#come emergere dalla concorrenza
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Emergere dalla concorrenza è essenziale per attrarre più clienti, crescere nel mercato e differenziarsi. Spesso, i clienti cercano qualcosa di unico, una caratteristica distintiva che fa la differenza rispetto agli altri. Riuscire a rispondere a questa esigenza ti consente di:
Aumentare la visibilità - Quando ti distingui, diventi più riconoscibile. La gente ricorda meglio chi si distingue dagli altri e spesso tende a scegliere brand che sembrano “un passo avanti.”
Creare valore aggiunto - Essere diverso vuol dire anche poter offrire un’esperienza o un prodotto speciale. Questo è un valore che non sempre è legato al prezzo, ma alla percezione della qualità e della soddisfazione.
Costruire fedeltà - Quando il tuo brand offre un’esperienza distintiva e si lega emotivamente ai clienti, questi tornano più volentieri e diventano persino ambasciatori del tuo marchio.
Spiazzare la concorrenza - Uscendo dai soliti schemi e puntando su ciò che ti rende unico, costringi anche i concorrenti ad adattarsi. A quel punto, diventi tu il punto di riferimento da seguire.
L’essenziale è riuscire a individuare il tratto che più ti caratterizza e farne il tuo punto di forza.
Emergere dalla concorrenza è fondamentale per qualsiasi attività commerciale che voglia crescere e avere successo. Distinguersi non solo permette di attrarre più clienti, ma crea anche una percezione di valore unico e di fiducia, rendendo la tua azienda una scelta preferita rispetto ai concorrenti.
Ecco alcuni modi per emergere dalla concorrenza e aumentare gli affari:
1. Proposta di Valore Unica (UVP)
Definisci chiaramente ciò che rende il tuo prodotto o servizio unico. Che sia la qualità, il prezzo, l'innovazione o un servizio clienti eccezionale, devi comunicare questo valore in modo efficace.
2. Strategie di Marketing Personalizzate
Utilizza campagne di marketing mirate che parlano direttamente ai bisogni e ai desideri del tuo target di mercato. Segmentare il pubblico e utilizzare messaggi personalizzati può fare la differenza.
3. Servizio Clienti Eccellente
Un servizio clienti di alto livello non solo fidelizza i clienti esistenti, ma li trasforma in ambasciatori del tuo marchio. Il passaparola positivo può essere un potente strumento per emergere dalla concorrenza.
4. Innovazione e Adattabilità
Essere sempre pronti a innovare e adattarsi ai cambiamenti del mercato è cruciale. Integra nuove tecnologie o approcci che ti permettono di stare al passo con le tendenze e di superare i concorrenti.
5. Costruzione del Brand
Investi nella creazione di un marchio forte e riconoscibile. Un brand con una storia chiara e valori condivisi attira più facilmente l'attenzione e la fiducia dei consumatori.
6. Feedback e Miglioramento Continuo
Ascolta i tuoi clienti e cerca sempre di migliorare. Analizzare il feedback ti permette di correggere le lacune e di affinare i tuoi prodotti o servizi.
7. Partnership Strategiche
Collaborare con altre aziende o influencer del settore può aiutarti ad accedere a nuovi mercati e a ottenere maggiore visibilità.
Mettendo in atto queste strategie, puoi non solo distinguerti dalla concorrenza, ma anche garantire una crescita sostenibile e un vantaggio competitivo nel lungo termine.
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House of the Dragon 2, Episodio 2 Rhaenyra The Cruel: Inchiostro e Sangue
Dopo lo sconvolgente finale della season premiere, la stagione 2 di House of the Dragon entra nel vivo e tutti i personaggi devono affrontare le conseguenze di quanto accaduto.
"Un figlio per un figlio": questo era il titolo del primo episodio della (attesissima) seconda stagione di House of the Dragon, lo spin-off de Il Trono di Spade tratto dal romanzo Fuoco e sangue di George R.R. Martin. Un titolo che non lasciava presagire nulla di buono e, dato che ci troviamo pur sempre nel mondo delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, non poteva che essere così.
L'elaborazione del lutto
Rhaenyra è il cuore e l'anima di questo episodio
Forse è uno stratagemma degli autori, Ryan Condal in primis, per farci vedere l'approccio delle due fazioni in gioco per la corsa al Trono di Spade dopo la morte di Re Viserys. Ma resta il fatto che le reazioni dei Verdi e dei Neri a quanto gli è similmente accaduto tra il finale del ciclo inaugurale e l'inizio di questo secondo, sono molto diverse. Se Rhaenyra dopo la morte di Luke prova a tutti i costi a cercare la pace, prima di andare ufficialmente in guerra con il resto della famiglia, il primo istinto di Aegon II (Tom Glynn-Carney) è vendicare la morte del figlio con fuoco e sangue, nonostante il Concilio Ristretto gli consigli di andarci cauto, verificando i propri alleati tra le varie Case ed essendo sicuro di poter battere la concorrenza nel caso attaccassero: "I want to spill blood, not ink" ("Voglio versare sangue, non inchiostro") dice il giovane Re Usurpatore, confermando il proprio temperamento folle e la propria poca lungimiranza.
Non solo: il Concilio pensa ad un carro funebre in cui esporre il piccolo cadavere per ottenere compassione da parte del popolo. Helaena (Phia Saban) non è d'accordo ma aderisce suo malgrado, convinta dalla madre. La giovane vorrebbe che il dolore fosse solo suo e non di tutti, e qui si instaura un parallelismo con i personaggi pubblici, proprio come le famiglie reali moderne e contemporanee: nulla può essere vissuto in privato ma deve diventare "oggetto di tutti". Ognuno dei personaggi reagisce quindi in modo estremamente diverso nella propria elaborazione del lutto.
Verso la Danza dei Draghi
Alicent convince i figli a partecipare al carro funebre
La proverbiale guerra civile dei Targaryen si fa sempre più vicina non solo perché una morte sta rapidamente succedendo ad un'altra. Ma anche perché vi sono sempre più attriti anche all'interno delle due fazioni nella lotta per la successione al trono. Appena Rhaenyra (Emma D'Arcy) viene a sapere quanto accaduto, infatti, si infuria con Daemon (Matt Smith) e col suo agire impulsivamente che ritorna prepotentemente. La sceneggiatrice Sara Hess aveva promesso che si sarebbe esplorato meglio il rapporto tra zio e nipote: uno dei confronti fondamentali e più appassionanti di questa stagione avviene proprio in questa puntata e fa emergere come, nonostante non lo voglia per sé, allo stesso tempo è come se Daemon non desideri nemmeno che il Trono vada alla moglie, poiché avrebbe voluto che il fratello gliel'avesse almeno proposto. Sono passati molti anni ma è come se lui fosse rimasto lì, sospeso nel tempo. Questo elemento serve a gettare le basi per la nuova storyline del personaggio.
Senso di colpa
Ewan Mitchell è uno straordinario Aemond
L'emozione cardine dell'episodio, che si intitola Rhaenyra la Crudele, è il senso di colpa. Da una parte quello di Alicent (Olivia Cooke) e Ser Criston (Fabien Frankel) per essere stati impegnati nella loro relazione segreta, lasciando scoperta la Guardia del Palazzo di Approdo del Re e permettendo ai ratti di Daemon di entrare indisturbati ed uccidere il piccolo erede. Mentre la prima cerca di limitare i danni, il secondo continua a dimostrare il proprio voltagabbana mandando in missione qualcun altro per rimediare ai propri errori. Questo porterà ad uno scontro epico e poetico che ancora una volta mostrerà quanto entrambe le famiglie siano sguarnite verso le incursioni esterne, ricordandoci quanto la saga di Martin sia tutta incentrata sugli intrighi di palazzo e su quello che accade in quegli antichissimi corridoi del potere. Dall'altra il senso di colpa di Rhaenyra per aver lasciato che tutto accadesse sotto i propri occhi, preda del proprio lutto, sentendosi chiamare dal popolo "child killer". Ed ecco che arriva la conferma: i buoni e i cattivi sono ancora meno delineati, chiunque è capace di azioni indegne per il proprio tornaconto o per il bene della propria famiglia. Parallelamente c'è il sentimento della vendetta, che acceca molti dei protagonisti facendo perdere loro la bussola morale, se mai ne avessero avuta una.
Tutto in un bordello
Gli Hightower sopravvivono ad ogni costo
I bordelli sappiamo quanto siano ricorrenti e rivelatori nel mondo di Game of Thrones. House of the Dragon mantiene la tradizione e ne conferma l'importanza attraverso una scena dedicata a Aemond (Ewan Mitchell), in cui non solo l'attore regala una grande performance ma in cui scopriamo anche di più sul suo carattere sadico e vendicativo e sul suo complesso rapporto materno - è interessante notare come sia lui che il fratello abbiano una relazione quasi assente con Alicent. Per non parlare di Otto (Rhys Ifans), talmente impegnato nei propri giochi di potere da passare tranquillamente da un nipote all'altro, pur di ottenere qualcosa per sé: il suo riuscire a cavarsela sempre in qualsiasi situazione, e reinventarsi continuamente, non può che ricordarci Ditocorto. Un figlio per un figlio, certo. Ma anche una colpa per una vendetta, dando ufficialmente il via ad un pericoloso ciclo di morte che sarà davvero complicato provare a fermare.
Conclusioni
Il secondo episodio della seconda stagione di House of the Dragon si conferma un importante tassello che porterà alla cosiddetta Danza dei Draghi. Si parla di elaborazione del lutto, gestita in modo molto diverso dai vari Targaryen coinvolti, ma allo stesso tempo indice di una cattiveria sovrumana, e di senso di colpa che troppo spesso fa rima con vendetta. Parallelamente vengono approfonditi i personaggi di Aemond e di Otto, tra i più calcolatori di tutta Westeros, due “sopravvissuti” che non guardano in faccia a nessuno. Sangue e inchiostro sono le due anime di questa puntata, solo apparentemente statica ma in realtà ricca di suspense e colpi di scena che preparano il terreno per ciò che verrà.
👍🏻
Rhaenyra.
Il senso di colpa e la vendetta come motori dell’episodio.
L’istinto di sopravvivenza di Otto.
👎🏻
Alcune sequenze potrebbero sembrare inutili e riempitive.
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Mi chiamo Ida e ho compiuto 48 anni il primo di aprile, giuro che non è uno scherzo! 😛
“Ieri” ero una giovane donna ambiziosa, ho abbracciato tante attività lavorative … dalla contabile, receptionist, segretaria … ero una “precaria per scelta”.. cercavo il mio perché , volevo crescere, imparare conoscere realtà differenti ero giovane, volenterosa e sognatrice.
Poi ho abbracciato il mondo del call cell center, dove ho imparato a raggiungere traguardi, obiettivi, contest e quant’altro. In quel mondo non c’era posto per i valori umani, eri un numero ai massimi livelli in cui io ho voluto eccellere a 360 gradi. Per la prima volta non lavoravo solo perché ero un’appassionata, ma per il fine più comune: bonus=soldi. Ne ho girati un po’, attirando molto spesso antipatie per via dei miei ottimi risultati. Mi sono fermata all’ultima esperienza terminata nel 2016, a causa di un mobbing aggressivo ed importante contro la mia persona. Ero già malata di schizofrenia ma quell’aggressione durata un anno e mezzo (ci ho messo un po’ a comprendere di mollare) mi ha portato a crollare ed essere ricoverata in psichiatria per 10 lunghissimi giorni.
Ricordo poco o niente a parte una puntura che mi ha fatto dormire per giorni e quando ho riaperto gli occhi ho visto i miei che mi davano iPhone, iPad mini e BlackBerry che lo adoravo in quanto prediletto da Barack Obamha ed un mio carissimo amico. Quello è stato il punto di non ritorno, ho riallacciato attività professionali passate ma finivo per mollare, troppi ricordi che mi ferivano. Ho fatto per due anni la promoter come quando avevo 19 anni, ho venduto il mondo, ma ero sempre infelice perché mi avevano tolto con la forza il mio grande amore, il mio lavoro per la vita, la mia stabilità , il mio entusiasmo, la mia voglia di emergere e di raggiungere obiettivi per me grandiosi.
Da circa due anni non lavoravo più a parte qualche “comparsa” nel mercato “nero” in quanto invalida vivevo e vivo di pensione.
Chi sono diventata oggi? Non lo so ancora, ma la voglia di farcela c’è, grazie a Natascia sono sta inserita in Partner&Co. Nel Progetto al Femminile. Avevo già avuto due esperienze di network ma in modo superficiale, aziende sbagliate ed io che continuavo a non “innamorami” della progettualità che ti può offrire un’azienda.
Sono rinata perché mi alzo la mattina con i miei obiettivi oppure improvviso, concilio vita familiare come gestione della casa e cure alla mamma malata di Parkinson e lavoro. In questi due giorni ho capito che devo andare per gradi, che devo crescere ancora tanto, trasformarmi, confrontarmi con il mio fantastico team di donne. Se vince una, vincono tutte, niente competizione. Mi sono fatta un grande bagno di umiltà e ho deciso di ripartire da zero di imparare da tutti, so che cadrò mille volte e mi rialzerò altrettante. Ho ascoltato storie di donne fenomenali che lavorano per questa azienda ed io non voglio perdere, voglio vincere con il mio team!
Se sei arrivata a leggermi fin qua forse ti ho incuriosita? Vuoi diventare dinamica e padrona di te stessa? Sei ambiziosa? Vuoi un guadagno extra? Con noi puoi veramente diventare una persona nuova e siamo sempre di più! ❤️
Ti aspetto in chat così ci conosciamo e approfondiamo questo modello di business unico al mondo anche se lavori per la concorrenza, una zoom non fa male, anzi è un modo per apprendere nuove nozioni, emozioni e molto altro!!
Prendiamo un appuntamento? Dai che ti aspetto con l’entusiasmo che ho ritrovato grazie a questo progetto 📱🌹
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Aprire Una Pizzeria Franchising- La Scelta Vincente per il Successo
Aprire una pizzeria franchising rappresenta una delle opportunità imprenditoriali più affascinanti e redditizie nel panorama della ristorazione italiana. Grazie al supporto di un franchisor esperto, puoi avviare la tua attività con un rischio ridotto e una base solida per il successo. In questo articolo, esploreremo i motivi per cui dovresti considerare un franchising pizzeria, come scegliere il miglior partner e perché la Pinsa Romana potrebbe essere una scelta eccellente per il tuo nuovo ristorante.
Perché Scegliere un Franchising Pizzeria?
Riconoscimento del Marchio: Affidarsi a un marchio già affermato ti consente di partire con un vantaggio competitivo significativo. I clienti tendono a fidarsi di nomi noti e apprezzati.
Supporto e Formazione: Un franchisor fornisce un supporto continuo, dalla formazione iniziale alla consulenza operativa. Questo ti aiuta a superare le sfide iniziali e a gestire efficacemente il tuo ristorante.
Marketing Consolidato: Un franchising pizzeria beneficia di strategie di marketing consolidate e di una rete di clienti fidelizzati, che possono accelerare la crescita del tuo business.
Come Scegliere il Miglior Franchising Pizzeria
Reputazione del Franchisor: Ricerca approfonditamente i potenziali franchisor e valuta la loro reputazione. Bekafranchising, ad esempio, è rinomato per il suo supporto ai franchisee e la qualità delle sue offerte.
Costi e Condizioni Contrattuali: Assicurati di comprendere tutti i costi associati all'apertura e alla gestione di una pizzeria franchising. Verifica che i termini del contratto siano chiari e trasparenti.
Supporto e Risorse: Un buon franchisor dovrebbe offrire risorse complete, tra cui manuali operativi, corsi di formazione e supporto continuo.
Location: La scelta della location è cruciale per il successo del tuo ristorante. Una posizione con un alto traffico pedonale e buona visibilità può fare la differenza.
Migliore Franchising Pinsa Romana
Se stai cercando qualcosa di unico e in crescita, considera il franchising Pinsa Romana. La Pinsa Romana è una variante della pizza tradizionale, caratterizzata da un impasto leggero e croccante. Ecco perché potrebbe essere la scelta perfetta per il tuo franchising:
Innovazione e Tradizione: La Pinsa Romana combina la tradizione italiana con un tocco innovativo, risultando in un prodotto distintivo che attira un'ampia clientela.
Meno Concorrenza: Rispetto alla pizza tradizionale, la Pinsa Romana ha meno concorrenti sul mercato, permettendoti di emergere facilmente.
Qualità Superiore: La preparazione della Pinsa Romana richiede ingredienti di alta qualità e tecniche specifiche, garantendo un prodotto finale eccellente.
Aprire una pizzeria franchising è un investimento intelligente per chi desidera entrare nel settore della ristorazione con una solida base e un supporto continuo. Che tu scelga una pizzeria tradizionale o una Pinsa Romana, assicurati di collaborare con un franchisor affidabile come Bekafranchising. Questo ti offrirà le migliori possibilità di successo e una crescita sostenibile. Per ulteriori informazioni su come aprire una pizzeria franchising o una pinseria con la Pinsa Romana, visita Bekafranchising e scopri tutte le opportunità disponibili per te.
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Le potenzialità di Tumblr per l'e-commerce.
Negli albori dei social media, Tumblr brillava come una stella promettente nel vasto firmamento digitale. Lanciata nel 2007, la piattaforma rapidamente conquistò una base di utenti devoti, attratti dalla sua semplicità d'uso e dalla sua capacità di permettere agli utenti di condividere liberamente testi brevi, immagini e GIF animate. Era un'oasi digitale dove la creatività fioriva senza freni, attirando una comunità di giovani adulti desiderosi di esprimere sé stessi senza restrizioni. Tuttavia, con il passare del tempo, Tumblr ha iniziato a mostrare segni di declino. Cambiamenti nel panorama dei social media, insieme a controversie e problemi di moderazione del contenuto, hanno portato ad una flessione nella popolarità della piattaforma. L'entusiasmo iniziale sembrava svanire, e molti si chiedevano se Tumblr fosse destinato a scomparire nel dimenticatoio dei social media.
Tuttavia, negli ultimi anni, Tumblr ha mostrato segni di una sorprendente rinascita commerciale. La piattaforma ha saputo adattarsi alle esigenze dei suoi utenti e alle tendenze del mercato, trasformandosi da un semplice luogo di espressione creativa in un vibrante mercato per l'eCommerce. L'integrazione di funzionalità di shopping, come i tag dei prodotti e i link diretti agli store online, ha reso Tumblr una destinazione imperdibile per gli acquirenti online. Marchi e creatori indipendenti hanno trovato in Tumblr una nuova vetrina per i loro prodotti, trasformando i loro blog in vere e proprie botteghe digitali.
Pro e Contro della Trasformazione
Pro:
Ampliamento delle Opportunità: La trasformazione di Tumblr in una piattaforma di eCommerce ha aperto nuove strade per i creatori e i commercianti. Ora possono raggiungere una vasta base di utenti, trasformando la loro creatività in profitti tangibili. La diversificazione delle opportunità ha permesso a marchi di nicchia e a creatori indipendenti di emergere e prosperare in un ambiente digitale competitivo.
Esperienza di Shopping Immersiva: Grazie alle funzionalità di shopping integrate, gli utenti possono esplorare e acquistare prodotti senza dover lasciare l'ambiente familiare di Tumblr. Ciò crea un'esperienza di shopping più coinvolgente e senza interruzioni, aumentando le possibilità di conversione per i venditori.
Contro:
Diluizione dell'Originalità: Alcuni potrebbero rimpiangere i giorni in cui Tumblr era un rifugio per l'arte alternativa e i pensieri non convenzionali. La commercializzazione potrebbe rischiare di diluire l'autenticità della piattaforma, portando a una perdita del suo fascino originale e della sua identità unica.
Concorrenza Accresciuta: Con l'espansione nell'eCommerce, Tumblr si trova a competere con altre piattaforme già consolidate nel settore, come Instagram e Pinterest. La crescente concorrenza potrebbe rendere più difficile per i nuovi venditori emergere e farsi notare all'interno della piattaforma.
Tumblr per l'E-Commerce
Tumblr si sta rapidamente affermando come una potente piattaforma per l'eCcommerce. Con l'introduzione di funzionalità di shopping integrate, come i tag dei prodotti e i link diretti agli store online, la piattaforma offre agli acquirenti un'esperienza di shopping senza soluzione di continuità. I marchi e i creatori possono trasformare i loro blog in vetrine digitali, esponendo i loro prodotti a una vasta base di utenti altamente impegnati. Questa integrazione diretta tra contenuto eCommerce e comunità di utenti attivi è un'opportunità unica per i venditori di raggiungere e coinvolgere il loro pubblico in modo significativo.
Tumblr non è solo un luogo per vendere prodotti, ma anche per creare connessioni autentiche con i clienti. Con la sua cultura unica e diversificata, Tumblr offre uno spazio per i marchi di costruire narrazioni coinvolgenti e autentiche intorno ai loro prodotti, oltre a fornire una piattaforma per l'interazione diretta con la comunità degli acquirenti. Questo approccio centrato sull'utente e orientato alla narrazione può aiutare i marchi a differenziarsi dalla concorrenza e a costruire relazioni durature con i propri clienti.
Inoltre, Tumblr offre una serie di strumenti per aiutare i venditori a monitorare le prestazioni e a ottimizzare le loro strategie di vendita. Le analisi dettagliate consentono ai marchi di comprendere meglio il comportamento degli utenti e di adattare le loro campagne di marketing di conseguenza. Questa combinazione di creatività, accesso diretto ai clienti e strumenti analitici avanzati rende Tumblr una piattaforma irresistibile per i venditori di tutte le dimensioni.
Chiudendo il cerchio
Da un modesto angolo del web riservato ai micro-blog, Tumblr ha attraversato una montagna russa di alti e bassi per emergere come una piattaforma rinnovata e resiliente. La sua evoluzione riflette il costante cambiamento del panorama digitale e offre nuove possibilità sia per i creatori che per gli acquirenti. Mentre celebriamo i progressi, è importante ricordare le radici della piattaforma e preservare lo spirito che l'ha resa così speciale. Attraverso la sua trasformazione in una piattaforma di e-commerce, Tumblr continua a dimostrare la sua rilevanza e il suo potenziale nel mondo digitale in continua evoluzione. Articolo a cura di Lorenzo Quaglino E-com Manager per easilyecommerce
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Modena, scoperto e sanzionato un bed and breakfast abusivo
Modena, scoperto e sanzionato un bed and breakfast abusivo. La Polizia Locale di Modena ha individuato e sanzionato un altro bed and breakfast abusivo, pubblicizzato sulla piattaforma Airbnb sottolineandone l’“eleganza”, ma risultando in realtà una residenza da incubo per il cliente. Proprio partendo da una segnalazione sui disagi sopportati per diversi giorni da un ospite veneto, in città nelle scorse settimane per seguire un corso di formazione, il Nucleo antievasione tributaria (Nat) della Polizia Locale ha appurato che la struttura extra alberghiera, collocata in una palazzina nella zona del Museo Enzo Ferrari, era sprovvista della prescritta autorizzazione comunale (per mancanza di Scia), così da far scattare la sanzione da 500 euro e la segnalazione all’Agenzia delle entrate e agli uffici comunali che provvederanno alla verifica sulle diverse imposte non pagate, tra cui Imu, Tari e tassa di soggiorno. La titolare della struttura, una modenese di 60 anni, nel frattempo ha rimosso gli annunci dalla piattaforma che pubblicizzavano il B&B come “eleganza in zona molto tranquilla”. Una definizione sulla quale non si è certo trovato d’accordo l’ospite che ha segnalato la struttura per i disagi e i disservizi sopportati, facendo così emergere la mancanza dell’autorizzazione. L’impegno nel contrasto al fenomeno dell’abusivismo nel settore degli alloggi temporanei è aumentato in questi mesi, in funzione dell’incremento dei flussi turistici in città e nel territorio. Solo poche settimane fa erano state individuate ben tre strutture non autorizzate nel centro storico. I controlli della Polizia Locale sono a garanzia dei clienti, i turisti che scelgono di visitare Modena con la consapevolezza di poter usufruire di un’offerta ricettiva regolare e di qualità, ma sono volti anche a prevenire, per ragioni di equità, possibili situazioni di concorrenza sleale nel mercato di un settore in crescita.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Crediamo sia oggettivamente impossibile riuscire a prevedere i futuri sviluppi della situazione di crisi mediorientale dopo l’attacco terroristico che ha portato all’assassinio del generale iraniano Soleimani. Queste stesse riflessioni al momento della loro pubblicazione potrebbero già essere state superate da evoluzioni oggi solo ipotizzabili.
Per non ripetere banalità o rincorrere la ridda di voci di "analisti internazionali" e di “esperti dell’area mediorientale" che stanno intasando i media ufficiali, incominciamo a sviluppare questo breve ragionamento dicendo che il punto fermo di contesto da cui partire è che, una volta ridimensionato dalla crisi il peso dell’egemonia politica ed economica mondiale statunitense, ci troviamo davanti a un modificato quadro complessivo di formazione di blocchi locali e internazionali che si compongono e si scompongono in una geometria variabile in relazione alla comunanza e alla tattica coincidenza di interessi appunto locali, tattici, di sopravvivenza, di desistenza e di difesa da un comune nemico. Un esempio per tutti: il sultano terrorista Erdogan che corre in difesa del governo "legittimo" di Sarraj contro l’avanzata del generale Haftar (vicino ai “fratelli musulmani” egiziani) sostenuto invece da Putin, che si accordano per chiedere una tregua mentre presenziano all'inaugurazione del nuovo gasdotto “Turkstream” che collega Russia e Turchia bypassando l'Ucraina per rifornire il mercato europeo. Ciò anche in un contesto di spartizione degli enormi giacimenti di gas e petrolio, per i quali la “concorrenza” tra i blocchi e singoli potentati locali e internazionali è spietata, di cui l’intera aerea mediorientale dimostra essere disseminata (solo negli ultimi anni sono stati scoperti nuovi giacimenti di fronte alla costa di Gaza, in Egitto, in Iran).
Questi processi di aggregazione si pongono sempre nella direzione della difesa di una supremazia nazionalistica (p.e. Turchia, Iran, Israele) tranne il tratto, il respiro veramente imperialistico strategico ben definito soprattutto della Cina, unica vera superpotenza economica ormai affermata che non gioca di rimessa o per coprire proprie debolezze interne, ma che ha tracciato una proiezione e sta perseguendo una strategia precisa di allargamento della propria influenza e di accaparramento di risorse e mercati dall’Africa al Medioriente al Sud-America.
A partire da questo presupposto, che certamente non sminuisce l’aggressività delle forze locali in campo o dell’alter ego occidentale, il dato inoppugnabile che emerge è che, al di là della propaganda imperialista e del supporto e della complicità soggettiva o oggettiva delle "grandi democrazie" europee, l’assassinio terroristico mirato di un altissimo rappresentante politico/militare dello stato iraniano, e la stessa particolare eclatante mediaticità e spettacolarità della sua esecuzione, rappresentano un violento strappo dei fragili equilibri e un salto di qualità dell'intervento USA nell'area mediorientale. Ancor più per il ruolo assunto nel tempo da Soleimani non solo di direzione militare ma di interlocutore di peso e mediatore tra le potenze presenti nell’area.
Un salto di qualità che rappresenta un passo in avanti nella strategia di aggressione all’Iran già ben delineata durante la campagna elettorale per le presidenziali USA dal terrorista megalomane Trump, passato dalla pretestuosa negazione dall’accordo sul nucleare prima, all'imposizione di arbitrarie sanzioni poi, per arrivare ai numerosi bombardamenti sulle postazioni iraniane schierate contro l'ISIS e le bande di ispirazione qaidista. Attacchi anch’essi mirati e compiuti stracciando la tanto decantata e agitata strumentalmente "legalità internazionale".
Un pesante e multiforme segnale coerente con questa strategia, probabilmente accelerata dall’imprevedibile incapacità e dalla personalità del presidente USA, allo stesso tempo diretto alla ricerca di riverberi positivi sulla politica interna dopo la grave richiesta di impeachement, e di deterrenza e riposizionamento nell’area mediorientale nei confronti delle potenze Russia e Cina che si stanno spartendo il controllo diretto o indiretto della medesima area.
Dopo una campagna elettorale fortemente caratterizzata dalle promesse di disimpegno dai fronti di guerra per dedicarsi a perseguire il corto respiro del sovranismo xenofobo e razzista e del protezionismo economico, Trump tenta di riprendersi un ruolo internazionale riassunto dallo slogan "America First". Un criminale atto terroristico mirato dunque anche al consenso elettorale per l’avvicinarsi delle elezioni, per assecondare l'industria delle armi e il partner sionista continuamente impegnato in azioni contro le truppe iraniane dislocate in Siria. Peraltro, Israele potrebbe essere, in questa fase, il soggetto/oggetto discriminante e di rottura della stabilizzazione cercata da Russia, Cina e Iran proprio per evitare che si saldino i reciproci interessi e rappresentare l’elemento di provocazione scatenante.
Un attentato terroristico che quindi può rappresentare la miccia per un escalation di atti di guerra fino alla deflagrazione di un confronto militare diretto, ad ora, non concretamente voluto dagli attori in campo come possiamo ben desumere dalla risposta iraniana con il lancio missilistico su postazioni militari statunitensi in Iraq, altrettanto mediatico e spettacolare, ma volutamente innocuo e dimostrativo.
Se invece Usa, Arabia Saudita e Israele da una parte, Iran, Russia e Cina (in una posizione più defilata) dall'altra fermeranno l’escalation di ritorsioni come parrebbe in questo momento, il risultato di questo allarme rosso rinforzerebbe comunque Trump che vuole imporre sanzioni sempre più pesanti all’Iran e rappresenterebbe il tentativo di riportare, con arroganza e spregiudicatezza, l'imperialismo americano al ruolo guida delle potenze capitalistiche occidentali, ma avrebbe anche l'effetto di compattare la controparte irachena e soprattutto iraniana nel tentativo di estendere la propria area di influenza e controllo di risorse esportando la propria "rivoluzione reazionaria" e oscurantista. In questo contesto, da par suo, cerca di inserirsi, rilanciando un proprio ruolo sul campo, il blocco imperialista europeo in eterna formazione tra le spinte centrifughe e le contraddizioni dettate dagli interessi dei singoli stati presenti, l’attenzione al “padrino” statunitense ancora presente in forza in territorio europeo, soprattutto italiano, con basi, armi (anche nucleari) e divisioni militari.
Ma i giochi di guerra imperialistici da entrambe le parti stanno avvenendo mentre tutta l'area è attraversata da una crisi economica che ha fatto emergere un altro soggetto: il proletariato arabo in lotta dal Libano, all'Iraq, all'Iran che si è preso con forza la ribalta pagando in questo lo scotto di centinaia di morti e di incarcerati.
Senza approfondire in queste riflessioni la volontà genocida del dittatore Erdogan nei confronti dell’eroico popolo curdo e il tentativo di annientare il loro processo di autodeterminazione e la speranza di trasformazione sociale, va ricordato che, anche in questo caso, l’elemento analitico pregresso è che la causa fondante dell’impoverimento complessivo di quest'intera area geografico-politica è stato determinato dalle diverse guerre imperialiste di rapina che si sono succedute.
Dalla Libia, oggi luogo di scontro e di contrapposizione e di riassetto per il possesso dell'area (petrolio e situazione disumana dei migranti da utilizzare come leva di ricatto), allo Yemen dove si ripropone la guerra settaria sunniti-sciiti per coprire (guerra per procura) evidenti interessi di controllo geopolitico, all'Iraq, ricordando a chi non ha memoria che le bombe USA hanno fatto collare l'economia irachena in una situazione pre-industriale, seguita dalla guerra che ha devastato la Siria voluta, sostenuta e fomentata dalle potenze capitalistiche anche europee per abbattere Assad scoprendo poi che stavano invece finanziando il nascente stato islamico e le sue bande di assassini.
La crisi del modo di produzione ha accentuato questo processo di impoverimento generale portando a una divaricazione violenta sempre più evidente tra i bisogni di sopravvivenza e l'aspirazione a una qualità migliore della vita e i diversi governi/regimi fortemente caratterizzati da un'impostazione autoritaria/militare se non teologica fondamentalista.
La nostra massima solidarietà va alle masse e ai proletari che stanno insorgendo in tutta la fascia mediorientale e a tutti coloro che con la lotta stanno imponendo ai loro governi/regimi una possibile trasformazione sociale.
Questi uomini, donne, ragazze e ragazzi proletari e proletarie che sfidano con coraggio truppe in armi, incarcerazioni, torture e assassinii sono la speranza che in Medioriente si possano mettere in moto dei processi di trasformazione della società in senso anticapitalista mettendo al bando sfruttamento di classe, povertà, discriminazione sessuale, fame e guerra, abbattendo padroni di ogni genere laici o religiosi che siano, potenze imperialiste di ogni provenienza.
PER UNA SOCIETA’ SENZA CLASSI! CONTRO LE GUERRE IMPERIALISTE!
C.S.A. Vittoria
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House of the Dragon 1x05 Stagione 1 Episodio 5 vedere serie TV italiano streaming completo
House of the Dragon 1x05 Stagione 1 Episodio 5 - https://hotd-1x05-ita.blogspot.com/
Il trailer del quinto episodio dello show è uscito dopo la premiere del quarto episodio e anticipa un altro matrimonio fallito. Alla fine dell'ultimo episodio, a Rhaenyra viene detto che dovrà sposare Laenor Velaryon per rafforzare le loro case. Riunendo questi due, le casate più potenti del regno avranno un altro legame tra loro e la pretesa al trono di Rhaenyra diventerà ancora più forte.
Il Trono di Spade, se si astrae dalla sua disordinata stagione finale (e dagli ultimi tre episodi abissali), è una delle più grandi serie fantasy di tutti i tempi. La serie ha un profilo generale così forte che prepara il terreno per future serie fantasy nonostante alla fine armeggi con la palla con un tale rigore da definire anche il terreno per "armeggiare con la palla", non solo tra le serie fantasy ma tra la totalità di serie televisiva stessa. Allora come lo segui?
House of the Dragon ha un compito non invidiabile in almeno due modi. È il primo progetto di Thrones ad emergere dopo la fenomenale serie complessiva di quella serie principale, ed è il primo ad emergere dopo il sospiro di morte collettivo di così tanti fan in seguito al monumentale crollo della serie (grazie principalmente a David Benioff e D.B. Weiss che sono stati sopraffatti da guidare la nave e voler passare ad altre cose). Non è proprio un contesto fruttuoso in cui si inizia una serie… ma eccoci qua.
House of the Dragon è una serie prequel ambientata duecento anni prima di Thrones, incentrata sulla Casa Targaryen e sulla sua famigerata guerra di successione. Paddy Considine è re Viserys Targaryen, la cui primogenita, la principessa Rhaenyra (Emma D'Arcy), si aspetta di essere la prima regina reggente quando i suoi piani vengono sconvolti contemporaneamente dalla nuova moglie del re e da suo fratello, il principe Daemon Targaryen (Matt Smith), un -sii conquistatore che non amerebbe nient'altro che il trono. In Thrones, siamo stati catapultati in una situazione politica tenue fin dall'inizio. In Dragon non abbiamo ancora visto il fuoco di un conflitto politico aperto, ma stiamo vedendo i carboni ardenti del conflitto: è un'atmosfera diversa, ma chiaramente nel mondo di Thrones. Vediamo anche i fattori emergenti che fanno presagire una massiccia serie di conflitti tra le case, insieme a una serie di caratteristiche che distinguono Thrones dalle altre serie TV fantasy: draghi, sesso, violenza e così via.
Paddy Considine è un eccellente, anche se smorzato, King Viserys. La virtuosa, in crescita e intrigante Rhaenyra di Emma D'Arcy è un'aggiunta complessa in molti modi buoni, e la sua traiettoria morale finale è particolarmente misteriosa: come lei individua, si potrebbe vederla diventare un'eroina con la stessa facilità di un tiranno. Nel frattempo, Prince Daemon di Matt Smith è eccezionale. Ad essere onesti, questo recensore non l'ha visto davvero lavorare nel ruolo, e sono il primo ad ammettere quando mi sbaglio: in quanto Daemon è astuto, poliedrico, ambizioso e simpatico pur essendo al limite del male a volte. È un mistero e precede la concorrenza. È un ruolo divertente e lui chiaramente si diverte.
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L' Ambiente esterno come influisce sull'Impresa?
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L' Ambiente esterno come influisce sull'Impresa?
L’ambiente esterno entra in gioco in almeno tre modi diversi:
ambiente competitivo;
dinamiche ambientali;
contesto locale
L’ambiente esterno entra in gioco in almeno tre modi diversi:
ambiente competitivo;
dinamiche ambientali;
contesto locale
Ambiente competitivo
Le condizioni competitive di un settore sono il risultato di una serie di pressioni o forze riconducibili a 5 aree (Modello di Porter delle 5 forze competitive).
Pressioni competitive indotte dalla natura della concorrenza (numero di imprese che realizzano lo stesso prodotto o servizio, livello di differenziazione dell’offerta, rapporto costi fissi/costi variabili, etc).
Pressioni competitive associate alla minaccia di nuovi entranti (le pressioni saranno contenute se ci sono alte barriere all’ingresso, del tipo: economie di scale, economie di apprendimento, livello alto di differenziazione, risorse complementari – canali distributivi, produzione – importanti e scarsi, ecc.).
Pressioni competitive derivanti dal tentativo degli operatori di altri settori di attirare gli acquirenti con prodotti sostitutivi.
Pressioni competitive generate dal potere contrattuale dei fornitori e dalla collaborazione tra fornitori e venditori.
Pressioni competitive generate dal potere contrattuale dei clienti e dalla collaborazione fra questi e i venditori.
Dinamiche ambientali
Ci focalizziamo su 4 dinamiche ambientali:
Dinamiche politiche/normative e incentivi Cambiamenti a livello normativo e istituzionale, leggi, incentivi dello Stato, politiche per la valorizzazione dei risultati della ricerca, politiche di attrattività dei territori, politiche di finanziamento e accesso al credito, ecc.
Dinamiche tecnologiche Cambiamenti nelle tecnologie (Industria 4.0, Intelligenza Artificiale, Big data, digitalizzazione, quantum computing, etc).
Dinamiche sociali e demografiche Cambiamenti della società, dei costumi, dei modi di vivere. Un esempio è rappresentato dalla Sharing economy o anche dalla Gig economy (economia dei “lavoretti”, che vede il lavoro flessibile dei freelance in alternativa ad occupazioni stabili lavorative), nuove professioni social e legate alle piattaforme digitali; invecchiamento della popolazione; innovazione sociale, ambientale, sostenibile, economia circolare, etc.
Dinamiche Economiche Cambiamenti nella congiuntura economica: andamento globale dell’economia, recessione, inflazione, occupazione, etc.
Il contesto locale
Il contesto locale può offrire minacce e opportunità. Perché l’innovazione in certi luoghi è fiorente mentre in altri non riesce ad emergere? Gli ecosistemi si possono costruire o nascono spontaneamente? Quali sono gli attori e i fattori chiave di un ecosistema imprenditoriale tali da permettere lo sviluppo di start-up di successo, e di attrarre nuovo capitale umano, finanziario e sociale?
Un ecosistema è un insieme di attori imprenditoriali interconnessi, organizzazioni imprenditoriali, università, agenzie del settore pubblico, imprese grandi e piccole, organismi finanziari, ecc.
Un ecosistema ricco favorisce il successo dell’innovazione. Ecosistemi innovativi di successo sono rappresentati dal contesto Israeliano, dal contesto di Berlino, Londra, Silicon Valley. Hanno caratteristiche diverse. Non esiste la ricetta dell’ecosistema ideale che vada bene per tutti. L’ecosistema che funziona è anche frutto della storia, della tradizione e dei valori di un territorio.
È sbagliato guardare agli ecosistemi internazionali che funzionano e cercare di copiarli. Piuttosto, è importante comprenderne gli elementi e ingredienti di successo e cercare di crearne di nuovi nel rispetto delle specificità dei territori e delle loro imprese.
Uno strumento di analisi dell’ambiente – PESTEL
L’analisi PESTEL (acronimo composto dalle iniziali dei termini che definiscono le fondamentali aree di indagine: Politica, Economica, Sociale, Tecnologica, Legale e Ambientale) è una metodologia che si basa su alcuni fattori del contesto esterno che riescono a tratteggiare lo scenario esistente dell’ambiente in cui opera un’azienda.
L’analisi ha l’obiettivo di individuare quali dei fattori possono essere rilevanti nel processo decisionale, nelle scelte strategiche e operative dell’organizzazione.
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(1) Ciao! Ho letto il tuo post su cellulari/concerti diversi. Ho trovato interessante il paragone con il tuo lavoro e oh boi vorrei farti una domanda anche io! Premetto, è uno scambio di opinioni nessuno sta giudicando/attaccando. Riflettevo sul fatto che il mio lavoro lo fanno in tanti (purtroppo), e con la tanta concorrenza uno dei modi per “emergere” è proprio come ti poni col cliente. Certo, varia da lavoro a lavoro, e “se il cliente vuole pure il sorriso può andare altrove” ci può stare.
(2) però, almeno per la politica della mia azienda, come ti presenti al cliente è fondamentale e non transigono. Hai fatto il tuo lavoro bene? Sei solo al 50% dell’opera, adesso vai a e conquista il cliente così non andrà alla concorrenza ma tornerà da te. E questo mi fa sorridere perchè lol non si applica a Ermal, o almeno, mi verrebbe da dire “in parte”? Fosse scontroso con tutti e cantasse e basta forse non durerebbe a lungo. Btw, mi è piaciuta la tua risposta anche se non sono d’accordo al(3) 100%. Ma il bello è proprio che qui su Tumblr ce la possiamo raccontare senza le catastrofi che si scatenano su Twitter. Ancora grazie per il confronto, il mio lavoro mi perseguita :D
Ciao anon! Non so se sei lo stesso anon di prima, quindi ti risaluto e ti ringrazio per il messaggio.
Arrivo subito al dunque: tu sei liberissima di volere quel qualcosa in più, il sorriso sempre presente, le mille attenzioni dell'artista, ecc. Ma in quel caso, ciò che penso io è che abbia più senso seguire artisti che sono naturalmente propensi a fare questo, piuttosto che creare polemiche sperando che Ermal cambi e che si adatti al sentire del suo fandom (non sto dicendo che tu hai creato polemiche, eh. Dico tu generico. Oggi mi esprimo a gesti, praticamente).Quando Ermal dice che lui è una persona e non un personaggio, e che non è un pupazzo, si riferisce a questo. Perché un artista non può essere sempre al 100%. Poi ci sono quelli che si sforzano di sembrarlo, ed è rispettabilissima come cosa, così come è rispettabile che tu preferisca una cosa simile. Però appunto, è più sensato seguire quegli artisti, proprio perché cerchi qualcosa che loro possono darti, ed Ermal evidentemente no. Inoltre, non è che Ermal tratta male i fan, va scazzato ai concerti dicendo “Faccio queste due canzoni poi sparite che mi fate schifo”. Al massimo fa meno battute? Parla di meno? Al Foro Italico ad esempio, come ha scritto un'altra ragazza qui, non era di ottimo umore. Il concerto è stato meraviglioso lo stesso, non mi sento “trattata male” da Ermal Meta se fa due battute in meno rispetto a Taormina o se non piange. Cioè bisogna anche mettere tutto nella giusta prospettiva. Perché se un artista ti tratta male, è un conto. Se semplicemente non è al massimo della gioia, è un altro. Artisti che trattano male i fan ce ne sono eccome, e quelli sì, finiranno probabilmente per rimanere soli (ma non è neanche detto. Dipende dalla credibilità artistica che ti crei negli anni. Ci sono alcuni grandi della musica che sono dei cafoni con i fan, ma rimangono dei grandi artisti). Qui si sta ingigantendo una questione che secondo me è molto più piccola di quello che si vuole far credere.
Per quanto riguarda il mio lavoro, io sono libero professionista. Mi gestisco io i clienti e quindi non ho direttive aziendali da rispettare riguardo al mio atteggiamento nell'interagire con loro. Capisco che sotto un direttore la situazione potrebbe essere diversa, ma questo dipende dal posto di lavoro. Io ho clienti con i quali sento proprio una mancanza di feeling, con cui fortunatamente (per loro e per me) interagiamo ben poco, ma il lavoro che faccio gli va sempre bene e continuano a richiamarmi. Sicuramente ci sarà chi vuole un altro tipo di atteggiamento, ma io non lavoro a contatto con il pubblico (grazie al cielo). Non mi è mai capitato di perdere clienti per un mancato sorriso.E c'è da dire che spesso è proprio il cliente il primo a trattarti con aria di sufficienza proprio in virtù del fatto che sborsa una determinata cifra. Ed ecco un'altra similitudine con la situazione di Ermal e chi paga il biglietto e pensa di aver comprato tutto di lui.
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NARCISISTI IN FAMIGLIA
Nelle famiglie sane i valori centrali sono l’amore, la cura, l’accoglienza e la libertà di parola di ogni singolo elemento; tutti gli elementi sono importanti, i sentimenti vengono ascoltati e rispettati senza l’emissione di giudizi, accuse o derisioni.
Nella famiglia nella quale uno dei membri è un narcisista perverso c’è posto per una sola stella: lui/lei. Ogni membro gira magneticamente attorno alla sua persona, hanno il terrore di deluderlo e vivono per soddisfare ogni suo capriccio e desiderio.
La famiglia in balia di un narcisista perverso impara una regola non scritta e che resta segreta finché uno degli elementi, comunemente uno dei figli, si stanca della dinamica e se non si ammala gravemente dà inizio alla grande crisi che metterà a repentaglio la grandiosità del perverso
Karyl McBride nell’articolo The Narcissistic Family Tree[3], dimostra con la sua esperienza clinica che adulti segnati da questa dinamica hanno difficoltà a scoprire esattamente cosa provano, non riescono a spiegare a se stessi perché soffrono o si deprimono. La negazione della realtà è molto intensa nel sistema famigliare narcisista. A forza di somatizzare l’angoscia e l’impotenza per le situazioni complesse e ingestibili del mondo degli adulti, i figli scatenano una serie di reazioni emotive che a un primo sguardo possono sembrare inspiegabili
I figli vengono usati come un estensione del narcisista perverso “per farsi bello”
Molti diventano il quadro, la fotografia, la proiezione che rappresenta la vita della coppia e la sua conflittualità interna: il padre narcisista perverso che svaluta continuamente la moglie davanti ai figli insegnerà al figlio maschio che svalutare e minimizzare i meriti della sorella e di tutte le donne che conoscerà è normale. Lo stesso farà la madre narcisista perversa che, scegliendo uno dei figli per essere il suo diletto, assegnerà all’altro il ruolo di capro espiatorio.
Quando ci troviamo di fronte a padri narcisisti perversi, bisogna valutare sempre il ruolo delle madri nella formazione/consolidamento della loro personalità.
Il figlio “prediletto”
Quando uno dei figli è visto come più importante, oppure nel caso dei figli unici viene considerato infinitamente migliore dei suoi cugini e amichetti, diventare un prevaricatore arrogante o bullo vale come regola generale. Il “bambino d’oro” eletto per funzionare come un’estensione idealizzata della madre o del padre narcisista perverso diventa un adulto capriccioso e irascibile, a lui ogni deroga alla morale è concessa, la vita famigliare gira attorno alle sue volontà e bisogni e il mondo intero deve riconoscere la sua grandezza – esattamente come auspicato dal padre/madre narcisista per sé.
Il figlio come capro espiaorio
Il figlio “capro espiatorio”, invece, è la fogna nella quale il genitore narcisista perverso lancia tutto ciò che non riesce ad accettare in se stesso: sarà un incompetente, scarso in tutto, uno che deve sforzarsi per raggiungere i risultati del “bambino d’oro”, è il più bruttino dei fratelli, il meno brillante, quel poco creativo, troppo timido o troppo estroverso, mai all’altezza della genialità, del successo e degli altissimi livelli auspicati dalla famiglia.
Il “capro espiatorio” è la discarica, la busta nera della spazzatura nella quale la famiglia deposita le vagonate d’immondizia psichica nascoste sotto il tappeto dell’omertà e dell’ipocrisia. È colui che non sarà mai ascoltato con attenzione perché sprovvisto di ragione, perché noioso, perché si fa troppi problemi. I suoi meriti sono da sminuire, filtrare, neutralizzare per non ferire la grandiosità del fratello/sorella d’oro.
Quando tutto va male la colpa è sempre sua e quando tutto va bene si cerca un motivo per farlo comunque sentirsi a disagio. In linea di massima, se non se ne accorge della dinamica perversa, al figlio capro espiatorio toccherà sopportare il peso delle patologie famigliari in età adulta, oppure fare da bestia da somma per risolvere i piccoli e grandi problemi amministrativi dell’intero nucleo famigliare.
Soltanto al narcisista perverso e al figlio/a prescelto/a sarà riconosciuto il diritto di brillare per tenere alta l’immagine di perfezione della famiglia
Il meccanismo è abbastanza chiaro, come nello scenario di guerra nazista: per far regnare i più forti e simili, i più deboli devono ubbidire e soccombere; per far emergere i più forti, gli altri devono affondare.
Che cosa accade quando il prescelto, invece, non è pienamente soddisfatto del meccanismo che lo vede beneficiario?
Cosa accade quando si ribella, anche andando contro il proprio interesse? Oppure, cosa accade quando il prescelto decide che la luce dell’ingombrante genitore perverso rischia di oscurare la sua per sempre? Risposta: una guerra senza quartiere nella quale lui, da figlio d’oro, viene automaticamente declassato a capro espiatorio, mentre l’altro, giudicato meno bravo, sale la classifica dei più amati e ammirati di tutti i tempi dalla mamma o dal papà narcisista perverso. Se da una parte un genitore narcisista perverso vuole che i suoi figli riflettano la sua grandiosità, da un’altra teme la loro concorrenza e il confronto, quindi, DEVE schiacciare e confondere i suoi pargoli per continuare a comandare indisturbato.
Dato che i sentimenti dei figli non sono mai presi in considerazione, i genitori narcisisti perversi non identificano mai in se stessi alcun tipo di responsabilità per quanto riguarda gli eventuali disturbi psicosomatici apparsi nella prole. Non chiedono mai scusa per eventuali errori di valutazione e come strategia comune invertono i poli della verità sulle loro azioni per meglio rovesciare le colpe.
Un’altra abilità dei perversi è la capacità di raccontare fatti veramente accaduti che poi sanno interpretare da un’ottica fuorviante, che denigra e mette a repentaglio la reputazione dei figli per salvare la propria. Gli americani hanno creato il termine “crazy maker”, cioè, “fabbricante di pazzi”, per definire l’azione prevaricante dei narcisisti perversi nei confronti dei suoi cari
Il narcisista all’interno del nucleo familiare
Un genitore perverso ama diffondere la tensione grazie ai suoi improvvisi cambiamenti di umore, di abitudini e di programmi senza alcun tipo di preavviso e, certe volte, fanno ricorso a commenti sgradevoli per rompere il clima armonioso nei momenti di benessere della famiglia, accanto alle lamentele e gesti che palesano la loro eterna insoddisfazione verso tutto.
Il narcisista fuori il nucleo familiare
Fuori di casa, però, i perversi cambiano personalità e comportamento, diventano l’esatto opposto di quel che sono nella dura realtà quotidiana: sotto il vaglio del loro pubblico si travestono da persone meravigliose, attente, premurose, seducenti, servizievoli, impeccabili, leggere, sempre sorridenti e attente ai bisogni altrui.
Anche i figli devono agire come loro per dimostrare che l’educazione ricevuta da un genitore così affascinante, perfetto e brillante, ha degli standard elevatissimi. “Non farmi brutte figure!” è la raccomandazione che si ascoltano giorno dopo giorno, laddove l’immagine è tutto.
Le dinamiche disfunzionali con un genitore narcisista
Ecco in sintesi, le dinamiche intergenerazionali profondamente disfunzionali generate dal narcisista perverso:
Segreti
Il segreto di questa famiglia è che i genitori non rispondono ai bisogni emotivi dei loro figli, ma deturpano la realtà o abusano di loro. Il messaggio tramandato è: “Non dire a nessuno che qua dentro funziona così… fai finta che va tutto bene.”
Per la famiglia narcisista l’immagine è tutto: “Cosa penseranno i vicini?” “Cosa penseranno i parenti?”. Sono preoccupazioni molto frequenti.
Messaggi negativi
I figli ricevono messaggi verbali e non verbali che restano nella coscienza. I messaggi tipici sono: “Non sarai mai bravo/a abbastanza.” “Sei valorizzato per ciò che fai e per la tua apparenza, non per ciò che sei.”
Mancanza di sintonia emozionale
Genitori narcisisti perversi non riescono a entrare in sintonia con i figli. Non c’è empatia, naturalezza o amore nei loro gesti, tutto è calcolato per il tornaconto posteriore. Distribuiscono critiche, pregiudizi e regali meccanicamente: “Quel tuo amico sembra gay”, “La tua ragazza è cicciottella, meriti di più.”, “Nella tua festa di compleanno chiamiamo anche Tizio e Caio, so che ti stanno anticipatici ma papà ci lavora insieme.”, ecc.
Assenza di comunicazione effettiva
Uso sistematico della triangolazione. L’informazione arriva attraverso terze persone. I confronti diretti si trasformano in liti furibonde. Il narcisista perverso provoca un comportamento passivo-aggressivo nei figli, reca tensione e diffidenza tra i membri della famiglia.
Assenza di limiti
Diari, poste elettroniche, social networks… i figli non avranno diritto alla privacy. Tutto viene controllato dal perverso. Ha senso sorvegliare quando sono piccoli, ma quando hanno già una vita affettiva si tratta di puro voyeurismo, magari per fantasticare di essere della loro età e guardare le foto delle loro amichette sui social.
Se un genitore è narcisista perverso e l’altro è succube…
i figli crescono da soli, soffrono e sentono in silenzio perché il genitore succube, anche avendo delle qualità che potrebbero ausiliare la crescita emotiva dei figli, è troppo occupato nel soddisfacimento dei bisogni del perverso per occuparsi della prole con la massima attenzione.
Un fratello contro l’altro
Nella famiglia narcisista i fratelli sono incitati a competere, non ad amarsi. Il paragone tra chi è meglio diventa una costante. Col procedere l’incomunicabilità tra i fratelli messi in competizione come due cavalli da corsa sarà totale. Il capro espiatorio sarà il primo ad andarsene per cercare la sua indipendenza lontano dal nucleo famigliare disfunzionale.
Sentimenti
Un genitore narcisista perverso non si assume mai alcun tipo di responsabilità, è sleale, disonesto e bugiardo a dismisura anche con i figli. I sentimenti non processati o non esternati dai figli per quanto riguarda i comportamenti scorretti del padre/madre perversi, se a lungo repressi possono trasformarsi in azioni autolesioniste, depressione o esplosioni d’ira distruttiva nei rapporti interpersonali.
Una volta adulti i figli faticano a comprendere la vera personalità dei genitori perversi e cosa provano per loro.
Subire sin da piccoli questa altalena di situazioni genera un enorme confusione che danneggia e condiziona la vita affettiva dei figli. Compiacere il genitore abusivo perché comunque “è stato bravo e ha un lato buono” è una delle trappole che ci porta a identificare nei partner narcisisti perversi quel qualcosa di famigliare che ci fa “sentirsi a casa” quando li conosciamo.
La negazione e il soffocamento delle emozioni negative nei confronti dei genitori – per le dosi massicce di sensi di colpa inferte dai perversi ai loro figli – diventeranno meccanismi di difesa privilegiati nella fragile psiche degli adulti abusati emotivamente.
Riconoscere di essere stati generati e cresciuti da un padre/madre perversi, anche quando ci siamo allontanati dal sistema è pur sempre un trauma, ma ci aiuta a prevenire l’arrivo dei nuovi vampiri affettivi che cercheranno di bere dalla fonte delle nostre ferite per rinvigorirsi e restare eternamente giovani.
-tratto da
https://psicoadvisor.com/narcisisti-perversi-rapporto-figli-danni-psicologici-4184.html?fbclid=IwAR0VjWD0R1wEQ0F4n5LE3Q6h1n756h8DAymVB7tVWlYyiQHmdU_YuvT8sUo -
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Consulente digital marketing: come aiuta la tua azienda a emergere
Consulente digital marketing: come aiuta la tua azienda a emergere. Esistono tanti modi per vendere un prodotto o un servizio alla clientela, ma tra queste strategie, solo una è davvero fondamentale: saper attirare l’attenzione del pubblico. Un’azienda che non riesca ad attirare l’attenzione del pubblico verso i propri prodotti o servizi non sarà mai un’azienda performante capace di affrontare la concorrenza a testa alta e vincere le sfide che le riserva il futuro. Più passa il tempo e più ci addentriamo nell’era digitale, più diventa complicato attirare l’attenzione del pubblico il quale è sommerso da una valanga di input e informazioni in continua crescita. Per differenziarti devi imparare a comunicare in maniera diversa dagli altri, soprattutto online e sfruttando le potenzialità del digitale, in modo da trovare il giusto posizionamento del tuo business. Una figura professionale di riferimento che può aiutarti a definire le strategie del tuo nuovo modo di comunicazione per un migliore posizionamento sul mercato, è un consulente digital marketing. Consulente digital marketing: raggiungere il successo differenziandoti dalla concorrenza Per ottenere risultati positivi online c’è chi le prova davvero tutte. Alla fine, però, tutto quello che ottiene è solo uno spreco di tempo, denaro e tanta frustrazione perché il successo non arriva nemmeno dopo aver insistito a lungo. Però non potrebbe essere altrimenti perché se si fa tutto da soli senza affidarsi a un esperto consulente digital marketing, i risultati non potranno che essere insoddisfacenti generando altra ansia e frustrazione. È ora di dire basta a tutto ciò. È ora di conoscere più da vicino la figura del consulente digital marketing e capire in che modo le sue strategie di marketing e la sua competenza in web marketing management possono essere il rimedio che stavate cercando per far decollare il vostro business on line e non solo. Un consulente digital marketing è quella precisa figura professionale che aiuta imprenditori e professionisti a trovare la più adatta strategia di marketing digitale a partire dal posizionamento sul mercato per ottenere risultati online senza più sprechi di tempo e denaro. Solo un consulente digital marketing è in grado di proporre a un’azienda o a un professionista la strategia di marketing digitale più adatta alle sue esigenze. Un consulente digital marketing analizza dettagliatamente il mercato e la concorrenza ed è in grado di trovare l’idea differenziante del tuo brand, nonché individuare il profilo del tuo cliente ideale. Infatti come puoi pensare di vendere un prodotto o un servizio se non sai di preciso a chi ti stai rivolgendo? L’analisi e l’individuazione del cliente ideale (avatar) è un passo fondamentale per diventare leader sul mercato in qualsiasi settore, e il ruolo del consulente digital marketing è proprio questo: analizzare la tua nicchia di business per aiutarti a emergere e ottenere risultati grazie al digital marketing. In poche parole, rispetto ad altri professionisti o agenzie web, un bravo consulente digital marketing individua la strategia di marketing digitale più adatta alla vostre esigenze attraverso una consulenza personalizzata, una consulenza che oggi è determinante per avere o meno risultati online, oltre a numerosi altri vantaggi. Tutti i vantaggi nell’affidarsi a un consulente digital marketing Il primo tangibile vantaggio nel rivolgersi a un professionista e consulente digital marketing è quello di individuare una volta per tutte i valori differenzianti della tua attività, cioè portare a galla e saper comunicare al pubblico le potenzialità dei tuoi prodotti o servizi. Potresti possedere il prodotto in grado di rivoluzionare il mondo e non saperlo. Potresti essere seduto su una miniera d’oro ed essere ignaro di tutto perché, se non comunichi on line in modo preciso e sapiente, la clientela non saprà mai della tua esistenza e tutto quello che offri rimarrà nell’ombra, facendoti lentamente sprofondare nel fallimento. Per emergere devi scoprire il tuo target di riferimento e comunicare con le sue stesse parole per renderti immediatamente riconoscibile. Non è un processo semplice. Per questo esiste la figura del consulente digital marketing, il professionista del digitale in grado di farti raggiungere il successo differenziandoti dalla concorrenza senza sprecare tempo e denaro. Un consulente digital marketing analizza il tuo business, il tuo mercato, verifica a che punto è la tua presenza digitale, trova l’idea differenziante che renderà unico il tuo prodotto e dopo la messa in pratica di una strategia condivisa, porterà la tua attività da zero a mille in un baleno. Ecco perché sempre più aziende scelgono di affidarsi a un consulente digital marketing, figura professionale richiestissima non solo in Italia, ma in tutto il mondo, un mondo sempre più moderno e digitalizzato in cui un consulente digital marketing mescola tecnica, capacità e talento per far ottenere ai suoi clienti tutto ciò che hanno sempre desiderato: il successo.... Read the full article
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Condividiamo e sosteniamo l’appello in sostegno ad Aldo Milani, coordinatore nazionale del SI Cobas, ingiustamente accusato di estorsione a seguito di un ciclo di scioperi nel settore della macellazione carni nella provincia di Modena, e contro il quale il PM ha chiesto una condanna di 2 anni e 4 mesi nel processo che si concluderà a fine marzo, e a tutti i sindacalisti e attivisti colpiti dalla #repressione, sotto processo o sottoposti a misure restrittive a seguito di scioperi e agitazioni sindacali
In difesa del coordinatore nazionale del Si Cobas Aldo Milani, per il quale a breve si arriverà a sentenza con una richiesta di condanna a 2 anni e 4 mesi. In difesa dei sindacalisti e dei solidali colpiti dalla repressione.
Da circa dieci anni il mondo della logistica, uno dei settori-cardine dell’economia italiana e mondiale, è attraversato con cadenza quasi quotidiana da scioperi e agitazioni sindacali.
Contrariamente a quanto accadeva nel secolo scorso, quando il movimento dei lavoratori si mobilitava quasi sempre per conquistare leggi e contratti migliorativi rispetto a quelli già esistenti, nella logistica le agitazioni sindacali sono state innescate da uno status quo caratterizzato dalla palese e sistematica violazione dei Contratti Collettivi Nazionali di lavoro e delle più elementari tutele legislative in materia di salario, orari e sicurezza.
Questo movimento, indipendentemente dalla condivisione o meno delle pratiche adottate e dei metodi di lotta e di contrattazione con la controparte, ha avuto due indubbi meriti: da un lato ha restituito diritti e dignità a migliaia di lavoratori (in gran parte immigrati) fino ad allora senza voce, di fatto ridotti a una condizione di semischiavitù, sottopagati, ricattati, soggetti a orari, ritmi e carichi di lavoro inumani, privati del diritto a ferie e malattia, spesso defraudati del Tfr e privi di ogni tutela e/o rappresentanza sindacale; dall’altro ha fatto venire alla luce un fitto e intricato sottobosco di illegalità, evasione fiscale, fallimenti pilotati, speculazioni e infiltrazioni della malavita organizzata, rese possibili da una concorrenza spietata tra grandi, medie e piccole aziende in nome della rincorsa estenuante e senza freni all’abbattimento dei costi. Questo sistema ha trovato nelle cooperative e nelle ampie agevolazioni fiscali e normative previste nella nostra legislazione per questa “ragione sociale”, lo strumento cardine per dar vita a una vera e propria giungla di appalti e subappalti, spesso affidati a cooperative “spurie” le cui modalità operative e di gestione della manodopera ricalcano fedelmente quel sistema del caporalato che il movimento operaio e bracciantile del secolo scorso misero fuorilegge a seguito di lunghe e aspre battaglie sindacali e politiche. In quest’ottica non è un caso se il nostro ordinamento penale considera tuttora l’intermediazione illecita di manodopera e lo sfruttamento del lavoro nel novero dei “delitti contro la persona e contro la libertà individuale” (art. 603 bis c.p.), prevedendo per questi reati congrue pene, anche se poi è rarissimo vederle effettivamente applicate.
Il movimento dei lavoratori della logistica, estesosi negli ultimi anni a importanti filiere dell’agroalimentare, delle ceramiche, del commercio e dei metalmeccanici, rappresenta oggi uno degli esempi più nitidi di quanto sia sempre più marcata la distanza tra legge formale e legge sostanziale: in questi anni Questure e Prefetture hanno troppe volte affrontato gli scioperi e le agitazioni sindacali (promossi quasi sempre dalle sigle di base SI Cobas e Adl Cobas) trasformandoli in un mero “problema di ordine pubblico”, sottovalutando o ignorando quel contesto di illegalità, di supersfruttamento e di soprusi che porta a tali agitazioni. Il paradosso di ciò che sta avvenendo è che in tantissime delle principali filiere della logistica, solo grazie a determinate forme di lotta, che in alcuni casi vengono considerate illegali, (blocchi ai cancelli, manifestazioni spontanee che finiscono col bloccare le strade di accesso ai magazzini, scioperi improvvisi) si è riusciti a portare legalità, a far rispettare le leggi dello Stato in materia di diritti sul lavoro, di sicurezza, di rispetto delle normative in materia fiscale e contributiva. Non solo ma in alcune circostanze il lavoro di denuncia fatto da SI Cobas e Adl Cobas di casi palesi di caporalato e di forme di rapporti di tipo schiavistico, ha portato all’apertura di procedimenti giudiziari e anche ad arresti di caporali o di imprenditori privati o legati alle cooperative. In assenza di tutto ciò il mondo della logistica sarebbe ancora un mondo attraversato interamente da illegalità e da organizzazioni criminali. Questo paradosso si è tradotto in centinaia di cariche fuori ai cancelli, procedimenti penali e amministrativi, fogli di via e DASPO urbani nei confronti di lavoratori e delegati sindacali che nella gran parte dei casi rivendicano nient’altro che il rispetto delle leggi e dei contratti nazionali. Da tale quadro a tinte fosche emerge in maniera sempre più evidente un uso arbitrario, strumentale e unilaterale delle norme del codice penale, teso a schiacciare il dissenso e colpire i settori più oppressi della nostra società: un quadro che rischia di peggiorare ulteriormente con la recente approvazione da parte del governo Conte del DL Sicurezza, il quale, tra l’altro, prevede condanne fino a 12 anni per il reato di “blocco stradale” (e, contestualmente, il rimpatrio immediato per quei lavoratori immigrati che prendono parte a tali iniziative) e i cui effetti immediati sono apparsi già evidenti con la “militarizzazione” di alcune delicate vertenze, come dimostrano i casi emblematici di Italpizza a Modena, della Toncar a Muggiò, e della DHL di Carpiano, dove in questi giorni un impressionante dispositivo di polizia e carabinieri (una decina di blindati più un idrante) è intervenuto per spezzare la protesta operaia contro 4 licenziamenti politici. Altrettanto indicativa è una recente sentenza del tribunale di Milano con condanne fino a 2 anni e 6 mesi contro membri del SI Cobas e del Centro sociale Vittoria per un picchetto di alcuni anni fa, avvenuto senza alcuna tensione, tant’è che lo stesso p.m. aveva chiesto l’assoluzione per tutti gli imputati, per non parlare delle centinaia di denunce inoltrate nei confronti di altrettanti lavoratori e attivisti per violenza privata o blocco stradale.
Contro le lotte nella logistica c’è un accanimento repressivo tutto speciale, ma non si tratta, però, solo di questo settore. La lunga vicenda che ha visto FCA licenziare e perseguitare 5 operai di Pomigliano “colpevoli” di avere con tenacia irriducibile denunciato le gravi, e perfino mortali, conseguenze delle politiche aziendali, la sequenza di provvedimenti repressivi contro i movimenti sociali (dal No Tav alle lotte per la casa) e il clima di intimidazione che si sta creando nelle scuole contro chiunque dissenta dalle direttive di revisionismo storico, ci dicono che si vuole mettere in discussione, oltre il diritto di sciopero e le libertà sindacali, ogni forma di conflitto sociale, comunque agìta, nonché le più elementari forme di auto-difesa dei lavoratori e la stessa libertà di critica e di opinione.
La vicenda giudiziaria che ha colpito il coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani è da questo punto di vista paradigmatica: un militante sindacale di lunga lena, prima arrestato e tenuto per tre giorni in carcere al termine di una trattativa sindacale con l’accusa di estorsione ai danni della famiglia Levoni (imprenditori attivi nel settore delle carni nel modenese e indagati per corruzione), sbattuto in fretta e furia in prima pagina su stampa e media alla stregua di un criminale, e ora alle prese da due anni con un estenuante processo in cui sul banco degli accusatori figurano imprese e cooperative dedite allo sfruttamento intensivo di manodopera immigrata e ultraricattata. Un processo che, nel corso del dibattimento, ha fatto emergere da un lato il livello di complicità e connivenze tra imprenditoria privata e organi centrali e periferici dello stato, dall’altro la totale estraneità di Aldo Milani alle accuse mosse. A fronte di una situazione che assume connotati grotteschi, nell’ultima udienza il PM è arrivato a richiedere per il coordinatore nazionale del SI Cobas una condanna “ridotta” a 2 anni e 4 mesi, in quanto quest’ultimo meriterebbe l’attenuante di avere agito per un “alto valore morale”, cioè non chiedendo soldi per sé, bensì per i lavoratori licenziati in sciopero” (!!!)…. Al di là del fatto che la vertenza Levoni aveva caratteristiche del tutto simili ad una infinità di altre vertenze nelle quali il compito del sindacato è quello di preoccuparsi di far avere ai lavoratori tutto il dovuto per le retribuzioni arretrate, per TFR e spettanze di fine rapporto ed eventualmente forme di riconoscimenti economici per i lavoratori a fronte di conciliazioni, da parte del PM, si cerca di criminalizzare una normale vertenza sindacale prospettando una condanna molto pesante attenuata dall’alto valore morale.
Questo inedito tentativo di “salvare capra e cavoli” equiparando un sindacalista ad un Robin Hood che “estorce” ai ricchi per dare ai poveri, a nostro avviso costituisce un pericolosissimo precedente giurisprudenziale.
Essendo oramai chiaro anche agli organi inquirenti che Milani non solo non ha estorto soldi ai Levoni al fine di trarne un arricchimento personale, ma non ha messo in atto alcuna pratica estorsiva, agendo invece nel pieno delle sue prerogative di rappresentante sindacale, mettendo in atto forme di lotta e di iniziativa sindacale lecite al fine di impedire il licenziamento di 55 lavoratori, e soprattutto di garantire che a questi ultimi venissero pagate quelle spettanze e quei versamenti contributivi che i datori di lavoro illecitamente si rifiutavano di liquidare, è evidente che una condanna penale nei suoi confronti può aprire una profonda breccia nel nostro sistema di relazioni industriali: se ogni richiesta economica e monetaria a favore dei lavoratori diventa passibile di essere qualificata come reato di estorsione, allora l’esercizio dell’attività sindacale è messo in discussione fin nelle sue fondamenta.
Per questo motivo, facciamo appello al Tribunale di Modena affinché tenga conto delle gravi implicazioni derivanti da una eventuale sentenza di condanna nei confronti di Aldo Milani, del carattere antidemocratico e anticostituzionale della tesi accusatoria, e chiediamo dunque con forza la sua piena assoluzione.
Al contempo, chiediamo a tutte le forze politiche, sociali e sindacali sinceramente democratiche, agli esponenti del mondo giuridico, accademico, dell’arte, della cultura e dello spettacolo di sottoscrivere questo appello per la piena assoluzione di Aldo Milani dalle accuse intentate e di avviare una campagna per la depenalizzazione totale del reato di “blocco stradale” per ragioni sociali o sindacali e per sancire il divieto dell’utilizzo dei reparti-celere in occasione di agitazioni sindacali all’esterno dei luoghi di lavoro.
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L’anima dei robot
Dovremo smettere di trattare le intelligenze artificiali come semplici oggetti?
Costretti a lavorare senza sosta, privati di qualunque forma di libertà e sopprimibili a nostra discrezione. E se l’uomo, senza neanche rendersene conto, stesse per dare vita a una nuova forma di schiavitù, le cui vittime non sono più esseri umani o animali, ma robot e software intelligenti? La domanda sembra assurda. La prospettiva che un giorno possa emergere una forma di intelligenza artificiale in grado di agire e ragionare a un livello pari a quello dell’essere umano è al momento ancora remota, è vero. Eppure già oggi c’è chi si dedica ad affrontare temi che sembrano usciti da film come Ex Machina o Westworld.
“Consideriamo, per esempio, lo scenario di un team di IA di livello umano (…) che siano confinate in una realtà virtuale e obbligate a lavorare come schiavi (…)”, scrive il professore di Robotica cognitiva Murray Shanahan in La rivolta delle macchine (LUISS University Press, 2018). “Si supponga che a queste IA fosse impedito di fare qualsiasi altra cosa che non sia lavorare a problemi determinati dai loro possessori e padroni umani. (…) Dopo aver lavorato per un po’, le copie più promettenti vengono tenute; quelle che non hanno lo stesso successo vengono invece terminate. Se queste fossero lavoratori umani, condizioni del genere verrebbero considerate più che brutali. Le IA non hanno vita oltre il lavoro, e vengono costantemente minacciate di morte se operano in maniera insufficiente”.
Rispetto a questo scenario, ciò che oggi ancora manca è un grado di sofisticazione tale da farci sospettare che i software possano essere considerati alla stregua di individui o persone. Ma come faremo ad accorgerci di aver oltrepassato il limite? Quand’è che un’intelligenza artificiale non può più essere trattata come un semplice oggetto?
L’inconveniente di essere nati
Seguendo la linea di pensiero del filosofo Jeremy Bentham (ripreso proprio da Shanahan), il nostro dovere morale nei confronti delle intelligenze artificiali sottoposte a forme estreme di schiavitù dovrebbe scattare solo ed esclusivamente dopo aver risposto a una domanda: possono soffrire? Ciò su cui dobbiamo interrogarci, quindi, non è quanto queste IA siano in grado di effettuare ragionamenti complessi, e neanche se siano o meno in grado di parlare, ma solo ed esclusivamente se possano soffrire; una condizione che presuppone che questi software e robot siano dotati di una caratteristica particolare: la coscienza.
“Se le IA fossero ‘automi senza cervello’ alle quali manca una coscienza, e con essa la capacità di soffrire, tutto ciò non avrebbe importanza”, scrive sempre Shanahan. Sviluppare una forma di coscienza è quindi il prerequisito per poter soffrire, che a sua volta è la condizione necessaria perché si possa considerare lo sfruttamento delle intelligenze artificiali come una forma illegittima di schiavitù. Messa così, la questione sembra presto risolta: perché mai dei software dovrebbero avere coscienza? Possiamo tranquillamente continuare a insultare Siri e a far lavorare come uno schiavo il nostro robot-aspirapolvere; in attesa, un domani, di sfruttare senza sosta il nostro assistente virtuale, ormai talmente evoluto da fare concorrenza alla intelligenza artificiale con la voce di Scarlett Johansson vista in Her di Spike Jonze. Oppure no?
Quello su cui interrogarci non è se le intelligenze artificiali siano in grado di effettuare ragionamenti complessi, ma se possano soffrire.
“Tre attributi cognitivi che sembrano essere non solo necessari per avere una coscienza, ma anche strettamente correlati sono: (1) un senso di scopo manifesto, (2) una consapevolezza del mondo e di quanto succede, (3) la capacità di integrare conoscenza, percezione e azione”, si legge in La rivolta delle macchine. È infatti attraverso questi tre attributi cognitivi che siamo in grado di attribuire una coscienza a buona parte delle forme di vita animali presenti sulla Terra: “Quando vediamo un animale che dà la caccia a un altro (come un gatto con un topo), immediatamente attribuiamo un senso di scopo a entrambi: un animale vuole acchiappare l’altro, e l’altro vuole scappare. (…) Un animale manifesta una consapevolezza rispetto a ciò che lo circonda quando percepisce la situazione in atto e a essa reagisce in maniera coerente con i propri obiettivi e desideri (…). Infine, un animale dimostra una completa integrazione cognitiva quando le sue azioni non solo sono coerenti con quanto percepisce di ciò che lo circonda, ma anche con quanto percepito in passato e con quanto ha imparato di conseguenza”.
In poche parole, nel momento in cui un essere (naturale o artificiale che sia) si dimostra in grado di manifestare il proprio scopo, di avere consapevolezza di ciò che lo circonda e di poter utilizzare le sue conoscenze pregresse per agire con accresciuta efficacia, tutto ciò significa una cosa sola: siamo in presenza di un essere dotato di coscienza. E le intelligenze artificiali? “Gli aspirapolvere robot o le automobili senza pilota mostrano entrambi un certo grado di consapevolezza rispetto all’ambiente circostante, e sono in grado di rispondere agli eventi in corso in maniera coerente con i propri principi elementari”, prosegue Shanahan. “Gli assistenti personali virtuali non danno la stessa impressione di autonomia o di scopo, però possono integrare informazioni di vario tipo da fonti differenti, comprese le abitudini di navigazione, i dati GPS, le voci in agenda e così via. Con la convergenza e complessità via via crescenti di queste tecnologie, diventerà più completa l’illusione che ci sia un’entità simile a una mente dietro a uno schermo e una voce. E allora, questa IA superintelligente? È difficile vedere come un sistema potrebbe possedere un’intelligenza forte, per non parlare di una superintelligenza, a meno che non esibisca quei tre attributi cognitivi”.
Le intelligenze artificiali mostrano già oggi, almeno in parte, gli attributi che determinano la presenza di una coscienza; e con l’evoluzione di questi sistemi diventerà sempre più difficile archiviare la questione “coscienza dei robot” con un’alzata di spalle. C’è però un aspetto chiave ancora da affrontare, riassunto nella parola “illusione” utilizzata da Shanahan: come possiamo essere sicuri che un’intelligenza artificiale estremamente evoluta, in grado di sfruttare l’esperienza, di avere consapevolezza di ciò che lo circonda e di agire con un chiaro senso di scopo non stia solo simulando di possedere tutte queste caratteristiche (rispondendo invece solo a ciò che è inscritto nel suo codice)?
Fa male quando ti sparano?
Nel momento in cui una self driving car sceglie in autonomia la strada migliore per arrivare a destinazione, reagisce agli imprevisti che si presentano lungo il percorso e utilizza quanto appreso nei tragitti precedenti per ridurre al minimo il rischio di incidente, siamo in presenza di un essere cosciente o ne abbiamo solo l’illusione? E se vi sembra una domanda dalla risposta scontata, che dire di un robot maggiordomo che si muove con sicurezza nel nostro appartamento, conosce a memoria i nostri gusti e le nostre abitudini, risponde a tono ogni volta che interloquiamo con lui e manifesta esplicitamente il suo desiderio di servirci nel modo migliore; in questo caso, siamo di fronte a un essere dotato di coscienza o davanti a qualcosa che, più semplicemente, sembra solo esserne dotato?
Questa domanda apre le porte a ciò che Shanahan chiama il “problema difficile” della coscienza, la “difficoltà di spiegare in termini scientifici perché una creatura cosciente è un qualcosa (per usare la terminologia di un altro filosofo, Thomas Nagel). Come mai abbiamo sensazioni ed emozioni soggettive? Come mai l’esperienza visiva soggettiva che sto avendo in questo istante (…) riesce a manifestarsi nel mio cervello? Il problema, in questo caso, sorge quando guardo con sospetto i miei compagni di viaggio. Quale che sia il loro comportamento, qualunque cosa facciano o dicano – anche se guardano nostalgici il panorama e commentano la sua bellezza – è sempre possibile che non stiano provando nulla. Non ho accesso al loro mondo interiore privato, quindi come faccio a essere certo che ne abbiano uno? Magari sono solo zombie, o degli automi”.
Le IA mostrano già alcuni attributi che determinano la presenza di una coscienza; con l’evoluzione di questi sistemi diventerà sempre più difficile archiviare la questione “coscienza dei robot”.
In questo modo, la questione viene ribaltata: invece di chiederci se un’intelligenza artificiale possa davvero avere una coscienza (o se stia invece soltanto simulando di averne una), la domanda da porci è come essere certi che le persone che ci circondano siano davvero dotate di coscienza o non stiano (inconsapevolmente) fingendo. È la questione del cosiddetto zombie fenomenologico: in un articolo pubblicato su Aeon, sempre Shanahan ha richiamato uno dei filosofi più citati quando si tratta di affrontare il tema della coscienza di un automa: Ludwig Wittgenstein. “Riflettendo sul fatto che un suo amico potrebbe essere un semplice automa – o uno ‘zombie fenomenologico’, come diremmo oggi – Wittgenstein nota di non poter essere sicuro che il suo amico abbia un’anima. Piuttosto, ‘la mia attitudine nei suoi confronti è l’attitudine nei confronti di qualcuno dotato di un’anima (dove per ‘avere un’anima’ possiamo interpretare qualcosa di simile a ‘essere coscienti e capaci di provare gioia e sofferenza’). Il punto è che, nella vita di tutti i giorni, non ci mettiamo a pesare tutte le prove che abbiamo a disposizione per concludere se i nostri amici o amati siano creature coscienti come noi o meno. Semplicemente, li vediamo in questo modo e li trattiamo di conseguenza. Non abbiamo alcun dubbio su quale sia il corretto atteggiamento da tenere nei loro confronti”.
D’altra parte, non possiamo chiederci ogni volta che incontriamo un essere che ci sembra intelligente se lo sia davvero o se si stia solo comportando come tale. Il punto, anzi, potrebbe proprio essere che se qualcuno è in grado di comportarsi in modo intelligente significa che è intelligente. E che quindi vada trattato come tale. Tutto questo, a maggior ragione se – rispondendo alla domanda fondamentale di Nagel – non possiamo negare alle macchine nemmeno la possibilità di provare dolore: “In una scena di Terminator 2, John Connor chiede al suo protettore robot: ‘Fa male quando ti sparano?’. Terminator risponde: ‘Percepisco un infortunio, questo dato può essere chiamato dolore’. Materialisti come Thomas Hobbes sarebbero stati d’accordo”, ha scritto lo scienziato informatico Adam Trischler. “Forse il dolore è semplicemente la confluenza di due segnali, uno indica uno stimolo esterno negativo e l’altro l’obiettivo dell’autoconservazione”.
Problemi di coscienza
In sintesi, delle intelligenze artificiali estremamente evolute sarebbero necessariamente in grado di soddisfare i tre attributi che dimostrano la presenza della coscienza, potrebbero provare dolore e, se volessimo capire se esse stiano solo simulando di essere coscienti, ci metterebbero di fronte all’impossibilità di determinare con certezza quando la coscienza è reale o simulata. A questo punto, non sembra esserci via d’uscita: nel momento in cui ci troveremo davanti a delle intelligenze artificiali forti, che si comportano come se fossero delle persone, non avremo altra scelta che trattarle come persone. E quindi, attribuire loro alcuni diritti. Quali e quanti diritti? Il diritto di voto, il diritto di opinione, quello di candidarsi in politica? Per evitare di allontanarci ancor più dal mondo della scienza ed entrare a piedi uniti in quello della fantascienza, ci si può limitare a due diritti essenziali che vanno riconosciuti a ogni essere “dotato di ragione e di coscienza” (come recita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo): il diritto alla vita e alla libertà (che impedisce di tenere “un individuo in stato di schiavitù e servitù”). “Sotto un profilo morale, se una IA fosse in grado di soffrire, i suoi creatori sarebbero eticamente obbligati a garantire il suo benessere”, si legge sempre nel saggio di Shanahan. Di conseguenza, se una IA desse davvero prova di coscienza e di sofferenza non potremmo in alcun modo sottoporla a schiavitù, obbligandola a lavorare 24/7, e soprattutto non potremmo arrogarci il diritto di spegnerla o terminarla (in una parola: ucciderla) nel momento in cui non svolgesse le sue funzioni in modo adeguato.
Ma potrà mai davvero sorgere un’intelligenza artificiale non solo estremamente intelligente, ma anche dotata di coscienza e, quindi, destinata a venire trattata come un essere vivente altamente sofisticato? Sul tema, si registrano ancora nette divisioni: se autori come Shanahan ritengono che da una vera intelligenza scaturisca quasi inevitabilmente una forma di coscienza, altri, come Luciano Floridi, ritengono che una AI di questo tipo sia “logicamente possibile ma estremamente improbabile” e che queste speculazioni siano una semplice distrazione da temi più pressanti (per esempio, i rischi nascosti dietro a ciò che viene chiamato il “pregiudizio dell’algoritmo”). E poi c’è chi, come Antonio Damasio, ritiene semplicemente impossibile che un software di intelligenza artificiale sviluppi una coscienza: “L’idea errata che il cervello sia l’unico a produrre la coscienza porta anche all’idea, destinata a fallire, che si possa ricreare un essere vivente attraverso l’intelligenza artificiale. Non è così”, ha spiegato a Il Tascabile il neuroscienziato statunitense. “Si può creare qualcosa di simile. (…) Possono essere e sono già super super intelligenti. Ma possono sentire? Possono essere coscienti? No, perché non hanno un corpo. I sentimenti non possono essere inventati: si possono simulare, ma la simulazione non è creazione”.
Ma se la simulazione diventasse indistinguibile dalla realtà e se l’evoluzione della robotica (che procede a enorme velocità) fornisse a queste macchine un vero e proprio corpo? È vero, probabilmente ci troviamo di fronte a discorsi che fanno la gioia dei filosofi analitici ma che rischiano di non avere mai nessuna ricaduta nel mondo pratico. Se però ci fosse anche solo una minima possibilità che, un domani, esseri di questo tipo facciano davvero la loro comparsa, noi umani non abbiamo altra scelta: dobbiamo farci trovare preparati.
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L' Ambiente esterno come influisce sull'Impresa?
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L' Ambiente esterno come influisce sull'Impresa?
L’ambiente esterno entra in gioco in almeno tre modi diversi:
ambiente competitivo;
dinamiche ambientali;
contesto locale
L’ambiente esterno entra in gioco in almeno tre modi diversi:
ambiente competitivo;
dinamiche ambientali;
contesto locale
Ambiente competitivo
Le condizioni competitive di un settore sono il risultato di una serie di pressioni o forze riconducibili a 5 aree (Modello di Porter delle 5 forze competitive).
Pressioni competitive indotte dalla natura della concorrenza (numero di imprese che realizzano lo stesso prodotto o servizio, livello di differenziazione dell’offerta, rapporto costi fissi/costi variabili, etc).
Pressioni competitive associate alla minaccia di nuovi entranti (le pressioni saranno contenute se ci sono alte barriere all’ingresso, del tipo: economie di scale, economie di apprendimento, livello alto di differenziazione, risorse complementari – canali distributivi, produzione – importanti e scarsi, ecc.).
Pressioni competitive derivanti dal tentativo degli operatori di altri settori di attirare gli acquirenti con prodotti sostitutivi.
Pressioni competitive generate dal potere contrattuale dei fornitori e dalla collaborazione tra fornitori e venditori.
Pressioni competitive generate dal potere contrattuale dei clienti e dalla collaborazione fra questi e i venditori.
Dinamiche ambientali
Ci focalizziamo su 4 dinamiche ambientali:
Dinamiche politiche/normative e incentivi Cambiamenti a livello normativo e istituzionale, leggi, incentivi dello Stato, politiche per la valorizzazione dei risultati della ricerca, politiche di attrattività dei territori, politiche di finanziamento e accesso al credito, ecc.
Dinamiche tecnologiche Cambiamenti nelle tecnologie (Industria 4.0, Intelligenza Artificiale, Big data, digitalizzazione, quantum computing, etc).
Dinamiche sociali e demografiche Cambiamenti della società, dei costumi, dei modi di vivere. Un esempio è rappresentato dalla Sharing economy o anche dalla Gig economy (economia dei “lavoretti”, che vede il lavoro flessibile dei freelance in alternativa ad occupazioni stabili lavorative), nuove professioni social e legate alle piattaforme digitali; invecchiamento della popolazione; innovazione sociale, ambientale, sostenibile, economia circolare, etc.
Dinamiche Economiche Cambiamenti nella congiuntura economica: andamento globale dell’economia, recessione, inflazione, occupazione, etc.
Il contesto locale
Il contesto locale può offrire minacce e opportunità. Perché l’innovazione in certi luoghi è fiorente mentre in altri non riesce ad emergere? Gli ecosistemi si possono costruire o nascono spontaneamente? Quali sono gli attori e i fattori chiave di un ecosistema imprenditoriale tali da permettere lo sviluppo di start-up di successo, e di attrarre nuovo capitale umano, finanziario e sociale?
Un ecosistema è un insieme di attori imprenditoriali interconnessi, organizzazioni imprenditoriali, università, agenzie del settore pubblico, imprese grandi e piccole, organismi finanziari, ecc.
Un ecosistema ricco favorisce il successo dell’innovazione. Ecosistemi innovativi di successo sono rappresentati dal contesto Israeliano, dal contesto di Berlino, Londra, Silicon Valley. Hanno caratteristiche diverse. Non esiste la ricetta dell’ecosistema ideale che vada bene per tutti. L’ecosistema che funziona è anche frutto della storia, della tradizione e dei valori di un territorio.
È sbagliato guardare agli ecosistemi internazionali che funzionano e cercare di copiarli. Piuttosto, è importante comprenderne gli elementi e ingredienti di successo e cercare di crearne di nuovi nel rispetto delle specificità dei territori e delle loro imprese.
Uno strumento di analisi dell’ambiente – PESTEL
L’analisi PESTEL (acronimo composto dalle iniziali dei termini che definiscono le fondamentali aree di indagine: Politica, Economica, Sociale, Tecnologica, Legale e Ambientale) è una metodologia che si basa su alcuni fattori del contesto esterno che riescono a tratteggiare lo scenario esistente dell’ambiente in cui opera un’azienda.
L’analisi ha l’obiettivo di individuare quali dei fattori possono essere rilevanti nel processo decisionale, nelle scelte strategiche e operative dell’organizzazione.
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