#ci trattava duramente
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Il tempo passa.
Ed oggi sono 20 anni per mia figlia Sofia, anche per le i ricordi sono molteplici e tornano indietro fino al giorno della nascita che a differenza di Bruno è stata in Italia e non ti fanno entrare in sala operatoria, o sala parto, quindi ho passato tutto il giorno all'ospedale facendo avanti e indietro dalla stanza dove Lei era stata messa per il travaglio, non so se l'hanno fatto a posta di farla stare tutto il giorno oppure se è prassi, fatto sta che dopo un paio ore che lei mi diceva che era esausta ed io andavo dall'infermiera e dicevo che è meglio fare qualcosa, l'hanno portata dentro e fatto il cesareo, potevano farlo prima? Non lo sapremo mai. Quel giorno con me è stato un mio collega e amico il Berto, che porello non aveva forse niente da fare ed è voluto stare con me che forse ero il primo che conosceva ad avere un figlio, non so non gli ho mai chiesto, perché a Venezia non avevamo nessun parente, solo mia sorella venne qualche giorno dopo. Alle 23:45 mi dissero che era nata e quando la portarono fuori nell'incubatrice per spostarla e farmela vedere un attimo c'erano anche Bruno, non mio figlio un amico, e Gabriele; siccome Bruno ha l'aria da finanziere e veniva dal lavoro, quindi ben vestito, l'infermiera lo guardò e gli disse : 'Questa è sua figlia', lui col fare del bravo romano la guardò e le disse : 'E' lui il padre' indicando me, si lo so non ho mai avuto un aspetto rispettabile, neanche un aspetto se per questo, ma dopo che ho passato più di 10 ore in quel posto cavolo poteva almeno ricordarsi la mia faccia, le solite mancanze delle persone che in quel momento sono impegnate a fare altro. Tornai a casa tardi e pensando tra me e me a letto che ero diventato padre, forse non me ne rendevo conto e non me ne rendo conto neanche adesso. Questa è più o meno la fredda cronaca di un giorno speciale, ma il momento più bello fu quando qualche giorno dopo era nella culla, sempre in ospedale, le parlai un attimo prima che la portassero via e mi sorrise, un gesto involontario forse ma che mi fece capire che quelle cose che dicono che i bambini dentro la pancia riconoscono la voce è vera e che lei sapeva che ero io. Adesso è più alta di me è una bellissima ragazza, come la madre, ed è oramai inserita nel mondo, meglio di come ho provato a fare io in 50 anni e ancora non ci sono riuscito.
Questa notte però ho fatto un sogno strano, ero un fumettista e lavoravo duramente, penso che erano gli anni 70 dal tipo di abbigliamento e non ero in Italia, al che mi dissero che un tale, un compositore strampalato, cercava disegnatori di fumetti perché voleva fare il suo fumetto, un tale Frank Zappa, allora andai a vedere di cosa si trattava; non era chiarissimo nel sogno ma fui preso e iniziai a disegnare a mio avviso abbastanza bene, ma lui vide i disegni e disse che l'idea era buona ma che non era esattamente quello che voleva e poi il momento cruciale del sogno, almeno penso, un primo piano del faccione dello zio Frank con l'espressione contenta e interrogativa allo stesso tempo e quella frase : 'You can do better, come on man'. Lo so i sogni sono sogni e non hanno attinenza con la realtà ma semplicemente sono frutto della nostra mente, ma quella frase mi ispira e mi porta a mettermi a lavoro con più tenacia di prima al mio progetto musicale, lo so è una casualità, se fosse stato il papa a dirmi che potevo fare di meglio cosa facevo andavo in seminario? :D hahahahha no è diverso, il fatto che sia lo zio Frank in persona, il sogno era uno di quelli che sembrano veri questo forse da più senso alla cosa, e che si riferiva non tanto al disegno, che sono proprio un neofita ma nuovo nuovo quindi con nessuna speranza se dovessi fare qualsiasi cosa, quindi il fatto che era Zappa mi porta solo in una direzione, la musica. Detto questo invece di rimuginarci sopra mi accingo oggi a pulire e reimpostare lo studio in modo da tornare a fare quello che facevo prima. Better, do it better.
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Ciao!
Ma tu hai mai partecipato alla battaglia delle arance durante il carnevale? Buona serata caro Alessandro!
Buongiorno Mama!
Assolutamente sì: da buon eporediese, ho partecipato, ed in particolare negli Aranceri della Morte ( https://www.arancerimorte.it/ ).
E’ un’attività fisica potenzialmente dannosa ed insensata, quindi non vedo come ci si possa astenere dal farlo!
Come la stragrande maggioranza delle tradizioni popolane che affondano le loro radici nel passato medievale (i vari pali, più o meno noti, ma non solo), anche la battaglia delle arance condivide aspetti ed emozionalità che solo chi è di queste parti comprende fino in fondo, e tra questi aspetti c'è anche una violenza che spesso stupisce, sgomenta e spaventa: spiegare questi aspetti è pressoché impossibile, però...
#parolerandagie#parolerandagierisponde#carnevale#ivrea#eporedia libera#una volta anticamente#egli è certo che un barone#ci trattava duramente#con la corda e col bastone#tuc un
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Day 2 -- “Alba”
« Ok, ok! Ce l’ho, ma devi rispondere senza pensare. »
« Spara. »
« Alba o tramonto? »
Alza gli occhi al cielo, prima che Nicky allunghi un dito accusatore nella sua direzione.
« NON PENSARE. »
« Non è facile! »
« Jayde. »
« Ok, ho capito – tramonto. » e improvvisamente cala il silenzio. Volta lo sguardo, cercando gli occhi dell’amico nel buio di quella spiaggia. Ancora stentava a credere di essersi fatta convincere a fare mezz’ora di macchina solo per restare a perditempo al freddo della costa, eppure lo aveva fatto. Aveva questa tendenza a perdere ogni senso di misura quando si trattava dei suoi amici, nonostante non fosse d’accordo con le loro decisioni. Loro chiamavano, lei arrivava. « Che c’è? ».
Alza un sopracciglio, Nicky, prima di aprire le braccia come se la risposta giusta fosse qualcosa di ovvio. « Sul serio? Siamo venuti qui a guardare l’alba e tu smonti le mie aspettative così? »
« Che vuoi, una non può avere la sua opinione? »
« Non se ti reputi una vera artista. È ovvio che l’alba ha una forza poetica mille volte superiore al tramonto. »
« Mi permetto di dissentire. »
« Sembrate tutti idioti, almeno l’avete mai vista un’alba? »
« Sì ma calmati, si può avere un’opinione diversa dalla tua. » Lo disse ridendo, sebbene Nicky sapesse bene quanto la infastidivano atteggiamenti del genere. Era una ragazza permalosa, competitiva, e continuamente terrorizzata dall’idea di non piacere agli altri. Già solo per quella risposta il suo cervello aveva cominciato a elaborare scenari apocalittici dove tutti i suoi amici l’avrebbero abbandonata solo perché preferiva il tramonto. Non ci poteva fare molto, aveva avuto compagnie in passato decisamente tossiche. Cercò di rilassarsi prendendo un sorso dalla bottiglia di birra che da ormai un paio di ore si stavano passando. Ad essere sinceri era qualcosa come la quarta, ma sono dettagli. « Se ci tieni così tanto dimmi perché dovrei cambiare idea. »
« Preferisci la vita o la morte? »
« Vita, ovviamente. »
« Eppure preferisci guardare qualcosa morire piuttosto che vederla nascere. »
Cala il silenzio. Effettivamente non ci aveva mai pensato. Si volta a guardarlo, con un misto di divertimento e imbarazzo prima di alzare la bottiglia tra le sue mani. C’era riuscito. « Complimenti. » Ultimamente si erano dati molto a conversazioni del genere, sul senso della vita e su ciò che era bello al mondo – sopratutto dopo aver visto alcune delle sue cose peggiori. Era stato un anno particolare, dove entrambi avevano improvvisamente cominciato a capire cosa significava essere adulti. La vita li stava colpendo entrambi duramente, ed entrambi stavano imparando a rialzarsi con le proprie forze. Ciò però non vietava loro di godersi un po’ di “fraternal compagnia” in quelle serate dove il cielo buio sembrava essere particolarmente oppressivo. Quella sera era una di quelle, al freddo autunnale di una spiaggia perché per tutta l’estate nessuno dei due aveva mai effettivamente avuto il coraggio di fare una pazzia del genere. L’ultimo messaggio sul telefono di Jayde risaliva alle 2:30 di quella stessa notte, dove sua madre in preda alla disperazione la pregava di ritornare a casa un’ultima volta prima di mandarla a quel paese e dormire. Adesso erano le 6:50, il cielo stava lentamente cominciando a colorarsi e a mostrare le nuvole che fino a quel momento la notte aveva nascosto. Se Nicky aveva ragione, Jayde lo avrebbe scoperto presto. « A che ora sorge il sole, oggi? »
« Aspetta, controllo. » Apre il telefono, esegue una veloce ricerca digitando “alba 2 ottobre” ed ecco che volta lo schermo dritto verso di lei. « Tra mezz’ora. »
« Sposta quel telefono, ci sto per uscire cieca. »
« La aspettiamo, vero? »
« Nicky, mia mamma-- »
« Tua mamma sta dormendo profondamente da almeno cinque ore, non puoi preoccuparti di lei tutta la vita. Quando andrai a vivere da sola come farà quella povera donna? »
« Se sapesse che parli di lei così smetterebbe di apprezzarti come fa ora. »
« Impossibile, mi adora troppo. » Un attimo di silenzio, alza lo sguardo in alto e guarda quelle poche stelle che riescono a sfuggire all’inquinamento luminoso. « Si sono mosse ancora. »
« Secondo quale logica dici questo? »
« Aspetta, aspetta– » e per un lungo istante guarda di fronte a sé, nel vuoto. Gli occhi, concentrati, sembrano scrutare dentro l’anima dell’aria prima che Nicky se ne esca con un fiero « Stiamo girando per così » e mostri con le braccia un goffo movimento antiorario. Inutile dire che Jayde scoppia a ridere.
« Non ha alcun senso! »
« Ti giuro che sì! »
« Ma è ridicolo. » ed entrambi abbandonano la conversazione in favore di una risata, che a sua volta sfocia nel più pacifico silenzio mentre gli occhi dei due puntano quello stesso cielo che hanno preso in giro fino a quel momento.
« Che vita di merda. » sono parole che escono da Nicky come un sospiro. Jayde lo capisce, dopotutto sa cosa gli sta passando per la testa in quel momento. Probabilmente dovrebbe pensare anche lei la stessa cosa – ma tutte le volte che ripete una frase del genere sa in cuor suo di non crederlo davvero. Sa che, nonostante tutto, non c’è un motivo per non amare questa vita, per non amare ogni colpo che lei ci manda. Sono entrambi giovani, entrambi alle prime armi, entrambi con ancora cose ben peggiori da provare. Se proprio deve odiare questa vita, lo vuole fare per qualcosa che la spezzerà in due. Adesso guarda Nicky e se stessa, e non può che credere che si tratti solo di una fase dove questa maledetta vita meravigliosa sta collaudando la loro capacità di gestirla. Ce la farà lui, e ce la farà anche lei. Sorride appena, e le parole le escono senza che neanche se ne accorga. « Tra dieci anni ringrazieremo il cielo per tutto questo. »
« Ma anche no, sinceramente. »
« Bevi, vai. » E passa la bottiglia al ragazzo, lasciandolo bere mentre un primo raggio li colpisce in volto improvvisamente. Le nuvole hanno coperto l’effettiva salita del sole, la cui luce adesso si sta facendo strada nel cielo. L’effetto è quello di un dipinto. Meraviglioso. Restano in silenzio per cinque minuti buoni, mentre l’alba timida e frettolosa del 2 ottobre inizia ad accendere il mondo e un nuovo giorno. Solo quando il sole ha completamente abbandonato la linea dell’orizzonte Jayde si sente di dare un suo giudizio sullo spettacolo appena vissuto. « Forse hai ragione, sai? »
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[TRAD ITA] 190930 TWEET DI J-HOPE:
“💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜💜”
Traduzione immagine:
“È stata un’esperienza così bella! Ci siamo preparati a lungo e duramente, e il momento in cui abbiamo rilasciato il risultato dei nostri sforzi è stato ancora più speciale e importante per me! Questo progetto per me è stata davvero un’opportunità per imparare e crescere. Vorrei ringraziare tutti i nostri fan per il loro amore, tutto lo staff che ha fatto così tanto per questo progetto, tutti i fantastici ballerini che mi hanno ricordato la passione che avevo quando ero più giovane, e ovviamente Becky G che ha capito subito di cosa trattava il progetto e l’ha reso incredibilmente speciale! Grazie mille!!
Continuerò a lavorare duramente per provare a fare musica migliore! Grazie!!💕”
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©MoMo)
#bts#bangtan#bangtan boys#ita#twitter#tweet#190930#jhope#jung hoseok#hoseok#hobi#becky g#chicken noodle soup#cns
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/03/27/come-eravamo-innovazione-e-costruzione-della-proposta-turistica-nel-salento-degli-anni-settanta/
Come eravamo? Innovazione e costruzione della proposta turistica nel Salento degli anni Settanta.
di Cristina Manzo
“Apparve il porto. Più da vicino, apparve al monte in cima di Pallade il delubro.
Allor le vele colammo, e con le prove in terra demmo. È di ver l’Oriente un corvo seno in guisa d’arco, a cui di corda invece sta d’un lungo macigno un dorso avanti.
Ove spumoso il mar percuote e frange. Nei suoi due corni ha due scogli, anzi due torri, che con due braccia il mar dentro accogliendo, lo fa porto e l’asconde sopra il porto. Lungi dal lido è il tempio.”
(Eneide, libro III)
Fig.1, «Porto Badisco (Le). Approdo di Enea». Il luogo baciato dal mito traspira rusticità e affetto. I muretti a secco contengono la vegetazione spontanea e tutto si colora di mediterraneità (1)
La Puglia, terra di arte e di magia, terra di abbracci e di incanto, con il Salento, quella fantastica terra dove i due mari si incontrano, è la regione più bramata dal turismo ai nostri giorni, ma non è stato sempre così. La storia del turismo nel Mezzogiorno d’Italia ha cominciato a modificarsi lentamente, quando la politica e le istituzioni pubbliche hanno cominciato a capire che c’era un impellente bisogno di attenzione alle innovazioni e di elasticità nelle concessioni, per far si che degli investimenti mirati portassero il meridione al centro dell’idea di meta turistica ambita, sia nei viaggiatori del resto d’Italia che in quelli stranieri.
Agli inizi degli anni Cinquanta il Salento era un’immensa miniera d’oro a cui non veniva concessa la possibilità di essere profondamente esplorata. Un potenziale non attivo. Mancavano le strutture ricettive, la bonifica di immensi territori campestri, adiacenti alle spiagge, inselvatichiti e grezzi. Mancavano i servizi, l’acqua e la luce in moltissimi siti adiacenti al mare, che avrebbero potuto diventare dei grandi stabilimenti balneari, la capacità di accoglienza e anche la costruzione pubblicitaria della vacanza e dei territori vacanzieri. Bisogna anche dire che, fino a quel momento, l’idea di vacanza, nel senso stretto del termine, era stata prerogativa di pochi, ma un’indagine Istat svolta tra il 1958 e il 1959 cominciò ad attestare l’esistenza di una neo-formazione del flusso turistico italiano.
Inizialmente si trattava di vacanzieri che si concedevano brevi soggiorni in località termali, con pochi pernotti, o di gite organizzate appena fuori porta in cui ci si attrezzava per consumare il classico pic-nic, fai da te. Negli anni Sessanta però, le vacanze cominciano ad estendersi fino a coprire tutta la durata delle ferie, per una media di circa quindici/venti giorni, nel mese d’agosto, periodo in cui di solito uffici, scuole o fabbriche osservavano, di prassi, la classica chiusura estiva, con i fruitori che sembrano prediligere luoghi incontaminati, ma ospitali, per godere di meritato riposo.
Alle vacanze degli italiani, si affianca in questi anni una timida percentuale di turisti stranieri che cominciano a visitare con interesse le nostre città d’arte e le nostre bellissime coste, fino a trasformare in pochi decenni l’Italia nella prima meta mondiale e il Salento, in Puglia, nella prima località preferita.
Negli anni Settanta quindi si rende finalmente necessario affrontare la realtà: con l’aumento della domanda c’è un reale bisogno di arricchire anche l’offerta, che prevede agibilità, interventi e ristrutturazioni per ampie superfici dell’entroterra costiera.
La successiva indagine Istat del 1985, rivelerà che ormai è quasi il 50% della popolazione ad andare in vacanza. Sono gli anni in cui cominciano a prendere piede le agenzie turistiche e immobiliari del turismo (per un compito che fino ad allora era stato svolto da singole persone che lavoravano in autonomia, chiamati “sensali”)(2) e comincia a svilupparsi anche il mestiere di “venditore della vacanza” e di un pacchetto “all inclusive” con una copertura di orari “full time” che è una concezione tutta nuova della vacanza dedicata a tutte le fasce societarie. Così si comincerà a pensare in grande, grandi alberghi, grandi stabilimenti, e anche grandi villaggi come nel caso del primo “Club mediterranee” aperto a Otranto, nel Salento, o del complesso turistico residenziale Serra degli Alimini, sempre a Otranto.
Negli anni Settanta comincia il boom delle vacanze nel Salento anche per le migliaia di persone emigrate per lavoro, nel resto d’Italia o all’estero, per una vera esigenza “fisica” di contatto con il nostro meraviglioso mare, le nostre coste, la nostra cultura contadina e ospitale, le nostre tradizioni… i profumi della terra. Il Salento, da questo momento in poi comincia la sua corsa inarrestabile verso la “pole position”, la “top ten” dei luoghi più ambiti e del “sold out”. Ovviamente non prima di essere riusciti a superare una certa serie di difficoltà. Molti centri balneari, con coste meravigliose e cultura e storia degne di nota, hanno dovuto lottare duramente per potersi vedere riconosciuta la loro importanza e per emergere, nonostante fossero in possesso di tutte le qualità necessarie. Prendiamo Gallipoli, ad esempio, che in mancanza di un buon piano regolatore per il turismo, fino agli anni Settanta, come unica attrattiva, puntava sul carnevale gallipolino, sulla pesca o su qualche manifestazione estiva folkloristica o sportiva. Non aveva alcuna forma di tutela per l’artigianato locale, e le uniche infrastrutture nella cittadina e dintorni a disposizione dei viaggiatori erano: “Gran Hotel Costa Brada”, “Hotel Lido San Giovanni”, “Hotel Artù”, “Motel di Marittima” e “Camping La Vecchia Torre”. La Pro-loco cittadina non provvedeva a fare nessuna forma di campagna pubblicitaria per mancanza di fondi nelle casse. La stessa sorte vale per tantissime altre località che faticano non poco a entrare appieno nella cintura del turismo d’arte e di balneazione salentina. Infine accadrà, i comuni e le province prenderanno iniziative, e le nuove idee di turismo prenderanno forma ma, non senza il rovescio della medaglia. Come nel Giano Bifronte, infatti, guardando indietro ci saranno le meravigliose coste baciate dalla natura incontaminata e, guardando avanti, un abusivismo edilizio che una volta cominciato avanzerà veloce a suon di enormi fabbricati che come titani si ergeranno tra le romantiche dune e a picco sulle coste, offuscandone, in taluni casi, il pittoresco panorama. Gli insensibili affaristi del vista mare, infatti, non esiteranno a costruire e inquinare le acque e i territori secondo il canone dei propri interessi. Ci sono zone dove hanno vinto la natura e il buon senso e zone dove l’uomo ha alterato il suo equilibrio, qualche volta in maniera irreversibile.
Proprio di questi mesi è l’articolo pubblicato dal “Quotidiano di Puglia” su uno di questi delicati e annosi problemi: «Demolire entro trenta giorni “la casa albergo” di Tricase Porto». Il sindaco Carlo Chiuri firma l’ordinanza di abbattimento del rustico di un albergo ristorante che domina la vista del porto. Costruito negli anni ’60 e rimasto abbandonato a se stesso sino a oggi, ora l’immobile è considerato un pericolo. Questo storico immobile, che nel tempo si è trasformato in un ecomostro, nasceva come un piccolo gioiello: completato nell’estate del 1967, ospitò inizialmente i proprietari finché a fine febbraio 69, iniziò il contenzioso tra Prefettura e Comune. Da allora la struttura è stata abbandonata. Dopo più di 40 anni di “assenza e trascuratezza” un gruppo di cittadini formò un comitato per l’abbattimento ma, alla fine, a decretare la fine dell’immobile ci ha pensato la natura, che con tutta la furia del tornado ha deciso di riprendersi il costone3.
Fig.4, «Gallipoli. Spiaggia lido San Giovanni». È il lido cittadino per antonomasia: quello frequentato dalla gente che conta.
Fig.5, «Lido delle conchiglie, litorale Santa Maria al Bagno – Gallipoli». È la spiaggia dei cittadini di Sannicola che ne hanno sempre rivendicato l’esclusività.
Fig. 6, Santa Maria al Bagno, (Lecce). La montagna spaccata. Benvenuti nel mare di Gallipoli
Fig. 7, S. Maria al bagno. Lungomare. La Rotonda e la piccola Promenade qualificano urbanisticamente la località nota per i bagni salutari e …affollatissimi.
Fig.8, “Santa Caterina di Nardò”, panorama e pineta. Lo sguardo abbraccia il vasto orizzonte che si posa sin sulla torre “D’altolido”.
Fig. 9, «Nardò, (Lecce). Panorama dalla Torre Dell’Alto». Riviera sullo Jonio. Veduta suggestiva dalla sommità della serra che domina la ridente costiera dove si adagiano le ambite località di soggiorno estivo di Santa Caterina e Santa Maria al Bagno
Con istanza del 20 dicembre 1972 il sindaco del Municipio di Lecce, in esecuzione della deliberazione adottata dall’assise cittadina nella seduta dell’11 dicembre 1970, chiese alla regione Puglia il riconoscimento della stazione di soggiorno e turismo del territorio comunale in tutta la sua estensione e in ogni area urbana. La Giunta regionale, in data 30 maggio 1973, espresse parere di approvazione e accolse l’istanza. Nelle ragioni che promossero la storica capitale di Terra D’Otranto ad area di pregnante valore turistico giocò un ruolo determinante la ricchezza di monumenti e di testimonianze storico-artistiche della “città-chiesa”, in quanto denominata, alternativamente la “Firenze del sud” e l’”Atene delle Puglie”: grazie all’inconfondibile tocco d’architettura del suo barocco gentile, che ne ha reso celebri i sontuosi templi della fede e i possenti palazzi del notabilato. Ebbe, parimenti, la sua importanza la dotazione, nel casalingo e lungo litorale, di una serie continua di località balneari che conobbero, negli anni sessanta, un deciso sviluppo turistico-residenziale: «con vari impianti ricettivi che integrano efficacemente i motivi di richiamo nel centro capoluogo». Ne discese un movimento di viaggiatori che, durante il 1972, raggiunse livelli ritenuti considerevoli dall’Ufficio regionale istruente la caldeggiata pratica. Si ritenne, allora, soddisfatta la condizione prioritaria per la concessione dell’ambito titolo come indicava nella normativa vigente: e cioè il “concorso dei forestieri” che «deve costituire l’elemento essenziale all’economia della località». L’Assessorato regionale al Turismo dette il via ufficiale all’avventura di Lecce città ospitale, d’arte e di cultura. Con decreto del presidente dell’ente del 22 marzo 1974, n. 779, venne, alfine, istituita l’Azienda autonoma di soggiorno e turismo, con sede nel comune. Dopo la lontana istituzione (1928) della prima Azienda autonoma (di cura) di Santa Cesarea terme, la Puglia meridionale tutta, con Lecce si pose al centro dell’attenzione dell’esigente ampio mercato dei consumi turistici (nazionali e non solo) di qualità certificata. La più orientale città dell’ultima penisola accolse, entusiasta, la palma di prima Azienda turistica sorta in un capoluogo di provincia della Puglia.
Fig. 10, «Santa Cesarea Terme (Lecce). Panorama dagli Archi». É il posto prediletto per i bagni in un contesto di rocce precipiti.
Fig. 11, «Santa Cesarea Terme. Piscina olimpionica Carmen Longo». Blu dolce e blu salmastro folgorano i bagnanti felici immersi in uno scenario di roccia e acqua esaltante
Nel mentre ci si disponeva a raffigurare su carta patinata i paesaggi di solare mediterraneità, l’attacco del mattone alle coste procedeva a ritmi sostenuti. Le “saracinesche sul mare” ne occultavano le visuali. Cortine di tufo rendevano arduo l’accesso alla battigia. Il disordine dell’edilizia delle “seconde case” andava montando. Un problema, questo dell’abuso dei litorali, che suscitava vivo allarme nell’opinione pubblica informata. Già lanciato dalla stampa negli anni del boom, del primo sacco costiero, fu particolarmente avvertito ad avviamento dei Settanta allorquando la situazione degli squilibri ecologici dell’interfaccia terra-mare stava precipitando.
«I fatti noti: lungo tutto il litorale jonico tra l’Oasi delle Quattro Colonne e S. Maria al Bagno, nei pressi delle numerosissime costruzioni abusive sorte in questi ultimi anni come funghi, il Pretore di Nardò […] ha fatto piantare dei cartelli con i quali impedisce l’accesso agli addetti ai lavori [di quei cantieri]. Poi c’è il caso della lottizzazione di “Baia Verde” a Gallipoli, a farla da primo attore. Poi Otranto per la questione dell’amplissima zona pinetata denominata Mari-Frassanito. Poi nella verdeggiante e silente campagna di Ortelle, sul rilievo che guarda a Castro Marina, dove sorge un centro turistico-alberghiero che, differenziandosi arbitrariamente dal progetto originale, finisce col causare un guasto irreparabile del paesaggio in una zona completamente boschiva ancora vergine.
Poi fu la volta di Porto Cesareo, nel frattempo divenuto meta preferita da coloro che risiedevano a Copertino, Veglie, e Leverano. La sua costa fu stravolta dai saccheggiatori di sabbia fino a perdere la naturale barriera protettiva delle mobili gibbosità della esaltante fascia marittima “un richiamo diverso da quello offerto dalle scogliere di S. Caterina e S. Maria al Bagno. La devastazione dell’ambiente retrodunale salentino procedette spedita per tutto il decennio considerato e, quella bellissima costa, devastata dall’abusivismo edilizio e dall’inquinamento provocato dall’incuria degli uomini. Si stavano letteralmente mettendo i lucchetti al mare.
In un articolo apparso su “La Tribuna del Salento”, a. XIX, n. 30, 4 ottobre 1977, di Ugo Tapparini, dal titolo “Porto Cesareo, l’abusivismo diventa paradossale. La spiaggia sotto chiave” si legge «Cancelli dovunque, la consegna è “Non si passa”. Timidi turisti, stranieri inconsapevoli di trovarsi in un’altra “Repubblica”, diversa da quella italiana, vengono sistematicamente respinti solo che osino varcare, in cerca del mare, la soglia della proprietà». I proprietari del villaggio Tabù, non si fecero scrupoli nel proibire l’accesso al loro esclusivo stabilimento, il doppio cancello praticamente vieta ai cittadini e ai turisti, stranieri compresi, di recarsi su un tratto di spiaggia candida e bellissima di proprietà pubblica. Con gli steccati tra Porto Cesareo e Torre Lapillo, si sbarrò la strada al turismo accogliente e sostenibile. Ma, a onor del vero, non tutti gli imprenditori del settore sono state persone prive di coscienza, di accortezza e di amore nell’approccio a questa nuova impresa, in cui bisognava anche crederci, e investire capitali propri con tutti in rischi connessi. La storia del turismo salentino l’hanno fatta soprattutto quelle persone che, dotate di un’idea imprenditoriale lungamente elaborata hanno davvero scommesso sulla carta, tutta da scoprire. Tra gli alti e bassi degli inizi, un pugno di innovatori – che non seguirono la solita strada dell’improvvisazione di operatori rapaci senza retroterra culturale- si spese per svecchiare veramente il comparto della vendita di pacchetti-vacanza, in comode stanze in bellavista, nell’ultima penisola baciata dal Mediterraneo più fulgido.
A Castro come a Leuca, a Gallipoli come a Porto Cesareo (a Otranto la storia prese, più che altro, il verso degli impianti villaggistici di matrice esogena e dirigisticamente concordata) andarono a localizzarsi ben fatti complessi per confortevoli soggiorni tutto mare e spiaggia. Il caso di studio dell’imprenditore Attilio Caroli (1910-1987) chiarisce benissimo il percorso seguito per arrivare al traguardo odierno, con l’inventiva di uno degli antesignani dell’”industria alberghiera” quale egli è stato, insieme alla sua famiglia, giunta alla quarta generazione, a perseguire e ad ampliare questo grandioso progetto (4). Siamo nel 1965 quando Attilio Caroli e Gilda Nuzzolese decidono di intraprendere a Santa Maria di Leuca una nuova scommessa. Attilio è originario del comune di Taurisano, centro agricolo del Capo di Leuca, e Gilda è una maestra di scuola elementare nata a Bari, e trasferitasi a Taurisano per insegnare. Essi erano del tutto nuovi al mondo dell’ospitalità alberghiera quando vi si affacciarono; Attilio insieme al padre Cosimo e ai fratelli, seguiva l’azienda agricola di famiglia che commerciava in vino e olio del Salento, ma era nota soprattutto per la raccolta dei fichi secchi che venivano impiegati dalle aziende di trasformazione per produrre distillati e surrogati del caffè, per poi essere esportati finanche oltre confine, sul mercato austriaco. Attilio e Gilda quando decisero di lanciarsi in questo sogno neofita, dove avrebbero investito il capitale dei profitti della loro impresa rurale, erano supportati dalla figlia Maria Domenica e dal genero Mario, un medico chirurgo anch’egli all’oscuro del nuovo mondo turistico, ma passo dopo passo con il loro entusiasmo portarono la piccola “Portici”, di Leuca, il piccolo gioiellino ricco di colori e di casette con terrazze e giardini privati simbolo dell’aristocrazia di fine secolo a non essere più solo un centro vacanziero per pochi membri d’élite. I Caroli, potenziarono il centro vacanze con l’innesto di una nuova grande struttura, modernissima con tantissimi posti letto che rendevano confortevole il soggiorno pur senza avere i lussi e l’esclusività delle ville. Nacque l’”Hotel Terminal” di Santa Maria di Leuca. I loro buoni rapporti con gli agenti di viaggio, sia nazionali che esteri, quelli che oggi chiamiamo tour operator la grande capacità di saper già trattare con il pubblico e il privato per il commercio, l’apertura mentale alle innovazioni e l’inventiva nel sapersi presentare e pubblicizzare fecero il resto. La nuova struttura in Santa Maria De Finibus Terrae, portò in breve al raddoppio, e oltre, del fenomeno turistico nel basso Salento. Nel 1976 questa nuova impresa di famiglia si arricchirà con la nascita del Complesso alberghiero “Le Sirenuse” di Gallipoli. Siamo appena all’inizio dell’industria turistica salentina ma la scommessa è vinta!
Con l’arrivo della terza generazione della famiglia Caroli-Caputo, Annamaria, Attilio, Gilda e Pierluigi, nella perla dello Jonio si acquisiscono altre strutture ricettive: a Santa Maria di Leuca, “Villa La Meridiana” e a Gallipoli, il “Joli Park Hotel” ed il “Bellavista Club” (5). Nasce la “Caroli Hotels”, che oggi affianca alla gestione di oltre mille posti letto la commercializzazione con il marchio “Caroli House & Boat” di immobili di pregio in Puglia e “charter in barca a vela” e con “La Dispensa di Caroli” promuove le prelibatezze enogastronomiche salentine, riprendendo la tradizione di famiglia, quella tradizione rurale e genuina, legata alle radici della terra da cui tutto era partito, in un felice connubio “fichi-hotellerie”. Ed ora la quarta generazione della famiglia rappresentata dai pronipoti di Attilio, Mario e Gabriele, continua la tradizione innovandola con nuove idee6.
Fig. 12, Preso dal mare, l’Hotel terminal mette in bella mostra il suo volto fresco e confortevole. Negli anni dell’avvio dell’attività ricettiva, l’avere una discesa diretta alla dirimpettaia spiaggia privata rappresentò l’elemento di spicco dell’offerta alberghiera leucana: un must dell’ospitalità dell’estremo Salento. Per essere visibili, invidiati e alla moda si doveva dimostrare . una volta tornata a casa dalle vacanze mirifiche – di essere à la page. Cosa di meglio di un ludico insediamento nell’arenile dorato, piantonato dal camerino da bagno di primo Novecento appartenuto alla villa di una famiglia in vista della “Leuca dei signori”?
Fig. 13, I fondatori del “Terminal”, i coniugi Caroli, nella reception nei primi tempi dell’operatività alberghiera (1967). Telefono centralizzato e macchina da scrivere in primo piano ci dicono che tutto è pronto per non sfigurare con i turisti che prenotano le loro vacanze degli agi in albergo
Fig.14, Con l’”Hotel Terminal”, il lungomare di santa Maria di Leuca acquisisce ancora di più la veste di moderna promenade in linea con i tempi esigenti della villeggiatura di livello medio-alto. L’affaccio diretto all’ultimo spettacolare mare a oriente d’Italia fa dell’albergo nuovissimo un sito privilegiato di ludica osservazione per il turista che si vuole godere veramente la vacanza a due passi dal bacio dell’onda: nella tranquillità riservata della spiaggia servita di tutto punto. Per elevare l’ospitalità bisognava, d’altronde, offrire tutti i comfort a cui il montante benessere di una fetta consistente della popolazione italiana . a cavallo tra i sessanta e i settanta – aspirava velocemente. Ci si sintonizzò, quindi, sulla frequenza allora in voga, delle richieste di qualità: si irrobustì così l’offerta alberghiera di buon livello. Leuca poté soddisfare un target in sintonia col suo passato splendore vacanziero. Fig. 15. Dépliant dell’”Hotel Terminal”. Nei primi anni settanta di crescita lenta, ma costante, del movimento turistico nazionale, occorreva dare indicazioni precise sull’area prescelta per le vacanze “decentrate”. Il pieghevole pubblicitario assolve al suo compito itinerario mettendo in dovuta evidenza le distanze chilometriche da percorrere, dai principali centri urbani regionali e dell’Italia di mezzo e del Nord, per arrivare alla mèta leucana, dalla quale poi è possibile agevolmente raggiungere, via Litoranea Salentina, le località balneari delle due costiere del Sole (opportunamente segnalate)
Fig.16, lo scatto di metà dei settanta riprende la struttura edilizia in via di completamento del complesso alberghiero “Le Sirenuse”, ubicato nel retro-duna del seno meridionale di Gallipoli, in Contrada “Li Foggi”.
Fig. 17, l’albergo “Le Sirenuse” è ormai una realtà sul finire del decennio degli anni settanta. Dotato di spiaggia privata e pineta, accoglie turisti provenienti da ogni dove
Di recente, cercando libri in biblioteca, mi sono imbattuta in un piccolo romanzo dal titolo “Salento nel cuore” stampato negli anni Ottanta, che ha toccato il mio, di cuore, riportandomi alla memoria la storia di tanti, anche miei parenti, che tra gli anni Venti e gli anni Settanta dovettero lasciare il Salento per cercare un futuro lavorativo e una migliore speranza di vita.
È una storia autobiografica ma, raccontata in terza persona, di un ragazzo, Giorgio, che rimasto orfano viene adottato dalla zia, che per salvaguardare la sua eredità da altri parenti perfidi, scappa con lui dal paese d’origine portandolo nel capoluogo salentino, dove il ragazzo frequenterà il collegio, sino alla sua maggiore età, per poi trasferirsi altrove, in Italia, dove completerà gli studi diventando medico, e dove si sposerà mettendo su famiglia. Un giorno, però, venendo a sapere che la zia era sul punto di morire, torna nel Salento, per restare al suo capezzale sino alla fine. “L’emigrazione verso la Svizzera e la Germania aveva allontanato i giovani contadini dai poderi dei vecchi genitori, rimasti soli a sfiancarsi in mezzo alle viti che non rendevano più come una volta, anche perché il mercato non assorbiva totalmente il prodotto, a causa delle solite crisi agricole. Altre bevande surrogavano il buon vino del Salento, varie miscele sostituivano il magnifico olio pugliese. Prodotti artefatti o sofisticati , lanciati reclamisticamente alla televisione, gettavano nello sgomento molte famiglie di contadini, i cui figlioli preferivano inurbarsi alla ricerca di un lavoro presso industrie del nord o verso più lontane metropoli europee, anche se il cuore rimaneva nel Salento, il quale malgrado le grandi metamorfosi socio-economiche restava immutevole nella sua arcaica bellezza. […] Certo qua e là le spiagge salentine presentavano un aspetto diverso, più mondano. Ma la svolta nel meridione era assolutamente necessaria. Chalets e ristoranti, pensioni ed alberghi richiamavano stranieri e genti del nord, incantate nella scoperta di spiagge naturali, fatte di soffice bianca sabbia, di scogliere invitanti a tuffarsi tra le onde trasparenti. La mitica terra del sud apriva le sue corolle, faceva conoscere le splendide bellezze inesplorate: Castro, Santa Cesarea, Santa Caterina…Campomarino, Torre Ovo, Lido Silvana: autentiche perle dalle iridescenze opalescenti fra soli…ed azzurri interminabili. Dal maggio al settembre inoltrato durava la lunga estate salentina, smagliante di luce e di colori, di forza generosa, di atavica genuinità. […] Ricordava bene quella sera: partito con il treno alla volta del Garda, avvertì uno strano inspiegabile malessere, per cui sceso a Brindisi, raggiunse in taxi Lecce, rientrando in casa inaspettato. Egli non se la sentiva di allontanarsi dai cari luoghi; ancora una volta il Salento lo tratteneva…al mattino seguente, Giorgio si riconciliò con la vita, il malessere era scomparso. Ogni pomeriggio il nostro attraversava la città dalle quattro porte: solo, per le vie solitarie, Giorgio riscopriva la “capitale del Salento”, non si stancava di ammirarla e ne comprendeva la vera sostanza che ora maternamente lo avvolgeva. Aveva rivisto i vecchi compagni, insieme ridevano con il Salento nel cuore, il loro passato, le inveterate tradizioni, la vecchia Lecce delle giravolte, le carrozze, caracollanti tra stazione e piazza Vittorio Emanuele; il profumo di caffè tostato; i dolci dell’Alvino; il campo sportivo Carlo Pranzo con partite di pallone tra studenti. Tutto questo passato veniva confrontato con i problemi attuali, con la realtà presente, a volte drammatica, fino a coinvolgere i figli, dopo il cruccio di tante illusioni cadute. Le ansie umane svaniscono al cospetto della genuina dolcezza del Salento, invitante i suoi figli a restare; a continuare una vita più autentica, a cogliere il profumo di un’arcaica terra, dove realtà e leggenda s’intrecciano, sciogliendosi nei contorni diafani di un’esistenza ineffabile”7. Ci deve essere un motivo se tutti coloro che vi sono nati o, hanno conosciuto il Salento, non riescono a starne lontani. C’è sempre l’idea fissa di tornarci e quando ciò non si compie, quell’idea si trasforma in un macigno adagiato sul cuore, in un vuoto da colmare, in un nostalgico e sopito dolore. Si può viaggiare, partire, tornare, riandare, girare il mondo intero, ma nessun paese potrà eguagliare la magia che il nostro mare e i nostri “trecento kilometri” di costa infondono nell’animo del Viaggiatore. E quindi…Arrivederci dall’incantato Salento.
BAIA DI PUNTA DELLA SUINA, GALLIPOLI, PUGLIA
immagine tratta da http://www.expopuglia.it/turismo/visita-la-puglia/brindisi-e-provincia/lecce-e-provincia/gallipoli-e-i-gabbiani-lecce-208
Note:
1La caletta di Porto Badisco si chiama effettivamente “ Approdo di Enea”, anche se ormai varie teorie e ricerche storiche aggiungono a questo sito altre tre probabili candidate location per l’avvenuto sbarco di Enea nel Salento, ovvero Castro, Otranto e Leuca.
2Il sensale era già conosciuto dai persiani e dagli arabi dove rispettivamente era denominato “sapsar” e “simsar”, mentre nell’antica Grecia la figura del sensale era conosciuta con il termine proxenètes, dal quale trae origine la parola “proxenèta”, utilizzata sia in epoca romana che nel periodo medievale. Inizialmente la sua funzione consisteva nel mettere in contatto persone del luogo per soddisfare esigenze anche diverse da quelle di carattere commerciale, mentre successivamente, nell’antica Roma, il “proxenèta” assunse la figura di “intermediario di matrimoni” e di “conciliatore di dissidi familiari”. Solo successivamente, grazie allo sviluppo dell’impero romano, la sua figura assunse la più importante funzione di “mediatore in affari commerciali”. Già ai tempi dei Romani la figura del proxenèta era giuridicamente conosciuta e codificata: a testimoniarlo è il Corpus Iuris Civilis o Corpus Iuris Iustinianeum. .Il 1º gennaio 1866 nacque il Codice di Commercio del Regno d’Italia, nella cui legislazione i sensali divennero “mediatori” e vennero distinti in due categorie: quelli pubblici, i quali erano muniti di mandato, e i “mediatori in altre specie di mediazione”, ovvero i sensali di merci, di assicurazione, per noleggio navi e quelli per trasporto per terra e acqua. La legge del 20 marzo 1913, n.272 sancì che la professione di mediatore fosse libera e senza necessità di iscrizione ai Ruoli della Camera di Commercio, eccezion fatta per gli agenti di cambio e coloro che svolgevano incarichi pubblici. Nel 1958 venne invece reintrodotto l’obbligo dell’iscrizione al Ruolo della Camera di Commercio: agli iscritti per la prima volta venne attribuita la qualifica di “agenti di affari in mediazione”. https://it.wikipedia.org/wiki/Sensale
3 https://quotidianodipuglia.it/lecce/tricase_porto_via_lo_storico_ecomostro_demolito_entro_un_
4 Michele Mainardi, “Camere con vista mare. Enti di promozione ed imprese nell’innovazione turistica del Salento, degli anni settanta”, Edizioni Grifo, Lecce, 2010.
5Tutte le notizie riguardanti la storia d’impresa e la biografia di Attilio Caroli e famiglia provengono dalle fonti dell’archivio familiare.
6 https://www.carolihotels.com/storia/
7 Luigi Camassa, Salento nel cuore, pp.72-82 I.T.E.S. Lecce, 1973.
8 Tutte le immagini (in bianco e nero) contenute nell’articolo sono presenti all’interno del libro di Michele Mainardi, Camere con vista mare. Enti di promozione ed imprese nell’innovazione turistica del Salento, degli anni settanta”, Edizioni Grifo, 2010.
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L'Inquisizione in Italia. Formazioni armate contro gli eretici in Italia. Catari e autorità cittadine contro gli inquisitori
San Pietro Martire
L'INQUISIZIONE IN ITALIA
La violenta repressione iniziale dei catari tra crociata e <<grande devozione>>
Gli inizi dell'ufficio inquisitoriale negli anni '30 del Duecento
Formazioni armate contro gli eretici in Italia
In Italia ci fu, la forza armata che venne messa in altro modo a disposizione delle autorità ecclesiastiche. Negli anni '30 del Duecento sorsero infatti alcune confraternite penitenziali armate, che si proponevano il miglioamento della vita religiosa e morale dei confratelli; come ogni confraternita, ma anche l'intervento in difesa della fede <<contro ogni setta eretica>> e a sostegno della libertà della Chiesa. Una milizia del genere sorse a una forma e venne sostenuta da sette bolle papali tra 1234-1235. I confratelli erano maschi e femmine, ma ai primi era riservato l'uso delle armi. Dovevano riunirsi almeno una volta al mese per ascoltare la predicazione della parola di Dio da parte del vescovo, ma la loro formazione religiosa era affidata al maestro generale dei domenicani. Si trattava dunque di una mobilitazione stabile di laici, nobili e non nobili, sotto il controllo ecclesiastico e in appoggio all'aione inquisitoriale dei domenicani una forma quotidiana di crociata, che procura va l'indulgenza plenaria in caso di morte in combattimento per la Chiesa, L'esperienza parmense, durò solo qualche decennio, ma analoghe formazioni religioni armate ebbero vita in altre parti d'Italia, ad esempio a Milano (1233), Bologna (1261), in particolare nella seconda metà del secolo XIII: La loro attività è poco conosciuta, data la scarsità della documentazione, ma accompagnò spesso gli interventi degli inquisitori.
Catari e autorità cittadine contro gli inquisitori
La presenza e l'azione degli inquisitori non furono sempre accettate e appoggiate di buon grado dalla popolazione e dalle autorità cittadine e ci furono alcuni episodi di violenta opposizione in Francia e in Italia. Nel 1239 i cittadini di Orvieto assalirono e incendiarono il convento dei domenicani e bastonarono duramente l'inquisitore. Nel castello di Avignone furono uccisi nel 1242 i due inquisitori di Tolosa e i loro otto funzionari da una quarantina di cavalieri e 25 uomini armati venuti da Montségur, un degli ultimi castelli in cui i catari vivevano al sicuro; per questo motivo Montségur venne assediata e conquistata subito dopo. Il podestà di Firenze nel 1245 si rifiutò di arrestare un notabile che proteggeva i catari e, costretto a farlo dall'inquisitore, ne facilitò poi la fuga e provocò anzi una piccola battaglia tra i cittadini sostenitori agli eretici e gli armati della milizia della fede al servizio dell'inquisitore. Nel 1252 l'inquisitore domenicano della Lombardia fra Pietro da Verona fu assassinato sulla strada da Milano a Como in un agguato ordito dei catari lombardi, tra i quali il nobile milanese Stefano Confalonieri. Nella dinamica di questi episodi di opposizione si notano argni e motivi differnti: una parte degli scontri sono condotti direttamente dai catari, un'altra parte da cittadini e autoeritò comunali. La storiografia precedente tendeva a mostrare il sistema inquisitoriale come un corpo estraneo alla società e spiegava queste reazioni come manifestazioni del ghibellinismo, a sostegno dunque l'egemonia dell'impero contro il papato. Oggi si tende invece a vedere l'operato inquisitoriale in funzione alla società costituita, quindi per il mantenimento dell'uniformità religiosa, voluta anche dale attività secolari a queste reazioni si spiegano piuttosto come tentativi per sostenere l'autonomia giurisdizionale dei comuni nei confronti della Chiesa, non come appoggio agli eretici. L'episodio più sanguinoso di opposizione agli inquisiori avvenuto in Italia fu senza dubbio l'assassinio di fra Pietro da Verona, la cui vita e morte sono altamente emblematiche. Nato nel 1203, figlio di catari, Pietro divenne frate ascoltando Domenico nel suo zelo venne nominato dal papa inquisitore in Lombardia nel 1251. Questo stesso impegno, gli costò anche la vita: mentre si recava a Como per la sua missione, fu ucciso vicino a Seveso il 6 aprile 1252 in un'iimboscata tesagli da un sicario pagato dai catari, il quale gli conficcò una spada in testa. Fra Pietro venne canonizzato da Innocenzo IV il 9 marzo 1253, nemmeno un anno dopo la morte, e fu in assoluto il secondo santo domenicano. Il suo nome fu trasformato in San Pietro Martire e divenne il patrono e il modello ideale degli inquisitori: un eretico convertito, martirizzato dagli eretici, quanto più affascinante e coinvolgente poteva escogitare e proporre l'offensiva cattolica contro i catari.
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(Questa è una mia creazione. Ho usato come texture una foto creata da Paweł Czerwiński trovata su Unsplash ) New York 15.01.21. Little Wind Books/Tel'aran'rhiod 3 days to go... David si sentiva inquieto. Agli occhi dei clienti lui era sempre lo stesso ma non per Kim e Maxine, che ormai sapevano leggere nei suoi occhi cristallini e intuivano al volo cosa si agitasse nell'animo del giovane sciamano. Non fecero nessuna obiezione quando lui disse che avrebbe trascorso la pausa pranzo da solo, nella sala dove si svolgevano le lezioni di yoga. Aveva bisogno di comprendere, di comunicare con il proprio io e con il Grande Spirito per trovare l'equilibrio che, in quei giorni in particolare, sembrava trovare a fatica. Prese ametiste e quarzi ialini a sufficienza per tracciare un cerchio, prese la ciotola per l'incenso. I suoi gesti erano rapidi, quasi febbrili, come se la sua anima gli stesse urlando a viva forza 'sei troppo lento, non c'è tempo da perdere'. Creò il cerchio con i cristalli e si sedette in mezzo, nella tipica posizione del loto. Chiuse gli occhi e all'improvviso sentì il rumore del ferro battuto. Quando li riaprì, stava fissando il lavoro del fabbro su una spada. Era così concentrato che nemmeno notò la sua presenza e in fondo ciò che attirava lo sciamano come una calamita era la forma del fuoco e la sua luce confortante. Camminò lentamente verso l'esterno e si ritrovò immerso in una foresta antica. Gli alberi erano alti e il sole faticava a farvi penetrare i suoi raggi. I sensi dello sciamano si erano acuiti, come se temesse all'improvviso un attacco da parte di uno sconosciuto nemico. La voce di Nonna Vianne risuonò imperiosa nelle sue orecchie. 𝑃𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑒𝑑𝑖, 𝑖𝑙𝑎𝑘𝑎. 𝑆𝑒 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑛𝑖𝑚𝑎𝑙𝑖 𝑡𝑖 𝑣𝑒𝑛𝑔𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜, 𝑠𝑖𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑎 𝑐𝑜𝑔𝑙𝑖𝑒𝑟𝑒 𝑙𝑎 𝑙𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜𝑛𝑜 𝑟𝑒𝑔𝑎𝑙𝑎𝑟𝑡𝑖. La sua intera fibra si mise in attesa e venne ripagato ampiamente. Un cervo dalle corna maestose e dall'incedere elegante gli si parò di fronte a lui. E𝑚𝑏𝑙𝑒𝑚𝑎 𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑒 𝑑𝑖 𝑓𝑒𝑟𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑚𝑎𝑠𝑐ℎ𝑖𝑙𝑒 𝑚𝑎 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑖 𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑎, 𝑔𝑒𝑛𝑡𝑖𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑒 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎. 𝐴𝑙𝑙𝑢𝑑𝑒 𝑎𝑙 𝑟𝑖𝑛𝑛𝑜𝑣𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑠𝑖𝑎𝑠𝑖 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑒 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎. 𝑅𝑒𝑠𝑝𝑜𝑛𝑠𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒 𝑒̀ 𝑙𝑎 𝑐𝑎𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑢𝑒 𝑐𝑜𝑟𝑛𝑎, 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑖𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑜𝑛𝑜 𝑠𝑒 𝑟𝑒𝑐𝑖𝑠𝑒 𝑜 𝑑𝑎𝑛𝑛𝑒𝑔𝑔𝑖𝑎𝑡𝑒; 𝑎𝑙 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑓𝑖𝑛𝑜 𝑙'𝑎𝑙𝑏𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑣𝑖𝑒𝑛𝑒 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑒𝑠𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑒 𝑟𝑎𝑚𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒. Conosceva bene quale fosse la lezione in gioco. Quando è tempo di agire non tergiversare, muoviti, affronta le cose di petto e non lasciarti fermare dal dubbio. Il Grande Spirito sapeva quanti dubbi albergavano nel giovane sciamano. Ne aveva avuti per tutta la sua esistenza, nonostante gli altri lo vedessero come un uomo solido che agisce in accordo con quanto gli è stato insegnato. Continuò a camminare e si ritrovò ben presto nei pressi di un corso d'acqua dove una lontra stava nuotando placidamente, facendo spuntare solo una parte del muso. I suoi occhi innocenti lo fissavano ed erano ipnotici per lui. 𝐿𝑎𝑠𝑐𝑖𝑎𝑡𝑖 𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑝𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑐𝑖𝑜̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑝𝑒𝑟𝑡𝑖𝑛𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑡𝑢𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑎, 𝑛𝑜𝑛 𝑖𝑟𝑟𝑖𝑔𝑖𝑑𝑖𝑟𝑡𝑖 𝑠𝑢 𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖 𝑠𝑐ℎ𝑒𝑚𝑖 𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖. Sorrise triste. Quella lezione ancora doveva apprenderla del tutto. Il cambiamento lo spaventava, anche se finora non si era mai fatto bloccare. Finora. La vita gli stava offrendo nuove sfide e lui, per la prima volta, si sentiva inadeguato. Stava opponendo un muro costruito dalla paura? Avrebbe dovuto meditare e indagare su questo. La lontra si nascose nel profondo dell'acqua perché terrorizzata da un grido che proveniva dall'alto. Un falchetto stava volteggiando sopra le loro teste e David si perse ad ammirarne le ali e l'eleganza con cui sembrava solcare il cielo. Un'esortazione a continuare il suo cammino senza invidiare ciò che altri avevano ottenuto? Forse. Ultimamente aveva provato troppo spesso quel sentimento, desiderando una vita più canonica, meno dettata da percezioni e visioni. C'era anche un altro messaggio in quella visione, ne era conscio ma forse non era ancora pronto ad accettarlo. Si trovò di fronte a un tipì e sorrise. Avrebbe riconosciuto quella struttura ovunque. Uno sciamano uscì dalla tenda e gli venne incontro. "Kúwa hokší* Ci sono cose che devi sapere. So perché sei qui, posso vedere il tuo cuore e so che sei turbato. Posso vedere quanto duramente il tuo sangue ti ha colpito, esigendo un alto prezzo da pagare. Sei quasi morto ma il Grande Spirito ha deciso che avessi ancora tempo e lezioni da apprendere. Non temere, mio giovane amico, le soluzioni ai tuoi problemi arriveranno da te, non appena tu cesserai di dar loro la caccia. Dobbiamo permettere a Wakan Tanka di parlarci quando siamo pronti. Quando è il momento. Tu sai meglio di me che è così." La sua voce, il volto dello sciamano si trasformò lentamente e David si vide come in uno specchio ma quegli occhi erano più sereni dei suoi. All'improvviso svenne e quando, riprese i sensi, si ritrovò nuovamente al Little Wind Books. Di fronte a sé aveva degli oracoli. Non sapeva quando li aveva presi né in che modo avesse fatto la divinazione. Fissò il falco. In quella posizione stava a significare anche qualcos'altro, qualcosa che lui non era ancora disposto ad accettare. Scosse la testa. Non era pronto. Non lo sarebbe mai stato. 𝘕𝘰𝘯 𝘢𝘷𝘦𝘳 𝘱𝘢𝘶𝘳𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘵𝘶𝘰 𝘴𝘢𝘯𝘨𝘶𝘦, 𝘪𝘭𝘢𝘬𝘢. La voce di Charles Haller risuonò nella mente ma, questa volta, si trattava di una memoria che riaffiorava come la lontra della sua visione. | * Come here, child. (lakota) Per creare questo post mi sono avvalso di un tipo particolare di oracoli legati ai nativi americani. Gli animali e lo sciamano in questione sono, esattamente, ciò che ho tratto in una divinazione. Se siete arrivati sin qua a leggere, grazie mille per l'attenzione. La colonna sonora nella stesura del pezzo è stato questo: Andvevarljod - Wardruna dal nuovo album che arriverà il 22 gennaio. https://youtu.be/x0rfdg2LJAA
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la mia vita al tempo del COVID-19 (giorno 23)
Notizia di oggi: Natale e Capodanno con sei persone a cena e con tracciamento dei presenti, specie per quelli che potrebbero aver avuto contatti con potenziali positivi. Evitare baci e abbracci sempre. Regole uniche per tutta Italia, anche per le zone gialle. Sono le linee guida sulle festività dettate dal CTS Comitato Tecnico Scientifico al governo per impostare il DPCM in arrivo il 3 dicembre.
Queste le anticipazioni che da giorni si susseguono su quello che è stato soprannominato il DPCM di Natale, che il governo sta infiocchettando proprio in queste ultime ore. Non lasciano spazio a fraintendimenti: saranno feste natalizie diverse dal solito, sobrie, con regole precise da rispettare per evitare una terza ondata di contagi a gennaio. Smentite anche le ipotesi circolate nei giorni scorsi di anticipare la celebrazione di qualche ora la nascita del Nazzareno… Messa di Natale vietata dunque.
E adesso chi lo spiega ai fanatici della tradizione?
La famiglia. La nostra forza, la nostra salvezza, per molti le persone che gli sono più vicine al mondo; gli unici in grado di condividere sinceramente i nostri sogni e le nostre paure. “To be, or not to be?” Essere o non essere? Non era questa la vera domanda che avrebbe fatto bene a porsi Amleto, all'inizio del soliloquio nella prima scena del terzo atto della tragedia. La vera domanda era: come ha potuto mio zio assassinare mio padre e sposare mia madre?
Per qualcuno l’idea di family entertainment che avevano nella Danimarca di quei tempi era inopportuna, sconveniente anche. Non di certo paragonabile a quella pletora di esigenze culturali e proliferare di canali tematici che oggi contribuiscono a creare generi sempre più sovrapponibili, e ibridi che assecondano gli appropriati bisogni dell’evoluto pubblico odierno. L'edutainment, come viene definito da quei depravati dei coevi etologi, ciò che ingravida i nostri attuali schermi televisivi, non è minimamente paragonabile a quello in voga nel 1600. Oggi l’offerta è vasta, infinita, e soprattutto non offre solo drammi familiari, sesso, bugie, amori impossibili, abbandoni, ma spazia da l’infotainment ai varietà, game e quiz show – che all’elemento “culturale” sembrano preferire una dilatazione teatrale dell’automatismo ludico di fondo, e al ritmo incalzante della domanda e della risposta contrappongono signorine poco vestite, tipi, strambi (non sia mai che per baglio qualcuno impari qualcosa) – ai talent, le serie TV, passando per talk, fino agli apprezzatissimi e lobomotizanti emotainment detti anche “volemosebene”: carrambate a gogò, agenzie matrimoniali caserecce, giochi di improbabili coppie, e piogge di lacrimosi amanti abbandonati.
Ma dal momento che le feste sante e no, che ci attendono quest’anno sono tremendamente funestate dallo spettro del Covid-19, che ne sarà della tradizione e soprattutto della famiglia ? Che ne sarà di quella tregua che solitamente abbassa il dato che conta 58 omicidi in famiglia, uno ogni 55 ore, che interessa il nostro (Bel)Paese? Quelli commessi da un membro della famiglia nei confronti di un altro. Nel 48,5% la relazione vittima - autore va ricercata nell’ambito del rapporto di coppia, ma a volte le vittime sono i figli, come avvenuto nella recente tragedia di Lecco. Secondo gli ultimi dati anticipati dall’ AGI Agenzia Giornalistica Italiana all’ Eures European Employment Services, sono stati 158 gli omicidi, nel 2019, 75 si sono verificati al nord, 30 al centro e 54 al sud. Certe volte, anzi spesso, mi domando come sia possibile trasformare, mutare la propria natura, oltrepassando lo stadio in cui non si è più in grado d’amare. Cosa c’è di storto nella natura umana? Certe volte vorrei proprio essere un animale, per potermela tenere appiccicata addosso la mia natura… i cani destinati a desiderare gli ossi o i gatti che rincorrono i topi. Ma poi penso che da animale mi ritroverei ad aver a che fare comunque con l’uomo, e allora mi deprimo.
La famiglia. Nel mio caso siamo io, mia moglie Giuli e la Dottie, il mio amorevole cane. Con il resto dei parenti ho chiuso anni fa… com’è che si dice? Dio ci da i parenti, ma grazie a Dio i nostri amici ce li scegliamo noi. Se ripenso seriamente alla mia vita fino ad oggi, percepisco che il mio concetto di famiglia – nonostante si trattasse di un nucleo estremamente disfunzionale – non è cambiato in tanti anni. Tutte le mattine, appena apro gli occhi, in quei brevi istanti in cui ancora non ricordo chi sia o dove mi trovi, mi sento proprio come quando mi svegliavo a dieci anni, prima che gli eventi e la sorte avversa corrompessero e alterassero la mia storia familiare. E questo mi conforta e mi basta. Basta al mio cuore. Pensate che per quest’anno a Natale, visto la situazione con cui nostro malgrado ci ritroviamo a fare i conti, sarà possibile trascorrere un Natale più moderato? Penso a quei 23 milioni di famiglie (in aumento) che devono fronteggiare delle difficoltà a causa di reddito familiare ridotto. Tutti quei lavoratori che sono già stati duramente colpiti nella prima ondata della pandemia e ora si trovano nel mezzo della seconda ondata. Quelli che hanno un familiare in ospedale, quelli che hanno perso una persona cara. Ritenete possibile ridurre i posti a tavola, le settimane bianche, i veglioni, le dimostrazioni di affetto sincere o di circostanza, sante messe, omelie, mattino, sera, mezzanotte, per le consuete celebrazioni in occasione della nascita del Salvatore… Magari per quest’anno festeggiate, cenate, rivolgetevi a Dio, celebrate, rievocate et glorificate, insieme alle persone più strette e dentro, in fondo ai vostri cuori. E Così sia.
C’è un ‘altro titolo che oggi viene ripreso dalle maggiori testate d’informazione nazionali e locali, riguarda un fatto accaduto a Modena.
“Un tumulo di pelo pubico e peni flaccidi penzoloni mentre 5 uomini grassottelli sudati e nudi corrono fuori da una sauna urlando: un serpente! Un serpente!”
Che cos’è successo? Pressapoco quello che palesa il titolo: lo scorso sabato, in piena emergenza pandemia, dai comignoli del noto Centro Benessere “Il Togo” di Modena, fuoriusciva un fumo sospetto, allertati da una telefonata anonima sono intervenuti gli agenti del locale comando di polizia municipale che giunti sul luogo hanno costatato la reale emergenza. Gli immediati accertamenti hanno permesso agli agenti di ricollegare la fuoriuscita di fumo (bianco e denso) ad una sauna in piena attività. La task force anti Covid-19 giunti in supporto all’Arma locale, hanno provveduto alla bonifica e messa in sicurezza dell’intera area, sospettando che all’interno del Centro Benessere Il Togo dovevano trovarsi una o più persone, che dispetto delle vigenti norme stavano bellamente usufruendo dei servizi del centro. Non ritenendo opportuno avanzare violentemente con vistoso e diffuso impeto, all’interno dei locali dello stesso, i vigili urbani hanno pensato bene di introdurre un esemplare di viperide oriundo dell’Asia Minore attraverso il regolare tubo di aerazione direttamente all’interno della sauna. Onde agevolare l’uscita del/dei furbetti. Allo splendido rettile sono bastati pochi minuti, e gli agenti si sono trovati di fronte, cinque individui adulti grassottelli di sesso maschile, che correvano nudi urlando ed esibendo un sacco di pelo pubico oltre a tre pisellini molto molto flaccidi. Sarà un natale salato per i cinque, che sono stati sanzionati per non aver rispettato il divieto di assembramento oltre al mancato uso della mascherina e di presidi atti a coprire le vergogne, con l’aggravante di non essere congiunti, ma l’attenuante di essere solo in 5 e per tanto non oltre il massimo di 6 avventori previsti. Uno di loro è stato trattenuto perché risultante fuori dal proprio comune di residenza senza una motivazione valida per stare in giro.
Ulteriori accertamenti da parte degli agenti del locale comando di polizia municipale dovranno far luce sulla dinamica dei fatti per determinare se si trattava di un festino e/o festa privata o un semplice caso di infrazione dei protocolli-ripartenza-palestre-covid.
Sia pure. Per oggi è tutto.
Fine giorno23
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Lectio Divina: 14ª Domenica del tempo ordinario (C)
Lectio
Domenica, 7 Luglio, 2019
L’invio dei 72 discepoli
Ricostruire la Vita Comunitaria
Luca 10,1-12.17-20
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l'hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione.Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.
2. Lettura
a) Chiave di lettura:
La predicazione di Gesù attira molta gente (Mc 3,7-8). Attorno a lui comincia a nascere una piccola comunità. Prima, due persone (Mc 1,16-18); poi altre due (Mc 1,19-20); dopo, dodici (Mc 3,13-19); ed ora, nel nostro testo, più di settantadue persone (Lc 10,1). La comunità va crescendo. Una delle cose in cui Gesù maggiormente insiste è la vita di comunità. Lui stesso ha dato l’esempio. Non volle mai lavorare da solo. La prima cosa che fece all’inizio della sua predicazione in Galilea fu chiamare la gente a stare con lui ed aiutarlo nella sua missione (Mc 1,16-20; 3,14). L’ambiente di fraternità che nasce attorno a Gesù è un saggio del Regno, una prova della nuova esperienza di Dio come Padre. Ed allora, se Dio è Padre e Madre, allora siamo tutti una famiglia, fratelli e sorelle. Così nasce la comunità, la nuova famiglia (cf. Mc 3,34-35).
Il Vangelo di questa domenica ci indica norme pratiche per orientare i settantadue discepoli nell’annuncio della Buona Novella del Regno e nella ricostruzione della vita comunitaria. Annunciare la Buona Novella del Regno e ricostruire la vita comunitaria sono due lati della stessa medaglia. L’uno senza l’altro non esiste e non si capisce. Nel corso della lettura del testo cerca di scoprire questo legame che c’è tra la vita in comunità e l’annuncio del Regno di Dio.
b) Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
Luca 10,1: La Missione
Luca 10,2-3: La Corresponsabilità
Luca 10,4-6: L’Ospitalità
Luca 10,7: La condivisione
Luca 10,8: La comunione attorno alla mensa
Luca 10,9a: L’accoglienza degli esclusi
Luca 10,9b: La venuta del Regno
Luca 10,10-12: Scuotere la polvere dei sandali
Luca 10,17-20: Il nome scritto nei cieli
c) Testo:
Luca 10,1-12.17-20
1Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.5In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: 11Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. 12Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
17I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».
3. Momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Qual è il punto di questo testo che più ti è piaciuto o che ti ha colpito maggiormente? Perché?
b) Quali sono, una ad una, le cose che Gesù ordina di fare, e quali ordina di evitare?
c) Cosa vuole chiarire Gesù con ognuna di queste raccomandazioni così diverse dalla cultura odierna?
d) Come realizzare oggi ciò che il Signore chiede: “non portate borsa”, “non passate di casa in casa”, “non salutate nessuno lungo la strada”, “scuotete la polvere dei sandali”?
e) Perché tutti questi atteggiamenti raccomandati da Gesù sono un segnale della venuta del Regno di Dio?
f) Gesù chiede di essere attenti a ciò che è più importante e dice: “I vostri nomi sono scritti nei cieli!” Cosa significa questo per noi?
5. Per coloro che desiderano approfondire il tema
a) Contesto letterario e storico:
Poco prima del nostro testo, in Luca 9,51, inizia la seconda tappa dell’attività apostolica di Gesù, cioè, un lungo viaggio verso Gerusalemme (Lc 9,51 a 19,29). La prima tappa avvenne in Galilea ed iniziò con la presentazione del programma di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,14-21). Nella seconda tappa, entra in Samaria, invia messaggeri davanti a lui (Lc 9,52), ed attira nuovi discepoli (Lc 9,57-62). La seconda tappa inizia con la designazione degli altri 72 discepoli e con la presentazione del programma che deve orientarli nell’azione missionaria (Lc 10,1-16). Luca suggerisce così che questi nuovi discepoli non sono più giudei della Galilea, ma samaritani, e che il luogo dove Gesù annuncia la Buona Novella non è più la Galilea bensì la Samaria, il territorio degli esclusi. L’obiettivo della missione che i discepoli ricevono è la ricostruzione della vita comunitaria. Al tempo di Gesù c’erano vari movimenti che, come Gesù, cercavano un modo nuovo di vivere e convivere: farisei, esseni, zeloti, Giovanni Battista ed altri. Molti di loro formavano una comunità di discepoli (Gv 1,35; Lc 11,1; At 19,3) ed avevano i loro missionari (Mt 23,15). Ma c’era una grande differenza. Le comunità dei farisei, per esempio, vivevano separate dalla gente. La comunità attorno a Gesù viveva in mezzo alla gente. La proposta di Gesù per i 72 discepoli riscatta gli antichi valori comunitari che si stavano perdendo, quali per esempio l’ospitalità, l’accoglienza, la condivisione, la comunione attorno alla mensa, l’accoglienza degli esclusi. Gesù cerca di rinnovare e di riorganizzare le comunità, in modo che siano di nuovo un’espressione dell’Alleanza, una espressione del Regno di Dio.
b) Commento del testo:
Luca 10,1: La Missione
Gesù invia i discepoli nei luoghi dove lui proprio deve andare. Il discepolo è il portavoce di Gesù. Non è il padrone della Buona Novella. Gesù li invia a due a due. Ciò favorisce l’aiuto reciproco, e così la missione non è individuale, bensì comunitaria. Due persone rappresentano meglio la comunità.
Luca 10,2-3: La corresponsabilità
Il primo compito è quello di pregare affinché Dio invii operai. Tutti i discepoli di Gesù devono sentirsi responsabili della missione. Per questo deve pregare il Padre, per la continuità della missione. Gesù invia i suoi discepoli come agnelli in mezzo a lupi. La missione è un compito difficile e pericoloso. Ed il sistema in cui vivevano ed in cui ancora viviamo era e continua ad essere contrario alla riorganizzazione della gente in comunità vive. Chi, come Gesù, annuncia l’amore in una società organizzata a partire dall’egoismo individuale e collettivo, sarà agnello in mezzo ai lupi, sarà crocifisso.
Luca 10,4-6: L’ospitalità
I discepoli di Gesù non possono portare nulla, né borsa, né sandali.Solo devono portare la pace. Ciò significa che devono confidare nell’ospitalità della gente. Così il discepolo che va senza nulla portando appena la pace, mostra che ha fiducia nella gente. Pensa che sarà ricevuto e la gente si sente rispettata e confermata. Per mezzo di questa pratica i discepoli criticavano le leggi dell’esclusione e riscattavano gli antichi valori della convivenza comunitaria del popolo di Dio. Non salutare nessuno lungo la stradasignifica che non si deve perdere tempo con le cose che non appartengono alla missione. E’ possibile che sia un’evocazione dell’episodio della morte del figlio della sunammita, dove Eliseo dice all’impiegato: “Parti! Se qualcuno ti saluta, non rispondergli” (2Re 4,29), perché si trattava di un caso di morte. Annunciare la Buona Novella di Dio è un caso di vita o di morte!
Luca 10,7: La Condivisione
I discepoli non devono andare di casa in casa, ma rimanere nella stessa casa. Cioè devono convivere in modo stabile, partecipare nella vita e nel lavoro della gente del luogo e vivere di ciò che ricevono in cambio, perché l’operaio merita il suo salario. Ciò significa che devono aver fiducia nella condivisione. E così, per mezzo di questa nuova pratica, loro riscattavano una delle più antiche tradizioni del popolo di Dio, criticando una cultura di accumulazione che marcava la politica dell’Impero Romano ed annunciavano un nuovo modello di convivenza umana.
Luca 10,8: La comunione attorno alla mensa
I discepoli devono mangiare ciò che la gente offre loro. Quando i farisei andavano in missione, andavano preparati. Portavano sacco e denaro per potersi occupare del proprio cibo. Sostenevano che non potevano aver fiducia nel cibo della gente perché non sempre era ritualmente “puro”. Così, le osservanze della Legge della purezza legale, in vece di aiutare a superare le divisioni, indebolivano il vissuto dei valori comunitari. I discepoli di Gesù non dovevano separarsi dalla gente, ma al contrario, dovevano accettare la comunione attorno alla mensa. Nel contatto con la gente, non potevano aver paura di perdere la purezza legale. Il valore comunitario della convivenza fraterna prevale sull’osservanza delle norme rituali. Agendo così, criticavano le leggi della purezza che erano in vigore, ed annunciavano un nuovo accesso alla purezza, all’intimità con Dio.
Luca 10,9a: L’accoglienza agli esclusi
I discepoli devono occuparsi dei malati, curare i lebbrosi e cacciare i demoni (cf Mt 10,8). Questo significa che devono accogliere dal di dentro della comunità coloro che da essa furono esclusi. La pratica della solidarietà critica la società che esclude una persona dal resto della comunità. E così si recupera l’antica tradizione profetica delgoêl. Fin dai tempi più antichi la forza del clan o della comunità si rivelava nella difesa dei valori della persona, della famiglia e della possessione della terra, e concretamente si manifestava ogni “sette volte sette anni” nella celebrazione dell’anno giubilare (Lv 25,8-55; Dt 15,1-18).
Luca 10,9b: L’arrivo del Regno
Ospitalità, condivisione, comunione attorno alla mensa, accoglienza degli esclusi (goêl) erano le quattro colonne che dovevano sostenere la vita comunitaria. Però a causa della situazione difficile della povertà, della mancanza di impiego, della persecuzione e della repressione da parte dei romani, queste colonne si erano rotte. Gesù vuole ricostruirle ed afferma che, se si ritorna a queste quattro esigenze, i discepoli possono annunciare ai quattro venti: Il Regno dei cieli è qui! Annunciare il Regno non è in primo luogo insegnare verità e dottrine, ma portare le persone ad un nuovo modo di vivere e di convivere, ad un nuovo modo di agire e di pensare, partendo dalla Buona Novella che Gesù ci annuncia: Dio è Padre, e quindi noi siamo fratelli e sorelle gli uni degli altri.
Luca 10,10-12: Scuotere la polvere dai sandali
Come intendere questa minaccia così severa? Gesù non è venuto a portare una cosa totalmente nuova. E’ venuto a riscattare i valori comunitari del passato: l’ospitalità, la condivisione, la comunione attorno alla mensa, l’accoglienza degli esclusi. Ciò spiega la severità contro coloro che rifiutano il messaggio. Ma loro non rifiutano qualcosa di nuovo, bensì il loro passato, la propria cultura e saggezza! Il programma di Gesù ai 72 discepoli aveva lo scopo di scavare nella memoria, di riscattare i valori comunitari della più antica tradizione, di ricostruire la comunità e di rinnovare l’alleanza, di rifare la vita e così, fare in modo che Dio diventi di nuovo la grande Buona Notizia per la vita umana.
Luca 10,17-20: Il nome scritto nel cielo
I discepoli ritornano dalla missione e si riuniscono con Gesù per valutare quanto fatto. Cominciano a raccontare. Informano con molta allegria che, usando il nome di Gesù, sono riusciti a scacciare i demoni! Gesù li aiuta nel discernimento. Se loro riescono a cacciare i demoni, è proprio perché Gesù ha dato loro potere. Stando con Gesù non potrà succedere loro nulla di male. E Gesù dice che la cosa più importante non è scacciare i demoni, ma avere il loro nome scritto nel cielo. Avere il proprio nome scritto nel cielo vuol dire avere la certezza di essere conosciuti ed amati dal Padre. Poco prima, Giacomo e Giovanni avevano chiesto di far cadere un fuoco dal cielo per uccidere i samaritani (Lc 9,54). Ora, per l’annuncio della Buona Novella, Satana cade dal cielo (Lc 10,18) ed i nomi dei discepoli samaritani entrano nel cielo! In quel tempo molte persone pensavano che ciò che era samaritano era cosa del demonio, cosa di Satana (Gv 8,48). Gesù cambia tutto!
c) Ampliando le informazioni:
Le piccole comunità che si vanno formando, sia in Galilea come in Samaria, sono in primo luogo “saggio del Regno”. La comunità attorno a Gesù è come il volto di Dio, trasformato in Nuova Novella per la gente, soprattutto per i poveri. Sarà che la nostra comunità è così?
Ecco alcune tratti della comunità che si formò attorno a Gesù. Sono tratti del volto di Dio che si rivelano in essa. Servono da specchio per la revisione della nostra comunità:
i) “Uno solo è il maestro e voi tutti siete fratelli" (Mt 23,8). La base della comunità non è il sapere, nemmeno il potere, ma l’uguaglianza tra tutti: fratelli e sorelle. E’ la fraternità.
ii) Gesù insiste nell’uguaglianza tra uomo e donna (Mt 19,7-12) e da ordini tanto agli uomini come alle donne (Mt 28,10; Mc 16,9-10; Gv 20,17). Tutti loro “seguono” Gesù, dalla Galilea (Mc 15,41; Lc 8,2-3).
iii) C’era una cassa comune che era condivisa con i poveri (Gv 13,29). Questa condivisione deve raggiungere l’anima ed il cuore (At 1,14; 4,32). Deve giungere fino al punto che non ci siano segreti tra di loro (Gv 15,15).
iv) Il potere è servizio. “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti!” (Mc 10,44). Gesù da l’esempio (Gv 13,15). "Non sono venuto per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28). "Sono in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27). "Siamo servi inutili!" (Lc 17,10)
v) A causa dei molti conflitti e divisioni, Gesù insiste affinché la comunità sia un luogo di perdono e di riconciliazione. E non di condanna reciproca (Mt 18,21-22; Lc 17,3-4). Il potere di perdonare fu dato a Pietro (Mt 16,19), agli apostoli (Gv 20,23) ed alle comunità (Mt 18,18). Il perdono di Dio passa per la comunità.
vi) Pregavano insieme nel Tempio (Gv 2,13; 7,14; 10,22-23). A volte Gesù forma gruppi minori (Lc 9,28; Mt 26,36-37). Pregano prima di mangiare (Mc 6,41; Lc 24,30) e frequentano le sinagoghe (Lc 4,16).
vii) Allegria che nessuno può togliere (Gv 16,20-22) "Beati voi!" Il vostro nome è scritto nel cielo (Lc 10,20), i loro occhi vedranno la promessa (Lc 10,23-24), il Regno è vostro! (Lc 6,20).
La comunità attorno a Gesù serve da modello ai primi cristiani dopo la sua risurrezione (At 2,42-47)! La comunità è come il volto di Dio trasformato in Buona Novella per la gente.
6. Preghiera del Salmo 146 (145)
Il Volto di Dio, confermato da Gesù
Alleluia.
Loda il Signore, anima mia:
loderò il Signore per tutta la mia vita,
finché vivo canterò inni al mio Dio.
Non confidate nei potenti,
in un uomo che non può salvare.
Esala lo spirito e ritorna alla terra;
in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.
Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio,
creatore del cielo e della terra,
del mare e di quanto contiene.
Egli è fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dá il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,
il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione.
7. Orazione Finale
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell'unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
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8milioni di dollari donati da Gheddafi per la campagna elettorale di Sarkozy:"Il segreto scomodo"
Un consigliere di alto rango dell'intelligence del defunto leader libico Muammar al-Gheddafi, Abdullah al-Senussi, avrebbe riferito agli investigatori francesi che il governo libico avrebbe “donato” all'ex presidente francese Nicolas Sarkozy 8 milioni di dollari per la campagna elettorale del 2007. Un’accusa duramente smentita dallo stesso Sarkozy: ”Durante un'intervista televisiva di 20 minuti, Sarkozy ha descritto l'inchiesta sulle accuse dell’agente libico come "una perdita di tempo", sostenendo che si trattava di una donazione di meno di 45mila dollari, “davvero minimale…”. Ma secondo il sito di notizie investigative francesi Mediapart, un team di giudici francesi ha ricevuto l’indiscrezione, dell’ingente somma di denaro versata per la campagna elettorale di Sarkozy, direttamente dall'ex capo dell’intelligence di Gheddafi, Abdullah al-Senussi. Al Senussi sostiene di aver coordinato le agenzie di intelligence libiche sotto Gheddafi e al riguardo ha detto agli investigatori francesi che il finanziamento faceva parte di un accordo segreto tra le due parti.
Nel 1979, al Senussi sposò la sorella della moglie di Gheddafi. Vista la parentela e i comuni interessi rimase l’uomo più vicino e di fiducia del leader libico fino a quando venne destituito e ammazzato 2011. Secondo Mediapart, al Senussi avrebbe riferito ai giudici francesi di aver supervisionato personalmente il trasferimento di fondi per la campagna elettorale di Sarkozy. Tali pagamenti sono entrati nelle casse dedicate alla campagna elettorale tramite un ministro del governo francese che avrebbe ricevuto il denaro dagli agenti libici in due rate separate nel 2006. In cambio, Sarkozy promise di contribuire a ripristinare l'immagine internazionale di Gheddafi ed impedire i tentativi dei Paesi occidentali di arrestare Gheddafi e alcuni dei suoi più fidati gerarchi, tra cui Senussi, per crimini terroristici. Sempre secondo quanto affermato da al Senussi, Sarkozy stesso avrebbe promesso a Gheddafi che i mandati di arresto internazionali sarebbero stati soppressi con l'aiuto degli avvocati personali del presidente francese. In seguito Sarkozy ha difatti anche ospitato Gheddafi a Parigi in un sontuoso incontro nel 2007. Mediapart ha detto di aver avuto accesso alla testimonianza di al Senussi davanti ai giudici francesi dopo aver ottenuto estratti dalle sue dichiarazioni ufficiali durante le sue interviste. Ha aggiunto che le informazioni fornite da Senussi sembrano confermare affermazioni simili fatte da altri testimoni nelle indagini sul presunto finanziamento illegale della campagna di Sarkozy. Probabilmente alla base dell’attacco alla Libia, voluto strenuamente da Sarkozy nel marzo del 2011, ci sarebbe questo “scomodo” segreto. A quanto pare più volte tirato fuori da Gheddafi quando voleva rimpiazzare in Africa la moneta CFA francese con il dinaro iracheno che secondo gli ambiziosi progetti di Gheddafi, che all’epoca era presidente della Lega africana, sarebbe dovuto diventare il “dinaro africano”. Una moneta sotto il controllo “unico” dei paesi africani, compresi quelli che erano stati ex colonie francesi. Read the full article
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Ministero dell’intuizione
Cattedra di san Pietro
(1Pt 5, 1-4 / Sal 22 / Mt 16, 13-19)
Ogni anno la Chiesa latina, riprendendo una tradzione propriamente romana con cui si onorava la memoria dei defunti, celebra la Cattedra di san Pietro. Se a qualcuno capita di visitare la Basilica del Vaticano in questo giorno, viene sicuramente attirato dalle candele che ardono davanti a quel trono bronzeo – opera del Bernini - che custodisce una semplice sedia di legno. La Parola di Dio scelta per accompagnare la festa odierna ci riporta ad uno dei momenti più forti dell’esperienza di Pietro alla sequela del Signore e alla sua professione di fede ardente e ardimentosa: <Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente> (Mt 16, 16). Sulla bocca dell’apostolo Simon Pietro fiorisce la professione di fede che sta a fondamento dell’esperienza di fede della Chiesa tutta: in ogni luogo e sempre.
Si può così veramente dire che uno – forse il primo e fondamentale – ministero del successore di Pietro come vescovo della prima sedes e vincolo visibile di comunione tra tutte le Chiese che insieme formano il Corpo di Cristo, è propriamente e primariamente l’intuizione. Stando alla logica che attraversa il Vangelo siamo chiamati a riconoscere che l’intuizione di Simon Pietro è possibile solo come risposta ad una forte sollecitazione che gli viene dal Signore e Maestro quando si rivolge direttamnte e inesorabilmente ai suoi disepoli: <Voi chi dite che io sia?> (16, 15). Mentre tutti – forse con una più chiara autoconsapevolezza – non trovano di meglio che tacere, Simon Pietro si lancia in una professione di fede tanto chiaria a livello intellettuale quanto interamente e duramente da comprendere a livello esistenziale.
La reazione del Signore alla riposta petrina è molto bella: <Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato , ma il Padre mio che sta nei cieli> (16, 17). Questa parola del Signore deve avere segnato indelebilmente il cuore e la vita dell’apostolo tanto da trasformarla in una esistenza completamente messa a servizio di questa intuizione che riconosce nel Signore Gesù il centro e il perno non solo della propria storia personalme ma della storia che attraversa e interessa l’umanità intera. Per questo pensando a se stesso e parlando di se stesso troviamo che Simon Pietro non trova di meglio che caratterizzarsi e presentarsi come <testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi> (1Pt 5, 1).
Come Chiesa e quale Chiesa ci troviamo sempre e tutti insieme a <Cesarea di Filippo> Mt 16, 13). Si trattava – all’epoca della redazione dei testi – di una città nuova e moderna in cui si respirava lo “spirito dei tempi” con le sue promesse e le sue ambiguità. Questa città viene scelta dal Signore Gesù come scenario di uno degli atti fondativi della vita della comunità dei discepoli: proprio lo scenario meno adatto perché il più profano e secolare diventa l’ambito più adeguato per porre le basi sulla <pietra> di una fede incrollabile contro cui <le porte degli inferi non prevarranno> (16, 18). Mentre preghiamo in modo particolare per il Vescovo di Roma non possiamo che chiedere la grazia che sia con noi e per noi strumento di sempre più grande intuizione del mistero di Dio colto e accolto nello scenario della storia dell’uomo.
Signore Gesù, ti rendiamo grazie oggi per l’umanità di Pietro, per quell’intuizione santa che ha richiesto un’intera vita per inverarsi e modellare la sua esistenza. Così è spesso anche per noi. Donaci guide, pastori santi ed insieme vicini alla nostra umanità, disposti ad accoglierci e raccoglierci “a Cesarea di Filippo”, senza ripudiare nulla di ciò che la storia ci pone dinanzi, ma sapendocene indicare la vera direzione ed il significato profondo.
http://www.lavisitation.it/index.php?option=com_users&view=registration&layout=complete&Itemid=142&lang=it
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Avengers: Endgame, ancora nuovi dettagli dall’edizione homevideo
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/avengers-endgame-ancora-nuovi-dettagli-dalledizione-homevideo/
Avengers: Endgame, ancora nuovi dettagli dall’edizione homevideo
Avengers: Endgame, ancora nuovi dettagli dall’edizione homevideo
Avengers: Endgame, ancora nuovi dettagli dall’edizione homevideo
Avengers: Endgame è finalmente arrivato sulle piattaforme digitali (prossimamente invece sarà disponibile l’edizione homevideo) e tra i contenuti extra i fan troveranno il commento dei registi Anthony e Joe Russo e degli sceneggiatori sul film, i segreti della realizzazione e la risoluzione di misteri legati alle domande irrisolte dei fan.
Ecco di seguito i punti più interessanti della conversazione:
Per quanto tempo Steve e Tony sono rimasti separati?
Captain America e Iron Man si riuniscono finalmente nel primo atto di Endgame dopo essere rimasti separati per lungo tempo dopo gli eventi della Guerra Civile. Ma concretamente, da quanti mesi o anni i due non si incontravano? “Lasciamo che qualcun altro lo capisca“, hanno dichiarato i registi.
“Ognuno darà al tempo il valore che merita, e quando ti trovi davanti ad una narrazione serializzata come questa è molto difficile mettere insieme i pezzi del puzzle. Di sicuro Tony e Steve hanno aspettato anni per risolvere i loro problemi.“
Captain Marvel vs Thor: chi è il più forte?
Uno dei momenti più divertenti di Endgame arriva all’inizio del film, con il primo incontro tra Thor e Captain Marvel. Ma chi è il più forte tra i due? Secondo i registi Carol Danvers potrebbe effettivamente mettere al tappeto il dio del tuono.
“È interessante vedere gli Avengers insieme a Captain Marvel, perché in qualche modo riesci a ri-dimensionare i loro poteri in un modo davvero fantastico. Carol è sicuramente potente, se non addirittura più potente di Thor, e improvvisamente dopo tutto quello che hanno subito da Thanos trovano di nuovo una speranza“.
Il nuovo linguaggio di Cap
Un dettaglio che in pochi avranno notato è il linguaggio stranamente più scurrile del solito di Captain America in Avengers: Endgame, qualcosa che Joe Russo ha sottolineato nel commento audio del film:
“Se ci fate caso, il Cap del 2023 dice molte più parolacce del vecchio Cap, e c’è una spiegazione. Il ragazzo ne ha passate di cose spiacevoli, quindi l’intenzione delle sue parole è cambiata“.
I lavori su Smart Hulk
Un altro segreto rivelato sulla lavorazione del film riguarda Smart Hulk e i salti mortali che hanno portato a finire i lavori sul personaggio in tempo per l’uscita nelle sale. “Il reparto dei VFX è stato all’opera fino all’ultima settimana prima della consegna, ma quando si tratta di un personaggio del genere è del tutto normale“, hanno dichiarato i Russo.
“Il credito va dato anche a Mark Ruffalo, che è un attore straordinario. Ha lavorato così duramente per capire questo personaggio, diviso tra Banner e Hulk, e questa combinazione è stato un vero viaggio per lui.“
La missione di Natasha a Tokio
La durata già sostanziosa di Avengers: Endgame non ha permesso un maggiore approfondimento del viaggio di Natasha a Tokio, dove recupera Clint Barton convincendolo a tornare in squadra. “Nessun altro avrebbe potuto tirarlo fuori da questa situazione, e nessun altro si era mai presentato al suo capezzale“, hanno raccontato i registi.
“Ovviamente era implicito che si trattava della stessa dinamica del loro rapporto nel passato, quando era stato Clint a tirarla fuori da una situazione simile. Sono insomma tornati al punto di partenza…lui aveva avuto l’opportunità di ucciderla ed ha cambiato la sua vita, e ora qui è lei a cambiare la sua.“
Le risate del pubblico dopo la decapitazione di Thanos
Tra il pubblico molte persone hanno reagito nel modo più inaspettato alla decapitazione di Thanos all’inizio del film, ridendo del momento e lasciando gli sceneggiatori sconcertati durante le prime proiezioni:
“Spero si trattasse di una reazione nervosa allo shock…Pensiamo anche che la musica di Alan Silvestri in quel momento e la lunga camminata lenta degli eroi abbiano contribuito”.
Il salto temporale
Il salto temporale di cinque anni dopo la Decimazione è un altro argomento dibattuto dai Russo e dagli sceneggiatori, che nel commento sul film hanno rivelato cosa è accaduto a coloro che si trovavano su aerei o barche in mare in concomitanza con lo schiocco. La risposta però potrebbe sembrare abbastanza vaga…
“Riportare indietro le persone di cinque anni fa è un’azione complicata in qualunque modo la si guardi, senza nemmeno affrontare la complessità del viaggio nel tempo.“
Il buco di trama su Nebula
Il viaggio di Occhio di Falco e Vedova Nera su Vormir è stato al centro di alcune discussioni dei fan, soprattutto riguardo l’idea che Nebula sapesse che lì era custodita la gemma dell’anima e che per ottenerla qualcuno avrebbe dovuto sacrificare la sua vita. L’eroina poteva quindi evitare la morte ad uno degli eroi, o almeno avvisarli?
Il commento dello sceneggiatore Stephen McFeely forse risolverà ogni dubbio: “In realtà Nebula non è a conoscenza dello scambio richiesto da Teschio Rosso su Vormir. Nessuno sa nulla, e lei è solo a conoscenza del fatto che sua sorella non è mai tornata da lì“.
Dunque è chiaro che l’eroina non è mai stata sul pianeta e di conseguenza non poteva sapere del sacrificio per la gemma.
Leggi anche – Avengers: Endgame, tutti i dettagli delle scene eliminate
Fonte: CBM, Cinemablend
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Avengers: Endgame, ancora nuovi dettagli dall’edizione homevideo
Avengers: Endgame è finalmente arrivato sulle piattaforme digitali (prossimamente invece sarà disponibile l’edizione homevideo) e tra i contenuti extra i fan troveranno il commento dei registi Anthony e Joe Russo e degli sceneggiatori sul film, i segreti della realizzazione e la risoluzione di misteri legati alle domande irrisolte dei fan. Ecco di seguito i punti […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Cecilia Strazza
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25 LUG 2019 19:44
“HOLLYWOOD È UN POSTO DI MERDA" – BOMBASTICA INTERVISTA DEL 2013 A RUTGER HAUER, BY PAGANI/PONTIGGIA: "SEI CONTENTO SE HAI LA PARTE IN UN FILM, GUADAGNI E MAGARI SCOPI TUTTE LE SERE. ALTRIMENTI TI AMMAZZI" – IL VIDEO DI VERONICA DEL SOLDÀ
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“Un vissuto un anno da vagabondo tra Pakistan, Golfo Persico e Saigon. Per capire che sarei potuto diventare un attore però, impiegai molto tempo. Mi finsi pazzo per non fare il militare. I miei scontri con Harrison Ford? E’ uno che non ama la vita. Blade Runner? Un film epocale”…
Malcom Pagani e Federico Pontiggia per "il Fatto quotidiano"
I piedi nudi, la camicia a scacchi, un computer. Chiama la reception per un cappuccino, gliene portano due. Altri intristiscono sul vassoio. Sul tavolo una bottiglia di Chianti, succo e birra a morire nei bicchieri, due pacchetti di Camel vuoti, il terzo in corsa per raggiungerli. Rutger Hauer ride, riflette, ricorda e ogni tanto, tra una smorfia e un'onomatopea, assecondando il lento flusso di agosto, si prende le sue pause. Nella stanza d'albergo con vista zoo in cui Dino Risi trascorse i suoi ultimi anni, il replicante di Blade Runner si è lasciato la vita difficile alle spalle.
A gennaio l'uomo che vide cose che gli umani non avrebbero potuto immaginare, compirà 70 anni. Lo guardi negli occhi, e gli credi; lo vedi frangersi tra mimica, caricature e memorie, e non dubiti. Sciolte le lacrime nella pioggia e fissati i tatuaggi sulle spalle, oggi Hauer sorride. Tornare a uno dei monologhi più famosi della storia del cinema: "Volete che ve lo reciti?", lo spinge al soliloquio: "Io ne ho viste di cose che voi umani non potreste immaginarvi / navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... certo che non l'ho dimenticato.
Parole che sembrano la sintesi della mia vita, il riassunto dei miei momenti più importanti. I miei genitori, Arend e Teunke erano attori. Due intellettuali, due bohemiennes. Casa mia era un porto di mare, ci vivevano in 29, in un clima libertario, originale. Osservavo questo mondo e mi chiedevo come mai, per mio padre e per mia madre, tutto pareva interessante tranne me. Come avrei attirato la loro attenzione? Mi annoiavo e sognavo la fuga.
La realizzò?
Da adolescente, alla fine degli anni ‘50, abbandonai la famiglia per imbarcarmi su un mercantile. A scuola ero un disastro, cercavo qualcosa di più appassionante dell'epopea di Guglielmo III e la trovai in mare. Volevo andare verso la libertà, spiegare le vele, spaccarmi la schiena per 50 euro al mese.
I suoi si opposero?
Mi agevolarono. Io ero un cavallo selvaggio, un fuggiasco nato. E loro due persone distratte, non cattive. Non fecero nulla per fermarmi. Il mare era un'antica eredità. Gli antenati di mia madre, secoli prima, avevano navigato. Un giorno mamma mi disse: "Se vuoi partire, Rutger, ti aiuterò".
Fatica?
Mi aveva avvertito: "Sulla nave sarai destinato a mansioni di grande responsabilità. Preparerai le colazioni, strapazzerai le uova, rifarai i letti e pitturerai le pareti arrugginite dalla salsedine. Non chiedevo di meglio. "Sarà meraviglioso" le dissi. Preparai una borsa e senza avere mezza idea di cosa avrei fatto nella vita, chiusi la porta senza rimpianti.
Vide il mondo?
Il Pakistan, il Golfo Persico, Saigon. Un anno da vagabondo, imparando nuovi linguaggi e introiettando il senso di una disciplina che sui banchi di scuola mi rifiutavo di accettare.
Ribelle?
Non so. Ero nato in un piccolo, ridicolo villaggio, in cui originalità e indipendenza erano viste con sospetto. Ero indolente, rifiutavo l'autorità costituita e rispondevo con una pernacchia a qualunque cosa mi proponessero. Il viaggio itinerante mi aiutò a considerare l'ipotesi che per arrivare da qualche parte mi sarei dovuto impegnare. Quando tornai in Olanda mi iscrissi a un corso di teatro. Di giorno lavoravo come elettricista, muratore e carpentiere per pagarmi l'affitto. Di notte recitavo. Guardate i calli sulle mani, non mento. Per capire che sarei potuto diventare un attore però, impiegai molto tempo.
La morale dalla fatica?
Non credo nelle morali, soprattutto nelle morali a posteriori. Quando qualcuno pretende di dettarne una universale, state sicuri che mente.
In cosa crede allora?
Nei percorsi individuali. Ognuno ha il suo. Non diversamente da quanto mi era capitato sui banchi di scuola, ai corsi di teatro sbadigliavo senza ritegno. Le voci baritonali degli insegnanti, la vita che scorreva fuori dalle aule. Il tedio. Teoria, teoria e ancora teoria. Guardavo i miei compagni e mi chiedevo se non ci stessero truffando. A forza di interrogarmi sulle prospettive future, venni svegliato dalla realtà. La cartolina del servizio militare, arrivata a metà dei ‘60, fu uno choc.
Soldato Hauer.
Nei ‘60 le istituzioni militari avevano la pericolosa tendenza a formare gente da mandare sul fronte. Ogni divisa doveva diventare un perfetto John Wayne e nonostante sollecitare il fisico non mi dispiacesse, Wayne non sarei mai diventato. Ero allucinato dall'idea che ogni due ore, come nelle parodie, ci si trovasse tutti in gruppo, davanti a un signore impettito che gridava ordini indistinti e la sera, nella stessa formazione per soli uomini, i discorsi vertessero su birra, culi, fighe e sport. Avvertii un'asfissia. Respirare e accarezzare il sogno di scappare si trasformarono rapidamente nello stesso sentimento. A quel punto, architettai un piano.
Quale?
Fingermi pazzo. Dare di matto. Costringerli ad allontanare dal-l'esercito olandese un elemento inaffidabile, una fonte di rischio per i suoi stessi compagni di camerata.
Ci riuscì?
Non fu semplice. Mi preparai con un amico attore. Studiavo le smorfie, le risposte, i tempi di reazione. La sera prima di iniziare lo show, il mio amico mi consigliò di dormire un'ora per presentarmi stravolto e dare una patina di verità alla follia.
Come andò?
Feci del mio meglio. Cominciai a confondere bandiere nazionali e tovaglie, a rispondere male, a fare strane facce e a ridere in coincidenza di un'intimazione. Costrinsi il comandante a mandarmi dallo psicologo. Lì iniziò una partita a scacchi lunga due settimane. Non erano persuasi che fossi veramente pazzo, fisicamente stavo benissimo e venni sottoposto a molti fottutissimi esami. Quando mi congedarono, per un istante, non mi fidai. Sapevo di giocarmi il presente. Temevo che mi leggessero nel pensiero e potessero scoprirmi. Così, al momento della notizia, mi finsi sorpreso e dispiaciuto: "Signor Hauer, lei è un cittadino libero". Cominciai a urlare, a batter i pugni sul tavolo, a implorarli di poter rimanere: "Non avete il diritto di farlo , bastardi! Amo il mio paese, non potete impedirmi di servirlo!". Un rischio calcolato. Di lì a 10 minuti ero fuori dalla caserma. Fu molto divertente. Come tutta la mia vita.
Una volta fuori?
Non avevo risolto del tutto il mio problema. Dentro l'istituzione, si trattasse della scuola di teatro o dell'esercito, mi trovavo a disagio. Non mi ricordo un solo volto tra i miei insegnanti, ma degli uomini che mi hanno offerto un lavoro o delle città incontrate per raggiungerlo, ho una perfetta memoria fotografica. Per mia figlia, 50 anni dopo, è la stessa cosa. Irregimentata, non riesce a stare. Non è colpa loro, il padre non le ha dato le basi.
Come passò dal teatro alla tv?
Per un'incredibile coincidenza. Durante gli stage incontrai alcuni attori che stavano per iniziare una serie tv, Floris. Mi invitarono sul set e molto prima di avere un ruolo, ne rimasi rapito. Pensai: "Ma questo è veramente bello! Voglio provare a essere un attore". Parlai con il manager, non ci piacemmo. Lo guardai negli occhi e capii che lui faceva il suo mestiere per sé stesso e per nessun altro. Nonostante il brusco approccio, venni assunto.
Floris, la sua prima serie Tv ebbe un buon esito?
Fu un enorme successo. Andava in onda di domenica e al momento della trasmissione, il Paese si bloccava. Per quanto per strada mi fermassero, il fenomeno rimaneva relegato ai confini nazionali. E io volevo evadere, avere qualcosa di più grande. Quello che avevo mi sembrava troppo piccolo.
Non si accontentò.
Come a volte accade, ebbi un colpo di culo. Nel '73 Paul Verhoeven mi offrì il ruolo di protagonista in Fiore di Carne, tratto da un libro molto venduto che trattava temi universali. La liberazione del sesso. Il dolore. L'amore che sfiorisce. La malattia.
Anche il film andò bene.
Un trionfo. Tre milioni di spettatori nella sola Olanda. La nomination all'Oscar come miglior film straniero. In un minuto, sembrava che il mondo fosse esploso sul mio volto. Non volevo perdere quell'occasione e al tempo spesso non riuscivo a rendermi conto che quell'occasione fosse toccata proprio a me. Ero così grezzo, selvaggio, impreparato. Ero felice e turbato. Eravamo paragonati a Ultimo Tango, accostavano Paul a Bertolucci e Marlon Brando a me. Il tutto con un minuscolo film prodotto da un piccolo paese ed esportato ovunque. Non facevamo in tempo a chiedere dove fosse stato venduto che la lista dei paesi si allungava: Austria, Italia, Germania , Francia. Un delirio. Paul Verhoeven girò poi Robocop e Basic Istinct.
Per il primo dei due film, senza dar seguito all'idea, pensò a lei. Rimpianti?
Nessuno. Robocop non era fatto per me e non riesco a pensare a nessun attore al mondo che avrebbe potuto interpretare meglio di Douglas il suo ruolo in Basic Istinct. In più, particolare decisivo, Paul non me lo propose mai. (Ride).
Il seme dell'odio con Poitier e Micheal Caine non bastò per conquistare Hollywood, abbracciata solo grazie al violentissimo i falchi della notte del 1981.
Dell'81? Sicuri? È già passato tanto tempo? Maledizione. Mi divertii molto. Interpretavo un terrorista spietato, in una città che molti anni dopo dal terrorismo sarebbe stata duramente colpita.
Ne I falchi della notte lei era cattivissimo.
Non ho mai avuto paura di interpretare un cattivo. Recitavo con Sylvester Stallone, eravamo agli antipodi come ruoli, ma insieme ci trovammo benissimo. Nella scena finale, ci affrontiamo per ucciderci a vicenda.
"Ne rimarrà in piedi uno solo", giusto?
Il buono era lui, ma proprio nel finale gli ricordo una verità che è valida in moltissimi casi: "In fondo io e te facciamo lo stesso sporco mestiere, a cambiare è solo l'obbiettivo".
Poco dopo Ridley Scott la chiamò per Blade Runner. "Nessuno" - disse - "si sarebbe mai aspettato un esito simile".
Non fu così romantico. Non mi chiamò Ridley, ma il capo del casting. Era tutto maledettamente professionale e organizzato, al di là di qualunque immaginazione e la vittima di tanto zelo ovviamente eri tu.
L'impatto con Hollywood?
Hollywood è solo il nome di un infinetesimale segmento di una città con più di 20 milioni di abitanti. Un posto di merda, un circo per turisti, una specie di Disneyland. Sei contento se hai la parte in un film, guadagni, vai sui giornali e magari scopi tutte le sere. Altrimenti, ti ammazzi. Avete idea di quante persone siano morte cercando di avere fortuna a Los Angeles, di quante si siano smarrite a metà del percorso?
Molte?
Non le giudico perché essere insicuri, perdersi e non sapere ciò che si desidera a Hollywood è la cosa più semplice del mondo, ma sì, moltissime. Io sono stato fortunato perché Hollywood è un luogo che ammette soltanto due generi di finali. O il successo. O il crollo. Le vie di mezzo non sono previste.
Sente di appartenergli?
Siete pazzi? Io appartengo solo al posto in cui mi trovo e mi sento felice.
In Blade Runner lavorò con Harrison Ford. Si dice che i vostri rapporti siano stati complicati.
Non erano i nostri rapporti a essere complicati, complicato era lui. Ha avuto problemi con tutti. Problemi con me, con Ridley, con il film, con la sua reputazione. Non riusciva a ritrovarsi perché Harrison, un centro, non ce l'ha. Non ama la vita, non conosce niente, non sa nulla. Ce l'aveva con sé stesso tutti i giorni, emanava un'energia negativa. Sembrava andasse a marcia indietro. Il mio opposto.
Duro.
Era così negativo che immaginai fosse sotto l'effetto di qualche droga, ma a dire il vero, non ho mai capito di quale sostanza si trattasse. Lui era l'eroe, ma in quelle vesti si trovava malissimo.
Litigaste sul set?
Lavorammo insieme per 4 o 5 giorni al massimo, la maggior parte del tempo divisi da un muro. Harrison ogni tanto era dietro il muro della finzione e molto spesso dietro il suo muro personale.
Il film proponeva anche scene rischiose. Una volta dovevate girare in notturna, due stuntman si infortunarono e allora provò a lanciarsi lei. Incoscienza, follia, cos'altro?
L'attrezzista voleva che saltassi da un palazzo all'altro. Mi chiese: "Ce la fai?". "Così no" risposi. Poi rilanciai: "Ma se mi avvicini il palazzo di un metro, forse sì". Il film era girato negli studios e dopo due ore di rumore e casino, il palazzo era stato spostato davvero. Così mi lanciai, Niente di così eroico o pericoloso. Sapevo di avere un fisico adatto alla prova. Volevo tentare e dopo essermi allenato su un trampolino per un po', lo feci. Ero sicuro di salvarmi. In The Hitcher, anni dopo, mi andò molto peggio. Saltando da una macchina in corsa, mi spaccai un dente con il calcio del fucile.
Lei ha girato più di 100 film. Le dispiace essere ricordato soprattutto per un film?
Neanche un po'. Sono felice che sia diventato un evento collettivo. Essere ricordati per qualcosa di epocale, è meglio di essere dimenticati ed è bello che avvenga per un film che al centro della sua poetica ha il tema dell'identità.
Cosa la affascinava nel film?
Quello che mi è sempre piaciuto di Blade Runner, sono i suoi moltissimi livelli di lettura. L'idea alla base è semplice: "Io non so chi sei e voglio assolutamente scoprirlo". Ci dimentichiamo sempre ciò che siamo. Non ci diamo il tempo necessario a capirlo. In Blade Runner, Ridley provava a dare una risposta.
Ebbe un buon rapporto con lui?
Eccellente. Una volta stabilito un contatto, le cose andarono magnificamente. Gli domandavo lumi su Roy Batty: "Cosa vuoi che esca dal mio personaggio?". Lui mi suggeriva di lasciarmi andare: "Non pensarci". Altre volte gli facevo proposte di modifica del copione e lui diceva: "Ok, proviamo". Il massimo. Le uniche discussioni erano filosofiche: rispetto alla sceneggiatura non credevo che nello scontro conclusivo tra umani e androidi, si dovesse scimmiottare l'epica di Bruce Lee o di Superman. C'era qualcosa di più profondo, di più nascosto, di più sottile. Ridley era d'accordo e io in effetti, del finale del film, mi sento molto responsabile.
È vero che l'idea di far volare la colomba fu sua?
Contribuii. Cosa c'era di più bello di far tenere una colomba in mano e poi farla volare dalle mani di un replicante che tenta disperatamente di somigliare a un essere umano? Nel film e per il film, comunque, diedi tutto.
Dicono che lei litighi spesso. Con i registi e con i colleghi. Che assoldarla, nonostante il talento, corrisponda sempre a un rischio.
Il marinaio non può andare sempre contro le onde, a volte deve affrontarle lateralmente. Provando a essere furbo. Fino a un certo punto della mia vita ciò che dite è accaduto. Ho nuotato controvento combattendo con l'ego, poi, dal 1985, mi sono liberato. Da allora sono un altro uomo.
C'entra sua moglie, Ineke Ken Take?
La conobbi nel '67, la sposai nel-l'85. Lei c'entra sempre.
Lei è un monogamo e sta con la stessa donna da un trentennio. Un attitudine che contrasta con la mitologia delle sue imprese.
La fedeltà non è facile, ma se ci si sceglie, si fa un tratto di strada insieme e se si sta bene, quel tratto diventa un viaggio senza stazioni di arrivo.
Lei ha lavorato con molti registi italiani. Wertmüller, Tessari, Ferrara, Olmi. Il suo preferito?
Ermanno. Un maestro. Con Scott, uno dei due registi della mia vita in assoluto. Un uomo di intelligenza superiore capace di tirare fuori la mia essenza più delicata. Per La leggenda del santo bevitore con Ermanno ci incontrammo a Parigi, lui non parlava una parola di inglese. Mi conquisto in due minuti tendendomi un tranello. Mi propose di partecipare a un film d'azione. Lo guardai negli occhi e svelai il bluff.
Vi siete ritrovati 25 anni dopo ne Il villaggio di cartone.
È stato come se quegli anni non fossero passati. Speriamo di girare presto un altro film insieme. Ermanno, sbrigati, non abbiamo molto tempo. (Ride).
Si sente vecchio? Rutger?
Vi sembro vecchio? Senza una valigia e un copione da leggere non saprei stare. Il segreto del-l'attore in fondo è sempre lo stesso.
Quale?
Rendere credibile ciò che interpreti. Riempire una sala di gente che si emoziona. Conta solo quello. Il resto, credetemi, sono stronzate.
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