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PRIMA PAGINA La Citta di Oggi mercoledì, 23 ottobre 2024
#PrimaPagina#lacitta quotidiano#giornale#primepagine#frontpage#nazionali#internazionali#news#inedicola#oggi trans#citta#quotidiano#salerno#provincia#rata#canone#alfieri#commissione#bicamerale#cilento#arriva#consenso#della#anche#delitto#vassallo#verita#territorio#clientela#caveau
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Con l'acquisizione della coscienza abbiamo rinunciato ai metodi più semplici e più assoluti di controllo del comportamento che caratterizzavano la mente bicamerale. Noi viviamo oggi in una nube ronzante di perché e percome, di scopi e di ragionamenti delle nostre narratizzazioni, di multidirezionali avventure dei nostri analoghi «io». E questo costante dispiegarsi di possibilità è per l'appunto ciò che è necessario per salvarci da un comportamento troppo impulsivo. […] Siamo dotti nell'esitazione, studiosi dei nostri insuccessi, geni della giustificazione e del rimandare a domani le nostre decisioni. Diventiamo così esperti nelle risoluzioni impotenti, finché la speranza si dissolve e muore nell'intentato. […] [Ma] non c'è alcuna autorizzazione esterna. Quel che noi dobbiamo fare deve venire da noi stessi. Dobbiamo divenire la nostra stessa autorizzazione.
Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza
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Coccodrillo di Caimano
di Marco Travaglio
Non entrerò mai in politica. Scendo in campo. Il Paese che amo. Un nuovo miracolo italiano. L'Italia come il Milan. Basta ladri di Stato. L'amico Craxi. L'amico Gelli. L'amico Dell'Utri. L'amico Mangano. L'amico Previti. L'amico Squillante. L'amico Metta. Il lodo Mondadori. La rivoluzione liberale. L'uomo del fare. La villa fregata all'orfana. Da giovane ero anch'io donnino di casa. Mamma Rosa. Il mausoleo di Arcore. Il Polo delle Libertà. Voglio Di Pietro ministro degli Interni. Il decreto Biondi. Giuro sulla testa dei miei figli. Mai pagato tangenti. Milano negli anni 70 era un calvario, dovevi far passare la pratica da un ufficio all'altro con l'assegno in bocca. Vendo le mie tv. Lasciatemi lavorare. Sono l'unto del Signore. Mai detto che sono l'Unto del Signore. Cribbio. Mi consenta. Il ribaltone. Dini e Scalfaro comunisti. Prodi utile idiota dei comunisti. D'Alema comunista. L'amico Massimo. La Bicamerale. La Costituzione comunista. Le toghe rosse. La Casa delle Libertà. Chi vota a sinistra è coglione. Le mie tv hanno una linea editoriale autonoma all'85%. I miei giornalisti sono tutti di sinistra. Fede è un eroe. Putin è un amico fraterno, un dono del Signore, ha sentimenti delicati, un vero democratico. L'amico George W.. Ai consìder sdesdov Iunade Steiz nos onli a fleg ov e cantri…
Gheddafi è un leader di libertà. Le tangenti alla Guardia di Finanza, nel sentire della gente, non sono considerate reato. Dell'Utri è persona di così profonda moralità e religiosità da non poter essere connivente, non ha attaccamento al denaro, molte volte gli dico: non fare come Giorgio Washington che curava gli interessi dello Stato e mandava in malora la famiglia. Non farò condoni. Concordato e scudo fiscale. Condono fiscale ed edilizio. All Iberian mai sentita. Mills mai conosciuto. Signor Schulz, la suggerirò per il ruolo di kapò. Siete turisti della democrazia. Romolo e Remolo. L'Islam civiltà inferiore. Tutta colpa dell'euro. Le corna. Il cucù alla Merkel. La mafia, poche centinaia di persone. Gli ellepì con Apicella. L'elisir di Scapagnini. Rasmussen è meglio di Cacciari, gli presenterò mia moglie. Mangano è un eroe, non ha parlato: si comportava bene, faceva la comunione nella cappella di Arcore. Il Contratto con gli italiani. Un milione di posti di lavoro. Meno tasse per tutti. Le grandi opere. Il Ponte sullo Stretto. Sono stato frainteso. Biagi, Santoro e come si chiama l'altro… Luttazzi hanno fatto un uso criminoso della televisione pagata coi soldi di tutti. Montanelli e Biagi erano invidiosi di me. La Piovra rovina l'Italia all'estero. Il falso in bilancio. La Cirami. Il lodo Maccanico. Il lodo Schifani. La Cirielli. Tutti sono uguali di fronte alla legge, ma io sono un po' più uguale degli altri.
Ciampi comunista. La legge Gasparri. Il salva-Rete4. L'Economist comunista. Signora, che ne direbbe di una ciulatina? Bertolaso uomo della Provvidenza. Mussolini non ha mai ucciso nessuno, anzi mandava la gente in vacanza al confino. Sarò felicissimo di conoscere il papà dei fratelli Cervi, a cui va tutta la mia ammirazione. Caro Blair, sono laburista anch'io. La giustizia a orologeria. I giudici sono matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana. Telekom Serbia è tutta una tangente. La Mitrokhin. I brogli di Prodi. I comunisti cinesi bollivano i bambini per farne concime. Farò sparire la spazzatura da Napoli in tre giorni. Ho 109 processi con mille giudici. Sono sempre stato assolto. Chi scrive di mafia lo strangolerei con le mie mani. Il Popolo della Libertà. La bandana e il trapianto pilifero. Obama è bello e abbronzato. Il miracolo dell'Aquila. Evadere è un diritto naturale nel cuore degli uomini. Le mani nelle tasche degli italiani. La magistratura è un cancro da estirpare, peggio delle Br, come la banda della Uno bianca. Ai giudici noi insidiamo le mogli, siamo tombeur de femmes.
Agostino, la Antonella: sta diventando pericolosa, s'è messa a dire cose pazzesche in giro. Il lodo Alfano. La prescrizione breve. Il proceso breve. I legittimo impedimento. La Consulta comunista. Il Partito dell'Amore e la sinistra dell'odio. Mai frequentato minorenni. Il padre di Noemi Letizia era l'autista di Craxi. La signora Lario mente. Patrizia, tu devi toccarti. La statuetta ad altezza Duomo. Dottor Fede, cioè volevo dire Vespa. Gli amici Gianpi, Lavitola, De Gregorio e Lele. Nicole Minetti è un'igienista dentale. Ruby è la nipote di Mubarak. Il Bunga bunga. Ho una fidanzatina. Solo cene eleganti. Siamo tutti intercettati. Pagavo Ruby perché non si prostituisse. Pagavo le ragazze perché i pm le hanno rovinate. Santità, siamo i difensori della civiltà cristiana e della famiglia tradizionale. Ho otto zie suore di Maria Consolatrice. Il Family Day. Ragazze, mi toccate il culo? La culona inchiavabile. La mia condanna è un golpe. L'uveite. La pompetta. Mister Obamaaaaa! La sapete quella della mela? E quella degli ebrei e i campi di sterminio? Sono il miglior premier degli ultimi 150 anni. Non mi dimetterò mai. Mi dimetto. I grillini li mandiamo a pulire i cessi di Mediaset. Le finte nozze. Il mio Covid aveva la carica virale più alta del mondo. La signora Meloni è supponente, prepotente, arrogante, offensiva, ridicola. Putin voleva solo sostituire il signor Zelensky con persone perbene. Bisogna convincere Zagrebelsky a trattare. Vi mando un pullman di troie. Ho fatto finire la guerra fredda e ottenuto in Europa i miliardi del Pnrr. Ricordo le mie riforme del 208. Tik Tok Taaaaak. Vi tulipano tutti. Me ne vado da questo Paese di merda.
#volevo postarlo il mese scorso all'anniversario ma non trovavo la copia del fatto comprata religiosamente il giorno che è uscito#io lo dico sto testo verrà studiato tra duemila anni come oggi studiam le catilinarie#l'armonia compositiva la meticolosità#marco travaglio#il fatto quotidiano#italian stuff
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Mazzetti: Dotare UE di un piano per energia e infrastrutture
La deputata di Forza Italia e componente VIII Commissione ambiente Erica Mazzetti: "Dotare UE di un piano per energia e infrastrutture". L'On. Alessandro Battilocchio: "Italia è tornata presente in Europa" "Il ruolo del Parlamento italiano è centrale per adattare e rendere più efficaci, più conformi alla particolarità italiana le norme di derivazione europea, che sono sempre di più, almeno il 50% in alcuni settori come l'ambiente. Quando si va in Europa, sia i politici sia i nostri tecnici devono essere preparati per difendere gli interessi nazionali. Ci sono delle differenze di cui si deve tener conto, a partire dalla morfologia e l'ambiente italiano": così l'On. Erica Mazzetti, Deputato di Forza Italia, membro della commissione ambiente e segretario della bicamerale per la Semplificazione, nel corso della presentazione de "Pronunce della corte di giustizia dell'Unione Europea che hanno cambiato la vita degli italiani. Recenti sentenze che hanno comportato un overruling nell'ordinamento italiano" alla Sala Stampa della Camera. Mazzetti ha ricordato che ci sono diversi provvedimenti decisivi in discussione come "Pniec, direttive sul clima, case green", sulle quali "dobbiamo far valere la voce degli italiani, visto che siamo tra i paesi fondatori". "Dovremmo avere, inoltre, un piano strategico europeo per l'energia e per le infrastrutture, due temi determinanti per il futuro dell'Unione e di tutti i cittadini". "Solo adesso nel nostro Paese si sta facendo strada la convinzione che la normazione, gli accordi e le decisioni adottate dagli organi della Unione Europea, abbiano una diretta rilevanza nell'impianto giuridico interno e, quindi, nelle nostre vite. Per molto tempo abbiamo continuato a considerare l'Unione Europea come un soggetto abbastanza terzo e sostanzialmente irrilevante rispetto al nostro vivere. Il risveglio è stato abbastanza brusco", ha aggiunto l'avvocato cassazionista Pier Paolo Poggioni, che ha contribuito alla pubblicazione con un contributo sullo stato di diritto e i fondi europei. "Le sentenze della Corte europea – ha rilevato il Prof. Enea Franza – hanno forza di "quasi" legge, alla quale gli stati dell'Unione Europea non possono che conformarsi. Questo è ancora più vero nel mondo della finanza dove la globalizzazione è già un fatto acquisito. Questo impone un maggior coordinamento delle politiche di vigilanza per garantire ina piena tutela del risparmio proprio in un Paese come il nostro che e tradizionalmente un detentore di ricchezza finanziaria". "La gran parte delle leggi e degli atti normativi negli Stati membri – ha puntualizzato l'On. Alessandro Battilocchio, già europarlamentare e membro Commissione politiche UE – si inserisce in una cornice comunitaria: sono sempre di più le materie che vedono Bruxelles al centro delle dinamiche. Il principio del primato del diritto dell'Unione europea di basa sul concetto che in caso di conflitto tra diritto dell'Unione e diritto di uno Stato, prevale il diritto dell'Unione. Il principio del primato del diritto dell'Unione si è consolidato nel tempo mediante la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, anche se non è sancito dai trattati dell'Unione. Nella sentenza Van Gend en Loos contro Nederlandse Administratie der Belastingen (Causa 26/62), la Corte ha dichiarato che le leggi adottate dalle istituzioni dell’Unione sono in grado di creare diritti giuridici che possono essere rivendicati da persone fisiche e giuridiche dinanzi ai tribunali degli Stati membri. Pertanto, il diritto dell’Unione ha un’applicabilità diretta. Nella sentenza Costa contro ENEL (Causa 6/64), la Corte ha sviluppato ulteriormente il principio dell’applicabilità diretta e ha colto l’idea che gli obiettivi dei trattati sarebbero stati compromessi se il diritto dell’Unione fosse stato subordinato al diritto nazionale. Con il trasferimento di alcuni poteri all’Unione, gli Stati membri hanno limitato i loro diritti sovrani; pertanto, per essere efficaci, le norme dell’Unione devono prevalere su qualsiasi disposizione del diritto nazionale, comprese le costituzioni. Il principio del primato è volto quindi a garantire che i cittadini siano tutelati uniformemente dal diritto dell’Unione in tutti i territori dell’Unione stessa. Si noti che il primato del diritto dell’Unione si applica solo laddove gli Stati membri hanno ceduto la sovranità all’Unione, in settori quali il mercato unico, l’ambiente, i trasporti. Non si applica, invece, in settori quali l’istruzione, la cultura o il turismo. L’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Unione: mai come ora la nostra voce è ascoltata a Bruxelles, grazie soprattutto ad un Governo autorevole, stabile e con le idee chiare. È basilare quindi per il nostro Paese proseguire un’azione proattiva in ambito europeo, avvicinando sempre di più istituzioni e cittadini a quel contesto contesto europeo che abbiamo contribuito a costruire". Coordinamento regionale Forza Italia Toscana
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Il presidente della Regione Lombardia è stato convocato in prefettura per parlare dell'Autonomia differenziata
Il presidente della Regione Lombardia è stato convocato in prefettura per parlare dell'Autonomia differenziata Ieri si è riunita a Milano la Commissione bicamerale per le Questioni Regionali, presieduta dal Senatore Francesco Silvestro, con l'obiettivo di proseguire le indagini conoscitive sui Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) in seguito all'approvazione della legge sull'Autonomia differenziata.... Leggi articolo completo su La Milano Read the full article
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Il centrosinistra, in effetti, critica oggi l’esito di una riforma di cui aveva messo le basi. Fu infatti Massimo D’Alema, leader dei Democratici di Sinistra, a introdurre i principi del federalismo nel titolo V della seconda parte della Costituzione, quello che disciplina il funzionamento degli enti locali. Prima da presidente della Commissione Bicamerale, istituita nel 1997 per formulare riforme costituzionali condivisa da centrodestra e centrosinistra, e poi soprattutto da presidente del Consiglio, D’Alema fu promotore della riforma di quella parte di Costituzione insieme al ministro per le Riforme istituzionali Giuliano Amato. Il disegno di legge fu presentato dal governo alla Camera il 18 marzo del 1999, e seguì poi il lungo percorso previsto per le riforme costituzionali. Venne approvato in via definita dalla Camera l’8 marzo del 2001.
La riforma del titolo V assegnò tra l’altro una certa autonomia finanziaria e legislativa e nuovi poteri alle regioni, riconoscendo loro la facoltà di legiferare in via esclusiva su alcune materie e di farlo in concorrenza con lo Stato centrale su altre materie. Stabilì inoltre il percorso istituzionale che avrebbero dovuto seguire eventuali nuove leggi per aumentare l’autonomia delle regioni, prevedendo che questi provvedimenti avrebbero dovuto essere approvati a maggioranza assoluta degli eletti delle due camere.
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PRC: Domani saremo a Roma alla manifestazione delle opposizioni Posta in arrivo rifondazione.it Ufficio Stampa PRC tramite aruba.it 18:12 (58 minuti fa) a Antonia Rifondazione Comunista parteciperà domani alla manifestazione in Piazza Santi Apostoli a Roma contro l’autonomia differenziata e il premierato. La nostra distanza programmatica dai partiti dell’opposizione parlamentare che hanno indetto la manifestazione, in primis sulla questione della guerra, non ci impedisce di condividere la necessità della più ampia mobilitazione unitaria per la difesa della Costituzione. Non vi può essere alcuna sottovalutazione della pericolosità delle proposte che sta portando avanti il governo Meloni. Di fronte all’aggressione violenta al deputato Donno, a cui va la nostra solidarietà, e alla sua giustificazione da parte della Presidente del Consiglio e del complesso della destra bisogna rispondere con la più ferma condanna. Quel che resta della democrazia costituzionale sta per essere definitivamente stravolto dall’autonomia differenziata e dal premierato. Occorre una risposta democratica e antifascista che consenta di battere nei referendum questa destra. Va ricordato che l’attacco alla Costituzione da parte del governo Meloni è stato reso possibile da una pessima legge elettorale che ha dato a una minoranza nel paese una larga maggioranza nel parlamento. Soltanto il ritorno a una legge proporzionale consentirà di riprendere la via maestra tracciata dalla Costituzione e riportare alle urne la maggioranza della popolazione che si astiene perché la semplificazione bipolare ha reso le istituzioni sempre più impermeabili e incapaci di essere specchio del paese. La spallata di questa maggioranza di estrema destra alla Costituzione è stata resa possibile dalle scelte del centrosinistra che ha aperto l’autostrada su cui Calderoli e Meloni stanno marciando. La proposta di Calderoli è oggi possibile grazie alla modifica del Titolo V della Costituzione imposta con pochi voti di maggioranza dal centrosinistra nel 2001 a cui solo noi ci opponemmo. Da anni lavoriamo con i comitati contro l’autonomia differenziata, mentre il PD e lo stesso M5S strizzavano l’occhio alle richieste dei presidenti di Lombardia e Veneto votando si nei referendum per l’autonomia, associandosi a loro come ha fatto l’Emilia Romagna con Bonaccini (che non ha ancora ritirato intesa nonostante migliaia di firme), siglando intese come fece Gentiloni. Ricordiamo che il presidente Bonaccini non ha ancora ritirato le intese sull’a.d, nonostante le migliaia di firme raccolte dai comitati emiliani. Lo stesso premierato è stato legittimato nelle teste di milioni di cittadine/i con l’elezione diretta dei sindaci e ancor peggio, per l’assenza di doppio turno, con quella dei presidenti delle regioni. Per non parlare della rigida separazione delle carriere dei magistrati che renderà i PM dipendenti dall’esecutivo, come proponeva, la Bicamerale D’Alema-Berlusconi. Saremo in piazza per la difesa della Costituzione e della unitarietà della Repubblica, contro la prepotenza di una destra che non nasconde la sua matrice fascista. Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Tonia Guerra, responsabile campagna contro autonomia differenziata del Partito della Rifondazione Comunista
http://dlvr.it/T8PlD8
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Marchetti (Lega) Vice Presidente Bicamerale Orlandi-Gregori
“Una nomina che mi riempie di orgoglio, per questo ci tengo a ringraziare il nostro capogruppo Riccardo Molinari, il Segretario Matteo Salvini e i colleghi che mi hanno dato fiducia. La scomparsa delle due giovani adolescenti ha scosso l’Italia intera nei primi anni Ottanta ed è una delle ferite mai sanate del nostro Paese. Ho sempre seguito il caso di Emanuela già dai tempi dell’università.…
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Emanuela Orlandi, il fratello Pietro: “Domani parte la Commissione, un altro passo importante”
“Un altro passo avanti”. È secco il commento di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la ragazzina vaticana scomparsa nel nulla a Roma il 22 giugno 1983, sulla convocazione domani a San Macuto dei membri della commissione di inchiesta bicamerale sui casi Orlandi e Mirella Gregori. Nata sull’onda di un forte dibattito nazionale, a detta dello stesso Orlandi sollevato persino dal fragore suscitato…
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Carceri umbri in crisi, sopralluogo Verini commissione bicamerale antimafia 🔴 [Video]
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Vincenzo Corrias aderisce alla Lega
Il presidente Michele Pais e Vincenzo Corrias Sassari. «Salutiamo l’ingresso nel nostro Partito di Vincenzo Corrias, già capo della Segreteria dell’allora ministro dell’Interno Pisanu e sempre con lui consigliere nella Bicamerale Antimafie, nonché, in tempi più recenti capo di gabinetto ai Lavori Pubblici della Regione Sardegna». Così il coordinatore regionale della Lega Sardegna per Salvini…
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Berlusconi e gli spot, il Pci di D’Alema lo aiutò contro i giornali, Scalfari e Caracciolo alla guerra di Segrate
Berlusconi e la pubblicità, come il Pci di D'Alema fece fallire gli sforzi di contenere la tv, Scalfari, Caracciolo e la guerra di Segrate
di Marco Benedetto Pubblicato il 18 Giugno 2023 - 10:38
I tentativi degli editori di giornali di limitare il dilagare della pubblicità televisiva furono vanificati da Berlusconi con l’appoggio dei comunisti guidati da Massimo D’Alema. Ho vissuto quei momenti da vicino.
Questa è la seconda parte di questa mia analisi su Silvio Berlusconi. La prima parte è qui:
Berlusconi, il migliore e il peggiore di tutti, analisi e testimonianze: creò un impero, fu salvato dai comunisti
La terza è qui
Come Berlusconi costrinse Cuccia a salvarlo: persa Repubblica, a fondo con Standa, la politica lo tolse dai guai
Ecco il seguito.
Era il 1998, tempo della bicamerale.
Massimo D’Alema voleva cambiare l’Italia, con gabile come presidenzialismo e elezione diretta del premier, come vent’anni dopo provò a fare Matteo Renzi. Erano in ballo sempre le stesse utopie che oggi frullano nel giro di Giorgia Meloni.
L’unica riforma che era interessante per Berlusconi era quella che avrebbe ingabbiato e subordinato a lui la Magistratura.
Per questo il dialogo saltò. Il partito di D’Alema non poteva reggere l’impatto di un massacro dei magistrati.
Ma Berlusconi qualcosa comunque ottenne, perché nel procedere, saltò anche l’ultimo tentativo di contenere il dilagare degli spot.
La speranza dei giornali era affidata a un disegno di legge noto col suo numero identificativo, 1138. Doveva ridurre contemporaneamente gli affollamenti pubblicitari di Rai e tv private rendendo disponibili per la carta stampata le risorse che non avrebbero trovato spazio nell’etere.
Andò avanti per mesi in una commissione del Senato. Taccio per carità di sinistra sulla vergognosa pantomima inscenata da comunisti illusi e perbene.
Andavo spesso a riunioni fino a quando, un giorno, uscendo, faccio un tratto di corso Rinascimento, fuori del Senato, con un collega che fu bravo direttore di giornali, persona integerrima e anche genovese seppur di adozione.
Gli dico da ingenuone: “Dai facciamo uno sforzo, questo un buon momento per una rinascita dei giornali”.
Lui mi risponde sconsolato: “Lasciate perdere, è tutto deciso”.
Berlusconi, in un angolo della Bicamerale, aveva piegato i Ds o Pds di D’Alema. Ma non se ne fidava. Così, dando una ulteriore prova della sua capacità di non lasciare aperto per l’avversario neanche uno spiraglio, convinse il relatore, un ex democristiano suo acerrimo nemico, a lasciare lo schieramento di sinistra con funambolismi democristiani.
Al di là di tutte le chiacchiere Berlusconi ebbe solo tre nemici giurati: la sinistra democristiana, il potere giudiziario e Carlo De Benedetti.
Di quest’ultimo dirò oltre, della magistratura si può solo dire che lo portò a un passo dal carcere, della sinistra Dc pochi ricordano le dimissioni in gruppo dei suoi ministri nel 1990 per ottenere l’approvazione della legge Mammi che fu la sola iniziativa politica che limitò lo strapotere del Nostro.
Di quella pattuglia di eroi faceva parte l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Pochi ricordano ma Berlusconi non ha mai dimenticato. Questo spiega la trentennale ostilità di Berlusconi verso Mattarella, che solo l’astuzia valligiana di Renzi riuscì a aggirare.
Ma non dovette a nessuno il suo successo, usò tutti, P2 inclusa, li piegò ai suoi disegni. Fece tutto da solo.
Per questo va inserito fra i personaggi più importanti del panorama politico e imprenditoriale italiano dall’Unita a oggi.
Siede nell’empireo della nostra storia provinciale ma popolata di grandi come Agnelli, Valletta, Pirelli, Gualino, Ansaldo, Perrone, Rubattino, Bombrini, Faina e tanti altri, fra i pionieri che hanno trasformato l’Italia da un Paese di contadini analfabeti a una delle nazioni più ricche del mondo.
Guai però paragonarlo con Agnelli. Giovanni Agnelli senior e gli altri che ho elencato e altri ancora erano titani. Come Agnelli fu grande nel rapporto con i dirigenti e in genere i dipendenti.
Berlusconi fu un uomo geniale che intercettò il trend degli anni ‘70, verso la tv commerciale.
Fu un grande imprenditore, visionario e anche capace, nella sua assoluta diffidenza, di ascoltare i suoi collaboratori. Non fu un industriale: fu un grandissimo venditore: di pubblicità, prima, di politica dopo. Forse per questo non fu cattivo: opportunista, anche spietato, ma non cattivo. Avrebbe potuto distruggere i suoi avversari, quando era all’apice, ma non lo fece. Lo fecero gli altri con lui, anche se non per il suo fallimento politico ma per le sue intemperanze amatorie.
Lui era uomo di pace, alla sua maniera: la guerra era inutile, quando potevi comprare gli avversari.
Se fu un grande imprenditore, lo fu molto meno come politico. Niente lo può fare paragonare a un Cavour ma nemmeno a un Crispi o un Giolitti. E nemmeno a De Gasperi o Togliatti.
La causa del suo fallimento politico è insita nella motivazione della sua attività politica. La maggior parte dei politici è mosso, al di là della voglia di arricchirsi (marginale) o di non lavorare (oggi abbastanza evidente), da una idea. Così fu per i giganti della storia, così è per i grandi e meno grandi di oggi, Putin e perfino Trump inclusi.
Berlusconi entrò in politica non per realizzare una idea politica ma per servirsi della politica, e delle sue idee, come di un altro qualsiasi strumento a disposizione di un imprenditore, per proteggere e difendere la sua impresa, nello specifico le sue televisioni.
Tutto ruotava in funzione di Canale5, Rete4, Italia1. Il resto era attività al loro servizio. Infatti, Berlusconi fu titano nella tv, mediocre editore di giornali.
Per proteggere le sue tv spadroneggiò in Europa. Come primo ministro, la sua gestione del rapporto con la Commissione e la burocrazia europea fu nella continuità fra il pessimo di prima e il pessimo di dopo.
Questo vizio di origine dell’attività politica di Berlusconi ha vanificato gli effetti della sua abilità e della sua superiorità rispetto a tutti i politici italiani suoi contemporanei.
Non si deve dimenticare che l’impero di Berlusconi è stato fuori legge fino al 2011, quando finalmente entrò in funzione in Italia il digitale terrestre. Racconto più avanti questo educativo e poco edificante capitoletto della storia italiana recente.
Sempre tenendo presente il peccato originale della politica di Berlusconi, non si può non riconoscere che nei suoi anni al governo l’Italia resse con onore l’onda della crisi mondiale del 2008 (il declino ebbe inizio col governo tecnico che gli succedette), fu raggiunto il pareggio del bilancio corrente (merito di Giulio Tremonti più che suo), un italiano fu posto a capo della Banca centrale europea.
Questo ultimo fatto costituisce un bell’esempio della sua eccezionale capacità di visione tattica e di manovra. Se avesse applicato davvero queste sue doti a riformare l’Italia chissà dove saremmo ora. Ma come ho detto e ripeterò, a Berlusconi importava solo delle sue tv.
E Mario Draghi presidente della Bce, allora? Ci fu costretto per levarselo di torno. Draghi litigava con Tremonti su tutto e questo era un fastidio quotidiano. In più non c’era spunto che Draghi (allora governatore della Banca d’Italia) non cogliesse per dare il tormento a Berlusconi. Se Repubblica enfatizzava, anche un po’ faziosamente e forzatamente, un aspetto negativo della economia italiana (il Governo Prodi magari aveva fatto peggio, ma la distorsione dei fatti era regola), subito la Banca d’Italia rilanciava la notizia aggravandoli col suo avallo.
Ebbi il sospetto, a quei tempi, verso il 2009-2010, che Draghi volesse fare le scarpe a Berlusconi.
Le mosse di quest’ultimo per liberarsi dell’incomodo furono magistrali.
Consapevole del fatto che il Governo italiano non sarebbe mai stato in grado di far passare la candidatura di un connazionale, Berlusconi si comprò l’appoggio francese, il cui presidente, Nicolas Sarkozy, aveva nel frattempo sposato una torinese. Il prezzo per il Paese fu salato: la Parmalat a prezzo di saldo, centrali nucleari impossibili ma carissime, soprattutto il tradimento dell’amico Gheddafi, abbandonato, pur controvoglia al fuoco dei mitra manovrati dagli interessi petroliferi anti-italiani dei francesi.
Angela Merkel, cancelliere tedesco, poteva anche avercela con gli italiani vu cumprà e traditori con l’aggravante della “culona intrombabile” con cui l’aveva bollata Berlusconi con l’aggiunta di pubbliche umiliazioni tipo quella volta che la lasciò ferma in piedi ad aspettarlo mentre lui al telefonino organizzava una serata elegante a Arcore.
Ma Angela Merkel non poteva dire di no a Italia e Francia unite. Così ebbe inizio il mito di Draghi e la sua tenuta a Francoforte.
Berlusconi politichese fu geniale quanto spregiudicato al massimo in occasione della sua discesa in campo, arruolando i post fascisti del Msi, chiudendo un pezzo di cosiddetta “guerra civile”. La definizione di guerra civile è per me forzata e profondamente errata ma certo è che con quella mossa Berlusconi scardinò il quadro politico italiano.
Fino a quel momento i post o ex fascisti del MSI erano i reietti della politica italiana. “Fascisti carogne tornate nelle fogne” era un mantra della sinistra. C’era l’arco costituzionale, che andava dai liberali ai democristiani ai comunisti, figlio del compromesso storico, escludendo i camerati dal gioco politico nonché da quello del potere reale e degli appalti.
La spregiudicatezza di Berlusconi spiazzò tutti. Quando fu annunciata la candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, sponsorizzata da Berlusconi, ricordo Scalfari urlare fremente: “Un fascista in Campidoglio”. Qualche anno dopo Scalfari coccolava Fini, arruolato fra i nemici del Cavaliere, e Roma ebbe Gianni Alemanno: non saprei scegliere fra i due).
Vista trent’anni dopo la mossa di Berlusconi appare come uno dei fatti di maggiore portata e conseguenza della sua attività politica. Bisogna però sempre ricordare che la politica non era al servizio di un ideale quale che fosse, ma di un interesse imprenditoriale ben preciso: Mediaset.
Anche il recupero dei fascisti al gioco democratico va a onore della capacità di Berlusconi di vedere sempre un metro più avanti di tutti.
Ma lui già si muoveva sotto traccia anni prima della “discesa in campo” nel 1994. Ho un ricordo diretto del 1990, dal tempo in cui ero un dipendente della Mondadori, guardato con sospetto perché di provenienza caraccioliana.
Per mia fortuna depose a mio favore Amedeo Massari, uomo di Berlusconi per la carta stampata, grande e innovativo dirigente di giornali. Lo conoscevo da Genova, nel lontano 1968, quando Massari era direttore amministrativo del Secolo XIX e io ventenne redattore dell’Ansa. E mi voleva bene.
Massari era diventato il mio referente e per essere ragguagliato mi diede appuntamento a Roma in via della Scrofa, al portone della sede del Msi e del suo quotidiano Il Secolo d’Italia. Mi spiegò: “Il Dottore mi ha mandato ai insegnargli [a quelli del Msi] un po’ di cose sui giornali”.
Ma per quanto riguarda l’Italia non cambiò nulla, non toccò l’apparato perché erano voti, non toccò le cooperative perché erano inserzionisti. Per un po’ di anni, a fine estate partivano i rantoli minacciosi, contro le coop e contro i magistrati e sappiamo come è andata a finire.
Si parla ancora di Editto Bulgaro. Ecco le parole precise: «L’uso che Biagi… Come si chiama quell’altro? Santoro… Ma l’altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga.��
Berlusconi le pronunciò mentre passeggiava con dei giornalisti durante un viaggio a Sofia, in Bulgaria. Quelle parole le ha dette ma forse il direttore generale della Rai fu un po’ troppo solerte nell’eseguire.
Di Berlusconi non ti potevi e non ti dovevi fidare. Pensava l’opposto di quello che diceva, faceva l’opposto di quel che prometteva.
Agli inizi della guerra di Segrate, quando ancora mi convocavano alle riunioni, al termine del pranzo in mensa, Berlusconi mi prende per un braccio e mi pilota all’ascensore. Mentre saliamo verso il quinto piano (mi pare proprio il quinto), soli lui e io mi fa: “Dica a Caracciolo di scaricare De Benedetti e di accordarsi direttamente con me”.
Appena all’aeroporto di Linate, mi attacco a un telefono pubblico (i telefonini erano di là da venire) e chiamo Caracciolo. Premesso che mi sembra una proposta poco credibile, riferisco parola per parola. La replica: “Ha proposto a Corrado Passera [all’epoca braccio destro di De Benedetti] la stessa cosa stamattina”.
La guerra di Segrate, cioè la contesa politica e giudiziaria per il controllo di Repubblica, all’epoca controllata dalla Mondadori, durò circa un anno fra il 1989 e il ‘90.
Causa remota fu la vendita, nella primavera del 1989, dei pacchetti azionari con cui Caracciolo, Scalfari e alcuni loro amici controllavano L’Espresso, a sua volta detentore del 50% di Repubblica. L’altro 50% era della Mondadori. Giorgio Mondadori e Mario Formenton da una parte, Caracciolo e Scalfari dall’altra, avevano fondato Repubblica, uscita in edicola nel febbraio del 1976.
A seguito della crisi provocata dal dissesto di Rete4 (si veda più sotto), De Benedetti e Berlusconi erano diventati importanti azionisti della Mondadori, accanto alle figlie del fondatore e dei loro figli.
Con una serie di abili mosse, De Benedetti si era garantito anche un cospicuo pacchetto azionario da parte degli eredi in misura tale da parlare e agire come fosse già padrone del vapore. Ma aveva fatto i conti senza l’oste Berlusconi e senza gli effetti del suo intemperante carattere.
Intanto, con la regia di De Benedetti, la Mondadori aveva acquisito il controllo dell’Espresso e quindi del 100% di Repubblica. Il giornale di Scalfari viveva i suoi momenti di gloria, vendendo 600 mila copie e più ogni giorno, una miniera d’oro e di potere.
Da un punto di vista editoriale era una prospettiva formidabile: 3 reti tv (e di nascosto anche il primo nucleo della futura Sky, Telepiù), il primo quotidiano italiano, i due grandi newsmagazines, un grandissimo editore di libri.
Si profilava una concentrazione di potenza di fuoco presso un proprietario troppo vicino al partito comunista perché il leader socialista Bettino Craxi (e alla luce dei successivi sviluppi non gli si può dare tanto torto).
Craxi era legato a Berlusconi a filo doppio e gli affidò la missione di far fuori De Benedetti.
Berlusconi agì su due fronti: gli eredi Mondadori e il duo Caracciolo-Scalfari.
I due amici e soci, avendo incassato alcune centinaia di miliardi di vecchie lire, erano destinati a un ruolo decisivo nel nuovo grande gruppo ma non credo includesse, come poi invece avvenne, la prospettiva di diventare dipendenti di De Benedetti, per snobismo e senso di superiorità intellettuale. Soprattutto cercavano di ritagliarsi un ruolo diverso e decisivo, meglio di quello quasi onorifico di presidente riservato a Caracciolo.
Così passarono estate e autunno di 1989 a trescare con Berlusconi, il quale a sua volta raccoglieva i frutti delle intemperanze caratteriali verso gli eredi Mondadori: un accordo saltò per una impuntatura su pochi miliardi, un altro, già firmato, venne stracciato come reazione ai comportamenti sconsiderati di De Benedetti.
Così Berlusconi si trovò nuovo azionista di controllo della Mondadori senza più bisogno di accordarsi con Caracciolo e Scalfari.
Caracciolo ha raccontato la sera in cui Berlusconi gettò la maschera in un libro intervista con Nello Ajello. Personalmente la storia l’ho sentita più volte.
Caracciolo arriva per cena nel pied-à-terre di Berlusconi in via Rovani a Milano.
Berlusconi lo accoglie con un brutale: “Inutile andare avanti, è tutto finito, ho preso tutto io”. Caracciolo non controlla l’ira e grida: “Mascalzone!”. L’altro tranquillo: “Se non lo facevo io lo faceva lui” cioè De Benedetti.
Caracciolo poi completava il racconto con questo seguito per lui molto divertente: Mi sono ricomposto e gli ho fatto notare che mi aveva invitato a cena. Berlusconi contava sul fatto che io me ne sarei andato via furibondo. Fu così costretto a mettere assieme un menù con grande confusione e irritazione. Io ho cenato e sono andato a dormire.
La cosa non finì lì per mia fortuna. Seguì una serie di colpi legali e tribunalizi. Ma il colpo decisivo venne dalla politica. Se tutti quei giornali in mano ad amici del Pci non andavano giù a Craxi, il loro spostamento a fianco degli alleati rivali socialisti non poteva essere gradito al leader democristiano Giulio Andreotti.
Ma come arrivare ad Andreotti, che Scalfari detestava tanto da definirlo simile a Belzebù?
Caracciolo pensò a Giuseppe Ciarrapico, editore di destra esordiente nella sanità, col quale da anni aveva stabilito un cordiale rapporto.
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Ecco tutte le follie ai funeralidi Silvio Berlusconi
Da Barbara D’Urso (versione meme) a Escort Advisor e il “rutto nazionale” di Guzzanti… (di Ottavio Cappellani – mowmag.com) – Più che un funerale una bicamerale. Oltre alla cerimonia religiosa e i messaggi commossi, siamo certi che Berlusconi avrebbe apprezzato il circo che si è creato intorno a un ultimo saluto che si è trasformato in uno show. Così i social hanno ironizzato sul cognome…
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Tre modelli sul tavolo del governo: le opposizioni respingono qualsiasi ipotesi di elezione diretta del Presidente della Repubblica
Tre modelli sul tavolo del governo: le opposizioni respingono qualsiasi ipotesi di elezione diretta del Presidente della Repubblica Il dibattito sulle riforme tra maggioranza e opposizione verte essenzialmente sulla forma di governo e i tre modelli sui quali la presidente del Consiglio Giorgia Meloni insiste sono quelli del presidenzialismo, del semipresidenzialismo e del premierato con l'elezione diretta del capo del governo. Il presidenzialismo da sempre il pallino di Giorgia Meloni che ha detto più volte di guardare con favore al modello americano, ma quella forma di governo, come sottolinea anche il costituzionalista Stefano Ceccanti, si basa sulla rigida separazione tra un potere legislativo bicamerale ed un Esecutivo fondato sulla figura del Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo. Il Governo presidenziale è abbastanza stabile, ma la rigida separazione tra le istituzioni fa sì che, soprattutto in caso di maggioranze politiche opposte, la capacità decisionale, alla fine, sia ridotta. Questo il motivo per cui nessuna grande democrazia europea ha sinora pensato di importarlo. Quando si parla di governo semipresidenziale -invece- si fa riferimento soprattutto all'esperienza francese dove c'è un rapporto di fiducia tra Camera e Governo come nelle altre democrazie parlamentari, ma se ne allontana perché i leader di partito anziché competere per la carica di Primo Ministro si contendono quella di Presidente della Repubblica, che è quindi il vero capo dell'Esecutivo, mentre l'altro vertice del governo, il Primo Ministro, ne diventa sostanzialmente un esecutore. Il Presidente dura in carica 5 anni, ma spesso procede a cambi di Governo, anche del Primo Ministro. In molti in Italia si sono ispirati a questo modello, anche per questioni di flessibilità, ma farebbe perdere al presidente della Repubblica il ruolo di garanzia che è previsto invece nella nostra Costituzione. Per premierato si intende -invece- una forma di governo che mira ad ottenere con regole formalmente diverse, che tengano conto della debolezza del sistema dei partiti italiani, risultati analoghi a quelli delle grandi democrazie parlamentari, ossia governi di legislatura basati di norma su coalizioni che riconoscano come leader chi sia stato indicato, prima del voto, dal partito più votato. Il Governo nascerebbe quindi formalmente in Parlamento, ma sostanzialmente dal voto degli elettori. Poi c'è anche una variante estrema che punta a importare le regole vigenti per comuni e regioni, quella che il Terzo Polo chiama 'Il sindaco d'Italia': è l'elezione diretta del vertice dell'Esecutivo con tanto di scioglimento automatico delle Camere in caso di sfiducia o dimissioni. Ma di premierato ci sono forme diverse, come quella proposta dalla Tesi 1 dell'Ulivo del 1996 che prevede un'indicazione del premier sulla scheda elettorale in luogo di un'elezione diretta. Dunque, fatta eccezione per l'ex Terzo polo (che però 'litiga' sul coordinamento delle forze di minoranza), le opposizioni respingono al mittente qualsiasi ipotesi di elezione diretta del presidente della Repubblica o del premier. Unica apertura possibile che M5s, Pd e Più Europa sono disposti a concedere al governo è un premierato alla tedesca, quindi senza elezione diretta del presidente del Consiglio, al quale però si possono attribuire più poteri. Il canovaccio dei faccia a faccia voluti da Giorgia Meloni con le opposizioni si articola come previsto: la premier ribadisce la disponibilità al dialogo, purchè il confronto non si tramuti in pantano, mettendo in chiaro che governo e maggioranza sono pronti anche a proseguire il cammino delle riforme da soli . Che poi davvero soli non sarebbero, visto che Azione e Italia viva dicono sì all'elezione diretta del premier, sul modello del Sindaco d'Italia, anche se il supporto degli ex terzopolisti non sarebbe sufficiente ad evitare il referendum, che scatta come prevede la Costituzione qualora le riforme non vengano approvate da almeno i due terzi del Parlamento. Quanto alle opposizioni, M5s, Pd e Più Europa confermano il no netto al presidenzialismo, sia esso puro o 'semi' alla francese. E non decolla l'opzione bicamerale o commissione ad hoc, proposta dal leader pentastellato Giuseppe Conte. Piuttosto, tutti (ad eccezione dei renziani, che tengono subito a precisare che "Calenda parla per Azione") i leader delle forze di minoranza si dicono pronti a dar vita a un coordinamento o confronto tra di loro proprio sul tema delle riforme. Ancor più drastica la posizione di Verdi e Sinistra: le priorità del Paese sono altre (dalla disoccupazione alla crisi sociale e climatica), non le riforme della Carta che, anzi, va difesa così come "va tutelato il ruolo di garanzia del Capo dello Stato", punto su cui tutte le opposizioni concordano ("il Capo dello Stato non si tocca", il refrain). Dunque, scandiscono in coro Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, "siamo indisponibili a qualsiasi ipotesi di elezione diretta" così come al rafforzamento dei poteri del premier, "casomai va rafforzato il ruolo del Parlamento". Meloni apre e guida le 'danze' a Montecitorio, accompagnata dai due vicepremier (Salvini, per impegni precedenti e preannunciati arriva con un po' di ritardo), dal titolare delle Riforme Elisabetta Casellati e dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani e dai due sottosegretari Mantovano e Fazzolari. Gli incontri si aprono con la delegazione dei 5 stelle, con un'anticipazione della tabella di marcia per consentire al leader Giuseppe Conte di essere presente. Ed è per primo a Conte che Meloni spiega il suo pensiero: la premier ricorda di avere ricevuto dagli elettori un mandato a fare le riforme costituzionali. Quindi, apertura e disponibilità al dialogo, ribadisce, ma pronta ad andare avanti anche da sola se non si riuscirà a trovare una sintesi. L'obiettivo per la presidente del Consiglio è innanzitutto la stabilità. ("Credo che ci si renda tutti conto del fatto che il nostro sistema è caratterizzato da una fortissima instabilità, che paradossalmente nell'ultima fase, cioè con la fine della prima Repubblica è peggiorata"), instabilità che "non consente un visione di lungo respiro" mentre la stabilità è "la più potente riforma economica che possiamo realizzare". A cui consegue il rispetto del voto dei cittadini. Come preannunciato, la premier non mette sul tavolo dei suoi interlocutori una proposta definitiva, perché prima il suo intento è quello di ascoltare e verificare se c'è l possibilità di una convergenza. Eppure Meloni delinea il perimetro di intervento: presidenzialismo puro, semipresidenzialismo alla francese o elezione diretta del premier. Ma si dice anche "disponibile a cambiare schema", ovvero creare un modello italiano. Anche se, in mattinata, la Lega con il capogruppo Riccardo Molinari, prova a piantare un paletto: "Noi partiamo dal programma del centrodestra sull'elezione diretta del presidente della Repubblica. Se si vuole virare sulla elezione diretta del premier chiediamo che vengano mantenute le garanzie sul ruolo del Parlamento". La lunga giornata si chiude con l'atteso primo faccia a faccia tra la premier e la segreteria Pd Elly Schlein. E, anche in questo caso, nessuno stravolgimento rispetto alle premesse: "A noi interessa la qualità e il perimetro del confronto, perché se hanno già deciso come va a finire, non è un vero confronto", anticipa la leader dem al Tg3, ribadendo la difficoltà a dialogare sulle riforme finché in campo resta l'autonomia differenziata, osteggiata dal Pd. No a premierato, sindaco d'Italia o presidenzialismo che sia, insiste Schlein. Sì alla modifica della legge elettorale e disponibilità a riforme per "rendere più efficienti le istituzioni e rafforzare la stabilità". Stesso ragionamento fatto da Conte, che osserva: "Non sono emerse soluzioni condivise". E chiede a Meloni di "non procedere a colpi di maggioranza". Al termine del giro di incontri è la stessa Meloni a tirare le somme: la riforma "non è per noi stessi", assicura. E mette in chiaro: "Il problema non è rafforzare l'esecutivo ma rafforzare la stabilità dell'esecutivo. Non è accentrare il potere", anche perché si dice convinta che "i contrappesi delle opposizioni siano necessari". Meloni definisce "proficuo e interessante" il confronto, che si è svolto "in un clima franco e nel merito". E chiosa: "L'elezione diretta del premier è l'ipotesi con minore opposizione".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Recovery fund: Forza Italia presenta pdl su bicamerale ANSA - Forza Italia presenta alla Camera una proposta di legge per istituire una Commissione parlamentare per le riforme connesse all'utilizzo di strumenti finanziari, programmi e fondi europei a seguito della crisi COVID-19.
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PRC: Domani saremo a Roma alla manifestazione delle opposizioni Posta in arrivo rifondazione.it Ufficio Stampa PRC tramite aruba.it 18:12 (58 minuti fa) a Antonia Rifondazione Comunista parteciperà domani alla manifestazione in Piazza Santi Apostoli a Roma contro l’autonomia differenziata e il premierato. La nostra distanza programmatica dai partiti dell’opposizione parlamentare che hanno indetto la manifestazione, in primis sulla questione della guerra, non ci impedisce di condividere la necessità della più ampia mobilitazione unitaria per la difesa della Costituzione. Non vi può essere alcuna sottovalutazione della pericolosità delle proposte che sta portando avanti il governo Meloni. Di fronte all’aggressione violenta al deputato Donno, a cui va la nostra solidarietà, e alla sua giustificazione da parte della Presidente del Consiglio e del complesso della destra bisogna rispondere con la più ferma condanna. Quel che resta della democrazia costituzionale sta per essere definitivamente stravolto dall’autonomia differenziata e dal premierato. Occorre una risposta democratica e antifascista che consenta di battere nei referendum questa destra. Va ricordato che l’attacco alla Costituzione da parte del governo Meloni è stato reso possibile da una pessima legge elettorale che ha dato a una minoranza nel paese una larga maggioranza nel parlamento. Soltanto il ritorno a una legge proporzionale consentirà di riprendere la via maestra tracciata dalla Costituzione e riportare alle urne la maggioranza della popolazione che si astiene perché la semplificazione bipolare ha reso le istituzioni sempre più impermeabili e incapaci di essere specchio del paese. La spallata di questa maggioranza di estrema destra alla Costituzione è stata resa possibile dalle scelte del centrosinistra che ha aperto l’autostrada su cui Calderoli e Meloni stanno marciando. La proposta di Calderoli è oggi possibile grazie alla modifica del Titolo V della Costituzione imposta con pochi voti di maggioranza dal centrosinistra nel 2001 a cui solo noi ci opponemmo. Da anni lavoriamo con i comitati contro l’autonomia differenziata, mentre il PD e lo stesso M5S strizzavano l’occhio alle richieste dei presidenti di Lombardia e Veneto votando si nei referendum per l’autonomia, associandosi a loro come ha fatto l’Emilia Romagna con Bonaccini (che non ha ancora ritirato intesa nonostante migliaia di firme), siglando intese come fece Gentiloni. Ricordiamo che il presidente Bonaccini non ha ancora ritirato le intese sull’a.d, nonostante le migliaia di firme raccolte dai comitati emiliani. Lo stesso premierato è stato legittimato nelle teste di milioni di cittadine/i con l’elezione diretta dei sindaci e ancor peggio, per l’assenza di doppio turno, con quella dei presidenti delle regioni. Per non parlare della rigida separazione delle carriere dei magistrati che renderà i PM dipendenti dall’esecutivo, come proponeva, la Bicamerale D’Alema-Berlusconi. Saremo in piazza per la difesa della Costituzione e della unitarietà della Repubblica, contro la prepotenza di una destra che non nasconde la sua matrice fascista. Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Tonia Guerra, responsabile campagna contro autonomia differenziata del Partito della Rifondazione Comunista
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