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IL SEGRETO PER I NR 1 AL MONDO?
IL SEGRETO DEI NR 1 PER AVERE ENERGIA TOP DEL TOP E A COMANDO… Con questo audio mp3 DCS di autoipnosi Vera e Professionale, dal titolo: ENTUSIASMO H24 (ENERGIA TOP A COMANDO TUTTO IL GIORNO) ENTUSIASMO H24 (ENERGIA TOP A COMANDO TUTTI I GIORNI) – Metodo DCS tu guiderai la tua mente o la mente del tuo caro a trovare la soluzione al problema mentale e fisico che, magari, non ti fa vivere da…
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Alla fine di tutto penso che ci siano semplicemente giorni in cui si è "predisposti" a sentirsi belli.
Si, insomma, quei giorni in cui non noti tutte quelle cose che altri giorni invece ti pesano; ci sono invece quei giorni in cui sembra che nulla vada bene, le braccia un po' cicciottelle, le gambe un po' cicciottelle, la pancia che magari non è piatta se non quando sei distesa
E stesso in questi giorni guardacaso neanche i capelli che tanto ami vengono bene, in nessuna maniera eh, e il viso?
Oddio però non ho un viso così brutto, eppure se non mi trucco almeno un po' non mi sento tanto a mio agio.. dovrei uscire con questo cerchio nero sotto agli occhi? Ma perché sembra sempre che ho i baffi pure dopo averli fatti? Mettiamo un po' di correttore qua e là e magari si toglie tutto
Vabbè però il correttore mica ti toglie l'insicurezza
Eppure guardandomi, eccomi qua, mica so così brutta? In fondo no, ma ho bisogno di essere "predisposta"
E nei giorni in cui sono predisposta semplicemente tutto quello che vedo scompare, e penso: ma forse sono solo io a vedere tutte queste cose? Queste piccolezze, ma chi è che le va a guardare? Eppure alcuni giorni pesano così tanto che dopo aver messo l'armadio sottosopra passa anche la voglia di prepararsi per bene per uscire
Eh ma poi tu già ti senti brutta, poi non ti vuoi manco preparare?
Chiaro, dopo mi sento ancora peggio
Ma quando mi sento bella invece mi preparo ancora meglio e mi sento ancora più bella
Allora come funziona?
In teoria dovrei semplicemente accettarmi e basta, certo mangiare sano, ma accettare questa corporatura
Ultimamente sono ingrassata di due kili e vabbè magari leggendo, se state ancora leggendo, penserete "e che sarà mai?" E in effetti è vero, non è tanto il numero sulla bilancia il problema, ma è il fatto che a vederli su di me dopo averne persi 10 pesa così tanto che non sembrano solo 2
A volte penso che la gente se sapesse quello che penso realmente di me penserebbe che sono solo stupida e che magari "c'è gente che vorrebbe averlo il corpo come il tuo"
Ma come si fa quando vorresti essere più magra, semplicemente più piccola in generale
Allora mi auguro in futuro di sentirmi più predisposta a sentirmi bella per un periodo di tempo abbastanza lungo da superare il tempo in cui non lo sono
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Prepotente e sfacciato
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"Silvana, ti mando questo messaggio perché non ce la faccio più. Io penso, anzi: sono sicuro che tu segretamente nel letto ti tocchi pensando a me. Certo: fai la sostenuta, davanti agli altri che ballano sulla pista impegnati nella danza. Vieni a scuola di ballo due volte a settimana. T'accompagna tuo marito. Lui non balla, ma stranamente t'ha chiesto di vestirti sempre più provocante."
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"Da quella prima volta, dalla sera in cui ha visto come ballavamo insieme, ma persino lui ha capito che ti desidero, che ti stringo come se volessi portarti a letto subito. E ha percepito che tu rispondi al mio corpo. Infatti, per ballare ormai, come partner per la lezione cerchi sempre e solo me. Anche se gli dici che ti sto sulle palle e che ti stringo troppo. Però quando arrivi, i tuoi occhi cercano immediatamente i miei. E per ballare i lenti, il tango, la kizomba, la milonga, non so perché ma mi porti sempre lontano da lui."
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"Così da frapporre molte altre coppie tra noi e il suo sguardo. Da poco hai iniziato anche a respirarmi roca nell'orecchio. Mi sussurri che ti sto soffocando, però quella che si stringe… sei tu! Vuoi farmi morire di passione. Ti devo avere. Dimmi tu quando. Ti voglio. Così smetterai di toccarti sognando che io ti possieda e potremo darci al più grande e proibito dei piaceri. Non preoccuparti troppo di tuo marito: è chiarissimo ormai che lui desidera che io ti scopi. E anche tu non vedi l'ora: confessa."
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"Antonio, ma... sei completamente impazzito? Solo perché metto minigonne plissè, calze velate e camicette di tulle trasparenti nere o bianche senza sotto il reggiseno, non vuol dire che tu mi piaccia e che voglia stimolare la tua libidine. Poi, sai che sono sposata e ho un bambino: non scordarlo. Certo, mio marito non mi tocca spesso. Anzi: è mesi che non mi sfiora. Oddio, ti sto facendo delle confidenze forse troppo intime… scusami!"
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"Dovrei essere offesa dalle tue parole, però! Ma... insomma, per chi mi hai presa? Comunque, a dirla tutta, in fondo sono lusingata dalle tue attenzioni di maschio. Questo si, te lo confesso. Al massimo, ma solo per ringraziarti dell'attenzione e siccome non sono una persona maleducata, ti dico che possiamo prendere insieme un caffè. Solo un caffè rapido. Domani: nel primissimo pomeriggio, subito dopo mezzogiorno. Lui è al lavoro e il bimbo ancora all'asilo, dove mangia anche."
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"Ma poi guarda che massimo alle due devo correre a prenderlo. Ti va bene? Capisco che ti fa piacere, perciò verrò vestita… da ballo. Indosserò anche scarpe tacco dodici. Così, dai: potrai finalmente vedermi in tutta la mia... prorompente femminilità! Ti piacerò ancor di più. Oh, Signore! Ma che mi fai dire... Però so anche che di sicuro non ne approfitterai, da gentiluomo quale sei. Ripeto: solo un caffè, ok? Allora, vengo a casa tua?"
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"Si. Ti aspetto già da adesso. Ti mando l'indirizzo e preparerò il miglior caffè. Il miele ce lo metteranno i tuoi occhi. E la tua voce sarà la musica di sottofondo. Non vedo l'ora. Così domani sera i nostri balli saranno più armonici e fluidi, non credi?"
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"Ah, ah: che scemo! Inizi a non starmi più così tanto sulle palle… Ci vediamo domani. Però… per favore non farne parola con nessuno: sai, potrei morire dall'imbarazzo. Una signora per bene che prende un caffè a casa di un separato più giovane… Potrebbero pensare chissà cosa…"
"Tranquilla. Sono un gentiluomo. Baci."
"Un bacio a te. A domani."
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RDA
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HO UN LINFOMA E FARÒ DEL MIO PEGGIO
Fra un mese compio 51 anni e pochi giorni fa ho scoperto di avere un Linfoma Non Hodgkin. È una patologia abbastanza aggressiva ma è stata presa in tempo. Ed è ben curabile, perché la scienza sta facendo passi da gigante nella cura dei linfomi.
Vivo a pochi passi di distanza da un ospedale all'avanguardia che mi ha preso in carico. Sotto molti aspetti, sono davvero fortunato e privilegiato rispetto a molte persone.
Quale sarà il mio atteggiamento di fronte alla malattia? Mi conosco bene e posso prevederlo, perché c'è una parola che lo definisce con precisione. È una parola significativa, addirittura emblematica, che riguarda il mio tasso di maschitudine alfa. Come potete intuire, non mi riferisco a "guerriero", quindi le metafore belliche possiamo tranquillamente metterle da parte.
La parola misteriosa è "mammoletta". Sì, sarò una mammoletta. Questo vuol dire che non vi darò lezioni filosofiche. Non diventerò un maestro di vita pronto a snocciolare grandi verità come "quello che non ci uccide ci rende più forti", "le sofferenze fanno parte dell'esistenza", "l'importante è apprezzare le piccole cose".
Sarò una mammoletta perché lo sono sempre stato, per esempio quando ho scoperto di avere una massa all'inguine. Era un rigonfiamento, duro come un sasso, grande come una pallina oblunga. La mia reazione? Due settimane senza far nulla. Mi sono detto: "Magari passa. Vuoi vedere che fra qualche giorno non ci sarà più? Non ho voglia di affrontare visite ed esami per un falso allarme. Odio gli ospedali".
Questo mio atteggiamento nasce anche da un'idea completamente sbagliata e irrazionale: la paura che gli esami possano creare malattie dal nulla. In pratica una zona oscura del mio cervello ragiona (si fa per dire) più o meno così: sei perfettamente sano, fai l'esame e ti trovano qualcosa. Lo so, non c'è niente di logico in questa convinzione, ma la mia mente non è mai stata fatta di pura logica.
Per quasi due settimane ho cercato di non pensarci anche perché ero in preda all'imbarazzo. Tra tutti i posti, proprio all'inguine doveva capitarmi? Ma la massa non ha dato cenni di sparizione e alla fine mi sono attivato.
Ho riscritto cinquanta volte il messaggio su WhatsApp prima di inviarlo alla mia dottoressa per fissare una visita, perché ogni volta il testo mi sembrava una molestia sessuale: "Buona sera, dottoressa, ho questa massa dura all'inguine e vorrei chiederle un appuntamento per mostrargliela". "Buona sera, dottoressa, ho un rigonfiamento...". Dopo un numero incalcolabile di tentativi, ho trovato le parole giuste e ho scritto un messaggio asettico, inequivocabilmente sanitario, con un perfetto stile burocratico ospedaliero.
Sono stato una mammoletta nei tre mesi e mezzo necessari per giungere alla diagnosi.
Sono stato una mammoletta nel giorno della TAC con mezzo di contrasto. Quella mattina sono giunto all'ospedale in autobus, dopo una notte insonne. Alla fermata ho controllato la cartella che conteneva i documenti. C'erano referti di ecografie, pareri medici e soprattutto l'impegnativa da presentare per svolgere l'esame. Ho controllato perché sono una persona molto precisa, di quelle che tornano indietro mille volte per verificare di aver chiuso il gas. "Non manca nulla", mi sono detto. Ho rimesso i documenti nella borsa. Ho raccolto le forze, mi sono alzato dalla panchina e ho raggiunto l'accettazione dell'ospedale. Senza la borsa. Vi lascio immaginare questa sequenza di eventi: imprecazione, insulti molto pesanti rivolti contro me stesso, corsa a perdifiato verso la fermata. La borsa era ancora lì. Nessuno me l'aveva fregata.
Per fortuna scelgo solo borse brutte.
Sono stato una mammoletta in occasione della PET, che ha rispettato un copione simile a quello della TAC. Venivo da una notte insonne e non ero in grado di comprendere istruzioni elementari, perché la mia intelligenza svanisce quando affronto esami medici. Mi chiedevano di porgere il braccio sinistro e porgevo il destro. Mi chiedevano il nome e recitavo il codice fiscale.
Sono stato una mammoletta quando mi hanno comunicato il risultato della biopsia. Per un considerevole lasso di tempo non ci ho capito nulla. La mia coscienza era come una trasmittente che passava una musica di pianoforte triste sentita mille volte in TV: quella che certi telegiornali usano per le notizie strappalacrime.
Ora guardo al futuro e la mia ambizione non ha limiti: raggiungerò nuove vette nel campo del mammolettismo. So di essere fortunato per molti motivi: l'ematologo, un tipo simpatico, mi ha rassicurato. Le terapie esistono e sono molto efficaci.
Ma mi lamenterò tantissimo, perché non voglio correre il rischio di essere considerato una persona ammirevole da qualcuno. Non lo ero, non lo sono e non lo sarò mai. Rivendico il diritto di essere fragile e fifone. Lasciatemi libero di essere una mammoletta. Per citare un motto di Anarchik, il mio piano è questo: farò del mio peggio.
[L'Ideota]
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Essere donna vuol dire non essere mai abbastanza belle, brave, casalinghe, mai abbastanza vogliose di cazzo, servili, gentili, dover sempre avere il sorriso mentre si viene prosciugate di ogni energia perché abbiamo trentamila standard da rispettare: dobbiamo essere studiose e acculturate, lavoratrici impeccabili, cuoche, inservienti, caretaker compassionevoli senza che nemmeno ci venga chiesto e dio non voglia che non si possa fare l'amore per un giorno altrimenti il mondo come lo conosciamo potrebbe crollare
E anche facendo tutto questo non possiamo essere così stupide da aspettarci di non essere pugnalate al cuore
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CHI SONO GLI OVER 50?
Sono gli adolescenti e i ragazzi degli anni '70 e '80.
Sono quelli che uscivano in motorino
d'inverno senza casco perche non era
obbligatorio e con i capelli bagnati
e arrivavano con le stalattiti
di ghiaccio in testa.
Sono quelli che si incontravano
al "solito posto" perché nessuno aveva soldi per entrare al bar...quelli che andavano minimo
in due in motorino dopo aver messo insieme le monete per fare miscela.
Sono quelli che la cosa più importante
era trovarsi per la voglia di stare in compagnia... quelli che si scambiavano
i dischi preferiti...quelli che durante le vacanze
estive si cercavano un lavoretto per non chiedere soldi ai genitori.
Sono quelli dell'autostop
per sentirsi liberi.
Sono gli sciami di ragazzi allegri e spensierati come oggi non se ne
vedono più in giro.
Sono quelli che: "O tutti o nessuno".
Erano altri tempi ma per chi li ha vissuti
non li dimenticherà mai....
-Dal Web
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Il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana, furono uccise tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), successivamente chiamate anche Las Mariposas (Le Farfalle), per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Quel giorno le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.
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Nel 1981, nel primo incontro femminista latinoamericano e caraibico svoltosi a Bogotà, in Colombia, venne deciso di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, in memoria delle sorelle Mirabal.
Nel 1991 il Center for Global Leadership of Women (CWGL) avviò la Campagna dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, proponendo attività dal 25 novembre al 10 dicembre nel ricordo, la discussione e la promozione di campagne per i diritti umani.
Nel 1993 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione per l'eliminazione della violenza contro le donne ufficializzando la data scelta dalle attiviste latinoamericane.
Penso non ci possano essere polemiche di alcun tipo nel credere che sia diritto di ogni donna non avere paura di essere seguita per strada, di subire attenzioni indesiderate, di essere pagata lo stesso per le stesse mansioni di un uomo, per essere considerata uguale se voglia o meno una famiglia, se vuole amare chi vuole. E non c'è nessuno dubbio che non può essere negoziato il fatto che c'è un delitto da combattere che avviene contro le donne in quanto donne, nella distorta mentalità di chi sosteneva di volerle bene.
Tutto il resto si può discutere (sui termini, sui tempi, sui modi). Ma quella parte no.
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mi sento strana.
i miei coetanei sono in giro perennemente a fare serata, oppure stanno la maggior parte del loro tempo libero in compagnia di amici, escono, e insomma stare da soli sembra non essere un'opzione. invece per me è normalità tornare dal lavoro e stare a casa, non avere impegni il venerdì o sabato sera, non avere amici da incontrare, cose da fare, o persone con cui stare.
vorrei trovare anche solo una persona come me, con le mie stesse abitudini, con la mia stessa voglia di non avere a che fare con la qualunque solo per un po' di compagnia, perché in fondo mi sento spesso da sola e a volte penso sia meglio essere come tutti, ma quando effettivamente mi affaccio là fuori, mi viene solo voglia di starmene per conto mio. sarà che sono tutti la fotocopia dell'altro, nessuno per cui valga la pena anche solo lontanamente condividere i miei spazi. chissà se incontrerò mai qualcuno che mi farà cambiare idea.
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QUANDO L' ESTATE NON CI FACEVA PAURA
Mi ricordo l'estate di tanti anni fa
faceva caldo
e noi bambini finita la scuola ci ritrovavamo nei cortili al pomeriggio a giocare a qualsiasi cosa, sudati e sporchi ma felici senza che nessuno ci telefonasse o che ci ricordasse che alle sette bisognava tornare per mangiare e che mangiare avremmo dovuto anche se avevamo mangiato il gelato del bar piccolo vicino al semaforo dell'ospedale e le pesche dei vicini campi, di nascosto come se la frutta fosse il tesoro che cercavano i Goonies.
Io mi ricordo che bello quando arrivava la sera e tutti quanti prendevano le sedie e si mettevano all'esterno delle case a parlare di cose tipo il governo che alza le tasse, chi dei conoscenti era partito per il mare, dove fa il figlio di qualcuno il servizio militare, se avevi sentito la nuova canzone e quando arrivavano le zanzare, nessun problema, si accende uno zampirone.
E noi bambini del cortile si giocava al nascondono con l'aiuto del buio reso bello dalle luci intermittenti delle lucciole agl' angoli dei prati mentre i più grandi si trovavano per poi andare verso un qualcosa da raggiungere con i loro motorini.
io mi ricordo l'estate di anni fa
facevano i temporali annunciati dal suono dei tuoni che mi facevano paura ma che il signore che abitava in fondo alla via mi diceva che quando tuonava era il diavolo che portava a spasso la moglie con la carriola e questa cosa mi faceva ridere e non aver più paura.
Ma i temporali era mica una roba da ridere, una volta addirittura uno fece cadere il tetto della tribuna dello stadio dove giocava il Baracca.
Quando pioveva andavo dal vicino a vedere se era vero che le galline facessero le uova , ma non si sembrava.
io mi ricordo l'estate di anni fa
faceva caldo ma la gente era più felice, perchè era finito l'inverno, perchè tutto attorno era gioia e voglia di vivere, perchè il cocomero era dolce e mangiato in compagnia diventava quasi poesia.
faceva caldo
lo diceva anche il signore delle previsioni del tempo, diceva che era tutto nella norma, che un certo anticiclone ci proteggeva dalle correnti atlantiche o so beh me....insomma in poche parole era estate.
io mi ricordo l'estate di anni fa
c'erano tanti problemi
faceva caldo
ogni tanto arrivava un temporale brutto
io l'estate di anni fa me la ricordo perchè
la paura piu grande delle persone era solamente quella di non riuscire a godersela.
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allora, mettiamola così
immaginate di avere l'opportunità di fare colpo sull'uomo più influente per il vostro lavoro, la vostra carriera; su colui che ha in mano le vostre sorti
e che lui, esattamente come Stephen Hawking con Sheldon Cooper, vi faccia leggiadramente notare di aver scritto
"o voglia di scrivere etc etc" senza acca
senza la cazzo di acca 😭
e no, niente, non mi sono ancora ripresa
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QUESTA È UNA STORIA CHE NON SO COME COMINCIARE A RACCONTARVI
È una storia triste con un finale velato di speranza che però non riesce a diminuire in me la tristezza, visto che è troppo spesso ripetuta ovunque nel solito loop di solitudine e sofferenza.
Non a caso ho deciso di raccontarla solo adesso e a taluni potrà sembrare che io mi voglia agganciare furbescamente al trend 'femminicidio' e con questo post fare virtue signaling.
Tutt'altro, credetemi.
Questa storia parla del coraggio di una ragazzina di 20 anni, l'unica reale protagonista, mentre noi come famiglia, semmai, abbiamo avuto solo il merito di essere al posto giusto al momento giusto.
Ricordate questo: AL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO e poi nella chiusa a questo post capirete.
Anche se dubito fortemente che conosciate lei o siate venuti a sapere della sua storia, per un mio senso di riservatezza cambierò molti particolari, senza però far perdere mai il senso di quanto accaduto.
Mia figlia piccola aveva una compagna di studi con la quale era rimasta in contatto anche dopo la maturità e una sera questa ragazza è venuta a cena a casa nostra, su strana insistenza di nostra figlia perché era già tanto tempo che non si vedevano, tranne qualche messaggio con cui lei la teneva informata sullo stato di salute del fratellino di 7 anni, affetto da una forma aggressiva ma curabile di leucemia.
Avevamo capito che era successo qualcosa e infatti questa ragazza, durante la cena, ci confida che lei, la madre e, soprattutto, il fratellino sono da anni vittime di maltrattamenti psicologici e fisici a opera del padre.
E noi, su insistenza di nostra figlia che è riuscita a convincerla, siamo state le prime e uniche persone alle quali trova finalmente la forza di dirlo, visto che il padre aveva costretto la madre a chiudere i contatti con ogni parente e cerchia di amici.
Erano sole, la madre non lavorava e tutti dipendevano da un unico stipendio, quello del padre, che inoltre decideva quando e quanto potessero uscire di casa.
Una storia di abusi familiari come tante, solo che invece di sentirlo in un telegiornale ce le stava raccontando di persona una ragazzina smilza e che sorrideva triste per l'imbarazzo.
E poi ho visto gli occhi di mia figlia, pieni di rabbia e indignazione ma scintillanti anche di qualcos'altro... speranza, anzi, convinzione che noi potessimo aiutarla.
Con un peso enorme nel cuore, le abbiamo allora parlato tutta la sera, l'abbiamo consolata, consigliata e spronata a fare quello che la madre non aveva più la forza di fare: denunciare ai carabinieri e rivolgersi a un centro antiviolenza.
E mentre lei piangeva lacrime di gioia per aver finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi, le arriva un messaggio wathsapp sul telefono con una foto.
Una foto da suo fratello.
Che si era fotografato il naso.
Rotto e sanguinante.
E il messaggio sotto diceva 'Papà ha picchiato la mamma e poi me. E poi se n'è andato'.
Un bambino di 7 anni con la leucemia che deve andare a fare la chemio due volte a settimana.
A vederlo scritto pare assurdo pure a me, una di quelle brutte sceneggiature per una fiction rai in prima serata ma il fatto era che stava succedendo di fronte ai nostri occhi e non so come io sia riuscito a non prendere una delle mie asce appese al muro per andare schiantarlo in due come un ceppo marcio.
Lei, però, non si scompone più di tanto e ci dice 'Adesso vado. Ci penso io' con un tono che nascondeva stanchezza e abitudine... ma forse anche qualcos'altro di nuovo.
Vent'anni anni e ci pensava lei, quando noi - cinquantenni - eravamo solo riusciti a dire delle belle parole, tutto sommato inutili.
Prende ed esce, con noi che le andiamo dietro urlandole di chiamare subito i carabinieri e cercando di andare assieme ma lei sembra essere molto decisa, finché le luci posteriori della sua macchina non scompaiono nella notte.
Minuti, decine di minuti e poi ore ad aspettare notizie, senza conoscere il suo indirizzo e senza sapere dove mandare qualcuno a controllare.
Poi squilla il telefono. È lei. Ci racconta che quando è arrivata a casa ha subito controllato che non ci fosse la macchina del padre, è entrata e ha chiuso la porta da dentro lasciandoci le chiavi sopra. E quando il padre, ore dopo, ha provato a entrare e, non riuscendoci, ha cominciato a dare in escandescenze, ha chiamato i carabinieri dicendo loro che aveva picchiato la madre e il fratello.
Carabinieri che, ovviamente, lo hanno beccato mentre prendeva a calci la porta di un appartamento con dentro una donna e un bambino sanguinanti per le botte ricevute.
Nonostante tutto, quella notte non siamo riusciti a dormire.
Il giorno dopo mi arriva un audio su whatsapp (le avevo dato il mio numero per emergenza) e per quanto forse avrei potuto postarvelo qua per farvelo ascoltare, preferisco trascrivervelo
'Ciao, sono E. Ti volevo dire che ieri sera siamo stati al pronto soccorso e io ho insisitito con i medici che facessero tutte le foto a mamma e L. e che poi chiamassero la polizia che c'è dentro. L. è stato coraggioso e ha raccontato tutto, poi anche mia mamma ha trovato il coraggio di parlare. Ora stiamo andando al centro antiviolenza di Parma così ci aiutano con gli avvocati e magari ci trovano anche un altro posto dove andare. Io vi volevo ringraziare perché per la prima volta in vita mia mi sono sentita in una famiglia vera che capiva il mio dolore e la mia paura e con voi ho trovato la forza di parlare. Grazie di essere così meravigliosi'
Io ogni tanto ascolto quell'audio e poi le telefono per sapere come va. Lo ascolto perché, vedete, non mi sembrava che avessimo fatto chissà che cosa ma il tono della sua voce diceva tutto il contrario.
E allora mi sono ricordato di quella vecchia storia del ragazzino con la gamba rotta al quale ho fatto compagnia mentre aspettavamo l'elisoccorso e di come i genitori, mesi dopo, mi hanno riconosciuto in mezzo alla folla e mi sono venuti ad abbracciare come se gliel'avessi riattaccata, quando io mi ero limitato solo a rassicurarlo in attesa dei soccorsi.
Però ero al posto giusto al momento giusto.
Quel posto e quel momento, però, che non sono e non accadono mai a caso alla persona che sa cosa sia la sofferenza.
Se questo mondo non vi ha reso cattivi - e se siete arrivati a leggere fin qua non solo non siete cattivi ma anzi molto pazienti - allora avrete capito che il posto giusto al momento giusto è quello in cui siete ora, nello stesso frammento di tempo in cui decidete di spostare gli occhi dal centro del vostro dolore personale alla consapevolezza di quello degli altri.
Come non mi stancherò mai di dire, una mano protesa salva tanto chi la stringe quanto chi la tende.
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Lo ghiaccerà con gli occhi, stasera
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“Occhio per occhio e il mondo diventa cieco.” (M. K. Ghandi)
Luna l’ha appena scoperto: ieri sera è venuta a conoscenza del fatto che lui si vede con un’altra donna. Lo starà facendo perché forse la nuova preda è più fedele e servile di lei; più esperta nelle cose di sesso, pensava. Tuttora non osa ammettere neppure a sé stessa che invece egli potrebbe semplicemente amarla.
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Sei anni d’amore e di totale, sua totale e piena devozione per lui gettati al vento. Non ci sarà più quel gioco gentile ma stimolante e crudele tra due che si amano. Non si sottoporrà più con genuina e partecipata gioia ai riti dolorosi ma per lei dolcissimi e intimi a cui Manuel con pazienza l’aveva abituata.
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Le prime volte infatti, alle richieste dell’uomo lei reagiva con veemenza. Probabilmente, da qualche parte nei recessi della sua mente abituata ad obbedirgli e scattare a comando, troverà il coraggio di troncare con lui. Una salutare alzata d'orgoglio. Intanto comunque stasera per l’ultimo appuntamento con lui s’è fatta stupenda.
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Ma è assolutamente decisa: non lo lascerà avvicinare al suo corpo più di tanto e non si farà mai più neppure toccare, da lui. Lo guarderà come un animale ferito a morte guarda il cacciatore che gli ha ficcato una pallottola nel cuore, prima di esalare l'ultimo respiro. Piangerà dentro, ma non gli darà la soddisfazione di vederla sanguinare e soffrire per davvero, stavolta. L’ultima volta.
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Con Manuel, all'inizio della loro storia Luna era una donna risoluta e anche aggressiva, lo combatteva e litigava molto, con lui. Rivendicava come donna un suo ruolo paritario, nel rapporto che si stava creando tra loro due. Poi, per puro amore di quell’uomo, ha accettato progressivamente tutto e man mano s’è sottomessa in toto al suo volere.
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Dopo alcune settimane la cosa ha iniziato decisamente anche a piacerle: non vedeva l’ora di indossare il collare, desiderava soltanto essere sculacciata e punita nelle mille, sottili maniere che lui conosceva. S’era finalmente insinuato nella sua psiche il gusto tenue, subdolo, riprovevole ma pervicace della sottomissione al maschio dominante.
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Dio come godeva con lui nel farlo. E oggi pomeriggio altre news. La sorpresina finale: Dolores, la nuova donna che ha inaspettatamente accartocciato il cuore del suo Padrone, sembra che sia addirittura una dominatrice lei stessa.
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E che sia una molto forte e determinata, con gli uomini. Manuel l’ha conosciuta da poco, a una convention inter-aziendale. La nemesi vuole che lei abbia subito messo gli occhi proprio su di lui e che adesso non voglia avere a che fare con nessun altro uomo.
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E sembrerebbe addirittura che come prima volta lei abbia voluto che Manuel partecipasse a una sua cosa a tre con il suo accompagnatore e collaboratore tuttofare storico e fedele. La versione moderna del puro schiavo. Lo ha voluto quindi come secondo schiavo. E l’uomo oggetto di tanta cura, dopo un iniziale disorientamento ha accettato.
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Adesso, ogni volta che lui pensa alla sua nuova Padrona o che la vede, che qualcosa gliela ricorda, ha un tuffo profondo al cuore. Che il nuovo arrivato Manuel sia il benvenuto, nel mondo della dominazione e nella parte dello schiavo: proverà così, ogni volta che lei vorrà, del puro dolore fisico.
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E l'umiliazione di essere la seconda scelta, di sborrare dentro di lei solo dopo che lei avrà goduto col primo schiavo. Subirà costantemente l’umiliazione psicologica più imbarazzante e tenace, qualcosa che si protrae durante i giorni a seguire e che incide in modo definitivo sull’autostima del soggetto sottomesso, specie se di sesso maschile.
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S’abituerà a servirla secondo il suo assoluto volere. Luna, la schiava di ieri invece, per parte sua, una volta ammortizzato il colpo e finite le lacrime, le parole, presto tornerà libera dal giogo della passione con un uomo ormai profondamente cambiato. Forse col tempo troverà un altro dominante, per continuare a soffrire d'amore e godere nel farsi dominare.
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Il maschio curioso, carico di desiderio sessuale e assetato di vita che comunque è dormiente in Manuel vorrebbe addirittura farla incontrare con la sua padrona. Ma sa che per ora questa è solo una sua fantasia. Chissà: forse in un futuro non troppo lontano…
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In ogni caso, più probabilmente questa vicenda segnerà la nascita di una nuova Luna: stavolta prenderà il ruolo di una vendicativa, gelida, cattiva, lucida, spietata e ormai esperta dominatrice. Le vicende tra amanti sono spesso molto complicate, aggrovigliate.
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Accadono inattese vere e proprie rivoluzioni copernicane. Esse mutano i desideri delle anime che inspiegabilmente si attraggono. E nascono i comportamenti d'amore e le storie più singolari.
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RDA
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Eravamo noi...
Eravamo gli adolescenti e i ragazzi degli anni '70 e '80. Eravamo quelli che uscivano in motorino
d'inverno senza casco perche non era
obbligatorio e con i capelli bagnati
e arrivavamo a casa con le stalattiti
di ghiaccio in testa.
Eravamo quelli che avevano il Dyane 6 e la Renault 4
Eravamo quelli che si incontravano
al "solito posto" perché nessuno aveva soldi per entrare al bar...quelli che andavano minimo
in due in motorino dopo aver messo insieme le monete per fare miscela.
Eravamo quelli che la cosa più importante
era trovarsi per la voglia di stare in compagnia... quelli che si scambiavano
i dischi preferiti dei Deep Purple Led Zeppelin Black Sabbath Pink Floyd ecc...quelli che durante le vacanze
estive si cercavano un lavoretto per non chiedere soldi ai genitori.
Eravamo quelli dell'autostop
per sentirsi liberi.
Eravamo gli sciami di ragazzi allegri e spensierati come oggi non se ne
vedono più in giro.
Eravamo quelli che: "O tutti o nessuno".
Eravamo quelli che ci bastava poco per essere felici. Certo, erano altri tempi, ma chi li ha vissuti non li dimenticherà mai.
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Tutti parlano di rispetto. È una di quelle parole che riempiono la bocca, che scivolano via come se fossero scontate, come se tutti ne avessero compreso il vero significato. Tutti si ergono a grandi maestri di vita, pronti a dispensare lezioni, a dirti cosa è giusto e cosa è sbagliato. “Rispetto prima di tutto” dicono. Ma poi, sono proprio loro i primi a dimenticare cosa significhi davvero.
Mi fa male pensare a quante volte ho sentito questa parola uscire dalle bocche sbagliate. Quante volte ho visto persone parlare di educazione mentre calpestavano chiunque non fosse all’altezza delle loro aspettative. Quante volte ho sentito prediche sulla sincerità da chi non riesce neanche a guardarsi allo specchio senza mentire. È come vivere in un mondo al contrario, dove i colpevoli sono sempre pronti a puntare il dito, dove chi più sbaglia si sente sempre il più giusto.
La verità? Viviamo in una società in cui il rispetto non è più un valore, ma una maschera. Lo indossano tutti, ma pochi lo portano davvero nel cuore. Si parla di rispetto quando conviene, quando fa comodo, quando è un modo per apparire migliori agli occhi degli altri. Ma quando le luci si spengono e nessuno guarda, quella maschera cade, rivelando volti che di rispetto non hanno nemmeno l’ombra.
Cosa vuol dire rispettare davvero? Non è solo dire le parole giuste, non è solo comportarsi bene quando fa comodo. Rispettare è riconoscere l’altro nella sua interezza, con i suoi limiti, i suoi errori, le sue fragilità. È capire che ogni persona porta con sé un peso invisibile, una storia che non conosciamo. Ma chi lo fa davvero?
La maggior parte delle persone è pronta a giudicare. È facile, no? Guardare dall’alto e sentenziare, come se tutto fosse bianco o nero, come se bastasse un’occhiata per capire chi hai davanti. È così semplice credersi migliori degli altri quando non ti fermi a riflettere, quando non provi a metterti nei panni di chi hai davanti.
Ma il rispetto, quello vero, è difficile. È scomodo. Ti costringe a guardare oltre, a mettere da parte i pregiudizi, a fare uno sforzo per comprendere. E oggi, nessuno ha voglia di fare quello sforzo. È più semplice vivere di apparenze, fingersi persone migliori di quelle che si è realmente.
Mi chiedo spesso dove sia finita la sincerità. Quella vera, quella cruda, quella che non ha paura di mostrarsi imperfetta. Viviamo in un mondo dove tutti vogliono apparire impeccabili, come se ammettere di avere difetti fosse un crimine. E così, ci ritroviamo circondati da facce che sorridono per convenienza, da parole che suonano vuote, da persone che si riempiono la bocca di lezioni che non applicano mai a loro stesse.
E sai cosa fa più male? È che spesso queste persone sono quelle che più ti feriscono, quelle da cui meno te lo aspetti. Parenti, amici, conoscenti che ti parlano di rispetto e poi ti voltano le spalle. Che ti predicano educazione e poi non si fanno scrupoli a mancarti di rispetto. Che ti parlano di sincerità e poi ti raccontano bugie senza battere ciglio.
Io sono stanca. Stanca di vedere l’ipocrisia travestita da virtù. Stanca di ascoltare chi parla senza sapere, chi giudica senza conoscere, chi predica bene ma razzola male. Sono stanca di dovermi giustificare, di dover dimostrare sempre qualcosa, mentre chi mi giudica non si ferma neanche un secondo a guardarsi dentro.
Ma sai cosa ho imparato? Che il rispetto non si mendica. Non si può chiedere a chi non lo conosce, a chi non lo ha mai vissuto davvero. Non posso pretendere che chi non ha rispetto per sé stesso ne abbia per gli altri. Posso solo scegliere di non lasciare che la loro ipocrisia mi tocchi.
Ho deciso che non voglio più dare potere a chi non lo merita. Non voglio più permettere che le loro parole mi feriscano, che le loro azioni mi facciano dubitare di me stessa. Il rispetto che non ricevo dagli altri lo darò a me stessa, perché merito di più di ciò che alcuni sono disposti a offrire.
E se c’è una cosa che ho capito è questa: il rispetto non è un privilegio, ma una scelta. Non riguarda gli altri, ma te stessa. Riguarda il modo in cui scegli di vivere, il modo in cui scegli di trattare gli altri, anche quando il mondo intorno a te sembra aver dimenticato il significato di quella parola.
Non voglio essere come loro. Non voglio indossare una maschera. Voglio essere autentica, anche quando è difficile, anche quando mi espone al giudizio degli altri. Voglio vivere in un modo che mi permetta di guardarmi allo specchio e sapere che, nonostante tutto, non ho mai smesso di rispettare me stessa e chi mi sta intorno.
Perché alla fine, ciò che conta davvero non sono le lezioni che gli altri cercano di darti, ma ciò che scegli di insegnare a te stessa ogni giorno. E io scelgo di essere diversa. Di essere vera. Di essere quella che, anche in mezzo a tutta questa ipocrisia, non smette mai di credere nel valore del rispetto, della sincerità, dell’educazione. Anche se il mondo intorno a me sembra averli dimenticati.
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l���aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità,
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà.
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.’ [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice.
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,
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trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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Ho scoperto del cambio di paradigma di Zuckerberg e di Meta dalle storie dei Tlon, per cui le ripercussioni di tutto ciò le ho comprese assieme alla notizia stessa.
Come è stato detto, la notizia è passata in sordina in Italia, ma le conseguenze che avrà questa cosa saranno ENORMI.
Basta tornare un po' indietro nel tempo, ossia al famoso 2019, quando giravano bufale su bufale sul covid e sul vaccino a cui le persone credevano ciecamente, per rendersi conto della gravità della situazione.
Quanto peggiorerà il mondo dopo questo editto (come è stato giustamente definito)?
Personalmente, non ho mai avuto troppa fiducia nel futuro e nelle nuove generazioni, ancor di più adesso che ho e ho avuto a che fare con qualche esemplare da quando sono arrivata qui (per la questione naturale per cui "si fa gruppo" tra connazionali quando sei all'estero). Infatti, che fiducia posso avere se a 23 anni questi ancora sfottono chi è "frocio", se quella di poter mettere il cognome della madre a un figlio "è una cazzata" e che il tappo attaccato alla bottiglia "è un'altra cagata"? Che fiducia posso avere nel futuro se vedo continuamente bebè con ancora il ciuccio in bocca essere silenziati dai genitori con lo smartphone (questo sia in Italia che in Giappone)?
E ora, cosa ci si può aspettare dal mondo se la buona maggioranza delle persone nel mondo passano lo stesso quantitativo di ore di una giornata lavorativa (o più) su le piattaforme di Meta che faranno girare cazzate su cazzate?
In napoletano si dice tipo:"Quindi se ti dico che il ciuccio (=asino) che vola, tu ci credi?". È quello che sta succedendo per davvero.
Per carità, le bufale sono sempre esistite ed esisteranno sempre, è solo il mezzo di comunicazione che cambia forma, però se prima si poteva evitare il consumo di un certo tipo di materiale ora è praticamente utopia perché vorrebbe dire diventare eremiti digitali - e non solo, dato che, ad oggi, il digitale ha persino più valore del reale.
Vorrei non rimanere atterrita difronte a questa notizia, così come non lo sono stata quando è stata eletta Meloni o come non lo sono più quando succedono catastrofi naturali... però stavolta non ci riesco troppo.
Non sono una di quelle persone che vede il passato sempre migliore del presente, anzi, l'ignoranza pesante è sempre esistita ed è sempre stata ben più capillare delle idee progressiste. Però avendo vissuto solo in questo arco temporale abbastanza ristretto, la curiosità che mi sorge è: qual era la visione che avevano gli intellettuali del loro presente? Come si sentiva, ad esempio, Marx nel suo momento storico? Oppure come si sentivano i contrari al nazismo e al fascismo quando questi acquisivano sempre più consenso? Era impauriti da quello che stava succedendo oppure avevano una visione più cinica e super-partes (come "il popolo è fatto così, si beve tutto e questa è solo la naturale conseguenza")?
Comunque sia, ad oggi, spero con tutto il cuore che si ergerà un nuovo social o un nuovo modo di abitare il digitale regolato su criteri meno scellerati di questi (non che ci voglia molto... ma ci vuole molto coraggio per voler mettere in piedi un progetto simile nel contesto attuale), dove, almeno coloro che non vogliono utilizzare le piattaforme esistenti, potranno migrare per poter usufruire della parte migliore del web. Lo spero, anche se non ci credo troppo... anche perché con le ultime sparate di Trump, non so voi, ma a me una bella terza guerra mondiale non mi pare più una cosa così impensabile e lontana nel tempo...
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