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La ricerca trionfa con l’Asd Città di Casale: una vittoria solidale
Il contributo del calcio per sostenere il Dipartimento di Ricerca e Innovazione dell’Ospedale di Casale Monferrato
Il contributo del calcio per sostenere il Dipartimento di Ricerca e Innovazione dell’Ospedale di Casale Monferrato Una vittoria sul campo e nella solidarietà. Domenica 24 novembre 2024, durante la partita del girone D di Promozione tra Asd Città di Casale e Fc Gassino San Raffaele, a vincere non sono stati solo i nerostellati, che hanno dominato con un sonoro 5-0, ma anche la ricerca…
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I RICCHI HANNO ROTTO IL CAZZO
Sarà il caldo, sarà che col riscaldamento globale fa più caldo der solito, sarà che col caldo pure la sopportazione nostra è ridotta, ma io lo devo di’: i ricchi hanno rotto il cazzo. E quello che deve tirà fori la stilografica in treno e il libro in francese e il giornale in inglese e poi passa tutto er tempo a spizzà i regazzini che parlano de calcio e de figa ma io dico allora che te li sei portati a fa’ er libro, i giornali e la stilografica? Cioè na vorta i ricchi erano stronzi ma tutto sommato, per la gran parte, erano armeno discreti. E mo invece tutti i giorni te devono postà er selfie dalla barca, dar jet privato, da in braccio a Cristo mentre fòri c’è la fame e la devastazione e l’apocalisse.
E poi, se tu non t’accodi al loro profondo dolore perché je s’è scheggiata l’unghia e c’hanno fatto ‘na diretta instagram da dieci minuti, la colpa è pure la tua che c’hai l’odio sociale, l’invidia sociale, il rodimento de culo sociale, l’animadelimejo sociale, direi. E invece li devi capì, me devi esse solidale con la sofferenza, poverelli è gente che è cresciuta a pane e yacht ma che ne sanno der mondo reale, non puoi pretende che capiscono quello che je succede intorno. S’ansiano per le piccole cose (soprattutto le piccole cose loro). Ma io dico ma voi che ciavete i sordi non ve potete pagà un po’ de psicoterapia e le paturnie vostre ve le risolvete in privato? Oppure, sempre visto che ciavete i sordi, me pagate la psicoterapia a me così dopo so’ rilassato e c’ho la pazienza necessaria a sopportavve?
Ve lo chiedo co tutto er core: non potete tornà a fa’ i ricchi stronzi de ‘na vorta? Noi tornamo a fa i poveri stronzi che ve odiano, voi ce sfruttate come sempre senza pietà (cioè come fate adesso), ma senza ‘sto teatrino delle piangine incomprese da circolo der burraco?
Pure perché io a te ricco, famoso, vip de non se sa bene cosa, una roba te la vorrei chiede: ma tu l’hai spesa mezza lacrimuccia, pure finta, pe’ quelle centocinquantamila famije che da agosto non sanno come mette insieme er pranzo co’ la cena? Ah no? Che t’eri distratto?
E allora me spieghi perché te incazzi e ce rimani male se poi io non te capisco a te che devi cambià la macchina sennò non puoi parcheggià sotto casa in centro, che hai fatto tardi e hai perso l’aereo, non riesci a trovà er taxi o er parrucchiere t’ha sbajato la tinta?
Tranquillo, de esse triste capita a tutti, ma io co’ la tristezza tua proprio non c’entro niente (e non so’ sicuro de poté di’ er contrario). Quindi fa er favore: già te sei piato quasi tutto, armeno le lacrime famo che rimangono le mie e ce faccio er cazzo che me pare.
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Le polemiche quando accadono delle tragedie come queste sono giustificate ma per me solo in parte.
I giovani fannulloni, tutti quelli che hanno passato i 50 anni e dico tutti (me compreso), in questi anni siamo stati addormentati dai mass media che intervistavano sociologi in servizio permanente i quali ci spiegavano che i giovani non avevano più voglia di fare nulla, solo tablet e smartphone, addirittura una ex ministro della Repubblica li apostrofò con il termine inglese "choosy" naturalmente nessuno sapeva cosa cazzo volesse dire ma tutti fummo prontissimi (una volta che capito l'aggettivo) a puntare il ditino contro i giovani.
In parte è vero, forse la voglia manca ma quando succede qualcosa chi è pronto e parte lancia in resta? Chi è andato a spostare le macerie nei terremoti di Umbria e Marche? Chi è andato a raccogliere i frammenti delle pitture di Giotto quando crollò la Basilica di Assisi? Chi è adesso nel fango a lavorare, portando un sorriso e cantando Romagna Mia a chi ha perso tutto? Forse come al solito non abbiamo capito nulla a cominciare dagli emeriti sociologi che abbondano nei salotti tv.
Il percettori del Reddito di Cittadinanza, nella marea di persone che stanno sbadilando fango si presume che ci sia anche qualcuno che percepisce tale reddito, non credete? Oppure avete dati alla mano che smentiscono questo e che confermano stare tutti sul divano, nessuno escluso.
Dalle formazione di calcio, ai problemi delle mancate prestazioni della Ferrari, al vaccino, alle strategie di guerra alla situazione idrica, c'è gente che sa tutto ma proprio tutto. Ma come cacchio fate? Beati voi, io continuo a sbagliare le chiavi di casa.
La politica, leggo che Bonaccini si dovrebbe dimettere per la storia della mancata gestione dei fondi destinati alle opere di risanamento idraulico... ma forse io guarderei il fatto da un'altra angolazione, perché lui si deve dimettere? Ma saremo noi a chiedere le sue dimissioni, ma siamo noi che abbiamo il potere di chiedere anzi pretendere che un politico faccia gli interessi della comunità e se non li fa si chiede le dimissioni una volta provate le sue inefficienze dopo si va alle urne, si vota e poi si cambiano le cose. Non come oggi che alle elezioni rimaniamo a casa perché siamo in gita, è troppo caldo, è troppo freddo, non conta nulla, devo dare l'acqua ai fiori etc etc. Valà che andare a votare conta è che ci hanno fatto credere che non conti nulla così resta tutto com'è.
Perché non proviamo a guardare i fatti come sono, a fronte di un disastro come questo io vedo una partecipazione straordinaria, strutture alberghiere che offrono camere gratis agli sfollati, ristoratori che offrono sempre gratis dei pasti caldi a chi non ha più di che prepararli, persone normali che hanno messo a disposizione le loro camere o case per solidarietà, ieri ad Ischia è comparso uno striscione solidale all'Emilia Romagna, isola che è stata colpita come noi, cominciamo a guardare queste cose e non sempre erigersi a giudici di non si sa quale causa.
L'unica cosa negativa è che il Boss non abbia detto nulla, neanche dopo... che andasse a Portofino a fare in culo.
State benone.
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Bari: presentato questa mattina a Palazzo di Città il "calendario del museo del Bari Calcio 2024"
Bari: presentato questa mattina a Palazzo di Città il "calendario del museo del Bari Calcio 2024". Si è svolta oggi, nella sala consiliare di Palazzo di Città, la conferenza stampa di presentazione del "Calendario del Museo del Bari Calcio 2024", realizzato dal Museo del Bari con il patrocinio dell'assessorato comunale allo Sport, del Centro Sportivo Educativo Nazionale (CSEN) e della Lega Nazionale Dilettanti Puglia. Come per l'edizione dello scorso anno, ogni mese è accompagnato dalla fotografia di una maglia storica del club accanto a un monumento identitario della città. L'iniziativa ha anche un intento benefico e solidale: parte del ricavato del calendario 2024 sarà destinata, infatti, alla parrocchia del Redentore, nel quartiere Libertà, e alla chiesa della Resurrezione, nel quartiere Japigia. Hanno partecipato alla presentazione, moderata dal giornalista Franco Cirici, l'assessore allo Sport Pietro Petruzzelli, il direttore dell'oratorio salesiano del Redentore Don Luca De Muro, il coordinatore regionale del settore giovanile e scolastico della Fgci Antonello Quarto, il presidente regionale del Centro Sportivo Educativo Nazionale Domenico Marzullo e, per il Museo del Bari, Roberto Vaira, Francesco Girone, Alex Guarini e Franco Egidio. "Il calendario del Museo del Bari Calcio è una splendida iniziativa che mette insieme due passioni: quella per il Bari e le sue maglie più importanti, belle e ricche di storia, e quella per la nostra città, ritratta nei suoi luoghi iconici - ha commentato Pietro Petruzzelli -. È importante sostenerla perché, grazie all'impegno del Museo del Bari, queste passioni vengono messe al servizio della solidarietà, con il sostegno a due realtà fondamentali per la nostra comunità, come le parrocchie del Redentore e della Resurrezione. Sono particolarmente felice di essere qui con voi oggi, perché acquistare questo calendario non significa solo avere a cuore i nostri colori calcistici e i nostri luoghi più belli, ma anche voler bene e dedicare attenzione e cura alla nostra città e a chi ogni giorno lavora per rafforzare il senso di comunità e i legami sociali, a partire dai più giovani". "L'idea del calendario è nata quasi per gioco l'anno scorso, poi ha avuto un grandissimo successo - ha dichiarato Roberto Vaira -. Proprio sull'onda di questo successo, e per includere altre maglie ricche di storia calcistica e altri bellissimi monumenti di Bari, abbiamo deciso di replicare questa iniziativa. Ringrazio l'assessore Petruzzelli per il patrocinio e la collaborazione del Comune, così come tutte le altre importanti realtà che ci sostengono e ci aiutano. Il binomio tra i colori della nostra squadra e i luoghi più belli è, per noi e per tante altre persone, davvero indissolubile. Ed è apprezzato molto da tanti baresi, e in modo speciale da chi vive fuori dalla nostra città, che con questo calendario ha quindi un oggetto e un modo in più per rievocare tanti ricordi. Assieme a Pietro Petruzzelli abbiamo scelto di legare di nuovo questa iniziativa a un impegno solidale a vantaggio di due importanti realtà della nostra città, e siamo fieri di averlo fatto: perché sostenere una squadra di calcio e amare la propria città significa essere una comunità, nella quale si fa rete e ci si sostiene a vicenda". "Questo calendario rappresenta un sincero omaggio alla nostra storia calcistica e a Bari, città ricca di luoghi e scorci suggestivi - ha sottolineato Francesco Girone -. Le maglie che abbiamo portato qui con noi oggi, come tutte quelle del nostro museo, sono autentici pezzi di storia: ad esempio, la maglia di una leggenda del Bari come Biagio Catalano e quella con cui si è disputata la semifinale della Coppa Italia del 1984 contro il Verona, regalataci dal grande ex calciatore della squadra scaligera Giuseppe Galderisi. Siamo quindi grati a tutte le persone che hanno compreso il nostro obiettivo: costruire qualcosa a vantaggio della città intera. Il museo, aperto a tutti, sta crescendo anno dopo anno, e sta diventando sempre più importante per tutti noi". "Ringrazio gli organizzatori di questa bella iniziativa, tutta l'amministrazione comunale e l'assessore Petruzzelli per l'attenzione che sempre ci dedica e per la collaborazione che portiamo avanti insieme su tanti temi - ha affermato Don Luca De Muro -. La storia del Redentore è la storia di tante generazioni di ragazze e ragazzi che qui sono cresciuti. Dal 1905 siamo impegnati per l'educazione integrale della persona, creando reti e connessioni per rafforzare il senso di comunità ed essere un presidio di legalità nel nostro quartiere. Se c'è una cosa che unisce i più giovani è lo sport, il calcio in particolare. Sono felice, quindi, di essere con voi per questa iniziativa che ci aiuta a rafforzare le nostre tante attività". "La nostra federazione, lo affermo anche a nome del presidente Tisci, è entusiasta di aver dato il patrocinio a questa avventura che si concretizza oggi, per il secondo anno consecutivo - ha proseguito Antonello Quarto -. La passione per queste maglie storiche, assieme a quella per la città intera, è una sensazione che ci dà la possibilità di sentirci più vicini come comunità. Le maglie che abbiamo qui oggi ci ricordano momenti indimenticabili, come la meravigliosa cavalcata del 1984 fino alle semifinali di Coppa Italia, affrontando a testa alta squadre del calibro di Juventus, Fiorentina e Verona. È qui che si manifesta l'orgoglio della nostra baresità, che non deve sfiorire mai. Accanto a questo, è importante sottolineare il carattere solidaristico di questa iniziativa così meritoria, indirizzata a due parrocchie, il Redentore e la Resurrezione, che rappresentano due autentici simboli della nostra comunità". "È il secondo anno di vita di questo calendario, e guardandolo, con le sue suggestive fotografie, mi tornano in mente i momenti più belli che abbiamo vissuto insieme al Bari, momenti che mi riesce difficile esprimere a parole - ha concluso Domenico Marzullo -. Sono momenti importanti, come importante è l'amore per tutta la città: Bari non si discute, si ama e basta, e ha ormai assunto i connotati di una città europea. Questa iniziativa si inserisce perfettamente nei principi fondanti del Csen, e quindi ci prodigheremo per assicurare la massima diffusione del calendario".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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"Dietro un portone qualsiasi, in una delle tante vie che portano da Salvator Rosa al centro storico, Salita Pontecorvo, si cela una realtà inaspettata, che supera l'immaginario. Varcata la soglia di quel portone e percorso un primo cortile, si avverte forte la sensazione di essere in un luogo intriso di storia, protagonista e spettatore di tante vicende umane. Una cella, una scala, un corridoio e ci si ritrova davanti ad uno spazio grande, quasi quanto un campo di calcio, sul quale si affaccia un lunghissimo porticato e un immenso edificio. E' l'ex convento delle Cappuccinelle, poi carcere minorile Filangieri, oggi Scignizzo Liberato.
Una storia lunga che parte dal 1585, quando Suor Diana di San Francesco, al secolo Eleonora Scarpato, moglie del notaio Luca Giglio, guarita da una grave malattia per intercessione di San Francesco d’Assisi, fece, per grazia ricevuta, voto di castità. Insieme al marito, iniziò ad accogliere nella sua casa le ragazze madri e quelle più sfortunate della città.Una volta rimasta vedova, Eleonora prese i voti regolari e fondò una chiesa e un monastero dedicato a San Francesco dove, da Suor Diana, condusse la sua vita monacale. Si dice che la rminaccia di portarli dalle cappucinnelle, suore francescane a cui venne affidata la gestione del convento, note per il rigore e la severità dei metodi educativi, funzionasse da deterrente per riportare alla disciplina i fanciulli più disobbedienti e riottosi alle regole.
Divenuto insufficiente per il gran numero delle ospiti, il convento subì progressivi lavori di ampliamento. Nel 700 furono annessi tre edifici dai quali vennero ricavati gli ambienti interni, i giardini, il chiostro e due belvedere.
Nel 1809 il monastero fu soppresso per ordine di Gioacchino Murat e trasformato in riformatorio minorile, intitolato a Gaetano Filangieri, insigne giurista e filosofo napoletano.
Durante il fascismo divenne “istituto di osservazione minorile”e negli anni successivi casa di rieducazione.
il 23 marzo del 1982 il grande Eduardo de Filippo, all'epoca senatore a vita, in una interpellanza al Senato, chiese che fosse assegnato al Filangieri "uno spazio in una località ridente su cui costruire un villaggio con abitazioni e botteghe dove i giovani, già avviati a mestieri e all’artigianato antico, possono abitare e lavorare, assaggiando il sapore del frutto della loro sacrosanta fatica, recuperando la speranza e la fiducia di una vita nuova che restituisca loro quella dignità cui hanno diritto.”
Un legame speciale univa il Maestro ai ragazzi del Filangieri, i figli più "dannati" di Napoli. Ad essi Eduardo fece visita più volte, tenendo lezioni di recitazione e di drammaturgia, destinando alla struttura anche parte degli incassi di alcune sue rappresentazioni teatrali.
Dismesso definitivamente nel 1999, l'ex Filangieri è stato abbandonato per molti anni fino a quando, il 29 settembre del 2015, a rievocare le quattro giornate di Napoli, è diventato lo "Scugnizzo Liberato". Un laboratorio di mutuo soccorso dedito all'organizzazione di attività ricreative, culturali e sociali, nonché al recupero e alla manutenzione degli spazi della struttura, divenuta un bene comune ad uso civico e collettivo.Vi si svolgono concerti, spettacoli, presentazioni di libri, corsi di formazione e molteplici attività a favore dei piu deboli, la mensa sociale e il guardaroba solidale, organizzate dall'associazione Nessuno Escluso.
Nell'ambito delle risorse del Piano Sviluppo e Coesione del Ministero della Cultura lo scorso luglio è stato emanato un bando di gara per la progettazione e i lavori di restauro del complesso, ai fini della creazione di un centro di alta formazione delle arti e dell’artigianato, con realizzazione di una struttura ricettiva da destinare a giovani artisti.
Una grande opportunità per Napoli, quella di valorizzare un luogo straordinario che è stato palcoscenico di un ampio ventaglio di sentimenti umani, la gratitudine, la disperazione, il riscatto."
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Marcos Antonio, la Lazio e l’insulto razzista di un tifoso su twitter
articolo: https://www.corriere.it/sport/calcio/serie-a/23_luglio_22/marcos-antonio-lazio-razzismo-twitter-insulto-b0777ede-2858-11ee-89c0-53762a55bc2e.shtml Marcos Antonio, 23 anni, centrocampista della Lazio (Getty Images) Un tifoso su twitter offende i calciatori di colore, il brasiliano Marcos Antonio risponde: «Assurdo, non mi scuoterai». La Lazio solidale: «Inciviltà da vergogna». Quando…
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Calcio: Lega Serie A solidale con la Samp "atti ignobili"
(ANSA) – ROMA, 25 FEB – “La Lega Serie A esprime tutta la propria solidarietà alla dirigenza della Sampdoria, bersaglio oggi di un episodio increscioso, da condannare con la massima fermezza”. Così la Lega del massimo campionato di calcio sostiene il club blucerchiato fatto ancora una volta oggetto di minacce. “Gesti esecrabili come questi non sono accettabili – sottolinea la nota della Lega in…
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(via Girodivite: Casa della Memoria Felicia e Peppino Impastato)
Dal 5 maggio fino al 9, la Casa della Memoria Felicia e Peppino Impastato organizza un evento per ricordare il giovane attivista, ideatore di Radio Aut, a 41 anni dal suo assassinio per mano della mafia. Sarà un momento particolare per soffermarsi a pensare e analizzare quaranta anni della nostra storia, dove la comunicazione e la lotta alla mafia si stanno tingendo di demologia e di eccessiva sufficienza, come se il fenomeno rientrasse ormai negli annali storici, che neanche le scuole hanno mai inserito nei loro programmi didattici, o nella produzione letteraria e cinematografica d’essai.
Si proverà a risvegliare l’attenzione della gente, contrastando questo pericoloso torpore che rischia seriamente di offrire alle nuove generazioni un’immagine distorta e fuori dalla realtà che, indagini della magistratura, inchieste sul malaffare, tangenti, comuni sciolti per mafia e vessazioni, soprusi, angherie subite da liberi cittadini, non più così liberi, subiscono quotidianamente anche in questi tempi.
Determinante sarà il messaggio che l’intera manifestazione si prefissa di lanciare alle nuove generazioni. La necessità di non dimenticare e di rendere partecipi le generazioni nate dopo quel tragico 1978 che, ci sembra doveroso ricordarlo, segnò anche l’omicidio di Aldo Moro. E’ fondamentale trasmettere negli anni futuri cosa sia stato il nostro passato. Un passato strettamente collegato al presente. Condizionante per ciò che sarà il nostro futuro.
Peppino
Riportiamo di seguito il ricco programma della manifestazione e invitiamo i lettori a partecipare anche economicamente al sostegno di questa vitale iniziativa:
PROGRAMMA 9 MAGGIO 2019
Con le idee ed il coraggio di Peppino noi continuiamo
DOMENICA 5 MAGGIO:
POMERIGGIO
Ore 17.00 - Salone Comunale di Cinisi (Municipio)
Apertura delle iniziative
“Diritto all’informazione e libertà di stampa”
Presentazione del libro “Un morto ogni tanto” di Paolo Borrometi.
Saluto della Direttrice Biblioteca comunale di Cinisi Maria Antonietta Mangiapane. Saranno presenti: Paolo Borrometi (Giornalista e scrittore), Umberto Santino (Centro Impastato), Sandro Ruotolo (Giornalista), Beppe Giulietti (Presidente della FNSI).
Modera l’incontro Luisa Impastato (Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato).
SERA
Ore 21.30 - Salone Comunale di Cinisi (Municipio)
Rappresentazione teatrale “Il visionario” di Antonio Fanelli (collaborazione ai testi di Valentina Pierro e Patrizia Zodiago).
LUNEDI’ 6 MAGGIO:
POMERIGGIO
Ore 16.30 - Salone Comunale di Cinisi (Municipio)
Incontro “Mafia, ambiente e difesa dei territori”. Associazioni e movimenti. Saranno presenti: Vincenzo Forino (Associazione A Sud Campania – stop biocidio), No MUOS Niscemi, NO TRIV Licata, Ass.ne Officina Rigenerazione Cinisi, Ass.ne Peppino Impastato.
Modera l’incontro Andrea Turco(MeridioNews).
SERA
Ore 21.30 Rappresentazione teatrale “Vedi che una volta uno così è morto” di Sergio Beercock, con la partecipazione degli attori del laboratorio organizzato da Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato e Associazione culturale LAB90045.
MARTEDI’ 7 MAGGIO:
POMERIGGIO
Ore 16.00 - Salone Comunale di Cinisi (Municipio)
Convegno: “Mutualismo conflittuale e femminismo: esperienze a confronto”. Interventi: Contadinazioni (Partinico - Campobello di Mazara), Comitato Kollontai, Sportello Fuori Mercato – info point Senza frontiere (Bari), Rimaflow (Trezzano sul Naviglio – MI), Casa del mutuo soccorso “Fifiddu Robino” (Partinico solidale), Nicoletta Cosentino - Cuoche combattenti (Palermo), Lara Salamone Associazione Handala (Palermo), Brigate della solidarietà attiva.
SERA
Ore 21.30 - Salone Comunale di Cinisi (Municipio)
Presentazione con proiezioni della mostra e del libro “Disegni dalla frontiera” di Francesco Piobbichi.
MERCOLEDI’ 8 MAGGIO:
MATTINA
Ore 10.00 - Salone Comunale di Cinisi (Municipio)
Convegno: “1979 - Manifestazione nazionale contro la mafia a Cinisi. Quarant’anni dopo”. Introduce e coordina Umberto Santino. Partecipano: Felicia Vitale Impastato, Carlo Bommarito (Associazione Peppino Impastato), Giovanni Russo Spena (Ex Senatore e componente della Commissione antimafia), Lirio Abbate (L’Espresso).
POMERIGGIO
Ore 16.00 - Salone Comunale di Cinisi (Municipio)
Convegno: “Decreto sicurezza e immigrazione”. Intervengono: Mimmo Lucano (Fondatore Modello Riace), Tonino Perna (Fondatore del CRIC Centro Regionale di Intervento e Cooperazione), Fulvio Vassallo Paleologo (ADIF Associazione Diritti e Frontiere), Alfonso Di Stefano (Rete antirazzista catanese), Umberto Santino (Centro Impastato), Alessandra Sciurba (Ong Mediterranea Saving Humans), Marco Militello (Collettivo studentesco Palermo).
Coordina l’incontro Pino Dicevi ( Segretario Associazione Peppino Impastato).
SERA
Ore 21.30 Palco sul corso di Cinisi
Premio Musica e Cultura a Maurizio Capone e a Mimmo Lucano. Partecipano Luciano De Blasi e i Sui Generis (menzione al Premio Musica contro le mafie edizione 2018) e Chiara Effe (finalista al Premio Musica contro le mafie edizione 2017).
Presentazione del libro "Change your step. 100 artisti. Le parole del cambiamento". Con Gennaro De Rosa. Musica contro le mafie.
Premio Concorso fotografico Guido Orlando - Premio Peppino Impastato con Tano D’amico, Franco Seggio e Pino Manzella.
Premio letterario a cura di Mama Dunia Edizioni – Casa memoria.
Interverrà Corrado Fortuna.
GIOVEDI’ 9 MAGGIO:
MATTINA
Ore 10.00 Presidio al Casolare con interventi delle associazioni promotrici. Momento musicale con Antonio Monforte.
Ore 12.00 Presso il Campo sportivo di Cinisi le scuole incontrano le associazioni.
POMERIGGIO
Ore 16.30 Corteo partenza da Terrasini - sede di Radio Aut.
Durante il corteo: Coro Inestra – Compagnia di canto sociale, Coro Unica Vuci – coro popolare.
Interventi da Casa Memoria: Luisa Impastato (Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato), Carlo Bommarito (Associazione Peppino Impastato), Maurizio Landini (Segretario Generale CGIL), Umberto Santino (Centro Impastato).
SERA
Ore 20:00 Palco sul Corso di Cinisi
"Concerto – Reading in omaggio a Peppino Impastato" con gli interventi di: Antonio Di Martino, Corrado Fortuna, La Rappresentante di lista, Chris Obhei, Roy Paci, Christian Picciotto, Igor Scalisi Palminteri, Angelo Sicurella.
Mostre:
Mostra Prima manifestazione nazionale contro la mafia. Cinisi 1979 con foto di Paolo Chirco, Pino Manzella e Franco Zecchin presso il Salone Comunale di Cinisi.
Mostra Disegni dalla frontiera con disegni di Francesco Piobbichi, presso il Salone Comunale di Cinisi.
Mostra RI-SCATTI UMANI con foto selezionate tra i partecipanti del concorso Guido Orlando, presso il bene confiscato ex Casa Badalamenti a Cinisi. A cura dell’associazione Asadin.
Mostra Guerre e conflitti nel Mondo e migrazioni a cura di Pino Dicevi. Cinisi
Mostra La resistenza dei poveri con foto di Tano D’Amico, dal 6 al 17 Maggio presso la Biblioteca comunale di Terrasini (PA). A cura dell’ass.ne Asadin e dell’associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Con il gratuito patrocinio del Comune di Terrasini.
Mostra Il nove maggio degli studenti con foto di Pino Manzella ai ragazzi della scuola di Cinisi. Presso il Margaret Cafè. A cura dell’associazione Asadin.
Installazione di manifesti fotografici I colori del Quarantesimo con foto di Giulio Azzarello e Massimo Russo Tramontana. A Terrasini, a cura dell’associazione Asadin. Con il gratuito patrocinio del Comune di Terrasini.
Mostra fotografica dedicata a Peppino Impastato, presso il No Mafia Memorial a Palermo.
TORNEO DI CALCIO dal 9 al 12 Maggio
Vi chiediamo un sostegno aderendo alla nostra campagna di raccolta fondi per costruire da protagonisti le iniziative del 9 Maggio 2019, potete farlo tramite facebook cliccando qui, chi non ha facebook potrà farlo qui (specificando "Raccolta fondi 9 Maggio 2019")
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[4] - Il Blocco del Puerto
I racconti etnografici nella tradizione antropologica anglofona sui repertori e le pratiche di resistenza dei soggetti coloniali sono svariati. Un articolo dei primi anni novanta di Lila Abu-Lughod (1) è considerato lo spartiacque degli studi sulle resistenze nell’antropologia sociale britannica. Le ribellioni contadine ed operaie degli anni sessanta e settanta contro regimi autoritari furono descritte in lavori etnografici come quelli di James Scott (1, 2, 3) in cui si evidenziavano dettagliate micro strategie quotidiane di opposizione e protesta contro processi di sviluppo e di cosiddetta “civilizzazione” su vasta scala. Approcci come quello della Abu-Lughod (1) invece descrivono la resistenza nella sua relazione di interiorità con il potere, a partire dagli studi sulla sessualità di Michelle Foucault (1). L’antropologa di origini palestinesi racconta come l’umorismo e le prese in giro del macismo, le pratiche di ribellione ai matrimoni combinati o la declamazione di poemi per riscoprire empaticamente libertà apparentemente precluse costruiscano una vasta area di spazi di quotidiana ribellione nei quali soggetti dominati come le donne Beduine creano sfere di socialità in cui proteggono la loro capacità di critica del potere. Parte di quello che ho scritto fin qui rientra in questo tipo di descrizioni etnografiche dove la resistenza assume forme quotidiane che permettono di andare contro dinamiche di controllo, dominazione e violenza strutturali. Dalle riunioni a bere viche “curato”, a quelle delle fumerie, fino alle partite di calcio organizzate in zone pericolose del quartiere (nella foto di sopra) ho cercato di mostrare i “verbali segreti”, come li ha definiti James Scott (1) della storia ufficiale, catturata tra le leggende narcotiche e le trame dello sviluppo logistico di Buenaventura. Ho però anche mostrato come vi fossero tutta un’altra vasta gamma di pratiche, che ho definito di frontiera, e che si riferiscono all’aministrazione della vita ed al “far vivere” quotidiano, come il collegamento illegale alla rete elettrica o gli escamotage per ottenere medicinali sussidiati che portano certi sentimenti e necessità all’interno di uno scontro o per altri versi all’alleanza con le autorità legittime o legittimate. In questi spazi di indefinizione, ho cercato di descrivere il resistere dentro un campo generato dall’incontro tra la locura e la mala vida dove si confondono sistematicamente i piani etici rendendo di fatto inutile stabilire se vi sia un giusto o uno sbagliato. Quello che mi parve riscontrare a Buenaventura fu una soluzione epistemologica radicata nella calle, cioè in una localizzazione del sapere-potere essenzialmente nomade e dipendente dalla necessità di risolvere problemi contingenti.
Quello che vorrei provare a fare ora è seguire un altro approccio e raccontare azioni collettive su più vasta scala. A questo proposito, il lavoro di David Graeber (1) propone un cammino inverso a quello della Abu-Lughod ed un ritorno a certe descrizioni delle proteste organizzate e della resistenza come impresa collettiva. Le sue descrizioni dei movimenti sociali riposizionano l’etnografo dentro l’organizzazione e la partecipazione di contro-eventi che nascono in risposta ad un’agenda internazionale degli organi mondiali di governo in cui vengono proposte politiche economiche centrate sulle logiche della “liberazione del Capitale” che ho definito nel post [1]. Osserva quindi “azioni dirette” che hanno precise finalità di sovvertire pensieri e pratiche dominanti dell’economia e del governo dei popoli. Un filo conduttore degli anni che ho trascorso in Colombia è stato la mia partecipazione, da osservatore ed invitato e, in alcune occasioni di minor importanza, da organizzatore, a fori politici, marce ed azioni più improvvise come appunto i blocchi delle strade. Vorrei rivedere questo materiale di esperienze cui mi fu data la possibilità di assistere per fornire un contesto delle politiche della ribellione di un paese come la Colombia con lo scopo di raccontare “il blocco del Puerto” dall’interno di certe forme di intendere la protesta. Lo faccio anche perchè parte del mio lavoro etnografico per come fu concertato localmente riguardò un tentativo di racconto di queste dinamiche. Preciso però che questo non mi pone in una posizione privilegiata e non mi dà alcuna autorevolezza particolare per dire “la mia” su processi molto più complessi e spesso estremamente delicati che riguardano difficoltose azioni collettive per la rimemorazione e\o la richiesta di giustizia. Cercherò allora di posizionare le mie partecipazioni ed il mo impegno per dare un’idea della sua natura comunque parziale. Per farlo non posso che partire da uno degli eventi che più hanno segnato il mio cammino in Colombia.
Nel luglio 2009 partecipai ad una carovana organizzata dal MOVICE (il Movimento Nazionale delle Vittime di Crimini di Stato) che da Bogotà arrivò a San Josè del Guaviare e di lì, dopo una marcia cittadina e una notte a dormire in un palazzetto dello sport, con tre chiatte, risalimmo il fiume Guaviare fino a Mapiripan per denunciare e ricordare una delle maggiori ed all’epoca ancora impuni stragi paramilitari (per maggiori dettagli si veda il libro di Guido Piccoli, in particolare il capitolo “La Legge della motosega”). L’importanza dell’evento nella mia personale relazione con la Colombia riguardò molti piani di comprensione del paese ma ebbe immediatamente un forte impatto emotivo che mi spinse a ragionare a lungo sulla natura delle azioni di rimemorazione. L’evento era centrato sulla capacità di un gruppo abbastanza esteso di persone (circa 500) di creare legami empatici tra loro attraverso un comune viaggio solidale per ricordare eventi drammatici. Grazie alle atmosfere che si produssero negli accampamenti, sui bus o sulle chiatte, si aprirono degli spazi di comprensione che permisero alle vittime della strage di ritornare per la prima volta sui luoghi delle violenze e testimoniarle una volta di più, questa volta però camminando e rimemorandole sul posto e non in aule di tribunale o in uffici di Bogotà. Le operazioni che permisero la creazione di questo spazio protetto non riguardarono solo le relazioni interne del gruppo ma anche le autorità nazionali che non vedevano di buon occhio queste produzioni civili. Inoltre occorse impostare dei percorsi di accettazione che riguardarono gli abitanti di Mapiripan, tra persone che rimasero lì dopo i fatti e chi vi si insediò successivamente alla strage. Per alcuni giorni tutta la cittadinanza, inclusi i militari di stanza nella locale base, si trovarono ad essere “invasi”, volenti o nolenti, da una carovana pacifica di clown ed artisti di strada, leader popolari e di tante altre persone comuni che avevano anche l’obiettivo di metterli di fronte ad un passato conteso che molti di loro preferivano rimuovere, anche nel senso descritto nel post precedente, cioè di un un divenire-altro cui la vita li obbligava. Nel caso di Mapiripan, dopo la nostra azione diretta, l’unica famiglia che si offrì volontaria per cucinare cibo e prestare alcuni servizi di logistica fu poi espulsa dal villaggio e dovette rifugiarsi a sua volta a Bogotà. Inoltre tutti gli organizzatori dell’evento ricevettero minacce di morte credibili che li obbligarono in alcuni casi a lasciare il paese per qualche tempo. Rimemorare in Colombia era quindi un’azione che presentava svariate complessità.
Dopo Mapiripan partecipai ad una lunga serie di incontri, marce concerti e fori politici a Bogotà, Medellin, Cali, Quibdò, Armenia, Barrancabermeja e Buenaventura ai quali erano presenti molte organizzazioni internazionali, nazionali, regionali e/o cittadine. Cercai di intendere ognuno di questi incontri a partire da quella comprensione cui mi aveva introdotto la carovana di Mapiripan. Vi scorsi così ogni volta una funzione primaria che era proprio quella di ricucire emotivamente una lunga serie di traumi che non avevano altri spazi di condivisione oltre quelli che venivano creati in quei contesti. Compresi in questo modo che resistenza significava innanzi tutto prendere coscienza di non essere colpevoli delle violenze che si erano subite o a cui si era assistito e che questo percorso non poteva che essere condiviso. A partire da questa consapevolezza si mettevano in moto dinamiche con cui si recuperavano quasi letteralmente le forze incontrando persone che raccontavano storie di oppressione e di privazione simili a quelle che si vivevano quotidianamente e mostrando logiche belliche più complessive che andavano oltre le storie di quartiere. Si generava così una protezione ed una comprensione di gruppo che permetteva poi di organizzare pensieri condivisi sulle ragioni della povertà e edlla diseguaglianza da cui si alimentavano azioni come quella di Mapiripan. I fori, gli incontri eccetera erano sempre forme di organizzazione partecipata di azioni dirette che aspiravano a puntare il dito sul “marciume” che bisognava riportare a galla. Nei difficoltosi percorsi di normalizzazione della violenza di un paese come la Colombia, come visto, la morte appariva troppo spesso un fatto ripetitivo che nasceva soprattuto per via di un “destino” e di “scelte sbagliate” personali. Questo modo di intendere la guerra civile riduceva ogni cammino di resistenza contro le diseguaglianza strutturali a pure e semplici velleità “comuniste” o “guerrigliere”. Quando non venivano criminalizzate di solito erano tacciate come la ragione dei problemi di sviluppo e di progresso del Paese. Ognuno di quegli incontri rovesciava queste visioni del mondo.
Durante gli ultimi due mesi del mio lavoro di campo nel 2011, l’instabilità del Barrio nell’epoca del “passaggio”, costrinse anche me ad allontanarmi da Buenaventura. La decisione fu dovuta ad un generale aumento della tensione percepita che iniziò a diventare personalmente insostenibile. Gli incontri della vita mi portarono però a partecipare all’organizzazione di una marcia di commemorazione per i 20 anni di un’altra strage paramilitare nella hacienda El Nilo, nel distretto del Cauca, insieme ad un gruppo di indigeni Nasa e Paece, Los Nietos de Manuel Quintin Lame. In questo caso le azioni di rimemorazione si ripetevano ogni anno e non vi era nulla di particolarmente delicato in quell’evento fatta eccezione per le dinamiche interne alle autorità indigene dei territori in questione. All’epoca, Los Nietos, tra i quali c’erano alcuni fondatori dissidenti del CRIC, erano in opposizione “cordiale” con i vertici delle autorità indigene del territorio, il CRIC appunto. La natura dei contrasti riguardava quasi unicamente le forme della protesta, non le ragioni che le motivavano. Los Nietos occupavano terre illegalmente poichè il Governo non le restituiva. Il CRIC era invece impegnato in più complesse tattiche politiche che spesso risultavano di difficile comprensione per la base. Giocando su questa contesa, all’interno degli eventi commemorativi organizzammo un’azione che chiamammo “Ocupa la Memoria” (occupa la memoria) sui social network che generò alcune ansie, soprattutto localmente. Le terre della Hacienda El Nilo erano ancora di propietà di una società di prestanomi che se ne era appropriata dopo la “vendita forzosa” avvenuta dopo l’uccisione dei 20 indigeni capi famiglia che vivevano lì. Il gioco di parole “ocupa la memoria” aveva generato preoccupazioni poichè si temeva che l’occupazione potesse essere una “via de hecho”, cioè reale, vista la storia de Los Nietos. Un’azione giudiziaria aveva infatti dato ragione agli indigeni ed intimato il governo a restituire le terre ma non era accaduto ancora nulla in quel senso. Ed era passato già molto tempo. La nostra intenzione, evidentemente provocatoria, giocava linguisticamente sulla necessità di ricordare, occupando memorie impegnate in tutt’altro. Tra le micro azioni che registrammo vi furono comizi improvvisi di qualche minuto sugli affollatissimi bus “Transmilenio” di Bogotà, fatti da due o più persone che raccontavano una fantomatica storia sull’occupazione della Hacienda el Nilo ad alta voce; un’occupazione che chiaramente non avvenne e non era in programma. Sta di fatto, che questo evento ci causò non pochi problemi e stigmatizzazioni di vario tipo, tra cui una diretta accusa di essere integranti delle FARC per cui dovemmo rispondere alle autorità locali indigene del municipio in cui vivevamo all’epoca, la cittadina di Caldono, sempre nel Cauca. Alcuni giorni prima della marcia, prevista il 16 dicembre del 2011, fui poi convocato personalmente dalla “Comandancia” del CRIC che mi ribadì la loro disapprovazione per il nostro evento “parallelo”, pur riconoscendo il fascino dell’azione mediatica che aveva sortito effetti a Bogotà che però dai villaggi noi non riuscivamo a cogliere pienamente. Terminarono dandoci il permesso di seguire la nostra rimemorazione insieme ad alcuni sopravvissuti alla strage nonchè alla pro-pro-pro nipote di Manuel Quintin Lame che da Cali aveva deciso di unirsi alla nostra camminata da Santander de Quilichao fino alla Hacienda el Nilo; un modo diverso per ricordare il trisavolo, così famoso tra le montagne del Cauca.
Non toccai più cime adrenaliche ed organizzative come quelle di quei giorni e di quell’anno. Nel 2013 e 2014, attraverso l’ICANH, mi trovai soprattutto a lavorare insieme alla Secreteria de Asuntos Etnicos del Municipio di Bogotà che allora era governata da Gustavo Petro, primo sindaco ex guerrigliero (M19) della capitale del Paese. Mi impelagai quindi in questioni burocratiche che per una ragione o per l’altra si conclusero sempre con il “fallimento” di ogni progetto che avevamo iniziato, nonostante l’approvazione dei beneficiari, una “progettualità convincente” e la disponibilità di fondi pubblici. In quei giorni mi resi conto di aver iniziato un personale cammino nella “mala suerte”, cioè in una configurazione cosmologica del male che toccava più o meno tutti quelli che si indaffaravano nelle politiche progressiste in Colombia e che di lì a poco avrebbe fatto decadere il sindaco della città a causa delle sue politiche sulla gestione dei rifiuti urbani. Senza dilungarmi troppo con ulteriori esempi, è da questa prospettiva che vorrei provare a mettere assieme un pensiero sull’azione collettiva in Colombia per proporre un’interpretazione del blocco del Puerto.
Per farlo, occorre ritornare prima di tutto ai temi del primo post del blog ed al post [1]. In sintesi, ho cercato di definire sistemi politici oltre la nozione di sovranità e di percorsi identitari. Per farlo ho mostrato una realtà quotidiana in divenire tra opposti mai propriamente tali come amico-nemico, esterno-interno o adentro-afuera che descrivono relazioni di inimicismo che si adattano alle condizioni del conflitto. Simmetricamente, ho raccontato anche l’esistenza di molti spazi per così dire di “liberazione”, definiti “interrregni”, capaci di sovvertire quelle forze che decentrano le soggettività del Barrio rispetto ad un altrove altrimenti più potente dei percorsi locali di soggettivazione. Rimane aperta la questione di come, partendo da qui, possano articolarsi azioni collettive su più ampia scala contro una violenza strutturale e non confinabile “alle scelte di vita dell’individuo”. In particolare, per raccontare il blocco del Puerto, ho bisogno di snodare alcune dinamiche, prime tra tutte quelle reazioni che producono le solidificazioni degli interregni dentro ordini non completi ma facilmente identificabili attraverso istituzioni ambigue come il “Capo” o la “banda”. Come visto queste nozioni riempiono l’immaginario chiudendo o direzionando le opzioni di resistenza disponibili. Tuttavia, accanto a queste solidificazioni, esistono anche un insieme di forze opposte che apparentemente ne limitano la crescita sostituendo, con una certa costanza, la leadership o modicandone i vincoli di appartenenza. Nel post precedente ho mostrato però anche come il cambiare da un epoca all’altra di fatto lasci gli abitanti dentro una non identità, un divenire-"un certo gruppo” che lascia immutate le condizioni che generano la violenza strutturale. Nella lunga storia delle ribellioni della Colombia è certamente possibile ritrovare una vasta gamma di pratiche e di repertori di azioni collettive che rispondono alla necessità di andare oltre la sostituzione di una banda con un’altra o di un capo con un altro.
Al proposito esiste una vasta letteratura sui movimenti sociali afrocolombiani che analizza e descrive le forme assunte da queste azioni collettive nella regione pacifica della Colombia. Una rassegna che dia spazio a tutto il materiale disponibile non rientra nello scopo di questo post (1, 2, 3, 4, 5, 6). Per ora mi basta inquadrare le questioni più generali citando un sociologo italiano, Alberto Melucci (1), che considera i movimenti sociali una critica fondamentale che muove dall’interno di sistemi complessi quali sono le società moderne. La densità informativa insieme alle scale raggiunte da alcune dinamiche di dominazione richiedono infatti l’organizzazione di proteste non più confinabili ai singoli territori e che coinvolgono una molteplicità di attori. Esistono tuttavia alcune importanti criticità che riguardano come queste macrovisioni del mondo e quindi della protesta riescano ad essere rappresentative di quella microfisica del potere che ho cercato di descrivere in queste pagine. Il blocco del Puerto infatti si determinò per ragioni locali, legate all’accesso all’acqua, e dipese da una congiuntura di eventi specifici che generò la rivolta. Tuttavia l’azione che ne derivò, il blocco delle strade, ebbe un impatto nazionale per via della vitale funzione logistica della città rispetto all’economia del Paese. La ricomposizione della protesta ed i dispositivi di controllo che si misero in moto presentano quindi delle specificità proprie non necessariamente riconducibili alle più generali lotte del movimento afro-colombiano come quelle legate al riconoscimento della proprietà collettiva delle terre dentro la Ley 70 o i diversi percorsi identitari e culturali che aspirano a riaffermare la “cultura afro” in una società razzializzata come quella colombiana. Vi sono poi dinamiche interne al movimento stesso che a Buenaventura appaiono collidere tra spinte autonomiste radicali che moltiplicano le identità immaginate, i nuovi nazionalismi e le spinte regionali, e forze universalizzanti che aspirano invece a risolvere le diseguaglianze materiali attraverso il riconoscimento di diritti universali e della “rule of law” ipotizzando che la lettera della legge di per sè sia sufficiente per generare cambiamenti anche nei quartieri. In quella che ho definito la guerra civile del Puerto sono evidenti tutti questi piani di analisi e processi tanto nelle politiche del controllo quanto in quelle della protesta. Quelllo che ora più mi interessa non è tentare una sintesi delle diverse questioni aperte ma cercare di comprendere come l’organizzarsi locale si leghi a queste questioni rimanendo comunque un processo distinguibile e peculiare.
Per tentare di fare un passo in più verso la comprensione di queste dinamiche trovo utile ancora una volta ritornare agli studi di Foucault, in particolare alla lezione conclusiva dei suoi seminari “Bisogna difendere la società” (2010:206-228). Vorrei cioè verificare come alcune pratiche di governo che organizzano la “funzione del razzismo” e come il dispositivo “guerra alla droghe” si intersechino a Buenaventura e come la protesta debba trovare sempre un modo per snodare dinamiche caotiche imposte da quelle intersezioni rischiando di perdere poi il focus e l’obiettivo delle lotte stesse. A partire da queste considerazioni, nel prossimo post cercherò di intendere il blocco del Puerto come un interregno che permise un superamento in senso comunitario di ognuna delle cesure del corpo sociale. Ciò fu possibile attraverso la creazione di un campo aperto fondato epistemologicamente sulla calle e sulla presa di coscienza di una comune condizione di privazione da cui si misero in moto forme di solidarietà altrimenti impensabili. Al di là della sua successiva sintesi politica dentro precise richieste ed offerte di compensazione, avvenne qualcosa di più importante che riguardò una riconquista nell'immaginario di convivialit. Da qui derivò la consapevolezza di un potenziale non reprimibile.
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7 lug 2021 15:00
LA MORTE NON FINISCE NULLA: MARADONA E' SEMPRE VIVO. E SUL SUO MITO E' NATA UN'ECONOMIA - MARINO NIOLA: "IL PIAZZALE DEDICATO A DIEGO È DIVENTATO LA TAPPA PREFERITA DAI TURISTI TORNATI A VISITARE NAPOLI. T-SHIRT, PAREI DA MARE, CALAMITE, PORTACHIAVI CON L'ICONA DEL FUORICLASSE, PASTORI DEL PRESEPE IN MAGLIA AZZURRA VANNO A RUBA. UNA SCHIERA DI TURISTI DI TUTTO IL MONDO VA IN PELLEGRINAGGIO A SAN GIOVANNI A TEDUCCIO, PER OMAGGIARE IL MURALE 'DIOS UMANO' DI JORIT. È SCOPPIATA LA MARADONOMY. DOPO MESI DI ISOLAMENTO, LA CITTÀ TORNA A RESPIRARE"
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1 - IL NUOVO SANTO HA FATTO IL MIRACOLO
Marino Niola per "il Venerdì - la Repubblica"
Pizza fritta, spritz e Mano de Dios. Si ricomincia». È il brindisi di un gruppo di ragazzi torinesi sotto il murale di Maradona, nei Quartieri Spagnoli. Dove il piazzale dedicato a Diego Armando è diventato la tappa preferita dai turisti tornati a visitare Napoli. Lo ha raccontato su Repubblica.it un bellissimo servizio di Marina Cappitti con le foto di Riccardo Siano. Migliaia di persone vanno a selfeggiarsi, a brindare, a baciarsi sotto l' immagine del Pibe che giganteggia.
Tshirt, parei da mare, calamite, portachiavi con l' icona del fuoriclasse, pastori del presepe in maglia azzurra vanno a ruba. Una schiera di turisti di tutto il mondo va in pellegrinaggio a San Giovanni a Teduccio, nella periferia orientale dove è ambientata L' amica geniale di Elena Ferrante, per omaggiare il Dios umano di Jorit, un imponente murale alto come un intero palazzo, dove il volto del campione è raffigurato con tatuaggi da guerriero. Insomma, è scoppiata la maradonomy, crasi fra Maradona ed economy. E dopo mesi di isolamento, la città torna a respirare.
Tutto merito di san Diego, che continua a far miracoli anche dopo la morte, come i veri santi. A riprova di una affinità elettiva, un legame di anima e cuore tra il calciatore e la città che non si è mai spezzato. E che la morte prematura ha reso ancor più stretto. Come succede da sempre per i personaggi mitici.
Che siano antichi eroi o moderni idoli dello star system, la loro vita continua nella mente e nei cuori della gente. E la morte non finisce nulla, per dirla con Pablo Neruda. Così è per Diego Armando, nato a Buenos Aires e rinato a Napoli.
Questa doppia cittadinanza dell' anima ha segnato la vita del più grande calciatore di sempre. E adesso diventa una chance per la città vesuviana, che ha la proverbiale capacità di trasformare l' immateriale in materiale. La fantasia in economia.
2 - IL DRIBBLING DI DIEGO ALLA CAMORRA
Ilaria Urbani per "il Venerdì - la Repubblica"
Maradona dio dello sport, celebrato come in un tempio. Il campione, che i tifosi vollero D10S, diventa anche simbolo della rinascita di un luogo sotto scacco per anni del clan dei Casalesi. Trentola Ducenta, provincia di Caserta, piena Terra dei fuochi.
Non un nonluogo qualunque.
Diego Armando Maradona. Il riscatto di una città attraverso lo sport è la mostra fotografica che si inaugura il 5 luglio al Jambo, centro commerciale diventato bene confiscato alla camorra dopo un' inchiesta che svelò nel 2015 l' intreccio tra criminalità, politica e imprenditoria. Michele Zagaria, superboss dell' affaire rifiuti, "Capastorta", qui incontrava in latitanza politici e imprenditori, decideva strategie commerciali e imponeva lo sviluppo dell' area. Dopo la camorra, l' arte per una nuova narrazione.
La mostra su El Pibe de Oro, scomparso a novembre, realizzata con l' Agenzia nazionale dei beni confiscati, sarà visitabile fino al 31 dicembre. In esposizione 134 immagini in bianco e nero di Sergio Siano, 15 totalmente inedite (come quelle pubblicate in questa pagina). Il percorso espositivo, testimone del genio e della sregolatezza del campione, è a cura di Yvonne De Rosa, fondatrice di Magazzini Fotografici al centro antico di Napoli. «Le foto che amo di più non sono al San Paolo ma quelle che scattavo a 16 anni al campo Paradiso a Soccavo» racconta Siano, cresciuto in una famiglia di fotoreporter.
«Vedere Maradona allenarsi, il suo rapporto con il pubblico, la sua umanità, erano per me una fuga dalla cronaca nera, dai due morti al giorno di camorra. Maradona ha riscattato i napoletani, ci faceva rispettare, vincere contro i soprusi». Anche la data dell' inaugurazione è simbolica.
«Il 5 luglio 1984 Maradona entra al San Paolo per la prima volta» spiega la curatrice. «Ho diviso il percorso in tesi, antitesi e sintesi. Maradona dio del calcio, come in una chiesa. Il mito, l' eroe. In una "sagrestia" color porpora i suoi ritratti più intimi. La lotta in campo per dimostrare di essere il più bravo. Poi lo scudetto e i caroselli per le strade di Napoli». Previste visite di studenti. Un libro racconta la mostra, il ricavato andrà in beneficenza per la spesa solidale sul territorio. N più di cento fotografie del fuoriclasse argentino, alcune inedite, saranno esposte in un centro commerciale confiscato al crimine. «È un omaggio a chi ha saputo riscattare i napoletani»
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IV Settimana della Ricerca ad Alessandria: Scienza, Cultura e Solidarietà
Dal 21 al 30 novembre, eventi e iniziative per promuovere la ricerca scientifica e il benessere collettivo
Dal 21 al 30 novembre, eventi e iniziative per promuovere la ricerca scientifica e il benessere collettivo Dal 21 al 30 novembre 2024, Alessandria ospiterà la IV Settimana della Ricerca, un evento organizzato dal Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione (DAIRI) dell’AOU AL e da Solidal per la Ricerca. La manifestazione mira a promuovere la cultura scientifica e la consapevolezza…
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Bari, consegna del premio "Nicolino d’Oro 2023" ai cittadini che hanno dato lustro alla città
Bari, consegna del premio "Nicolino d’Oro 2023" ai cittadini che hanno dato lustro alla città Si è svolta questa mattina, nella sala consiliare di Palazzo di Città, la tradizionale cerimonia di consegna della XXV edizione del Premio “Nicolino d’Oro 2023”, promosso dal Circolo Acli Dalfino e Comune di Bari. Come ogni anno, sono stati premiati cittadini baresi che con la loro attività, la loro passione e le loro idee hanno dato lustro alla città di Bari, alla sua storia e alla sua cultura. Alla cerimonia hanno partecipato il sindaco Antonio Decaro, Michele Fanelli, presidente del circolo Acli Dalfino, Anna Dalfino, presidente onoraria del circolo Acli Dalfino e numerosi ospiti intervenuti alla premiazione. “Questo è un momento speciale in un giorno speciale, quello dedicato al nostro santo patrono, il giorno più significativo e importante per la nostra città – ha detto il sindaco Antonio Decaro –. Nel giorno di San Nicola, ci stringiamo attorno alla sua figura non solo per onorarlo, ma anche per celebrare i valori fondamentali che costituiscono la nostra identità, legata ai valori della fratellanza, dell’accoglienza, della solidarietà e della pace che rappresentano gli ideali del nostro santo patrono. Oggi celebriamo San Nicola grazie al contributo del circolo Acli Dalfino e delle persone che si sono distinte per la loro attività, professionalità, impegno nel volontariato e per azioni realizzate nel corso dell'ultimo anno. In questa giornata, rendiamo omaggio non solo al patrono, ma anche a coloro che quotidianamente abbracciano i suoi valori. Non abbiamo bisogno di supereroi: esistono eroi comuni, persone che ogni giorno svolgono il proprio lavoro e compiono il loro dovere con impegno e determinazione. La nostra città è fortunata ad avere associazioni, scuole e parrocchie che collaborano e si tendono la mano per sostenere coloro che rischiano di restare indietro. L'importante è che tutti raggiungiamo il traguardo insieme. Mi rallegra vedere la comunità unirsi in un abbraccio solidale attorno a questi eroi quotidiani.” “Venticinque anni fa ci chiedemmo perché Bari non avesse un premio tutto suo, considerando che Milano aveva l’Ambrogino e Firenze il Fiorino d’Oro – ha detto Michele Fanelli – così questo premio anno dopo anno è cresciuto fino a diventare un appuntamento fisso nel giorno di San Nicola. L’anno scorso abbiamo anche firmato un protocollo con il Comune di Bari, cosicché il Comune è ora parte integrante del premio. In questi venticinque anni abbiamo conferito il Nicolino d’Oro a più di duecento baresi, celebrando così le persone che si sono distinte nella loro vita adoperandosi significativamente per la nostra comunità.” Il premio Nicolino d’Oro 2023 è stato conferito a otto personalità della città di Bari, tra cui due premi alla memoria come indicato di seguito: Sezione Sport: Nicolò Colossi Giovanissimo studente di soli 16 anni, nato a Bari. A soli 10 anni scopre il gioco da tavola “Subbuteo” (calcio in miniatura). Durante il primo lockdown del 2020 riprende dalla cantina, nelle infinite giornate a casa, la tavola da gioco del subbuteo riscoprendola e appassionandosi a tal punto da chiedere di entrare in un club subbuteo di Bari, divenendone la mascotte. È un’esperienza che lo segna e, grazie a un esperto giocatore barese, arriva la convocazione in nazionale. Dopo un anno di incontri si perfeziona vincendo vari titoli, anche federali. Viene convocato dalla nazionale under 16 per i campionati europei di Gibilterra. Ed è lì che il 16 e 17 settembre del 2023 Nicolò vince la medaglia d’oro a squadre con la nazionale italiana under 16. Il prossimo obiettivo è di arrivare ai mondiali di Londra a settembre 2024 sempre con la maglia del subbuteo club Bari, portando i colori della nostra città, bianco e rosso, nel cuore. Sezione Medicina: Antonella Spica Nata a Gallipoli, in provincia di Lecce, il 23 settembre 1963. Dopo aver frequentato gli studi superiori nel Salento, si laurea in Medicina e chirurgia presso l’Università degli studi di Bari con 110 e lode, specializzandosi in Igiene e medicina preventiva, diventando coordinatrice di RSA in diverse realtà locali. La dottoressa Spica durante l’esperienza Covid si è prodigata come medico del dipartimento di prevenzione dell’Asl nella somministrazione di ben 25.000 dosi di vaccino con il suo team insieme a decine di migliaia di tamponi fatti a tappeto nelle RSA. Nella nostra regione è stata il medico che ha vaccinato di più in assoluto. La sua attenzione è stata rivolta soprattutto ai fragili e ai più poveri che, durante la pandemia, sono stati i più colpiti. Una vera e grande guerriera, sempre in prima linea, con coraggio e immenso spirito di servizio. Sezione Baresità e solidarietà: Mario Francia Nasce a Bari il 3 dicembre 1948. Trascorre la sua infanzia e adolescenza tra i quartieri Madonella e Bari vecchia dove in piazza Federico di Svevia abitavano i nonni acquisendo quei valori legati alla famiglia, solidarietà e baresità. Nel 1972 si laurea in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Bari. Nel 1976 consegue una borsa di studio presso l’Istituto di politica internazionale a Roma per intraprendere una carriera diplomatica presso il Ministero degli Esteri. Ma la scelta diventa un’altra, nel 1978 si trasferisce a Milano dove intraprende la libera professione di dottore commercialista e revisore contabile. Il suo amore per Bari, le sue bellezze il mare e il suo cielo azzurro è viscerale. Il passaggio dalla Madonella alla Madonnina non lede l’affetto per la sua città. In un momento difficile quale quello del Covid, Mario Francia ha dimostrato uno straordinario slancio di solidarietà, contribuendo in maniera esemplare nell’aiuto a famiglie baresi in estrema difficoltà economica a causa dell’emergenza sanitaria. Il suo amorevole rapporto con la città di Bari continua nella maniera ancor più genuina unendo la Madonella e la Madonnina. Sezione Informazione: Telebari L’emittente televisiva Telebari nasce nel 1973, prima televisione locale nella nostra città, creata da Orfeo Mazzitelli che ha mantenuta viva la passione di una realtà televisiva d’informazione come se fosse un suo figlio. A questa emittente va dato il merito di essere stata, e di essere ancora, la voce della città. Negli anni ‘80- ‘90 è stata l'artefice di vere e proprie battaglie sociali e culturali in momenti bui che hanno caratterizzato la nostra città, in particolar modo la città vecchia e le periferie, dando voce ai problemi sociali come la devianza e del mancato rispetto della legalità, facendo da pungolo alle istituzioni e dando dignità ai residenti dei territori della città. Grazie alla sua informazione, attraverso i suoi giornalisti che hanno lasciato un segno indelebile come Fortunata Dell'Orzo, Vittorio Stagnani e tanti altri. A distanza di 50 anni, Telebari è cresciuta divenendo un’emittente regionale raggiungendo anche l’utenza della Basilicata. Il suo ricco palinsesto è fatto di informazione e di tante altre rubriche culturali, popolari e sportive, atte alla valorizzazione delle nostre radici, promuovendo e contribuendo allo sviluppo economico sociale e culturale della nostra città avendo nel proprio Dna l’amore per essa. Sezione Cultura: Nicola Valenzano Nato a Bari l’11 gennaio del 1962, vive la sua infanzia e la sua adolescenza tra i vicoli di Bari vecchia. Sin da ragazzo sente particolare attenzione per l’arte e in particolar modo per quella teatrale. Nel 1978 inizia la sua carriera come ballerino di danza classica, frequenta diversi stage e nel 1985 entra nel mondo dello spettacolo come coreografo di talent nel programma di Rita Pavone. Si immerge nel mondo teatrale con innumerevoli partecipazioni. Anche il cinema diventa la sua passione. Lavora come attore con grandi registi: Olmi, Piva, Rubini e Ponti. Nella nostra città ha realizzato e curato la regia di ben cinque edizioni del Corteo Storico del nostro patrono S. Nicola in maniera eccelsa e artistica. Sezione Religione: suor Alessandra Antonucci Nata a Vernole, in provincia di Lecce nel 1935. Giovanissima sente la chiamata vocazionale. Nel 1954 si ritira presso la congregazione della Suore Salesiane del Sacro Cuore. Lo spirito di servizio è forte, nel 1957 consegue il diploma di infermiera professionale presso il convitto in S. Giovanni Laterano a Roma. Dal 1957 al 1977 è stata capo sala, in sala operatoria, presso l'ex Ospedaletto dei bambini in via Trevisani a Bari curando anche il trasloco nel nuovo Ospedaletto in via Amendola, prestando il suo amorevole servizio ai bambini dal marzo del 1957 al 2008. Ha prestato servizio di infermiera presso l'Unitalsi assistendo con particolare amore i ragazzi sordomuti presso l'istituto Smaldone dove opera ancora come infermiera mantenendo fervido lo spirito di servizio ai fratelli. Alla Memoria: Silvia Barile Nasce a Bari il 14 marzo del 1966. Dopo le scuole dell'obbligo, nel 1989 si laurea in Lettere presso l’Università degli studi di Bari. Nel 1991 convola a nozze con Giuseppe Campobasso divenendo madre di tre figli, Maria Giovanna, Vito e Paolo. Professa il suo insegnamento presso il liceo Classico “Orazio Flacco” di Bari come docente in letteratura latina e greca. Nel 2002 fonda l'associazione “Libri su misura”, lavorando instancabilmente all’idea di una biblioteca ludoteca da realizzare nei reparti di Pediatria degli ospedali. Il sogno si concretizza anche grazie all’Università di Bari e nel 2009, nel reparto di Pediatria dell’Ospedale S. Paolo di Bari, inaugura la prima biblioteca e ludoteca, l'anno successivo nel reparto di Oncoematologia pediatrica del Policlinico, e infine presso l’ospedaletto pediatrico Giovanni XXIII. Dal 2011, questa esperienza viene accreditata come sede di tirocinio universitario per la formazione di studenti di Scienze dell'Educazione. Il suo esempio ha prodotto una schiera di volontari che si adoperano e promuovono, onorando la memoria della loro fondatrice. Un male incurabile, il 7 febbraio del 2013, aggredisce la sua nobile persona, decretandone la morte. Alla Memoria: Nicola Brienza Nasce a Bari il 27 giugno 1964. Sposato con la dott.ssa Maria Massaro, da cui sono nati tre figli, Roberto, Antonio e Beatrice. Diplomato al liceo classico “Orazio Flacco” con il massimo dei voti nel 1989, si laurea in Medicina e chirurgia presso l’Università degli Studi di Bari con 110 e lode. Nel 1992 consegue il diploma in Anestesiologia e Rianimazione e nello stesso anno vince un concorso per dottorato di ricerca presso l’Università di Milano della durata di tre anni presso Baltimora negli Stati Uniti. Nel 2021 diviene professore in Anestesiologia e Rianimazione e terapia intensiva al Policlinico di Bari. Nell’arco di 35 anni è stato sempre presente nei suddetti reparti e negli ultimi due anni anche nei padiglioni della Fiera del Levante prodigandosi nell'assistenza ai malati di Covid in terapia intensiva. Niky, per famigliari e amici, muore il 29 settembre del 2022, il giorno in cui si festeggiano gli Arcangeli, a soli 58 anni. Con la sua umanità dolce segna l’ambito della sanità pubblica offrendo un chiaro esempio della vocazione medica al servizio delle persone, specie per i più fragili.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Dzeko dice no alla partita contro la Russia: "Solidale con il popolo ucraino"
Dzeko dice no alla partita contro la Russia: “Solidale con il popolo ucraino”
articolo : https://www.repubblica.it/sport/calcio/esteri/2022/09/10/news/dzeko_no_a_partita_bosnia_russia-365060458/?ref=RHTP-BH-I364394794-P6-S4-T1 L’attaccante dell’Inter non giocherà l’amichevole decisa dalla federazione della Bosnia il 19 novembre a San Pietroburgo. La stessa posizione aveva assunto Pjanic Edin Dzeko – repubblica.it No alla partita con la Russia. Edin Dzeko, come Miralem…
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Simona Recagno, un grande cuore cresciuto sui campi di calcio femminile #calciofemminile #SporteSolidarietà #calciatrice #grandeCuore #SimonaRecagno #solidale #insiemesipuo #Osteopata #GiulioGolia #LeIene #igienepersonale #Pandemia https://tinyurl.com/y5xukmkn
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Re David 1989 Bari: “I nostri fuoriclasse non calciano un pallone” Lo striscione è stato posizionato questa mattina all’esterno del Policlinico con un messaggio solidale, che mette in secondo piano il calcio:
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serata/festa di beneficenza
si avvicina il giorno di santo stefano, la serata di beneficenza. E gli sponsor già mi stanno confermando la loro presenza, tanto che domani arriverà un intero furgone di cesti da mettere in palio martedì sera. così come anche palloni da calcio firmati legea. da parte già da tempo camicie, così come dovrebbero poi confermarsi anche dei jeans. che dire...bello vedersi riconosciuto gesti di stima e amicizia, di persone perbene. sarà festa, e soprattutto sarà una serata solidale
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