#città obliqua
Explore tagged Tumblr posts
Text
Vomero: subito l'attuazione del progetto della "Città obligua" con i fondi del PNRR, per una ZTL estesa a tutto il quartiere
Solo così si potranno risolvere una volta e per sempre gli annosi problemi del traffico caotico e del conseguente smog La Pedamentina di San Martino “ Che fine ha fatto il progetto della “Città obliqua”? ” A porre ancora una volta l’interrogativo è Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari, che da tempo si batte per la rivalutazione dei percorsi pedonali che collegano la…
View On WordPress
#calata San Francesco#Castel Sant&039;Elmo#città obliqua#Comitato Valori collinari#Gennaro Capodanno#Napoli#Petraio#salita Cacciottoli#Vomero
0 notes
Text
La città obliqua è Napoli
Qual è la storia dietro il tuo soprannome? Come sa chi l’ha visitata Napoli è principalmente composta da un centro storico e da uno residenziale detto, da uno dei nomi di quartiere in esso insistenti, Vomero. Si dice comunemente “vado su al Vomero (vaco ‘ncopp‘o Vommero)”. Qui ci sono anche importanti monumenti storici collegati già dalla loro costruzione da scalinate, e poi da funicolari…
View On WordPress
3 notes
·
View notes
Text
Per chi abita in… Via del Campuccio
Via del Campuccio corre da via Romana a piazza Torquato Tasso. Si innestano lungo il suo tracciato: via delle Caldaie e via de' Serragli dove, dal lato del convento di Sant'Elisabetta delle Convertite, è il canto alla Cornacchia. Come molte delle strade fiorentine, La via un tempo era divisa in tratti, ognuno dei quali aveva un nome diverso. Da via Romana a Via De’ Serragli prendeva il nome di Via San Giovanni, da Via De’ Serragli a Piazza Tasso fu prima Via San Benedetto e poi Via della Pergola. Uno stradario storico ci ricorda che nel 1297 la strada si chiamava Via Sancti Iohannis, nome rimasto poi ad una strada lì vicina. Via del Campuccio, come nome unificato per tutta la strada, viene per la prima volta documentato nel 1870.
Le strade di Firenze, come ben sappiamo, prendevano il nome da una famiglia che lì aveva i propri possedimenti, o da una locanda che si trovava nella zona, o da qualsiasi altro elemento identificativo della zona. “Campuccio” sembra derivare dal fatto che proprio qui i monaci camaldolesi avevano il loro piccolo orto, che chiamavano affettuosamente “Campuccio”, sia per le dimensioni limitate, sia per la scarsa fertilità del terreno. I monaci Camaldolesi, che venivano dal Casentino, avevano formato la loro comunità nel Cinquecento tra Porta San Frediano e San Pier Gattolino, dove costruirono case per i poveri, facendo diventare così questo tratto di strada molto popolare. Nel Seicento, risanando la parte di strada dal lato di Via Romana, fu questo tratto ad assumere carattere popolare ed artigiano. Qui si trovavano molte botteghe utilizzate da falegnami, corniciai, restauratori, e anche vinai e un carbonaio, il famoso Ragazzini, scomparso recentemente. Pochissimi fondi rivestono ancora oggi carattere artigianale o sono utilizzati da artisti contemporanei.
Entrando da piazza Tasso, sull'alto muro che racchiude il giardino Torrigiani, vi è un primo tabernacolo. Si tratta di 'edicola contenente una pittura murale a tempera che raffigura la Madonna con bambino, San Giovanni Battista e San Bernardino da Siena. Fu eseguita nel 1953 da Piero Bernardini ed è stata restaurata recentemente nel 2018.
Proseguendo, sempre sulla destra e sempre sul muro del giardino Torrigiani si trova un secondo tabernacolo. Ciò che salta all'occhio è che l'edicola è incastonata in maniera obliqua ed è sormontata da uno stemma dei Torrigiani. La pittura rappresenta una Madonna seduta con il Bambino davanti a una finestra. Dalla finestra si vedono due edifici e il panorama della città di Firenze. L'opera è firmata da Ennio Cocchi e risale al 1953 ed anche questa è stata restaurata nel 2018. Proseguendo sempre sulla destra c'è palazzo Torrigiani e uno degli ingressi al suo giardino. Ricordiamo al suo interno il mirabile torrino costruito nel 1824 e che ancora oggi è il giardino privato più grande di Firenze e non solo.
Subito dopo il palazzo Torrigiani, sulla destra, si trova una lapide scritta parte in latino, parte in ebraico. Anticamente questo edificio ospitava un convento, il Monastero delle Convertite. Oggi è ancora una casa ospitante, ma si tratta di una casa di riposo per anziani. Al numero 64, sulla sinistra, abitava il linguista Gaetano Cioni che ospitò per interi pomeriggi il più noto Alessandro Manzoni che si era portato a Firenze nel settembre del 1827, dopo la pubblicazione de "I promessi Sposi", in quanto voleva rendere più popolare la sua scrittura. Il voler avvicinare la lingua scritta il più possibile a quella parlata fece nascere la frase: “risciacquatura dei panni in Arno” intendendo che aveva molte pagine da adattare alla lingua fiorentina.
Proseguendo lungo la via si trovano una miriade di fondi che un tempo erano occupati da artigiani e bottegai fiorentini oggi spariti per la cecità politica che ha portato, progressivamente, a rendere il lavoro sempre più complesso di norme e burocrazia uccidendo il piccolo in favore del grande. Tutta quella sapienza e artistica manualità è persa miseramente. Si deve arrivare quasi a via Romana per trovare un terzo tabernacolo che a differenza dei primi due non è molto conosciuto ed è piuttosto trascurato. Forse sarebbe il caso di intervenire anche su questo e riportarlo ad un antico splendore.
Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie
Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
0 notes
Text
Sassari, altre 4 "Zone 30" in città: l'obiettivo favorire la circolazione di ciclisti e pedoni
Sassari, altre 4 "Zone 30" in città: l'obiettivo favorire la circolazione di ciclisti e pedoni. In questi giorni sono partiti i lavori per altre 4 "Zone 30", nell'ambito del progetto "Mobilità Sostenibile di Sassari Moss", programmati da tempo e finanziati con fondi ministeriali. L'obiettivo è favorire la circolazione di pedoni e ciclisti grazie a interventi per rallentare la velocità delle auto. Gli interventi riguardano le zone delimitate dalle vie Brigata Sassari, via Politeama, viale Umberto, via Bellieni, via Roma, via Asproni e corso Regina Margherita di Savoia (comparto A); dalle vie Asproni, via Roma, via Duca degli Abruzzi e viale Dante (comparto B); dalle vie Amendola, viale Italia, via De Nicola e viale san Pietro (comparto C); e infine il quarto, il comparto D, delimitato dalle vie Catalocchino, viale Dante, via Duca degli Abruzzi e via Napoli. Il progetto prevede interventi per potenziare la sicurezza, rallentando il traffico. Nelle vie interessate dagli ingressi, sarà creato un restringimento di carreggiata con resinature colorate sui lati e sarà inserito un "cuscino berlinese": un dissuasore di velocità, come quelli già realizzati in altre parti della città. In questi giorni, il Settore Infrastrutture della Mobilità sta inoltre provvedendo a una migliore organizzazione della sosta in via Marsiglia, come richiesto dal comitato di quartiere, mediante la rimodulazione degli stalli presenti che saranno tracciati in linea affiancati al marciapiedi. La precedente sistemazione obliqua, a causa della ridotta larghezza della carreggiata, stava infatti creando problematiche sulla viabilità veicolare, rischiando addirittura di impedire il passaggio dei mezzi di soccorso, oltre che su quella pedonale per effetto dell'invasione delle auto sul marciapiede.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
Text
Napoli Bike Festival, "Non prendeteci in giro"
Giunge alla sua XIII edizione il Napoli Bike Festival appuntamento di rilevanza nazionale dedicato alla promozione della cultura della bicicletta, con un format che si rinnova per assecondare i diversi modi di vivere e praticare la bici. Torna il Napoli Bike Festival: “Non Prendeteci in Giro”, ovvero è necessario pedalare in sicurezza. La provocazione nasce dal fatto che per la terza volta, in tre anni, torna il Giro d’Italia a Napoli, competizione ciclistica a tappe tra le più importanti al mondo, che sarà visto da 700 milioni di persone ma ancora le strade sono poco sicure per ciclisti e pedoni. Sarà una grandissima occasione di marketing territoriale e promozione del territorio, un investimento in termini di visibilità importante, che purtroppo non vedrà la valorizzazione in chiave cicloturistica e per il ciclismo urbano della nostra città. Napoli Bike Festival, il programma Dal 2022 ad oggi in città nessun incremento di km di ciclabili, né nuove ztl, zone30 o aree pedonali. Nessuna politica di moderazione del traffico, né di incentivo all’utilizzo del trasporto pubblico messa in atto dal Comune di Napoli. Ed allora non prendeteci in giro! I due giorni si apriranno con il Ciclo Varietà, show condotto da Paolo Franceschini il Comicista; a seguire musica, performance, spettacoli live, proiezioni video, dj set, mostre, reading. Tra le mostre United Colors of Gaza, della IOD Edizioni e la premiazione del concorso letterario il Bicicletterario con la sezione dedicata ad opere ispirate a Napoli. La mattina dell’11 Maggio ad aprire il Festival ci sarà la ormai consolidata pedalata collettiva del Bike Pride di Napoli con appuntamento in Galleria Principe di Napoli presso la Bicycle House. La pedalata sarà una sfilata per le vie della nostra città adatta a tutti (percorso pianeggiante circa 7 km), con tante soste e musica. Arrivati alla Rotonda Diaz, flash mob ispirato alla parola d’ordine “la strada è di tutte/i” in sinergia con la Fondazione Michele Scarponi. Il giro Il Festival proseguirà il 19 maggio con l’evento la Vulcanica ciclostorica di Napoli, tappa del Giro delle Regione e con la novità della Vesuvio Gravel del 1 Giugno. Ultimo appuntamento il 27 ottobre con la Napoli Obliqua per appassionati di mountain bike. Il festival è promosso dall’Associazione Napoli Pedala, rientra tra le manifestazioni di carattere sportivo sostenuta dall’ARUS Regione Campania, gode del sostegno dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi in Italia, INAIL Campania e del patrocinio della Regione Campania, del Comune di Napoli, fa parte della Primavera della mobilità Dolce di AMODO. Foto di copertina: www.napolibikefestival.it Read the full article
0 notes
Text
New York e il New Jersey
In orbita sopra il Golfo del Maine, un astronauta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale ha guardato verso sud per riprenderee questa fotografia obliqua di New York. Le ombre dei grattacieli e degli altri edifici della città danno alla fotografia un senso di tridimensionalità. La Statua della Libertà ed Ellis Island, un importante nodo storico per l’immigrazione negli Stati Uniti, si…
View On WordPress
0 notes
Quote
- Appena arrivati si cambia d'abito: prendeva dalla borsa la camicia a scacchi, i pantaloni di velluto, il maglione di lana; di nuovo nei suoi vecchi panni diventava un altro uomo. - mi spediva fuori: che andassi a prendere vento e sole e perdessi finalmente un po' della mia delicatezza urbana. - Il passato è a valle, il futuro a monte. Ecco come avrei dovuto rispondere a mio padre. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa. - In me confermavano l'idea che questa cosa dell'andare in montagna fosse una moda d'altri tempi e obbedisse a codici antiquati. Anche il modo in cui cedevano il passo aveva un che di cerimonioso: si spostavano di lato, accanto ala sentiero, si fermavano e si lasciavano superare. Di certo ci avevano visti dall'alto, avevano provato a resistere e non erano contenti di essere stati presi. -Forse è vero, come sosteneva mia madre, che ognuno di noi ha una quota prediletta in montagna, un paesaggio che gli assomiglia e dove di sente bene. La sua era senz'altro il bosco dei 1500 mt, quello di abeti e larici, alla cui ombra crescono il mirtillo, il ginepro e il rododendro, e si nascondono i caprioli. Io ero più attratto dalla montagna che viene dopo: prateria alpina, torrenti, torbiere, erbe d'alta quota, bestie al pascolo. Ancora più in alto la vegetazione scompare, la neve copre ogni cosa fino all'inizio dell'estate e il colore prevalente è il grigio della roccia, venato di quarzo e intarsiato dal giallo dei licheni. Lì cominciava il mondo di mio padre. - Impossibile trasmettere a chi è rimasto a casa quel che si è provato lassù. - Inutile perdere tempo a raddrizzare muri storti: meglio buttarli giù e ricostruirli daccapo. - Mi dava l'idea di uno che a un erto punto della vita aveva rinunciato alla compagnia degli altri, si era trovato un angolo di mondo e si era rintanato lì. - Sembrava una che nulla le interessasse delle nostre vite, che lei stesse bene al suo posto e gli altri le passassero accanto come le stagioni. - L'abete non va bene, perché è un legno morbido. Il larice è un legno più duro. -A Bruno era rimasta la passione per i romanzi di mare. -Era la stagione del ritorno e della riconciliazione, due parole a cui pensavo spesso mentre l'estate scorreva. - Montagna luminosa - Il magnetismo della montagna - La montagna aiuta a ricordare, come una forma di resilienza. - Arrivarono le piogge di fine agosto. Anche di loro mi ricordavo. Sono i giorni che in montagna portano l'autunno, perché dopo, quando torna il sole, non è più il sole caldo di prima, e la luce è diventata obliqua e le ombre più lunghe. - L'uomo raccolse un bastoncino con cui tracciò un cerchio nella terra. Gli venne perfetto, si vedeva che era abituato a disegnarne. Poi, dentro al cerchio, tracciò un diametro, e poi un secondo perpendicolare al primo, e poi un terzo e un quarto lungo le bisettrici, ottenendo una ruota con otto raggi. Io pensai che, dovendo arrivare a quella figura, sarei partito da una croce, ma era tipico di un asiatico partire dal centro. L'hai mai visto un disegno così? Si, riposi. Nei mandala. Giusto. disse lui. Noi diciamo che al centro del mondo c'è un monte altissimo, il Sumeru. Intorno ad esso ci sono otto montagne e otto mari. Questo è il mondo per noi. Nel dirlo tracciò, fuori dalla ruota, una piccola punta per ogni raggio, e poi una piccola onda tra una punta e l'altra. Otto montagne e otto mari. Infine fece una corona intorno al centro della ruota, che poteva essere, pensai, la cima innevata del Sumeru. Valutò il suo lavoro e poi scosse la testa, come se fosse un disegno che aveva già fatto mille volte ma ultimamente ci avesse perso un po' la mano. Comunque, punto il bastoncino la centro e concluse: e diciamo: Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne, o chi è arrivato in cima al monte Sumeru? -Siete voi di città a chiamarla “natura”. È così astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare col dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente. - Lei mi rivolse uno sguardo triste, in cui c’era del rimprovero e del rimpianto. - Himalaya = dea del raccolto e della fertilità. - No c’era niente che mi appartenesse, niente a cui sentissi di appartenere. - Ogni volta che tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso, al luogo in cui ero io e stavo bene. - Il modo in cui un luogo custodiva la tua storia. Come riuscivi a rileggerla ogni volta che ci tornavi. Poteva esisterne solo una, di montagna così, nella vita, e in confronto a quella tutte le altre non erano che cime minori, perfino se si trattava dell’Himalaya. - Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa. - La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo, misura. - Si può dire che abbia cominciato a scrivere questa storia quand’ero bambino, perché è una storia che mi appartiene quanto mi appartengono i miei stessi ricordi.
Le otto montagnedi Paolo Cognetti
4 notes
·
View notes
Text
1
Ti avrei scritto molto tempo fa ma prima ho atteso di essere fuori dalla solitudine ovvero fuori da quella contrada dove gli alberi stanno in posizione orante, in se stessi inginocchiati, e i fiumi scorrono in se stessi, essendo a un tempo corpo e anima, impossibili da distinguere; ho atteso che se ne andasse anche il ragno che con una punta d’argento si era disegnato sulla spalla e ora eccomi pronta a dirti che non ti amo.
2
Sto su un tetto obliquo di lamiera verde, in pieno sole; potrei scivolare ma il cuneo del sole mi inchioda e il cielo stesso dispone le nuvole perpendicolari a me, tanto da incastonarmi nel suo ordine, e sono come un idolo di oro verde, con un occhio più grande dell’altro e un orecchio lungo – quelli che mi concepirono erano asimmetrici – sto sul tetto inclinato e ricordo la striscia obliqua dei capelli sulla tua fronte, l’intera tua natura obliqua in rapporto all’universo e a me, l’angolo del tuo corpo che indicava un punto cardinale misterioso – e dico che non ti amo.
3
Sul tuo silenzio avrei potuto costruire una città. Nulla si smuoveva, edificavo a vuoto, un vuoto scintillante di fulmini ispirati. Una volta costruii perfino un pianeta dai monti sericei, a forma di uccelli dormienti, con tre cascate e in ognuna avevo confitto sette pesci viola e da qualche parte, ricordo, avevo sepolto in quel suolo inventato un oggetto per noi, soltanto nostro, ch’era l’essenza stessa del pianeta, la sua fonte di uranio. Oh il tuo silenzio – ma forse ero io a non sentire, forse in quel mentre tu cantavi o ridevi o urlavi e il silenzio non era che una forma speciale del tuo canto, del tuo riso, delle tue urla, forse il tuo silenzio era in realtà quel pianeta sconosciuto, popoloso, e io non costruivo in un vuoto scintillante ma cercavo solo di proteggere qualcosa di esistente, come si protegge un malato di malaria con una coperta, con un’altra ancora, con il cappotto, con quattro cuscini finché non scompare – ma non ti amo.
4
Ti scrivo questa quarta lettere in una stanza di legno, a un tavolo di legno, legno dappertutto, incredibilmente tanto legno, e dappertutto scritte, con l’inchiostro, la matita chimica, la punta del coltello, nomi, date, usignoli, treni, chiavi. (Puoi aprire un treno con la chiave e calpestare l’usignolo intirizzito sui binari e apporre la tua firma con tanto di data). Ho paura. Oltre la cornice di legno della finestra palpita la manica scura dell’abete notturno; una notte mi aspettavi, era estate, sul letto avevi messo i miei libri. Quando entrai, vidi me stessa, forse non dovevo rimpiazzare il mio corpo di libri, di carta, di legno, il mio corpo effimero, così la penso ora, ora che non ti amo.
5
Se tu cercassi di tirarmi addosso il lunedì, il martedì, il mercoledì, lunedì, martedì e mercoledì rimbalzerebbero cadendo a terra senza suono, giovedì e venerdì non possono più ferirmi, non possono lasciarmi neanche il segno di un minuscolo ombrello giapponese, del vaccino, giovedì e venerdì non hanno forze, sabato non ha forze, domenica – non so che cosa voglia dir domenica – non ti amo.
6
Ora sto qui e mi guardo allo specchio. Posso ringiovanire e invecchiare a piacimento. Se voglio, posso assomigliare a un animale o a una pianta, o persino al progetto di una macchina volante. Sopra le mie sembianze come lava vulcanica colasti tu una volta, ma io no, io non divenni pietra, la prova è quanto accade nello specchio, le sue stagioni in connubio, le mutazioni, e soprattutto la mia mano che sorreggeva un tempo i tuoi occhi perché non cadessero dalle orbite, come due gocce immense, quella stessa mano scrive ora che, ecco, non ti amo.
7
La settima lettera te la scrivo appoggiata a un muro grigio. Ricordo la tua bocca obliqua, il tuo abbraccio che mi soffocava, tutto il fasto di quella sala da ballo dove gli errori miei si innamorarono a prima vista l’uno dell’altro, il fatto che lasciasti cadere la clessidra e che, di colpo, il tempo mi abbandonò, e ricordo il gesto con il quale mi mandasti a morte. Sono appoggiata al muro di un tribunale ma dirò soltanto questo: Non ti amo. E ancora lo ripeterò: Non ti amo. Solo questo. Non ti amo. Non ti amo.
Nina Cassian
41 notes
·
View notes
Text
Napoli: la storia della nascita del progetto delle scale mobili al Vomero
Doveva rappresentare il primo passo per la realizzazione della cosiddetta “città obliqua”, con la meccanizzazione dei percorsi pedonali L’articolo sulle scale mobili, pubblicato nella cronaca de “Il Mattino del 2 novembre 1991 Come si legge nell’articolo pubblicato nella cronaca de “Il Mattino” del 2 novembre 1991 il progetto delle scale mobili al Vomero fu da me redatto insieme ad altri due…
View On WordPress
0 notes
Text
La città obliqua ha compiuto 8 anni oggi!
0 notes
Text
Tutti gli UFO sopra Firenze dalla guerra ad oggi: 1980
Ci credete? Non ci credete? Poco importa. Il fenomeno ufologico è vecchio quanto il mondo. Gli avvistamenti, reali, finti, "costruiti" nel mondo sono innumerevoli e su Firenze e provincia non mancano. Questa è un piccola rubrica per citare gli avvistamenti registrati su Firenze e provincia dal 1946 al 1980, se poi qualcuno ha a disposizione anche quelli successivi, e ce li fornisce, potremmo pubblicare anche quelli dal 1980 in poi. Questo l'articolo precedente: Tutti gli UFO sopra Firenze dalla guerra ad oggi: 1979 Il 30 ottobre 1980 su Scandicci alle 17:30 fu visto un oggetto volante verde, lo riporta Notiziario UFO n. 99; Scheda segnaletica della SUF - doc. 2962; Il Giornale dei Misteri n. 118, p. 19, doc. 2962; Il Giornale dei Misteri n. 165, p. 14, doc. 2962 Lo studente tredicenne Claudio Lastrucci, abitante a Lastra a Signa in via Carchedi 327, da S. Martino alla Palma - Scandicci, vide un oggetto volante di colore verde, seguito da una scia dello stesso colore, attraversare il cielo sereno velocemente e molto alto. Aveva una forma apparentemente sferica e si dirigeva verso sud-est. Il ragazzo non provò alcuna emozione. L'avvistamento durò 5/6 secondi. L'11 novembre 1980 nel cielo di Firenze alle 18:30 fu vista una palla di fuoco, lo riporta La Nazione del 12-11-1980; Il Giornale dei Misteri n. 118, p. 19; Il Giornale dei Misteri n. 129, p. 8; Il Giornale dei Misteri n. 165, p. 15 Avvistata una grande palla di fuoco proveniente da nord-ovest e diretta a sud-est. Il prof. Angelo Gianni, della casa editrice D'Anna, che in quel momento stava tornando a casa nella zona nord-est della città assieme a sua moglie, è stato uno dei testimoni del fenomeno. Il prof. riferì che si trattava di una enorme palla luminosa e bianca, che filava via silenziosa, bassa e veloce verso sud-ovest lasciandosi dietro una scia luminosa. Sempre in quella strada, cioè in via Masaccio, un giovane che stava pulendo i vetri di casa, vide la stessa cosa (una fiammata incredibile, ha detto). Anche da Piazza Signoria, un signore è rimasto abbagliato dalla palla di fuoco per 15 secondi; secondo lui la palla era di forma ovale, bianca, con un alone bluastro ed una scia di almeno 3 chilometri. Inoltre doveva viaggiare a 4000 km/h e ad un migliaio di metri di quota, spostandosi in linea retta e silenziosa. Dall'osservatorio di Arcetri non riuscirono a vedere niente, mentre la torre di controllo dell'aeroporto di Pisa, che seguì il fenomeno, avrebbe escluso che si trattasse di un meteorite perchè volava parallelo al terreno. Comunque, altre testimonianze furono raccolte sul fenomeno. Da via Baldovinetti, la prof. Marta Biliotti Lazzeri di anni 35 (via di Soffiano 4) e Giampiero Ciofi Baffoni di anni 41, erborista (via di Soffiano 166), mentre si trovavano all'uscita della scuola media statale "G. Ungaretti", osservarono per circa 30 secondi, in cielo, un corpo luminoso, rosso al centro e circondato da un alone verde brillante e da un chiarore bianco. Aveva una velocità lenta come quella di un aereo a reazione; si allontanò in direzione ovest, senza provocare nessun rumore. Alle 18:45 (quasi sicuramente si tratta dello stesso oggetto dei precedenti), nella zona dell'Isolotto, la studentessa Elisabetta Vozza (via Torcicoda 48) in compagnia di Ursula Maestrini e di Mirella Marchese, tutte di anni 12 e tutte residenti nella solita strada, videro per cinque secondi una specie di "stella cadente" luminosa, che presentava varie colorazioni, sul giallo e l'arancione. Era di forma circolare ed aveva traiettoria obliqua; si dirigeva a notevole velocità verso ovest. Sempre l'11 novembre 1980 a S. Michele alle 19:30 fu vista una luce tonda rosea, lo riporta Notiziario UFO n. 99; Il Giornale dei Misteri n. 118, p. 19; Il Giornale dei Misteri n. 129, p. 8; Il Giornale dei Misteri n. 168, p. 16 Dal centro sportivo di S. Michele, la signora Romana Rossi di anni 34, domiciliata in via Pisana 160, osservò una luce rosea di forma rotonda assai grande che, ascendendo in cielo, scomparve lasciando una scia luminosa dietro di s‚. Andava a grande velocitàe le condizioni meteorologiche erano buone. Il fenomeno durò 30 secondi. L'osservatrice provò meraviglia. Si concludono cosi gli avvistamenti di UFO su Firenze dal dopo guerra al 1980. Se qualcuno possiede o sa dove trovare gli avvistamenti dal1980 ad oggi e ce lo comunica la rubrica potrà continuare. Read the full article
0 notes
Text
RECENSIONE: Slowthai - Nothing Great About Britain (Method Records, 2019)
di Viviana Bonura
Slowthai, da Northampton, è uno dei volti più nuovi eppure più conosciuti della scena hip-hop e grime inglese. Il suo debutto, Nothing Great About Britain, viene accolto già con tantissime aspettative da parte di pubblico e critica che dopo aver ascoltato i suoi primi singoli e le sue brillanti recenti collaborazioni con Flume e Tyler, The Creator lo hanno giustamente definito uno degli artisti più promettenti del suo paese. Non è un caso che Thai sia riuscito ad avere un certo impatto anche nella scena statunitense, infatti all’interno del primo disco vengono raccolti benissimo tutti i migliori attributi dell’artista, dal suo stile audace che non ammette compromessi, stridente ed espressivo, tinto da un’attitudine per il post-punk industriale che accoppia ad un flow crudo ed assolutamente non scontato fino al gusto per strumentali da rave sporche ed agitate, tutte caratteristiche che lo distinguono e lo rendono una fresca novità entusiasmante per tutti.
Questa visione stilistica quadra perfettamente con la profonda connessione che Thai pone tra sè e la sua città, le sue radici inglesi, innanzitutto perché ha assimilato con naturalezza il caratterino forte dei Londinesi nei confronti della musica e poi perché si immerge a pieno tra le questioni economiche e sociali dell’isola, dando una carica politica al disco che sin dal titolo si palesa con squillante sarcasmo - per non parlare della copertina. Thai si dimostra attivo e consapevole nel parlare, sempre con amara ironia, del suo tanto odiato ma anche tanto amato paese e per questo l’immagine che ne esce è estremamente attuale e vivida, personale ma anche collettiva, una visione vicina a chiunque subisca le conseguenze delle scellerate e discutibili decisioni da parte del governo che non fanno altro che accentuare i fortissimi dislivelli del paese. Piace molto il fatto che la next-big-thing inglese si collochi nelle periferie insofferenti piuttosto che nei compiaciuti sobborghi borghesi in cui gravitano Skepta e Stormzy, piace il fatto che non sia il figlio di papà travestito da gangsta e neppure il delinquente proletario. Thai non è convenzionale, non è il prototipo del giovane rapper che si comporta in modo strano e sembra sempre un po' alticcio, ma è uno che a forza di cinismo e strofe nichiliste dal pulpito di una feroce macchietta vuole farsi spazio in un posto dove c’è ambiguità ed ambivalenza: è un ibrido sotto molto aspetti.
Nothing Great About Britan però, non è solo crisi della Gran Bretagna, Brexit, emarginazione del ceto operaio ed irriverenti provocazioni alla Royal Family, è anche introspezione nel privato di una personalità che, a primo impatto, potrebbe sembrare non voler mostrare alcun punto debole e giocare solo d’attacco, è anche messa a fuoco di un artista sfaccettato e dal grande potenziale. Per questo parla anche dell’insicurezza di non essere abbastanza, di una vulnerabilità che sfida le norme di genere, della paura che fa un mondo in cui non ti riconosci e che diventa sempre più esclusivo e cosa più interessante è che lo fa con una sfumatura inquietante di fondo che non si riesce bene a descrivere.
youtube
Nothing Great About Britain è un po' una pazzia, un debutto di cinquanta minuti diviso in due dischi che nella maggior parte dei casi si sarebbe tradotto in una pessima audace decisione. Nel caso di Thai, invece ha sufficientemente senso perché il suo è un album meditato dietro il quale ci sono anni di lavoro e tanta fame di rime che grattino l’asfalto, di crudi ritratti di provincia, di gesti - anche ingenui - che ribaltino ipocrisie ed illusioni. Il sipario si apre con l’omonima title-track che con la poca immediatezza di quei tempi sincopati scanditi da una batteria sorda ed hi-hats singhiozzati, crea subito un ritmo insolito sul quale organizzare la metrica; synth sinistri usciti da un film sci-fi sviolinano su altri accordi di tastiera che mettono l’accento sulla tensione della traccia, mentre Thai confeziona rime assurde stipandole di riferimenti ad un inglesissima sotto-cultura impossibile da comprendere per i neofiti, ma che in poche parole ritrae un paese veramente depresso ed illuso. Poi si scatena nell’accelerata Doorman con la produzione di Mura Masa, una potente deviazione per entrambi che mette in risalto la loro versatilità e la creatività che si può raggiungere pur rimanendo nel rap; l’energia punk di chitarra e batteria mangiate dalle manipolazioni si unisce a synth giocosi e voce distorta, creando una mescolanza ribelle dall’attitudine lo-fi, dove Thai da il meglio di sé mandando a quel paese un po' tutta la facciata dell’alta società inglese. Dead Leaves parla dell’ambiente stagnante in cui nulla cambia e tutto dà ai nervi, non si fa schiacciare dalle tracce più imponenti del disco pur non sforando i due minuti e servendo più che altro da ponte alla perla Gorgeous, in cui c’è da leccarsi ancora una volta i baffi per la produzione sempre molto personale, qui più curata nella melodia ma comunque sbilenca ed obliqua nei ritmi, e soprattutto bella sotto il punto di vista del testo in cui ripercorre la sua infanzia fino ad episodi dell’adolescenza legati allo spaccio di droga che lo hanno condotto al primo arresto. Thai non si compiace nel ricordare questi momenti della sua vita, ma non è neanche una persona che si piange addosso, più che altro propone un nudo spaccato fatto di povertà, razzismo e fratture, narrato dal punto di vista di un ragazzino spelacchiato nato e cresciuto nell’infame ma divina commedia della fascinosa e malata Inghilterra.
youtube
Il disco procede bene senza troppi intoppi tra strofe e rime che suonano bene solo perché pronunciati con un sublime ed impastatissimo accento inglese, sputando in faccia immagini di una deriva assolutamente sconfortante. Ad un certo punto compare anche Skepta in Inglorious, forse l'unica traccia esportabile a livello commerciale ma solo per la presenza del “re del grime” e di certo non per ammicchi al pop - dai quali si tiene lontanissimo. Subito dopo il sesto centro con Toaster, un piccolo inciampo con il brano Missing che non sembra necessario e poi si vola al disco numero due che ci regala la superlativa Ladies che già esordendo con “Lions don't lose sleep over the opinion of sheep” ha detto tutto, ma in più ci regala tantissime strofe - anche libere da riferimenti incomprensibili - che inquadrano perfettamente l’artista e tutto il suo lavoro, insieme ad una strumentale succosissima. Chiusura in grande stile con T N Biscuits, traccia durissima e pura da grimer che manco per nulla si risparmia una musicalità affatto scontata. Ed è proprio la musica ad adattarsi a pennello a Slowthai, un mostriciattolo impertinente che ti guarda dal basso facendoti la linguaccia, ma al contrario delle apparenze si dimostra per nulla innocuo. Occhi spalancati, quindi, per una delle promesse più belle dell’anno. Bravo Slowthai.
TRACCE MIGLIORI: Nothing Great About Britain; Doorman; Ladies; T N Biscuits
TRACCE PEGGIORI: Missing
VOTO: 85/100
#slowthai#nothing great about britain#hip-hop#grime#uk#rap#recensione#musicale#music#review#musicali#recensioni#blog#musica#gazemoil
1 note
·
View note
Quote
Gli operai hanno terminato di appendere agli alberi grappoli di lampade gialle e rosa, aranci e limoni di fuoco, e festoni e archi sulle strade e i palazzi, e col calare della notte, d'un tratto, tutta la città si accende. Splende la grande strada che attraversa Palermo, via Maqueda, via Ruggero Settimo, come un portico sterminato di luci, splende il viale della Libertà come un aranceto sfavillante: visto di lontano, dalle vie più strette che lo continuano pare una grande distesa in salita coperta da una folla innumerevole, o un prato di montagna, o una immensa muraglia obliqua che salga a toccare il cielo. Brillano le vie laterali; i Quatto Canti di città con le statue e le modanature sono le quinte di un fastoso teatro seicentesco. Tutto un popolo coi suoi infiniti occhi si aggira silenzioso in quel bagno di luce, esce dai palazzi dei principi e dei baroni e dai «catoi» dei vicoli, e si mescola per le strade. Le tre cupole rotonde della moschea, all'ombra del campanile romanico, della chiesa barocca e del neoclassico teatro Bellini, stanno rosse sul cielo.
Carlo Levi, Le parole sono pietre
3 notes
·
View notes
Text
luciano erba, "tutte le poesie", mondadori
luciano erba, “tutte le poesie”, mondadori
Cito da qui: “Tornano per Mondadori Tutte le poesie di uno dei maggiori poeti della seconda metà del Novecento: come pochi ha saputo ritrarre la sua città, tra storia e dimensione privata”. https://www.oscarmondadori.it/libri/tutte-le-poesie-luciano-erba/ Luciano Erba è un poeta a mio avviso non compiutamente assertivo (semmai spostato verso una lezione di presenza testuale autoriale “obliqua”:…
View On WordPress
0 notes