#complesso francescano dei Frati Minori Conventuali
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Un tappeto per Sant’Antonio
Un tappeto per Sant’Antonio
Un tappeto floreale nel giorno della festa di Sant’Antonio sarà nel piazzale antistante l’ingresso il complesso francescano dei Frati Minori Conventuali di Stanislao Scognamiglio PORTICI | CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – I soci del Comitato Cappella San Ciro, diretto dal maestro infioratore Angelo Di Napoli, negli ultimi due anni, seppur fermi per il sopravvenuto divieto che ha impedito lo…
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#Comitato Cappella San Ciro#complesso francescano dei Frati Minori Conventuali#infiorata#Portici#Sant’Antonio#tappeto
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La Chiesa Inferiore della Basilica di Assisi venne costruita a partire dal 1228, sotto Papa Gregorio IX. L‘inizio dei lavori per la Chiesa Superiore si avviò circa nel 1239. Le due chiese furono consacrate da Papa Innocenzo IV nel 1253. In quell‘anno non era stata ancora innalzata la piazza antistante la facciata: una scalinata rampante conduceva al portale gotico gemino, sovrastato da un grande rosone contornato dai simboli dei quattro Evangelisti, a sua volta chiuso da un timpano con oculo centrale. I torrioni circolari laterali servono come pilastri di sostegno, quelli vicino al coro fungono anche da scala. La loggia da benedizione sul lato sinistro della facciata, al di sopra del muro di sostegno rampante, fu aggiunta nel 1754, quando la chiesa fu elevata a rango di basilica. Nella Chiesa Inferiore si accede per primo ad un transetto creato in una seconda fase della costruzione (1280-1300), in seguito ampliato con cappelle sul lato opposto all‘ingresso. Da questo si diparte la navata unica, coperta con volte a crociera, che finisce in un‘abside semicircolare, preceduto da un transetto con volta a botte (nei bracci laterali). Tra il 1300 e il 1350 lungo tutta la navata ed ai lati del transetto furono aperte delle cappelle, rovinando i dipinti di Giotto, Cimabue, Simone Martini e Pietro Lorenzetti che già ricoprivano le pareti del transetto. A metà della navata, delle scale conducono alla cripta contenente il sarcofago del Santo, scoperto solamente nel 1818. La cripta fu realizzata nel 1822, ristrutturata poi negli anni 1925-32 in forme romaniche. Il ciclo pittorico della navata, in gran parte a tempera, eseguito intorno al 1260 da un ignoto autore, chiamato in seguito Maestro di S. Francesco, contrappone delle scene della vita di S. Francesco (sul lato sinistro) a scene correlate della vita di Cristo (lato destro). La successiva apertura delle cappelle laterali ha tagliato diverse scene a metà. L‘altare maggiore risale al 1230, il baldacchino invece al XIV secolo. Originariamente era contorniato da 12 colonne, in evidente analogia con il Sacro Sepolcro di Gerusalemme, eliminate nel 1870. Le vele della volta raffigurano Apoteosi di S. Francesco e Allegorie dell‘obbedienza, della povertà, e della castità ad opera del cosiddetto Maestro delle Vele. Il ciclo pittorico del braccio destro del transetto (Infanzia di Cristo, Miracoli postumi di S. Francesco) è meno unitario, riconducibile in parte a Giotto. Il braccio destro del transetto rappresenta il tema iconografico della Passione di Cristo . Dai due lati del coro, delle scale salgono al terrazzo prospiciente il chiostro grande retrostante a due ordini, costruito nel 1476; da qui si accede alla Chiesa Superiore Lo schema della pianta della Chiesa Superiore ricalca esattamente quello originario della chiesa inferiore sottostante. La navata unica termina con due bracci laterali e un‘abside, qui poligonale. Ma mentre la chiesa inferiore con le sue architetture massicce da l‘idea di una cripta, la chiesa superiore, slanciata e luminosa, si presenta in uno stile gotico, influenzato da quello francese, però con una sua spiccata originalità italiana. Il soffitto dell‘intera chiesa è coperto da volte a crociera e una galleria la percorre per tutto il perimetro sotto le finestre a metà altezza. Salendo per le scale dalla chiesa inferiore, si accede a quella superiore all‘altezza del transetto e del coro. Le pareti della navata sono caratterizzati da un ciclo sopra alla galleria di 34 riquadri del Vecchio e del Nuovo Testamento (rispettivamenta a destra e a sinistra). Nelle pareti sotto alla galleria, 28 riquadri narrano la vita di S. Francesco. Le finestre policrome furono i primi elementi decorativi eseguiti nella chiesa. Mancando all‘epoca in Italia l‘esperienza di tale produzione, per quelle più antiche (del coro) ci si rivolse a una bottega tedesca, in seguito (per il braccio sinistro della crociera) ad una francese; quelle del braccio destro e della navata vengono attribuiti invece alla bottega del Maestro di S. Francesco.
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La mole inconfondibile del convento di San Francesco domina il paesaggio di Assisi con i suoi archi che sostengono gli edifici conventuali e le sue due chiese sovrapposte, che ne fanno uno dei massimi capolavori dell’arte medievale al mondo. Eppure questo convento, eretto nel 1248 e oggi tra i più visitati della cristianità, fu considerato per molti anni un vero e proprio scandalo da quella minoranza di frati che riteneva di seguire l’autentico messaggio francescano.
“I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia” (dalla Regola Bullata di san Francesco di Assisi)
Considero Assisi, e non penso di essere il solo, la più spirituale delle città italiane, capace di conservare, malgrado il vertiginoso aumento di visitatori, il ricordo e la presenza del suo figlio più illustre. E tra tutti i monumenti di Assisi il più notevole, mirabile, indimenticabile è proprio il Sacro Convento, la cui mole annuncia già da lontano la presenza della città francescana. Molti preferiscono a questo luogo altri santuari francescani di Assisi (le Carceri o san Damiano) ma non c’è dubbio che questo sia “il ” Santuario francescano per eccellenza, oltre che uno straordinario contenitore di capolavori artistici. Ma proprio questa grandezza, questa bellezza che noi tutti riconosciamo furono alle origini del movimento francescano oggetto di un fiero dibattito tra le due anime da sempre presenti tra i seguaci di Francesco: quella più pauperistica e spirituale, che voleva i frati ancorati allo stile di vita estremo praticato dal fondatore, e quella più “moderna” che sosteneva che per poter sopravvivere il movimento avesse bisogno di darsi delle regole, delle strutture e persino dei conventi più strutturati. Questo dibattito è durato per secoli, portando nel 1517 alla scissione dell’ordine francescano i due famiglie: i Conventuali e gli Osservanti, poi divenuti gli attuali frati Minori. I primi, che vestono di nero, sono ancora i custodi di questo grande santuario, come pure di gran parte delle grandi chiese cittadine dedicate a san Francesco e di altri santuari di grande importanza come quello di Padova. I Minori, invece, che vestono il tradizionale saio marrone, sono da sempre più portati a un’attività missionaria, a una predicazione “sociale” e alla costituzione di comunità più piccole ma con diffusione più capillare. Della terza grande famiglia francescana, nata da un’ulteriore scissione di carattere pauperistico, ho già parlato in un post precedente a cui rimando chi non lo avesse letto. (cappuccini).
Tornando ad Assisi, è difficile infatti immaginare Francesco, l’umile e “folle” Francesco, a suo agio in un luogo come questo, dove ogni pietra, ogni affresco, ogni angolo esprime maestà, rispetto, emozione. Ma non si poteva fare altrimenti; i suoi seguaci, e in particolare il suo successore designato frate Elia, che ne volle fortemente l’edificazione, non potevano pensare di celebrare la gloria del proprio maestro con effimere capanne di paglia e fango o grotte umide e fredde, come sarebbe sicuramente piaciuto a Francesco. Lo stesso valeva per i cittadini di Assisi, che lo avevano deriso e tollerato quando era in vita, ma che grazie a lui sarebbero stati conosciuti in tutto il mondo. Elia da Cortona resse a due riprese l’Ordine francescano, una prima volta ancora vivente Francesco, poi dal 1232 al 1239. Fu un generalato controverso il suo: per alcuni storici fu infatti il sapiente organizzatore della comunità; secondo altri, e in particolare per tutta la storiografia di ispirazione “spirituale”, fu invece un frate energico e assolutista, l’autentico responsabile della perdita della purezza originaria dell’ordine. Fu lui il “colpevole” della costruzione della grande basilica-convento di Assisi e l’artefice di un governo simile a quello di un abate benedettino. In realtà Elia era stato scelto da Francesco tra i primi compagni proprio in virtù delle sue capacità organizzative e, anche nella costruzione del Sacro Convento, agì con il pieno appoggio di tutti i compagni. Elia non era Francesco, ma proprio l’inimitabilità del fondatore e il suo individualismo rendevano necessaria nella vita dell’ordine la presenza di una figura di inflessibile e abile organizzatore. Ci si potrebbe chiedere se il movimento francescano sarebbe sopravvissuto al tempo senza la sua rigida e razionale strutturazione, oppure se non si sarebbe invece dissolto, al pari di tanti altri movimenti pauperistici dell’epoca. Con Elia crebbero di importanza i conventi di studio e l’ordine assunse un tono sempre più dotto e clericale, inserendosi in modo potente nella vita della Chiesa.
Se lo esaminiamo quindi da un punto di vista strettamente francescano, questo convento è più che altro una grande contraddizione; se lo vediamo invece in una luce un poco più aggiornata, il complesso di Assisi è un grande santuario della pace universale, un fantastico strumento per ricordare a tutto il mondo la figura e l’opera del “poverello” e amplificarne il messaggio. Se si vuole percepire la palpitante presenza della semplice spiritualità francescana bisogna andare altrove: a San Damiano, alle Carceri, alla Verna (vedi post dedicato: 10 santuari francescani) ma anche qui, specialmente nella scura Basilica Inferiore, malgrado la continua affluenza di pellegrini e turisti, si possono ancora vivere momenti di vera e intensa emozione.
Difficile stabilire un ordine gerarchico tra le opere d’arte che ornano il Sacro Convento di Assisi. La Basilica Superiore, a una sola ampia navata gotica, è ornata dagli affreschi della scuola di Cimabue (zona superiore) ma soprattutto del celebre ciclo dipinto da Giotto nel 1296 che in 28 affreschi narra, in modo tanto mirabile quanto commovente, la vita di San Francesco. Altri affreschi di Cimabue si trovano nell’abside, dove si trova anche il Tesoro. La Basilica Inferiore, dalle basse volte affrescate in azzurro, è anch’essa a una sola navata, divisa in cinque campate ed è affrescata da Pietro Lorenzetti (transetto sinistro), Simone Martini (prima cappella a sinistra) e dal cosiddetto “Maestro di San Francesco”. Dalla Basilica Inferiore si accede anche alla cripta, dove si trova l’urna in cui è deposto il corpo del Santo. Oltre alle due basiliche si possono visitare un chiostro a due ordini d’arcate, la sala del Capitolo, il refettorio e le stanze abitate da San Giuseppe da Copertino.
Basilica di san Francesco ad Assisi: uno stupendo “scandalo” francescano/Saint Francis basilica, a wonderful Franciscan scandal. La mole inconfondibile del convento di San Francesco domina il paesaggio di Assisi con i suoi archi che sostengono gli edifici conventuali e le sue due chiese sovrapposte, che ne fanno uno dei massimi capolavori dell’arte medievale al mondo.
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Indice
Santa Maria in Castellare a Nocelleto: una scheda
Nota di Andrea De Marchi
Santa Maria in Castellare a Nocelleto: una scheda
di Giulia Spina
La chiesa di Santa Maria in Castellare a Nocelleto, nei pressi di Castelsantangelo sul Nera, è tra i monumenti che hanno mantenuto al loro interno una stratificazione di testimonianze storico-artistiche di diverse epoche, tale da considerare la loro imminente, ma non inevitabile, perdita tra i più ingenti danni al patrimonio culturale del centro Italia a seguito del sisma del 2016. Lo scenario tragico che vi si presenta fin dal 30 ottobre scorso è stato poco tempo fa descritto da Elisabetta Giffi sulle pagine di questo stesso blog, con parole dolorose e commoventi, e l’intento di questa mia scheda si lega alle ultime righe di quel pezzo, dove si auspicava la messa in sicurezza delle strutture. L’intervento del Mibact non può infatti esaurirsi nella rimozione delle opere d’arte mobili (mostre d’altare, sculture lignee, tele sei e settecentesche) specialmente in un edificio come questo, in cui è necessaria una copertura che ripari gli affreschi dalle intemperie, visto che il tetto a capriate è quasi totalmente sfondato (sono precipitati anche i cassettoni del soffitto della cappella maggiore), e un consolidamento delle pitture recuperando i pezzi di intonaco caduti. La peculiarità del complesso di Nocelleto, che ospita pitture murali del Tre e Quattrocento, alle quali si sono soprammesse le modifiche dei secoli seguenti, altari lignei cinquecenteschi intagliati e policromi, si pone come paradigma del paesaggio culturale di questo territorio all’incrocio tra Marche, Umbria, Abruzzo, vale a dire il cuore dell’Appennino, dove convivono produzioni artistiche di tutti i secoli, mai come altrove radicate nei contesti in cui sono nate.
La chiesa, composta da un’unica ampia navata scandita in tre campate da arconi trasversali, è annessa ad un convento costruito all’inizio del XV secolo per i frati minori osservanti, ma che nel 1469 fu concesso ai conventuali (Sensi 1994, p. 108): anche questi ambienti appaiono oggi tragicamente sventrati. L’edificio sacro preesisteva, come indica la presenza su entrambe le pareti della navata principale di affreschi risalenti almeno al XIV secolo, di carattere sia votivo sia narrativo, ancora poco conosciuti. Si sa che il campanile fu aggiunto nel 1362 (Fabbi 1977, p. 272) e negli stessi anni è plausibile che tutta la chiesa sia stata ampliata. Il nucleo di dipinti murali trecenteschi più interessanti si individua a partire dalla parete sinistra, in uno Sposalizio di Santa Caterina e, accanto, un grande Giudizio Universale in gran parte nascosto dietro l’ammorsatura dell’arcone che divide la seconda dalla terza campata, brani che a causa dei movimenti della copertura rischiano di andare perduti. Sopra il secondo altare sulla sinistra è una Predica agli uccelli, mentre sulla parete opposta si trova il frammento di un San Francesco nell’atto di ricevere le stimmate: le due scene francescane fanno pensare che fosse presente l’intero ciclo del santo di Assisi, ma la lacunosità degli affreschi non permette di avanzare ipotesi sulle scene mancanti e sulla lettura complessiva. Peraltro, al di sopra del secondo altare a destra, sono individuabili una Visitazione, una Natività di Gesù e un’Adorazione dei Magi, dunque un ciclo cristologico forse associato a quello francescano su modello delle basiliche assisiati (Delpriori 2015, p. 153). Tutte queste pitture di cultura spoletina sono databili agli anni sessanta del Trecento e attribuibili al Maestro responsabile della decorazione dell’abside della Collegiata di Visso (chiesa che pure è in condizioni quanto mai precarie), forse quel Cecco da Norcia documentato nei pressi del santuario di Macereto nel 1361 (Delpriori 2015, pp. 142). Un ulteriore riquadro doveva essere nella zona mediana della parete sinistra della terza campata, dove rimane solo parte della cornice decorata con un motivo fogliaceo identico a quello del resto del ciclo. Sotto l’Adorazione è poi parte di un Martirio di Santa Caterina e ancora più in basso una frammentaria Madonna col Bambino apparentemente dello stesso pittore. Un’altra raffigurazione mariana totalmente scalcinata e dunque poco leggibile è a sinistra della mostra d’altare, sotto la Natività. In un documento risalente al 1470, il pittore Paolo di Giovanni da Visso, protagonista in Valnerina tra gli anni trenta e gli anni ottanta del XV secolo, risulta impegnato all’interno della chiesa di Santa Maria in Castellare (Sensi 1994, pp. 112-113). Si pensava che la sua presenza fosse legata al polittico del Museo Civico e Diocesano di Visso, che in effetti proviene da questa chiesa, non essendo ravvisabile la sua mano, fino a una decina di anni fa, in nessuna delle pitture murali che emergevano. I lavori di restauro resi necessari dal terremoto del 1997 hanno invece fatto scoprire nuove pitture dietro lo scialbo, permettendo di chiarire il ruolo di supervisore del maestro vissano in una campagna decorativa molto più ampia che vedeva impegnata tutta la sua bottega. L’autografia di Paolo è riconoscibile in alcune delle parti che adesso presentano le maggiori cadute d’intonaco, cioè la parte bassa del grande affresco che era affiorato attorno e dietro all’altare cinquecentesco della seconda campata a destra, i cui frammenti sono ora indistintamente dispersi fra i cumuli di macerie. Le condizioni sono disastrose anche perché proprio in quel punto la copertura è completamente squarciata a causa del crollo del campanile. Al centro di questa parete, all’interno di una nicchia, è un fiorito tabernacolo, un tempo verosimilmente abitato da una Madonna col Bambino (dipinta o scolpita?), sormontato da una complicata architettura flamboyant, da cui sbucano quattro profeti con cartigli. Al centro si staglia un Cristo crocifisso con le ali di serafino che imprime le stimmate al San Francesco che si trova in basso a sinistra, e rimangono tracce anche dei piedi di frate Leone seduto appena più in basso. Simmetrico rispetto al santo di Assisi, sulla destra, è un San Bartolomeo, mentre i pennacchi superiori sono impiegati per la raffigurazione di un’Annunciazione, con Dio Padre che compare dall’angolo sinistro (Delpriori 2014, pp. 92-95, 186). La composizione è racchiusa in una cornice a meandri, ma doveva essere ancora più ampia e complessa, come si evince dai lacerti sulla sinistra. In questa zona, dove è plausibile credere che, allora come adesso, vi fosse il pulpito, tra due elaborate colonne tortili intagliate doveva esservi un San Bernardino in gloria distrutto dal più recente ambone, come suggeriscono i piedi nudi del santo e i panneggi delle vesti dei due angeli. Il santo senese doveva essere sospeso al di sopra delle tre chiese delle città di cui rifiutò il vescovato, Siena, Ferrara e Urbino. Anche questa figura era messa in evidenza da un fastigio ipergotico, ed era inoltre accompagnata, in basso, da un lungo cartiglio contenente un’invocazione a San Bernardino (Cordella 2005). La presenza di questa e altre raffigurazioni di San Bernardino nella stessa chiesa (uno di modesta qualità è sul pilastro sinistro della prima campata, un altro ancora nell’intradosso della nicchia che tra poco si descriverà) si lega probabilmente alla fondazione di una confraternita bernardiniana fondata in loco (Cordella 2005). [/sixcol_four] [sixcol_one_last][/sixcol_one_last]
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[sixcol_one][/sixcol_one] [sixcol_four] Tornando alla grande inscenatura della parete destra, tutta la parte bassa, ovvero il San Francesco e il San Bartolomeo, insieme ai Santi, al Cristo e alla Vergine entro medaglioni nello sguancio della nicchia centrale, mostrano una tornitura luminosa nei volti e una finezza di dettagli tale da collegarli direttamente a Paolo da Visso. Tutta la parte superiore e le quattro schiere di angeli adoranti ai lati delle nicchie vanno invece più prudentemente riferite ad un aiutante di Paolo, forse identificabile con Benedetto di Marco, che compare al suo fianco nei documenti del 1470. È lo stesso pittore del trittico, ormai ridotto in frantumi, della chiesa di San Vittorino a Nocria, presso Castelsantangelo, quasi completamente crollata, e dunque anche l’autore della decorazione della nicchia del primo altare a sinistra nella chiesa di Nocelleto, che si sovrappone a sua volta ad altri brani più antichi, una Madonna col Bambino e una Santa Caterina d’Alessandria entro edicole, e una Santa Margherita, tutte purtroppo pesantemente ridipinte, e un grande San Cristoforo trecentesco. La nicchia contiene una raffigurazione di chiaro intento taumaturgo, voluta da “Johannes Nofrii” nel 1487, un San Rocco sovrastato da un Cristo risorto a mezzobusto che ostenta le ferite e circondato da angeli che riparano dalle saette i devoti inginocchiati. Nell’intradosso sono un San Francesco, una Madonna col Bambino e un Signum Christi bernardiniano. Sempre a Benedetto di Marco si potrebbe collegare l’affresco della sagrestia, un piccolo San Francesco in preghiera accanto ad un avello dal quale doveva uscire un Cristo risorto a mezzobusto (distrutto dall’apertura di una finestra, rimane ormai solo il perizoma) circondato dagli strumenti della Passione. La raffigurazione, racchiusa in due fasce di girali che riprendono le decorazioni salimbeniane e due colonne tortili identiche a quelle descritte nel primo altare a destra della chiesa, riporta una data forse interpretabile come 1477 o 1478 (Paino-Paraventi 2003, Cordella 2005).
Si segnala inoltre un Sant’Amico di Rambona sulla parete sinistra della seconda campata, purtroppo acefalo ma riconoscibile per l’abito da converso cistercense, il lupo tenuto al guinzaglio e un frammentario titulus in basso accompagnato dalla data 1470, anche se non sembra di poterlo collegare alla mano del pittore vissano. Si direbbe invece autografo di Paolo il San Francesco stimmatizzato su un fondale atmosferico, purtroppo dimezzato per la caduta dell’intonaco, sul lato sinistro dell’arco trionfale (Delpriori 2014, p. 186).
A qualche altro pittore vicino a Paolo (Matteo Mazzalupi mi suggerisce che possa trattarsi del giovane Paolo Bontulli da Percanestro) sarà da restituire anche la decorazione del fronte della cappella che si apre sul lato sinistro della prima campata. In alto è una Stimmatizzazione di San Francesco, al di sotto un’Annunciazione e sui piedritti un San Sebastiano e un Sant’Antonio Abate, tutti attualmente percorsi da profonde fenditure. Come si intuisce dal profilo originale dell’affresco, la prima campata poteva essere in origine un portico in facciata successivamente inglobato nella chiesa.
Ricordiamo inoltre che, oltre al polittico a due registri di Paolo da Visso, proviene da Santa Maria in Castellare anche la Croce attualmente depositata a Urbino, attribuita a un altro degli aiutanti di Paolo tra quelli che risultano presenti a Nocelleto, Tommaso di Pietro da Corbo (Delpriori 2014, p. 186), lo stesso autore degli affreschi del ciborio, ormai rovinosamente distrutto, della chiesa di San Martino a Castelsantangelo.
La ricchezza dei palinsesti della chiesa di Nocelleto rende evidente che essa non merita l’incuria e l’abbandono di cui purtroppo troppi monumenti della Valnerina sono protagonisti in questi mesi. C’è ancora bisogno di tornare tra quelle pareti, studiare di nuovo gli affreschi trecenteschi di scuola spoletina, le diverse presenze della bottega di Paolo da Visso e gli altri brani di cui la chiesa è cosparsa, tentare di ricomporre il legame tra opere e spazi liturgici, oltre che – perché no – scoprire nuove testimonianze dietro gli scialbi, come era accaduto solo una decina di anni fa, e restituire dunque alla comunità un pezzo della sua identità.
Bibliografia essenziale:
A. Delpriori, La scuola di Spoleto. Immagini dipinte e scolpite nel Trecento tra Valle Umbra e Valnerina, Perugia 2015, pp. 142-143.
A. Delpriori, La croce dipinta nella pittura marchigiana del Quattrocento, in Croci dipinte nelle Marche. Capolavori di arte e spiritualità dal XIII al XVII secolo, a cura di M. Giannatiempo López e G. Venturi, Ancona 2014, pp. 87-96; Idem, pp. 186-187.
R. Cordella, Una novità iconografica in Santa Maria di Castellare a Nocelleto, in “L’Appennino camerte”, LXXXV, 39, 15 ottobre 2005, p. 15.
F. Paino, M. Paraventi, Uno studio sugli affreschi della chiesa di Santa Maria di Nocelleto, in “L’Appennino camerte”, LXXXIII, 33, 23 agosto 2003, p. 12.
A. Paoloni, Architettura religiosa medievale. Chiese e monasteri nell’Alto Maceratese, Camerino – Pievetorina 1995, pp. 51-52.
M. Sensi, Paolo di Giovanni e Benedetto di Marco da Visso “pittori a S. Maria del Castellare” dei Frati minori conventuali (Castelsantangelo di Visso), in “Bollettino storico della città di Foligno”, 17, 1993 (1994), pp. 103-118.
A. Venanzangeli, L’alto Nera: Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, Roma 1988, pp. 441-443.
A. Fabbi, Visso e le sue valli, Spoleto 1977, pp. 164, 271-274.
Nota di Andrea De Marchi
Non sono mai stato in Santa Maria in Castellare a Nocelleto, purtroppo. Conosco abbastanza bene il territorio devastato dall’ultimo sisma, ma non ero riuscito a visitare questa chiesa. Ho ancora speranza di poterlo fare un giorno, se insorgeranno volontà determinate a salvarla, se non verrà consegnata all’irreversibile distruzione. Chi la conosce mi racconta di un posto di rara bellezza, che accresce l’intensità, genuina e quasi selvatica, delle testimonianze figurative che vi erano contenute, fra affreschi tre-quattrocenteschi e coloratissime mostre d’altare di età controriformata. Dopo il sisma del 1997 era stata oggetto di un intervento metodico di restauro, che aveva portato alla luce un patchwork affascinante di affreschi ancora poco noti e poco studiati. Nelle foto che si presentano appare come un recupero davvero esemplare, un gioiellino. Ora il tetto è crollato, parte degli intonaci sono lesionati, gli intagli sono stati tratti in salvo. Sono immagini strazianti, che quasi urlano, implorano una mano pietosa che si ricordi di questi affreschi, che non li lasci morire. Sono immagini che ci interrogano dolorosamente, tanto più ora che abbiamo appreso dello stanziamento di 14 milioni di euro, concordato con la CEI, per interventi in chiese parzialmente danneggiate, in luoghi remoti dall’epicentro del sisma, fuori da ogni programmazione delle priorità storico-artistiche e da ogni valutazione delle Soprintendenze, mentre per questi edifici crollanti e bellissimi, nel cuore del cratere devastato e ora spopolato, non si fa nulla.
Paolo da Visso, delicato interprete di un linguaggio ibrido tra nostalgie gotiche e aperture rinascimentali, fu qui nel 1470, data che si leggeva ancora ai piedi di un Sant’Amico mutilo, ma intenso ed autografo, come un bellissimo San Bartolomeo. In quel frangente forse realizzò anche il polittico per l’altare principale, una delle sue opere più belle, ritirato al museo civico e diocesano di Visso (ora non so dove). Intorno lampeggiavano affreschi di varia mano e di varia epoca, molti della bottega di Paolo. Tra essi, sul primo altare a destra, un insieme sorprendente, confuso con la festa di colori e di oro di una sovrapposta mostra lignea di età controriformata. Schiere di angeli si chinavano compunti, uno sopra l’altro, come in una Maestà duecentesca, a lati di una nicchia, evidenziata da un finto ciborio dipinto, che custodiva una statua della Madonna. Come in un gioco di scatole cinesi, ciò era racchiuso da una seconda nicchia, di nuovo dipinta con angeli in gesti alternati, a mani giunte o a braccia conserte, di nuovo uno sopra l’altro, sormontati da una babelica architettura traforata, che racchiudeva ed esaltava il Cristo-serafino, apparso a San Francesco. Questo era dipinto all’esterno, sul lato sinistro, nel gesto di accogliere le Stimmate, in pendant con San Bartolomeo. Sopra ancora, idealmente al di là di questo fastigio ancora tardogotico, si affacciava nei pennacchi un’Annunciazione. Artificio e devozione vi si intrecciavano. Altre epoche avevano riletto diversamente quell’edicola mariana, sovrapponendoci una mostra lignea e un altare, ma il nostro occhio poteva discriminare e ricomporre, ragionare e apprezzare. [/sixcol_four] [sixcol_one_last][/sixcol_one_last]
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[sixcol_one][/sixcol_one] [sixcol_four] Sono stratificazioni che da sole raccontano il senso del tempo, la sedimentazione di culture diverse, la ricchezza e la vitalità della nostra storia. Ricomporre i tasselli frammentari è un esercizio di comprensione critica e storica su cui andrebbero educati i giovani. Al tempo stesso da esso sprigiona un apprezzamento estetico del tutto particolare, che si nutre dell’esprit du lieu e che trascende il valore assoluto di ogni componente nel valore superiore dell’insieme, del suo radicamento in quel preciso luogo, nella sua storia secolare, fatta di gioie e di dolori, di slanci e di conflitti. Con tutte le ambivalenze che contraddistinguono ogni epoca: anche, dolorosamente, la nostra. [/sixcol_four][sixcol_one_last][/sixcol_one_last]
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Santa Maria in Castellare a Nocelleto: al lavoro! | (con una nota di Andrea De Marchi) Indice Santa Maria in Castellare a Nocelleto: una scheda Nota di Andrea De Marchi Santa Maria in Castellare a Nocelleto: una scheda…
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