#camera dei bimbi
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Sono andato a casa di mia madre, devo sistemarle alcune carte per l'appuntamento che a breve avrà per la compilazione dell'ISEE 2024. Sono seduto nella sua camera da letto controllando i documenti. Suona il videocitofono.
"Vado io" - le sento dire mentre con il <toc-toc> del bastone dal soggiorno si avvia a rispondere.
"Chi è?" - lunga pausa.
"Kittemmuort" - le sento dire, poi il silenzio.
"Mamma, tutto a posto? Chi è?" - le chiedo.
Mi raggiunge in camera, ricurva su se stessa con il <tic-toc> del bastone - "Gente strana" - mi dice.
"Ma' in che senso strana?"
"Erano dei matti, dicevano di essere dei bimbi con un folletto"
"..."
Quelli della Vorwerk sono avvisati. Ora sotto a quelli della Dyson e del Kirby.
#libero de mente#pensiero#frase#ironia#vita#amore#madre#bimby#folletto#piazzisti#porta a porta#venditori
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This is a rather interesting interview. It is in Italian, and I am not entirely sure about the built in Firefox translator (hence not posting the full thing here), but even allowing for some dodgy interpretation, it's fascinating.
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Autonomia
Nel nome della crescita personale e scolastica le maestre sono state chiare: cari genitori vi chiediamo di non controllare mai lo zaino dei vostri figli, abbiamo consegnato l’orario plastificato, lo appenderanno in camera, ogni sera faranno da soli e se sbaglieranno ci penseremo noi. Ci è sembrata un’ottima iniziativa, i bimbi sono ormai in terza ed è bene che facciano da soli. E in generale…
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La destra vuole tenere le madri in carcere perché “si approfittano di bimbi e gravidanza”
DIRETTA TV 23 Marzo 2023 Alla Camera dei deputati la destra ha modificato una legge del Pd, che serviva a migliorare le condizioni delle detenute madri, con l’obiettivo di tenere in carcere donne e bambini: “Vogliono liberare le borseggiatrici che usano bimbi e gravidanza”, dice Salvini. 41 CONDIVISIONI La destra assalta una proposta di legge del Pd, i dem ritirano le firme. È stata una…
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Completo letto singolo in flanella dei personaggi AVENGERS.
- 1 lenzuolo sopra.
- 1 lenzuolo sotto con angoli.
- 1 federa a sacchetto.
- stampa a tema AVENGERS
- morbida e calda flanella di puro cotone.
- ideale per l'inverno.
- misure: lenzuolo sopra 150X280 CM,lenzuolo sotto 90x195 cm,federa 50x80 cm.
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C'è questo post it in camera tua che dice 'in natura la luce crea il colore. Nella pittura il colore crea la luce' e probabilmente nella mia vita la luce la crei tu anche e soprattutto quando devo respirare da un sacchetto o quando quelle stupide pastiglie non funzionano.
Abbiamo fatto una lista dei posti che dobbiamo assolutamente vedere con la promessa di non prendere troppi impegni che ci tengano lontani. Mi sento sempre in trappola tra quelle due pareti che piano piano si avvicinano ma poi tu mi dai un abbraccio per evitare che, almeno per oggi, mi schiaccino.
Mi viene un po' da piangere e un po' da smettere di respirare e mi sento in colpa per non riuscire a restare in equilibrio più di due ore. Spero che un giorno mi perdonerai per questo mio essere continuamente autodistruttiva nei confronti di qualsiasi cosa.
Oggi però è entrata la luce.
Vorrei che entrasse sempre come è entrata oggi nonostante i miei silenzi. Oggi sono entrati i castelli, Bologna, la torta fatta alle otto, i pranzi sul Panaro e i the alla pesca nel bricchino come quelli dei bimbi. Mi dimentico di tutto e vorrei che anche l'ansia e il mal di testa si dimenticassero di me ma non succede mai.
Questo lunedì però non lo voglio dimenticare.
Tra un mese sono tredici anni.
Sono tredici anni che crei quella luce.
La vita fa sempre schifo ma con te è più bella.
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Episodio 6 – Delle coincidenze e delle scoperte
In Veneto ci sono le spiagge, nel senso che anch’esso è un luogo di villeggiatura. Io ben lo sapevo, vivendo in Lombardia conosco un buon numero di persone con famiglia che si avventurano e oltrepassano la Romagna per le loro vacanze estive e io però non mi sono mai chiesta che razza di mare ci fosse in Veneto al punto da permettere delle vacanze, nel senso son stata a Venezia per carità, fin troppe volte, e so che il Veneto su un lato confina con il Mar Adriatico, però da qui ad immaginarmelo meta turistica estiva mi serviva uno shift mentale. Poi ho deciso di fare un weekend lungo sul delta del Po, che ancora devo far pace con l’ambiente fluviale e soprattutto con il Po, anzi, soprattutto con le zone paludose che circondando il più grande fiume d’Italia, per esempio quella in cui abito da ben 6 anni 7 anni. Mi viene la fantasia di provare a farmi piacere il posto salmastro per definizione, il posto in cui tutto è in umido, tutto è ammollo in acque torbide e ferme e la vita è una distesa di cielo e paludi. Ammazza che ficata direte voi, punti di vista. Devo fare delle premesse.
Qualche sabato fa son venuti a trovarmi dei cari amici con cui ho condiviso dieci anni a Roma, senza soffermarci su dettagli qui inutili, uno di loro mi consiglia di vedere il nuovo programma di Cracco su Prime Video, al momento del consiglio io avevo già deciso di trascorrere tre giorni tra le amabili acque stagnanti alla foce del Po e con questa convinzione una sera decido di dare una possibilità al programma di cucina. Ho poco tempo, lo metto su giusto per qualche minuto per capire. Prima puntata, ospite Fabio De Luigi, zona visitata: Po e delta del Po. WTF 1.
Un paio di sere dopo, proprio in prossimità della mia partenza io che sono una casalinga disperata noto, su un gruppo di facebook dedicato all’arredamento, una foto che ritrae una stanza da ragazzo con dei bei mobili che sembrano di design, approfondisco ed è la nuova camera da letto del figlio di Belen. Sì, quella Belen, la farfallina sull’inguine. Cerco sul web altre foto e non ne trovo, ma in giro trovo delle foto di lei in vacanza in un posto che ha dei colori fantastici, dalle foto il posto sembra essere selvaggio però non bello da copertina, nel senso questa s’è fatta la vacanza in un canale affianco alla casa dove vive??? In un tubo di scarico ripulito? Che strano posto che pare bucolico, elegante e fangoso allo stesso tempo, ma che colori assurdi, ma perché puccia i piedi in un rivolo di acqua che pare una pozzanghera? Come mai è andata in vacanza in un luogo abbandonato e bellissimo? Mi sento stranamente attratta da quell’atmosfera abbandonata, languida, incompresa e incomprensibile, enigmatica. È Albarella, un’isola al largo del delta del Po. WTF 2.
Va bene, andiamo, male che vada mi sfondo di capesante e ostriche.
Adesso, io conosco davvero poche persone che abbiano girato l’Italia quanto l’ho girata io solo per passione e non per lavoro, forse non ne conosco e però posti così io non ne ho mai visti se non negli Stati Uniti, nel Maine, quando con papà andavamo a casa di amici e catturavamo i crostacei nelle gabbie che immergevamo dall’argine. E questo posto, la riserva del delta mi ha ricordato quel posto lontano nella vita e nel mondo. È un posto che ha il blu, il rosso e il giallo immischiati in modo unico, ha dei cieli sconfinati distesi su villaggi che son rimasti antichi, i vecchi ai bar, i bimbi per strada col pallone, assenza di civiltà, il vento che muove nel vuoto miliardi di granelli di sabbia, le sere azzurre e malinconiche per chilometri e spiagge di sabbia immense che se chiudi gli occhi potresti essere in Algarve, ma con più vongole sul bagnasciuga. Tramonti indimenticabili. Gli argini del Po in quel luogo in cui si confonde col mare sono così strani, così frastagliati, confondono e smarriscono, mi piacerebbe conoscere le persone che lì ci nascono e vivono per capire cosa si portano dentro di quell’ecosistema ricco e vivo, di quella natura prepotente e però umile, non vuole essere infastidita lì la natura. Di solito si pensa al mare, ai monti, io mi stupisco di non aver mai desiderato andarci prima. E il pesce è buonissimo e pure il vino (ça va sans dire).
Tutto questo preambolo per parlare invece delle anguille, che non ho avuto il coraggio di assaggiare, anche se il posto delle anguille è Comacchio e io son rimasta in Veneto, in ogni caso la situazione è questa. Delle anguille si sa molto, ma non tutto e qualche sera prima di partire Matteo mi disse che c’avevano na fissa per riprodursi, nel senso che tutte le anguille per depositare le uova se la fanno fino al mare dei Sargassi da dovunque si trovassero, secondo il pescatore intervistato da Cracco è una roba di sperma e terra, ma mi fido poco dell’autoctono nonostante la sua evidente esperienza nella pesca e cucina della specie, ma secondo le mie ricerche su internet è vero, queste da ovunque si trovano nuotano fino al Golfo del Messico praticamente per andarsi a riprodurre, riproduzione che ancora non si sa precisamente come avviene, molto interessante è che anche le anguille che vivono nei laghi o in posti chiusi come gli stagni riescono a raggiungere il luogo prestabilito, strisciano sulla terra ferma di notte di zona umida in zona umida e poi rientrano in acqua e non si sa bene come e seguendo un percorso che conoscono solo loro giungono lì dove poi tutte depositano e muoiono, le anguille hanno tutte la stessa cittadinanza, nascono tutte nello stesso posto, niente ius soli o problemi di immigrazione, loro sono tutte messicane e poi vengono in Europa e ci mettono tre anni circa a rifare il percorso a ritroso.
Non si capisce come sia possibile allevarle se per riprodursi poi queste devono di nuovo tornare dove son nate, sguscio e rifuggo la fine precoce.
Insomma
Non mi avrete mai come volete voi
#episodi#cose mie#viya#veneto#po#fiume#tramonti#tra i tramonti più belli mai visti#anguille#99 posse#musica#episodio 6#atarassia#di nuova me#di vecchie abitudini#racconti#palude#delta#mare#belen#carlo cracco#cucina#amazon prime
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Lattuada Il segno elegante
Art direction Roberto Da Pozzo Grafica Ciro Toscano Immagini Stefano Fiorio
con la collaborazione della Regione Lombardia e della Camera Nazionale della Moda Italiana
Catalogo della mostra "Alberto Lattuada - Il segno elegante", Fondazione Catella, Milano 2008
euro 110,00
email if you want to buy :[email protected]
Stilista italiano nato a Caronno Pertusella (Varese). Lo hanno definito "uomo di stile"; le cronache lo fanno nascere professionalmente nel 1955 con i disegni per il quotidiano Women's Wear Daily, anche se già da qualche anno collaborava con Mamme e Bimbi di Silvana Bernasconi. Ha lavorato per numerosi periodici femminili (fra i quali Novità, Bellezza, Annabella e Marie Claire) Linea Italiana e Linea Uomo e per lungo tempo ha dedicato la sua attività pure all'I.W.S. (Segretariato Internazionale della Lana). Conosciuto per il suo spirito ironico, le battute corrosive e feroci, schivo e introverso pur dichiarandosi timido, è noto per le collezioni di abiti, maglieria, pellicceria, calzature e linee sportive d'avanguardia ("Ciò che preferisco è lo sport ad altissimo livello. E ritengo d'essere stato uno dei primi a imporre questo tipo di abbigliamento anche per sera"). Dal '73 al '90 ha creato album e colori per Pitti Filati e per la filatura Avia (poi per Zegna-Baruffa). Sempre fedele al suo personaggio e al suo stile, ha tutt'ora una mano felice e up-to-date. Ha insegnato per dodici anni al Polimoda di Firenze. Nel luglio 2003 alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti, venne inaugurata "Alberto Lattuada: un maestro al Polimoda" articolata con termini dal "rural country western" alla "Manhattan Blues" alle deliziose "Victorian eccentrics". Un grande successo a sottolineare la straordinaria carriera dell'illustratore-stilista, protagonista di 50 anni di moda italiana. Di Alberto Lattuada è ben riconoscibile il tratto incisivo, il segno pittorico assolutamente originale, lo stile colto e raffinato con cui ha raccontato con sottile ironia e appasionato interesse il nascere e l'evolversi della moda italiana. Nel febbraio 2008 alla Fondazione Catella di Milano viene realizzata la mostra antologica "Alberto Lattuada - Il segno elegante".
13/10/22
orders to: [email protected]
ordini a: [email protected]
twitter: @fashionbooksmi
instagram: fashionbooksmilano, designbooksmilano tumblr: fashionbooksmilano, designbooksmilano
#Alberto Lattuada#Il segno elegante#fashion exhibition catalogue#Fondazione Catella Milano 2008#Roberto Da Pozzo#mostra antologica#illustratore-stilista#moda italiana#fashion illustrations#illustrazioni moda#fashion books#fashionbooksmilano
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Post lungo, ma ho bisogno di sfogarmi.
Ciao nonnetta,
ti chiamavamo così no? E tu che ti innervosivi tutte le volte ahah.
Ci hai visto crescere, per anni ed anni sei stata al nostro fianco. Quando ti ho conosciuta avevo 5 anni, anzi avevamo 5 anni. Ne sono passati di anni da allora eh? Oggi eravamo tutti lì con te, anche nell'ultimo momento. Era così che volevi e ti avevamo promesso che ci saremmo sempre stati, quindi eccoci qua.
Mi ha fatto impressione vedere i ragazzi portarti lungo la navata, sai? Forse ti credevamo tutti immortale, perché non ce lo saremmo mai aspettati.
Hai lasciato un segno nel cuore di tutti. Tu sei sempre stata la donna che ha donato la vita agli altri. Non hai mai voluto bambini, perché noi eravamo i tuoi bambini. Mi ricordo quanto ti facevamo incazzare sai? Ahah. Quando giocavi con noi a pallavolo e ti rubavamo la palla, quando correvamo per il prato ed avevi paura che ci prendessimo mal di gola, mi ricordo anche quando Lorenzo ha fatto partire un porno durante la lezione e tu sei completamente impazzita ahah. Ti ricordi Simone che lanciava i limoni dal finestrino del pullman a Roma o quando ci siamo chiuse in camera con il figlio di Marika e lo abbiamo fatto uscire dalla finestra perché tu non ci sgamassi? Alla fine ci avevi comunque beccate ahah. A ciaspolare? Che cadevi sempre ed Ale ti prendeva in braccio? La più anziana ma quella che ci stava più al passo, correvi per Venezia come una pazza perché Stefano voleva fare il bagno ahah. Oppure che ricordi quando sapevi che io e Gorge o Marti ed Andrea ecc ci piacevamo e cercavi di farci mettere insieme in ogni modo ahah. Quando Luca mi ha rotto il cerchietto della Comunione e sono scoppiata a piangere e tu? Tu sei corsa a ricomprarmelo per consolarmi. Quando correvamo a vedere Miressi nuotare? E tu dicevi sempre che sarebbe diventato un grande, un pezzo grosso? Chi ci aveva visto meglio di te?
Scusa ma avevo bisogno di scrivere qualche ricordo insieme, anche se ne avrei penso altri mille.
Sempre al nostro fianco, anche quando non eravamo più lì con te. Non mancavi di scriverci un messaggio o venirci a trovare. Ci hai protetto come avrebbe fatto una mamma. Oggi mi ha ricordato quel 13 maggio dell'anno scorso, quando eravamo noi a portare la bara di Andrea. Nonostante tutto tu eri lì a piangere con noi, ci hai accompagnati anche quel giorno.
Sono felice di una cosa sai però? Ti ricordi quando da bambini ci chiedevamo come saremmo voluti morire? Tu avevi detto che avresti voluto soffrire poco e che saresti voluta morire in primavera circondata da tanti fiordalisi. Alla fine ti sei addormentata e non ti sei più svegliata, eri tanto stanca dopo quei problemi al cuore eh? Ed indovina? È aprile e siamo circondati da fiori. Quindi è andato tutto come volevi no?
Pensa che Aldo quando mi ha vista in lontananza mi fa: oddio ma sei tu? Quanto sei diventata bella, Lu lo diceva sempre che saresti diventata bellissima. Parlavi sempre dei tuoi "bambini" testolina?
Ah e maestra Marta quando ci ha visti tutti insieme è scoppiata a piangere e ha iniziato a dire "i miei bambini cresciuti". I suoi bimbi ci sono saltati in braccio felici e ridevano come dei matti. Marika ed Erika non invecchiano mai eh tra l'altro? Sono immortali più di te quelle donne.
Però sei comunque la solita testa di cazzo. Ora Barbara come fa senza di te? Girava sperduta, per lei sarà il periodo più difficile. Non preoccuparti però che noi ci siamo sempre con lei, la proteggiamo al posto tuo.
Ma tra l'altro ti ricordi quando ti portavo i fili per cucire che mi dava nonna? E tu eri felice perché così potevi fare i vestitini ai figli di qualcuno di noi?
Sei una donna speciale, un po' di te resterà sempre in noi. Bianca ha ringraziato tutti e ci ha dato la lettera che hai scritto per ognuno di noi. Non ti sei dimenticata proprio di nessuno, avevi già pensato a tutto. Ma è da te d'altronde.
Mi ha fatto impressione rivedere tutti, io vedevo te e qualcuno, ma non ci incontravamo insieme da secoli. Chi studia, chi si è laureato, chi è padre di famiglia, chi è incinta, chi studia dall'altra parte del mondo, eravamo tutti lì, nonostante tutto. Non volevi essere dimenticata eh nonnetta? Beh ci sei riuscita, spero di farcela anche io a lasciare un segno nel cuore della gente come hai fatto tu. Hai fatto tornare tutti a Torino capitale (la cit. di Nicolò e Paolo te la ricorderai sicuramente ahah). O meglio, hai fatto tornare tutti a casa. Ne avevamo bisogno. Grazie nonnetta.
P.s. mi hai fatto venire voglia di riguardare i nostri vecchi filmati con gli altri sai? Oggi mi vuoi proprio far piangere come una fontana testolina.
-Lullaby
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Musical Au? 🥺💞
/ Mi son persa nella parte "pre carriera", quindi alla fine è più un mix di tutto quello che il cretino ha fatto prima di sbarcare sulla scena dei musical.
Per scusarmi, piccola gif da "Billy Elliot", parte che *SPOILERMAANCHENO* baby Marco non ha mai ottenuto
INIZI:
- La prima a credere che Marco potesse avere qualche speranza inseguendo una carriera musicale è una suorina giovane, appena arrivata in paese, ultimo acquisto della parrocchia e maestra del coro dei bimbi. Dopo aver sentito cantare un Marcolino svogliato di sette anni / CAPITELO, lo avevano obbligato / alle prove per la vigilia della Santa Messa di Natale, ha pensato di proporre timidamente di fargli studiare musica ai genitori.
- Benché orgogliosi, non ne erano comunque troppo convinti, per via dei costi. La famiglia di Marco gestisce un allevamento di cavalli e cercano sempre di risparmiare per poter ingrandire piano piano l'attività. C'è voluto un bel po' per far sì che lo iscrivessero ad una scuola di musica di un paese vicino.
- Marco ha cominciato studiando solfeggio, che odiava, pianoforte e canto. Peccato che farlo stare fermo era alquanto impossibile: hanno provato a cambiare diversi insegnanti privati, ma è sempre stato tutto inutile. Il bimbo aveva bisogno di muoversi in continuazione, il che non aiutava nel rendimento.
- Si è allora proposto di fargli fare qualche sport per farlo sfogare. Marco è stato quindi iscritto ad otto anni, senza saperlo, ad un corso di danza classica su consiglio dell'insegnante di canto, che voleva ricavarne un attore di musical.
- Si preventivava un disastro ed invece, stranamente, Marco è rimasto ipnotizzato dal ballo. Ha iniziato ad esercitarsi ovunque, anche quando insisteva per aiutare il padre con l'allevamento. Inutile dire che hanno urlato tutti al miracolo, ancor di più quando Marco ha annunciato di voler fare il provino per la parte di Billy Elliot nel musical della scuola di ballo.
- Per la parte, Marco si è impegnato per mesi nel tentativo di ottenerla. È stata quindi una delusione enorme scoprire che avevano scelto un altro bimbo al posto suo, talmente grande che ha mollato la danza per tornare a studiare canto e piano. Nel frattempo si è iscritto a rugby.
ADOLESCENZA:
- Trascorsi 3/4 anni, Marco ci è ricascato ed ha avvertito il bisogno di tornare a danzare. Si è quindi iscritto nuovamente in una scuola di danza con lo scopo di migliorare.
- Per questo, è riuscito a convincere i genitori a farlo andare a Milano da uno zio per poter frequentare la Scuola di Ballo della Scala, frequentando così anche un liceo coreutico.
- È alla Scuola che incontra Alessandro, Rosa e Giorgia, anche loro lì per sbarcare nel mondo della danza. Nessuno ha ancora capito come abbiano legato questi quattro, visto che l'unica con cui Marco sembra andare più o meno d'accordo è Rosa.
- Controllare gli ormoni è stata la cosa più difficile durante quegli anni. Non lo aiuta il fatto di trovare un po' troppo attraenti non solo i tutù, ma anche le calzamaglie. Un po' troppo le calzamaglie.
- La cosa lo ha messo a disagio non poco perché lui tutto voleva che cadere nello stereotipo ballerino = gay, ma c'è qualcosa di fin troppo eccitante nel vederle fasciare i corpi dei suoi colleghi maschili. Il problema è che li fissa in continuazione, non ce la fa a smettere e managgia, non è il caso, è giovane, il suo corpo non lo controlla mica così facilmente!
- Si è sentito talmente confuso che per mesi si è messo apposta a corteggiare ogni singola ballerina della scuola e si è accorto che le donne gli piacciono tantissimo, la sua compagna di classe al liceo, Maria, in particolare lo attrae molto e ci è uscito più volte, l'ha anche baciata e tutto ma allora perché continua a sognarsi Sandrino che balla in calzamaglia in camera sua?!
- La sua compagna fissa di ballo è Giorgia. Quando è stata comunicata la notizia, la prima reazione di Marco è stato ridere ed urlare"Con la nana?!" È tornato a casa con un livido in testa dato dalle scarpette da punta della ragazza. Va a finire che, non si sa come, diventano praticamente migliori amici.
- La cosa che preferisce fare sono le prese. Gli piace tantissimo poter sollevare la sua compagna e farla girare, lo fa sentire più leggero.
- Il suo balletto preferito è la "Coppélia" che gli fa anche capire di dare ascolto ai suoi desideri, iscrivendosi così ad un corso serio di teatro: vuole provare a calcare le scene non solo come ballerino, ma anche come attore e cantante.
VARIE ED EVENTUALI:
- Nonostante i molti sforzi non riesce a sfondare sulla scena internazionale, per cui si unisce ad una compagnia indipendente italiana che realizza musical ispirati alla letteratura, girando per le scuole. Scopre che la cosa lo gratifica molto perché può interagire con bambini e ragazzi.
- I complessi ovviamente, ad un certo punto, se li è fatti passare. Ha scoperto che la sua cotta per Alessandro era tutto tranne che un mistero, grazie a Rosa e ha provato a riprendere i contatti anche con lui, visto che è quello che sente meno. Almeno ora si spiega le battute continue di Rosa e Giorgia. Della prima, soprattutto.
- Ultima cosa, ma non meno importante, mi immagino Marco con una voce da baritono.
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“Ad Auschwitz si va sempre e solo a sinistra. Non c’è una volta, in oltre tre ore di visita, che Beata e poi un lunghissimo cognome polacco, guida in lingua italiana del museo del campo di sterminio nazista, dirà di andare a destra. Anzi, una volta lo dirà, cioè alla fine della visita, quando ci porterà ai resti dei forni crematori di Birkenau o se preferite Auschwitz II. D’altra parte andava così anche nella realtà del campo di sterminio. Appena scesi dai treni merce c’era la prima selezione: se il medico SS indicava a destra era la camera a gas per i più deboli, a sinistra la morte più lenta nelle baracche.
“Qui sono state ammazzate un milione e trecento mila persone, di queste oltre un milione e cento erano ebrei”. Dice “ammazzate”, non un generico “sono morte”: “ammazzate”, punto. E guardandoti negli occhi snocciola i numeri: ebrei, polacchi, prigionieri sovietici, rom, intellettuali critici, partigiani, omosessuali. Ma poi puntualizza, per anticipare fraintendimenti: “ma più del 90 per cento ebrei”.
E io guardo e non capisco. Non riesco a immaginarlo. Vedi tutto. Vedi quel che resta, quel che è stato ricostruito, le tonnellate di capelli, i quintali di occhiali, le divise macilente, le foto dei forni crematori in funzione, le perle di zyklon B (il gas letale), le baracche, vedo ma non riesco a figurarmelo.
E mi accorgo che supera la mia comprensione perché finisce sempre male e sempre senza un motivo accettabile, umanamente accettabile. Se sei la mamma che scende dal treno con i suoi bimbi e il neonato in braccio e non vuoi separarti dai tuoi piccoli, muori. Se sei un uomo con il bastone muori. Se sei piagato da un viaggio di una settimana in un vagone merci, muori. Se alla SS dici di avere tredici anni, muori. Se il tuo treno è il quinto ad arrivare a Birkenau, muori. Tu arrivi qui e muori e non c’è un perché. Muori perché sei ebreo e muori perché ingenuamente ti fidi della SS che, nello spogliatoio della camera a gas ti dice di ricordarti del numero di gancetto a cui appendi i vestiti perché poi li dovrai riprendere. Ma il poi non ci sarà. Muori settecentomila volte.
Ma mettiamo invece che la selezione la superi. Morirai, insieme ad altri cinquecento mila, ma lo farai molto più lentamente di quelli finiti subito nelle camere a gas. Morirai di fame dopo solo sei mesi di prigionia. Sei mesi dove non sarai più una persona, ma una cosa con un numero tatuato sul braccio sinistro. “Le donne sopravvissute - racconta Beata davanti a foto orribili - pesavano tra i 23 e i 35 chilogrammi, alcune sono morte perché hanno dato loro un pasto normale e il loro corpo non sapeva più assimilarlo”.
I sopravvissuti, già perché qualcuno è sopravvissuto. Gli italiani più famosi li conosciamo. 174.517 era la matricola di Primo Levi. Lo ha scritto chiaro e tondo nei suoi libri che è rimasto in vita solo per caso, per fortuna. Dei 650 con i quali arrivò da Fossoli, si salvarono in venti. 75.190 è il tatuaggio fatto sopra il polso sinistro a Liliana Segre, fa parte dei 776 ragazzini italiani arrivati ad Auschwitz quando non avevano ancora quattordici anni, lei e altri ventiquattro sono sopravvissuti.
Il sopravvissuto lo riesci a immaginare. Ne conosci il volto. I morti, alcuni, li conosci qui. Le foto nei “pigiami” a righe. Ma sembrano lapidi. Sembra un cimitero. Invece questo non è un cimitero, è un massacro. Un massacro di dimensioni tali che la parola non esiste e, anche se ti ci vuoi rifugiare in quella che sembra coniata apposta, la puoi sentire, ma non comprendere. È troppo.
“Anche noi quando pensavamo ai deportati, avevamo vergogna: non avevamo niente da rimproverarci, ma non avevamo sofferto abbastanza”.
Lo scrive Simone De Beauvoir ne I Mandarini ed è per questa frase che sono qui. Però è arrivato qui che mi accorgo dove sta l’inganno.
Io posso cercare di immedesimarmi quanto voglio per cercare di comprendere, ma io non sono un deportato. Io non sono un condannato a morte. Io qui non ci sono finito. E quindi, inequivocabilmente io sto dall’altra parte del filo spinato. Di quel filo spinato elettrificato così tanto che alcuni, esausti, vi si attaccavano per suicidarsi.
Dei miei due nonni uno era partigiano e non l’ho conosciuto, l’altro invece era scappato da Napoli con l’Armistizio e a piedi era tornato a casa in Veneto. Questo nonno l’ho conosciuto e io, beh, ero fiero dell’altro. Di quello che faceva saltare i ponti contro i nazisti e non di quello che da loro si nascondeva. Ma ero troppo piccolo e troppo vigliacco per chiedergli: “nonno ma perché tu non sparavi alle SS, come l’altro nonno”. La paura che mi ha sempre attanagliato a ogni 25 aprile era che io poi non avrei avuto il coraggio del nonno partigiano.
E qui ad Auschwitz la domanda si moltiplica per milioni di morti. È facile oggi dire da che parte sarei stato. Ma settantacinque anni fa io mi sarei chiesto come mai scomparivano i miei compagni di scuola? Avrei saputo non girare le spalle al compagno ebreo? Avrei aiutato qualcuno a fuggire? Avrei avuto il coraggio di nasconderlo? Mi sarei rifiutato di essere il macchinista di un treno del binario 21? E se fossi nato tedesco, avrei saputo oppormi alla “bestia umana”?
È evidente che non c’è risposta o non abbastanza convincente.
Il 27 gennaio del 1945 i sovietici entrarono ad Auschwitz e trovarono poco meno di otto mila prigionieri. Gli altri sessantamila erano stati obbligati dai nazisti ad una marcia di centinaia di chilometri verso altri campi, in giornate a meno dieci come oggi, pochi stracci addosso e zoccoli di legno ai piedi, morirono in quindicimila. Volevano nascondere le tracce della loro disumanità.
Il 27 gennaio è la giornata della memoria. Io il così detto “Tribunale della Storia” lo immagino con gli occhi inquirenti dei miei figli e magari domani dei figli dei miei figli, pronti alla domanda che io non ho saputo fare a quel mio nonno. E li immagino fra un po’ di anni chiedermi: “ma tu da che parte stavi?” e io so che non avrò alibi. “Da che parte stavi quando sono cominciate a ricomparire le svastiche sui muri?”, “Da che parte stavi quando le teste rasate picchiavano per strada i ragazzi omosessuali?”, “Da che parte stavi quando le croci uncinate sono ricomparse, riempiendole, le nostre piazze?”, “Da che parte stavi quando rabbino era il sinonimo di tirchio e tutti sorridevano?”, “Da che parte stavi quando i miei compagni rom scomparivano dalla classe perché il loro campo era stato sgomberato?”, “Da che parti stavi quando lo zio di Mohamed affogava in mezzo al Mediterraneo?”, “Da che parte stavi quando mal vestiti in centinaia attraversavamo le Alpi per raggiungere la Francia dall’Italia?”, “Papà, ma tu da che parte stavi?”.
“Those who do not remember the past are condemned to repeat it” (“chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo”) è la frase di George Santayana all’ingresso di uno dei primi blocchi di detenzione che si visitano. Ogni 27 gennaio io di quello che è stato e di quello che è cerco di avere memoria, ma, perso dalle piccolezze mie, non sono poi così sicuro di riuscirci.”
-William Beccaro-
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Ferro in Agosto
Sai come ho fatto?
Infilando le unghie nella carne non appena cominciavo a desiderare di chiamarti e raccontare. Il bruciore mi induceva a lasciarti immerso nel tuo limbo stagionale al riparo dal mio ego(t)ismo (riesco anche a vederti, gli occhi rilassati dall'assenza di ogni scadenza che si arrotondano quando incrociano la palla rossa che cala tra il fogliame).
Solo che mi annoia soffrire di un dolore così effimero, così ho guardato i piccoli fili di sangue ricamarmi la pelle del polpaccio, o dell'avambraccio, o del lembo estratto a sorte con interesse appena tiepido, anzi, addirittura scarso. Però le vedi le piccole cicatrici che movimentano l'ammirevole monotonia della pelle abbronzata? Le vedi?
Sono i piccoli post-it in cheratina che mi hanno ricordato di starti lontana. E' a loro che devi le tue vacanze meritate e serene.
E' a loro che devi questa lettera.
Ma ora andiamo, per favore?
Ti ho aspettato, per entrare.
Il luogo è fresco di umidità, al riparo dalla calura di questo torrido mattino (certo che è notte, e certo che lo so! Ma "lì" è mattino, capisci?)
Va bene, ne abbiamo già parlato, allora mi correggo: il luogo non è fresco ma freddo. F R E D D O.
La pelle raggrinzisce come se una secchiata di acqua gelata l'avesse appena trafitta, e il sollievo dall'arsura lasciata alle spalle muta in dolore leggero non appena le ossa roventi si temprano alla temperatura inattesa. Va meglio adesso?
Come promesso. Ometto le omissioni stilistiche e recido i vaporosi merletti con cui amo rivestire le cose camuffandole.
Come hai preteso, come ho promesso, tu (#tu#) non avrai sconti.
Il portoncino bianco cigola insieme alle cicale, e il piccolo atrio buio odoroso di muffa ci inghiottisce lasciandoci spauriti e titubanti come quando - ricordi?- bimbi affondati nelle coperte temevamo l'istante in cui il sonno ci avrebbe sopraffatti e dolcemente assassinati col suo nulla (non è un merletto questo, NON LO E'! - non osare dirmelo).
E' solo un attimo, poi gli occhi si allineano agli spettri della non luce e dalle ombre affiorano forme distinte e note, a me naturalmente, e a te per mia mano, tra pochissimo.
No, aspetta un secondo. Ho bisogno di allestirmi un caffé. 'Spetta, taci, non frignare.
Eccomi eccomi (…COSA?! …Ti avrei lasciato solo troppo a lungo? …Paura, tu?! …B U G I A R D O).
Ti ha incuriosito il piccolo attaccapanni sulla destra (lo sapevo, devi avere visto col tuo terzo occhio, o sentito col tuo quinto orecchio). Tre ganci tondi in ferro battuto e cupo. Non li vedi bene perché in questo momento sono nascosti da felpe e giacche di varie dimensioni estranee alla routine della casa. Prova a spostarle, e guarda meglio se vuoi. Un uomo ci ha lasciato appesa la vita, anni fa, dopo aver gridato un nome. Tutto qua, non c'è altro. Bàstatelo.
Di fronte una scala in pietra grigia, nove alti scalini, a fianco dei quali una minuscola porta di un minuscola sottoscala ospita un minuscolo bagno dove mai entrerei mezza vestita figuriamoci mezza nuda.
Attento! Ora viene il bello!
Proprio tra l'attaccapanni ed il muro che conduce all'angusto pisciatoio. C'è una porta proprio lì, dove nessuno la crederebbe possibile. Il bianco ormai giallo dell'intelaiatura ospita in un certo punto, a sinistra, più in alto della sua metà, una cartolina vista mare. Non particolarmente bella, ma particolarmente adatta a nascondere il foro che una mano inquieta ha osato aprire ancora anni fa con un brusco movimento dettato da piccola circostanza sfavorevole (o pugno, se preferisci).
Su, entriamo.
La stanza è invasa dai mobili, farcita in modo imbarazzante, non si riesce quasi ad attraversarla senza urtare lo spigolo del lungo tavolo o il piede di una delle otto sedie abitanti quei modesti metri quadrati, o la rotella della stufa a gas, o il divanetto duecentomila lire tutto compreso, vuoi che non lo sappia?
E ora non stare a immaginare chissà quali intense riunioni umane, porcellane, pietanze e gomiti tiepidi che si sfiorano in amichevole convivialità, non è il caso di sprecare tanta bella fantasia.
Quella che stai osservando è pura rappresentazione, metodica scenografia piuttosto gotica.
Questa stanza è magistrale rappresentazione di un soggiorno vissuto e usurato dal calore umano che di calore umano non ha mai sentito l'afrore, ed ogni oggetto che la occupa recita con maestria il suo ruolo immoto e privo di vita.
Non mi credi (me lo dice il modo in cui ti mordicchi il labbro inferiore), cioè sai che devi credermi (perché non mentirei) ma ti riesce difficile (vedendo ciò che vedi), e questo mi/ti/ci dimostra quanto il regista del trailer domestico sia stato efficiente: chapeau!
Guarda per esempio quel vaso in cristallo lucido, esattamente al centro del manufatto ad uncinetto - esattamente al centro ho detto, si, controlla pure, la sua base rotonda ha un diametro di dieci centimetri che equidista dai bordi del lato più lungo del centrino di altri dieci.
Credi che abbia mai accolto fiori veri? Che qualche insetto sfuggito ad una corolla qualsiasi lo abbia mai percorso in viaggio tra una zigrinatura e l'altra delle splendide incisioni a forma di stella che lo solcano per tutto il diametro? Esatto. Mai.
Sorridi adesso, eh? Però hai controllato (bastardo). Ma si, sorridi. Sorridiamo.
Del quadro che spezza la parete di fronte alla porta, appeso sotto un arco scalcinato che nessuno ha più pitturato, non ho altro da aggiungere. L'ho già fatto a suo tempo, forse ricordi e forse no - ho spesso il sospetto che tu faccia defluire le mie parole attraverso il tuo corpo senza trattenerne una ( o era tuo, il sospetto?), dicendo tutto quello che mi potevo (e dovevo) permettere.
Voglio solo precisare che quel volto inquieto di ragazza non viveva sotto quell'arco, non so chi abbia deciso di mettercelo, e ho fatto apposta a non dargli troppa importanza chiedendo chi sia stato.
Forse c'è andato da solo, non mi sarebbe difficile crederlo.
Sostava in un altro ambiente, una volta. Per guardarlo bisognava varcare nove gradini più altri cinque, e tenere la faccia fissa al muro, e le pupille rovesciate all'indietro, ed una mano sulla bocca. E lasciare che accadesse quel che accadeva.
Ma quanto tempo impieghi ad osservare tutte quelle chincaglierie, ti sembra il caso? Anche le foto ti interessano! Quelle le ho tirate fuori io, ci crederesti? A casa non ne ho in giro nessuna, e qui invece ne ho disseminate ovunque, scegliendole con cura maniacale affinché ognuna sostituisse un ricordo dimenticato. Freud direbbe che sono una criminale intenzionale. Che ho frantumato lo specchio della memoria nascosta lasciandone in giro i frammenti come mine inesplose affinché chiunque passando ne rimanga ferito. Lasciamoglielo dire. Nessuno è riuscito ad azzittirlo ed io non voglio essere la prima.
Forse la tenda rossa merita un po' di attenzione, anche perché con gli occhietti acuti è già un pezzo che mi stai silenziosamente (…SILENZIOSAMENTE?! Sono ormai praticamente sorda!) chiedendo a cosa serva quello scampolo di stoffa pesante che interrompe la stanza in un modo decisamente teatrale (e in effetti sembra proprio il sipario di un piccolo palcoscenico), e so come sei martellante quando ti ci metti (cioè sempre) e come non mi darai tregua fin quando non apriremo quella tenda imprevista, quindi apriamola - guarda però come lo faccio lentamente, come mi diverto a prolungare l'attesa con allegria un po' balorda, forte del fatto che IO so cosa ci aspetta.
E ora dimmi: TU te l'aspettavi?
Quel brusco cambio di scenografia, quel fascio di piastrelle scheggiate ed il vecchio lavello a fianco della cucina poco usata, e l'armadio tarlato privo di ante e il frigorifero nano che ronza come uno sciame di api? Tutti insieme segretamente avvinghiati ad un solo metro di distanza dall'ordine perfetto e desolante della metà, anzi no, dei tre quarti del resto del soggiorno buono?
No, ne sei sorpreso. E anch'io.
Varcare una facciata qualunque, anche nota, mi devasta sempre con la stessa dolorosa modalità. Non userò altre parole per questo quartino di camera, quindi adopera pure il tuo talento se hai voglia di disegnare le storie che si sono avvicendate dietro questo drappo vermiglio, o le cose che vi sono state celate (alcune anche da me).
Sai che non siamo qui per questo.
Che non è un giro turistico di quattro o di otto mura quello in cui ti ho chiesto di accompagnarmi.
Cioè no, in realtà non lo sai, perché non te l'ho detto -e non farmi lo sguardo dell'
"… ETTIPAREVAEQUANDOMAI !"
per favore.
Più che saperlo, lo senti. Come?
Col corpo.
Nelle viscere più aggrovigliate, nella vena più profonda della tua gamba sinistra, lì dove io risiedo.
Aspetta adesso, ci vuole un attimo di pausa. Facciamoci una sigaretta (che vuol dire che "non fumiamo"? E che importa? E a chi?). Lascia che io riprenda fiato.
Di nuovo. Eccomi. Ci sei ancora?
Riprendere a dipanare è decisamente difficile.
Ora, UDITE UDITE, dichiaro che non muoverò più un muscolo da questa sedia fin quando non avremo (avremo, hai letto bene) finito. Se ci volessi provare (a fuggire) immobilizzami, o legami, o non so. Trova tu un modo qualsiasi, ti sto autorizzando. C'è il caso (ci sarà sicuramente) che io ti preghi di desistere, che io ti neghi ogni autorizzazione concessa mentendo come una tossica in astinenza. Fai tu come meglio ti riesce (purché effettivamente ti riesca).
Non ho sorvolato su quei nove gradini, naturalmente.
Anzi si, naturalmente.
Ma tanto tu vieni sempre a scovarmi ovunque io mi nasconda. Anch'io lo faccio io con te, e non è meno difficile, solo che adesso è il mio turno di preda stanabile, e quindi cerco di prendere tempo e mi dibatto come un uccello impazzito in una grotta priva di uscite comode (ahi le ali, AHI LE ALIII!).
Tento di non dirti cose che non vorrei dirti ma che dovrei dirti.
Inizio della storia.
Prima di tutto una volta su quella scala ci sono scivolata, pesantemente, di schiena, e alla fine della corsa ho battuto la testa perdendo i sensi per qualche minuto, cosa che ha fatto temere per la mia vita con gran clamore dei pubblici astanti, e forse non avrebbe dovuto.
Un'altra volta lì trascorrevo la notte, tra il quinto ed il sesto gradino, in punizione. Il freddo di quel marmo mi è stillato come veleno nell'animo per sette anche otto ore di fila, e l'ha pietrificato. Lì, al buio, nel silenzio assenso dei sonni altrui mi sono fatta una promessa, cosa che non ha fatto temere nessuno per la mia vita, ma che forse avrebbe dovuto.
Fine della storia.
E perché ti incazzi adesso, scusa? Che ho detto?
Ah. Quello che NON ho detto. Capisco. Ancora un attimo di pazienza.
Guarda di nuovo nella solita stanza. La donna anziana siede su di una sedia, pingue eppure composta nella sua scatola di carne greve. Il piccolo televisore rimanda immagini stanche di notizie che nessuno segue, fanno da scenografia alla scenografia. Il caffè sbuffa nella macchinetta al di là della tenda, una manciata di medicinali attende sul tavolo pronta a svanire dalla scena dopo l'uso affinché l'ordine rimanga imperturbato. Alle sue spalle, curve, una donna di molto più giovane le pettina i lunghi capelli con delicata fermezza. Sono entrambe silenziose, lignei noccioli racchiusi in frutti acerbi incapaci di evolvere in generosa incoscienza.
Non si odiano, nemmeno si amano abbastanza da perdonarsi le insormontabili diversità, né esiste la necessità che questo accada.
Affettuosamente reciprocamente stanno.
Lei continua a pettinarle i capelli sapendo quanto questa coccola le piaccia e quanto non la meriti. Eppure continua a farle questo dono, sa che sarà ancora per poco.
Cinque. Cinque sono i segreti importanti che solo loro due condividono in questo istante. Il meno impegnativo riguarda la foto che la donna anziana e vanitosa ha indicato all'altra per la sua tomba, e che le figlie non vorranno mai (ma lo vorranno a forza). Insieme al vestito, alla sciarpetta di seta sul collo tozzo ed esangue, ed alle scarpe blu lucide tacco medio, ancora nuove, che aspettano nella scatola sul pianerottolo prima dell'ultima scala, quella nera.
"Ti truccherò il volto così non sembrerai pallida e deforme" è la promessa che strappa alla vecchia un sorriso compiaciuto e felice.
E quella terza donna? Che circola attorno alle altre due con scatti nervosi e repentini, senza riuscire mai ad avvicinarle, anzi respinta con forza molle come si respingono i poli uguali di una calamita?
Di lei non c'è niente da dire, anche se è per lei che siamo qui (recidere, lenire, dimenticare, tentare di giustificare senza riuscire a perdonare, perennemente disprezzare).
…E questo sapore di ferro arrugginito che all'improvviso mi inonda la bocca?
Coi denti ho appena squarciato la guancia senza rendermene conto, morirò dissanguata, proprio adesso: OH NO!
Mi giro: ci sei tu, a leccarmi le ferite (ci sei ancora?).
Stringimi forte la mano.
Ora, qui, mentre inscatolo i sospiri sepolti e sigillo il grazioso portoncino alle mie spalle senza nemmeno voltarmi indietro, STRINGILA!
Non lasciare che si accorgano di quanto stia tremando.
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Un flashback. Il flashback di una scalinata. La luce del tramonto che filtra dalla vetrata.
Una donna elegante che scende le scale e un uomo brizzolato che esce dallo studio al piano di sotto. Un bimbo con gli occhi verdi si nasconde dietro i pesanti tendaggi di velluto che limitano l'ingresso, pronto a sorprendere gli ospiti. Una famiglia entra dal massiccio portone la cui serratura è sempre stata difficile da manovrare, pronti per festeggiare l'ennesimo capodanno insieme.Il bimbo viene fuori dalle tende urlando e tutti scoppiano a ridere.
Gli ospiti salgono al piano superiore, dove l'ampio e luminoso salotto è arredato a festa. I lampadari emanano una calda luce gialla e la tavola è già imbandita. I due bimbi più grandi si accomodano sulle poltrone e il signore calvo decide di scattare una foto. Chi l'avrebbe detto che quello scatto sarebbe rimasto sotto a un vetro in bella mostra per sempre, congelando un istante di infanzia. La bimba più piccola dai capelli ricci scorrazza qua e la infastidendo tutti, sgridata continuamente dalla madre. Ci si siede a tavola e dopo quella che sembra un'infinità i bimbi sono finalmente congedati. Inizia il divertimento. Scappano via dagli adulti, portandosi dietro la piccola in quel labirinto di corridoi bui, ricordandole di non inoltrarsi nella zona proibita della casa. Arrivano in cucina dove, incorniciata sul muro c'è l'ennesima foto. La bimba bionda è seduta su un'altalena mentre il fidanzatino è immobilizzato nel gesto di spingerla. Ecco uno degli altri tanti momenti condivisi; chissà quanto tempo quella foto è rimasta li, sopra il tavolo della cucina, in bella vista. Chissà adesso quella casa come è diventata, chissà quella foto che fine avrà fatto, col senno di poi.
Ovunque scatti di viaggi, feste, giornate condivise, ovunque ricordi. La cameretta con quell'indescrivibile e incomparabile profumo di inchiostro, la colonna che pochi anni dopo avrebbe causato la prima delle tante corse in ospedale della piccola dai capelli ricci. Il divano sul quale erano stretti in sette quando l'Italia vinse i mondiali del 2006. Il laghetto delle oche, la camera dei grandi, la cucina in cui l'unica cosa cucinata dai ragazzi per anni erano i pop corn. Quella vecchia tv davanti alla quale videro 5 film di harry potter tutti d'un fiato.
Tutto perduto. La casa, il giardino, l'amicizia.
Il ricordo di una villa, congelato nella memoria della bimba; una villa che ormai è sostituita da un elegante e modernissimo condominio bianco. Eppure ogni volta, eccolo li: il cancello con il pomo difettoso, il giardino con il sentiero di pietra, la scalinata, i balconi che si affacciano sulla strada, una serranda rotta. Il profumo di inchiostro; dei libri mai restituiti. L'eco delle risate spontanee e genuine. Una carta da parati a righe, un lampadario di vetro, la bici rossa. La poltrona reclinabile della cucina, i dvd sul camino. Una minuscola lavanderia dove per anni si sono nascosti. Il labirinto buio di corridoi e porte. Un ragazzo dagli occhi verdi che si nasconde dietro le pesanti tende rosse, e le ragazze che ormai non si spaventano più. Una macchina nera con i finestrini abbassati e la musica ad alto volume. Complicità, fiducia e protezione. E poi la fine. Le vite si separano, i bimbi crescono, le famiglie traslocano, i legami si infrangono e le case vengono abbattute e ricostruite.
Rimane solo quella patina gialla e luccicante, come i filtri vintage di instagram. Rimane il ricordo di un'infanzia felice, di una famiglia allargata, di un fratello maggiore.
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IO VADO A LETTO… ( bellissima da leggere )
Marito e moglie stanno guardando la tv quando lei dice ‘Sono stanca, è tardi, penso che andrò a letto’…
Va in cucina a preparare i panini per l’indomani.
Sistema le tazza per la colazione, estrae la carne dal freezer per la cena del giorno dopo, controlla la scatola dei cereali, riempie la zuccheriera, mette cucchiai e piattini sulla tavola per la mattina successiva.
Poi mette i vestiti bagnati nell’asciugatore, i panni nella lavatrice, stira una maglia e sistema un bottone, prende i giochi lasciati sul tavolo, mette in carica il telefono, ripone l’elenco telefonico e da l’acqua alle piantine.
Sbadiglia, si stira e mentre va verso la camera da letto, si ferma allo scrittoio per una nota alla maestra, conta i soldi per la gita, tira fuori un libro da sotto la sedia e aggiunge tre cose alle lista delle cose urgenti da fare.
Firma un biglietto d’auguri per un’amica ci scrive l’indirizzo e scrive una nota per il salumiere e mette tutto vicino alla propria roba.
Va in bagno, lava la faccia, i denti, mette la crema antirughe, lava le mani, controlla le unghie e mette a posto l’asciugamano. ‘Pensavo stessi andando a letto’…. commenta il marito!!!
Ci sto andando’, dice lei.
Mette un po’ d’acqua nella ciotola del cane mette fuori il gatto, chiude a chiave le porte e accende la luce fuori. Da’un’occhiata ai bimbi, raccoglie una maglia, butta i calzini nella cesta e parla con uno di loro che sta ancora facendo i compiti.
Finalmente nella sua stanza. Tira fuori i vestiti e scarpe per l’indomani, mette la vestaglia, programma la sveglia e finalmente è seduta sul letto.
In quel momento, il marito spegne la tv e annuncia: ‘Vado a letto’.
Va in bagno, fa la pipì’, si gratta il sedere mentre da un’occhiata allo specchio e pensa: ‘ che PALLE domani devo fare la barba’…. e senza altri pensieri va a dormire.
Niente di strano non vi pare???? Ora chiedetevi perché le donne vivono più a lungo!!!
Perché sono fatte per i percorsi lunghi (e non possono morire perche’ prima hanno molte cose da fare). dedica questo link alle donne fenomenali che conosci e magari anche a qualche uomo che non fa mai male.
E poi??????????????????????? PUOI ANDARE A LETTO! :-)))))
(web)
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Ragazze buongiorno! Oggi vorrei tenervi compagnia con un post leggero leggero con tante immagini. Eh sì perchè con l’aria di vacanza tipica del mese di Agosto non ho nessuna voglia di annoiarvi con tante parole!
E quindi ho pensato di condividere con voi il risultato delle mie ore trascorse su Pinterest a fantasticare su come arredare le camere dei miei bambini. Sono in piena sindrome del nido e ultimamente le mie energie si concentrano tutte nella sistemazione-organizzazione-pulizia-modifica della casa.
Lo stile che mi ha ispirata è decisamente scandinavo, ma non è stata una scelta ragionata. Semplicemente, mi sono resa conto che la maggior parte delle immagini che attiravano la mia attenzione erano di ambienti arredati con questo stile.
Amo i colori neutri, le luci soffuse, gli arredi semplici e gli elementi decorativi originali e un po’ ricercati, le ghirlande di lucine, i pom pom e i mobili funzionali, soprattutto se si tratta di camerette che devono essere vissute con praticità e sicurezza
Credo che per un bimbo la sua camerina debba essere un rifugio in cui sentirsi al sicuro circondato dai propri giochi e dalle cose che ama e deve essere un luogo che lo faccia anche un po’ sognare…
Per i primi tempi la piccola starà in camera con noi, almeno finchè sarà troppo piccina per dormire sola e comunque finchè la sua camera non sarà pronta. Il mio bimbo grande invece, ora che si avvicina ai 3 anni, inizia a trascorrere più tempo nella sua camera a giocare, quindi ho pensato di fare qualche modifica in modo che si adatti alle sue nuove esigenze. Quando sarà tutto pronto vi farò vedere il risultato!
Intanto ecco l’atmosfera che più mi piace, ovviamente sostituendo il lettino da neonato con uno più grande:
Grigio, azzurro polveroso, tanto bianco e un’atmosfera un po’ ovattata che mi trasmette una gran calma.
In casa nostra prevalgono i grigi e il bianco, ma nella camera del mio bimbo ci saranno dei tocchi di giallo che lui stesso ha scelto.
Questa camera è adorabile per un bimbo appena nato, non trovate?
Questo cassettone di Ikea è ormai visto e stravisto:è della linea Hemnes e secondo me è il mobile perfetto per la camera di un bambino. Ha 8 cassetti molto spaziosi e il grande piano di appoggio consente di usarlo anche come fasciatoio. Non ho mai amato i fasciatoi e questo è stato un ottimo compromesso! Sicuramente ne prenderemo uno anche per la camera della piccola.
La camera di un neonato deve essere semplice e contenere l’essenziale. Per me oltre al lettino, al cassettone e ad un armadio, bastano qualche mensola, un bel tappeto morbido e dei cesti o dei contenitori per piccoli giochi e altri oggetti.
Mi piace tanto l’idea di questa piccola nicchia con i cuscini dove sedersi per giocare, ideale soprattutto quando i piccoli iniziano a gattonare.
#gallery-0-4 { margin: auto; } #gallery-0-4 .gallery-item { float: left; margin-top: 10px; text-align: center; width: 50%; } #gallery-0-4 img { border: 2px solid #cfcfcf; } #gallery-0-4 .gallery-caption { margin-left: 0; } /* see gallery_shortcode() in wp-includes/media.php */
Mi piacerebbe poi prendere questa sedia a dondolo sulla quale sedermi per allattare o comunque su cui appoggiare una copertina, un cuscino, i peluches… La trovate su Amazon ad un prezzo davvero accessibile e nelle mie ricerche ne ho trovata una anche su Super Estudio, un sito spagnolo da cui ancora non ho comprato nulla ma che vende arredamento e decorazione per la casa a prezzi incredibili e ha anche una vastissima scelta. Fateci un salto perchè difficilmente ne uscirete a mani vuote!
Per la camera della piccolina mi sono lasciata andare ai sogni e questa tenda è sicuramente in cima alla lista dei desideri. Io la trovo deliziosa… Il color cipria e l’atmosfera che si crea aggiungendo qualche dettaglio mi fanno davvero rimanere incantata di fronte a queste immagini
Stelline, lucine, qualche tocco di oro, morbidi cuscini, tappeti pelosi, le ghirlande di bandierine che tanto amo, i pom pom… Io trovo che sia tutto perfetto. E mi piacerebbe crearne una versione più maschile anche per il mio bimbo, sono certa che gli piacerebbe avere un rifugio in cui nascondersi!
Perchè è vero che sta per arrivare una sorellina che avrà bisogno di tutto, ma ora sento che è giusto rivolgere tutte le attenzioni possibili a questo piccolo omino che in nessun modo dovrà sentirsi messo da parte o meno importante. E quindi io e il suo papà stiamo pensando a come rendere speciale e un po’ diversa la sua camerina in modo da fargli una sorpresa che lo faccia felice.
I lavori sono sempre in corso ragazze, quindi vi terrò aggiornate e vi farò vedere i risultati!
E, come sempre, se avete consigli, soprattutto su dove acquistare oggetti carini, vi invito a lasciare un commento.
A presto!
HOME DECOR: ISPIRAZIONI PER LE CAMERE DEI BIMBI IN STILE NORDICO Ragazze buongiorno! Oggi vorrei tenervi compagnia con un post leggero leggero con tante immagini. Eh sì perchè con l'aria di vacanza tipica del mese di Agosto non ho nessuna voglia di annoiarvi con tante parole!
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Nella precarietà giuriamo eternità
Ermal amava stare con i bambini
Amava i bambini in generale: la loro felicità, la loro curiosità, il loro essere puri, bambini su cui scivolava addosso lo schifo di società in cui vivevano, che non venivano attaccati dalla politica, bambini che amano semplicemente il giusto e il buono
E forse li amava così tanto perché in fondo lui non lo era mai stato, non in maniera così totale
Mai libero
Mai completamente felice
Mai spensierato
Mai come questo, di periodo, forse il più sereno della sua vita
Quindi quando vedeva dei bambini felici, si sentiva completo
Gli si riempiva il cuore di gioia e l’unico desiderio che aveva era quello di donare loro tutto l’amore che aveva nel cuore quello che gli era rimasto,per il semplice gusto di vederli sorridere
Ed era questo quello che pensava avendo Libero e Anita davanti agli occhi che prendevano in giro il loro papà mentre giocava a braccio di ferro con un amico
“Dai papà come puoi difendermi se non riesci neanche a battere qualcuno a braccio di ferro!!”
“Anì ce sto a provà, ma tu padre c’ha ‘na certa età pe’ ste cose”
E Ermal se la ride di gusto guardandoli interagire, incoraggiando alle lamentele quella bambina che era praticamente la versione in miniatura e femminile di Fabrizio
“Ricciolè nun ride’ che te faccio nero quando finisco qua” gli dice ancora forzando il braccio dell’altro
“Certo certo”
Ed è rilassato, per davvero
Non importava aver fatto due ore di macchina da Arezzo solo per godersi quella serata, non importava la stanchezza che gli indolenziva i muscoli, non importava il lieve mal di testa che premeva contro le sue tempie e non importava ciò che potevano pensare gli altri vedendoli insieme
Perlomeno non adesso, magari in mattinata avrebbe cambiato idea
Ma adesso andava bene così e osservava la scena beato, rilassato sullo schienale della sedia, mandando giù gli arrosticini intervallati da sorsi generosi di una birra locale
“Sei stanco?” gli chiede Libero di punto in bianco
“Un po’, oggi ho fatto qualche intervista… ma sono felice di essere qui con voi”
“Papà è più felice quando sei qui, è… diverso” e lo dice fievolmente osservando il padre scherzare, quasi fosse una constatazione appena realizzata, un flusso di pensieri
E Ermal sorride, non può nascondere quel senso di felicità che gli hanno donato quelle semplici parole di un bambino
“Siete la cosa più preziosa per vostro padre, credetemi” risponde Ermal poggiando una mano sulle spalle del bambino, ed è vero
Se ama i bambini, ama ancor di più vedere altre persone amarli e Fabrizio, che donerebbe anche il cuore ai propri bimbi se necessario, è sicuramente uno di questi
-
Quando lasciano i bambini da Giada è da poco passata la mezzanotte, Anita era crollata in macchina e anche Libero stava per cadere tra le braccia di Morfeo
Tornano a casa di Fabrizio in silenzio, la musica a volume vagamente percettibile, il rumore delle ruote che stridevano contro l’asfalto come unico intervallo tra i pensieri
“Tutto ok?” gli chiede Fabrizio dopo qualche minuto spostando la mano dal cambio alla coscia del più giovane
“Si, sono solo stanco, scusami se non sono di compagnia” risponde mettendo la mano sulla sua e stringendogliela appena
“Allora stanotte te fai ‘na bella dormita” e glielo dice come lo avrebbe detto a uno dei suoi figli, lo stesso tono, la stessa preoccupazione, la stessa dolcezza
“Va bene papà” lo prende in giro Ermal, che si becca una mano giocosa nei capelli nel giro di mezzo secondo
-
“In realtà dovrei lavarmi” dice Ermal dopo che sono entrati in casa
“In realtà dovresti durmì, c’hai du’ occhiaie da spavento”
“Ma faccio presto, non sono così assonnato”
“Nun me interessa, spogliate e vatte a cuccà a letto che te raggiungo tra n’attimo -gli dice con lo stesso tono paterno di prima, lo sguardo fintamente severo- so’ serio eh”
“Va bene mi arrendo” risponde Ermal alzando le braccia in segno di resa e avvicinandosi a lui
Gli sorride dolcemente mentre sposta le braccia sulle sue spalle, incrociandole poi dietro la sua testa
“Mi sei mancato” gli soffia sulle labbra prima di baciarlo
E lo fa con tutta la calma del mondo, privo della forza necessaria per approfondirlo, ma bisognoso come non lo era da settimane
E Fab sorride sulle sue labbra ricambiandolo e abbracciandolo, beandosi del suo odore di cui ormai ne era praticamente dipendente
“Ti aspetto” gli sussurra Ermal prima di staccarsi per avviarsi verso la camera da letto
E Fabrizio ci mette letteralmente 15 minuti ad andare in camera dopo aver sistemato alcune cose, 15 minuti in cui Ermal si era appropriato di una sua tuta mettendosi sotto le coperte, gli occhi chiusi contro il cuscino
Lo guarda e non può pensare ad altro che non sia quanto è bello, con i ricci un po’ sfatti sul cuscino e le morbide coperte che delineavano la figura longilinea dell’altro, il respiro quieto e le mani aggrovigliate vicino al petto
E ci mette davvero poco a raggiungerlo, mettendosi con calma sotto le coperte cercando di non svegliarlo
Si gira verso le sue spalle e osserva il suo profilo prima di cingerlo con le braccia, dandogli un bacio sulla nuca e inebriandosi dell’odore del suo shampoo
Ermal mugugna un po’, sistemandosi meglio contro il suo petto e abbracciando a sua volta le braccia che gli cingevano il busto
“Buonanotte Fabbrì” sussurra strascicando le parole, che forse alle orecchie del romano non avevano neanche un suono comprensibile
E Ermal ne era convinto, avrebbe fatto anche 1000km al giorno per vivere quotidianamente momenti come questi
-
Svegliarsi tra le braccia di qualcuno era l’ottava meraviglia del mondo
Il sole dell’alba che veniva filtrato dalle tapparelle abbassate creando la penombra e giochi di luce nella stanza, un silenzio ovattato disturbato solo dal fruscio delle coperte dovuto ai movimenti delle loro gambe intrecciate
Ermal apre lentamente gli occhi trovandosi il viso assonnato di Fabrizio a pochi centimetri dal suo, potrebbe contargli ogni sua singola lentiggine se solo lo avesse desiderato
Dopo averlo osservato un po’ si avvicina per dargli un leggero bacio sulla punta del naso, per poi appoggiare la fronte sulla sua
E lo amava, ne era profondamente convinto
Quell’amore, quell’affetto che andava oltre il gossip, oltre quello che gli altri potevano anche solo lontanamente immaginare
Era forse la definizione di anima gemella?
Qualcuno diceva che l’anima gemella è come il tuo migliore amico, ma molto di più. È la persona in questo mondo che ti capisce meglio di chiunque altro. È colei che ti rende una persona migliore. Anche se alla fine non è lei che lo fa, ma sei tu che ti rendi migliore perché loro ti ispirano.
E allora si, forse Fabrizio lo era
Qualcuno con cui poteva essere se stesso ancor di più che con i suoi amici, con cui poteva essere gentile ma scontroso, generoso ma permaloso
semplicemente sapeva che nonostante mostrasse anche la parte più dura del suo carattere lui non se ne sarebbe andato
Che lo avrebbe ascoltato, capito e accolto
Qualcuno con cui poteva discutere ma che non lo avrebbe mai disprezzato
Un amore che andava oltre tutto ciò che era comune, così forte che lo destabilizzava
E si perdeva in quei pensieri, così tanto da non rendersi neanche conto che Fabrizio lo osservava
“A cosa stai pensando?” gli chiede a bassa voce portando una mano ad accarezzargli il collo
“A delle cose” gli risponde Ermal uscendo dallo stato di trance in cui era assorto
Fabrizio mugugna in risposta, non propriamente convinto, ma sapeva che non era il massimo forzare la corda di prima mattina, anche se viene interrotto da Ermal che si scosta di colpo spostando le coperte
“Che stai a fa’?”
“Adesso vedrai” e gli risponde sorridendogli, per poi mettersi a cavalcioni su di lui
Fabrizio non ha neanche il tempo di controbattere perchè viene subito zittito dalle labbra del più giovane
Labbra che baciano, leccano e succhiano ogni singola porzione di pelle accessibile del suo petto coperto da una t-shirt
Labbra che gli mordono giocosamente il collo mentre è con le mani tra i suoi capelli, facendo gemere il più grande senza un minimo di pudore
Labbra che scendono lentamente fino a finire sull’erezione mattutina, stimolata anche dalle carezze che il più giovane gli stava riservando
Labbra che avvolgono ritmicamente il suo membro donandogli brividi di piacere che lo facevano tremare fino all’apice del piacere
Labbra che si era sapientemente leccato soddisfatto della sua opera sotto lo sguardo liquido di Fabrizio, ansimante e arrossito
“Se- sei, Dio, sei ‘no stronzo cazzo” dice Fabrizio stropicciandosi il viso stravolto con una mano
“Ah pure?” risponde Ermal fingendosi offeso, lasciandogli dei pizzicotti sui fianchi
“Vie’ qua” e se lo tira addosso abbracciando per poi baciarlo tra i ricci
Ed entrambi passerebbero la vita così, mezzi svestiti, mezzi assonnati, avvolti dalle caldi coperte mentre Fabrizio gli canticchia all’orecchio, un sussurro che sommariamente racchiude -inconsciamente- tutto ciò che prima Ermal stava pensando
“E mentre il tempo scade e il mondo si sta armando In un monolocale noi ci stiamo amando Nella precarietà giuriamo eternità A questo nostro amore grande e incondizionato Perché ogni fantasia qui non sembra mai un reato Sorridi ancora amore Che il peggio è passato”
BUONSALVE RAGAZZUOLE E RAGAZZUOLI. Ebbene si, nonostante l’assenza di headcanon in queste ultime due settimane non sono morta, sono sopravvissuta agli eventi e foto e video e COSE degli scorsi giorni, direi che è già un bel e grande risultato.
Ho scritto questa cosetta ispirandomi appunto alle news di… venerdì (?) sera, insomma, riferendomi alla famosa storia di Fab al ristorante con i bambini con una “MISTERIOSA” persona.
Spero che vi sia piaciuto e fatemi sapere cosa ne pensate! Un moro-bacetto a tutti. (per richieste di prompt la casella è sempre aperta)
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