mauro Rapisarda. Già dalle ore 9.00 innanzi sosterà la Candelora di mons. Ventimiglia, accompagnata dal corpo bandistico "G. Virgillito", accolta dal vescovo di Catania, mons. Luigi Renna, dal parroco di San Giovanni Galermo don Giuseppe Catalfo, dal Presidente del Consiglio Comunale di Catania Sebastiano Anastasi, con i Consiglieri comunali, il Presidente, i Consiglieri del IV Municipio, le le autorità civili e militari e i tanti devoti. Le celebrazioni si svolgeranno con il sostegno della Presidenza del Consiglio Comunale di Catania, anche grazie alla sollecitazione del Consigliere Comunale Erio Buceti, già Presidente del IV Municipio e ora componente del civico consesso. "Da anni ormai, la data del 2 febbraio ci conduce verso i resti di quel luogo sacro, dove, secondo la tradizione, Sant'Agata ebbe i natali, poiché in quel luogo sorgeva la residenza estiva della famiglia Colonna, cui apparteneva per appartenenza al nobile casato, la Martire catanese -ha spiegato il Presidente del Consiglio Comunale, Sebastiano Anastasi-. Il consiglio comunale quindi nel segno della tradizione e della devozione popolare, ma anche dell'attualità perché San Giovanni Galermo è simbolo di tutte le periferie catanesi a cui guardano tutte le nostre attività consiliari e per contribuire in modo incisivo al recupero sociale, culturale, infrastrutturale di tutti i quartieri catanesi".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 1 year
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Festa di San Rocco 2023 a Magenta
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A Magenta manca poco per la grande Fiera di San Rocco che si terrà mercoledì 16 agosto  per le vie del centro storico, dove decine di bancarelle animeranno  la città in uno degli appuntamenti più attesi dell’anno per i Magentini e non solo. Si tratta di una fiera che affonda le radici nel passato e contribuisce a ricordare le radici agricole del territorio, si svolgerà dalle 8 alle 17 e interesserà la zona tra Via Roma, Piazza Kennedy, Via Fanti, Via Santa Crescenzia, Via Santa Caterina, Via San Martino, Piazza Liberazione con l’area fronte portici, Via Mazzini, Via Milano e Via Garibaldi.  In Piazza Kennedy ci saranno gli operatori che vendono fritti e, pur essendo merceologicamente differenziata, la fiera manterrà l’anima agricola nell’area dedicata in Via Fanti, in particolare il Campo Aquile dove le aziende agricole partecipanti potranno posizionare gli animali. Agli operatori si aggiungerà il Comitato Agricolo del Magentino che sarà presente con le aziende agricole del territorio presso il Campo Aquile e proporrà delle attività presso il parcheggio antistante il primo ingresso del Cimitero, con gonfiabili e punto ristoro. Sul percorso delle bancarelle è stato garantito ai bar di poter mantenere funzionanti i propri dehors per il giorno della fiera. La fiera ha le sue origini nel centro storico di Magenta, dove c’è una chiesetta dalla storia antichissima, quella di San Rocco. L’origine della chiesa risale alla seconda meta del XV secolo, quando in Italia si diffuse il culto dei Santi Rocco e Sebastiano, protettori contro la peste. Risale al XVI secolo la prima descrizione dell’edificio, chia­mato Oratorio e del quale si dice che gli abitanti del luogo facevano celebrare ogni giorno la Santa Messa. A partire dal 1571 vi fu eretta la Scuola dei Disciplinati, intitolata al Santo Sacra­mento e fondata da San Carlo Bor­romeo. In seguito l’edificio, alla fine del Cinquecento, subì alcune trasformazioni, in quanto alla costruzione originaria, identifica­bile con il presbiterio, si aggiunse un corpo, suddiviso in tre navate. Durante tutto il XVII secolo si continuò l’opera di abbellimento della Chiesa stessa, che vide l’edificazione dell’altare Maggiore e gli altari laterali della Beata Vergine Maria dei Miracoli, di San Giovanni Battista e di San Se­bastiano. Nel 1720 fu benedetto un quinto altare, dedicato alla SS. Trinità, che rende simmetri­ca la sistemazione interna dell’Oratorio, che presentava un altare Maggiore rivolto a Sud, due laterali posti a Oriente e al­tri due a Occidente. Il vecchio altare Maggiore nel 1758 fu sman­tellato e al suo posto venne collocato un nuovo altare di stile barocco e nel 1772 fu realizzata la cappelletta dei morti, dove vennero traslate le salme che riposavano nel cimitero adiacente alla Chiesa. In seguito alla sop­pressione della Confraternita dei Disciplinati, avvenuta alla fine del XIX secolo, l’ammini­strazione della Chiesa passò alla Parrocchia di San Martino. Negli anni 1950-1955 Monsignor Crespi promosse un restauro della chiesa, ma è solo nel 1978 che don Giuseppe Locatelli commis­sionò all’architetto Ernesto Puricelli il restau­ro completo dell’edificio. La facciata dell’edificio, disposta su due ordini e conclusa da un tim­pano, è ripartita verticalmente in tre parti da lesene di ordine toscano e davanti a essa vi è un protiro, aggiunto successivamente, e nella parte superiore si trova una monofora che illu­mina la navata. L’interno, a navata unica, è coperto da una volta a botte, suddi­visa in tre campate, e presenta due cappelle per lato, nelle quali vi sono alcune tele sette­centesche di ottima fattura, raffiguranti la Trinità, la Vergine con Santa Chiara, Santa Cateri­na e San Giovanni Battista, l’Addolorata e San Sebastiano. Sulle pareti del presbiterio vi so­no due tele con la Sacra Famiglia con i Santi Rocco, Carlo e Francesco, e l’investitura di un sacerdote. Il campanile, che si nota sul lato est della chiesa, presenta dei rifacimenti nella parte superiore, presumibilmente risalenti al XVIII secolo. Da vedere è l’organo, posto nella cantoria sopra la porta principale, opera della bot­tega del magentino Gaetano Prestinari, terminato il 18 novembre 1878, come dimostra la scritta a matita su una tavoletta della secreta. Nel 1978/79, con la si­stemazione dell’edificio, si è provveduto al restauro completo di questo strumento e di alcune tele, giacenti nei depositi della Fabbriceria, proba­bilmente provenienti dall’antica Prepositurale e dalle Chiese minori andate distrutte. A San Rocco c’è anche una serie completa delle ventiquattro insegne processionali del Venerdì Santo, in legno dipinto, risalenti al 1700. Read the full article
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De Domo David e l'edizione di Nardò, dalla Congregazione degli Oblati di San Giuseppe
di padre Alberto Santiago
Buona serata a voi tutti: saluto cordialmente mons. Filograna, vescovo di Nardò, il Rettore della Confraternita di San Giuseppe Patriarca monsignor Santantonio, le Autorità presenti, il Priore della Confraternita Mino De Benedittis, i sodali e tutti i convenuti.
Porto il saluto della Congregazione degli Oblati di San Giuseppe fondata da san Giuseppe Marello nel 1870, e di tutto l’ambito giuseppino, che si compone anche della Congregazione di S.Giuseppe fondata da s.Leonardo Murialdo, e vari Istituti femminili, tutti informati ed entusiasti dell’iniziativa che si celebra nella diocesi di Nardò-Gallipoli.
Vengo inoltre come portavoce del Centro Studi del “Movimento Giuseppino” di Roma, che promuove l’interazione tra i devoti di san Giuseppe, per favorire e valorizzare la conoscenza della sua missione nel piano dell’Incarnazione, e animare la vita ecclesiale con la pratica delle virtù evangeliche tipiche di san Giuseppe.
Il sito del «Movimento Giuseppino» si propone di raccogliere e presentare con organicità di contenuti costantemente aggiornati, le informazioni riguardanti san Giuseppe in ogni suo aspetto, provenienti dai vari Centri nazionali e internazionali di studi. Il sito è aperto a ogni forma di confronto e collaborazione da parte di quanti volessero segnalare integrazioni, inesattezze e lacune, ma soprattutto ampliare l’orizzonte delle conoscenze. Sarà senz’altro disponibile a segnalare questa iniziativa di oggi nelle prossime settimane.
Vi trasmetto un fervido augurio poi da parte di p. Tarcisio Stramare, teologo e biblista, la cui opera di approfondimento negli studi teologici su san Giuseppe, e sui relativi documenti pontifici, ha diffuso la conoscenza e la devozione al Custode del Redentore. E’il titolo scelto da papa Giovanni Paolo II per riassumere il ruolo di san Giuseppe nel mistero dell’incarnazione, e risale però a un’antica concezione teologica che può aver ispirato lo scultore dell’angelo sull’altare maggiore di questa chiesa di Nardò: un angelo, appunto, “custode”, come una presenza che protegge dal male e da ogni pericolo. Quale miglior correlazione con la figura di san Giuseppe che porta in salvo il Figlio dalle insidie di Erode? La statua collocata nella parte più alta di questo bellissimo altare rispecchia l’atteggiamento di Giuseppe nei confronti di Gesù, chiamato ad assicurare la sua sopravvivenza e la sua crescita.
La giornata di oggi è punto di arrivo di un progetto, ideato per celebrare i quattrocento anni di vita della Confraternita di San Giuseppe Patriarca a Nardò, di ricerca e di approfondimento sul patrimonio artistico della chiesa, e sulle forme di devozione al santo.
Promosso con il patrocinio della Diocesi di Nardò-Gallipoli, della Fondazione Terra d’Otranto e della Confraternita, il libro che accompagna questo convegno richiama l’attenzione per il suo titolo, lungo come negli incunaboli di una volta: De domo David. La Confraternita di San Giuseppe Patriarca e la sua chiesa a Nardò. Studi e ricerche a quattro secoli dalla fondazione (1619-2019).
Ma sono soprattutto le prime parole a destare la curiosità del lettore: perché De domo David?
Questa espressione ricorre nella liturgia, e si legge nel vangelo di Luca ai versetti 26-27 del primo capitolo: “… missus est angelus Gabriel … ad virginem desponsatam viro, cui nomen erat Ioseph de domo David …” Possiamo ricordare anche la novena di Natale: “Ecce veniet Deus, et homo de domo David sedere in throno …”.
Certamente da questi antecedenti deriva il motto della Confraternita di San Giuseppe Patriarca: De domo David, e quindi il titolo del libro, che si legge anche sulla convessa facciata della chiesa.
L’obiettivo di un libro ampiamente illustrato, come questo, è appunto che il lettore possa in qualche misura entrare in relazione con le opere, in modo che ogni immagine sia come uno specchio capace di coinvolgere lo spettatore. E che l’arte diventi una esperienza del mondo che modifica radicalmente chi la fa, ampliando la comprensione che il soggetto ha di sé e della realtà che lo circonda.
Concepito come libro di pregio, fuori commercio e con una tiratura di poche centinaia di copie, il volume curato da Marcello Gaballo e Stefania Colafranceschi è risultato un lavoro di altissima qualità sia per la strutturazione dei materiali, sia per la quantità di illustrazioni (quasi 800) in eccellente risoluzione.
Grazie alla collaborazione spontanea di studiosi in varie città d’Italia e delle diocesi del Salento, si è potuto realizzare un percorso ricco e qualificato, sorprendente per varietà di contributi; vi sono articoli di taglio dottrinale, storico e artistico, e molti contributi da Confraternite, Oratori, Associazioni legate a san Giuseppe. L’elaborato che ne è conseguito si rivela dunque molto rappresentativo.
Non potevamo immaginare questo lungo cammino attraverso il tempo -poiché gli articoli spaziano tra IV e XIX secolo-, come pure le conoscenze emerse sul patrimonio artistico di questa chiesa e i suoi significati.
Ringrazio tutti i collaboratori che hanno messo a frutto le loro competenze e lo spirito di ricerca, dando un apporto importante sul piano culturale nelle sue varie forme, ma anche considerevole per la conoscenza della figura di s.Giuseppe, solo apparentemente secondaria e silenziosa.
Esprimo l’apprezzamento inoltre per la disponibilità della Biblioteca Casanatense di Roma e il Museo Pitrè di Palermo, che hanno fornito materiale di particolare interesse; la Congregazione della Misericordia Maggiore di Bergamo per le riproduzioni degli arazzi cinquecenteschi, la Pinacoteca di Brera, la Galleria Nazionale di Parma e tutti i numerosi prestatori delle immagini pubblicate.
Principalmente ringrazio la Confraternita, all’origine di questo ambizioso progetto, e la Fondazione Terra d’Otranto che l’ha sostenuto e realizzato.
Rivolgo i saluti più cordiali agli autori qui presenti: Giovanni Boraccesi -che ha preso in esame gli argenti pugliesi raffiguranti san Giuseppe-, Marino Caringella -che illustra esempi di iconografie giuseppine-, Stefano Cortese -che documenta le antiche pitture parietali nel Salento-, Giuseppe Fai -che tratta la devozione del santo nella sua città di Parabita-, Antonio Faita -che presenta le opere statuarie dei celebri Verzella-, Antonio Solmona -che pone in evidenza alcune iconografie presenti a Galatone- e Stefano Tanisi -che esamina i dipinti nelle diocesi di Otranto e Ugento-, unitamente agli altri collaboratori.
Altri autori, come da programma, esporranno personalmente i propri contributi.
Il lavoro compiuto in questa ricorrenza, che ha fatto scoprire a tutta l’Italia la storia e l’arte di questa chiesa e di questa confraternita, di questa diocesi e della Puglia, è importante per ideare e costruire nuovi traguardi; è augurabile che parte di questo libro sia condiviso nel futuro Simposio internazionale di studi su san Giuseppe, che si terrà tra due anni in Guatemala. E’ una mèta possibile, sulla base delle svariate testimonianze acquisite, e dell’esperienza maturata in itinere.
Le stesse intenzioni mi vengono riferite per una ulteriore presentazione di questo libro a Roma, nella prestigiosa sede dell’antichissima e prestigiosa Biblioteca Casanatense, che come vedrete ha contribuito a realizzarlo mettendo a disposizione centinaia di incisioni e miniature dei secoli XV – XVIII, omaggiando questa chiesa e questa Diocesi.
E centinaia sono anche le rare riproduzioni di canivet di Lo Cicero e santini di Damato, alcuni tra i più importanti collezionisti italiani, che hanno messo a disposizione per la prima volta tante preziosità, accrescendo il prestigio del lavoro editoriale che questa sera presentiamo.
Con questo auspicio invito a far tesoro delle oltre seicento pagine del volume, tutte a colori e in pregevole edizione, e a proiettarsi nel futuro prossimo, in unità di intenti con il mondo giuseppino, che ancora una volta ringrazia per la particolare attenzione che questo lembo d’Italia ha voluto dedicare al santo di cui porta il nome.
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daniela--anna · 2 years
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Il Museo Scuola Grande San Giovanni Evangelista è un complesso architettonico costituito dall’edificio della Scuola, dall’omonima Chiesa, dall’antico cimitero e i due campielli esterni. Tuttora sede della confraternita laica fondata nel 1261, l’edificio della Scuola Grande si sviluppa su due piani e abbraccia diversi stili architettonici, dal Gotico e Rinascimento al Barocco. Motivo di grande interesse è l’Architettura: spiccano il portale d’ingresso all’esterno, il doppio Scalone rinascimentale di Mauro Codussi e la maestosa Sala Capitolare di Giorgio Massari, al piano nobile. Il soffitto del Salone superiore è decorato da dipinti di vari autori sull’Apocalisse di San Giovanni. Giuseppe Angeli, in particolare, dipinse nel 1761 la grande tela centrale del soffitto con la visione del Giudizio universale.
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Chi sono i quattro cavalieri?
https://www.jw.org/it/biblioteca-digitale/riviste/torre-di-guardia-n3-2017-maggio/chi-sono-i-quattro-cavalieri/
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jacopocioni · 2 years
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L'Oratorio di Santa Maria Vergine della Croce al Tempio
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Questa piccola Chiesetta è entrata di prepotenza nelle mie ricerche per capire da dove derivasse il nome della “Compagnia de' Neri”. Sembra che questa fosse l'originaria sede della Compagnia a due passi dal Tabernacolo all'angolo con via de' Macci dove nasceva la Compagnia stessa. La Compagnia de' Neri era in realtà una sotto-compagnia della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio. Dalle ricerche effettuate si può desumere che in origine si trattasse di uno 'spedale templare sito in via del Tempio, nome della via originario dell'epoca. Quando l'Ordine Templare fu abolito da Clemente V nel 1307 il luogo rimase inutilizzato. In seguito alla formazione della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio il 25 marzo del 1347 questo spazio fu affidato loro, il nome della Compagnia deriva infatti dal nome della Chiesetta eliminata la desinenza Vergine. Questo Oratorio era destinato alla preghiera e alle riunioni della Compagnia, non era però pubblico e vi si poteva accedere solo come membri della Compagnia o con il loro permesso. In attesa della costruzione della Chiesetta al Tempio, fuori dalle mura cittadine, era in questo luogo che i condannati a morte potevano pregare per l'ultima volta prima di essere condotti ai Prati della Giustizia, percorrendo quella che poi era divenuta via dei Malcontenti, dove veniva eseguita la sentenza. La sua architettura si confà al periodo, la facciata appare semplice con pietre irregolari disposte a filaretto, al centro un portone in legno lavorato dove si riconoscono nei due polilobi superiori due stemmi, uno della compagnia e l'altro di uno dei rami della famiglia Torrigiani. In perpendicolare sopra il portone c'è un rosone a vetri quadrati e al lato del portone due finestre con arco a tutto sesto protette dalle originali inferiate in ferro battuto. Sempre al lato del portone all'altezza del basamento delle finestre ci sono due ghiere originali in ferro battuto, fatte ad anelli, che servivano per posizionare gli stendardi della Compagnia. La facciata si caratterizza inoltre per un elemento molto particolare. Si tratta un tetto sporgente non convenzionale, non in uso all'epoca. Il tetto è dirimente nella descrizione del Fioretti per identificare questo Oratorio come la sede ufficiale della Compagnia (Storia della Chiesa Prioria di Santa Maria del Giglio e di San Giuseppe – Fioretti – Forti Firenze 1855 pag. 76). L'interno dell'Oratorio oggi ci appare come un vano rettangolare a navata unica con un pavimento in cotto e coperto da un tetto a capriate.
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Targa trascritta Le due pareti laterali presentano due porte con stipiti ed architrave in pietra serena che oggi chiudono due armadi a muro. Queste due porte erano probabilmente l'accesso alle palazzine laterali che facevano parte dello 'spedale. Lungo le pareti andando verso il fondo sono presenti sei nicchie atte probabilmente a porvi dei lumi, uno per ogni letto, forse risalenti all'uso 'spedale al tempo dei templari. Sempre sulle pareti laterali in fondo all'Oratorio sono presenti due targhe. La prima del 1428 quando un antenato di Michelangelo Buonarroti lasciò un'eredità alla Confraternita per la ristrutturazione dello 'spedale.
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Affresco nell'arco ad ogiva L'affresco nell'arco ad ogiva della parete di fondo risale al 1928 ed è una celebrazione della Confraternita voluta dal parroco di allora della vicina chiesa di S. Giuseppe, Mons. Luigi d'Indico (La Confraternita di Santa Maria della Croce al Tempio – D’indico – Stabilimento tipografico E. Ducci Firenze 1912). L'affresco presenta sullo sfondo le mura fiorentine, sotto la Madonna del Giglio in gloria tra due angeli, (Madonna del Giglio che come sostiene il Fioretti era la Madonna che ispirò i giovinetti a formare la Compagnia ((Storia della Chiesa Prioria di Santa Maria del Giglio e di San Giuseppe – Fioretti – Forti Firenze 1855 pag. 87). Due cortei che si incontrano, quello proveniente da destra è dei confratelli, il corteo di sinistra è capeggiato da Lorenzo il Magnifico. Al davanti del corteo di sinistra Papa Eugenio IV parla con il Battista. Al davanti del corteo di destra San Francesco indica la Vergine al Savonarola. Sempre nel corteo di destra si vede il ritratto di Benito Mussolini.
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Disegno dell'affresco L'affresco risulta fortemente danneggiato dall'alluvione di Firenze del 1966 ed oggi appare come nella foto a sopra mentre nel disegno qui sotto se ne può apprezzare l'originale immagine.
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Lunetta a mosaico Un piccolo mosaico con il volto di Cristo sulla parete destra eseguito nel 1923 ricorda il nome di Monsignor D'Indico che fu colui che riattivò la Compagnia ed appunto una pittura a metà della parete sinistra ricorda la rinascita della Compagnia come Confraternita nel 1912.
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Interno dell'Oratorio Si deve fare un inciso sulla pianta interna dell'Oratorio che oggi appare molto diversa dall'originale. In origine erano presenti due stanze appena entrati, una alla destra e una alla sinistra e il tetto delle due stanze era un ballatoio subito al disotto del rosone. Le due finestre quindi servivano a dare luce alle due stanze e il rosone per dare luce all'Oratorio. Ne descrive questa pianta anche Richa (Notizie istoriche delle chiese fiorentine – parte 2 del quartiere di Santa Croce – Richa – Viviani Firenze 1775) che ricorda una stanza a destra entrando utilizzata per le adunanze segrete e una a sinistra dove la Compagnia dava udienza ai poveri e a chi si rivolgeva a loro. La stessa disposizione è descritta anche da Gio. Battista Uccelli (Della Compagnia di S. Maria della Croce al Tempio – Lezione recitata il 27 gennaio 1861 alla Società Colombaria – Gio. Battista Uccelli – Firenze Tipografia Calasanziana 1861 pag. 15). Questa struttura è stata probabilmente abbattuta in seguito all'alluvione del 1966. A testimonianza di questa architettura è anche la lettura dell'Uccelli per quanto riguarda i beni delle Compagnia (pag. 29). Questa disposizione ci viene anche testimoniata dal Dott. Giampiero Cioni, forse l'ultimo vivente ad aver fatto parte della rinata Compagnia in tenerissima età (Il Dott. Cioni ci ha rilasciato un racconto inserito nell'articolo riguardante la storia della Compagnia). 
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Nel registro dei beni posseduti dalla Compagnia Libro I° spedali c.4 dell'anno 1548 si trova fra le proprietà: “Una casa alato a la di sopra tiene il capelano per suo abitare. La proprietà era di Mona di Bartolomea donna di Tanino di Bartolomeo da Monte Cuccoli e che fu lasciata alla Compagnia“. Questa casa si riferisce al terra-tetto in via San Giuseppe 12, cioè al lato sinistro dell'Oratorio di Santa Maria Vergine della Croce al Tempio. Il fatto che sia specificato oltre che alato anche sopra ne avvalora il sospetto infatti chi percorrendo via San Giuseppe si fermasse ad osservare noterebbe che questa casa ha un'estensione sopra l'Oratorio, cioè sormonta con un'ala il tetto dell'Oratorio (nella fotografia di destra se ne intravede un pezzettino). Durante dei lavori di ristrutturazione di questa ala furono trovati i primi due scalini di una scala a chiocciola che in verticale calava nell'angolo a sinistra entrando nell'Oratorio. Considerando che era ad uso abitativo del cappellano questo avrebbe un senso in quanto lo stesso avrebbe avuto un accesso diretto al'Oratorio. La stessa scala oltre che raggiungere la stanza di sinistra si apriva anche sul ballatoio che nel 1912 dopo la riapertura della Compagnia veniva usato per cantare le novene di Natale, come appunto ci ricorda il Dott. Cioni per aver fatto parte del coro. Da dire inoltre che nel 1428 grazie alla donazione dell'antenato del Michelangelo, Simone Buonarroti, di cui abbiamo già parlato, questa palazzina si integrò con lo spedale che la Compagnia allestì alla sinistra e alla destra dell'Oratorio stesso (La Compagnia de’ Neri – L’arciconfraternita dei Battuti di Santa Maria della Croce al Tempio – di Eugenio Cappelleti – Felice Le Monnier editore 24 maggio 1927 Firenze pag. 40).
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nardonews24 · 3 years
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FESTA DI SAN GIUSEPPE PATRIARCA, DOPO LA PANDEMIA TORNANO LE BANCARELLE
FESTA DI SAN GIUSEPPE PATRIARCA, DOPO LA PANDEMIA TORNANO LE BANCARELLE
Da questa mattina le bancarelle della fiera in onore di San Giuseppe Patriarca (che si festeggia domani, sabato 19 marzo) sono tornate ad animare il centro cittadino, dopo due edizioni cancellate a causa della pandemia. Un appuntamento promosso dalla Confraternita di San Giuseppe Patriarca e patrocinato dal Comune di Nardò, nel segno di una ritrovata normalità dopo la condizione di emergenza…
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floweredalmond · 3 years
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Gesù nella casa dei Genitori o La Falegnameria, John Everett Millais, 1849-1850, olio su tela.
La confraternita preraffaelita è formata da un insieme di artisti inglesi dalle vite stravaganti, contraddistinti da una rivalutazione del Medioevo in quanto epoca di religione e spiritualità e origine delle grandi nazioni europee. Scelgono di prendere ispirazione dagli artisti precedenti a Raffaello, in particolare la pittura italiana del '400. Si denominano Pre-raffaeliti, creando un proprio marchio, fondamentale nel mondo del libero mercato. Gli artisti, di alta condizione sociale, sceglievano di vivere la vita da artisti (e riprendevano dunque il principio di identità fra arte e vita), vivendo insieme nelle villette del placido quartiere di Chelsea, a Londra.
L’opera realizzata da Millais genera grande scandalo all’esposizione organizzata dalla Royal Accademy: si tratta infatti di una pittura di figura con un impianto di disegno tradizionale ed un messaggio innovativo. La composizione è simmetrica ed ordinata, la pittura è leggermente oleografica. Il soggetto è la Santa Famiglia nella bottega di Giuseppe, portando alla riscoperta del quadro religioso dopo il '700, modificando tuttavia la concezione religiosa che diviene interiore e personale. Gesù bambino, ferito sul palmo ( si tratta di un richiamo alle ferite dei chiodi della crocifissione) mostra il taglio alla madre, mentre San Giovanni porta l’acqua per sciacquare la ferita (allusione al suo ruolo di Battista) e Sant’Anna indica le tenaglie. Importanti nel quadro divengono dunque anche i simboli, come la colombella, segno di pace e Spirito Santo, ed il gregge di pecore fuori dalla finestra.
Il quadro è esposto al Tate Britain (Londra).
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azzurracomeme · 3 years
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Lezione dell'11/11/2021
AUTORE: John Everest Millais
NOME: Gesù nella casa dei Genitori (o la Falegnameria)
DATA: 1849-1850
MATERIALE E TECNICA: olio su tela
LUOGO DI CONSERVAZIONE: Tate Britain, Londra
CONTESTO ORIGINALE: La confraternita preraffaelita è formata da un insieme di artisti inglesi dalle vite stravaganti contraddistinti da una rivalutazione del medioevo in quanto epoca di religione e spiritualità (valori riportati in auge dalla restaurazione) e origine delle grandi nazioni europee, dalla scelta di dipingere riprendendo gli artisti precedenti a Raffaello ed in particolare la pittura italiana del 400 e dalla scelta di darsi un nome, pre-raffaeliti, per poter creare un proprio marchio, fondamentale nel mondo del libero mercato. Gli artisti, di alta condizione sociale, sceglievano di vivere la vita da artisti (e riprendevano dunque il principio di identità fra arte e vita), vivendo insieme nelle villette del placido quartiere di Chelsea, a Londra.
SCELTE TECNICHE E STILISTICHE: L’opera realizzata da Millais genera grande scandalo all’esposizione organizzata dalla Royal Accademy: si tratta infatti di una pittura di figura con un impianto di disegno tradizionale ed un messaggio innovativo. La composizione è simmetrica ed ordinata, la pittura è leggermente oleografica, il soggetto rappresenta la Santa Famiglia nella bottega di Giuseppe, portando alla riscoperta del quadro religioso dopo il 700, motivo di grande originalità, modificando tuttavia la concezione religiosa che diviene interiore e personale. Gesù bambino, ferito sul palmo, richiamo alle ferite dei chiodi della crocifissione, mostra la ferita alla madre, mentre San Giovanni porta l’acqua per sciacquare la ferita, allusione al suo ruolo di Battista, mentre sant’Anna indica le tenaglie. Importanti nel quadro divengono dunque anche i simboli, come la colombella, segno di pace e Spirito Santo ed il gregge di pecore fuori dalla finestra.
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lamilanomagazine · 2 years
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Lecce, "Il Farone Sommerso" al Barocco Festival
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Lecce, "Il Farone Sommerso" al Barocco Festival. Appuntamento a Lecce per il "Barocco Festival Leonardo Leo" a chiusura della prima parte della XXV edizione della rassegna di musica antica. La chiesa di San Matteo, tripudio di arte barocca, ospita sabato 22 ottobre, alle ore 21, l’oratorio a quattro voci "Il Faraone Sommerso" del compositore ed educatore tarantino Nicola Fago, altro appuntamento di grande originalità. Ingresso libero - Info T. 347 060 4118. In scena l’orchestra barocca "La Confraternita de’ Musici", diretta al cembalo dal M.O Cosimo Prontera, con il tenore Roberto Manuel Zangari, il baritono Giuseppe Naviglio, il controtenore Antonello Dorigo e il sopranista Angelo Riccardo Strano. L’oratorio, del quale si ignora l’autore del testo, è ispirato alla biblica vicenda della liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù egizia attraverso il miracoloso passaggio del Mar Rosso. Del "Faraone Sommerso" di Fago esistono due partiture manoscritte, una delle quali, custodita presso la Bodleian Library di Oxford, riporta l’anno 1709; l’altra è conservata nella Biblioteca del Conservatorio di Firenze e fa parte del fondo Basevi. Il libretto non è pervenuto. Se la data è attendibile, è verosimile che il lavoro sia stato proposto a Napoli nell’ambito del ciclo di oratori di argomento biblico che l’arcivescovo Pignatelli fece eseguire presso la cappella del suo palazzo. Nel 1709 Fago assunse la carica di maestro di cappella del Tesoro di San Gennaro, ed è probabile che il patriarca avesse richiesto il suo contributo. L’impostazione è nella forma consueta dell’oratorio settecentesco, in due parti, con il rigido alternarsi di arie, duetti e recitativi: l’apertura è affidata a una sinfonia tripartita e le due sezioni sono chiuse da un brano d’assieme. Secondo prassi, i recitativi contengono gli elementi narrativi e drammatici, mentre le arie, prevalentemente liriche, rispondono alla stilizzazione di un affetto o di uno stato d’animo. La sinfonia iniziale non è un brano generico ma introduce il successivo recitativo di Mosé, tanto da poter affermare che l’azione si avvia già con il brano strumentale. Il recitativo, alla fine della sinfonia, evoca lo stato penoso in cui versa il popolo egizio per le piaghe afflitte da Dio. Così, Mosé si rivolge al faraone: "Alle leggi del Cielo Sire ubbidite al fine, perché il misero regno geme in volto fra mille aspre ruine". Espressioni che danno significato alla sinfonia e ne prolungano la risonanza. Altri aspetti musicali interessanti sono costituiti dall’aria del Messo, "S’odano intorno inni di laude", con quattro parti di violino che amplificano in eco la gioia per la liberazione e il ringraziamento al Cielo, prima che gli Ebrei si accorgano di essere inseguiti dall’esercito del Faraone. Significative sono anche l’aria con violoncello solista, secondo tradizione della scuola violoncellistica napoletana, "Aprite il seno onde orgogliose", affidato a Mosè, e la grande aria del Messo "Forz’è pur nel proprio sangue o nell’onde naufragar", che esprime l’improvvisa disillusione degli Ebrei dopo aver scoperto di essere inseguiti dall’esercito del Faraone e di avere come unica possibilità annegare nel Mar Rosso. Nella copia della partitura custodita a Firenze alcune arie presentano, al margine, indicazioni apposte da altra mano, in tutto quattro, con un testo alternativo che in parte sostituisce quello originale. Non sono documentate le ragioni della circostanza, tuttavia si ritiene che le modifiche abbiano inteso integrare una cantata per l’onomastico o il compleanno del sovrano di Spagna, re Carlo III d’Asburgo. Il letterato autore delle modifiche, presumibilmente lo stesso Fago, avrebbe quindi chiesto al copista di collegare le quattro arie ai recitativi e di indirizzarle infine verso il coro ecomiastico: ancora una volta, mantenendo la modalità di dialogo e di reciprocità tra trono e altare.... Read the full article
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De Domo David. 39 autori per i 400 anni della confraternita di San Giuseppe di Nardò
Il 9 novembre 2019, nella chiesa di San Giuseppe a Nardò, è stato presentato il volume De Domo David. La confraternita di San Giuseppe Patriarca e la sua chiesa a Nardò. Studi e ricerche a quattro secoli dalla fondazione (1619-2019), Edizioni  Fondazione Terra d’Otranto 2019, 640 pagine, colore, formato A/4, circa 800 illustrazioni, a cura di Marcello Gaballo e Stefania Colafranceschi. Edizione non commerciale
INDICE
Joseph il giusto nei mosaici dell’arco di Santa Maria Maggiore a Roma
Domenico Salamino
  La Fuga in Egitto. Suo importante significato teologico
Tarcisio Stramare
  Dal Sogno al Transito: iconografie nella chiesa confraternale di San Giuseppe a Nardò
Stefania Colafranceschi
  San Giuseppe e la Sacra Famiglia nel fondo antico della Biblioteca Casanatense di Roma
Barbara Mussetto
  La pala marmorea dei Mantegazza nella chiesa di Santa Maria Assunta in Campomorto di Siziano (Pavia)
Manuela Bertola
  Iconografie di San Giuseppe negli affreschi delle confraternite dei Battuti in diocesi di Concordia-Pordenone
Roberto Castenetto
  La basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo e i suoi arazzi
Giovanni Curatola
  Hierónimo Gracián e il suo Sommario (1597)
Annarosa Dordoni
  Le confraternite dei falegnami in Romagna
Serena Simoni
  La confraternita del SS. Crocifisso e S. Giuseppe nella chiesa di San Giuseppe in Cagli (PU)
Giuseppe Aguzzi
  La confraternita di San Giuseppe dei Falegnami di Todi e la chiesa di San Giuseppe
Filippo Orsini
  San Giuseppe in due dipinti astigiani di età moderna
Stefano Zecchino
  La confraternita di San Giuseppe a Borgomanero
Franca Minazzoli
  Il culto di San Giuseppe nella città di Napoli e un piccolo esempio di devozione: il quadro di Giovanni Sarnelli nell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi
Ugo Di Furia
   Ite ad Joseph. San Giuseppe nella statuaria lignea tra Otto e Novecento: alcuni esempi
Francesco Di Palo
  L’oratorio di San Giuseppe di Isola Dovarese. Una pregevole testimonianza settecentesca
Sonia Tassini
Testimonianze giuseppine nella chiesa di San Vincenzo Martire in Nole (Torino)
Federico Valle
  L’oratorio di S. Giuseppe di Cortemaggiore (Piacenza)
Annarosa Dordoni
  San Giuseppe a Chiusa Sclafani (Palermo) tra arte e devozione
Maria Lucia Bondì
  San Giuseppe nell’arte. Sculture lignee di Francesco e Giuseppe Verzella tra Sette e Ottocento in ambito pugliese e campano
Antonio Faita
  Memento mori: il Transito di San Giuseppe
Biagio Gamba
  Storia e tecnica delle immagini devozionali a stampa
Michele Fortunato Damato
  Dal XVI al XIX secolo, quattro secoli di pizzo su carta
Gianluca Lo Cicero
  Stampe popolari giuseppine nel museo di Pitrè di Palermo
Eliana Calandra
  Le confraternite di S. Giuseppe in Puglia tra storia e religiosità popolare
Vincenza Musardo Talò
  Le Regole della confraternita di San Giuseppe Patriarca di Nardò, un esempio «moderno» del fenomeno confraternale
Marco Carratta
  Arte e devozione ad Altamura. La cappella di San Giuseppe in cattedrale
Ruggiero Doronzo
  Alcuni esempi di iconografia giuseppina a Taranto
Nicola Fasano
  In margine all’iconografia di San Giuseppe: il ciclo pittorico di Girolamo Cenatempo nella cappella del Transito di San Giuseppe a Barletta
Ruggiero Doronzo
   Sponsus et custos. Iconografia, culto e devozione per San Giuseppe nell’arco jonico occidentale. Exempla selecta
Domenico L. Giacovell
  La raffigurazione di San Giuseppe negli argenti pugliesi
Giovanni Boraccesi
  Esempi di iconografia giuseppina tra Puglia e Campania. Proposte per Gian Domenico Catalano, Giovan Bernardo Azzolino, Giovanni Antonio D’Amato, Giovan Vincenzo Forlì
Marino Caringella
  Postille iconografiche su Cesare Fracanzano. Alcuni esempi della devozione giuseppina
Ruggiero Doronzo
  I Teatini e il culto di san Giuseppe a Bitonto
Ruggiero Doronzo
  Esempi di antiche pitture parietali giuseppine nel leccese
Stefano Cortese
  La figura di san Giuseppe nella pittura post tridentina in diocesi di Lecce
Valentina Antonucci
  San Giuseppe nella pittura d’età moderna nelle diocesi di Otranto e Ugento
Stefano Tanisi
  Da comparsa a protagonista. Giuseppe in alcune opere pittoriche e in cartapesta della diocesi di Nardò-Gallipoli
Nicola Cleopazzo
  La devozione a san Giuseppe in Parabita (Lecce). Il culto e le raffigurazioni del santo
Giuseppe Fai
  Integrazioni documentarie e nuove fonti archivistiche per la storia della chiesa e della confraternita di San Giuseppe a Nardò
Marcello Gaballo
  Esemplificazioni iconografiche giuseppine a Galatone (Lecce)
Antonio Solmona
  L’altare maggiore della chiesa di San Giuseppe a Nardò
Stefania Colafranceschi
  Vedute di Nardò nella tela dell’altare maggiore in San Giuseppe a Nardò
Marcello Gaballo
  Comparazioni strutturali e integrazioni architettoniche settecentesche nella chiesa di San Giuseppe a Nardò
Fabrizio Suppressa
  L’altorilievo neritino de La Sacra Famiglia in Viaggio nella chiesa di San Giuseppe
Stefania Colafranceschi
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carol-agostini · 4 years
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Varaschin vini e spumanti, Confraternita del Prosecco ed un Enoesperto d'eccezione Nicola Menin.
Quella maglietta caro Nicola ti si addice egregiamente, chi te l'ha regalata e spedita sa e conosce il valore che ogni giorno apporti al mondo prosecco.
Inizia così il mio tour a Valdobbiadene con una guida d'eccezione, per l'appunto l'enoesperto Nicola Menin, colui che sviluppa, porta avanti con impegno progetti territoriali in zona e non solo.
Accompagnata per mano come del resto questa figura professionale fa con le aziende, mi sono trovata da "champagnista" proiettata nel mondo "prosecchista", devo dire grazie a Nicola mi sono trovata a mio agio.
La prima azienda visitata è stata Varaschin Vini e Spumanti, in cui si producono le bollicine trevigiane, sede attuale della Confraternita di Valdobbiadene che dal 1946 (già Confraternita del Prosecco) vigila e promuove un prodotto che non è solo vino ma anche storia e tradizione, impegno, la passione, l'amore per questi luoghi.
Ho fatto anche un piccolo tour per rendermi conto della collocazione delle vigne, alcuni appezzamenti possono rientrare tranquillamente nella coltivazione eroica, dato dalle pendenze dei terreni in collina.
"Il Vino … Comincia sempre col rifiutarsi, con garbo e villania secondo temperamento e si concede solo a chi aspira alla sua anima, oltre che al corpo, apparterrà a colui che lo sa 'scoprire con delicatezza" citazione di Luigi Veronelli divenuta uno dei simboli della Confraternita, poichè l' attività di questa realtà ha contribuito ad elevare e custodire la cultura degli uomini che sono i protagonisti del successo economico raggiunto da questo vino.
La Confraternita è considerata un'autentica università del Prosecco, con la sua sede ricavata da una cella vinaria a tutta volta, dove si respira aria di mistero, di segreti, racchiusi nelle bottiglie tenute protette in questa stanza quasi caveau.
Veri pezzi da collezione, le cui date risalgono al lontano 1919, io ho avuto la fortuna di bere un prosecco del 1978, un vin santo di 16 anni, di cui 15 in barrique.
Altra informazione raccontano che le origini della Confraternita si identificano in gran parte nelle precarie condizioni ambientali dell'immediato dopoguerra; allora, dopo le tristi vicende belliche, incombeva sul settore vitivinicolo la minaccia dell'esodo degli agricoltori dalla collina verso i più remunerativi e sicuri lavori della pianura e il conseguente pericolo del totale abbandono dei vigneti.
Quindi per non perdere un patrimonio così importante che solo l'uomo era in grado di trasmettere, si rendevano necessarie forti iniziativa di salvaguardia, affinchè i fondatori di quella che divenne in seguito la Confraternita di Valdobbiadene non si risparmiarono nel dare, aiutando gli agricoltori a superare il difficile momento.
Cresciuta nel tempo, è oggi composta da tecnici e da esponenti di spicco del settore vitivinicolo, tutti impegnati nello sviluppo del sodalizio, ma soprattutto per far crescere sempre più il prestigio del prosecco e del suo territorio.
Doveroso ricordare Orfeo Varaschin, scomparso precocemente, titolare con la sorella Raffaella e il cugino Andrea, dell'azienda vitivinicola, memorabile il suo ruolo di comparsa nel film "Finché c'è Prosecco c'è speranza" dove ha interpretato l'addetto al riposizionamento delle bottiglie nella scena del poligono di tiro al fianco dell'attore Giuseppe Battiston“,
All'interno della Cantina troverete il poster che rappresenta il film in questione, un pezzo di cinematografia italiana.
"Non so dove vanno le persone quando scompaiono, ma so dove restano» di Antoine de Saint-Exupery, parole comparse sui social da parte della famiglia per annunciare la scomparsa del titolare dell’omonima azienda vinicola con sede a San Pietro di Barbozza".
Io vi posso dire che entrare in quell'azienda e in quel caveau, resta impressa una sensazione di presenza, come se il tutto, dall'aria che si respira, alle bottiglie esposte, ad ogni assaggio fatto, fosse protetto e osservato da qualcosa non visibile, ma solo percettibile.
Strana sensazione di pace, serenità e di storia, quasi una trama di occulto, ma è solo suggestione, data dalla conformità del luogo, dai dipinti nei muri, dai colori e dalla disposizione di ciò che arreda e arricchisce l'ambiente.
La grata prima del varco traccia un percorso emotivo, come del resto la stanza precedente, dove ci sono ancora botti molto vecchie che segnano il cammino dell'azienda Varaschin e del territorio stesso.
Oltre a tutto ciò, la bravura di Nicola Menin nel raccontarne sviluppi, situazioni, progetti, esperienze produttive e di vita di questa famiglia e della Confraternita.
Grande conoscitore, ha saputo rendere tutto invitante e stimolante, con la sua passione ha intrigato la mia curiosità, ma soprattutto la mente; ed è così che nella mia vita si apre un capitolo nuovo, si chiama "Glera", un vitigno che posso dire essere predisposto a lungo invecchiamento, ora ne ho le prove.
Simbolo grafico dell'azienda i bicchieri e la vite, lo vedete nel logo pensato e utilizzato dal 1930.
Ciò mi fa pensare che dalla costituzione il messaggio da trasmettere era quello del convivio, del bere bene, dell'unione nel bere, infatti ci sono più bicchieri rappresentati nell'immagine del logo.
Mi piace dedurre che la scelta della sede della Confraternita non sia stata a caso, ma sia fondata sullo stesso messaggio comune, gli uomini uniti per il bere bene, aggiungo consapevole.
Alcuni prodotti dell'azienda: Varaschin Valdobbiadene Cartizze Primo Passo DOCG (Glera), Varaschin Superiore di Cartizze Valdobbiadene DOCG (Glera), Brunoro Valdobbiadene DOCG Brut (Glera).
Grazie a Nicola Menin per la splendida giornata educativa, formativa e sensoriale....coming soon!
Di Carol Agostini
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wdonnait · 4 years
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Nardò, l'affascinante borgo in provincia di Lecce
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Nardò, l'affascinante borgo in provincia di Lecce
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La città di Lecce è costituita da numerosi borghi affascinanti, ricchi di storia, cultura, tradizioni e soprattutto di un vasto patrimonio paesaggistico.
Tra i paesi più rinomati del Salento, troviamo certamente Nardò.
Qui si ha la possibilità di scovare una serie di luoghi religiosi secolari (pensate, anche appartenenti all’epoca medievale), torri, masserie e palazzi storici.
Ovviamente, oltre ai luoghi d’interesse, non manca il buon cibo tipico pugliese… ma di questo ve ne parleremo successivamente.
Adesso, scopriamo tutto ciò che dovreste assolutamente visitare in un tour a Nardò!
Luoghi di culto
Come vi abbiamo già accennato in precedenza, a Nardò non mancano certamente i luoghi di culto.
Pertanto, avrete l’opportunità di ammirare tantissime cattedrali e chiese, come ad esempio: la Cattedrale di Santa Maria Assunta, la Chiesa dell’Immacolata, la Chiesa di San Domenico e la Chiesa di Santa Chiara. Scopriamole nel dettaglio!
Cattedrale di Santa Maria Assunta
La Cattedrale di Santa Maria Assunta è certamente una delle strutture religiose più importanti di Nardò.
Essa è situata dove un tempo era presente la chiesa basiliana di Sancta Maria de Nerito. Quest’ultima, risalente al VII secolo, fu realizzata da alcuni monaci orientali che erano fuggiti dalle persecuzioni.
Tuttavia, qualche secolo dopo con l’arrivo del Medioevo, essi vennero rimpiazzati dai monaci benedettini, i quali decisero di dar vita all’attuale cattedrale. Ovviamente, nel corso della storia ci sono stati tantissimi restauri, anche a livello stilistico.
Dal punto di vista architettonico, la Cattedrale di Santa Maria Assunta, ha un impianto a tre navate e sulle pareti sono presenti vari affreschi, come ad esempio quelli del Cristo in trono che benedice alla greca (risalente al 1300), di San Nicola, della Vergine col Bambino (del XVI secolo), di sant’Agostino (appartenente al 1400 circa) e della Madonna delle Grazie (a opera di Baiulardo, nel XIII secolo).
Ma non è tutto. Qui avrete modo di ammirare il famoso Cristo Nero, ossia un crocifisso dai toni scuri, realizzato con legno di cedro ed appartenente al 1200.
Chiesa dell’Immacolata
Rispetto alla precedente, la chiesa dell’Immacolata è molto più recente e risale alla fine del ‘500.
Però, a dir la verità questo luogo di culto sorge su alcuni resti di una struttura medievale. Inoltre, all’inizio non portava l’attuale denominazione ma era in onore a San Francesco d’Assisi.
La situazione cambiò quando avvenne la consacrazione all’Immacolata dal 1830 per poi essere affidata alla confraternita (che porta lo stesso nome).
A livello stilistico, l’interno della chiesa è davvero molto interessante, poiché presenta numerosi resti in stile barocco e alcuni tratti che fanno pensare ad una serie di restauri, avvenuti nei secoli successivi.
Chiesa di San Domenico
Un altro luogo di culto è la chiesa di San Domenico, la quale fu costruita dai domenicani verso la fine del ‘500.
Tuttavia, alcune sue componenti, andarono incontro a distruzione verso la metà del XVIII secolo, per via di un brutto terremoto.
Oggi però, è possibile comunque scovare diversi resti del passato, ma anche alcuni risalenti al periodo successivo al tragico evento e che si rifanno ai canoni architettonici controriformisti.
Mentre la facciata presenta tratti sia antichi che più moderni, all’interno possiamo trovare alcuni altari, come ad esempio quello contenente i misteri (noto come Madonna del Rosario) di Antonio Donato D’Orlando.
Inoltre, non molto distante da qui, è situato il convento dei Domenicani, rivisitato dopo il terremoto del 1743 da Ferdinando Sanfelice.
Chiesa di Santa Chiara
Infine, tra le testimonianze religiose più influenti di Nardò, troviamo la chiesa di Santa Chiara.
Essa è collegata al convento delle clarisse, costruito intorno al 1400. Pertanto, si parla di vero e proprio complesso monastico, dove la chiesa ha avuto numerosi rifacimenti (ad esempio tra il 1700 e il 1800, sempre in seguito al famoso terremoto).
In termini architettonici, la chiesa di Santa Chiara ha una facciata a due ordini e al suo interno sono presenti numerosi altari barocchi ad esempio, quello in onore a San Michele Arcangelo, al Crocifisso, a San Francesco Saverio, a Santa Chiara a sant’Antonio di Padova, e a San Francesco d’Assisi.
Altri luoghi religiosi
A Nardò, avrete la possibilità di visitare tantissimi altri luoghi religiosi, come ad esempio:
La chiesa della Beata Vergine Maria del Carmelo
La chiesa di Santa Maria della Purità
Chiesa di Sant’Antonio da Padova
Chiesa di San Trifone
La chiesa di San Giuseppe Patriarca
Chiesa di Santa Teresa
Cripta di Sant’Antonio Abate
Madonna della Grottella
Chiesa dei Santi Medici Cosimo e Damiano
Ma anche:
Chiesa di Santa Maria Incoronata con annesso convento (del XVI secolo)
Chiesa di Santa Sofia (del XVI secolo)
La Chiesa di San Bartolomeo (risalente al XVII secolo)
Chiesa di San Francesco da Paola (del XVII secolo)
Chiesa di Santa Maria della Rosa (risalente al XVII secolo)
Chiesetta di San Lorenzo (del XVII secolo)
Chiesetta di Santa Croce (del XVII secolo)
Chiesa di San Giovanni Battista (costruita tra il XVII e il XVIII secolo)
Nardò luoghi d’interesse
Passeggiando per Nardò, avrete modo di visitare un affascinante centro storico, ricco di vie che rimandano al passato.
Qui, non mancano di certo bar, locali, e piazze, che spesso si rivelano dei punti di ritrovo anche per i più giovani. Infatti, non troverete soltanto ristoranti di “vecchio stampo” ma anche luoghi più moderni, in cui poter fare un gustoso aperitivo nel tardo pomeriggio.
Inoltre, a Nardò sono presenti diversi palazzi storici (come ad esempio quello vescovile) e altri rimodernati e sedi burocratiche (comune, poste e via dicendo).
Nardò torri
Come alcuni di voi già sanno, a Nardò sono presenti varie torri, tra cui:
La torre del Fiume di Galatena
Torre Santa Caterina
Torre dell’Alto
La torre Uluzzo (detta anche Crustano)
Torre Inserraglio o Critò
La torre Sant’Isidoro
Torre Squillace
Nardò curiosità
In passato, questo borgo salentino è stato il “background” di una serie di riprese cinematografiche, tra cui:
L’immagine del desiderio
La posta in gioco
Il padre delle spose
La terra
Cugini carnali
L’Anima Gemella
Una donna contro tutti – Renata Fonte
Il peccato e la vergogna 2
Il Prefetto di Ferro
Walking on Sunshine
Sei mai stata sulla luna?
Nardò cosa mangiare
Per quanto riguarda il cibo, a Nardò potrete assaggiare una serie di pietanze tipiche della Puglia e del Salento, come ad esempio:
Le orecchiette
La puccia salentina
I calzoni
I pasticciotti
La pitta di patate
E tanto altro ancora…
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ultimenotiziepuglia · 5 years
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liviaserpieri · 7 years
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Lungarno del Tempio
“Deriva il suo nome dall’antico (e non più esistente) Spedale dei Cavalieri Templari sito presso il Prato della Giustizia (oggi Piazza Piave), una vasta area fuori  le  mura in cui venivano giustiziati i detenuti. Dal carcere del Bargello e da quello dello Stinche (oggi qui  sorge il Teatro Verdi),  attraverso la  Via de’ Malcontenti  (nome popolare di Via della Giustizia), i condannati venivano accompagnati  al loro  triste destino dai “Battuti Neri” (membri della confraternita nata nel 1343)  che prestavano assistenza ai  condannati a morte  recando nel  mesto corteo la Croce conservata nella quattrocentesca Chiesa di Santa Maria alla Croce del Tempio in Via San Giuseppe”
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