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Mercato immobiliare in Piemonte: trend in calo ma prezzi in aumento. Fiaip analizza i dati del primo semestre 2024, tra diminuzione delle compravendite e segnali positivi per la seconda metà dell’anno.
Fiaip analizza i dati del primo semestre 2024, tra diminuzione delle compravendite e segnali positivi per la seconda metà dell’anno.
Un mercato in trasformazione Il mercato immobiliare piemontese registra una flessione nel numero delle compravendite durante il primo semestre del 2024, ma con segnali incoraggianti sul fronte dei prezzi e delle previsioni per il secondo semestre. Secondo i dati forniti dalla Fiaip Piemonte (Federazione italiana agenti immobiliari professionali), tra gennaio e giugno sono state vendute 30.300…
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Filomena Pennacchio
Filomena Pennacchio è stata una delle più note briganti nel periodo post-unitario.
Nata come Filomena Sipicciani, il 6 novembre 1841 a San Sossio Baronia, in provincia di Avellino, da Giuseppe, macellaio e Vincenza Bucci, fu costretta a lavorare a servizio nelle case sin da piccola perché rimasta presto orfana.
Si sposò in giovane età con un impiegato di cancelleria del tribunale di Foggia, ma l’uomo era manesco e geloso, dopo l’ennesimo maltrattamento, lo uccise conficcandogli in gola uno spillone d’argento. Si diede così alla macchia, ai tempi un uomo poteva difendersi, per la donna non c’erano attenuanti.
Unitasi ai banditi, divenne la compagna di Giuseppe Schiavone, detto lo Sparviero, che ha affiancato da pari in diverse battaglie e incursioni.
Chiamata la regina delle selve per la sua abilità nel destreggiarsi in radure inesplorate, aveva un grande coraggio e buona abilità nel maneggiare le armi.
Filomena detta Pennacchio per il cappello con le piume da cui non si separava mai, ha partecipato a furti, imboscate, rapimenti, razzie. La sua prima azione intimidatoria, quando aveva 21 anni, avvenne contro la ricca Lucia Cataldo che non voleva pagare il dazio ai briganti. Aveva agguantato per le corna un bue che pascolava lì vicino e lo aveva sgozzato con un solo colpo.
Il 4 luglio 1863, a Sferracavallo, sulla consolare che da Napoli conduce a Campobasso, ha partecipato all’attacco di un drappello del 45° reggimento di linea, in cui dieci soldati hanno perso la vita.
Era incinta quando Schiavone venne catturato e l’aveva denunciata sperando in uno sconto di pena. Arrestata in casa di una levatrice, venne rinchiusa nel carcere di Melfi e, dopo aver partorito il figlio (registrato come Prigioniero a Melfi e ufficialmente “trovatello”), il 30 giugno 1865, fu condannata a vent’anni di lavori forzati nel carcere duro delle Fenestrelle, poi ridotti a nove per buona condotta e infine a sette. Intanto era stata accolta dalle suore dell’Opera Pia Barolo di Torino dove aveva imparato a leggere e scrivere.
Scontata la condanna, rimase in Piemonte a servizio in alcune famiglie prima di sposarsi, nel 1883, col commerciante di olio Antonio Valperga, con il quale condusse una vita borghese e tranquilla.
Nella seconda parte della sua vita si è dedicata all’accoglienza e all’aiuto di orfani, carcerati e poveri, ricevendo perfino la benedizione papale da Benedetto XV poco prima di morire, a Torino, il 17 febbraio 1915, proprio nel 54° anniversario della resa dell’esercito delle Due Sicilie alle truppe del Regno d’Italia.
La sua storia ha ispirato racconti, canzoni e nei libri Filomena Pennacchio. La brigantessa ritrovata, di Andrea Massaro (2014) e Filomena Pennacchio la regina delle selve. Storia e storie delle donne del brigantaggio di Valentino Romano (2024).
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Come si vota alle europee 2024
Come si vota alle europee 2024? A pochi giorni dall'appuntamento elettorale facciamo il punto della situazione. Quando si vota Il Consiglio dell'Unione europea ha stabilito che le elezioni si dovranno svolgere nei 27 Paesi membri tra il 6 e il 9 giugno. Ogni Paese può stabilire, all'interno di questo range, due giorni da dedicare alle votazioni secondo le proprie abitudini. In Italia si voterà sabato 8 giugno dalle 15 alle 23 e domenica 9 giugno dalle 7 alle 23. Sono ammessi al voto tutti i cittadini europei che abbiano compiuto 18 anni entro il giorno delle elezioni. I cittadini che risiedono nel proprio Paese votano presso i seggi elettorali indicati sulle loro schede elettorali. I cittadini che invece risiedono in un Paese comunitario diverso dal proprio voteranno nel Paese di residenza. Per quanto riguarda l'Italia, i cittadini italiani residenti in altri Paesi comunitari devono risultare iscritti d’ufficio nell’Aire del Comune di origine o di residenza. I cittadini comunitari residenti in Italia devono essere presenti nelle liste elettorali aggiunte. Il loro nome deve essere stato registrato nelle liste entro 90 giorni prima delle elezioni. Per tutti è necessario esibire agli addetti del seggio elettorale un documento di riconoscimento in corso di validità e la tessera elettorale. Le categorie particolari Una procedura di votazione alternativa è prevista per le categorie di elettori cosiddette particolari. Vediamo quali sono: - Elettori infermi confinati in casa. Questi elettori possono votare da casa facendo richiesta al Sindaco e allegando alla richiesta la certificazione sanitaria rilasciata dall'Asl. - Elettori ricoverati in ospedale. Possono votare presso la struttura ospedaliera in cui sono ricoverati dopo aver fatto richiesta al Sindaco e ottenuto l'autorizzazione. - Elettori residenti nelle case di riposo. Possono votare nella struttura che li ospita se autorizzati dal Sindaco dopo avergli presentato la richiesta. - Elettori detenuti negli istituti penitenziari: possono fare richiesta al Sindaco e, una volta autorizzati, possono votare presso l'istituto di pena. - Gli elettori fisicamente impediti possono avvalersi dell'assistenza di un familiare elettore o da un accompagnatore presentando relativa documentazione sanitaria rilasciata dall'Asl. - Gli elettori ciechi hanno diritto al voto assistito. Basta esibire il libretto nominativo rilasciato dall'Inps. - Gli agenti delle forze dell'ordine possono votare presso il Comune di residenza o nel Comune nel quale si trovano in servizio. - Gli studenti fuori sede possono votare nel Comune di residenza o in quello in cui studiano. Nel secondo caso devono aver fatto richiesta entro il 5 maggio. Come si vota alle europee Ogni Paese membro dell'Unione può decidere se considerare il proprio territorio circoscrizione elettorale unica o suddividerlo in più circoscrizioni. L'Italia è stata suddivisa in 5 circoscrizioni sovra-regionali: - Italia Nord-occidentale (Piemonte, Valle D'Aosta, Liguria e Lombardia) - Italia Nord-orientale (Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna) - Italia centrale (Lazio, Umbria, Marche e Toscana) - Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria) - Isole (Sardegna e Sicilia) Il sistema elettorale per le europee previsto è il proporzionale. I seggi sono assegnati, cioè, in proporzione ai voti ricevuti. Lo scorso anno, infatti, il Parlamento europeo ha votato a favore di un aumento del numero degli eurodeputati. Da 705 sono passati a 720 per rispecchiare le variazioni demografiche degli Stati membri. Una volta entrato in cabina elettorale, l'elettore si troverà una scheda con i simboli delle diverse liste candidate affiancate ognuna da tre righe. Per esprimere la propria preferenza, infatti, l'elettore potrà: - segnare una semplice X sulla lista scelta - segnare con la X la lista scelte e in più esprimere fino a tre preferenze di candidati all'interno della stessa lista - nel caso in cui si esprima più di una preferenza, i candidati scelti devono essere di genere diverso I candidati possono essere scelti indicando: - solo il cognome - con nome e cognome. Questo diventa obbligatorio nel caso in cui due o più candidati abbiano lo stesso cognome - nome, cognome, luogo e data di nascita in caso di omonimie, quindi se i candidati hanno lo stesso nome e cognome. E' bene ricordare che se si appone la X su più liste il voto è considerato nullo. Quella che ci apprestiamo a eleggere è la X legislatura e la prima dall'uscita della Gran Bretagna. In copertina foto di Greg Montani da Pixabay Read the full article
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Il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile di Lanzo Torinese: Una Tela di Storia e Cultura
Il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile di Lanzo Torinese: Una Tela di Storia e Cultura.
Nel cuore delle pittoresche Valli di Lanzo, un tesoro nascosto attende pazientemente di svelare le sue meraviglie tessili al mondo.
Il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile, un'opera voluta con fervore da Ester Fornara Borla e resa possibile dall'impegno dell'Amministrazione Comunale, è una gemma culturale incastonata nel seicentesco ex istituto delle Suore Immacolatine, noto anche come Palazzo d’Este.
Inaugurato con gioia e fierezza il 20 giugno 2009, questo museo è molto più di una semplice raccolta di oggetti antichi; è un santuario che celebra la ricca storia tessile e il patrimonio artistico delle Valli di Lanzo.
Riscoperta delle Tradizioni Tessili
Una delle principali missioni del Museo Etnografico è quella di preservare e promuovere le tradizioni tessili tipiche del territorio.
L'esposizione è suddivisa in due sezioni distintive: la prima, dedicata alla filatura e alla tessitura, offre un'affascinante panoramica delle antiche tecniche utilizzate dalle donne nelle case rurali delle Valli di Lanzo.
Qui, visitatori di ogni età possono immergersi nel processo intricato e laborioso che portava alla creazione di tele grezze di canapa o cotone, utilizzate per la biancheria per la casa e quella personale.
Grazie al restauro di un antico telaio risalente al XIX secolo, esposto con orgoglio nella sezione, è possibile rivivere l'arte millenaria della tessitura e ammirare la perfezione dei dettagli delle tele prodotte.
La seconda sezione del museo è un omaggio all'Arte Popolana Lanzese, conosciuta anche come "Lavoro di Lanzo".
Questa tecnica di ricamo, nata nel cuore della città intorno al 1910 grazie all'iniziativa visionaria di Elena Mars Albert, ha plasmato un'intera generazione di donne lanzesi.
Attraverso la creazione di fiori, foglie e fettucce all'uncinetto, le giovani ragazze, spesso provenienti da famiglie contadine o svantaggiate, hanno imparato a trasformare semplici fili in opere d'arte.
I manufatti risultanti, spesso composti su tela grezza, erano venduti con orgoglio a Torino e oltre, portando un po' della bellezza delle Valli di Lanzo nel resto del mondo.
Una Ricostruzione Storica Vivente
Il Museo Etnografico non è solo una tappa turistica, ma un laboratorio vivente dove le tradizioni tessili prendono vita.
Grazie alla dedizione del Comitato Ponte del Diavolo di Lanzo, il museo ospita regolarmente sessioni pratiche e visite guidate per condividere le antiche tecniche e promuovere l'arte della tessitura e del ricamo.
Qui, i visitatori possono sperimentare di persona l'uso degli strumenti secolari, testimoni dell'ingegno e della maestria dei tessitori del passato.
Il Passato e il Presente Si Fondono
Oltre alla sua funzione educativa e culturale, il Museo Etnografico è anche un ponte tra il passato e il presente.
Le opere esposte, insieme alla documentazione fotografica originale e agli arazzi moderni creati dal laboratorio d’arte tessile “Ricamare a Lanzo”, raccontano una storia di continuità e innovazione.
Il Ricamo di Lanzo, inserito nel disciplinare di produzione “Tessitura, Arazzi, Ricamo e Abbigliamento” per l'Eccellenza Artigiana della Regione Piemonte, continua a ispirare anche la moda contemporanea, come dimostrato dal progetto di reinterpretazione stilistica del 2012, che ha dato vita a una collezione di gioielli contemporanei.
Un Palazzo Rico di Storia
Il palazzo che ospita il Museo Etnografico è più di un semplice edificio; è una testimonianza vivente della storia delle Valli di Lanzo.
Un tempo appartenuto alla potente famiglia Este di San Martino in Rio, il palazzo ha attraversato secoli di dominio e cambiamenti politici prima di diventare sede dell'Istituto delle Suore Immacolatine e, infine, del Museo Etnografico.
La sua storia intrisa di nobili gesta e passaggi di potere conferisce al museo un'aura di grandezza e maestosità che si fonde perfettamente con il suo intento di celebrare le arti tessili locali.
In conclusione, il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile di Lanzo Torinese è molto più di una semplice attrazione turistica; è un luogo dove la storia prende vita, dove le tradizioni sono onorate e dove l'arte continua a fiorire. Con la sua vasta collezione di opere antiche e moderne, le sue sessioni pratiche e il suo impegno per la promozione della cultura tessile locale, questo museo rimane un faro di ispirazione per le generazioni presenti e future.
ragncampagnin
Esempi di Prodotto Tessile Italiano
Una Tela di Storia e Cultura
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Ottone Rosai, raccontare la Firenze del Novecento
Il pittore che visse una vita segnata dall’amore per l’arte… Ottone Rosai nacque il 28 aprile 1895 in via Cimabue, nel cuore di uno dei vecchi quartieri di case popolari di Firenze, il padre, Giuseppe, era fiorentino, la madre, Daria Deboletti, della provincia di Siena, ed ebbero altri tre figli: Ada, Oreste e Perseo. Il nonno paterno, valente intagliatore, aveva lasciato in eredità ai suoi discendenti una bottega d’antiquariato con laboratorio artigiano annesso, ma la speranza di Giuseppe di indurre il primogenito a continuare la tradizione di famiglia fu ben presto delusa, dato che si iscrisse all’Istituto d’Arti Decorative in piazza Santa Croce, dove non rimase che per poco tempo. Successivamente Ottone frequentò il Regio Istituto di Belle Arti ma, se i risultati dei corsi di studio erano buoni, dopo un diverbio con il maestro Calosci fu immediatamente cacciato. Inadatto alle costrizioni, Rosai passò la sua adolescenza tra la passione per le sale da gioco, i caffè, il biliardo, ma soprattutto la vita notturna nella Firenze popolare. Del novembre 1913, a Firenze, in un locale di via Cavour, allestì la sua prima mostra insieme a Betto Lotti e nella stessa strada, dal libraio Gonnelli, era vistabile quella dei futuristi di Lacerba, condotti da Papini. I futuristi una sera visitarono la vicina esposizione, dove conobbero Rosai, che divenne amico di Marinetti, Boccioni, Palazzeschi, Carrà, Severini e Soffici, suo amico, maestro e punto di riferimento per tutti gli anni Venti, facendogli scoprire l’innovativa lezione di Cézanne e il cubismo di Picasso. Nel 1915 Rosai si arruolò come volontario all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale e fu decorato più volte per atti eroici e a cui dedicò le memorie di Libro di un teppista (1919) Dentro la guerra (1934). Fra il 1919 e il 1920 Ottone orientò la sua ricerca espressiva, tra tele e disegni di piccole dimensioni che restano fra gli esiti più significativi dell’arte italiana del Novecento. Nel novembre 1920 espose alcuni fra i migliori lavori del periodo in una mostra personale ordinata nelle sale di Palazzo Capponi, a Firenze, ma nel febbraio 1922 il padre, oppresso dai debiti, si suicidò gettandosi nelle acque dell’Arno. Il 17 aprile 1924 il pittore sposò Francesca Fei, un’impiegata del giornale La Nazione conosciuta nel 1921, ma per saldare i debiti dovette vendere, a poche lire, gli oggetti di casa e i quadri più belli per saldare i conti in sospeso del padre e solo nel 1927 riprese a dipingere con una certa continuità. Nel 1930 pubblicò Via Toscanella per Vallecchi e un anno dopo affittò nella frazione di Villamagna un casotto da adibire a studio. In quegli anni Rosai divenne amico di Montale e dei giovani poeti ermetici, oltre che con lo scrittore Romano Bilenchi. Nel 1942 gli fu assegnata la cattedra di pittura dell’Accademia di Firenze, mentre dipingeva una serie di autoritratti e alcune emblematiche crocefissioni. Dopo la seconda guerra mondiale Rosai prese parte a una serie di mostre internazionali che lo videro protagonista, dal 1950 in poi, anche a Parigi, Zurigo, Londra e Monaco di Baviera. Nel 1952, alla Biennale di Venezia, gli fu dedicata un’intera sala, ma i membri della giuria per l’assegnazione dei premi gli negarono il riconoscimento ufficiale. Quando nella primavera del 1957 Pier Carlo Santini organizzò ad Ivrea, presso il Centro Culturale Olivetti, un’importante rassegna antologica incentrata sulla figura umana, Rosai si recò in Piemonte per curare personalmente l’allestimento, ma, nella notte del 13 maggio, mori per un malore in una camera dell’Albergo Dora. Read the full article
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OGNI TANTO E' BENE RINFRESCARE LA MEMORIA "Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c'è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d'Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l'odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell'altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso." La terra di Israele è sempre stata la terra degli ebrei. Se leggiamo le descrizioni di Gerusalemme fatta nel 1800 da Marx e Mark Twain, leggiamo di "una città povera e miserabile abitata nella parte Est, interamente, da ebrei poveri e miserabili che erano sempre vissuti lì, da tremila anni". Gli arabi erano sì in leggera maggioranza numerica ma in gran parte erano nomadi senza terra, l'unica vera comunità stanziale era quella ebraica che abitava le stesse case da migliaia di anni. Gli ebrei sionisti emigrati nel '900 si sono massacrati a dissodare, irrigare, fabbricare desalinizzatori, sono morti a migliaia di stenti e di malaria, parassitosi, colera, ameba, tifo, setticemia e tetano. Sono morti a decine di migliaia, ma poi hanno vinto, il deserto è fiorito, dove cerano lande desolate è nato un paese di filari di vite e di limoni. Per poter di nuovo odiare gli ebrei è violato il diritto civile, che per dirla con un toscanismo si riassume in "chi vende, poi, non è più suo". Gli arabi la loro terra se la sono venduta, prima ai sionisti facendola pagare carissima, poi alla comunità internazionale intascando 66 anni di fiumi di denaro per risarcirgli il "dolore" di aver perso 20.000 chilometri quadrati di terra che non è mai stata loro, meno del Piemonte, che quando c'erano loro era un terra di sassi, paludi e scorpioni. Indro Montanelli
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L'eroe Mussolini e gli immigrati assassini: i fascio-fumetti invadono le scuole
La propaganda nera arriva dalla Germania sotto forma di vignette, graphic novel, opuscoli e libri animati pubblicati dalla galassia degli editori d'ultradestra: amministrazioni e assessori soprattutto di FdI li donano a istituti e biblioteche
C'E' LA CARICA dei tagliatori di teste al grido di “hail!”, che sostituisce, rievocandolo, il saluto hitleriano “heil”. C’è l’immigrato assassino che brandisce un machete insanguinato: lo stesso sangue grondante da un coltello impugnato dal solito uomo di colore che, nella narrazione fumettistica, rappresenta il male della società. C’è Mussolini raccontato come un eroe e c’è la ricostruzione fantasiosa e apologetica - in chiave martire-valoroso -, dell’uccisione a Dongo di Alessandro Pavolini, ultimo segretario del Partito fascista e comandante delle famigerate Brigate Nere. Sospesi tra realtà e finzione. Pieni di slogan e santini propagandistici, rimandi nostalgici, simboli del neofascismo e del neonazismo (rappresentati quasi sempre da personaggi “veri”, realmente esistiti e entrati nel pantheon dei camerati). Sono i fumetti dell’estrema destra. Scie, vignette, graphic novel, opuscoli, libri “animati”. Pubblicati da case editrici vicine, o collegate, in alcuni casi diretta emanazione di movimenti politici della galassia nera. Alcuni dei quali già sotto inchiesta e attualmente alla sbarra.
Controcultura nera
Un’operazione di “controcultura” in risposta al racconto mainstream. Che si snoda soprattutto tra Italia e Germania, ed è rivolta – ovviamente - alla platea dei giovani. Giovani delle scuole, anche. A cui – grazie all’iniziativa di amministrazioni comunali, sindaci, assessori, deputati – questi fumetti vengono regalati. L’elenco degli ultimi casi italiani ci porta a Ascoli Piceno. Su input del sindaco di FdI Marco Fioravanti, per il Giorno del Ricordo 2021, il Comune ha comprato e donato agli studenti della provincia il libro “Foiba Rossa. Storia di un’italiana”, dedicato a Norma Cossetto. Il volume è pubblicato da Ferrogallico, casa editrice di fumetti legata a doppio filo all’estrema destra: tra i soci fondatori (2017) figurano due esponenti di Forza Nuova (Marco Carucci, ex portavoce milanese, e Alfredo Durantini), e il cantautore “non conforme” Skoll, nome d’arte di Federico Goglio. A distribuire i volumi di Ferrogallico oggi è Altaforte, la casa editrice del dirigente-picchiatore di CasaPound Francesco Polacchi, pregiudicato per violenze come alcuni dei suoi autori, e anche proprietario del marchio di moda Pivert, nonché editore del Primato Nazionale, la testata (carta e on line) dei “fascisti del terzo millennio”. Sulle pagine del periodico di CPI trovano spazio pure i fumetti. Un esempio: la lenzuolata intitolata “Il paese normale, fatti e cronache di ordinaria integrazione”. Un collage di notizie di crimini commessi da immigrati ruota intorno al disegno di un coltello stretto in una mano dalla pelle scura.
Soldi pubblici e casse fasciste
Torniamo a Ferrogallico e al caso Ascoli Piceno. La stessa scelta di parlare del Giorno del Ricordo attraverso il fumetto su Norma Cossetto è stata assunta anche da altre amministrazioni: due anni fa, tra le prime, l’assessore all’Istruzione della Regione Veneto Elena Donazzan, di FdI, poi esibitasi in Faccetta nera ospite di una trasmissione radiofonica. Seguirono Regione Piemonte, Pavia - sempre su proposta di una consigliera del partito di Giorgia Meloni, Paola Chiesa, che distribuì personalmente il libro - , ed altri Comuni. Il tutto, tra prevedibili e incandescenti polemiche. Anche perché si tratta di soldi pubblici che finiscono dritti nelle casse di case editrici collegate a gruppi e movimenti dichiaratamente fascisti. Andiamo avanti. Sorvolando sul fumetto (sempre targato Ferrogallico) dedicato alla vita di Nino Benvenuti, esule istriano, si può ricordare un altro caso: due anni fa l’amministrazione di Verona decide di regalare alle scuole e alle biblioteche comunali il libro a fumetti pubblicato nel 2017 (l’editore è sempre lo stesso) che racconta la storia di Sergio Ramelli, giovane membro del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 a Milano da militanti di Avanguardia Operaia, e diventato, da allora, uno dei simboli del neofascismo.
"Immigrato criminale"
Come funziona la propaganda del fumetto nero? Da dove nasce? Chi c’è dietro questa editoria che punta su leggerezza e immediatezza per veicolare messaggi nostalgici e revisionisti? Alla base dell’ombra lunga, che trova il suo terminale nei politici che ricoprono ruoli decisionali nelle istituzioni (Ferrogallico è stata sdoganata con incontri convocati in Camera e Senato da politici di FdI e Lega), c’è una strategia di diffusione mirata a entrare in contatto coi più giovani. Che utilizza stile e modalità narrative particolari. Come spiega Emilio Cirri ne “Lo spazio bianco – nel cuore del fumetto”, queste opere “sono accomunate da alcuni elementi ricorrenti. Da una parte abbiamo la forma artistica e narrativa. Si usa uno stile realistico per dare al contenuto un effetto ‘storicamente corretto’. Uno stile spesso rigido e sgraziato, minato da errori di anatomie e prospettive, più attento a creare immagini da usare per la propaganda”. In molti fumetti spiccano immagini di stupri e uccisioni “per creare un macabro effetto shock”. Nei dialoghi nelle vignette – spiega sempre Emilio Cirri - c’è una “prosa pomposa e retorica allo sfinimento, con dialoghi lapidari utili solo per trasmettere una tesi preformata e una definizione macchiettistica dei personaggi, sia quelli ‘buoni’ sia quelli ‘cattivi’”. Altri esempi. Graficamente, diciamo, border line. La copertina di ‘Adam – una storia di immigrazione’. E’ la graphic novel del giornalista Francesco Borgonuovo uscita sempre per Ferrogallico. Suona come un inno splatter alla tesi sovranista immigrato uguale criminale. Qui non è tanto importante ricordare che l’autore è ospite abituale a eventi e convegni organizzati da gruppi neofascisti e anche di ispirazione neonazista (vedi Lealtà Azione). Più interessante è interpretare la presentazione che Ferrogallico propone dei propri fumetti. “Ostinati e contrari”. Con un presunto obiettivo: portare alla luce “storie taciute su cui grava il velo di silenzio del conformismo culturale e del politicamente corretto”.
Quelle che avete appena letto sono le classiche parole d’ordine esibite dalla narrazione neofascista in questo mezzo secolo di storia: dagli anni ’70 ad oggi. Sono anche gli slogan che rimandano a quello che oggi si può considerare un laboratorio privilegiato della fumettistica di estrema destra. La Germania. E’ da lì che rimbalza, in Italia, il fenomeno. Per raccontare la mappa tedesca delle strisce apologetiche e revisioniste, delle graphic novel inneggianti alle SS e quelle che affondano nella propaganda omofoba e anti-immigrati, conviene partire da Hydra Comics. Che è diventato un caso politico. Andiamo con ordine. Ai lettori e agli appassionati della Marvel il nome Hydra non suonerà affatto nuovo: è la denominazione di una fittizia organizzazione terroristico-sovversiva, nata come società segreta, che compare nei fumetti americani Marvel Comics nel 1965. Gli spietati agenti di Hydra puntavano a istituire un nuovo ordine mondiale di stampo nazionalsocialista. Il loro motto? “Taglia una testa, altre due penderanno il suo posto”.
Sassonia ultranazionalista
Dresda, Sassonia. Un luogo a caso? No. E’ nel capoluogo del Land divenuto tristemente celebre negli ultimi anni per la nascita e l’attività violenta di gruppi di estrema destra e neonazisti che nasce Hydra Comics. Il fondatore è Michael Schafer, ex politico della Cdu poi passato a NPD e per anni dirigente dei Junge Nationaldemokraten (JN). Chi finanzia la creazione di Hydra? I destrissimi Movimento Identitario (Identitäre Bewegung) e Ein Prozent. Islamofobici, nemici dell’immigrazione e del multiculturalismo, oppositori dei diritti Lgbt. Parliamo di movimenti che non rifiutano angolazioni nostalgiche e neonaziste. Come Pegida, anche questa made in Sassonia. Nell’opera di proselitismo mediatico di queste formazioni, in particolar modo tra i giovani, oltre a cortei, presidi, manifestazioni no-vax, giocano un loro ruolo anche i fumetti.
Venticinque febbraio scorso: il caso Hydra balza alle cronache. Sulla pagina Fb di Comixene, importante rivista tedesca dedicata al fumetto, il direttore in persona fa, di fatto, da cassa di risonanza alla nascita di Hydra: prendendo formalmente le distanze dalla pubblicazione su un numero di Comixene della notizia del lancio della casa editrice nera, e invitando a indagare sulle sue origini segrete, nella pratica le offre un graditissimo spot. Comixene – come racconta sempre “Lo Spazio bianco – il cuore nel fumetto” - viene travolto da critiche durissime. Per altro: chi siano e cosa pubblichino quelli di Hydra Comics è già noto. Strisce e vignette con riferimenti ai “veri patrioti”, simbologia delle “squadre di salvaguardia” (SS) naziste, agenti segreti al servizio del popolo. Gli eroi Marvel Capitan America e Superman decontestualizzati. “Siamo aperti a tutti quegli autori che nel panorama odierno non trovano un posto in cui pubblicare” – spiega Hydra. “Opere non conformi, anche provenienti dall’estero” in difesa di quei lettori e quegli artisti che si sentono “limitati da un settore in cui l’ideologia viene prima del talento”. Intorno al progetto editoriale Hydra e alla sua lotta alla “dittatura del buonismo” si muovono artisti tedeschi della scena dell’estrema destra: il writer Wolf PM (che usa caratteri calligrafici di epoca nazista) e Remata’Clan dalla Turingia.
Asse Roma-Berlino-Tokyo
In Germania – dopo una lunga scia di violenze, molte delle quali avvenute proprio in Sassonia, e dopo la strage terroristica di Hanau del 21 febbraio 2020 – si è riaperto il dibattito sull’estremismo di destra. I servizi segreti hanno messo sotto sorveglianza AfD perché considerato un movimento pericoloso per la democrazia. AfD. Hydra. Link che si riattivano. Ci sono fumetti, in Germania, partoriti e pubblicizzati dagli stessi partiti. Tra il 2017 e il 2018 sulla pagina della sezione AfD di Berlino sono stati pubblicati sette racconti intitolati “Emilia and friends”. L’autore? Il caposezione Georg Pazderski. Protagonista dei racconti è, appunto, Emilia, una ragazza dalle sembianze di uccello, sostenitrice di AfD che difende le posizioni più estreme del partito contro una società fatta di crimini. A chi è ispirato, per la sua striscia ultranazionalista, Pazderski? Agli omologhi austriaci dell’FPÖ (Freiheitliche Partei Österreichs), partito di estrema destra austriaco il cui leader, Heinz Christian Strache, in questi anni è stato protagonista, a sua volta, di numerose vignette che lo immortalavano come un supereroe in lotta contro i mali della società liberale e globalista. Intorno a super Strache, un florilegio di riferimenti, diretti e indiretti, al nazismo e alle rune che ne hanno caratterizzato la deriva esoterica. L’elenco dei fumetti tedeschi finiti sotta accusa è lungo e fornito. Si è molto parlato, tra gli altri, di Der Vigilant. L’eroe qui – in un paradosso perfetto - è un vendicatore solitario che protegge il popolo da un partito dittatoriale ecologista. L’editore che ha dato alle stampe il fumetto si chiama Eric Zonfeld (Zonfeld-Comics). E’ noto per la pubblicazione di romanzi giovanili xenofobi, razzisti e attraversati da continui richiami al nazismo. Libri il cui contenuto – vari esposti sono finiti sul tavolo Tribunale di Colonia - “stimola l’odio razziale, glorifica o minimizza le idee del Nazionalsocialismo, glorifica i membri delle SS e discrimina gli omosessuali”. Il bisogno continuo di additare un nemico da combattere e annientare; la mitizzazione dei regimi e della razza; l'avversione verso gli "invasori” colpevoli di rovinarla. Dalla Germania all’Italia, sotto traccia, lavora la fabbrica del fumetto. L’ultimo prodotto Hydra Comics è dedicato all’artista giapponese Yukio Mishima, ultranazionalista adottato come feticcio dalle destre europee. Chi ha realizzato la nuova striscia? Semplice: Ferrogallico, l’etichetta editoriale dei fascisti di Forza Nuova distribuita dai fascisti di Altaforte-CasaPound. Siamo in tempo di pace, ma nella graphic novel si rinsalda l’asse Roma-Berlino-Tokyo.
di Paolo Berizzi - la Repubblica
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Suggerimenti per vendere la tua casa - Consulenti immobiliari
Prima o poi arriverà il momento in cui vorrai vendere la tua casa. Sebbene tu possa pensare che la tua casa sarebbe una vendita rapida e sicura, il processo effettivo di vendita può avvenire per un periodo di tempo più lungo del previsto.
Quindi, per assicurarti che questo non accada, devi assicurarti che la tua casa abbia il giusto "feeling". Il fattore "sensazione" può avere una grande influenza sull'acquirente della proprietà. Vuoi che comprar casa in Piemonte si sentano come se fossero già la loro casa. Quindi prepara la tua casa, ci sono alcune cose che dovresti tenere a mente quando vendi:
Prime impressioni
Le prime impressioni sono assolutamente vitali, quindi assicurati che la tua casa sia pulita. Elimina tutto il disordine che potrebbe ostacolare le persone mentre passeggiano per casa tua. Il disordine fa anche sembrare un luogo più piccolo di quello che è in realtà, quindi è davvero essenziale per te liberare la casa, il che includerebbe anche la rimozione di eventuali mobili non necessari.
Dopo aver fatto una buona pulizia di primavera a casa tua, assicurati che anche la tua casa abbia un buon profumo. Gli odori possono creare o distruggere un affare e sfortunatamente perché gli acquirenti usano tutti e cinque i sensi quando cercano un nuovo posto. Se c'è qualcosa di rotto, come una piastrella per esempio, che aggiustalo. Piccole cose come queste possono avere un'influenza maggiore di quella necessaria per vendere la tua casa.
Camere da letto
È stato stimato che quasi il 60% di tutti gli acquirenti si è trasferito a casa a causa delle camere da letto. Le camere da letto aggiungono più valore alla tua casa di uno studio o di qualsiasi altra stanza extra che potresti avere, specialmente la camera da letto principale. I tuoi acquirenti sono adulti, quindi ovviamente lo è dove sarà il loro obiettivo principale, quindi fai di tutto per impressionarli con la bellezza della tua camera da letto principale. Le stanze dei bambini non infastidiscono tanto gli acquirenti, ma assicurati che siano ordinate e prive di disordine.
Animali domestici
Se hai animali domestici, assicurati che siano fuori mano quando le persone vedono la tua casa. Non a tutti piacciono gli animali e potrebbe anche prevenire situazioni impreviste. Quindi, per la sicurezza degli animali domestici e la possibilità che i potenziali acquirenti non apprezzino gli animali, lascia piuttosto che i bambini portino i tuoi cani a fare una passeggiata per un breve periodo di tempo, o prova a fare altri tipi di accordi con gli animali domestici in modo che vincano essere arrabbiato e i tuoi acquirenti si sono sentiti a disagio.
Il giardino
La maggior parte delle case moderne ha un giardino piuttosto piccolo, quindi è più facile da mantenere. Questo see more potrebbe essere un buon punto di forza, perché non tutti hanno il pollice verde. Se invece hai un giardino più grande e non hai il tempo per lavorarci, investire in un servizio di giardinaggio sarebbe una buona idea. In questo modo puoi essere sicuro che l'erba è più verde dalla tua parte.
Storia
Se hai una vecchia casa, cerca di scoprire il più possibile sulla storia della casa. La gente ama conoscere la storia e, si spera, avrebbe un significato storico.
Il buono, il cattivo e la via di mezzo
Quasi tutte le proprietà hanno un https://verdeabitare.it/ lato positivo e uno negativo. Quindi cerca di non mostrare la cattiva osservazione della tua casa, ma piuttosto focalizza la tua attenzione sul positivo. La maggior parte delle persone probabilmente non noterebbe il male a meno che tu non lo indichi direttamente a loro, quindi per questo semplice motivo, fai notare la grandezza della tua casa. Se presenti la tua casa come un bicchiere d'acqua mezzo vuoto, vedrebbero la tua casa allo stesso modo. Se ti fanno domande sulla casa, rispondi in modo onesto e diretto.
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Australia, la terza guerra mondiale è già qua: è quella dell’uomo contro la Terra di Francesco Cancellato L’Australia, il 18esimo Paese più ricco al mondo – 49.882 dollari a persona di Pil pro capite, più della Danimarca, del Regno Unito, della Francia, dell’Italia – sta bruciando da settembre e non riesce a spegnere una serie di incendi che hanno 6 milioni di ettari di territorio – più o meno l’equivalente di Piemonte, Lombardia e Veneto messe assieme – e ammazzato, finora, 24 persone e 500 milioni di animali. Finora i danni economici sono stimati in circa 165 milioni di dollari di richieste di risarcimento danni alle assicurazioni, ma nella sola Sidney si calcola che la somma dei giorni non lavorati da settembre a oggi abbia bruciato circa 15-20 milioni di dollari al giorno. Contati male, circa 1,8 miliardi di dollari. Nella-sola-Sidney. Se volevate una lezione brutale su cause e conseguenze del riscaldamento globale, eccovi serviti. Cause, già. Perché è accertato che a scatenare una simile ondata di incendi nel continente australiano siano state le temperature record di questi ultimi mesi, con una temperatura nazionale media che il 19 dicembre scorso ha toccato i 41,9 gradi centigradi, una siccità che dura ormai da tre anni, e un vento che soffia a velocità superiori ai cento chilometri orari. Ergo: potete fare i negazionisti finché volete, ma quando Greta Thunberg dice che la nostra casa è in fiamme – letteralmente, nel caso australiano – dice esattamente questo. Che gli eventi climatici estremi stanno già devastando il nostro pianeta, qui e ora. E che essere ricchi e civilizzati serve a poco, quando la Terra mostra all’umanità il conto della sua inerzia. Che tutto questa accada all’Australia, Paese guidato da uno dei governi che più ferocemente negano le responsabilità dell’uomo sul cambiamento climatico, è solo tragica ironia. E farebbe sorridere, se non ci fosse da piangere, che il premier Scott Morrison, nel suo discorso alla nazione abbia ancora negato qualunque legame tra gli incendi che stanno devastando il suo Paese peggio di una guerra e le politiche che lui stesso ha promosso. Tanto per fare qualche esempio, il Climate Change Performance Index (CCPI) 2020 ha recentemente assegnato all’Australia il peggior punteggio in assoluto nella valutazione della politica climatica, fanalino di coda sia nella categoria delle emissioni di gas serra che in quella delle energie rinnovabili. Ciliegina sulla torta, l’uscita dagli accordi di Parigi e la cancellazione della Garanzia Energetica Nazionale (NEG), un programma energetico, che già di suo era ampiamente insufficiente per sperare di tagliare le emissioni. Abbiamo parlato di guerra non a caso. L’Australia ha dichiarato guerra alla Terra, sperando vanamente che la guerra non gli tornasse in casa. Un po’ come noi, quando alziamo le spalle di fronte agli incendi in Siberia e Alaska, di fronte alla siccità in Etiopia ed Eritrea, agli uragani nel sud est asiatico, convinti che il riscaldamento globale si possa tranquillamente gestire col telecomando dell’aria condizionata o con la carta di credito in mano. Che sia faccenda riguardi chi vive in ambienti estremi, o chi non può importare cibo da qualunque luogo del mondo, o banalmente i nipoti dei nostri nipoti. Guardate l’Australia, e poi provate a immaginare il giorno in cui i pezzi di ghiacciaio si staccheranno davvero, distruggendo le vostre case vacanze. O quando le valanghe saranno eventi tanto frequenti da rendere impraticabile lo sci alpino. O quando saranno le foreste delle Alpi e degli Appennini a bruciare ininterrottamente. O quando Venezia finirà una volta e per sempre sott’acqua. O quando la cappa di smog renderà inabitabile la Pianura Padana. Fate due conti: in Australia sta succedendo oggi. Quanto tempo può passare prima che tutto questo succeda da noi? Ecco perché è necessario un cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo. Ecco perché la nostra economia incardinata sui combustibili fossili dovrebbe essere tumulata nel più breve tempo possibile, altro che plastic tax. Ecco perché non c’è alternativa, se abbiamo a cuore la sopravvivenza del genere umano sulla Terra. Perché saremo noi a soccombere, se non l’avete capito. Perché la Terra, ben prima di diventare un forno sferico come Marte o Venere, troverà il modo di cancellarci dalla sua superficie, per salvare se stessa e tutte le altre specie viventi. Perché boschi e foreste torneranno a crescere, i ghiacciai a espandersi, la fauna selvatica a ripopolare i propri habitat. E di noi – piccole creature che si sentono Dio, ma non riescono a spegnere un incendio – non rimarranno che le rovine delle nostre città, monumenti alla memoria della nostra ignoranza, della nostra inerzia, della nostra stupidità. http://www.fanpage.it/
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Nei lunghi mesi di lockdown tantissime persone hanno avuto tempo per recuperare libri, serie tv, podcast di cui avevano sentito parlare ma a cui non erano mai riuscite a dare una possibilità. In molti si sono imbattuti nei podcast che raccolgono lezioni e conferenze dello storico Alessandro Barbero, che infatti da mesi compaiono regolarmente nelle classifiche dei più ascoltati.
I podcast di Barbero, così come le centinaia di video di cui è protagonista su YouTube, sono un prodotto piuttosto unico nel panorama culturale italiano. Non sono distribuiti da alcun canale ufficiale – nella maggior parte dei casi sono registrati in maniera amatoriale, come i concerti delle rock band negli anni Sessanta – non sono promossi da giornali o case editrici, e godono di un culto trasversale che si è diffuso soprattutto col passaparola: cosa rarissima, in un momento storico in cui la stragrande maggioranza dei prodotti culturali fatica ad emergere a causa dell’enormità dell’offerta.
Ma il successo dei podcast e dei video di Barbero non è affatto casuale, ed è il frutto di un lavoro di divulgazione quasi trentennale e del suo eccezionale talento narrativo, oltre che dell’assenza di prodotti simili in lingua italiana.
Barbero è nato nel 1959 e si è laureato in Storia medievale, ancora oggi il suo principale campo di ricerca, nel 1981 all’università di Torino. Dopo un dottorato alla Scuola Normale di Pisa e un periodo da ricercatore all’università di Tor Vergata, dal 1998 insegna all’Università del Piemonte Orientale di Vercelli, dove ancora oggi tiene il corso principale di Storia medievale.
A una intensa attività accademica fatta di decine di pubblicazioni specialistiche Barbero ha legato da molti anni altre due carriere parallele, da scrittore di romanzi storici e divulgatore. Già nel 1996 si parlò moltissimo di lui quando a 37 anni vinse il Premio Strega, il più prestigioso premio letterario italiano, con un romanzo storico ambientato all’epoca delle guerre napoleoniche intitolato Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo. Il romanzo fu pubblicato grazie all’interesse di Aldo Busi, che lo presentò a Mondadori, l’editore con cui Barbero è legato ancora oggi (il suo ultimo romanzo storico, Le Ateniesi, è uscito nel 2015).
Nel 2007 iniziò la collaborazione con la nota trasmissione tv SuperQuark e con Piero Angela, con cui nel 2012 pubblicò un libro a quattro mani. Gli interventi di Barbero erano compresi in apposite rubriche chiamate Istantanee dal passato o Dietro le quinte della storia, in cui erano già presenti tutti gli elementi caratteristici della sua tecnica narrativa: un linguaggio chiaro e a tratti informale, senza tecnicismi, il gusto per l’aneddoto, la capacità nel costruire efficacemente una storia – con personaggi, ambienti e tensioni – anche in pochi minuti.
Nello stesso anno in cui diventò ospite fisso di SuperQuark, Barbero iniziò a tenere un ciclo annuale di lezioni al Festival della Mente di Sarzana, in Liguria, uno dei principali festival culturali che si tengono d’estate in Italia. Nella prima edizione Barbero tenne una lezione che ha ripetuto più volte negli anni, con alcune variazioni: una descrizione delle invasioni barbariche molto più sfumata di quella contenuta nei manuali scolastici, in cui viene raccontata come la principale causa di dissoluzione dell’Impero Romano.
Negli anni successivi Barbero tenne lezioni sulle rivolte popolari nel Medioevo, le reti clandestine, le guerre di Indipendenza italiane, i compiti dello storico, le due guerre mondiali, la condizione della donna nel Medioevo, e molto altro ancora.
La maggior parte delle lezioni assomiglia più a uno spettacolo teatrale che a una lezione universitaria: i personaggi sono descritti in maniera tridimensionale, anche quelli secondari, il filone principale ha un inizio e una fine ben definiti, e ci sono colpi di scena, battute e passaggi che fanno tenere il fiato sospeso. Barbero riesce ad unire una notevole accuratezza – anche quando si parla di periodi storici diversi dal Medioevo – a una lettura più “progressista” rispetto a quella dei manuali scolastici, attenta al ruolo delle donne, delle minoranze, delle fasce più oppresse della popolazione. In un’intervista a Repubblica, Barbero ha raccontato che ne prepara «quattro o cinque all’anno», lavorando accuratamente per evitare di dire «cose delle quali poi mi pentirei».
Gli audio delle conferenze di Sarzana, tratti dai video che circolavano su YouTube, furono i primi ad essere inclusi nel podcast che oggi raccoglie la maggior parte delle conferenze di Barbero, “Il podcast di Alessandro Barbero”. Al contrario della stragrande maggioranza dei podcast di successo, la sua produzione è molto artigianale ed è curata da uno studente di ingegneria informatica, Fabrizio Mele.
Qualche mese fa Mele ha raccontato al Festival del Podcasting che conobbe Barbero su segnalazione di un podcast, Digitalia, e che da subito rimase «stregato».
Era l’anno 2015, e per ragioni di trasporti mi sono trovato a consumare podcast come il pane: 50 minuti andata, 50 minuti ritorno, ogni giorno, avanti e indietro dall’università, da solo in macchina. Tra i vari titoli spicca quello che seguo da più tempo cioè Digitalia. Tra i Gingilli del Giorno dell’episodio 301 Massimo De Santo, speaker storico del podcast, suggerisce agli ascoltatori di dare un’occhiata alle registrazioni delle conferenze del Festival.
Arrivo in università, apro il computer e vado a vedere cos’è sta roba. Trovo una conferenza di un tizio, tale Alessandro Barbero, che dal titolo sembra promettente: Come scoppiano le guerre? La guerra delle Falkland. Uno dei casi di clickbait meglio funzionanti mai visti. Cerco un feed rss, accidenti non c’è. Poco male, scarico l’mp3 sul telefono e uso il lettore musicale di Android.
Sono rimasto stregato: forse era stato il tema, la Guerra delle Falkland che chi non ha vissuto nella cronaca, per ragioni anagrafiche, è una cosa curiosa e misteriosa. Forse era stato lo stile di Alessandro Barbero, leggero e appassionato nello snocciolare date, nomi e fatti, ironico quanto basta, al punto da fare le vocine ai lord inglesi dell’epoca (con tanto di accento posh). Arrivato a casa senza troppa esitazione mi sono scaricato altre conferenze, e da lì sono entrato in una spirale che mi ha portato nel giro di un paio di mesi ad ascoltare la trentina di lezioni del Festival della Mente.
Mele aprì il podcast soltanto tre anni dopo, nel 2018: «l’intenzione è di creare una roba che serva a me, ma visto che Anchor si offre così gentilmente di inviare il feed anche a Spotify e a iTunes facciamolo, non sia mai che ci sia qualche altro pazzo che ascolta conferenze di storia in macchina o in metro».
In breve tempo gli ascoltatori si sono moltiplicati, diventando prima centinaia e poi migliaia al giorno – numeri enormi per qualsiasi podcast italiano, specialmente se ottenuti senza alcuna promozione sui social network o sui giornali – costringendo Mele a caricare almeno una puntata a settimana, ritmo che mantiene ancora oggi sfruttando vecchie e nuove conferenze o interviste che Barbero tiene in giro per l’Italia.
Barbero sapeva del podcast di Mele già nei primi mesi della sua pubblicazione: fu avvertito con una mail, a cui rispose così.
Ancora oggi Barbero sostiene di non spiegarsi il successo delle sue conferenze, e di non seguire i commenti e le recensioni degli ascoltatori: «Finirei per concentrarmi solo sui commenti critici. Meglio starne alla larga», ha detto a Repubblica. Alla successiva domanda dell’intervistatore sul perché non apre un canale ufficiale o monetizzi in qualche modo il suo successo, Barbero ha risposto: «Ho troppe cose da fare».
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Uno striscione con la dedica del Primo Maggio ai lavoratori della sanità morti per le politiche criminali della giunta Cirio è stato appeso oggi all’assessorato regionale alla sanità in corso Regina Margherita 153.
Un piccolo gesto per le lavoratrici e i lavoratori, che in questa regione come nel resto d’Italia hanno pagato il prezzo più alto perché la tutela delle persone è stata sacrificata sull’altare del profitto da questa amministrazione, da questo governo e da quelli che li hanno preceduti. In Italia sono 16.953 i medici, infermieri, e OSS contagiati, ossia il 10,7% dei lavoratori contro il 4% della Cina. In Piemonte il 70% dei lavoratori della sanità che si sono ammalati sono OSS che lavorano sotto costante ricatto e minaccia nelle RSA. Chi chiede le mascherine o denuncia la situazione viene minacciato di licenziamento. Nulla era stato fatto per essere pronti ad una pandemia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva messo nel novero delle probabilità inevitabili ormai da anni. Nulla è stato fatto per correre ai ripari quando, tra tagli al servizio sanitario e colpevoli omissioni, era troppo tardi per affrontare al meglio la crisi. Sin dai primi giorni la scelta del Piemonte è stata chiara: fumo negli occhi e nessuna sostanza. Le mascherine per i lavoratori e tutte le persone a rischio? In molti ospedali ancora le attendono, mentre fuori la gente si arrabatta come può. Le nuove assunzioni? Non ci sono mai state, nonostante la carenza di personale sia la norma ormai da anni. I tamponi? A due mesi dall’inizio dell’epidemia ci sono persone che attendono il tampone nonostante abbiano sintomi o siano entrate in contatto con persone positive.
Gli ospedali italiani sono luoghi pericolosi per la diffusione di malattie da ben prima dell’epidemia. Secondo il rapporto Osservasalute 2018 nel 2003 si contavano 18.668 decessi per infezioni ospedaliere, nel 2016 i casi sono diventati 49.301, quasi tre volte tanto. Il moltiplicarsi dei tagli alla spesa sanitaria ha reso poco sicuri gli ospedali. Eppure la Regione Piemonte ha puntato solo su questa carta. Le conseguenze tragiche sono sotto gli occhi di tutti.
Chi dichiara di vivere con una persona contagiata, deve continuare a lavorare, anche in ospedale, in attesa di un tampone che non arriva o arriva molto tardi.
I dormitori e le RSA si sono trasformate in focolai incontrollabili di contagio, nonostante le segnalazioni e gli appelli delle persone che ci lavorano e dei parenti degli anziani. Al carcere delle Vallette il virus corre dentro celle sovraffollate.
Chi si ammala, resta chiuso in casa senza visite, cure o tamponi. Le case non sono luoghi sicuri, perché chi si ammala resta in casa, esponendo chi vive nello stesso appartamento al contagio. Gli ospedali, dove lavoratori si ammalano e muoiono perché nemmeno per loro ci sono protezioni e controlli sanitari, non sono luoghi sicuri. Le strade, dove domina l’arbitrio di polizia e militari, non sono luoghi sicuri per i senza tetto, per i poveri che vivono in case sovraffollate, per chi lavora in nero per raggranellare qualche soldo.
Ci dicono che ora va meglio, che sono diminuite le persone ricoverate, quelle in terapia intensiva, ma mentono perché se diminuisce il numero di persone in ospedale, continua a crescere quello dei morti e dei contagiati. Il Piemonte, settimana dopo settimana è ormai al secondo posto dopo la Lombardia nella terribile conta dell’epidemia. In Italia ci sono quasi 100.000 persone chiuse in casa, malate e in buona parte prive di assistenza domiciliare. In tanti sfuggono alle statistiche ufficiali, perché si sono ammalati e sono guariti senza che venissero fatti esami o visite. Nelle RSA ora fanno i tamponi ai morti: ma nelle prime settimane omertà e silenzio erano la consegna imposta a tutti da amministratori preoccupati che la verità trapelasse.
Cirio ha fatto il suo spot con le ex OGR trasformate in ospedale da campo con i medici cubani, mentre la sanità territoriale, gli ambulatori, ormai da anni svuotati delle loro funzione di presidi sanitari territoriali, sono stati chiusi. Punto. Con buona pace di chi soffre di patologie croniche e della salute di tutti.
Dopo due mesi di domiciliari di massa il governo ha deciso che riaprirà le fabbriche ma ci lascerà ai domiciliari. Le nostre vite, oggi più che mai, sono ridotte a mero ingranaggio di una macchina che deve andare avanti costi quel che costi. L’epidemia riporta l’ordine del mondo nei binari in cui è sempre stato, mettendone a nudo i meccanismi. Le nostre vite non contano, sono intercambiabili, sostituibili, sacrificabili. Il governo ammantando tutto sotto un sudario tricolore, di unità di popolo, di nazione, senza cesure di classe, ci vorrebbe docili, pronti al destino che ci è stato assegnato. Il 4 maggio aprono le fabbriche, ma a fine turno tutti devono tornare nelle loro prigioni casalinghe, isolati e silenti. Non c’è ragione sanitaria che tenga. Se non è pericoloso stare nel chiuso di una fabbrica, di un magazzino, di un supermercato, allora non può essere pericoloso vederci stando a distanza per discutere, scendere in strada a manifestare, a lottare perché le nostre vite non siano sacrificate, perché la nostra libertà non sia ridotta a consumo, perché le nostre vite vengano prima del profitto di chi, da sempre, ci imprigiona.
I lavoratori e le lavoratrici che hanno imposto con la lotta la chiusura delle fabbriche hanno contribuito alla salute di noi tutti.
Il governo ci vuole divisi, sospettosi, spauriti. Ci rubano la libertà e la dignità. Per il nostro bene. Non è facile sfuggire alla trappola della paura e del peccato. La radice del male è sin nella parola chiave di questa crisi, il grimaldello con il quale ci hanno ingabbiati, il distanziamento sociale. Perché non parlare di distanza di sicurezza, di spazio tra i corpi? Perché uno spazio fisico si può costruire ovunque, non solo in casa, invece la distanza sociale è ben più e ben altro: è la cancellazione delle relazioni, della polis, della comunità di lotta, del tempo che si riconquista insieme. La distanza sociale nega il mutuo appoggio e promuove la carità, nega la libertà e ci obbliga all’obbedienza, nega valore alle nostre vite e ci chiude nel cerchio produci, consuma, crepa. Il Primo Maggio nasce come giornata di lotta, nasce nel sangue dei lavoratori uccisi per conquistare una primavera di libertà, giustizia sociale, solidarietà e mutuo appoggio. Un mondo senza stati né padroni. Questo Primo Maggio, ovunque in Italia, ci sono anarchici che sfidano i divieti e scelgono di dare un segno. Magari piccolo, ma importante, perché se le nostre vite non contano, se la produzione deve andare avanti, se la libertà è solo la farsa del consumo e del contatto telematico, è tempo di scioperare, di rifiutare di essere agnelli sacrificabili sulla tavola imbandita dei padroni. Vivere meglio, in modo libero e solidale tra eguali nelle differenze è possibile. Dipende da noi. Il presente è nelle nostre mani. La primavera è ora. Buon Primo Maggio di lotta!
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
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Che è successo
Si è chiuso il Salone del Libro di Torino. Tante polemiche per la presenza della casa editrice Altaforte che oltre ad avere un nome bruttissimo è vicinissima a Casa Pound. Il suo titolare è un certo Polacchi noto alle cronache per diversi atti di coraggio come prendere a sprangate studenti delle scuole superiori e pestaggi vari in puro stile fascista (vale a dire minimo 10 contro 1). Suddetta casa editrice ha pubblicato un libro intervista a Matteo Salvini che dichiara di non aver mai saputo che Altaforte fosse vicina a Casa Pound. A quanto pare il ministro è discretamente sprovveduto oppure "a mia insaputa" resta una magnifica scusa da usare quando ti sgamano. Magari qualcuno ci crede pure.
Altaforte viene estromessa dal SalTo, non per il nome brutto ma perché la sindaca di Torino e il presidente di Regione Piemonte presentano una denuncia per "apologia di fascismo". Certo il dubbio che viene è che ci si poteva pensare prima non accettando l'iscrizione della casa editrice ma a quanto sembra chi organizza il Salone non ci ha pensato. Si dice che per gli antifascisti sia stata una "Vittoria di Pirro" perché ora Altaforte avrà una pubblicità inattesa e venderà molte copie del suo libro su Salvini. Può darsi ma anche il libro delle barzellette di Totti ha venduto tanto e oggi non se lo ricorda nessuno, così come il "Codice da Vinci" con buona pace dei fan di Dan Brown. Vi è poi gente che teorizza il solito "fascismo degli antifascisti" ma credo che inibire la presenza di una casa editrice non sia paragonabile al chiudere o al ritirare dalle vendite i libri di quella casa. Oppure bruciare la sede di quella stessa casa editrice tutte cose che nel ventennio fascista accadevano invece alle case editrici non allineate al regime quindi certi vittimismi sono fuori luogo specie da parte di chi si dichiara fascista e sostiene l'utilità delle manganellate e dell'olio di ricino. Tipo Polacchi, il titolare della suddetta casa editrice dal nome orrendo.
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Nel frattempo l'Università La Sapienza di Roma invita Mimmo Lucano a parlare del suo "Modello Riace" e dell'integrazione dei migranti che approdano sulle spiagge italiane. Lucano è stato rinviato a giudizio per presunti illeciti ma l'università ha ritenuto di doverlo invitare per raccontare la sua esperienza. A qualcuno però non sta bene: il movimento Forza Nuova ha detto avrebbe impedito a Lucano di parlare. Pensate quanto sono democratici questi: non sono d'accordo con te quindi trovo giusto che tu non esprima le tue idee. Altro che Voltaire. Fortunatamente Lucano ha potuto parlare anche grazie a una scorta di diverse migliaia di persone che hanno impedito ai fascisti di Forza Nuova di avvicinarsi al sindaco di Riace.
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A proposito si scorta, la polizia ha dovuto accompagnare una famiglia rom alla loro nuova casa popolare regolarmente assegnata. Alcuni militanti di Casa Pound avevano allestito un presidio per impedire ai suddetti, leggittimi assegnatari, di raggiungere la loro abitazione. Il paradosso è che Casa Pound occupa illecitamente uno stabile in centro a Roma quindi sono i primi a contravvenire alla legge ma per loro dalla parte del torto sono questi rom, che pagano le tasse e lavorano regolarmente. Non è bellissimo tutto ciò? Presa da un attimo di lucidità la sindaca Raggi arriva in questo stabile per far sentire la presenza dello Stato e ristabilire in qualche modo la legalità. Devono scortarla i poliziotti, ma almeno nessuno la minaccia di stupro come hanno fatto con la madre della famiglia suddetta mentre portava in braccio la figlia spaventata da tanto odio. Il gesto della Raggi colpisce e non sempre in positivo. Sembra infatti che Di Maio non abbia gradito perché a suo dire la sindaca dovrebbe pensare prima ai romani. Nessun buon gesto viene perdonato, insomma. Comunque il vice premier ha smentito e vogliamo credere che per una volta che la Raggi ne azzecca una sia stato contento pure Di Maio.
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Sempre a Roma in uno stabile occupato è stata tagliata la corrente elettrica per cui molte famiglie sono al buio. L'elemosiniere del Papa, tal cardinale Konrad Krajewski, si cala nel pozzetto del contatore elettrico e rompe i sigilli così da riportare la corrente in tutto lo stabile. Ovviamente a qualcuno dà fastidio questo gesto, pure al cattolicissino (ma LOL) Salvini che subito polemizza dicendo che adesso si aspetta che il cardinale paghi pure i 300mila euro di bollette arretrate. Il cardinale risponde che pagherà pure quelle del ministro già ché c'è immaginando forse che i 49 milioni rubati dalla Lega siano stati spesi per il cibo del leader del carroccio.
Piccolo passo indietro: la legge impone di tagliare la corrente a chi occupa uno stabile anche se lo fa per necessità. Sempre la legge impone di non intestare le bollette a chi occupa abusivamente uno stabile. In buona sostanza chi occupa, magari perché non ha dove andare a vivere, non può pagare neppure volendo. Sarebbe a dire che sono dei senza fissa dimora. Una legge abbastanza stronza. Una legge voluta dal centro sinistra e firmata da Lupi qualche tempo fa. Ora mi chiedo come e a chi vorranno far pagare quelle bollette arretrate quando la stessa legge lo impedisce. Non sono dei geni? Sono davvero fantastici!
Se poi nel frattempo lo Stato italiano volesse far pagare a Casa Pound le bollette arretrate per lo stabile che occupano a Roma in pieno centro sarebbe "cosa buona e giusta". Amen.
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A Tigrotto piace cantare e ascoltare la musica. Ultimamente ha iniziato a cantare Johnny Johnny da solo senza che gli faccia il controcanto. Canta a modo suo ma ci prova.
Ho detto a sua madre che a pallone dovrei farlo vincere ma mi ha dissuaso perché è importante imparare anche la sconfitta o, come dice il mio amico senegalese Roger, deve imparare anche il dolore. Lezione difficile da apprendere più per me che per lui.
Sta imparando anche a contare. Per adesso passa da 1, 2 a 6 ma sa già riconoscere un numero quando lo vede. Insomma: sa leggere i numeri e dentro l'ascensore provo a chiedergli che numeri sono. Spiace solo che nel palazzo ci siano 6 piani.
Televisione non ne vede. Per ora. Lo stesso stiamo facendo io e sua madre. Credo ci farà bene.
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Luisa Morgantini
https://www.unadonnalgiorno.it/luisa-morgantini/
Luisa Morgantini è una politica italiana. È stata Vicepresidente del Parlamento Europeo con l’incarico delle politiche per l’Africa e per i diritti umani.
Nel corso di una lunga attività, si è battuta contro l’apartheid in Sudafrica, in difesa del popolo curdo contro la guerra nella ex Jugoslavia, per i diritti umani in Cina, Vietnam e Siria.
È tra le fondatrici delle Donne in Nero italiane, dell’Associazione per la pace e della rete internazionale di Donne contro la guerra.
Nata a Villadossola, in Piemonte, il 5 novembre 1940, era figlia di partigiani. A dieci anni già seguiva sua madre nell’occupazione della fabbrica, a undici era nei pionieri del Partito Comunista della sua zona.
A diciotto anni è scappata di casa per andare a Bologna, il suo primo impiego fu all’Inca Cgil. Abitava in una comune, leggeva Marx e era attiva nel partito da cui, quando aveva 26 anni, uscì.
Successivamente ha studiato e lavorato in Inghilterra per conoscere da vicino le lotte sindacali.
Tornata in Italia si è impiegata all’Umanitaria di Milano facendo formazione sindacale. Nella città meneghina ha vissuto fino al 1985, tranne un lungo periodo, nel 1980, passato in Irpinia dopo il terremoto. Era partita per stare una settimana e vi rimase un anno, vivendo in una roulotte. Lì si è data da fare in ogni modo, ha creato una cooperativa di donne e formato comitati popolari.
Già dagli anni ’70, anni di lotte potenti e indimenticabili, Luisa Morgantini aveva maturato una cultura della nonviolenza.
È stata la prima donna eletta alla segreteria della FLM di Milano (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) impegnata nei movimenti di liberazione in Africa e America Latina.
Dal 1982, dopo il massacro di Sabra e Chatila, è iniziato il suo profondo impegno con il popolo palestinese. Cinque anni dopo, da un’idea di Luciana Castellina, hanno dato vita all’Associazione per la Pace a Bari.
Nel 1988 in seguito alla prima Intifada è nato il gruppo delle Donne in nero, contro la violenza e contro le guerre, con donne israeliane e palestinesi.
Nel 1999 è stata eletta al Parlamento Europeo come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista, vi è rimasta per dieci anni.
Nel 2007 è stata eletta Vicepresidente del Parlamento Europeo, per il quale ha organizzato e accompagnato molte delegazioni, viaggiando in zone di conflitto.
Ha fatto parte delle Commissioni per lo sviluppo, per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, Affari Costituzionali, Sottocommissione per i diritti dell’uomo. Ha fatto parte della Delegazione per le relazioni con il Consiglio legislativo palestinese; della Delegazione all’Assemblea parlamentare Euromediterranea; della Delegazione all’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE. È stata nel gruppo di lavoro per l’osservazione elettorale e Iniziative per la pace.
Fortemente impegnata per la pace e il riconoscimento di giustizia, diritti e libertà in Palestina, ha fondato ed è attualmente presidente dell’associazione AssoPacePalestina.
Ha ricevuto il premio per la pace delle donne in nero israeliane e il premio Colombe d’Oro per la Pace di Archivio disarmo, è tra le 1000 donne nel mondo che sono state candidate al Premio Nobel per la pace.
A Supino, in Ciociaria, ho dato vita al centro Bab al Shams, che vuol dire la Porta del sole, che è il titolo di un libro e il nome di un villaggio di tende – nato in una notte – grazie ai comitati popolari palestinesi nella valle del Giordano per impedire la crescita delle colonie, distrutto dai soldati israeliani sei giorni dopo.
Alcune case del paese danno ospitalità a bambini e giovani palestinesi e italiani e alla rete dei comitati popolari. Continua imperterrita a cercare di costruire comunità impegnate nella solidarietà e nella lotta contro le ingiustizie.
“Ebbi i primi contatti con i palestinesi nel 1982, durante il massacro di Sabra e Shatila. Fino a quel tempo, moltissime persone della sinistra e io eravamo molto puntati sulle rivoluzioni dell’America Latina; poi, improvvisamente, abbiamo scoperto che i profughi palestinesi, massacrati in Libano dai maroniti libanesi, in realtà venivano uccisi dall’invasione israeliana di Sharon. Per me è stato uno shock totale, così ho cominciato a guardare i palestinesi per capire chi fossero e quale fosse la loro tragedia. Sono andata per la prima volta in Palestina, nei territori occupati del ’67, insieme a un gruppo di lavoro che avevamo formato per fare un asilo. Da quel momento, la Palestina, i palestinesi e la profonda ingiustizia che subiscono mi sono entrati nel cuore, da lì non mi sono più mossa, se non per andare e tornare“.
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12 mar 2021 08:30
PACCO, DOPPIO PACCO E CONTROPACCOTTO – PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA TUTTO IL PERSONALE DELLA FILIERA ITALIANA CHE LAVORA PER AMAZON SCIOPERA! L’AZIENDA DI BEZOS CON LA PANDEMIA HA VISTO L’UTILE VOLARE A 21,3 MILIARDI MENTRE GLI ADDETTI ALLA LOGISTICA GUADAGNANO 1000 EURO: “SIAMO GLI SCHIAVI DEL TERZO MILLENNIO. TROPPO COMODO DIRE CHE I GUAI RIGUARDANO LE AZIENDE. I CARICHI, I PERCORSI, DECIDE TUTTO L’ALGORITMO DI AMAZON.SE NON RIUSCIAMO A CONSEGNARE TUTTI I PACCHI CHE CI HANNO DATO AL MATTINO RICEVIAMO…”
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1 - AUTISTI E LOGISTICA IL PRIMO SCIOPERO CONTRO AMAZON
Maurizio Tropeano per “La Stampa”
«Noi vogliamo fare gli accordi definendo con la controparte regole, diritti, compensi. Per questo abbiamo cercato di sederci al tavolo con Amazon che, però, è rimasta assente e non ha dato risposte.
Siamo costretti a proclamare lo sciopero per iniziare la trattativa ma intanto abbiamo coinvolto anche gli altri sindacati europei: se il comportamento della multinazionale è lo stesso anche negli altri Paesi, allora, porteremo la vertenza a Bruxelles chiedendo l' intervento della Commissione Ue».
Salvatore Pellecchia, segretario nazionale della Cisl per i trasporti, inquadra così il primo sciopero che coinvolge tutto il personale della filiera che lavora per Amazon, dai 9500 addetti ai magazzini (dipendenti diretti) fino ai circa 15 mila driver alle dipendenze di centinaia di piccole imprese di trasporto, che consegnano materialmente i pacchi.
I sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di dare una cornice nazionale ad una protesta che finora si è svolta soprattutto a livello locale anche se nell' ultimo mese c' è stato un crescendo di proteste che hanno interessato i magazzini padovani, poi i corrieri del Piemonte fino alle ditte di consegna di Pisa.
Il 22 marzo, dunque, l' astensione sarà corale con una piattaforma di richieste che va dalla verifica dei turni, dei carichi e dei ritmi di lavoro imposti, alla riduzione dell' orario di lavoro dei driver, dalla clausola sociale, alla stabilizzazione dei tempi determinati, fino all' indennità Covid.
Il colosso Usa, però, respinge al mittente le accuse di latitanza dai tavoli sindacali - «si sono svolti due incontri nel mese di gennaio» - e, soprattutto, dopo aver ribadito che «per le consegne ai clienti, Amazon Logistics si avvale di fornitori terzi» sottolinea «i corretti interlocutori» dei sindacati «siano i fornitori di servizi di consegna e le associazioni di categoria che li rappresentano».
Il sindacato, però, non ci sta: «E' vero che per le consegne Amazon ai avvale di fornitori terzi ma gli appalti rispondono ad un committente che per quanto riguarda le leggi di questo paese risponde in solido. Per noi la tecnica di frazionare e di sottrarsi alle responsabilità portata avanti da Amazon non può più funzionare».
I sindacati, dunque, hanno deciso di fare un salto di qualità alla protesta con un' impostazione che potrebbe essere condivisa anche a livello europeo - a Bruxelles tra le altre cose si sta cercando una posizione unica sulla webtax - con l' obiettivo di chiudere un contratto.
Nelle settimane scorse il tribunale di Milano ha imposto alle multinazionali delle consegne a domicilio di assumere i rider. «Per noi il ricorso alla magistratura è davvero l' ultima spiaggia», spiega Pellecchia. Il sindacato, però, cerca alleati. A novembre il mondo del commercio al dettaglio era insorto contro Amazon accusandola di fare profitti miliardari - il 2020 per Amazon si è chiuso a livello globale con vendite nette per 386,1 miliardi di dollari (+ 38% sul 2019) e con utile netto di 21,3 miliardi di dollari (9,7 miliardi in più del 2019) - e di mettere in ginocchio i piccoli negozi.
Ma Michele De Rose, segretario nazionale della Cgil Trasporti, invece, pur condividendo la richiesta dell' introduzione di una webtax, è convinto che sia necessario trovare l' appoggio dei consumatori: «Sono loro che devono sostenere in questa battaglia le persone che hanno assicurato, e assicurano, la consegna delle merci nelle loro case. Devono sapere che a fronte di profitti miliardari gli addetti alla logistica guadagnano 1000/1220 euro al mese e i driver possono arrivare a 1500/1700 con una media di consegne giornaliere comprese tra i 70 e i 100 stop».
Si vedrà. Intanto, però, la protesta ha trovato una prima sponda a livello politico. Fabio Rampelli, deputato di Fdi, vicepresidente della Camera, assicura il pieno sostegno alla sciopero «del resto le condizioni nelle quali i dipendenti sono costretti a lavorare destano sconcerto».
2 - "SIAMO SCHIAVI DI UN ALGORITMO VIETATO ANCHE ANDARE IN BAGNO"
Lodovico Poletto per “La Stampa”
«Pensateci quando suoniamo il campanello di casa e fate storie per scendere a ritirare il pacco. Noi siamo gli schiavi del terzo millennio. Se parcheggiamo male mentre vi portiamo l' acquisto e un vigile ci fa una multa, la paghiamo noi. Se urtiamo lo specchietto del furgone perché dobbiamo correre come dannati e lo rompiamo, paghiamo anche 500 euro di franchigia. Se poi non riusciamo a consegnare tutti i pacchi che ci hanno dato al mattino riceviamo lettere di richiamo».
Alla guida del furgone, diretto verso Torino, Giorgio si sfoga al cellulare. «Allora io stamattina mi sono alzato alle 6,30 per andare a caricare al centro Amazon di Brandizzo.
Adesso sono quasi le 17 e non sono ancora in deposito. Se ho mangiato? Un panino mentre ero alla guida: la frittata di mia mamma. In bagno? Ma anche no: chi ha tempo per andarci». Straordinari? «Ma in che mondo vivete lì fuori? Mi pagano otto ore e ne lavoro quasi 9 nove».
Benvenuti nel mondo del 14 mila driver che lavorano per l' universo Amazon. A breve avranno anche le divise arancioni e saranno iper-riconoscibili. Ma, a breve, non cambierà l' algoritmo che scandisce la loro vita ogni sacrosanto giorno di lavoro. Algoritmo che segna tutto: numero di pacchi da consegnare, numero di fermate da fare. Percorso da seguire. Tempi. E per ogni consegna ci sono al massimo 3 minuti Se sgarri son guai.
«È un universo di gente sfruttata» tuona Gerardo Migliacco segretario di Uil trasporti del Piemonte. Lui ha preso carta e penna e ha preparato un esposto. Motivo?
«Amazon detta le regole alle aziende appaltatrici. Decide tutto. Non può chiamarsi fuori da questa storia. L' algoritmo è roba sua. I pacchi suoi. Le regole anche. Dai, che modo di fare è?».
La questione è così delicata che a qualunque porta bussi, salta fuori una storia. Una lettera di rischiamo a un driver, un addebito. Scusi, quanti pacchi dovete consegnare al giorno?La storia dell' ultimo driver a cui una grande società di logistica ha inviato una lettera di richiamo è emblematica.
Giorno 5 marzo. Il trentenne, con lavoro part-time a 1200 euro al mese, deve consegnare 177 pacchi e fare 117 fermate. In città e nella prima cintura. Non ce l' ha fatta a fare tutto. La sera ne ha riportati indietro 12. «In ufficio mi hanno sgridato. Ma che colpa ne avevo io? Il device con l' elenco consegne è andato in tilt e ho dovuto usare il mio telefono per trovare le strade» racconta il driver. Gli hanno inviato la lettera di richiamo. Rischia il posto. Perché nelle 8 ore e 30 di lavoro non ha fatto tutto. Non poteva correre di più? «Guardi qualche settimana fa ho preso 130 euro di multa per eccesso di velocità, in zona Vercelli. Andavo veloce perché ci sono i tempi da rispettare. Chi paga la multa? Io ovviamente».
Luca Iacomino, responsabile del dipartimento Trasporti e logistica della Cigl non ha dubbi: «Amazon non può tirarsi fuori da questa storia. Il rispetto delle regole è anche affar suo: troppo comodo dire che i guai riguardano le aziende che si occupano dell' ultimo miglio.
Chi è che decide i carichi? Amazon. Chi è che decide i percorsi? L' algoritmo di Amazon.
Chi stabilisce i tempi di consegna? Ancora Amazon». E allora che si deve fare? «L' algoritmo non è un totem, deve cambiare. E i lavoratori dell' ultimo miglio non sono schiavi».
Iacomino, ma in epoca di lockdown c' era meno traffico, meno gente per strada, non è andata meglio? «Come no! Anche i bar erano chiusi. Pensi alle driver donne: non avevano neanche un posto dove andare a fare pipì. Parlando con rispetto».
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Francavilla Fontana: una probabile superfetazione celebrativa del suo stemma?
di Armando Polito
Nella Biblioteca Pubblica Arcivescovile “Annibale De Leo” di Brindisi è custodito un volume manoscritto (ms_B/62 ) della prima metà del XVIII secolo dal titolo Copia de “Constitutiones Religionis Clericorum Regularium Pauperum Matris Dei Scholarum Piarum”. Le carte 1r-50v contengono il testo delle Constitutiones come vennero promulgate da Gregorio XV il 31 gennaio 1622, dopo che aveva elevato la compagnia ad ordine regolare il 18 novembre 1621. Le carte 50v-51v ospitano il breve pontificio che le accompagna; le carte 52r-52v contengono l’indice. In calce all’ultima carta (52v) compare lo stemma che ho appena riprodotto e che replico con a fronte quello attuale.
Sulla fondazione delle Scuole Pie a Francavilla Fontana un quadro esauriente è quello tracciato da Pietro Palumbo in Storia di Francavilla, Tipografia editrice salentina, Lecce, 1869, pp. 171-174, in cui ricostruisce il ruolo avuto da protagonisti quasi a gara tra loro. Andrea Imperiali rimasto fino al 1677 in Genova, dove aveva sposato Pellina Grimaldi, sorella del principe di Monaco, nel 1678 si trasferì a Napoli distinguendosi per la munificenza, ma trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Francavilla, dove morì il 25 novembre di quello stesso anno, dopo aver dettato le sue ultime volontà al notaio Paolo La Marina.
Di chi doveva egli ricordarsi? Certamente dei suoi poveri, e dei vassalli che da un anno appena aveva conosciuti! Lasciò molti legati pii e fra questi ducati duemila da comperarne beni, per introdurre i Padri delle Scuole Pie, e di questo lasciò l’esecuzione alla madre e alla moglie, tutrici del figlio Michelino … Brigida e Pellina Grimaldi1 aperto ai 28 novembre il testamento del defunto principe Andrea, e conosciute le disposizioni, s’affrettarono ad eseguirle. Comperarono a nome dei Padri delle Scuole Pie mille ducati di censi da Giuseppe Maddalone di Lecce; altri ducati settecento cinquantasette investirono in una masseria su quel di Ceglie. All’annunzio del testamento di suo fratello Giuseppe Renato Imperiale, allora chierico della Camera Apostolica, volle concorrere a beneficare il suo luogo natio (essendo egli nato ai 28 aprile 1651 nel Castello di Francavilla) e vi aggiunse il dono di altri cinquecento ducati. L’Università la quale ammirava il lustro che derivava alla Terra da questa fondazione, entrò terza a gareggiare con gl’Imperiali e dopo Parlamento tenuto il 7 luglio 1680 entre tre mesi ottenne regio assenso di permutare alcuni ulivi e case vicino la chiesa di S. Sebastiano … A questo l’Università aggiunse un’annua rendita di ducati trecento assicurata su diversi dazi. Niente più mancava per l’introduzione dei padri, nemmeno il consenso del Papa e quello di monsignor Cuzzolini vescovo di Oria, per la qual cosa il 20 gennaro 1682 giunti da Brindisi il P. Gregorio da San Gennaro, P. Giuseppe da S. Giovanni, P.Francesco da S. Lorenzo e P. Felice M. da S. Vittore, ricevettero dalle mani del Dr Giuseppe Benaducci sindaco dell’Università il possesso del luogo e ne ascoltarono i patti in presenza del Notare Marrucci . I monaci promisero “e solennemente (adoperiamo le parole della scrittura) s’obbligarono d’allora in poi fondare la loro casa o convento nella Terra di Francavilla e proprio nella chiesa di S. Sebastiano ed ivi fare le scuole con imparare tanto grammatica quanto altre dottrine ai figliuoli e giovani da essere approvati dal loro superiore, dal Marchese e dall’Università, con ogni carità a zelo in conformità delle loro Regole e Costituzioni, con mettere le suddette scuole ad ogni richiesta della M. Università.2
Per quanto riguarda l’origine dello stemma, ecco cosa si legge in Giovanni Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Parrino, Napoli, 1703, tomo II, p. 120: Nel 1310 il Principe [Filippo I D’Angiò, principe di Taranto] cominciò la fabbrica della Collegiata cento passi in circa lontana dalla Villa del Salvadore, dove poi dagl’Antichi fu trasportata la Sacra Imagine, e perché concorrevano d’ogni tempo le genti ad ottenere molte grazie, il Principe osservando la gran divozione de’ Popoli, publicò per i contorni, che donava à chi voleva venire à fabricare vicino à detta Villa, comodità di poderi gratis per dieci anni, franchi, ed immuni d’ogni peso, e però le diede nome di Francavilla, alla quale dal medesimo Principe fu dato all’Università Francavillese per impresa l’Olivo simbolo della pace, e dell’Abondanza.
Confrontando l’aspetto attuale dello stemma con quello del manoscritto, l’attenzione è subito attratta dai due putti alati che sorreggono lo scudo. Mi chiedo se questo dettaglio sia puramente decorativo o abbia una funzione più complessa, alluda, cioé, ad un’informazione supplementare.
A Francavilla nella chiesa di S. Sebastiano l’altare dedicato a sant’Elzeario de Sebran reca uno stemma che è stato oggetto di dettagliato studio da parte di Marcello Semeraro, del quale è pure la foto che di seguito riproduco3.
Si tratta, egli ci ci informa, dello scudo di Irene Delfina di Simiana (1670*-1725), figlia di Carlo, marchese di Pianezza e principe di Montafia, e di Giovanna Maria Grimaldi. Nel 1691 andò sposa a Michele Imperiali (*1673-1738), principe di Francavilla, acquisendo, così, il titolo di principessa. Lo scudo reca, perciò, a sinistra per chi guarda l’insegna degli Imperiali (di argento, al palo cucito di oro, caricato di un’aquila col volto abbassato di nero, coronata di oro, a destra quella dei Simiana di Piemonte (di oro, seminato di gigli alternati a torri). Irene Delfina, continua il Semeraro, fu, in virtù di una speciale devozione al santo4, la committente dell’altare a lui dedicato.
Chiudo con una raffica di domande, la cui sintesi era già nel titolo e alle quali, essendo, oltretutto, totalmente digiuno di araldica, non so rispondere. La presenza dei due putti nello stemma del manoscritto è casuale, oppure fu ispirata proprio dall’analogo dettaglio di quello dell’altare? Se è così, è legittimo supporre che esso sia la sintesi grafica di quanto a proposito degli attori protagonisti della fondazione dell’ordine è detto nel brano su riportato del Palumbo, cioè Imperiali/Grimaldi, con successivo aggiornamento/coinvolgimento Simiana (cui, oltre ai putti, potrebbero essere riferiti i tre gigli che campeggiano sul pino?), e l’Università (per la parte dello scudo coincidente con lo stemma attuale)?
____________
1 Su Brigida Grimaldi vedi Castrignano dei Greci, Francavilla e il Principato di Monaco in https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/07/castrignano-dei-greci-oria-francavilla-principato-monaco-12/
2 Op. cit., passim
3 Note di araldica: lo stemma della principessa di Francavilla Irene Delfina di Simiana, in Il delfino e la mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno V, nn. 6-7, gennaio 2018, pp. 441-443
4 Le figure del santo di origine francese e di sua moglie, la beata Delfina di Signe, ispirarono infatti l’onomastica dei primogeniti usciti dal matrimoniotra Carlo di Simiana e Giovanna Maria Grimaldi (op. cit, p. 443)
#Andrea Imperiali#araldica salentina#Armando Polito#Elzeario de Sebran#Francavilla Fontana#Giuseppe Renato Imperiali#Irene Delfina di Simiana#Michele Imperiali#Pellina Grimaldi#Principe di Francavilla#stemma Francavilla#Paesi di Terra d’Otranto#Spigolature Salentine
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La “boutade” di Jennifer Lopez che vorrebbe lasciare la caotica Los Angeles per traferirsi a vivere in una località tranquilla italiana è stata subito accolta da alcuni Sindaci che le hanno promesso di accoglierla a braccia aperte nel caso scegliesse una delle loro cittadine. E si accende la sfida tra i borghi. C’è chi le ha offerto una cascina e chi un castello. Ecco le proposte. Il Primo cittadino del borgo fantasma di Celleno, in provincia di Viterbo, Marco Bianchi, ha formalmente mandato un invito all’attrice-cantante americana. “Qui può trovare la bellezza e la privacy che sta cercando”, ha spiegato. Il castello che domina il delizioso paese non è più abitato da due anni ovvero dalla morte dell’artista internazionale Enrico Castellani e potrebbe essere messo a sua disposizione. Inoltre, il Sindaco ha ricordato a J-Lo la presenza sul territorio di numerose dimore storiche disponibili, nel caso il maniero non fosse per qualche motivo di suo gradimento. Gli abitanti di Celleno, 1300 circa, sono già pronti ad accogliere la star di Hollywood. C’è chi si è proposto per prepararle le fettuccine fatte in casa e chi la vorrebbe come vicina di casa, in un casale che è disposto a ristrutturare appositamente la prestigiosa ospite. E siccome la Lopez ha dichiarato di voler andare a fare la spesa in bicicletta e il borgo ha molte strade in salita, qui sono disposti a offrirle una e-bike per fare meno fatica. Il borgo sarebbe perfetto, isolato, a misura d’uomo, lontano da sguardi indiscreti, ma anche a solo un’ora di auto da Roma, dove la pop star potrebbe andare a fare shopping e partecipare a qualche evento mondano, nel caso ne sentisse la mancanza di tanto in tanto. Celleno è un borgo arroccato su uno sperone di tufo. Nel corso dei secoli fu prima colpito da epidemie, poi da frane, eventi terribili avvenuti in anni non precisati, e infine distrutto da un terremoto nel 1931 tanto che dalla fine del 1800 fu abbandonato. Oggi è considerato un borgo fantasma. Il nuovo borgo di Celleno fu ricostruito non molto lontano negli Anni ’30. Il borgo abbandonato è ancora un intricato dedalo di viuzze che portano fin su quel che resta dell’antico castello, dopo aver superato la scenografica via del Ponte, stradine su cui si affacciano piccole case prive d’intonaco e resti di palazzi in pietra di basalto. Il castello ne ha passate di tutti i colori: conobbe le alterne vicende della rivalità tra famiglie di Guelfi e Ghibellini; nel XV secolo divenne possedimento della famiglia Gatti e poi fu un feudo degli Orsini, famiglia dalla quale prende ancora il nome. È stato selezionato dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) tra i suoi beni e, in occasione delle giornate dedicate alle aperture straordinarie vengono organizzate visite guidate. Vi sono state ambientate anche alcune scene della fiction di Netflix “Luna nera”. Chissà che J-Lo non l’abbia vista e che non se ne sia già innamorata? Ma secondo alcune indiscrezioni, tra le mete opzionate dalla Lopez ci sarebbero anche le colline del Roero, in Piemonte, patrimonio Unesco insieme alle Langhe e al Monferrato. La cantante-attrice di origine portoricana starebbe vagliando per un possibile acquisto in questa zona dell’Italia. Pare infatti che proprio negli ultimi giorni alcune cascine in vendita siano state tirate a lucido perché visitate da acquirenti stranieri. Si è detto felice di averla tra i suoi concittadini anche il Sindaco di Monticello d’Alba, un bellissimo borgo dove svetta il castello dei conti Roero, considerato tra le costruzioni medievali più imponenti e meglio conservate della regione. Non s’è fatta attendere nemmeno la proposta dalla Toscana. Dalla Val d’Orcia – che anche noi abbiamo consigliato a Jennifer – è arrivato l’appello del vice Sindaco di San Quirico d’Orcia, Marco Bartoli, che le ha chiesto di andare a vivere “nel paesaggio più bello del mondo”, dove trovare oliveti a perdita d’occhio che modellano le colline e un paesaggio che è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco. “Abbiamo ottimi forni che producono un buon pane” per rispodenre a un desiderio espresso l’attrice “e possiamo offrire il relax e la riservatezza che una star internazionale del suo calibro sta cercando”. E persino la piccola frazione di Pelerzo, vicino a Berceto, nella provincia di Parma, si è fatta avanti. “Vieni qui nelle Terre Alte, la casa gliela regaliamo noi” ha commentato il Sindaco Luigi Lucchi, “lei ha mezzi appropriati per recuperarla, restaurarla e potrebbe riportarla al suo antico splendore invece di lasciarla cadere in rovina”. E perché, allora, non andare in Sardegna? “Cara Jennifer”, ha detto il Sindaco di Cagliari Paolo Truzzu invitando la cantante-attrice a trasferirsi nel capoluogo dell’isola. “Non è piccola, ma perfetta per camminare per le vie del centro senza scocciatori, a contatto con gente discreta e attenta a non oltrepassare la privacy altrui”. E poi con l’aeroporto può andare avanti e indietro ogni volta che lo desidera. Il borgo di Celleno @123rf https://ift.tt/2tzRwbK Jennifer Lopez, le località italiane che la vogliono ospitare La “boutade” di Jennifer Lopez che vorrebbe lasciare la caotica Los Angeles per traferirsi a vivere in una località tranquilla italiana è stata subito accolta da alcuni Sindaci che le hanno promesso di accoglierla a braccia aperte nel caso scegliesse una delle loro cittadine. E si accende la sfida tra i borghi. C’è chi le ha offerto una cascina e chi un castello. Ecco le proposte. Il Primo cittadino del borgo fantasma di Celleno, in provincia di Viterbo, Marco Bianchi, ha formalmente mandato un invito all’attrice-cantante americana. “Qui può trovare la bellezza e la privacy che sta cercando”, ha spiegato. Il castello che domina il delizioso paese non è più abitato da due anni ovvero dalla morte dell’artista internazionale Enrico Castellani e potrebbe essere messo a sua disposizione. Inoltre, il Sindaco ha ricordato a J-Lo la presenza sul territorio di numerose dimore storiche disponibili, nel caso il maniero non fosse per qualche motivo di suo gradimento. Gli abitanti di Celleno, 1300 circa, sono già pronti ad accogliere la star di Hollywood. C’è chi si è proposto per prepararle le fettuccine fatte in casa e chi la vorrebbe come vicina di casa, in un casale che è disposto a ristrutturare appositamente la prestigiosa ospite. E siccome la Lopez ha dichiarato di voler andare a fare la spesa in bicicletta e il borgo ha molte strade in salita, qui sono disposti a offrirle una e-bike per fare meno fatica. Il borgo sarebbe perfetto, isolato, a misura d’uomo, lontano da sguardi indiscreti, ma anche a solo un’ora di auto da Roma, dove la pop star potrebbe andare a fare shopping e partecipare a qualche evento mondano, nel caso ne sentisse la mancanza di tanto in tanto. Celleno è un borgo arroccato su uno sperone di tufo. Nel corso dei secoli fu prima colpito da epidemie, poi da frane, eventi terribili avvenuti in anni non precisati, e infine distrutto da un terremoto nel 1931 tanto che dalla fine del 1800 fu abbandonato. Oggi è considerato un borgo fantasma. Il nuovo borgo di Celleno fu ricostruito non molto lontano negli Anni ’30. Il borgo abbandonato è ancora un intricato dedalo di viuzze che portano fin su quel che resta dell’antico castello, dopo aver superato la scenografica via del Ponte, stradine su cui si affacciano piccole case prive d’intonaco e resti di palazzi in pietra di basalto. Il castello ne ha passate di tutti i colori: conobbe le alterne vicende della rivalità tra famiglie di Guelfi e Ghibellini; nel XV secolo divenne possedimento della famiglia Gatti e poi fu un feudo degli Orsini, famiglia dalla quale prende ancora il nome. È stato selezionato dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) tra i suoi beni e, in occasione delle giornate dedicate alle aperture straordinarie vengono organizzate visite guidate. Vi sono state ambientate anche alcune scene della fiction di Netflix “Luna nera”. Chissà che J-Lo non l’abbia vista e che non se ne sia già innamorata? Ma secondo alcune indiscrezioni, tra le mete opzionate dalla Lopez ci sarebbero anche le colline del Roero, in Piemonte, patrimonio Unesco insieme alle Langhe e al Monferrato. La cantante-attrice di origine portoricana starebbe vagliando per un possibile acquisto in questa zona dell’Italia. Pare infatti che proprio negli ultimi giorni alcune cascine in vendita siano state tirate a lucido perché visitate da acquirenti stranieri. Si è detto felice di averla tra i suoi concittadini anche il Sindaco di Monticello d’Alba, un bellissimo borgo dove svetta il castello dei conti Roero, considerato tra le costruzioni medievali più imponenti e meglio conservate della regione. Non s’è fatta attendere nemmeno la proposta dalla Toscana. Dalla Val d’Orcia – che anche noi abbiamo consigliato a Jennifer – è arrivato l’appello del vice Sindaco di San Quirico d’Orcia, Marco Bartoli, che le ha chiesto di andare a vivere “nel paesaggio più bello del mondo”, dove trovare oliveti a perdita d’occhio che modellano le colline e un paesaggio che è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco. “Abbiamo ottimi forni che producono un buon pane” per rispodenre a un desiderio espresso l’attrice “e possiamo offrire il relax e la riservatezza che una star internazionale del suo calibro sta cercando”. E persino la piccola frazione di Pelerzo, vicino a Berceto, nella provincia di Parma, si è fatta avanti. “Vieni qui nelle Terre Alte, la casa gliela regaliamo noi” ha commentato il Sindaco Luigi Lucchi, “lei ha mezzi appropriati per recuperarla, restaurarla e potrebbe riportarla al suo antico splendore invece di lasciarla cadere in rovina”. E perché, allora, non andare in Sardegna? “Cara Jennifer”, ha detto il Sindaco di Cagliari Paolo Truzzu invitando la cantante-attrice a trasferirsi nel capoluogo dell’isola. “Non è piccola, ma perfetta per camminare per le vie del centro senza scocciatori, a contatto con gente discreta e attenta a non oltrepassare la privacy altrui”. E poi con l’aeroporto può andare avanti e indietro ogni volta che lo desidera. Il borgo di Celleno @123rf J-Lo vorrebbe lasciare la caotica Los Angeles per traferirsi a vivere in una località tranquilla italiana. Le proposte dei nostri Sindaci
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