#Basilica di san Francesco scandalo
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cesarecitypilgrim · 5 years ago
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La mole inconfondibile del convento di San Francesco domina il paesaggio di Assisi con i suoi archi che sostengono gli edifici conventuali e le sue due chiese sovrapposte, che ne fanno uno dei massimi capolavori dell’arte medievale al mondo. Eppure questo convento, eretto nel 1248 e oggi tra i più visitati della cristianità, fu considerato per molti anni un vero e proprio scandalo da quella minoranza di frati che riteneva di seguire l’autentico messaggio francescano.
 “I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia” (dalla Regola Bullata di san Francesco di Assisi)
Considero Assisi, e non penso di essere il solo, la più spirituale delle città italiane, capace di conservare, malgrado il vertiginoso aumento di visitatori, il ricordo e la presenza del suo figlio più illustre. E tra tutti i monumenti di Assisi il più notevole, mirabile, indimenticabile è proprio il Sacro Convento, la cui mole annuncia già da lontano la presenza della città francescana. Molti preferiscono a questo luogo altri santuari francescani di Assisi (le Carceri o san Damiano) ma non c’è dubbio che questo sia “il ” Santuario francescano per eccellenza, oltre che uno straordinario contenitore di capolavori artistici. Ma proprio questa grandezza, questa bellezza che noi tutti riconosciamo furono alle origini del movimento francescano oggetto di un fiero dibattito tra le due anime da sempre presenti tra i seguaci di Francesco: quella più pauperistica e spirituale, che voleva i frati ancorati allo stile di vita estremo praticato dal fondatore, e quella più “moderna” che sosteneva che per poter sopravvivere il movimento avesse bisogno di darsi delle regole, delle strutture e persino dei conventi più strutturati. Questo dibattito è durato per secoli, portando nel 1517 alla scissione dell’ordine francescano i due famiglie: i Conventuali e gli Osservanti, poi divenuti gli attuali frati Minori. I primi, che vestono di nero, sono ancora  i custodi di questo grande santuario, come pure di gran parte delle grandi chiese cittadine dedicate a san Francesco e di altri santuari di grande importanza come quello di Padova. I Minori, invece, che vestono il tradizionale saio marrone, sono da sempre più portati a un’attività missionaria, a una predicazione “sociale” e alla costituzione di comunità più piccole ma con diffusione più capillare.  Della terza grande famiglia francescana, nata da un’ulteriore scissione di carattere pauperistico, ho già parlato in un post precedente a cui rimando chi non lo avesse letto. (cappuccini).
Tornando ad Assisi, è difficile infatti immaginare Francesco, l’umile e “folle” Francesco, a suo agio in un luogo come questo, dove ogni pietra, ogni affresco, ogni angolo esprime maestà, rispetto, emozione. Ma non si poteva fare altrimenti; i suoi seguaci, e in particolare il suo successore designato frate Elia, che ne volle fortemente l’edificazione, non potevano pensare di celebrare la gloria del proprio maestro con effimere capanne di paglia e fango o grotte umide e fredde, come sarebbe sicuramente piaciuto a Francesco. Lo stesso valeva per i cittadini di Assisi, che lo avevano deriso e tollerato quando era in vita, ma che grazie a lui sarebbero stati conosciuti in tutto il mondo. Elia da Cortona resse a due riprese l’Ordine francescano, una prima volta ancora vivente Francesco, poi dal 1232 al 1239. Fu un generalato controverso il suo: per alcuni storici fu infatti il sapiente organizzatore della comunità; secondo altri, e in particolare per tutta la storiografia di ispirazione “spirituale”, fu invece un frate energico e assolutista, l’autentico responsabile della perdita della purezza originaria dell’ordine. Fu lui il “colpevole” della costruzione della grande basilica-convento di Assisi e l’artefice di un governo simile a quello di un abate benedettino. In realtà Elia era stato scelto da Francesco tra i primi compagni proprio in virtù delle sue capacità organizzative e, anche nella costruzione del Sacro Convento, agì con il pieno appoggio di tutti i compagni. Elia non era Francesco, ma proprio l’inimitabilità del fondatore e il suo individualismo rendevano necessaria nella vita dell’ordine la presenza di una figura di inflessibile e abile organizzatore. Ci si potrebbe chiedere se il movimento francescano sarebbe sopravvissuto al tempo senza la sua rigida e razionale strutturazione, oppure se non si sarebbe invece dissolto, al pari di tanti altri movimenti pauperistici dell’epoca. Con Elia  crebbero di importanza i conventi di studio e l’ordine assunse un tono sempre più dotto e clericale, inserendosi in modo potente nella vita della Chiesa.
  Se lo esaminiamo quindi da un punto di vista strettamente francescano, questo convento è più che altro una grande contraddizione; se lo vediamo invece in una luce un poco più aggiornata, il complesso di Assisi è un grande santuario della pace universale, un fantastico strumento per ricordare a tutto il mondo la figura e l’opera del “poverello” e amplificarne il messaggio. Se si vuole percepire la palpitante presenza della semplice spiritualità francescana bisogna andare altrove: a San Damiano, alle Carceri, alla Verna (vedi post dedicato: 10 santuari francescani) ma anche qui, specialmente nella scura Basilica Inferiore, malgrado la continua affluenza di pellegrini e turisti, si possono ancora vivere momenti di vera e intensa emozione.
Difficile stabilire un ordine gerarchico tra le opere d’arte che ornano il Sacro Convento di Assisi. La Basilica Superiore, a una sola ampia navata gotica, è ornata dagli affreschi della scuola di Cimabue (zona superiore) ma soprattutto del celebre ciclo dipinto da Giotto nel 1296 che in 28 affreschi narra, in modo tanto mirabile quanto commovente, la vita di San Francesco. Altri affreschi di Cimabue si trovano nell’abside, dove si trova anche il Tesoro. La Basilica Inferiore, dalle basse volte affrescate in azzurro, è anch’essa a una sola navata, divisa in cinque campate ed è affrescata da Pietro Lorenzetti (transetto sinistro), Simone Martini (prima cappella a sinistra) e dal cosiddetto “Maestro di San Francesco”. Dalla Basilica Inferiore si accede anche alla cripta, dove si trova l’urna in cui è deposto il corpo del Santo. Oltre alle due basiliche si possono visitare un chiostro a due ordini d’arcate, la sala del Capitolo, il refettorio e le stanze abitate da San Giuseppe da Copertino.
Basilica di san Francesco ad Assisi: uno stupendo “scandalo” francescano/Saint Francis basilica, a wonderful Franciscan scandal. La mole inconfondibile del convento di San Francesco domina il paesaggio di Assisi con i suoi archi che sostengono gli edifici conventuali e le sue due chiese sovrapposte, che ne fanno uno dei massimi capolavori dell’arte medievale al mondo.
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cristianesimocattolico · 6 years ago
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Il sacro non abita più qui, i fedeli rivogliono le chiese
Il caso della festa di Halloween nella chiesa di San Gennaro a Napoli è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno drammatico, quello delle chiese chiuse al culto e affidate a fondazioni per spettacoli e mostre. A Napoli sono oltre 200 le chiese che non vengono più utilizzate per la messa, ma depredate e sfruttate a scopo di lucro tanto da rasentare la simonia. Un comitato di fedeli chiede da tempo al vescovo di invertire la rotta, invano. Intanto il catalogo segnala chiese utilizzate come garage, pizzerie, sale da ricevimento e persino palestre. Il viaggio della Nuova BQ nel capoluogo campano.
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di Andrea Zambrano (17-11-2018)
Il clou ci fu nel 2014 con il concerto rock di Patti Smith in San Giovanni Maggiore. Anche allora si sollevarono proteste, ma non accadde nulla. Da quel giorno fu un continuo. Si proseguì con le profanazioni in molte altre chiese fino ad avere non solo concerti o mostre, ma persino banchetti con tanto di catering e tavole imbandite. Il caso della festa di Halloween di San Gennaro all’Olmo ha portato alla ribalta uno scandalo a cielo aperto: quello delle chiese che non vengono più utilizzate per il culto, ma destinate via via a usi profani.
E’ un fenomeno drammatico che la Nuova BQ ha denunciato abbondantemente in Italia e in Europa con la campagna #Salviamolechiese, ma che a Napoli, teatro del sacrilegio di San Gennaro all’Olmo, tocca vette impensabili. Il party di San Gennaro, che è costato alla Fondazione Vico la convenzione in atto con la curia di Napoli, è solo la punta dell’iceberg. Nel capoluogo partenopeo sono oltre 200 le chiese “dismesse” e molte di queste sono affidate a fondazioni o associazioni che hanno il compito di tenerle vive. Come? Con attività profane, dato che l’interesse della diocesi di Napoli non è tanto quello della promozione del culto cristiano, ma dell’attività culturale nella speranza che si possa incamerare dall’affitto o dal Comodato quelle finanze necessarie a sostenere gli immensi costi di cui ogni chiesa abbisogna.
Ma quella dell’affitto non è altro che una scusa verso una protestantizzazione dei luoghi di culto che sembra inarrestabile tanto che in molte chiese non fa scandalo che possano coabitare serenamente le attività di culto (la messa) e altre iniziative di tipo culturale. Questo perché ormai la chiesa ha perso la sua dimensione trascendentale e metafisica che la rende nella sostanza diversa da qualunque altro contenitore aggregativo.
Un luogo sacro resta sacro anche se perde temporaneamente la sua attività di culto. E sacro non si sposa molto bene con profano. Lo sanno bene anche quei fedeli che hanno fondato alcuni anni fa il comitato Portosalvo che, a fronte dello sfacelo napoletano, hanno deciso di combattere per invertire la rotta.
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lI comitato nasce come “Comitato per la salvaguardia e la tutela del patrimonio storico, artistico, architettonico, culturale, antropologico e sociologico della Chiesa di S. Maria di Porto Salvo e delle altre chiese consacrate, ma non valorizzate o addirittura chiuse al pubblico in Napoli”. Il suo portavoce, Antonio Pariante di chiese ne ha contate circa 200 e dopo i fatti di San Gennaro è tornato alla carica nel denunciare e nel chiedere alla curia di Napoli di rispettare le chiese per quello che sono: luoghi di culto e non contenitori di spettacoli e mostre.
“I recenti fatti di cronaca, relativi alla profanazione di una chiesa napoletana in comodato d'uso, hanno riportato in primo piano la singolare situazione in cui versano i numerosi edifici del culto dismessi nel capoluogo partenopeo – spiega Pariante alla Nuova BQ -. Ma oltre alla antica chiesa di San Gennaro all'Olmo, dissacrata da un indicibile e blasfema manifestazione a sfondo satanico, altrettante chiese, affidate dalla Curia ad associazioni ed enti vari, lamentano molto sfruttamento e scarsissimi benefici”.
Il catalogo di Portosalvo è sconfortante: la prestigiosa Basilica di San Giovanni Maggiore ad esempio già da tempo organizza eventi, spettacoli e convegni per il mantenimento della chiesa stessa. Gli incassi? “Notevoli per l’associazione che la gestisce, ma scarsi ai fini del mantenimento della chiesa”.
E’ una situazione comune a molte altre chiese come ad esempio San Francesco delle Monache, Santa Caterina a Formiello e lo Spirito Santo: “Si tratta di chiese che, seppure in affidamento, non beneficiano delle necessarie risorse economiche previste da queste speciali convenzioni per la loro cura e manutenzione. Questo fenomeno assai diffuso comporta quindi la degenerazione degli edifici sacri fino a ridurli alla funzione di semplici contenitori per eventi e manifestazioni lucrose che offendono e rinnegano la sacralità dei luoghi senza nessun pudore”.
Il comitato Portosalvo ha chiesto all’Arcivescovo Sepe interventi sulla necessità di una seria verifica degli affidamenti per il rigoroso rispetto e la corretta applicazione delle disposizioni curiali in materia di comodato d'uso”. Ma i risultati ancora tardano ad arrivare: nessuna risposta dalla curia napoletana. Si procede a vista, salvo poi scandalizzarsi con grande ipocrisia non appena si scopre di spettacoli di Halloween in chiesa. E in questo caso, di fronte ai giornali che strepitano, si fa la voce grossa. Ma per la quotidianità si sceglie il basso profilo, che conviene a tutti, come dimostra la pizzata per i poveri in cattedrale con addirittura nelle vesti di cameriere il cardinale arcivescovo in persona.
“Da tempo immemore molte chiese ed ex chiese di Napoli hanno cambiato la loro destinazione d'uso in maniera assai bizzarra suscitando spesso sbalordimento e disappunto. Le trasformazioni più imbarazzanti sono avvenute in passato con chiese trasformate in palestre, officine, autorimesse, negozi, depositi, ristoranti e pizzerie. Oggi, con la scusa dei restauri e delle riaperture, sono invece ridotte a tazebao pubblicitari, location per eventi mondani e a palcoscenici musicali per concerti rock con tanto di profitto economico”, ha insistito Pariante.
Dimenticate, sfregiate, vandalizzate e soprattutto non riutilizzate, a Napoli le 200 chiese abbandonate si scoprono depredate anche degli ultimi arredi sacri che ancora si trovano dentro questi edifici del culto dismessi.
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Visto quel che accade a questo punto però converrebbe chiedersi se la strategia messa in campo dalla curia sia giusta: il tentativo di riattivarle con un apposito Bando che le proponeva in comodato d’uso ai giovani e alle associazioni culturali quali risultati ha dato? Posto che, visti i prezzi d’affitto, le chiese sono state affidate solo a pochi privilegiati e vengono utilizzate per discutibili attività culturali ai limiti del lucro che addirittura contrastano con la sacralità dei luoghi, forse è arrivato il momento di ridiscutere il tutto e far cessare questo scandalo a cielo aperto che rasenta la simonia.
Il problema delle chiese chiuse al culto dimostra tutta la sua povertà di interventi: riattivarle con attività profane porta comunque a sacrilegi. L’unica strada è quella di riaprile al culto e farle risplendere per quello che sono. Ma i chiari di luna che arrivano anche dal Vaticano non lasciano ben sperare come dimostra il prossimo convegno organizzato dal Pontificio convegno della cultura dove si parlerà proprio di chiese di dismesse. Ma di riapertura al culto non se ne parlerà di certo.
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frontiera-rieti · 7 years ago
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È giunta in città nella serata di lunedi 19 marzo la Fiaccola Benedettina “Pro Pace et Europa Una”. Simbolo di un percorso che unisce il centro Italia al cuore dell’Europa, si è ovviamente arricchita, da qualche tempo, di una luce di speranza per le terre ferite dal terremoto. In questo, ha spiegato con semplicità il sindaco Antonio Cicchetti accogliendo la delegazione giunta in piazza Beata Colomba, quelle di Norcia e Rieti sono terre vicine, sorelle.
Accesa lo scorso 24 febbraio vicino alle macerie della Basilica di Norcia, la Fiaccola Benedettina era giunta a Roma, in piazza San Pietro, per l’udienza generale del 7 marzo, in occasione della quale era stata benedetta da Papa Francesco.
Poi – ha ricordato a Rieti il vicesindaco di Norcia, Pierluigi Altavilla – la Fiaccola ha raggiunto la Germania, per essere ricevuta, con le delegazioni dei Comuni di Norcia, Subiaco e Cassino, guidate dai rispettivi sindaci, al Bundestag dal presidente del Parlamento tedesco Wolfgang Schäuble. Per l’occasione, il sindaco di Norcia ha donato al presidente tedesco un’edizione “unica” della Regola di san Benedetto. Un documento che «assieme all’opera dei monaci, costituisce un fondamento importante dell’identità, della storia e della cultura europee». Da parte sua, il presidente Schäuble ha ricordato l’importanza della pace, «non scontata», e come la luce di Benedetto sia il segno visibile di questo messaggio da tramandare soprattutto ai giovani europei.
Un discorso che ha trovato d’accordo tanto il piccolo comitato reatino di accoglienza, guidato dal punto di vista religioso da don Valerio Shango, quanto i tedofori e i loro accompagnatori. A dare il benvenuto alla Fiaccola c’era anche la Banda Musicale di Monte San Giovanni, mentre la messa celebrata nella cappella delle Clarisse Apostoliche di Santa Lucia da don Valerio è stata animata dal Coro “Valle Santa”.
La celebrazione ha offerto al sacerdote l’occasione di intrecciare la figura di san Benedetto con quella di san Giuseppe, custode della Santa Famiglia. «Era profugo», ha ricordato il sacerdote, invitando a cogliere nei valori dell’Europa fondata da Benedetto la necessità dell’accoglienza e della giustizia, senza nascondere lo scandalo dello sfruttamento indiscriminato delle risorse nei luoghi di origine di tanti disperati costretti ad attraversare il Mediterraneo alla ricerca di un futuro di pace. Al termine della messa, le suore di Santa Lucia hanno invitato i presenti a un piacevole rinfresco.
A Rieti la fiaccola “Pro Pace et Europa Una” ---------------------- È giunta in città nella serata di lunedi 19 marzo la Fiaccola Benedettina “Pro Pace et Europa Una”. Simbolo di un percorso che unisce il centro Italia al cuore dell’Europa, si è ovviamente arricchita, da qualche tempo, di una luce di speranza per le terre ferite dal terremoto. È giunta in città nella serata di lunedi 19 marzo la Fiaccola Benedettina “Pro Pace et Europa Una”.
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