#cattedrale nel deserto
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Treno Italo Napoli-Venezia SL
Fermate: Roma Termini - Roma Tiburtina - Firenze - Bologna - Rovigo - Padova - Venezia Mestre - Venezia Santa Lucia
3 fermate in Veneto e la cattedrale nel deserto creata apposta per l'AV di tutto il mezzogiorno l'abbiamo passata quasi come se fosse cemento abbandonato.
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La bellissima e inutilizzatissima "cattedrale nel deserto".
#non lo so quali treni fermino a quella stazione#bah#Roberto Saviano#Gomorra#Camorra#stazione di Napoli Afragola#Afragola#cattedrale nel deserto#bello il risultato di questo più grande cantiere dell'alta velocità del Mezzogiorno
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It's SO OVER for Dubai
#philion#astroturfing#influencer marketing#la cattedrale nel deserto#“...conosco il parroco... don alì!”
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Una voragine di soldi pubblici per una cattedrale nel deserto 🚜 alla faccia dei fessi che pagano le tasse e dei bisogni reali del Paese!
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Nel deserto emiratino la ‘Cattedrale' induista più grande del Medio Oriente
AGI – Marmi bianchi di Carrara, mattoni d’argilla fatti a mano e arenaria rosa. Ci sono voluti oltre 2mila artigiani solo per scolpire i 200 pilastri colorati raffiguranti decine di divinità. Ma dopo quattro anni di cantieri nell’area desertica di Abu Mureikha, tra Dubai e Abu Dhabi, il tempio induista Mandir è stato ufficialmente consacrato dal leader della nuova India, il subcontinente che già…
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Una cattedrale nel deserto, nel centro di Roma
De Ficchy Giovanni Mi giungeva ieri una nota entusiasta del mio primo cittadino, Roberto Gualtieri, che annunciava; I Magazzini allo Statuto (#MAS), un pezzo di storia per tutti noi romani, il palazzo dove avevano sede è sarà restaurato . Questo bellissimo edificio umbertino di fine ‘800, in disuso ormai da 7 anni, sarà completamente ristrutturato e digitalizzato e diventerà presto la sede…
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Miraggi natalizi
Questo Natale, così a lungo atteso e tanto velocemente trascorso, è stato tra i più belli mai vissuti. Pur svolgendosi esattamente allo stesso modo dei precedenti, con le stesse persone, luoghi e tradizioni, dopo tanto tempo si è respirata un'atmosfera di pace e armonia pure, senza malesseri celati. E io, oramai verso i trent'anni, sempre piena di desideri in attesa e domande esistenziali, mi sono sentita in qualche modo al posto giusto, cioè pienamente nel tempo presente, senza malinconie passate, né preoccupazioni future. Ho cercato di cristallizzare dentro di me ogni fotogramma, di ricordarmi ogni sguardo, sorriso, sapore e profumo, di non pensare più allo sconfinato mondo esterno, traboccante di infinite possibilità, ma a quello condensato in quella piccola stanza, tangibile, pullulante di vita, essenziale. Un microcosmo di quattro generazioni, ponte tra passato e futuro, cattedrale di solide certezze e guglie di sogni, occupava lo spazio in modo freneticamente elegante, in balia di un caos ordinato, come la vita stessa. Forse abbiamo trovato tutti, nello stesso periodo, un nostro equilibrio; forse sono migliorata talmente tanto da scorgere frammenti di felicità ovunque, come una viandante assetata di gioia, dopo lunghi anni nel deserto. Non credo si tratti di un miraggio, ma, se così fosse, non svegliatemi più.
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Fine anno del real estate all'insegna delle Smart Cities
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La stagione degli eventi di settore volge al termine e lo fa con la presentazione del Rapporto sulle Nuove Periferie Lombarde realizzato da Scenari Immobiliari in collaborazione con il gruppo Unipol e in particolare con la società dedicata al tema della rigenerazione urbana Urban Up.
Mercoledì 15 dicembre nella cornice natalizia dell’Hotel Principe di Savoia a Milano, si è festeggiato il fine anno delle ricerche del real estate come di consuetudine con il tema delle Future Cities.
Un tema, quello della città, che è andato a sovrastare quello della competizione tra nazioni e che deve essere inteso al di là dei confini amministrativi delle singole città ed essere esteso ad un sistema di centri urbani collegati ed interconnessi.
In questo scenario la Lombardia è regione che nel corso degli ultimi otto anni ha fatto della rigenerazione e della riqualificazione urbana il cardine del proprio paradigma del real estate. Un periodo relativamente breve se letto con la lente di ingrandimento di questo settore dove le tempistiche sono drammaticamente più dilatate.
L’approccio, come molte volte è stato sottolineato, deve necessariamente prendere forma dall’incastro perfetto di tutte le componenti che caratterizzano la realizzazione di un’infrastruttura immobiliare: dalla sua progettazione fino alla commercializzazione degli spazi. Proprio in questi due capi del processo realizzativo si può nascondere uno dei maggiori rischi di insuccesso, ovvero nel rischio paventato della “cattedrale nel deserto”. Ogni singola opera di rigenerazione urbana, sia anche basata su di un “format”, deve essere necessariamente adattata alla realtà del contesto in cui si inserisce adattandosi come un ambito su misura nel panorama socio-economico di riferimento.
Studio degli aspetti sociali ed economici, del grado di attrattività della location e grado di infrastrutturazione in senso ampio della location rappresentano i punti da cui da partire per immaginare un processo ideale di rigenerazione urbana. A ciò va, inevitabilmente ad aggiungersi, la necessità di dare vita ad un progetto che consenta una flessibilità dell’utilizzo degli spazi.
Come sottolineato poco sopra, il grado di attrattività delle aree dove insistono le aree dismesse tradizionalmente oggetto delle operazioni di rigenerazione urbana rappresenta un driver fondamentale per il successo delle operazioni. E’ indubbio che la vicinanza con centri di eccellenza e buoni collegamenti infrastrutturali possono consentire anche a realtà non prettamente centrali di rappresentare una location ideale per risiedere anche da parte di studenti o giovani professionisti che non potrebbero sostenere il costo di un affitto in centri urbani più cari o semplicemente preferiscono contesti con caratteristiche diverse da quelli della grande città.
Inoltre, anche se la destinazione residenziale sembra rappresentare la naturale destinazione per molti interventi di rigenerazione urbana, in molti casi si assiste ad un mix funzionale che comprende oltre al retail anche l’asset class ricettiva, il direzionale e il coworking e anche tutte le altre tipologie di infrastrutture immobiliari in grado di attrarre persone, minimizzando quindi il rischio del sorgere di quartieri dormitorio tipici delle periferie del secolo scorso.
Dal punto di vista dei numeri, secondo quanto rilevato da Scenari Immobiliari, la rigenerazione urbana sul territorio lombardo nel periodo 2023-2035, per le operazioni censite potrebbe avere un impatto sul mercato immobiliare lombardo di circa 224 miliardi di valore aggiunto a cui fanno eco risvolti che devono essere letti attraverso la lente del paradigma della sostenibilità. In primis, la rigenerazione urbana che oltre rappresentare un consistente risparmio di suolo anche grazie all’evoluzione delle tecniche costruttive, mira ad un efficientamento dal punto di vista ambientale ed energetico. La rinascita di nuove centralità può rappresentare un driver per la sopravvivenza di centri più periferici e soprattutto nel caso di realizzazione di sviluppi residenziali a costo calmierati andare a rispondere ad una domanda crescente e che non sempre trova risposta. Dal punto di vista della Governance, invece, la collaborazione virtuosa tra i diversi attori può portare ad una nuova ridefinizione del rapporto pubblico privato indispensabile per la messa a terra di molteplici interventi.
#real estate#realestate#rigenerazione#rigenerazioneurbana#riqualificazione#riqualificazioneurbana#future#futuro#futurecities#future cities#città#Lombardia
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13 giugno 2021
Una chiesa
Il senso del sacro
Un segno ?
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Ho visitato per la prima volta una chiesa Ortodossa in Italia
In precedenza avevo sentito parlare di quella di Bologna, ma non l'avevo mai visitata.
Poi oggi, sulla mia strada, questa sorpresa. In un paese inaspettato. In un palazzo insospettabile.
Io che giro per il borgo medievale. Io che visito la cattedrale di Santa Margherita. Poi scendo dall'alto per le viuzze del borgo deserto e mi ritrovo questi gradini di pietra.
Un ingresso in cima a ripidi gradini. Un ingresso oscuro, quasi buio rispetto al sole spietato che è fuori.
Il senso come di un'oscurità da attraversare.
Entro.
Gli occhi non vedono. Solo il silenzio mi arriva. Poi dopo pochi passi, nel buio accecante dell'interno, inizio a vedere.
Icone grandi e dorate si stagliano in prossimità dell'altare.
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Leggo le scritte dipinte sull'oro
Lo sguardo cade sui fogli stampati accanto alle cornici.
Leggo il Rumeno. E non mi pare vero. Mi sento mancare il terreno sotto i piedi. A Montefiascone un'intera chiesa ortodossa, deserta a quest'ora del pomeriggio, mi accoglie e mi prende a parlare.
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Mi viene incontro. Mi gira la testa. Sono in un sogno, dove qualcuno lontano lontano, quasi perduto, mi vuole parlare.
Mi siedo. Mi manca il fiato.
Perchè oggi? Perchè proprio ora?
Perchè questo, proprio oggi sul mio
cammino?
Non capisco più nulla, sono senza parole.
Mi sento indifeso, disorientato, arreso.
Non sono piu ateo. Non sono più cattolico. Non sono più buddhista. Non sono più nulla.
Mi arrendo al mistero di questa vita. Di questa vita in salita e così spesso, piena di errori.
Mi lascio abbracciare dall'oscurità
Dalla mia confusione. Mi arrendo.
Fotografo ciò che vedo.
Mi sento accolto dentro un rifugio. Dentro un mistero. Che è parte del mio stesso smarrimento.
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Sono l'ultimo dei peccatori. Un sacrilego che ha violato ogni legge. Come un empio nel tempio della tua gentilezza.
E ti penso
E ti prego
Imploro che quella divinità che non conosco mi venga a salvare. Che mi indichi la strada. Voglio credere di poter morire un giorno, credendo per davvero in qualcosa di sacro. Alla legge che ci vive dentro. Mi sento in colpa. Confuso. Voglio redimermi. Voglio tornare uomo. Voglio le braccia di un Dio intorno. Che mi salvino dalla mia pochezza. Dalla mia miseria. Piango in silenzio. Muto ed arreso come sono entrato.
Imploro questo buio e questo insperato riparo.
Mi voglio risvegliare dal caos a cui ho ceduto.
Credo ai segnali.
Credo ai messaggi e ai messaggeri. Alla mia convinzione e più ancora alla mia commozione.
Ci sono segni dentro i nostri giorni.
Dobbiamo soltanto aprire il cuore e raccogliere il poco che siamo. Affidarci al domani e tornare umani, indifesi, umili.
Come i peccatori ciechi che siamo.
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Degli uomini e dei loro grandi progetti
C’è una piccola cittadina sui Pirenei, che all’inizio del secolo scorso venne eletta da francesi e spagnoli come il luogo giusto dove costruire un grande scambio ferroviario per il trasporto delle merci. Quindi vai di disboscamenti, gallerie e tutte quelle azioni necessarie alla realizzazione di cotanta opera. Poi, per non stare con le mani in mano, nel mentre si comincia a costruire una bellissima stazione, con non so quanti moli di carico e poi il ristorante, il bar ed altre attività di contorno. Un edificio davvero magnifico che doveva, a colpo d’occhio, dare appieno l’impressione dell’importanza che rivestiva.
Tutto stupendo, un altro gradino salito, sull’ascesa del progresso.
Peccato che arrivati quasi al termine dell’opera, si siano resi conto che le ferrovie francesi e spagnole viaggiavano su scartamenti diversi. Questo di per sè, farebbe già un po’ ridere, se non fosse che si resero conto che le locomotive spagnole erano alimentate a gasolio e quelle francesi ad elettricità.
Risultato? Una cattedrale, non nel deserto, ma tra le vette dei Pirenei.
Questo è, se vi pare.
I.S.A.
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Bordone è il connubio perfetto tra tuttologia e centronullismo.
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Ricciardi sulla sanità lombarda ha una sola “colpa”: aver detto la verità Di Luca Telese È il trucco più vecchio del mondo. Un deputato – giusto o sbagliato – mette sotto accusa “il sistema Lombardia” e chi si trova in difficoltà per quella accusa si difende con l’iperbole mistificativa: “Hanno attaccato la Lombardia”. Ma è una bugia con le gambe corte. È del tutto evidente che nessuno può essere così scemo, o stolto da attaccare “La Lombardia”, semmai – propaganda a parte – sono proprio i lombardi oggi che si fanno domande sul cosiddetto “Modello Lombardia”. Sono i parenti di coloro che si trovavano nelle case di riposo per anziani che ci scrivevano furenti quando l’ineffabile assessore Gallera, o chi per lui, emanò la famosa circolare con cui destinava gli ex malati di Covid alle RSA. Non c’è nulla di scandaloso, dunque, nel contestato intervento dell’onorevole Ricciardi in Parlamento. Il deputato del M5s ha detto che quel modello è stato messo in crisi dal Covid (innegabile) che l’ospedale della Fiera è stato un’opera costosissima che non ha funzionato (i primi a dirlo sono i medici “Lombardi”), che spostare il finanziamento pubblico sulla sanità privata è stato un suicidio (difficile provare il contrario) e che le invettive dell’ex sottosegretario Giorgetti contro i medici di base erano una presa di posizione incomprensibile (magari quella rete avesse tenuto). L’unico vero errore di Ricciardi è stato sostenere che l’ospedale della Fiera sia stato costruito con denaro pubblico (non è vero, ci sono stati i fondi ingentissimi delle donazioni private) ma è vero che molti equipaggiamenti sono stati forniti dal governo (ad esempio i primi ventilatori polmonari arrivati dalla Russia, e giustamente indirizzati in quella struttura dal governo). L’ospedale della Fiera con i suoi costi stellari (“25 milioni di euro per 21 pazienti”, sintetizza Ricciardi) non è stato solo un’opera sanitaria: è stato venduto al mondo come una incredibile opera di propaganda. Tuttavia noi siamo contenti che sia stato realizzato, e a tempo di record. Molti medici – ad esempio il dottor Zangrillo, proprio su questo sito – ci hanno spiegato che il modello “cattedrale nel deserto” non può funzionare. Dice Zangrillo: “Funziona meglio un reparto Covid allestito in un campo da calcetto, se dietro ha un ospedale, di una sola rianimazione, collocata nel nulla”. Ma il tema è la propaganda. Non possiamo dimenticare che nel pieno della crisi Coronavirus l’assessore Gallera si candidò a sindaco di Milano, proprio mentre era in tv tutte le sere a parlare di morti e di virus. Accortosi della gaffe, fece una precipitosa e grottesca marcia indietro. Così scomposta da apparire improvvisa e ridicola. La via sanitaria alla secessione è stata una mezza farsa, ma non era priva di potenzialità di successo. E criticarla non è una scelta politica, tant’è vero che su questo sito abbiamo più volte preso atto che il governatore Zaia aveva azzeccato uomini e strategie (lo ha scritto per esempio Selvaggia Lucarelli). Due giunte leghiste, due modi diversi di intendere le istituzioni e le strategie sanitarie. Non dire dunque che “il modello Lombardia” non si tocca. Spiegate agli agitatori, che quel modello non ha funzionato. E spiegategli che questo va detto non contro i lombardi, ma nel loro interesse.
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È come il giorno che cammina,
Come la notte che si avvicina,
Come due occhi che stanno a guardare,
Da dietro una tenda e non si fanno notare.
È come un albero nel deserto,
Come un trucco non ancora scoperto,
Come una cosa che era meglio non fare,
Come il cadavere di una stella, sulla schiuma del mare.
È fulmine, è grandine, è polvere, è siccità,
Acqua che rompe l'argine e lascia una riga nera,
Al primo piano della città.
C'è qualcuno che bussa, baby, aspettavi qualcuno?
Hai guardato di fuori, baby?
E non ho visto nessuno.
C'è qualcuno che bussa, baby, e muove la coda,
C'è qualcosa che passa in questa stanza vuota.
Come una sagoma sul pavimento,
Come sabbia sotto il cemento,
Come una magra malattia,
Come il passato, in una fotografia.
Come una terra che diventa straniera,
Come un mattino che diventa sera,
Sera di un giorno di festa, che diventa tempesta.
Come un lungo saluto,
Come un sorriso che dura un minuto,
Come uno squarcio buttato al futuro,
Come un'occhiata, al di là del muro.
È venuto qualcuno, baby, che non si è presentato.
È venuto lo stesso, baby, ma non era invitato.
È venuto qualcuno, baby, che ci guarda e sta zitto,
E c'è qualcosa che cambia sotto questo soffitto.
È come un giorno che cammina,
Anzi è come la notte che si trascina,
Come una nuvola sulla coscienza,
Come l'apocalisse, in un racconto di fantascienza.
Come dal nocciolo di un'esplosione,
Come dal chiuso di una nazione,
Come dal coro di una cattedrale
O dalla tana di un animale.
Come dal buco di una chiave,
Come dal ponte di un'astronave,
Come io e te che stiamo a guardare
Tutte queste cose, passare.
C'è qualcuno che bussa, baby, aspettavi qualcuno?
Ho guardato nel buio, baby, e non ho visto nessuno.
Troppe volte zero, baby, non vuol dire uno,
C'è qualcosa che brucia in tutto questo fumo
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La costa di Trapani e del suo territorio è da sempre considerata la più selvaggia di tutta la Sicilia. Un ventaglio di natura, centri storici, borghi marinari e collinari, spalancati a braccia aperte sul mare, sul il Tirreno e il Mediterraneo, con le isole Egadi e le coste tunisine, così vicine da poterle toccare, Pantelleria e le coste nordafricane e dell’isola di Malta. 150 km di litorale unico al mondo, l’antico approdo di Arabi, Fenici, Greci, dei Mille di Garibaldi. Terra di sole e di cultura, di profumi lontani. Terra di confine tra il cielo e, soprattutto, il mare cristallino che lambisce queste coste, ora frastagliate ora ricoperte di sabbia finissima, senza nulla da invidiare a destinazioni più esotiche e molto più distanti. La Sicilia e le spiagge di Trapani, invece, sono dietro l’angolo. Il golfo di Castellammare e la tonnara di Scopello La spiaggia di Alcamo Marina è la prima costa trapanese che si incontra venendo da Palermo. Lunga circa 3 km e attrezzata, è molto amata dagli abitanti della zona e non solo e durante i mesi estivi può diventare parecchio affollata. Superata la foce del fiume San Bartolomeo, il litorale prosegue, diventando la spiaggia principale, chiamata Playa, di Castellammare del Golfo, anch’essa sabbiosa e parzialmente attrezzata, seguendo la quale si raggiunge il centro storico della cittadina, affacciata sul mare e sul porto, con il suggestivo castello arabo-normanno e la piccola cala Petròlo. Superato il porto di Castellammare la costa comincia a farsi più frastagliata. Qui si nascondono piccole spiagge rocciose, più riparate e tranquille, come cala dei Sogni, cala Bianca e cala Rossa, dopo le quali si apre la baia, di nuovo sabbiosa e ben attrezzata, di Guidaloca. Qui il mare, riparato da entrambi i lati da alti speroni di roccia, è di meraviglioso blu profondo. Dopo questa rilassante baia, ricomincia la costa rocciosa e frastagliata dove si apre la cala dell’Alberello e poi Scopello, con la splendida baia punteggiata, sull’acqua, da due immensi faraglioni mentre sulla costa si erge l’antico profilo della tonnara, attorno alla quale si sviluppano i bastioni di cemento – l’ingresso è a pagamento (3€ circa) – sui quali godersi il sole a pochi centimetri dall’acqua. Alle spalle della tonnara di Scopello si staglia la tozza figura di un promontorio sulla cui sommità si trova una torre di guardia, alle spalle della quale la costa prosegue con il suo intrico di calette di sassi e scogli (cala Mosca, cala Baialuce e cala Mazzo di Sciacca). Qui, dove l’immediato entroterra è disseminato di bellissime ville e strutture ricettive di livello si arriva al centro visite della riserva Naturale dello Zingaro, della quale Scopello rappresenta la porta d’accesso orientale. Le calette selvagge della riserva dello Zingaro La riserva dello Zingaro protegge una delle zone naturali più belle e selvagge di tutta la Sicilia. Costoni rocciosi, ripidi sentieri bianchi e grotte preistoriche si perdono nella vegetazione bruciata dal sole fino all’azzurro del mare, a meravigliose calette dove il tempo sembra fermarsi e le narici si riempiono dei profumi della macchia mediterranea, gli stessi che hanno inebriato gli antichi popoli che solcavano le acque del Mediterraneo. Qui il mare diventa non solo relax e bellezza ma anche un paradiso per gli amanti dello snorkeling. Ecco allora che si incontrano cala Capreria, con i suoi ciottoli bianchi, seguita da cala del Varo con punta Leone, cala della Disa, cala Beretta e cala Marinella, fino a cala dell’Uzzo, una delle più affascinanti, dominata dai ruderi dell’omonima torre e raggiungibile a piedi in 15 minuti seguendo un sentiero abbastanza agevole completamente immerso nella natura. Nei pressi della caletta, meritano una segnalazione alcuni punti di interesse della riserva dello Zingaro: il museo dell’Intreccio, la grotta preistorica dell’Uzzo e il museo della civiltà Contadina. Tornando sul sentiero che costeggia il mare si raggiunge inoltre il museo delle attività Marinare, situato su un promontorio roccioso sotto al quale si apre, come in una favola, cala Tonnarella dell’Uzzo, la spiaggia principale della riserva dello Zingaro. La strada poco dopo sale improvvisamente con un paio di tornanti, che girano intorno alla torre dell’Impiso, per poi rituffarsi nel mare antistante cala Grottazza. Ora seguiamo il capo verso nord, superando la curiosa caletta chiamata lago di Venere si apre il golfo del Firriato, chiuso a nord da punta Solanto. Il mare caraibico di San Vito lo Capo e le scogliere di Macari Qui la costa rocciosa assume un’atmosfera quasi lunare, spezzata solo dai resti della cinquecentesca tonnara del Secco e dall’imponente profilo di monte Monaco, aggirato il quale si apre la spiaggia antistante San Vito lo Capo, considerata una delle più belle della Sicilia. Con il suo mare trasparente e caldissimo, la sabbia dorata e il fondale basso sembra di stare ai Caraibi. Per dare un ulteriore tocco di esotismo si consiglia di non lasciare San Vito lo Capo senza aver assaggiato il suo impareggiabile cous cous. Oltre la punta sulla quale si erge il faro di Capo San Vito e cala Rossa si scende di colpo verso sud fino a cala Mancina, la grotta dei Cavalli, la spiaggia di Salinella e quella di Isulidda, antistante l’omonima isoletta selvaggia e completamente rocciosa, fino ad arrivare a un’altra delle località balneari più belle della Sicilia: il borgo di pescatori di Macari e le sue bellissime calette. La spiaggia del Bue Marino sotto a una scogliera di antichissime falesie, cala di punta Lunga, la spiaggia di baia Santa Margherita, Scaru Brucia, cala Bove. La costa si fa piatta fino al mare, dove si apre spiaggia di Seno dell’Arena, la Chianca, punta Bucerno e spiaggia Agliareddi. La baia del Cornino e la spiaggia di San Giuliano Oltre gli Agliareddi si apre il territorio compreso nella riserva Naturale del monte Cofano, un altro scrigno di natura incontaminata del trapanese. Il promontorio di monte Cofano si sporge arrotondato sul mare con l’antica tonnara omonima e la punta del Saraceno, superata la quale tra la roccia emergono antiche tracce dei colonizzatori dell’isola: l’edicola di San Nicola, la grotta e la cappella del Crocefisso, la torre del Cofano, fino alla splendida baia del Cornino con la grotta Mangiapane e le sue spiagge ora sabbiose, ora ghiaiose, interrotte da stupende scogliere a picco sul mare superabili grazie a dei pontili di legno, che delimitano l’area balneare. Proseguendo lungo la costa si incontrano poi la piccola spiaggia di rio Forgia, lido Valderice, il borgo marinaro di Bonagia, la sua stupenda spiaggia di ciottoli e sabbia, il suo mare trasparente e una seicentesca tonnara, oggi trasformata in struttura ricettiva, a dominare la natura selvaggia di questo piccolo golfo. Trapani e le sue spiagge, il cuore di questo tratto di costa siciliana, dista ormai solo una decina di km. Dopo Pizzolungo, la litoranea prosegue fino alla lunghissima e sabbiosa spiaggia di San Giuliano, sia libera che attrezzata, che si trova ancora nel territorio di Erice, anche questa sicuramente tra le più belle della costa trapanese. Le spiagge sotto alle mura di Trapani Con il promontorio della tonnara Tipa, compreso oggi in un rigoglioso parco urbano, comincia la spiaggia cittadina di Trapani, che si distende a fianco del lungomare Dante Alighieri fino a lido Paradiso, privato e a pagamento, a piazza Vittorio Emanuele, per poi svilupparsi al di sotto delle mura di Tramontana, dove prende il nome di spiaggia porta Botteghelle. A pochi passi da qui si può passeggiare per il centro storico di Trapani, nella suggestiva piazza del mercato del Pesce affacciata sul mare come una scenografica rotonda e visitare la cinquecentesca cattedrale di San Lorenzo, duomo della città. Il punto più suggestivo delle spiagge cittadine di Trapani è però senza dubbio la scogliera al di sotto della torre di Ligny, la punta estrema del molo cittadino che si distende dentro il mare. Non c’è una vera spiaggia ma si può scendere in acqua dagli scogli con molta facilità, per godersi un bagno al tramonto. Da qui si gode di uno stupendo panorama sulle vicinissime isole Egadi oppure, alle spalle, sul monte Erice. Una volta ammirato lo splendido panorama e respirato l’odore di questo porto proiettato così profondamente nel Mediterraneo da sembrare un’isola nella grande isola siciliana occorre superare il porto e le saline di Trapani, oggi riserva naturale, con un’interessante museo all’interno dell’area, per proseguire lungo la costa trapanese, raggiungendo la bella spiaggia di Marausa. Marsala e la spiaggia di punta Tramontana Superato l’aeroporto di Trapani, il paesaggio cambia di colpo, l’aria si fa umida, la terra diventa piatta quasi più del mare. Siamo sempre più vicini all’Africa e da qualche parte si sente già il deserto. Quello che si vede, invece, è un grande specchio d’acqua, la laguna di Marsala, separata dal mare dall’isola Grande, che racchiude e protegge la spiaggia di San Teodoro con la sua torre, le saline cittadine, l’isola Mozia e la riserva Naturale dello Stagnone. All’interno di quest’area protetta si trova anche la lunghissima spiaggia di punta Tramontana, fiore all’occhiello di Marsala, nota per il mare trasparente e la sabbia bianca, da atollo tropicale. A Marsala sbarcarono i Mille di Garibaldi e sarebbe un peccato lasciarsela alle spalle senza aver fatto visita alle storiche Cantine Florio. Le antiche coste di Mazara, Capo Feto e Selinunte Lasciandosi alle spalle Marsala, la strada scende verso sud incontrando la lunga spiaggia bianca e fine di Lido Signorino e la costa lunare di Mazara del Vallo, con la bellissima spiaggia di capo Feto: 5 km di litorale che si scontra con il mare turchese in un suggestivo paesaggio di dune sabbiose e paludi d’acqua salata. Oltre c’è Mazara e la sua casbah, le tracce del passato normanno e di quello arabo, mentre il viaggio prosegue lungo la costa meridionale della Sicilia, il confine estremo tra il mare e l’Africa. Qui la costa si fa ripida e la litoranea corre quasi a picco sul mare. Perché ricominci il litorale occorre arrivare sino alla torretta di capo Granitola, con la suggestiva cala dei Turchi, una spiaggia di sabbia e roccia incastonata in una scogliera di tufo il cui nome ricorda gli antichi sbarchi dei pirati Saraceni in Sicilia in questo mare trasparente. Oltre il faro di capo Granitola la costa fa una decisa svolta a sinistra, dirigendosi in linea quasi retta verso ovest, dove si incontra la bellissima spiaggia di Tre Fontane, nel territorio di Campobello di Mazara, tra le più belle di tutta la Sicilia. Ampia, sabbiosa e percorsa da sorgenti di acqua dolce è come una grande oasi che è scivolata fino alla costa. Il tratto finale del viaggio lungo le coste e le spiagge di Trapani giunge al termine in un’area dove natura e testimonianze storiche antichissime si mescolano insieme per dare a questi luoghi un’atmosfera unica. La costa compresa nel territorio di Castelvetrano comprende sia un’eccellenza storica che una naturale. Per prima s’incontrano infatti le rovine della necropoli di Selinunte. Questo luogo incredibile custodisce i resti di un’antica città greca sviluppatasi sulle coste siciliane e che deve il suo nome al sedano selvatico, che ancora cresce rigoglioso in quest’area. Poco prima del sito archeologico, venendo da Tre Fontane, si trova Triscine, con il suo lunghissimo litorale sabbioso e, subito dopo, Marinella, con la sua sabbia dorata, il mare limpido e piacevolissime brezze marine che cullano le falde degli ombrelloni. Oltre Marinella si sviluppa lo straordinario habitat che popola la foce del fiume Belice, oggi riserva naturale, con una suggestiva spiaggia incorniciata da dune desertiche, rada vegetazione e sparuti alberi, i cui profili si stagliano sull’azzurro del mare. Proprio qui, pervasi da brezze nordafricane e i profumi trascinati sul Mediterraneo, finisce questo lungo viaggio lungo le spiagge della costa di Trapani e del suo territorio. https://ift.tt/2WNmkSl Le spiagge più belle di Trapani e dintorni La costa di Trapani e del suo territorio è da sempre considerata la più selvaggia di tutta la Sicilia. Un ventaglio di natura, centri storici, borghi marinari e collinari, spalancati a braccia aperte sul mare, sul il Tirreno e il Mediterraneo, con le isole Egadi e le coste tunisine, così vicine da poterle toccare, Pantelleria e le coste nordafricane e dell’isola di Malta. 150 km di litorale unico al mondo, l’antico approdo di Arabi, Fenici, Greci, dei Mille di Garibaldi. Terra di sole e di cultura, di profumi lontani. Terra di confine tra il cielo e, soprattutto, il mare cristallino che lambisce queste coste, ora frastagliate ora ricoperte di sabbia finissima, senza nulla da invidiare a destinazioni più esotiche e molto più distanti. La Sicilia e le spiagge di Trapani, invece, sono dietro l’angolo. Il golfo di Castellammare e la tonnara di Scopello La spiaggia di Alcamo Marina è la prima costa trapanese che si incontra venendo da Palermo. Lunga circa 3 km e attrezzata, è molto amata dagli abitanti della zona e non solo e durante i mesi estivi può diventare parecchio affollata. Superata la foce del fiume San Bartolomeo, il litorale prosegue, diventando la spiaggia principale, chiamata Playa, di Castellammare del Golfo, anch’essa sabbiosa e parzialmente attrezzata, seguendo la quale si raggiunge il centro storico della cittadina, affacciata sul mare e sul porto, con il suggestivo castello arabo-normanno e la piccola cala Petròlo. Superato il porto di Castellammare la costa comincia a farsi più frastagliata. Qui si nascondono piccole spiagge rocciose, più riparate e tranquille, come cala dei Sogni, cala Bianca e cala Rossa, dopo le quali si apre la baia, di nuovo sabbiosa e ben attrezzata, di Guidaloca. Qui il mare, riparato da entrambi i lati da alti speroni di roccia, è di meraviglioso blu profondo. Dopo questa rilassante baia, ricomincia la costa rocciosa e frastagliata dove si apre la cala dell’Alberello e poi Scopello, con la splendida baia punteggiata, sull’acqua, da due immensi faraglioni mentre sulla costa si erge l’antico profilo della tonnara, attorno alla quale si sviluppano i bastioni di cemento – l’ingresso è a pagamento (3€ circa) – sui quali godersi il sole a pochi centimetri dall’acqua. Alle spalle della tonnara di Scopello si staglia la tozza figura di un promontorio sulla cui sommità si trova una torre di guardia, alle spalle della quale la costa prosegue con il suo intrico di calette di sassi e scogli (cala Mosca, cala Baialuce e cala Mazzo di Sciacca). Qui, dove l’immediato entroterra è disseminato di bellissime ville e strutture ricettive di livello si arriva al centro visite della riserva Naturale dello Zingaro, della quale Scopello rappresenta la porta d’accesso orientale. Le calette selvagge della riserva dello Zingaro La riserva dello Zingaro protegge una delle zone naturali più belle e selvagge di tutta la Sicilia. Costoni rocciosi, ripidi sentieri bianchi e grotte preistoriche si perdono nella vegetazione bruciata dal sole fino all’azzurro del mare, a meravigliose calette dove il tempo sembra fermarsi e le narici si riempiono dei profumi della macchia mediterranea, gli stessi che hanno inebriato gli antichi popoli che solcavano le acque del Mediterraneo. Qui il mare diventa non solo relax e bellezza ma anche un paradiso per gli amanti dello snorkeling. Ecco allora che si incontrano cala Capreria, con i suoi ciottoli bianchi, seguita da cala del Varo con punta Leone, cala della Disa, cala Beretta e cala Marinella, fino a cala dell’Uzzo, una delle più affascinanti, dominata dai ruderi dell’omonima torre e raggiungibile a piedi in 15 minuti seguendo un sentiero abbastanza agevole completamente immerso nella natura. Nei pressi della caletta, meritano una segnalazione alcuni punti di interesse della riserva dello Zingaro: il museo dell’Intreccio, la grotta preistorica dell’Uzzo e il museo della civiltà Contadina. Tornando sul sentiero che costeggia il mare si raggiunge inoltre il museo delle attività Marinare, situato su un promontorio roccioso sotto al quale si apre, come in una favola, cala Tonnarella dell’Uzzo, la spiaggia principale della riserva dello Zingaro. La strada poco dopo sale improvvisamente con un paio di tornanti, che girano intorno alla torre dell’Impiso, per poi rituffarsi nel mare antistante cala Grottazza. Ora seguiamo il capo verso nord, superando la curiosa caletta chiamata lago di Venere si apre il golfo del Firriato, chiuso a nord da punta Solanto. Il mare caraibico di San Vito lo Capo e le scogliere di Macari Qui la costa rocciosa assume un’atmosfera quasi lunare, spezzata solo dai resti della cinquecentesca tonnara del Secco e dall’imponente profilo di monte Monaco, aggirato il quale si apre la spiaggia antistante San Vito lo Capo, considerata una delle più belle della Sicilia. Con il suo mare trasparente e caldissimo, la sabbia dorata e il fondale basso sembra di stare ai Caraibi. Per dare un ulteriore tocco di esotismo si consiglia di non lasciare San Vito lo Capo senza aver assaggiato il suo impareggiabile cous cous. Oltre la punta sulla quale si erge il faro di Capo San Vito e cala Rossa si scende di colpo verso sud fino a cala Mancina, la grotta dei Cavalli, la spiaggia di Salinella e quella di Isulidda, antistante l’omonima isoletta selvaggia e completamente rocciosa, fino ad arrivare a un’altra delle località balneari più belle della Sicilia: il borgo di pescatori di Macari e le sue bellissime calette. La spiaggia del Bue Marino sotto a una scogliera di antichissime falesie, cala di punta Lunga, la spiaggia di baia Santa Margherita, Scaru Brucia, cala Bove. La costa si fa piatta fino al mare, dove si apre spiaggia di Seno dell’Arena, la Chianca, punta Bucerno e spiaggia Agliareddi. La baia del Cornino e la spiaggia di San Giuliano Oltre gli Agliareddi si apre il territorio compreso nella riserva Naturale del monte Cofano, un altro scrigno di natura incontaminata del trapanese. Il promontorio di monte Cofano si sporge arrotondato sul mare con l’antica tonnara omonima e la punta del Saraceno, superata la quale tra la roccia emergono antiche tracce dei colonizzatori dell’isola: l’edicola di San Nicola, la grotta e la cappella del Crocefisso, la torre del Cofano, fino alla splendida baia del Cornino con la grotta Mangiapane e le sue spiagge ora sabbiose, ora ghiaiose, interrotte da stupende scogliere a picco sul mare superabili grazie a dei pontili di legno, che delimitano l’area balneare. Proseguendo lungo la costa si incontrano poi la piccola spiaggia di rio Forgia, lido Valderice, il borgo marinaro di Bonagia, la sua stupenda spiaggia di ciottoli e sabbia, il suo mare trasparente e una seicentesca tonnara, oggi trasformata in struttura ricettiva, a dominare la natura selvaggia di questo piccolo golfo. Trapani e le sue spiagge, il cuore di questo tratto di costa siciliana, dista ormai solo una decina di km. Dopo Pizzolungo, la litoranea prosegue fino alla lunghissima e sabbiosa spiaggia di San Giuliano, sia libera che attrezzata, che si trova ancora nel territorio di Erice, anche questa sicuramente tra le più belle della costa trapanese. Le spiagge sotto alle mura di Trapani Con il promontorio della tonnara Tipa, compreso oggi in un rigoglioso parco urbano, comincia la spiaggia cittadina di Trapani, che si distende a fianco del lungomare Dante Alighieri fino a lido Paradiso, privato e a pagamento, a piazza Vittorio Emanuele, per poi svilupparsi al di sotto delle mura di Tramontana, dove prende il nome di spiaggia porta Botteghelle. A pochi passi da qui si può passeggiare per il centro storico di Trapani, nella suggestiva piazza del mercato del Pesce affacciata sul mare come una scenografica rotonda e visitare la cinquecentesca cattedrale di San Lorenzo, duomo della città. Il punto più suggestivo delle spiagge cittadine di Trapani è però senza dubbio la scogliera al di sotto della torre di Ligny, la punta estrema del molo cittadino che si distende dentro il mare. Non c’è una vera spiaggia ma si può scendere in acqua dagli scogli con molta facilità, per godersi un bagno al tramonto. Da qui si gode di uno stupendo panorama sulle vicinissime isole Egadi oppure, alle spalle, sul monte Erice. Una volta ammirato lo splendido panorama e respirato l’odore di questo porto proiettato così profondamente nel Mediterraneo da sembrare un’isola nella grande isola siciliana occorre superare il porto e le saline di Trapani, oggi riserva naturale, con un’interessante museo all’interno dell’area, per proseguire lungo la costa trapanese, raggiungendo la bella spiaggia di Marausa. Marsala e la spiaggia di punta Tramontana Superato l’aeroporto di Trapani, il paesaggio cambia di colpo, l’aria si fa umida, la terra diventa piatta quasi più del mare. Siamo sempre più vicini all’Africa e da qualche parte si sente già il deserto. Quello che si vede, invece, è un grande specchio d’acqua, la laguna di Marsala, separata dal mare dall’isola Grande, che racchiude e protegge la spiaggia di San Teodoro con la sua torre, le saline cittadine, l’isola Mozia e la riserva Naturale dello Stagnone. All’interno di quest’area protetta si trova anche la lunghissima spiaggia di punta Tramontana, fiore all’occhiello di Marsala, nota per il mare trasparente e la sabbia bianca, da atollo tropicale. A Marsala sbarcarono i Mille di Garibaldi e sarebbe un peccato lasciarsela alle spalle senza aver fatto visita alle storiche Cantine Florio. Le antiche coste di Mazara, Capo Feto e Selinunte Lasciandosi alle spalle Marsala, la strada scende verso sud incontrando la lunga spiaggia bianca e fine di Lido Signorino e la costa lunare di Mazara del Vallo, con la bellissima spiaggia di capo Feto: 5 km di litorale che si scontra con il mare turchese in un suggestivo paesaggio di dune sabbiose e paludi d’acqua salata. Oltre c’è Mazara e la sua casbah, le tracce del passato normanno e di quello arabo, mentre il viaggio prosegue lungo la costa meridionale della Sicilia, il confine estremo tra il mare e l’Africa. Qui la costa si fa ripida e la litoranea corre quasi a picco sul mare. Perché ricominci il litorale occorre arrivare sino alla torretta di capo Granitola, con la suggestiva cala dei Turchi, una spiaggia di sabbia e roccia incastonata in una scogliera di tufo il cui nome ricorda gli antichi sbarchi dei pirati Saraceni in Sicilia in questo mare trasparente. Oltre il faro di capo Granitola la costa fa una decisa svolta a sinistra, dirigendosi in linea quasi retta verso ovest, dove si incontra la bellissima spiaggia di Tre Fontane, nel territorio di Campobello di Mazara, tra le più belle di tutta la Sicilia. Ampia, sabbiosa e percorsa da sorgenti di acqua dolce è come una grande oasi che è scivolata fino alla costa. Il tratto finale del viaggio lungo le coste e le spiagge di Trapani giunge al termine in un’area dove natura e testimonianze storiche antichissime si mescolano insieme per dare a questi luoghi un’atmosfera unica. La costa compresa nel territorio di Castelvetrano comprende sia un’eccellenza storica che una naturale. Per prima s’incontrano infatti le rovine della necropoli di Selinunte. Questo luogo incredibile custodisce i resti di un’antica città greca sviluppatasi sulle coste siciliane e che deve il suo nome al sedano selvatico, che ancora cresce rigoglioso in quest’area. Poco prima del sito archeologico, venendo da Tre Fontane, si trova Triscine, con il suo lunghissimo litorale sabbioso e, subito dopo, Marinella, con la sua sabbia dorata, il mare limpido e piacevolissime brezze marine che cullano le falde degli ombrelloni. Oltre Marinella si sviluppa lo straordinario habitat che popola la foce del fiume Belice, oggi riserva naturale, con una suggestiva spiaggia incorniciata da dune desertiche, rada vegetazione e sparuti alberi, i cui profili si stagliano sull’azzurro del mare. Proprio qui, pervasi da brezze nordafricane e i profumi trascinati sul Mediterraneo, finisce questo lungo viaggio lungo le spiagge della costa di Trapani e del suo territorio. Trapani e i suoi dintorni sono un territorio spettacolare, dominato da spiagge meravigliose e contrasti tra acqua e zone deserte tutti da assaporare.
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L’altra Santuzza
Il culto della ninfa Igea a Palermo
Come reagiscono ai pericoli i palermitani?
Racconto spesso agli amici in visita, che per capire, o meglio carpire l’animo dei palermitani bisognerebbe guardare a due immagini, due simboli tutto sommato poco frequentati della città.
Una è un uomo, l’altra una donna.
Sono uno l’opposto dell’altra, ma entrambi incarnano lo spirito di questi luoghi.
L’uomo è rimasto più immobile nel corso dei millenni, la sua raffigurazione non è cambiata poi tanto. L’immagine della donna ha subito invece continue metamorfosi, pur restando se stessa. Anche in questo senso due poli opposti.
Diciamo subito chi è questo uomo, il Genio di Palermo.
La cui prima rappresentazione è stata rinvenuta in forma di altorilievo nella zona dell’Acquasanta. Dobbiamo prendere quindi questa forma come il modello originale da cui discendono le altre (alcuni ne contano sette fra mosaici, dipinti, sculture).
Il Genio ha alcune caratteristiche di immediata lettura.
Prima di tutto è un uomo. Un uomo barbuto ma dal corpo giovane. Poi è coronato. E infine, tratto che ci interessa di più, armeggia con un serpente. Alcuni sostengono che sia la famosa serpe allattata al seno, come dire che ‘hai voglia a far del bene in città, il popolo ti si rivolterà sempre contro’. Altri sostengono che sia un morso fatale, un po’ come il biscione dei Visconti a Milano che ingurgita un uomo intero (secondo il detto popolare addirittura un bambino). Perché a esporre le proprie paure, le si esorcizza. Qualcuno si ricorderà il famoso episodio biblico in cui Mosè per scacciare una invasione di serpenti dal suo accampamento nel deserto ne solleva uno su un bastone e a quella vista, qualunque essere strisciante batté in ritirata. Il senso è lo stesso
Allora, sappiamo che il volto maschile della città è stato trovato in un luogo con un nome significativo, l’Acquasanta. E sappiamo che adesso è esposto al porto di Palermo. Guarda il mare. Altro luogo simbolo della città, dove l’acqua è il confine, l’altro, tutto il bene e tutto il male possibile.
Sappiamo anche che le altre statue del genio hanno sempre a che fare con luoghi d’acqua, che nei suoi flutti ricorda proprio un serpente.
Il genio del Palazzo Pretorio è in corrispondenza della Fontana della Vergogna. Il genio della Fieravecchia è su una fontana. Il genio di Villa Giulia anche. E il genio del Garraffo sorge fra le due fontane del quartiere, quella della Vucciria e quella del Garraffo, dall’arabo che vorrebbe dire acqua abbondante, appunto.
Insomma il simbolo di Palermo nella sua veste maschile ci parla di una lotta con l’elemento acqua, che porta nutrimento ma che può veicolare anche malattie e morte.
E’ una specie di avviso agli utenti, appena si incontra il Genio bisognerebbe pensare: ‘qui c’è dell’acqua, state accùra a come la usate’.
Ma qual è il suo corrispettivo femminile?
Certamente le sante patrone, su cui mi soffermerò brevemente, sicuramente la Santuzza, ma, vedremo, non solo.
Oliva è legata a un pozzo sacro, oggi custodito dentro la chiesa di San Francesco di Paola.
All’acqua è già nel nome di Santa Ninfa, un antico culto delle fonti. Santa Ninfa in oltre veniva invocata per la pioggia in tempo di siccità, cosa non rara in Sicilia.
Santa Cristina, terza patrona, è protagonista di un racconto meraviglioso di ingegno medievale in quel di Bolsena, con il lago che si rifiutò di farla annegare, e le serpi (il serpente ritorna!) che le vengono a leccare i piedi a riva.
Agata, ultima Santa a far quadrato, ragiona per converso, è legata al culto del fuoco o meglio agli esorcismi contro il fuoco, e la sua cattedrale sorge di fronte al porto, luogo delel acque per eccellenza, e alla fontana dell’Anemano.
E poi, certo, c’è l’incarnazione più potente del femminile in città, la Santuzza. Anche Rosalia è legata all’acqua, ad un pozzo, nella caverna del rinvenimento miracoloso delle sue spoglie mortali, e ad un uso dell’acqua che salva, soprattutto in tempo di peste.
Ma in città, esiste un altro culto, più recente che è il perfetto contraltare del Genio di Palermo.
Quello di Igea. Igea è la dea della “salute”, questo vuol dire il Igea in greco. Igea suona alle nostre orecchie giustamente come “igiene”. Figlia del dio della medicina, Asclepio, Igea viene rappresentata mentre dà da bere a un serpente dalla sua coppa.
Ed ecco l’opposto perfetto. Mentre il maschile, il Genio si “allattarìa” con l’acqua, con il suo serpente che già lo morde al petto, Igea il petto lo rivela al serpente il quale per tutta risposta non la morde, anzi le parla e le rivela i suoi segreti. Il femminile di Palermo è questa divinità, dai molti nomi, Oliva, Ninfa, Rosalia, Igea ognuno legato ad un momento della città, ma che sempre trova il modo di trasformare un pericolo in una occasione di salvezza. E infatti Igea salva e lo fa in un modo insieme molto moderno e molto antico, con la medicina. Non è un caso che la grande Villa sul mare che porta il suo nome fosse destinata dai Florio (almeno in seconda battuta) a casa di cure, luogo in cui il mare non è un nemico ma guarisce. E qual è questo luogo? Proprio l’Acquasanta, quel lembo di terra in cui fu rinvenuto il primo genio di Palermo.
E non è un caso che Igea compaia in altorilievo anche sulla facciata di villa Noto, altra casa di cure che sorge in una zona un po’ sopraelevata dal piano di città e da sempre considerata luogo dall’acqua e dall’aria buona.
Nella metopa d’angolo di villa Noto, fra via Garibaldi e Viale Regina Margherita, ecco l’”altra Santuzza”, l’immagine allo specchio, speculare del Genio di Palermo, Igea. Colta proprio mentre da una coppa dà da bere al suo serpente.
Insomma se una parte del “palermitano” prende le cose “di petto” come fa il Genio, un’altra parte è capace di ingegno acutissimo, cavando soluzioni in situazioni insidiose, dimostrando il coraggio di chi addirittura, come Igea, disseta i serpenti dove altri se la sarebbe semplicemente battuta a gambe levate.
In questi strani tempi non ci fa certo male tornare a guardare alla storia della nostra città e ai molti modi in cui i palermitani hanno saputo resistere e superare momenti difficili.
Alberto Milazzo
Autore di romanzi, racconti, teatro.
Pubblica con Mondadori (Uomini e insetti), SEM (La morale del Centrino).
Prossimo il debutto al Teatro Libero di Palermo del suo “Aspettando Manon”.
#corona virus#contagio#rimedi#sicilia#palermo#il genio di palermo#igea#siciliani#identità#riflessioni
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“Riconoscerei i tuoi capelli
in una bottega di stranezze di rame
in una cesta di castagne
nel laboratorio di un orafo
i tuoi capelli rosso oro
in una cattedrale di rame e oro
all'orizzonte di una steppa o di un deserto
riconoscerei i tuoi capelli”
(William Wall)🖊
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Gipsy
L’appartamento si trovava in una piazza davanti al mare, all’ultimo piano di un palazzo che l’umidità aveva scorticato.
Per fortuna, nonostante le cicatrici sulla facciata, il vento e la salsedine non lo rendevano meno attraente.
Mi colpì subito, con quella finestra a tre vetrate che ogni giorno si illumina dentro i primi squarci di sole.
È questo il punto della città dove nasce il giorno ed è qui che le cose si realizzano più in fretta.
Chi vede il mondo prima degli altri, si sente sempre a casa.
Una consapevolezza della durata di un attimo, il tempo di raggiungere il nucleo delle cose: accoglierlo e lasciarlo andare; restando con senso di pienezza in fondo all’anima.
Era esattamente ciò che provavo alla vista di quel palazzo, il casermone assolato che ospitava il mio appartamento: perché lo fosse e perché sentissi familiare quell’atmosfera, è impossibile a dirsi. Il mondo onirico ha logiche incomprensibili per l’occhio cieco della ragione. Decisi di proseguire il mio cammino, percorrendo la strada che costeggiava il mare. Sebbene quel mondo sembrasse deserto, mi imbatto in un ragazzo che forse conosco. Non mi dice nulla, si limita a guardarmi con i suoi occhi di un blu profondo: riesco a intravedere le increspature delle onde in quelle iridi assolute. Posso anche percepire la sua tristezza e senza che proferisca parola, avverto il fragore di uno scontro: una donna ha sbagliato il senso e un ragazzo giace sull’asfalto, morto. Credo che fosse un suo amico, vorrei abbracciarlo ma scompare tra le mie braccia ed io resto sola. Quanto è ostinato il bisogno di amare: ci rende schiavi di un altro mondo, creato dalla mente per il puro scopo di espiare le colpe della realtà. Cosa è reale in questo momento? Questo mare che richiama il pensiero di gente in fuga, questa città sempre uguale a sé stessa, questa immagine che vedo riflessa nello specchio e che non riconosco?
Altre forme di vita attirano la mia attenzione, sono frasi proferite con veemenza e il luogo dal quale provengono, si direbbe, essere un bar. Eccomi in un locale, poco più ampio di una stanza da letto. A renderlo tristemente angusto è soprattutto l’arredamento sciatto; unico elemento di modernità un televisore: un deus ex machina che si rivolge ai suoi fedeli, rimandando immagini e parole. Penso di non conoscere la lingua nella quale si esprimono, né loro né l’oggetto della loro venerazione. Però comprendo la rabbia che deforma i loro volti stanchi, i solchi delle rughe divengono più profondi ad ogni urlo emesso. Mi immagino un contadino lillipuziano intento ad arare quei campi emotivi e gli auguro di trarre frutti che sappiano di pietà. Qualcuno di questi anziani signori mi ricorda mio nonno, che come loro indossava un basco marrone, camminava con un giornale sotto il braccio e congiungeva le mani dietro le spalle mentre ascoltava. Inoltre, anche lui inveiva contro lo schermo parlante e professava una religione politica che mi faceva orrore, il cui alito mortifero avverto ancora oggi. Mi sforzo di riconoscerlo tra quella gente, ma non ci riesco: è il sogno sbagliato, mi starà aspettando altrove. Se potessi rincontrarlo avrei tante cose da chiedergli. “Sai, Nonno caro, mi chiedevo: ma l’Eterno, rende più saggi? Tra le braccia di Dio, hai per caso compreso, finalmente, quanto nuoce a un figlio non essere amato o peggio, pensare di non esserlo? Per caso c’è qualche Angelo dotto in psicoanalisi, che ti abbia saputo illustrare quanti e quali danni provoca un genitore incapace di pensare a qualcuno che non sia stesso e che faccia sentire tutti indegni del suo affetto? Temo che ti abbiano anche dovuto spiegare che la psicoanalisi ha una dignità scientifica tanto quanto l’ingegneria, ma non so se l’Eterno possa arrivare a tanto. In ogni caso, Nonno, ti mando il mio amore. Sai, ho imparato a perdonare gli altri e, forse, anche me stessa”.
Mentre sono tutta compresa in questi pensieri, avverto una mano che si è poggiata sulla mia spalla. Tento inutilmente di dissimulare lo spavento e capisco che qualcuno, tra gli anziani adepti, vorrebbe includermi nel dibattito: muove la sua mano, dalla direzione del televisore verso la mia, un andirivieni quasi comico, se non fosse che mi atterrisce l’essere incapace di decodificare il suo linguaggio. Anch’io mi esprimo a gesti, ma senza emettere suoni. Accenno un saluto e scappo via, seguita per qualche istante dal suo sguardo interrogativo. Una volta fuori dal bar, noto con dispiacere che non c’è più il sole a illuminare la strada vuota. Gli ultimi incontri mi hanno fatta sentire vulnerabile e sento il bisogno di tornare a quel palazzo, a quella finestra,a quella comprensione che è casa. Ma le strade, nella parvenza immutate, non mi portano dove desidero e ripercorrerle è un ‘azione senza significato. La paura che si fa spazio nel mio cuore, costringe un pensiero, prima accennato, a farsi concreto o per lo meno palese. Quella parola di tre lettere che poco fa avevo pronunciato, è diventata un bisogno, un confine necessario al mondo altrimenti troppo vasto. Dio. Ecco un’altra essenza che accende punti interrogativi, fiammelle in una cattedrale sconsacrata perché eccessivamente debole. Sono io quell’edificio illuminato a stento, fitto di ragnatele, ignorato dai fedeli e amato dai peccatori notturni. Sono io , che da bambina prima di addormentarmi pregavo ogni sera, recitando parole profonde: raccontavano di morte, vita, lacrime e sangue ed io , che ero solo una bambina, non sapevo fare altro che ripeterle. Erano commuoventi ma incomprensibili. Forse come le urla di quel bar. Adesso, invece, se uso la parola “peccato” piuttosto che “sbaglio”, le mie azioni appaiono diverse, è come se smettessero di esistere in un’uniformità grigiastra e una linea dritta iniziasse a creare delle forme. Per non parlare di come suoni meglio,” Dio ho molto peccato”. È un incipit decisamente più dignitoso rispetto al banale, “Dio ho molto sbagliato”. E pensare che ragazzi, miei coetanei, si uccidono e ammazzano in nome di Allah, mentre io rifletto sulla migliore scelta lessicale, da adottare, per quelle volte in cui mi decido a sussurrare al vuoto della mia camera, perché in preda ai sensi di colpa. Tutti ci rivolgiamo al Mistero per essere perdonati, o comunque quasi tutti. Persino io, che ho, più volte, considerato il problema morale del mio paese un’inevitabile conseguenza della sua religione, troppo indulgente. Sbagliamo per continuare a farlo e, nonostante questo, per continuare ad essere amati.
Persino nei sogni i miei interrogativi esistenziali non mi danno pace. La colpa è sempre di quei ragazzi, pazzi, che sacrificano tutto per un’idea e noi, invece, abbiamo sacrificato ogni idea pur di avere tutto. Certo che è un peccato essere qui sola, al buio, in una città senza nome, senza nessuno con cui condividere queste riflessioni. Chissà se al mio risveglio continuerò ad essere tanto introspettiva, chissà se sarò capace di custodire questi pensieri per convertirli in parole. Delle volte, è paragonabile all’abisso il foglio bianco che mi guarda e che io guardo con timore. Sembra volermi dire: “Dai, su. Volevi fare la scrittrice e allora sporcami”. Battuta degna di un soft porno per amanti della tipografia. Il punto, però, è che io resto a fissarlo. Magari abbozzo qualche riga, la rileggo e getto tutto. Ogni parola sembra incapace di esprimere quell’emozione o quella profondità di pensiero che vivo negli istanti epifanici. Momenti fugaci, troppo spesso coincidenti con la sindrome premestruale. A proposito della prosaica realtà biologica, dei crampi interrompono il vortice onirico filosofico nel quale mi trovavo e mi costringono alla realtà esterna. Vado in cucina e trovo mio padre che, come ogni mattina, ascolta il dibattito politico giornaliero. Gli do un bacio, sulla parte del cranio più colpita dal diradarsi dei capelli. Come ogni mattina. Sono nuovamente intraducibili le voci provenienti dal televisore, adesso però è giustificato dalla mia refrattarietà mattutina. Solo una battuta, esordendo nel bagliore della sua autoreferenzialità, resta sospesa, si distacca dal brusio generale e si fa ascoltare. “Bisogna ripartire dal Mediterraneo, è il futuro”. Tra i molteplici slogan ai quali siamo, nostro malgrado, avvezzi, questo mi suona diverso. Certamente, non per la sua novità intellettuale, piuttosto per l’embrione paradossale e contradditorio che custodisce. Insomma, una frase ossimorica. Se sapessi dipingere e dovessi dedicare un’immagine alla mia terra, realizzerei la piccola piazza di un centro storico. Le pietre dei suoi edifici di un giallo intenso, reso ancora più morbido dalla calura estiva. Affacciati alla finestra alcuni anziani, con le tipiche divise bianche, ennesima dimostrazione di purezza. Su un edificio, abbastanza centrale, forse il municipio, un orologio antico. È su di esso che deve indulgere lo sguardo dello spettatore. Lui, più di tutti, patisce l’aria pesante, gonfia. Le sue lancette a stento si muovono sotto il peso di quella luce così intensa. Sorge un dubbio in chi guarda: forse non è per la bidimensionalità della tela che sono immobili.
La dea pagana che emette oracoli in cambio di un canone, fa viaggiare un’altra parola, un’altra immagine. In questo caso la parola chiave è “Gipsy”: a differenza del suo corrispettivo italiano, la consonante velare è più dolce e inoltre non è sporcata dalle velleità politiche nostrane. Mi piace. In ogni anfratto che separa le sue cinque lettere, ritrovo una parte di me. Non indosso veli o cinture sonanti, la realtà fisica entro la quale mi muovo ha confini ben precisi e conosco quasi sempre l’orizzonte che osservo. Però i miei desideri, i miei istinti, tutto quello che non confido a chi mi conosce, cammina in bilico tra la forma e l’essenza, tra le linee dritte e confortevoli e gli orizzonti sconosciuti, gravidi di incognite. “Gipsy” è per me il travaglio quotidiano, che mi vede esaminare ogni centimetro della prigione di pensieri e desideri non miei. È lo sforzo di incarnare una rivoluzione pensante, capace di far emergere l’autenticità che cerco come una forsennata. È l’amore viscerale nei confronti della mia famiglia, il bisogno di proteggere chi amo da loro stessi e il desiderio di abbandonarli, per sempre, sfuggendo in maniera definitiva alle loro aspettative. È anche il senso di costrizione che provo davanti ai mille specchi che mi circondano: ognuno di essi riporta un’idea diversa che hanno gli altri di me. Nei confronti di ciascuna di quelle immagine provo rabbia ma anche frustrazione, perché non ci sono somiglianze, ma sarebbe tanto più comodo se fosse così. Sono le mani degli sconosciuti ai quali concedo il mio corpo, che mi frugano dentro e, mentre spero che mi ascoltino, mi svuotano. Nessuna di quelle mani è capace di una carezza, di trovare il mio volto. Nessuno dei loro sguardi mi fa venire voglia di restare. Eppure, per quello sterile carnevale di piacere, mi tuffo tra nuove braccia sconosciute, promettendomi che sia l’ultima volta: consapevole che non lo è mai per davvero. Anche le mie gambe, le mie braccia, i miei capelli, sono “gipsy”. Lo sono quando li odio e vorrei che non mi inchiodassero a qualcosa che non ho scelto; lo sono quando vorrei sapere contare solo sulla mia limitata e ben precisa fisicità, dimostrarmi autosufficiente come lo sono stati gli uomini che popolano il sogno di un’età dell’oro.È quel sogno ricorrente, che sopraggiunge puntuale, periodicamente. Dipinge per me un secondo Eden, un’isola meravigliosa circondata dal mare. Quel piccolo pianeta ha due soli abitanti: me e il mio bambino. Non ho altri oneri da svolgere, se non amarlo incondizionatamente. La vita in serbo per me è scandita dalla visione della sua crescita e dall’impegno nel garantire il suo libero svolgimento, assecondando la sua natura. Quando lo stringo tra le mie braccia e con un solo bacio riesco a conquistare la sua guancia, dimentico che il Mondo per il quale lo sto preparando, non esiste: perché quando c’è lui non ci siamo noi e viceversa. Segue un risveglio e la consapevolezza che quell’amore sognato ha un prezzo troppo alto e non sono sicura di volerlo pagare. Oltre quell’isola esistono città brulicanti di sconosciuti, nei cui volti mi vorrei perdere. Oltre quella cornice di pace, esiste un Mondo malato che vorrei contribuire a guarire, alle cui ingiustizie si può rimediare usando l’amore che quel bambino, mai nato, avrebbe ricevuto. La mia Gipsy è nel rifiuto di sé stessa e nella voglia di essere più simile alle altre donne, docilmente accomodate tra gli sguardi di uomini che le amano e le redini di una società che accettano per quella che è, perché loro stesse sono diventate ciò che la società domandava, garantendosi, in cambio, un tempio chiamato “Casa” e un Dio , detto anche “Futuro certo”.
Per me, solo un luogo è casa, solo lì riesco a vedere. Non so come sia fatto al suo interno, ma ricordo perfettamente la finestra a tre vetrate della mia stanza.
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