#bonifica delle Paludi Pontine
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“ Le bonifiche [...] non sono un’invenzione di Mussolini, ma un problema che l’Italia unitaria s’era posta subito dopo il Risorgimento e l’unificazione nazionale. Tutte le pianure del Centrosud erano completamente abbandonate da secoli e la gente s’era ritirata sopra i monti, prima per la difesa dalle invasioni dei barbari e dei saraceni, e poi per i latifondi e la malaria. Un deserto. Ed è quindi già alla fine dell’Ottocento che si iniziano a fare – ma sempre e soprattutto in Valpadana – le prime leggi e i primi grandi interventi di bonifica per iniziativa dei privati, che intendevano giustamente incrementare le colture e i guadagni. Non è che fossero filantropiche. Nell’Italia centromeridionale invece – che era quella che ne aveva più bisogno, perché più povera e più malarica – non s’era mai mossa una paglia, poiché non esisteva un ceto imprenditoriale vero e i ricchi proprietari si accontentavano di raccogliere quello che arrivava e di mangiarselo nei loro palazzi di città. È così che dai circoli di Nitti e della Banca Commerciale nasce l’idea – per modernizzare il Mezzogiorno – di farlo diventare anche lui capitalista a tutti i costi: «Se i ricchi del Sud non sono capaci, andiamo noi del Nord al posto loro». Ma con i soldi dello Stato ovviamente. E così fanno nel Pontino, col finanziere Clerici, i Caetani e Omodeo. Ma finì a scandali. Intanto i ricchi proprietari del Sud s’erano incazzati, Nitti era caduto, era caduta la “vecchia Italia” ed era arrivato al potere il Duce, che non aveva però una gran classe dirigente e la sera – prima d’addormentarsi – ogni tanto pure lui dentro il letto si chiedeva: «Ma a me mi sa che un Paese non si può dirigere solo coi manganelli e le schioppettate. A me mi sa che mi ci vuole pure qualche tecnico». Così i tecnocrati dei circoli nittiani passano al fascismo, lui se li prende perché gli fanno comodo e loro ripartono: aggiustano il tiro e ripartono. Chiedono scusa agli agrari meridionali e fanno marcia indietro: «Va bene, bonificheremo con voi attraverso i Consorzi dei proprietari». Loro sono di scuola economica liberale, avrebbero voluto i padroni moderni del Nord, ma a questo punto si accontentano pure di quelli retrivi del Sud. Tertium non datur e un padrone privato ci deve stare per forza, perché senza capitalismo non si va avanti. Ma nel loro mestiere sono bravi e finalmente – dopo secoli e secoli di incuria e d’abbandono da parte dei proprietari – nel 1928 la bonifica idraulica comincia per davvero. Con i Consorzi dei proprietari. Ma chi è che paga secondo lei? Ecco: tutta la bonifica idraulica, con lo scavo di fossi e canali e la sistemazione d’ogni corso d’acqua, era a totale carico dello Stato. Gli altri lavori invece – ossia ogni opera edile e stradale, le alberature, il consolidamento delle dune, la bonificazione dei laghi, la provvista di acqua potabile e di energia elettrica – lo Stato li pagava solo per il novantadue per cento, mentre l’altro otto per cento se lo dovevano sobbarcare i poveri proprietari. Ha capito? “
Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori (collana Oscar-Contemporanea), 2013; pp. 159-61.
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Il 'Blackpass' e la dittatura sanitaria "quando c'era Lui..." Le cavie umane di Mussolini. "Nel 1925, con il pretesto delle ricorrenti epidemie, il Duce da tre anni al potere diede l’autorizzazione a due oscuri ricercatori iscritti al partito, Giacomo Peroni e Onofrio Cirillo, di condurre un esperimento su larga scala a spese di centinaia di persone povere e vulnerabili, in violazione di ogni norma di etica professionale. Un’impresa degna del dottor Mengele (ne parla lo storico di Yale Frank M. Snowden nel suo straordinario libro La conquista della malaria, Einaudi 2008). I due scelgono un gruppo di duemila lavoratori impiegati nella bonifica di aree malariche in Puglia e in Toscana, gli levano il chinino (un farmaco usato per decenni contro la malattia, e che si era dimostrato efficace nel ridurre la mortalità) e gli somministrano del mercurio, un rimedio già ampiamente bocciato dalla comunità scientifica e dal Consiglio Superiore di Sanità. Obiettivo dell’esperimento, in linea con le aspirazioni del regime, è dimostrare che l’Italia può curare la malaria senza dover dipendere dall’estero (all’epoca i Paesi Bassi hanno il monopolio della produzione di chinino). Una terapia alternativa, autarchica, per fare dispetto a Big Pharma. I prodi camerati dividono le loro cavie in due gruppi: il primo è abbandonato all’infezione, viene cioè mandato a lavorare all’aperto in un ambiente infestato da zanzare anofele senza protezione alcuna, per capire come la malattia si evolva naturalmente nel corpo umano. Al secondo vengono praticate delle iniezioni intramuscolari di mercurio. Quella che i malariologi del littorio chiamano «saturazione» va avanti per quattro anni, fino al 1929. Non si sa di preciso quante vittime e quante sofferenze abbia provocato l’ardito esperimento, anche se Peroni sostiene che i risultati sono stati «splendidi», tanto da proporre di «mercurializzare» l’intero esercito italiano. Di opposto parere il Consiglio Superiore di Sanità: i partecipanti all’esperimento si sono ammalati tutti e il mercurio iniettato si è dimostrato totalmente inefficace. Ma questi per il fascismo sono dettagli, quisquilie rispetto agli interessi superiori della nazione. Anche la bonifica integrale delle paludi pontine, orgoglio dell’impero, «tornante della storia», una delle «cose buone» fatte dal Duce secondo i nostalgici, ha avuto un costo elevatissimo in termini di vite umane. Masse di disperati, disoccupati ed ex combattenti da tutta Italia aderiscono alla chiamata del regime e si riversano in quel lembo di terra desolata, accampandosi in modo precario e in condizioni igieniche disastrose, e sottoponendosi a fatiche disumane in mezzo a nugoli di zanzare. Muoiono a migliaia per incidenti sul lavoro, tubercolosi e ovviamente malaria. Ma che importa: dice Mussolini che la bonifica è come una guerra, e i lavoratori sono soldati che hanno il dovere di morire in battaglia. Prima della marcia su Roma la lotta alla malaria era stata una delle bandiere del movimento socialista, oltre che dei liberali giolittiani al potere. Per promuovere il chinino di stato nelle campagne, vincendo resistenze e superstizioni, si mobilitavano medici, insegnanti, attivisti e dirigenti di partito, femministe come Anna Kuliscioff e sindacalisti come Argentina Altobelli, leader delle mondine di Federterra, una valorosa riformista che al famoso congresso di Livorno del 1921 si schiererà con Turati contro i comunisti. Nei primi anni del Novecento questione sociale, questione femminile e questione sanitaria sono strettamente intrecciate (come oggi, del resto). La campagna per il chinino trasforma i rapporti di potere, indebolendo i latifondisti e facendo crescere la coscienza di classe dei contadini, ma migliorando anche le loro condizioni di vita e di salute e la loro capacità di difendere i propri diritti. La dittatura fascista fa tabula rasa di tutto questo, ma costruisce i suoi successi su decenni di impegno militante e di faticose riforme delle odiate élite liberali e socialiste. Archiviata la stagione dei diritti e ridotte al silenzio le poche voci di dissenso, Mussolini era libero di intervenire arbitrariamente su tutto, anche in materia sanitaria, fregandosene della scienza e della competenza. Lo chiamavano il Grande Medico. E se dicevi che il Duce non capiva un cazzo non ti invitavano a Otto e mezzo, ma ti davano prontamente il green pass (anzi il black pass) per una indimenticabile vacanza a Ventotene. da Linkiesta. Riccardo Fortuna
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Lotteria Italia: una tradizione senza tempo
La Lotteria Italia torna puntuale anche quest'anno. L'antico gioco, noto già agli antichi Romani, ha saputo resistere al passare dei secoli rinnovandosi ogni volta. Strumento ludico e di utilità sociale, ha esaltato la creatività tipicamente italiana, ha abbracciato con entusiasmo le nuove tecnologie, dalla televisione al digitale. Il 6 gennaio 2023 andrà in onda uno dei rituali collettivi più amati dagli italiani: che si tratti di stringere il biglietto tra le proprie mani o di monitorare l'App sullo smartphone, l'importante sarà sognare. Come partecipare Le informazioni ufficiali su Lotteria Italia 2022, ci dicono che: - dallo scorso 19 settembre sono cominciate le vendite dei biglietti, sia cartacei che digitali - l'estrazione dei 6 premi finali avverrà, come tradizione vuole, il 6 gennaio 2023 all'interno del programma "Soliti ignoti – Il ritorno" in onda su Rai 1 - il primo premio di prima categoria ammonta a 5 milioni di euro - all'interno del programma "È sempre mezzogiorno" è invece possibile conoscere i premi giornalieri assegnati. I biglietti sono disponibili in versione cartacea e digitale. I primi possono essere acquistati presso i rivenditori autorizzati da acquirenti maggiorenni; i secondi attraverso un conto gioco online, anche precedentemente aperto, presso uno dei rivenditori autorizzati alla vendita dei biglietti. La Lotteria Italia tra passato e futuro Gli iconici biglietti realizzati da grandi artisti contemporanei quali Piero D'Orazio, Antonio Corpora, Bruno Cassinari, Renzo Vespignani, Ugo Nespolo, Enrico Baj, quest'anno lasciano il posto ai protagonisti di un'iniziativa a sfondo sociale, "Disegniamo la fortuna", il concorso dedicato ad artisti con disabilità. Una giuria d'eccezione, come si vede dal video della riunione, ha valutato le opere in concorso da riprodurre sui biglietti di questa edizione. I disegni scelti sono riproposti sia sui biglietti cartacei che sui digitali. Il concorso, nato con l'edizione del 2021, vuole gettare le basi per una collaborazione sempre più solida tra l'Agenzia Dogane e Monopoli e il Terzo Settore. In realtà consolida quella che è una delle caratteristiche delle lotterie da sempre: contribuire a progetti di utilità sociale. Nel XV secolo, infatti, le lotterie erano organizzate per sostenere opere umanitarie e religiose; nel Settecento, finanziavano opere pubbliche. La lotteria del 1735 a Roma, per fare un esempio, fu organizzata per finanziare l'avvio della bonifica delle paludi pontine. Una tradizione italiana Il gioco della Lotteria affonda le sue radici nella notte dei tempi. La formula che conosciamo oggi nasce nel 1955, quando un decreto del Ministero delle Finanze la abbina a importanti programmi televisivi. Ricordiamo tutti le puntate del 6 gennaio di trasmissioni come "Fantastico", "Carramba! Che fortuna", "Affari tuoi", "I migliori anni" "La prova del cuoco". La prima lotteria italiana, però, risale al 1449: a fronte del costo di un biglietto pari a 1 ducato si poteva ambire a un premio di 300 ducati. Nel Seicento lo Stato iniziò a intervenire nella lotteria e, dopo la nascita del Regno nel 1861, il governo assunse il monopolio di Lotto e lotterie che presero così carattere nazionale e una cadenza regolare. Il gioco di fortuna era praticato già ai tempi degli antichi Romani, che durante le feste erano soliti vendere biglietti numerati da estrarre a sorte. A quei tempi la vincita non era in monete, bensì in oggetti di diverso valore. Il vero divertimento stava nel tentare la sorte. Read the full article
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Recensione in un tweet: Canale Mussolini (Antonio Pennacchi) - fmanclossi
Recensione in un tweet: Canale Mussolini (Antonio Pennacchi)
Descrizione: Canale Mussolini è l’asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. I suoi argini sono scanditi da eucalypti immensi che assorbono l’acqua e prosciugano i campi, alle sue cascatelle i ragazzini fanno il bagno e aironi bianchissimi trovano rifugio. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce … + Read More
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MACERATA – L’I.I.S. “Garibaldi” di Macerata ha ricevuto da Casa Leopardi la donazione di un fondo librario costituito da 500 documenti circa tra libri, opuscoli, raccolte e materiali a stampa che parlano di agricoltura marchigiana e in particolare di quella maceratese.
Un’importante gesto della famiglia Leopardi, per volere del Conte Vanni – deceduto lo scorso novembre – che si rivolge alla scuola che da più di 150 anni è il punto di riferimento per l’istruzione agraria del territorio, formando tecnici con solida preparazione professionale e culturale.
I testi donati, che faranno parte del fondo librario intitolato a “Ettore e Pierfrancesco Leopardi”, saranno oggetto di attività didattiche per le classi dell’Istituto e di giornate di studio aperte anche agli studenti di altre scuole. Tra i volumi emerge il forte rapporto tra la famiglia Leopardi, il territorio, l’agricoltura e il paesaggio; presente anche lo studio che il padre di Giacomo, Monaldo, fece sui tentativi di bonifica delle paludi pontine nei primi anni dell’Ottocento, e i tanti scritti dai risvolti umanistici.
Intanto domani 19 gennaio, nuova giornata di Scuola Aperta, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30. Sarà possibile vedere la scuola e approfondire le informazioni che riguardano gli indirizzi formativi: Tecnico Settore Tecnologico – indirizzo “Agraria, Agroalimentare e Agroindustria”; Professionale Settore Servizi – indirizzo “Servizi per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale e quello di nuova attivazione “Gestione delle acque e risanamento ambientale”.
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I pionieri dimenticati di Salto di Fondi
La storiografia ufficiale ha sempre ricordato l'epopea della bonifica delle Paludi Pontine a sud di Roma ma la bonifica del litorale fra Terracina e Sperlonga è sempre stata dimenticata
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la stampa
Perché sdoganare il fascismo è un errore Vladimiro Zagrebelsky 20/02/2018 Il fascismo è morto e sepolto. Non è un pericolo il fascismo: sono tutti morti. Il fascismo, nato come movimento socialista, ha avuto bisogno che arrivasse Mussolini o Hitler. Se non c’è in giro un Mussolini o un Hitler non succede niente. Pericoloso è semmai il movimento dell’antifascismo con i centri sociali, come si è visto a Piacenza con l’aggressione al carabiniere. Così Berlusconi l’altro giorno ospite di Fabio Fazio su Rai 1. Dirsi sconcertati è ormai impossibile, tali e tante sono le sciocchezze che ci vengono ammannite in questa campagna elettorale. Ma non può passare senza un commento l’incredibile ricostruzione secondo la quale il fascismo sarebbe stato Socialismo+Mussolini, morto il quale non potrebbe più esserci fascismo. E poco merita di esser detto dell’offensiva assimilazione dell’antifascismo, radice della Costituzione, all’azione di pochi criminali violenti che abusivamente si nascondono dietro una bandiera con cui nulla hanno a che fare. Né bisogna scrollare le spalle, pensando che si tratta di parole in libertà, che durano lo spazio di un passaggio in televisione. Gli elettori della destra nostalgica si sentiranno legittimati nell’arena politica. E si può immaginare l’effetto nell’Europa alle prese con ciò che accade in Ungheria e Polonia, quando nelle varie capitali verranno lette le note informative inviate dai loro ambasciatori a Roma. In realtà quanto detto dal sorridente e rassicurante Berlusconi va preso molto sul serio, perché quelle parole cadono su un terreno di altre parole che da qualche tempo tanti non esitano più a pronunciare. Una di queste è fascismo. Del fascismo viene taciuto l’uso e l’esaltazione del manganello contro gli avversari, l’abolizione del Parlamento (e l’uccisione del socialista Giacomo Matteotti), il partito unico, il carcere e il confino per gli antifascisti, le leggi razziali, le guerre coloniali e quella accanto ai nazisti. Ma, si dice, il fascismo ha anche fatto cose buone. Il giornale «Libero» ha pubblicato un elenco di 100 cose buone del fascismo. Salvini poi, capo della Lega, ha contraddetto il presidente Mattarella, ricordando il sistema pensionistico e la bonifica delle Paludi Pontine. Mattarella, il giorno della memoria della Shoah, aveva detto: «Non dimentichiamo, né nascondiamo quanto di terribile e di inumano è stato commesso nel nostro Paese con la complicità di organismi dello Stato, di intellettuali, giuristi, cittadini, asserviti a una ideologia nemica dell’uomo». Aveva aggiunto: «Sorprende sentir dire, ancora oggi da qualche parte, che il fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione». Il fascismo, ha detto il Presidente, «non ebbe meriti». Affermazione, quest’ultima in sé facilmente criticabile, se si pensa che qualunque regime fa pur qualcosa di buono. Nel regime di Hitler ad esempio fu costruita la prima rete autostradale in Germania. Ma chi direbbe ora, nel dibattito politico, che Hitler fece anche cose buone. Se lo dicesse, se ne facesse argomento, così come avviene oggi in Italia attorno al fascismo, farebbe un’operazione politica ben precisa. Si dice infatti che certo vi sono state le leggi razziali (ma la colpa fu di Hitler) e la guerra. Ma c’è stato anche del buono. E dunque non bisogna esagerare. Si può discutere e insomma si può storicizzare e archiviare un sistema morto insieme ai suoi protagonisti. Divenuto discutibile il fascismo, diventa discutibile l’antifascismo. In fondo anche l’antifascismo di oggi fa cose cattive, come le violenze dei centri sociali. Ed ecco che si torna al Berlusconi dell’altro ieri. Relativizzando il giudizio sul fascismo e rifiutando ogni attualità di una prospettiva fascista si esclude il tema dal campo delle questioni serie di cui discutere. Una simile posizione si inserisce in un contesto segnato da gruppi politici che rivendicano la loro radice fascista, simboli fascisti vengono usati e sono centinaia le pagine web dedicate al fascismo e ai suoi meriti. Ma anche se quei siti e quelle rivendicazioni da parte di gruppi e gruppuscoli richiamano l’adesione di numeri necessariamente limitati, il problema non può essere facilmente liquidato. Tracce di fascismo emergono in vasta parte del mondo politico e dell’opinione pubblica, anche se non si pensa più a manganello e camicia nera. L’ideologia e la pratica dell’odio per il diverso, l’attacco al Parlamento come luogo di discussione e mediazione politica, l’esaltazione di un’impossibile democrazia diretta, facilmente plebiscitaria, il nazionalismo autarchico rivendicato per attaccare l’Europa. Ed anche il linguaggio che nel dibattito politico ha perso ogni freno e rispetto per gli avversari. Non questo o quell’episodio, non questa o quella dichiarazione, ma il complesso del clima presente è motivo di allarme e non consente disattenzione.
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Pomptina Palus: il rapporto tra uomo e ambiente alla luce dei dati archeologici
Sabato 18 Marzo, alle ore 16:30, l’archeologo Gianluca Mandatori prosegue il primo ciclo di conferenze del 2017 presso il Museo della Città e del Territorio di Cori.
‘Pomptina Palus: il rapporto tra uomo e ambiente alla luce dei dati archeologici’ è il titolo dell’incontro con l’archeologo Gianluca Mandatori, che si terrà sabato 18 Marzo, alle 16:30, al Museo della Città e del Territorio di Cori, nell’ambito del primo ciclo di conferenze del 2017 promosso dalla Direzione scientifica del Museo, dalle associazioni culturali Arcadia e Amici del Museo e dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Cori, che terminerà sabato 29 Aprile con ‘Gli archivi ritrovati. Testimonianze documentarie dalle chiese di Cori monte distrutte nel 1944’ a cura di Laura Carpico. Il 25 e 26 Marzo il Museo aderirà alle Giornate FAI di Primavera e sabato 20 Maggio alla Notte Europea dei Musei.
Con questo intervento si offrirà – in maniera divulgativa, ma puntuale – un prospetto sulle Paludi Pontine in età romana, rileggendo e correggendo, alla luce delle fonti antiche e delle più recenti indagini archeologiche, la visione finora consolidata che vedeva in questa porzione del territorio laziale una sorta di granaio, poi abbandonato a causa del sopravvenuto impaludamento. In particolare, si farà riferimento alla sistemazione agraria del territorio, alla sua sfortunata colonizzazione, nonché ai principali interventi di bonifica antica; si metteranno, inoltre, in evidenza quelle caratteristiche geologiche, sanitarie ed ambientali che lo resero di difficile gestione, tanto da condurre al suo radicale – ma mai completo – abbandono.
Resistenti ad ogni forma di risanamento, le Paludi Pontine, il cui sfruttamento era stato per secoli legato ai cicli stagionali della caccia, della pesca e delle coltivazioni di sussistenza, cessarono di rappresentare uno spazio vitale agli occhi del colono romano quando, con il cambiamento delle dinamiche economiche, si passò allo sfruttamento intensivo dei latifondi: fu allora – sul finire del II secolo a.C. – che iniziarono ad essere raffigurate in tutta la loro oggettiva inospitalità. Un excursus storico, letterario ed archeologico, quindi, che – spaziando nell’arco di quasi un millennio – contribuirà a fare luce su un settore del Lazio Meridionale che, per la sua singolarità, ha affascinato generazioni di viaggiatori e studiosi.
Marco Castaldi
Addetto Stampa & OLMR
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“ Quando il 5 aprile del 1932 il Duce ed il Rossoni vennero in palude per un giro d’ispezione, arrivati al Quadrato li portò sul terrazzo del casale e coi disegni in mano gli fece vedere di qui e di là, puntando con il dito in ogni direzione: «Qui faccio la chiesa, là il comune e laggiù il cimitero». «Ma Cencelli, sei impazzito?» si incazzò il Duce: «Questa è una città, ch’at vègna un càncher». Bisogna infatti sapere che il Duce all’inizio era contrario alle città. Non le poteva vedere. Lui era per il ruralismo e la deurbanizzazione. Il primo nemico da battere era l’urbanesimo, era quella la fonte d’ogni male: la gente lasciava le campagne dove aveva lavorato in pace senza dare fastidio a nessuno, e veniva in città a fare gli scioperati e i disoccupati, a ubriacarsi nelle osterie e – mezzi ubriachi – a parlare pure di politica. «Altro che urbanesimo» aveva detto Mussolini, «tutti in campagna li voglio, gli italiani» e aveva fatto pure chiudere per sicurezza venticinquemila osterie in tutta Italia. In quelle poche che aveva lasciato aperte, fece attaccare un cartello con tanto di marca da bollo: “Qui non si parla di politica”. E con questa fissa della ruralizzazione era andato avanti per una decina d’anni, dal 1922 che era salito al potere fino al 5 aprile 1932 che era salito col Rossoni e il Cencelli sul terrazzo del casale del Quadrato: «Fuori dalle città, via in campagna» aveva continuato per tutti quegli anni, «è questa la vera mistica fascista». E il fascio – in campagna – la gente ce la teneva con la forza, anche se continuava a scappargli da tutte le parti per correre appunto in città. Lui però voleva costruire l’uomo nuovo – rurale e soldato – e lo doveva fare con le buone o le cattive. Fatto sta che quando Cencelli gli ha detto «città», al Duce gli è saltata la mosca al naso: «Ma come ti permetti? Mo’ ti meno». «Ma no, Duce, ma che avete capito? Mica è una città vera, è una città per modo di dire, rurale; ma io a questi un’anagrafe, un cimitero, un minimo di servizi, quattro uffici del cavolo glieli debbo pure dare; saranno migliaia di persone, mica li posso lasciare tutti spersi in mezzo alle campagne che per un certificato o un funerale si debbono fare trenta o quaranta chilometri fino a Cisterna o Terracina. Abbiate pazienza, Duce, ma a me un minimo di comune con uno straccio di podestà mi ci vuole pure». «Vabbene, va’» gli disse allora il Duce, che a furia di stare oramai da quasi dieci anni a Roma gli si era imbastardito anche il dialetto e ogni tanto parlava mezzo romagnolo e mezzo romanesco pure lui: «Ma che sia solo un comune rurale, Cence’! Non mi venite più a parlare di città perché divento una bestia». «Non vi preoccupate, Duce. Ma che scherziamo? E mica sono scemo! Solo un comune rurale: l’anagrafe e basta.» “
Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori (collana Oscar-Contemporanea), 2013; pp. 164-65.
#Antonio Pennacchi#Canale Mussolini#agro pontino#Lazio#letteratura italiana contemporanea#letture#citazioni letterarie#bonifica delle Paludi Pontine#Benito Mussolini#Latina#libri#Valentino Orsolini Cencelli#leggere#ruralismo#Littoria#Sabaudia#Pontinia#gerarchi fascisti
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"Mussolini ha fatto anche cose buone"? Guida ragionata a come rispondere di no
di Sciltian Gastaldi Raramente un saggio di Storia fa suo un titolo così azzeccato. Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, del giovane storico Francesco Filippi...a volte le minchiate sul Ventennio sono diffuse anche da personaggi delle istituzioni che dovrebbero avere una conoscenza di storia politica di un certo livello, e invece aprono bocca e ci tolgono ogni dubbio riguardo alla loro ignoranza e insipienza storica. Il caso recente più celebre è quello dell'ex presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani: «Mussolini? Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro Paese, le bonifiche, altro». No, "onorevole" Tajani, proprio no. Filippi divide questo suo agile lavoro in nove capitoli e una premessa. Ha selezionato con cura i luoghi comuni più famosi e più sbagliati, a cominciare dal fantomatico ruolo che il Duce avrebbe avuto riguardo all'istituzione delle pensioni (istituite gradualmente dai governi liberali sin dai tempi di Crispi e Pelloux, anno di grazia 1895), fino al ruolo sempre assai esagerato riguardo anche alla bonifica delle paludi pontine. Anche qui ci troviamo dinanzi a una questione affrontata da molti anni prima di Mussolini, dal 1878 per la precisione, con una lunga serie di interventi di epoca papalina e poi liberale più o meno fallimentari. Il ruolo del fascismo non mancò, ma fu anch'esso del tutto marginale: "si può concludere che l'obiettivo di 8 milioni di ettari di terra da redimere fu mancato di ben 7 milioni e mezzo. In pratica era stato portato a termine poco più del 6% del lavor preventivato." (27). Cartina di tornasole della limitatezza del progresso fascista sulla bonifica è data anche dall'aumento dei casi di malaria, malattia epidemica che sarà sradicata nella zona Pontina e in Italia solo nel 1970. Importanti le pagine in cui si ripercorrono le politiche razziste di Mussolini nelle colonie, su cui Del Boca ha già scritto pagine memorabili e ormai famose. Notevole il capitolo che smantella l'idea di un Duce "femminista", equivoco in cui a volte anche alcuni storici cadono guardando a due fattori: la irregimentazione delle giovani donne che il fascismo propose, e la legge del 22 novembre 1925 che riconobbe il diritto di voto amministrativo ad alcune donne ("aver compiuto 25 anni e possedere caratteristiche specifiche: potevano votare ad esempio madri e mogli di caduti per la patria, medagliate, che possedessero la patria [sic] potestà e sapessero leggere e scrivere, che possedessero la licenza elementare o che avessero una quota di contribuzione erariale locale superiore alle 100 lire annue". Peccato solo che nemmeno tre mesi dopo, il 4 febbraio 1926, fu approvata una riforma che abolì in blocco la figura delle cariche amministrative locali elette, accentrando la nomina nelle mani dell'esecutivo nazionale. "La legge sul voto a un po' di donne, pubblicata solo due mesi prima, cessava di avere senso. [...] In questo il fascismo però riuscì a stabilire davvero un regime di parità: il voto amministrativo venne infatti tolto anche agli uomini." Il volume termina con una serie di sfiziose "spigolature" che spiegano altri famosi luoghi comuni riguardanti i "treni in orario" e le "scoperte scientifiche".
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“Qualcuno tra i miei lettori si dirà: ohibò, ma chi mai mandava a morire gli ebrei italiani? Nulla, fu uno degli ordini di quel Mussolini che però, va detto, avrà pure sospeso il Parlamento e la democrazia, ma d’altro canto fece la bonifica della palude pontina, deportandoci a forza (non come ha fatto in tempi più recenti il Miur coi docenti assunti a tempo indeterminato in giro per l’Italia, per capirci) alcune migliaia di veneti. Sì, poi avrebbe, en passant, abrogato tutte le libertà civili e politiche del popolo italiano a cominciare da quella di voto, espressione, pensiero, stampa, matrimonio, adunanza, riunione politica, associazione, religione, segretezza delle comunicazioni e della corrispondenza, lavoro e movimento fra una città e l’altra (occorreva il nulla osta del prefetto per spostarsi: ve lo immaginate oggi come reagirebbe il povero Corsaro se gli imponessimo di firmare un foglio di via ogni volta che fa un viaggio? Ah, i bei tempi di quando c’era Lui!). Ci sarebbe poi anche quel trascurabile dettaglio dell’aver aderito a una guerra mondiale dalla parte, come dire, sbagliata, mandando a morire circa 422.000 italiani e ottenendo l’invasione (questa per davvero, con gli scarponi, le uniformi e i cingolati) di una serie di eserciti nemici e alleati, il bombardamento di tutte le città industriali d’Italia e la trasformazione dello Stivale in una tabula rasa dove prosperavano solo la fame, le malattie e le carestie. Però via: questi son dettagli, a fronte della bonifica delle paludi pontine.” di Sciltian Gastaldi
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Recensione in un tweet: Canale Mussolini (Antonio Pennacchi)
Recensione in un tweet: Canale Mussolini (Antonio Pennacchi) #libro #Strega
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Canale Mussolini è l’asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. I suoi argini sono scanditi da eucalypti immensi che assorbono l’acqua e prosciugano i campi, alle sue cascatelle i ragazzini fanno il bagno e aironi bianchissimi trovano rifugio. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce e punteggiata di città appena fondate, vengono…
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