Tumgik
#cara maestra abbiamo perso
gaysessuale · 2 years
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Canzoni preferite dei Coladima?
incredibile questa domanda ha bisogno di un essay a sé stante, non posso sceglierne una (1) concedimi di andare disco per disco:
Cara Maestra Abbiamo Perso: Ho sparato a Vinicio Capossela
Sarebbe bello non lasciarsi ecc ecc: tutte tied tra Non siamo gli alberi e Ormai siamo troppo giovani
Un meraviglioso declino: Le Foglie Appese (ma nella Deluxe Edition tied con Fiori di Lana)
Non vengo più mamma: Piangi Maria (don't skip non vengo più mamma è Un Signore EP)
Un Paese Ci Vuole: Niente da Dichiarare
Egomostro: tutte Sottocoperta
Un mondo raro: Pensami
Infedele: tutte Ti attraverso
Compendio Infedele: Condividere
Afrodite: tutte La Luna e il Bingo
I Mortali: tutte seriamente non posso sceglNoia Mortale
I Mortali²: non sono immune al dualismo Amore Sociale / Decadenza e Panna
Menzione onoraria dei singoli: Ci diamo un bacio (Dimartino con la Rappresentante); Immaginario (MACE con Colapesce); La canzone dell'amore perduto (Colapesce); Penelope, Spara! (Carnesi con Dimartino)
e sono stato breve e coinciso
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Dimartino in Cara Maestra Abbiamo Perso che dice “cara maestra (...) voglio che rimani ancora qui con me stanotte / ho bisogno di sentirti ancora mia / anche se non guido come l'altro / se non fumo come l'altro /voglio farti compagnia” 
e poi “e avevo perso la mia anima / la mia anima a noleggio / su un bancone della carne / o tra le gambe di una ragazza, il giorno della festa”
e ancora “mi hai detto: / ‘tu non capisci la poesia / sei fatto solo per scopare’ “
he’s so slutty and for what
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Cercasi anima persa in uno schedario di un archivio comunale mentre riempivo un altro modulo per inventarmi una ragione sociale, l'ho sentita scivolare, arrampicarsi sopra i muri e cercare una finestra, avete visto la mia anima, la mia anima l'ho persa e la folla inferocita di un collocamento mi ha lasciato solo il vento che se l'è portata come quando porta via le ossa a un cane,
mi ha lasciato solo il freddo che se l'è inghiottita, come quando inghiotte le persone sole ed io ho perso l'anima e non ho parole... più per continuare.
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eresiahh · 4 years
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Lettera alla mia ex migliore amica
Cara (ex) migliore amica
Hai letto milioni di lettere scritte da me e se penso al fatto che questa, che tra l’altro è l’unica indirizzata a te, probabilmente non la leggerai mai un po’ rido e un po’ sento il magone.
Non saprei come parlarti meglio adesso.
Cercherò di trovare le parole giuste come sapevo fare una volta.
Gli ultimi anni sono stati lunghi, stracolmi di novità, ma anche di cose terribili.
Sarò sincera: il tuo volto arrabbiato non è più un pensiero costante come lo era all’inizio.
Non passo più le ore a pensare a cosa abbiamo rotto e come l’abbiamo fatto, adesso è rimasta solo la consapevolezza del fatto che per quanto avessimo provato a legarci le anime nei modi più improbabili, alla fine i punti sono saltati ed è rimasta solo una ferita aperta.
Mi ricordo sempre di me e te con addosso un grembiule blu che non volevamo mai portare sedute all’ultimo banco a fare casino.
Penso a quel giorno in cui la maestra decise di separarci perché parlavamo troppo, allora ci attrezzammo di colla stick e ce ne riempiemmo le mani per incollarci l’una all’altra.
Quel giorno la maestra ci separò lo stesso e io e te ci ritrovammo ai due capi opposti dell’aula e l’unica cosa che ci rimase da fare fu quella di rimuovere la colla secca dalle dita e dai palmi delle mani.
Anni dopo la colla ovviamente non c’era più, ma io e te sembravamo saldate da qualcosa di indefinibile.
Tu eri andata via e io ero rimasta in quel paesino piccolo e deprimente. Mi era sempre stato stretto, ma quando lo lasciasti pure tu divenne una gabbia.
Le uniche ore d’aria che mi erano consentite erano i fine settimana in cui tornavi.
Così crescevamo insieme sabato dopo sabato, i nostri corpi iniziavano a modificarsi dentro le felpe larghe invernali e i nostri polmoni iniziavano ad annerirsi per colpa di quelle sigarette rosa che compravamo per gioco o per sentirci grandi.
Avevamo creato un nido, ci mettevamo tutto il pomeriggio sedute su quello scalino maledetto e a fine giornata lo trovavamo sempre riempito di cicche.
Ridevamo per ore anche se da ridere poi non c’era proprio un cazzo.
Tornavamo a casa solo per lavarci e metterci addosso dei vestiti puliti che si stringessero al culo e alle tette e dopo aver circondato gli occhi col nero tornavamo fuori per bere qualche cocktail troppo zuccherato che però ci saliva alla testa e ci faceva dimenticare quanto fossimo tristi in verità.
Ricordo che dicevi di avere una doppia vita, ricordo che pensavi di poter essere te stessa con me.
Lo dicevi con gli occhi rossi e sorridendo dopo aver fumato l’ennesima mezza canna che ci dividevamo.
Ci abbracciavamo perché io ero il tuo posto sicuro e tu eri il mio.
Soltanto che la domenica alle 18 tu tornavi in quella città che ti aveva adottata e io rimanevo lì in quel paese che manteneva solamente l’aria della tua assenza.
Tu ritornavi a fingere di essere la ragazza composta e diligente che non eri, io fumavo le mezze canne e le lasciavo incomplete fingendo di essere con te.
Tu ti vergognavi della vita che facevamo, io avrei continuato fino a sessant’anni pur di averti accanto ancora.
Mi ricordo che ci sentivamo come se avessimo tutto il mondo contro.
Tendevamo a trasformare la nostra vita noiosa in qualcosa di estremo.
Ci sentivamo come quei ragazzi che vedi nei videoclip delle canzoni che ti riescono a trasmettere leggerezza anche se sono visibilmente distrutti.
Ci univano i segreti e i traumi.
Ricordo che io odiavo a morte la superficialità con la quale affrontavi tutte le relazioni coi ragazzi, che invidiavo questo tuo menefreghismo e che però avrei preso a pugni tutti quelli che non capivano perché tu fossi così.
Tu invece odiavi quel mio ragazzo fisso che un giorno mi voleva da morire e dieci giorni mi avvelenava.
Non ho mai capito se lo odiassi di più perché pensavi che fosse uno stronzo o perché mi distraeva sempre da te.
Quando mi ha lasciata c’eri tu, ti guardavo e comprendevo a pieno quanto stessi soffrendo perché i miei sentimenti si riflettevano sulla tua faccia e i tuoi sulla mia.
Guardare te era come guardarmi allo specchio.
Quella notte hai dormito con me e mi hai abbracciata forte mentre singhiozzavo, ma il giorno dopo abbiamo bevuto da schifo e tu stavi già volando via da quel mondo che ci eravamo costruite insieme.
Un po’ è successo perché è arrivato lui, quello che poi ha preso il mio posto nel tuo letto, quello al quale hai concesso il privilegio di sapere chi fossi davvero e di cambiarti definitivamente.
Un po’ è successo perché poi sono arrivate le nostre malattie, o meglio, sono tornate simultaneamente.
Io non volevo alzarmi dal letto e tu volevi pesare sempre meno.
In sostanza non potevamo risollevarci e, abituate a fare tutto insieme, abbiamo fatto anche questo: siamo andate a fondo una accanto all’altra.
Ci chiamavano le gemelle.
Ridevamo allo stesso modo e delle stesse cose, parlavamo allo stesso modo e con la stessa voce.
Ricordo quando mi facevi mandare i vocali col tuo telefono facendomi fingere di essere te.
Poi siamo cresciute e anche le corde vocali si sono modificate condannandoci a due voci e due cadenze opposte.
Condividevamo tutto e smezzavamo tutto: i panini a scuola, le pizze durante le cene fuori, i pacchi di Marlboro, i dolori e anche le mutande. Le mie sempre in pizzo, le tue sempre in microfibra.
Non ricordo nemmeno una cosa che non facessimo insieme.
Abbiamo mescolato tutto.
La saliva, il sudore, il sangue e le nostre anime stesse.
I pomeriggi del periodo del liceo tu mi mostravi il greco e io ti spiegavo la matematica anche se alla fine facevo schifo pure io.
Forse il fatto che nessuna delle due sapesse fare i conti ha influito tanto, infatti quando alla fine del nostro tragitto abbiamo tirato le somme ci siamo accorte di aver perso entrambe tutto.
A volte mi sembra di percepire tutto come se l’universo stesso fosse organizzato sin dal principio in modo che tutto quello che ci aveva tenute strette alla fine si sgretolasse per lasciare questo amaro in bocca.
Il primo anno di università lo abbiamo passato insieme, io mi ero finalmente trasferita nella città nella quale tu stavi già crescendo da un po’.
All’inizio non potevamo crederci, ci sentivamo disorientate.
Oggi invece ho come l’impressione che entrambe avessimo sognato e immaginato quel momento diversamente.
Lo avevamo scolpito nelle nostre teste come il momento più bello della nostra vita, quello in cui finalmente potevamo annullare le distanze e riprenderci tutto il tempo che avevamo perso.
Ma non c’era più niente da fare, gli impulsi elettrici dei nostri neuroni avevano già lunghezze d’onda differenti e i nostri battiti cardiaci non avevano più la stessa frequenza.
Ti ho amata più di ogni altra cosa al mondo, te lo giuro.
Ti ho amata più di quello stronzo che mi ha fatto perdere la testa e per il quale tu non hai saputo consolarmi.
Ti ho amata così tanto che non saprei come si possa amare di più, così tanto che dopo di te non sono più riuscita ad amare niente. Nemmeno me stessa.
Abbiamo iniziato tutto sedute tra i banchetti di scuola condividendo i colori Giotto, abbiamo continuato sedendoci sulle panchine della Villa, sul nostro scalino personale dietro quel supermercato che ha cambiato mille gestioni. Abbiamo preso mille autobus per il centro e altri mille per il mare, ci siamo armate di pazienza e abbiamo aspettato che tornasse l’estate e poi abbiamo maledetto l’inverno che ci separava di nuovo.
Ci siamo viste nude, in mutande e coi maglioni, correndo ubriache per le vie della città e sotto le coperte a parlare fino alle sei aspettando l’alba. Ci siamo rette la testa insieme mentre vomitevamo per l’alcol e abbiamo diviso coperte minuscole per ripararci dal freddo.
Ci guardavano tutti perché eravamo bellissime da vedere insime, ma eravamo anche il ritratto dell’autodistruzione.
Eri bellissima quando ridevi in moto col vento che ti portava i capelli sul viso.
Lo eri anche quando piangevi per il nervosismo.
Abbiamo finito il nostro tragitto sedute al tavolino di un bar col tramonto sul mare che poteva solo accompagnare tutta la tristezza che avevamo già addosso.
Era inverno e c’era un freddo umido, quello che ti entra nelle ossa e ci rimane per giorni.
Io che ti dicevo di essere stanca, che lasciavo tutto e andavo via da quella città che mi comprimeva il petto. Io che ti dicevo che ti lasciavo lì e che non tornavo. Che la nostra storia era giunta al capolinea, che quel treno era guasto e non poteva ripartire. Che non ne potevo più e mi sentivo in colpa per questo.
Tu che davanti a un caffè ormai freddo che ti sostituiva tutti i pasti da mesi annuivi e non volevi capire quel che ti stavo dicendo.
Non dimenticherò mai i tuoi occhi in quel momento.
Mi sono sembrati gli stessi occhi malinconici di dieci anni prima di quando avevi lasciato il nostro paesino.
Non abbiamo fatto storie, non ci siamo nemmeno dette “addio” chiaramente.
Ci siamo salutate con rispetto, come due soldati che hanno combattuto e perso una guerra insieme pur mettendocela tutta.
Adesso ti colloco qui, in questo cimitero di ricordi nel quale ho seppellito te e quel pezzo della mia anima che ho lasciato a quel tavolino dopo aver spento l’ultima sigaretta, ripreso le chiavi della macchina ed essere scappata via.
Avrei voluto salvarti, ma non ho avuto il coraggio di rimanere perché a quel punto avrei uccisa me stessa.
Sarei rimasta, ma tu non eri più tu. Quella relazione ti aveva spenta. Io ho provato a dirtelo, a svegliarti, a rimetterti in mani tutto quello che andavi perdendo.
Però tu non c’eri più. La tua malattia era diventata la mia, ma nonostante questo tu non riuscivi più ad esserci per me.
Non c’eri davvero quando quello stronzo mi aveva abbandonata, quando avevo bussato alla tua porta con gli occhi rossi e ti avevo implorato aiuto.
Non c’eri davvero quando ti ho detto che avevo cominciato a farmi, che la situazione mi era sfuggita di mano, ma che stavo provando a risolvere, che avevo cominciato l’ennesima terapia.
Non c’eri davvero quando vedevo le mie ambizioni sgretolarmisi davanti, quando vedevo i miei sogni diventare irraggiungibili, quando ero costretta ad accontentarmi e accettare i miei fallimenti.
Non c’eri e non lo facevi apposta. Semplicemente tu non eri più tu.
Volevo dirti che adesso sto bene e che ho imparato da capo a fare da sola tutte le cose che prima facevo solo con te, che ne ho imparate anche di nuove e mi sarebbe piaciuto mostrartele.
Spero che un giorno troverai la serenità che non siamo riuscite a trovare insieme e che tutti i dolori che ci raccontavamo potranno lasciarci in pace trasformandoci nella versione migliore di noi stesse.
Mi mancherai sempre, soprattutto nei giorni importanti e nei momenti in cui dovrò ricorrere alle medicine per stare meglio.
Spero di ricordarti sempre bella e forte come eri quei giorni d’estate, soltanto senza quella tipica malinconia in volto.
Non ti manderò questa lettera.
Mi limiterò a lasciarla qui, nel posto che controllavi sempre per scoprire come mi sentissi e cosa pensassi quando non te lo dicevo.
Sei e sempre sarai la storia d’amore finita più dolorosa della mia vita.
Ti penso felice e spero di non sbagliarmi, almeno quest’ultima volta.
La tua gemella, la tua Aurora.
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koufax73 · 6 years
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Dimartino, "Afrodite": recensione e streaming
Dimartino, “Afrodite”: recensione e streaming

E’ la dea della bellezza greca, Afrodite, la dea che pone sotto tutela il nuovo disco di Dimartino, che è l’entità che ruota attorno al cantautore Antonio Dimartino (basso, chitarre e voce), composta anche da Angelo Trabace (pianoforte sinth, cori) e Giusto Correnti (batteria, cori).
Risale al 2010 il debutto, dal titolo Cara maestra abbiamo persoprodotto insieme a Cesare Basile. Nel 2012 esce…
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cartacei · 9 years
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“Cambio idea sennò non smetto di punirmi”
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coscienzalfosforo · 9 years
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"Pensami almeno nei giorni feriali" scriveva al suo caporale in licenza alle Seychelles. Vorrei morire cantando, potresti non trovarmi qui, sotto ai balconi nei giorni violenti e splendidi.
Antonio Di Martino, Marzo ‘48
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darioblogme · 9 years
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“Voglio che rimani ancora qui con me stanotte, ho bisogno di sentirti ancora mia, anche se non guido come l'altro se non fumo come l'altro voglio farti compagnia”
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twittami · 11 years
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valentinaina · 14 years
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felici come animali d'appartamento
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