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“Un papà non è quello che ti dà la vita”: La celebrazione della figura paterna secondo Maura Mantellino. Recensione di Alessandria today
Una riflessione profonda sull’essenza dell’essere padre. Maura Mantellino, con il suo testo “Un papà non è quello che ti dà la vita”, ci offre un tributo toccante e universale alla figura del padre
Una riflessione profonda sull’essenza dell’essere padre. Maura Mantellino, con il suo testo “Un papà non è quello che ti dà la vita”, ci offre un tributo toccante e universale alla figura del padre. Attraverso immagini di cura, dedizione e amore incondizionato, Mantellino ridefinisce il concetto di paternità come una presenza costante, discreta e irrinunciabile, capace di lasciare un segno…
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Sophia Loren
Sophia Loren è l’attrice italiana più conosciuta e premiata al mondo.
In settant’anni di carriera, ha recitato in oltre ottanta pellicole, è stata diretta dai più grandi registi della storia del cinema e recitato in film che hanno fatto epoca. Con Marcello Mastroianni ha formato una delle più celebri coppie artistiche di tutti i tempi.
Ha vinto due Premi Oscar, cinque Golden Globe, un Leone d’oro, un Grammy Award, una Coppa Volpi al Festival di Venezia, un Prix al Festival di Cannes, un Orso d’oro alla carriera al Festival di Berlino, undici David di Donatello, sette Nastri d’Argento e le è stata dedicata una stella sulla Hollywood Walk of Fame. L’American Film Institute l’ha classificata al ventunesimo posto fra le più grandi star di tutti i tempi.
Nata col nome di Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone a Roma il 20 settembre 1934, suo padre, Riccardo Mario Claudio Scicolone, di nobili origini, pur riconoscendone la paternità non aveva voluto sposare la madre, Romilda Villani che, per problemi economici era tornata a vivere a Pozzuoli, presso la sua famiglia d’origine. È stato lì che Sofia ha trascorso l’infanzia e i primi anni dell’adolescenza, durante la seconda guerra mondiale.
A quindici anni ha vinto il suo primo concorso di bellezza, con i soldi ricevuti in premio, era tornata a vivere a Roma con sua madre, dove ebbero vari contrasti col padre che non accettava la carriera della figlia nel mondo dello spettacolo. Nella capitale ha partecipato a vari concorsi di bellezza, nel 1950 è stata eletta Miss Eleganza al concorso di Miss Italia, ha posato per alcuni fotoromanzi e iniziato a lavorare nel cinema in piccoli ruoli che esaltavano soprattutto le sue qualità estetiche.
La svolta è arrivata quando ha incontrato il produttore Carlo Ponti che ha segnato l’inizio di una grande storia d’amore e di una carriera stellare tra l’Italia e Hollywood col nome d’arte di Sophia Loren.
La definitiva consacrazione come attrice è arrivata nel 1960, con l’interpretazione nel film La ciociara tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, con la regia di Vittorio De Sica, che le è valso il Premio Oscar, la Palma d’oro a Cannes, il BAFTA, il David di Donatello e il Nastro d’argento; nello stesso anno è stata sulla copertina del Time.
Tanti sono stati i film interpretati successivamente, per Ieri, oggi, domani, del 1963, in cui interpreta tre ruoli divenuti celebri per i quali ha ricevuto il David di Donatello come migliore attrice protagonista, mentre il film ha vinto l’Oscar come miglior film straniero nel 1965.
Del 1964 è Matrimonio all’italiana, tratto da Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, sempre diretta da De Sica e in coppia con Mastroianni, ruolo che le è valso la seconda candidatura all’Oscar alla miglior attrice.
L’ultima volta che è stata diretta da De Sica è stata nel 1974 in Il viaggio insieme a Richard Burton, con cui si è aggiudicata il suo quinto David di Donatello.
Il sesto David è arrivato nel 1977 per il film Una giornata particolare di Ettore Scola, sempre in coppia con Marcello Mastroianni.
Nel 1982 è stata incarcerata per qualche giorno per problemi con il fisco, risalenti a una vecchia causa conclusasi in Cassazione soltanto nel 2013, quando è stata finalmente esclusa qualsiasi sua responsabilità.
Nel 1991 ha ricevuto il Premio Oscar onorario consegnatole da Gregory Peck mentre in Francia, è stata insignita della Legion d’onore.
Nel 1994 Prêt-à-Porter, di Robert Altman, è stato l’ultimo film interpretato al fianco di Mastroianni, che le è valso una candidatura al Golden Globe.
Nel 1996 il Presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro l’ha insignita del titolo di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
Nel 2009 le è stato assegnato il Premio Imperiale per il cinema, considerato il Nobel per attori e registi.
Nel 2020 è stata protagonista de La vita davanti a sé, diretta dal figlio Edoardo Ponti. L’anno successivo, il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, le ha assegnato il Nastro di platino. A quasi 87 anni, l’11 maggio 2021 è stata l’attrice più anziana ad aver vinto il David di Donatello per la migliore attrice protagonista.
Sophia Loren è un’icona assoluta della storia del cinema, ha conservato la sua veracità e italianità nonostante abbia passato la maggior parte della sua vita all’estero. La sua figura, la sua voce, il caldo temperamento sono inconfondibili. È la regina indiscussa del cinema italiano, la più premiata, la più acclamata, la più rappresentata.
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Eusebio Martinelli Gipsy Orkestar Feat. Emma Forni - Round the fire
Il nuovo singolo estratto dall’album dell’eclettico cantautore e trombettista in collaborazione con la giovanissima cantante
Un brano dedicato alla paternità e alla nuova energia che regala
“Round the fire” è un grido di gioia per la nascita di Leone, il figlio di Eusebio. È il primordiale desiderio di portare il proprio figlio con sé, intorno al fuoco, ai concerti, con la banda che festeggia la sua nascita, lasciandosi dietro tutto quanto (il resto). Il pensiero diventa emozione e lo sguardo del figlio porta a una nuova visione del mondo, semplicemente regalando giornate di sole, senza necessità di dare spiegazioni.
Il brano vede la collaborazione della giovanissima Emma Forni, talento emergente dalla voce incredibile che canta insieme alla Gipsy OrkeStar. Il singolo è parte di “SBAM!”, album che rivoluziona il sound della band.
Dicono di “SBAM!”
«La bellezza porta con se anche tanta unicità quando si accosta a parole importanti come contaminazione. Dietro la forma, dietro gli intenti, dentro i cliché esiste sempre una commistione unica dovuta alle anime in gioco e ai loro dialoghi. Ecco che diviene improprio parlare di genere e soprattutto ha ragione Eusebio Martinelli quando dice che è difficile definire cosa sia davvero gipsy. Torna in scena Eusebio Martinelli e la sua Gipsy Orkestar con un disco come “Sbam!” che ai sapori latini sa mescolare anche il suono digitale del techno pop e tantissimo altro» Mondo Spettacolo
«Un suono che si contamina in ogni direzione possibile, dentro la fusion come nel jazz, dentro la dance, come nel pop. E lo fa sempre tenendo a mente i colori portanti della bandiera e arricchendosi anche di collaborazioni didascaliche quanto preziose: Cisco, a cui rimando gran parte del suono folk italiano, e Tonino Carotone che penso non abbia bisogno di altro in aggiunta.» Musicletter
«Un disco che somiglia proprio al suono onomatopeico… “Sbam!”. Una violenta esplosione o un colpo sulla testa, un crash come un iguana che sa di suono sintetico e di mood balcanico… ma poi c’è l’Argentina e le Favelas brasiliane ma anche il caldo sole del pop o le rivoluzioni del folk. E i balcani ovviamente come anche i colori gipsy. Insomma… “Sbam!”. Da ascoltare, da ballare, da lasciarsi innamorare e respirare a lungo e correre… correre senza voltarsi indietro mai.» Cherry Press
Etichetta: Maninalto! Radio date: 24 marzo 2023 Release album: 22 aprile 2022
EMGO nasce dalla mente di Eusebio Martinelli, che dopo una lunga carriera in collaborazione con grandi artisti (Capossela, Bregovich, Negramaro, Sud Sound System, Biagio Antonacci, Modena City Ramblers, Calexico, Demo Morselli, Mark Ribot, Kocani Orkestar e tanti altri) decide di concentrare la sua solida esperienza nel progetto che da ormai 10 anni infiamma le piazze e i festival di tutta Italia ed Europa. Con i primi tre album, la band dà vita a importanti collaborazioni e tour, arrivando ad attraversare tutti i Paesi europei, da Marsiglia a San Pietroburgo. Tra il 2020 e oggi prendono vita ben due album, di cui il primo, “Trumpet Explosion”, apre gli orizzonti della band anche verso la musica colta e il mondo dei teatri: Eusebio esprime il proprio virtuosismo e l’amore per la musica di autori come Chopin, Brahms e Paganini.
“SBAM!”, uscito nel 2022, segna una svolta nel sound e nel mindset della band. Essere Gipsy prescinde dal genere musicale, significa tenere fede ad uno spirito di movimento, avventura ed emozione in ogni circostanza, anche durante i periodi bui, anche se i temi che si affrontano sono introspettivi e profondi. Si può sperimentare qualunque genere, suonare ogni tipo di strumento e parlare dei temi più disparati senza rinunciare all’energia, al movimento, alla danza, alla propria natura Gipsy. Da “SBAM!” sono stati estratti i singoli “Iguana Crash” (aprile 2022), “Tratto Leggero” feat. Cisco e Tonino Carotone (novembre 2022) e “Round the fire” (marzo 2023).
Contatti e social
YouTube: https://www.youtube.com/c/EusebioMartinelliTrumpet Instagram: https://www.instagram.com/eusebio_martinelli/ Facebook: https://www.facebook.com/eusebio.martinelli.gipsy.orkestar Spotify: https://open.spotify.com/artist/58YykjuRTVIZmSvX1Gw53e Website: https://www.eusebiomartinelli.com
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'' Le meraviglie e i misteri della vita, che ci vengono soffocati appena diveniamo membri responsabili della società! Fino a quando non ci mandarono al lavoro il mondo fu assai piccolo e noi abitavamo alla periferia di esso, alla frontiera, per così dire, dell'ignoto. Un piccolo mondo greco che tuttavia era profondo abbastanza da fornire ogni modo di variazione, ogni tipo di avventura e di speculazione. E nemmeno troppo piccolo, perché teneva in serbo le più sconfinate possibilità. Io non ho guadagnato nulla dall'ampliamento del mio mondo; al contrario, ho perso. Io voglio diventare sempre più fanciullesco e andare oltre i limiti della fanciullezza, nell'altra direzione. Io voglio andare esattamente contro la linea normale di sviluppo, passare nel regno superinfantile dell'essere che sarà assolutamente pazzo e caotico ma non pazzo e caotico come il mondo che mi circonda. Sono stato adulto e padre e membro responsabile della società. Mi sono guadagnato il pane quotidiano. Mi sono adattato a un mondo che non fu mai mio. Voglio irrompere oltre questo mondo allargato e star di nuovo sulla frontiera di un mondo ignoto che metterà in ombra questo mondo pallido, unilaterale. Voglio passare oltre la responsabilità della paternità, fino alla irresponsabilità dell'anarchico che non si può costringere, o lusingare o bandire o corrompere o sviare. Voglio prendere per mia guida Oberon il cavaliere della notte, che sotto la distesa delle sue nere ali elimina e la bellezza e l'orrore del passato; voglio volare verso un'alba perpetua con la rapidità instancabile che non lascia luogo al rimorso, al rimpianto, al pentimento. Voglio spogliarmi dell'uomo inventivo che è la maledizione della terra e trovarmi di nuovo dinanzi a un baratro insuperabile che nemmeno le ali più possenti mi permetteranno di superare. Anche se debbo diventare un parco naturale, selvaggio, abitato solo da oziosi sognatori, io non debbo fermarmi a riposare qui nell'ordinata fatuità della vita responsabile, adulta. Devo far questo nel ricordo di una vita senza paragone rispetto alla vita che mi fu promessa, nel ricordo della vita di un bambino che fu strangolato e soffocato per mutuo consenso di quelli a cui egli si era affidato. Tutto quel creano i padri e le madri io lo rifiuto. Io ritorno a un mondo anche più piccolo del vecchio mondo ellenico, ritorno a un mondo che possa sempre toccare tendendo le braccia, il mondo di quel che so e vedo e riconosco momento per momento. Ogni altro mondo è per me insignificante e alieno e ostile. Nel riattraversare il primo lucido mondo che conobbi da bambino io non voglio riposare qui, ma rompere verso un mondo ancora più lucido dal quale debbo essere fuggito. Come sia questo mondo non so, e nemmeno son certo di trovarlo, ma è il mio mondo e di null'altro mi incuriosisco. ''
Tropico del Capricorno, Henry Miller
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2001 tra Kubrick e Clarke è, secondo Tatti Sanguineti, "un'impresa titanica. Sono rimasto sopraffatto dalla straordinaria bellezza di questo libro. Avvincente, illuminante, divertente. L'ho iniziato il pomeriggio e l'ho messo giù solo quando era finito, che ormai era notte fonda."
2001 tra Kubrick e Clarke: Genesi, realizzazione e paternità di un capolavoro. Il nuovo libro di Filippo Ulivieri, con Simone Odino. La storia della creazione di 2001: Odissea nello Spazio come non è mai stata raccontata. In libreria e online, in edizione cartacea e digitale.
English edition coming soon!
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Biografia di Ethan Milkon
Ethan Milkon è stato un personaggio della soap opera statunitense Telenovela D'Amore, interpretato da Jamie Dornan dal 2018 al 2019, anno in cui il suo personaggio muore. In precedenza è stato interpretato da Matt Lanter dal 2015 al 2016. Universo Telenovela D'Amore 1ª app. in 10 settembre 2015 Ultima app. in 10 settembre 2019 (morte) Interpretato da Matt Lanter (2015-2016) Jamie Dornan (2018-2019) Voce italiana Gabriele Lopez Sesso Maschio Professione Stilista della Foresta Modello della Foresta Ex Stilista della Allison Y Designs Ex Modello della Allison Y Designs Parenti Amanda Milkon (figlia avuta da Janet) Mia Milkon (figlia avuta da Allison) Amanda Wood (madre, deceduta) Dave Milkon (padre, deceduto) Austin Milkon (fratello) Jake Milkon (fratello) Chad Milkon (fratello, deceduto) Edward Milkon (fratello da parte del padre) Drake Milkon (zio) Dario Milkon (zio) Taylor Wood (zia) Nick Wood (zio) Katie Wood (zia) Jane Milkon (cugina, deceduta) Jacob Milkon (cugino) Matt Milkon (cugino) Kevin Wood (cugino) Mya Milkon (nipote, figlia di Jake) Maddy Milkon (nipote, figlia di Austin) Beck Young (procugino) Nancy Wood (cugina di II grado) Nora Wood (cugina di II grado) Natalie Wood (cugina di II grado, deceduta) Allison Young (ex fidanzata) Sophia Young (fidanzata, deceduta) Janet Foresta (ex moglie) Elizabeth Horton (fidanzata)
Biografia del personaggio Ethan Milkon entra in scena chiamato dal fratello Jake e dalla cognata Serena Foresta, per cercare di calmare Allison, la quale è andata in depressione dopo aver scoperto che Louis Chiummi ha ucciso sua sorella. Ethan è un ragazzo molto bello, e certe volte supera Louis Chiummi come fisico e bellezza. Ethan prima di trasferirsi a Los Angeles, abitava a Londra ed era il ragazzo più carino di tutta la sua scuola dove frequentava. Ethan usa le ragazze solo per il sesso e certe volte suo fratello Jake dice di stare in guardia di non mettere incinta nessuna. Il cambiamento del personaggio cambia quando si innamora di Allison Young riuscendo a far fare pace lei e Louis. In seguito si contenderà la ragazza con suo fratello Jake, il quale ha messo incinta Allison cosi chiude i rapporti con entrambi.
L'arrivo a Los Angeles, la relazione con Allison Young e il flirt con Donna Foresta Arrivato a Los Angeles chiamato dalla cognata Serena e dal fratello Jake, per cercare di calmare la bella Allison Young in depressione dopo aver saputo che Louis ha ucciso sua sorellaCamilla, Allison vede i fantasmi di lei. Ethan dice ai due sposi che ci penserà lui per Allison, ma l'arrivo dei genitori di quest'ultima vogliono mettere in un'istituto per malati mentali la figlia. Ethan non vuole e dice ai due che Allison dovrà affrontare la morte di Camilla, perdonando Louis. Con quest'ultimo e Theresa, Serena e Jake, Louis riesce a raccontare cosa è accaduto tempo fa a Camilla, e alla fine Bethany, Liam e Allison riescono a perdonare Louis, facendo uscire di scena Bethany e Liam, genitori di Allison. Quest'ultima ringrazia Ethan e si baciano iniziando cosi una relazione. Ethan affronterà tante volte Louis, ma alla fine quest'ultimo si arrende iniziando una relazione con Serena, cognata di Ethan visto che è sposata con il fratello Jake. Poi la cognata Serena offre un posto di lavoro alla Foresta facendo modello e stilista accanto alla sua nuova fidanzata Allison. Più avanti Ethan finisce a letto con Donna Foresta, migliore amica di Allison, che quando quest'ultima lo scopre lascia Ethan. Quest'ultimo continua a flirtare con Donna ma alla fine torna nuovamente con Allison. Ma poi Donna scopre la gravidanza di Allison incinta di Jake, fratello di Ethan, lo dice a quest'ultimo, il quale affranto lascia di nuovo Allison, che quest'ultima inizia una propria relazione con Jake, fratello di Ethan.
L'attrazione verso Sophia Young e l'uscita di scena Ethan, per dimenticare Allison, che ora ha una relazione stabile con Jake, fratello di Ethan, quest'ultimo con l'aiuto dell'amica Serena, inizia a frequentare Sophia, sorella gemella di Allison. Sophia e Ethan si frequentano e iniziano un tipo di relazione, poi saranno coinvolti in una colluttazione dove Sophia muore tra le braccia di Ethan disperato. Dopo la morte di Sophia, Ethan decide di tornare a Londra per riflettere un pò sulla sua vita lasciando campo libero a Jake di continuare la sua relazione con Allison, quindi dopo aver salutato la coppia Jake e Allison, Ethan esce di scena.
Il ritorno a Los Angeles, La rivalità con Jake Milkon per Allison e Le notti con Janet Foresta Ethan torna a Los Angeles per il funerale di sua madre Amanda. Ethan rivede Allison dopo tanto tempo e quindi decide di restare a Los Angeles per tentare di riconquistare la moglie del fratello. Allison vuole aprire una nuova casa di moda e cosi chiede aiuto a Jake, Ethan e a Stephanie, cugina di Allison. Allison ospita Ethan a casa di lei e Jake, anche se quest'ultimo prima rifiuta poi accetta di ospitare il fratello a casa anche se è geloso a causa del passato tra Ethan e Allison. Ethan è ancora innamorato di lei che le ricorda Sophia Young, la sorella gemella deceduta di Allison morta anni fa. Quando Ethan e Luke si incontrano nel locale Shiley, scoppia una rissa: Ethan non ha mai dimenticato la morte di Sophia causata anni fa a causa di Quinn Shiley, madre di Luke. Inoltre Ethan scopre da sua cugina Nancy Wood che sua madre Amanda mesi fa ha avuto una relazione segreta con Luke e ci sta pure un video porno tra i due. Ethan sconvolto odia ancora di più Luke e la famiglia Shiley, ma è felice che Quinn non vive più a Los Angeles. In seguito Ethan tenta di sedurre Allison dichiarando i suoi sentimenti per lei e che non l'ha mai dimenticata veramente. Ethan conosce Janet Foresta e finiscono a letto insieme. Jake caccia Ethan di casa anche perché Ethan è ancora innamorato di Allison. Jake e Ethan tornano a litigare per Allison. In seguito Allison assume Ethan come stilista e modello alla Allison Y Designs.
La rivalità con Daniel Walter per Janet In seguito Ethan si scontra con Daniel Walter per Janet. Janet scopre di essere incinta di Ethan ma dice di essere incinta di Daniel per tenersi legata a se Daniel. In seguito però Jasmine smaschera Janet grazie al test di paternità di Janet e cosi tutti scoprono che Janet è incinta di Ethan. Janet abbandonata da tutti tenta il suicidio da una rupe ma Ethan e Daniel salvano Janet. Ethan perdona Janet.
Le notti con Jessica Horton Ethan e Jessica finiscono a letto insieme diverse volte facendo sesso violento e diventando amici di letto ma alla fine decidono di restare soltanto amici anche perché Jessica inizia una relazione con Austin Milkon, fratello di Ethan.
La notte con Allison Young In seguito Annika ossessionata da Jake rapisce Mya figlia di Jake e Allison. In seguito Ethan vede il fantasma della sua ex fidanzata Sophia che dice a Ethan che Mya è in serio pericolo e che Ethan deve andare ad avvisare Jake e Allison che devono salvarla. Jake e Allison sono disperati per la scomparsa della loro figlia Mya e denunciano la scomparsa. Annika attenta la vita a Allison senza farsi vedere. In seguito Ethan e Allison finiscono a letto insieme. In seguito Annika rapisce Allison tenendola prigioniera assieme alla figlia Mya. Allison riesce a liberarsi e ha una colluttazione con Annika. I detective Alex e Owen salvano Allison e Mya e arrestano Annika. Jake è felice che moglie e figlia stanno bene e anche Ethan è felice che Allison e Mya stanno bene. Allison scopre di essere incinta di Ethan ed è sconvolta disperata. In seguito Allison e Janet tornano a scontrarsi per Ethan. Janet scopre dalla borsa di Allison il test di paternità che Allison è incinta di Ethan. Janet corre a dirlo a Jake il quale affronta Ethan e Allison accusandoli di tradimento. Jake e Ethan tornano a litigare per Allison. Allison litiga con Janet. Jake si ubriaca e finisce a letto con Janet. In seguito Jake confessa del tradimento ad Allison ed in seguito Jake e Allison si perdonano a vicenda per i tradimenti ed il loro matrimonio prosegue mentre Ethan si riavvicina a Janet. Jake si scontra con Ethan per Allison ma in seguito Ethan decide di continuare la sua relazione con Janet ma Ethan ci sarà per la bambina che ha in grembo Allison. Jake e Ethan fanno pace.
Il matrimonio con Janet Foresta Ethan e Janet capiscono di amarsi ed iniziano una relazione quando Janet si allontana da Kevin Wood. La relazione tra Ethan e Janet prosegue e anche la gravidanza di Janet. Alcuni mesi dopo, Ethan chiede a Janet di sposarlo, lei accetta tutta felice. Ethan si scontra con Jared Foresta, fratello di Janet perché Jared crede che Ethan vuole sposare la sorella Janet soltanto per i soldi. Ethan cerca di far cambiare idea a Jared ma quest'ultimo non cambia idea e si ubriaca. Durante il matrimonio tra Ethan e Janet, Jared ubriaco ferma il matrimonio della sorella e punta una pistola contro Ethan. Ethan incita Jared a sparargli ma Jessica colpisce Jared per fermarlo. Alex e Owen arrestano Jared e poi Ethan e Janet si sposano. Dopo il matrimonio, Ethan paga la cauzione al cognato Jared facendolo uscire di prigione e cerca di farlo ragionare. Ethan e Janet vanno in luna di miele. Tornati dalla luna di miele, il matrimonio tra Ethan e Janet prosegue e non vedono l'ora che nasca la loro bambina. In seguito Ethan si avvicina a Stephanie Young, cugina di Allison. Ethan e Steph passano del tempo insieme. Janet si scontra con Stephanie Young perché crede che quest'ultima sia innamorata di Ethan. Janet minaccia di morte Steph e le dice di stare lontana da Ethan se non vuole passare dei guai. Steph si innamora di Ethan e lo bacia venendo visti da Janet che impazzisce scagliandosi contro Steph. Janet tenta di uccidere con una pistola Steph che viene salvata da Coop, Charlie, Ethan e Adam. Steph si allontana da Ethan e si avvicina a Cane Milkon. Cane e Steph si avvicinano e iniziano una relazione facendo ingelosire Ethan. Ethan divorzia da Janet. Ethan è innamorato di Steph e tenta di conquistarla scontrandosi con suo zio Cane. Ethan torna a lavorare come stilista e modello alla Foresta dopo la chiusura della Allison Y Designs. Nascono Amanda Milkon figlia che ha avuto dalla ex moglie Janet Foresta e Mia Milkon avuta dalla ex fidanzata Allison Young.
La relazione con Liz Horton e Le notti con Stephanie Young Ethan si avvicina a Liz Horton fidanzata con Cooper Foresta. Ethan e Liz finiscono a letto insieme, Liz resta incinta di Ethan, Coop scopre tutto e lascia Liz. Ethan e Liz iniziano una relazione e vanno a vivere insieme a Jake e Steph a casa Milkon. Le due coppie sono felici. Mesi dopo Ethan difende Steph finita sulla sedia a rotelle a causa dell'incidente accusata da Adam per la morte di Jane cugina di Ethan. Ethan difende Steph scontrandosi con Adam che ormai impazzito per la morte della fidanzata Jane, Adam prova ad uccidere Jake e Steph. Adam cerca di uccidere Jake ma Ethan lo salva. Ethan e Steph finiscono a letto insieme diverse volte e rimane incinta. Adam scopre tutto e per vendicarsi rivela a Jake che Steph è andata a letto con Ethan fratello di Jake e che è rimasta incinta di Ethan. Jake si scontra con Ethan e Steph ma poi in seguito li perdona tornando con Steph mentre Ethan si fa perdonare dalla fidanzata Liz.
La tragica morte Ethan e Jake continuano a scontrarsi con Adam per difendere la loro amata Steph. In seguito Adam per vendicarsi di Steph spiazza delle bombe in casa Milkon e le fa esplodere con all'interno Ethan che muore all'interno della casa Milkon lasciando in disperazione Jake, Liz e Steph che fuori di casa vedono la loro casa Milkon esplodere per colpa di Adam.
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Ci lascia “Zanza”, morto nel migliore dei modi, mentre faceva l’amore. Con l’uomo da 6mila donne finisce l’era della Rimini felliniana, dei micidiali vitelloni
Finito tutto, sipario. Tutto è finito nel modo migliore e forse più naturale: in figa. Con la morte di Maurizio Zanfanti, il “Zanza da 20 al mese che beve poco ma in compenso tromba” (Filippo Malatesta in Terrone), deceduto mentre faceva la cosa che gli piaceva di più, “giacere” con una ragazza in macchina, si chiude quasi definitivamente il film più lungo della Riviera, quello del “re della passera”, dei vitelloni veri che davano più di una gioia al mondo femminile.
Poco più che sessantenne, chioma fluente e bionda, pantalone di pelle, celebre in tutta Europa (la “Bild” gli ha dedicato almeno un servizio), forse non così pratico di contabilità (“Quante donne ho sedotto? Considerato che ho lavorato 35 anni, potrebbero essere 6.000” disse qualche tempo fa), Zanza è stato l’ultimo baluardo della vera “riminesità”, non tanto quella raccontata nell’omonimo album di Fabrizio De André / Massimo Bubola (la paternità del disco di fine anni Settanta è più del secondo che del primo) ma quella del “pissi pissi” che scivola tra i tavolini delle osterie e le sedie dei pub. Le chiacchiere, con la mano davanti alla bocca, delle donne che raccontano alle amiche che una parente teutonica di una loro conoscente è stata con lui. L’ammirazione dei maschi della Riviera, che amano aggrapparsi a miti che provengono dal passato, da quella Rimini di 40 e più anni fa quando era conosciuta non per la “Molo Street Parade”, la “Notte Rosa” o per il “Capodanno più lungo del mondo” ma perché in Riviera c’erano alcuni uomini che sapevano chiavare. Bene, probabilmente. E soprattutto le donne degli altri.
Con Zanza si chiude quasi definitivamente una stagione: le azdore che tiravano la piada sono state sostituite da ragazzotte dell’est, i negozi del mare sono quasi tutti gestiti da cingalesi, gli aiuto-cuochi dei ristoranti sono quasi tutti stranieri. Rimane un ultimo baluardo, quello del bagnino: quando un giorno un orientale in canotta e bermuda sposterà brandine e sdrai o aprirà un ombrellone, la Rimini dei cliché, di Federico Fellini, delle battaglie antifasciste e delle femmine rotonde e rassicuranti diventerà solamente un lontano ricordo.
Zanza è stato il miglior spot pubblicitario per la Riviera, fiero rappresentante di una “razza maschile” che ha fatto della passerina un totem, un (s)oggetto da venerare, da conquistare, da soddisfare. Zanza ha fatto diventare Rimini una città maschile declinata al femminile, non quindi una città di opliti bensì di uomini aperti all’universo femminile. Una polis moderna, capace di unire i piaceri del corpo a quelli del palato e dell’accoglienza. Un luogo “all inclusive” d’antan e pionieristico quindi, capace cioè di proporre servizi di primissimo ordine: spiagge, cibo e sesso.
Zanza ha spiegato a più generazioni, senza mai dirlo apertamente, che non servono additivi chimici o sballi alcolici per essere uomini: l’essenziale è il dialogo, l’approccio, il corteggiamento. Un’arte, più forme d’arte, che oggi non vengono più utilizzate: la regola dell’hic et nunc ha soffocato la bellezza dell’incognito, le farfalle nella pancia, il tempo dell’attesa, il risveglio, il giorno dopo, quando non sai se è accaduto davvero, quando senti ancora il suo profumo sulla pelle e capisci che siate stati insieme e che la notte non ha cancellato tutto.
Era questa, Rimini, non quella raccontata attraverso le fotografie di Maurizio Cattelan. Non il ponte di Tiberio, non l’Arco d’Augusto, non i due spettacoli tenuti da Buffalo Bill durante la Belle Époque, non l’Isola delle Rose, non il passaggio del Giro con Girardengo, non l’antico anfiteatro che non esiste più. Rimini era Zanza, e Zanza era un uomo che racchiudeva in sé l’essenza più profonda e sincera della Romagna di mare: l’accoglienza.
Alessandro Carli
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La Brescia di Paolo VI ricorda la profezia di Humanae Vitae
Il cardinale Willem Eijk, monsignor Livio Melina, Massimo Gandolfini, Raffaella Pingitore, Costanza Miriano sono tra i relatori dell'importante convegno che si svolgerà a Brescia sabato 9 giugno su "Humanae Vitae - La verità che risplende".
di Valerio Pece (05-06-2018)
“Humanae vitae – La verità che risplende”, a Brescia il 9 giugno, si pone come un convegno importantissimo, sia per il tema (la generazione della vita, la paternità responsabile e l’intimità coniugale continuano a interrogare Chiesa e mondo); sia per i relatori (diversi e internazionali, ecclesiastici e scienziati), e sia per l’ormai imminente canonizzazione di Paolo VI, fissata da Papa Francesco per il prossimo 14 ottobre. A 50 anni esatti dall’osteggiatissima enciclica di Papa Montini sembra essere arrivato il momento di fare luce, anche a costo di aprire vecchie ferite tra le fila di un cattolicesimo progressista, da sempre restìo a contemplare la visione profetica del Papa bresciano in tema di sessualità.
Eppure l’HV si collocherebbe proprio “a sinistra”. Ad affermarlo è monsignor Guido Mazzotta, relatore della causa di canonizzazione di Papa Montini e decano della facoltà di Filosofia alla Pontificia Università Urbaniana. In una recente intervista, ricordando come nel ‘68 fosse studente alla Sapienza, mons. Mazzotta arriva a dire: «Prima che il movimento studentesco venisse egemonizzato dalla sinistra, eravamo anti ogni cosa e avevamo visto nell'appassionata difesa del carattere umano dei riti coniugali quasi un’opposizione alla società che pretendeva di meccanizzare tutto». Per continuare così: «Il rapporto erotico tra uomo e donna trascende e non può ridursi a un caso della meccanica. Fu una visione profetica, e la profezia non viene capita. Il carattere umano del rapporto veniva salvaguardato dalla Humanae Vitae». Un’enciclica – conclude dunque il monsignore che ha lavorato alla "positio" di Montini fin dal 1999 – che «paradossalmente era più a sinistra di ogni sinistra».
Appare questo il paradigma corretto per inquadrare l’enciclica montiniana, mentre altra e combattutissima, purtroppo, in questi 5 decenni è stata la sua “fortuna”. Se infatti per il teologo svizzero Romano Amerio l’Humanae vitae è stato «l’atto più importante del suo pontificato» (così scrive in Iota unum), per l’allora arcivescovo di Torino, card. Michele Pellegrino, l’enciclica di Paolo VI è stata invece «una delle tragedie della storia pontificia». Senza pensare – lo apprendiamo dal documentatissimo Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau) dello storico Roberto de Mattei – a quell’appello del New York Times uscito pochi giorni dopo la pubblicazione dell’HV e firmato da 200 teologi, che invitava i cattolici a disubbidire al Papa e che molto inequivocabilmente portava questo titolo: “Contro l’enciclica di Papa Paolo”.
Ecco perché la prima preoccupazione del Convegno bresciano del 9 giugno (qui il teaser) sarà quella di ribadire il magistero insegnato da Paolo VI. La domanda che si metterà a fuoco può così sintetizzarsi: quell’HV che nel ‘68 fu tanto avversata, alla luce di quanto è accaduto dal punto di vista antropologico all’uomo di oggi, può dirsi finalmente compresa? Può essere unanimemente riconosciuta la profondità profetica di Papa Montini? Con negli occhi le macerie attuali e nel cuore le parole potenti che Paolo VI indirizzava agli sposi («Ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità e la soavità della legge che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della vita umana», Hv 25) c’è ancora nella Chiesa chi rifiuta la promozione di una visione della sessualità alternativa rispetto alla mentalità contraccettiva dominante? Queste domande spiegano perché le molte realtà che hanno promosso il Convegno, raccolte sotto la sigla “Amici di Paolo VI”, abbiano puntato anche sulla presenza dei giovani: è soprattutto a loro che è rivolta la bellezza dell’enciclica, e a loro spetta di toccare con mano la profonda verità in essa contenuta.
Ecco allora che l’ospite più illustre sarà l’arcivescovo di Utrecht, card. Willem Eijk, medico, poi sacerdote, poi professore di filosofia, infine pastore e principe della Chiesa. Se nei giorni passati il mondo ha conosciuto il coraggio del card. Eijk (tra pochi a stigmatizzare la pretesa della Conferenza episcopale tedesca sull’intercomunione cattolici-protestanti), va premesso che le parole chiare che il cardinale spenderà sull’HV non sono soltanto figlie di consolidati studi in campo bioetico, ma anche, e forse soprattutto, della sua lunga esperienza pastorale nella iper-progressista società olandese, da decenni terreno sempre più compromesso dal punto di vista morale. A patrocinare il magistero montiniano sulla vita interverranno anche mons. Livio Melina, già preside dell'Istituto Giovanni Paolo II, esperto di morale familiare e di bioetica, e don Giorgio Comini, responsabile dell'Ufficio diocesano per la Famiglia di Brescia.
Dopo il Magistero, sarà la Scienza il secondo ambito di cui il Convegno si interesserà, e lo farà nella precisa ottica di sottolineare le conferme che la medicina ha fornito alla “profezia” di Paolo VI. Risulta infatti stupefacente quanto gli ultimi 50 anni di ricerche scientifiche confermino una morale che all’epoca sembrò azzardata e medicalmente fragile. Biologia, neurologia, ginecologia: tutto muove a conferma della stessa tesi. Massimo Gandolfini, neurochirurgo e leader pro-family porterà la sua doppia esperienza di dottore e di sostenitore di una nuova cultura della famiglia. Lo farà insieme a Renzo Puccetti, autore de I veleni della contraccezione (ESD-Edizioni Studio Domenicano), libro in cui il bioeticista toscano racconta, dati alla mano, di come la pillola contraccettiva, oltre a rompere l’unità della dottrina cristiana, abbia rivoluzionato la società e sconvolto gli equilibri demografici.
Colei, però, che più di tutti potrebbe indurre il neo-ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana – ufficialmente invitato – ad assistere al Convegno (gli organizzatori sono in attesa di una sua conferma) è Raffaella Pingitore, il medico più esperto di naprotecnologia in Italia. Il nome della tecnica, “cattolicamente corretta”, deriva dall’inglese “natural procreation technology” (tecnologia della procreazione naturale) ed ha un tasso di riuscita – per percentuali di nascite da coppie che seguono i trattamenti – pari addirittura al doppio di quello della fecondazione assistita. Malgrado i successi e i numeri parlino chiaro, e malgrado i costi siano 10 volte minori di quelli della fecondazione assistita, la Pingitore rivelerà come la “napro”, oltre ad essere (comprensibilmente) boicottata dalle milionarie “lobby della provetta”, risulti ancora ignorata dal Servizio sanitario nazionale. Eufemisticamente una stranezza per un paese, l’Italia, in gravissima crisi demografica.
Nel pomeriggio l’ultima tavola rotonda sarà tenuta dai “Testimoni”, perché ciò che è insegnato dalla Chiesa e dimostrato dalla Scienza si riflette con fecondità nel fluire della vita concreta. Costanza Miriano terrà una relazione dal titolo “Il centuplo quaggiù”, seguita poi dal tutor Teen STAR don Marco Begato che relazionerà sulle nuove sfide educative in ambito affettivo-sessuale. Interverranno infine le referenti bresciane INER, della Confederazione italiana dei centri per la regolazione naturale della fertilità, per parlare di un tema quasi sconosciuto eppure ricchissimo a livello sia scientifico che antropologico: l’impatto dei metodi naturali di pianificazione familiare sulla coppia.
Sarà un convegno aperto a studiosi, movimenti, famiglie e giovani; un’occasione per celebrare la memoria del papa bresciano nel suo intervento più coraggioso e urgente. L’evento si svolgerà per tutta la giornata – dalle 9.30 alle 18.00 – nell’auditorium bresciano di San Barnaba, in Corso Magenta 4 (biglietteria aperta dalle 8.30). Per prenotarsi, e quindi essere certi del posto, è necessario registrarsi dal sito del Convegno: www.amicipaoloVI.it.
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26 set 2020 14:08
“UN ARTISTA CHE SI OMOLOGA NON E’ UN ARTISTA” - RICCARDO COCCIANTE AI LUNATICI DI RAI RADIO2 SMONTA IL CONFORMISMO NELLA MUSICA ITALIANA: "DOBBIAMO SPINGERE LE PERSONE A PENSARE DIVERSAMENTE RISPETTO A QUELLO CHE INVECE COMUNEMENTE SI PENSA IN UN CERTO MOMENTO. 'BELLA SENZ'ANIMA' FU CENSURATA MA NOI ARTISTI DOBBIAMO ANDARE CONTROCORRENTE - NON VOGLIO L'ADULAZIONE DEL PUBBLICO, PER QUESTO VIVO IN IRLANDA. SANREMO? NON TORNERO' MAI DA CONCORRENTE MA…”
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Da I Lunatici Radio2 https://www.raiplayradio.it/programmi/ilunatici/
Riccardo Cocciante è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei.
Riccardo Cocciante ha parlato del suo rapporto con la notte: "Al contrario di molti, io sono un diurno. Mi alzo prestissimo la mattina, verso le quattro, e inizio a lavorare. Ma di notte no, non lavoro. Mi metto a letto molto presto. Normalmente nel nostro mestiere c'è molta gente che lavora la notte, perché la notte è molto affascinante, è misteriosa, ma io trovo che sia più bella la mattina, è un momento che per me rappresenta la rinascita, la primavera. Anche Mogol e Morricone, con cui ho lavorato, lavorano molto presto al mattino. Io amo la mattina, la luce, il giorno. Una notte tra le più belle della mia vita? Non saprei quale notte indicare. Forse quando ci si accorge che una cosa che hai fatto, composto e cantato, viene apprezzata dal pubblico. Ad esempio quando presentammo per la prima volta Notre-Dame de Paris".
Riccardo Cocciante da molto tempo non vive più in Italia: "Io voglio specificare che non amo la parola star e non sono una star. Non lo sarò mai. Sono un artista. Da artista, non voglio l'adulazione del pubblico. Io amo che il pubblico mi riconosca per quello che ho fatto. La mia vita più è appartata e meglio è per me. Per questo ho scelto prima di andare via addirittura dall'Europa, ho vissuto in America per diversi anni, poi ho scelto l'Irlanda.
E' sempre in Europa, ma è un Paese a parte rispetto agli altri. La gente è estremamente generosa, e poi è un Paese di musica. Addirittura sulla sua bandiera c'è uno strumento musicale, l'arpa celtica. Mi trovo bene in Irlanda. Appartato, ma sempre a contatto con l'Europa. Stare lontano dall'Europa mi ha pesato quando vivevo in America".
Sulla musica italiana: "Ci sono nuove tendenze e nuove maniere di esprimersi, il mercato è completamente cambiato, è sempre più un'industria. Un artista giovane per introdursi in questo contesto ha sempre maggiori difficoltà. Rimangono i live, ma in questo momento soffriamo tutti di questo live impossibile da fare, perché il live è la prima espressione dell'artista.
Rispetto alla nostra generazione, non c'è più unità di espressione. Ciascuno è per conto suo, sembrano delle piccole isole, questo è un difetto della nuova generazione. Non c'è più comunicazione. Alla nostra epoca si facevano dei confronti, c'era nella nostra generazione una voglia globale di cambiare il mondo, tutti noi avevamo la stessa intenzione. In Italia c'era un fronte con me, Venditti, De Gregori, Dalla, altri cantanti. Volevamo spezzare quello che c'era e creare qualcosa di nuovo. Ora mi pare che questa unità di intenti manchi. Che rapporti abbiamo oggi? Non posso usare la parola amico, ma siamo vicini. Ci sentiamo vicini. Abbiamo attraversato un periodo molto forte".
Su alcune sue canzoni, 'Margherita' e 'Bella senz'anima': "Bella senz'anima è stata presa come una canzone contro il femminismo, ma per me tutte le canzoni hanno un valore allegorico. Bella senz'anima è stato un momento di ribellione mia, personale, gridando la mia disperazione di non esistere in confronto al pubblico.
Margherita invece è il contrario totale, dopo aver avuto il primo successo mi sono reso conto di avere questa soddisfazione di esistere con il pubblico. Non ci sono riferimenti reali nelle mie canzoni, sono sempre allegoriche. Solo una canzone è stata scritta per una persona, 'Vivi la tua vita', composta per mio figlio appena nato. Non cerco di fare le canzoni per le persone, ma provo a fare le cose che mi colpiscono".
Sul politicamente corretto: "Bella senz'anima è stata criticata, ma ci sono diverse persone che hanno questo momento. Di canzoni criticate ce ne sono state molte nella storia della musica. E' pieno di canzoni che all'inizio hanno urtato le persone. Ma noi artisti dobbiamo andare controcorrente. Bella senz'anima era completamente controcorrente. Noi artisti dobbiamo proporre qualcosa di diverso, non dobbiamo andare nella corrente.
Anche Margherita era completamente controcorrente, quando è uscita scrivevano tutti di politica. Poi esce fuori Margherita che è l'antitesi di questo discorso. Bisogna avere il coraggio di andare contro il sistema, noi abbiamo cose importanti da dire. Mi voglio definire sempre fuori moda, ma comunque onesto. Non sto attento a quello che la gente vorrebbe in un determinato momento".
Ancora su politicamente corretto e censura: "Il politicamente corretto c'è sempre stato. Bella senz'anima fu censurata. Però se l'artista di base cerca di omologarsi a un sistema, non è un vero artista. Noi dobbiamo spingere le persone a pensare diversamente rispetto a quello che invece comunemente si pensa in un certo momento".
Sul festival di Sanremo: "Io sono andato per sfida a Sanremo, per fortuna questa sfida l'ho vinta. Ma l'ho detto subito che era una esperienza che volevo fare una sola volta nella mia vita e non la farò mai più. Come concorrente. Poi da ospite è un altro discorso.Lo steso discorso l'ho fatto con 'The voice'. Ho trovato interessante la possibilità di scegliere un cantante senza vederlo, solo ascoltandone la voce. Molte volte si è condizionati dalla bellezza o dall'aspetto di un personaggio. Invece la voce e l'anima sono le cose più importanti. L'ho fatto ma l'ho detto subito che non l'avrei fatto più. Non amo fare due volte la stessa esperienza, cerco sempre di reinventarmi".
Sulla trap: "Tutto è possibile nell'espressione artistica. Stiamo vivendo un momento tecnologico estremamente forte. L'importante è non farsi mangiare da questa tecnologia. Quando è uscito il rap era bello, forte, potente, era rivoluzionario. Poi è stato utilizzato ed è diventato un fatto commerciale. Mi pare una cosa negativa".
Cocciante parla così della sua paternità: "Che padre sono? Abbiamo avuto la fortuna di avere un figlio, io e mia moglie. Devo dire che siamo fortunati, perché è in una buona strada e questo forse perché l'abbiamo educato a non usufruire del successo del padre, ma ad avere una autonomia totale. Abbiamo sempre detto a David di trovare la propria strada e lui l'ha fatto. E' eccezionale, è nell'art design, non fa quello che faccio io, vive a New York, l'abbiamo aiutato a trovare la propria strada, questo dev'essere sempre importante. Il pericolo quando si è conosciuti è che la gente vive nel riflesso del padre e questo crea infelicità".
Sul futuro: "Se c'è qualcosa di cui ho timore? Non lo so. Non ho paura della morte. Il futuro è sempre un punto interrogativo però noi dobbiamo vivere con questa spada di Damocle del futuro che non è certo. L'importante è avere sempre progetti e cose da fare. Questo mi tiene in vita".
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Luca Pitteri sposa Brigida Cacciatore, ex alunna di Amici
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Luca Pitteri sposa Brigida Cacciatore, ex alunna di Amici
Già in passato il talent show Amici aveva fatto sbocciare l’amore tra alcuni concorrenti ma anche tra professori ed allievi.
Come Luca Pitteri, che ha deciso di sposare Brigida Cacciatore, cantante della quinta edizione di Amici. In una recente intervista, egli ha dichiarato:
Eh sì, ho trovato finalmente l’amore. Ho conosciuto Brigida, lei è un’allieva della quinta edizione di Amici. Una cantante straordinaria, con materiale umano, tecnico e artistico davvero molto elevato. E adesso è mia moglie, oltre a essere la madre di mio figlio Gioele.
Luca Pitteri dopo aver avuto una lunga love story con Monica Hill, ha sposato la bella Brigida. Inoltre, ha voluto spendere qualche parola in merito alla sua paternità:
“Fino a pochi anni fa non avrei mai pensato potesse accadermi una cosa del genere: ero una persona che amava stare sola. E invece ho conosciuto innanzitutto una persona straordinaria con delle caratteristiche così adatte a me che mi ha colpito immediatamente.
E poi, è arrivata in un momento difficile per me, poiché avevo scoperto di avere una grave malattia, e lei mi ha assistito rimanendo poi al mio fianco. Non pensavo, a causa della chemioterapia, di poter avere figli, o comunque mi avevano avvertito che sarebbe stato difficile. E invece qualche tempo dopo è nato il mio bambino ed è stato un dono, davvero. Un regalo inaspettato.”
Luca Pitteri: “La differenza d’età non è un problema”
Tuttavia, sul web c’è chi polemizza la differenza d’età tra Luca Pitteri e Brigida Cacciatore.
I due si passano 11 anni (lei del 1983 e lui del 1962). Ma attraverso un post su Instagram, Pitteri spiega che non è un problema e lo fa in senso metaforico:
“Visitavamo questo posto meraviglioso ho fatto un pensiero: la gente ha e avrà sempre fame di bellezza, e quando visita le città, dove la cerca tendenzialmente? Nell’antico, nella storia. La bellezza non ha età. Ciò che era bello 500 anni fa è bello adesso e lo sarà per sempre…”
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#MammaCeleste Se la mamma è indispensabile nell’ordine naturale lo è sopratutto nell’ordine soprannaturale. Certamente Dio, nella sua onniveggenza, conosceva questo bisogno delle creature, esse avevano sì un Padre Celeste ma Dio non era contento, nel suo delirio e follia d’amore, volle formare anche una madre celeste e umana al contempo, affinchè se non fossero bastate le premure, l’amore, le tenerezze della Paternità Celeste, l’amore e le tenerezze indicibili di questa Madre Celeste avrebbero potuto intenerire il loro cuore. Dio creò l’uomo in un’estasi d’amore e lo amò alla follia anche dopo il peccato originale, la Vergine Madre sarebbe stata l’anello di congiunzione fra Dio e gli uomini. Usò perciò un grande ritrovato del suo amore, un grandissimo stratagemma, chiamò a vita la piccola Vergine Maria e, creandola tutta pura, tutta santa, tutta bella, tutta amore, senza macchia fece concepire insieme con essa la Divina Volontà affinchè tra Lei e Dio ci fosse libero accesso, perenne unione. La Regina del Cielo con la sua bellezza rapiva Dio e l’amore di Dio, straripando, si nascondeva in essa e, guardando tutte le creature attraverso la sua bellezza, il suo amore si sfogava e, con amore nascosto, amava in questa Regina Celeste tutte le creature che, viste attraverso la sua bellezza, non sembravano più brutte. Dio quindi comunicò a Maria la Paternità Divina ed amò tutti in essa e Maria acquistò la Maternità divina per poter amare tutti come figli suoi, generati dal suo Padre Celeste. Nella Regina del Cielo tutti possono trovare l’amore di Dio nascosto in lei, molto più che, Maria, possedendo la Divina Volontà, dominava Dio e lo spingeva ad amare tutti e Dio, col suo dolce potere, dominava lei ad essere la Madre più affettuosa di tutti. Dono più grande Dio non poteva dare a tutte le generazioni, nel dare questa impareggiabile creatura come Madre di tutti. L’amore nascosto di Dio continua anche ora nella Regina del Cielo e continuerà sempre. https://www.instagram.com/p/B__xbCKDUnG/?igshid=sej6fwxp1xc4
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La Valle della Loira è conosciuta come il giardino della Francia e culla della lingua francese. Una regione baciata da un clima mite, dove pullulano arti e architetture risalenti al Rinascimento. Proprio in questa zona sorgono ben 300 favolosi castelli, inizialmente costruiti come semplici fortificazioni, e divenute nel tempo meravigliose opere invidiate da tutto il mondo. Da queste parti sono passate le migliori menti creative della storia dell’arte e delle scienze, intellettuali e umanisti illuminati, soprattutto durante il Rinascimento. Non a caso c’è un fitto mistero che avvolge la Valle della Loira, qualcosa di irrisolto e legato a uno dei geni per eccellenza di tutti i tempi: Leonardo Da Vinci. Circa 5 secoli fa il sessantaquattrenne artista italiano venne invitato dal giovane re Francesco I in terra francese. Un incontro che portò Leonardo a poter passare i suoi ultimi anni di vita all’insegna del lavoro e delle arti fino ad ottenere la carica di pittore di corte. Proprio per questo si dice che il suo corpo riposi oggi (forse) nel castello di Amboise, una delle spettacolari costruzioni della Valle della Loira. Ma c’è un castello, in particolare, che rende ancora adesso la Valle della Loira scenario di un fitto mistero: Il castello di Chambord. Un’opera d’arte magistrale inserita nel patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1981 e considerata tutt’oggi uno dei simboli distintivi della Francia. Fonte: iStock, di Vladislav Zolotov Il castello è una progettazione che suggerisce l’idea di una continua rinascita, come se rappresentasse il ciclo della vita, e indicasse il posto dell’essere umano su questa terra. Capolavoro di bellezza e di intelligenza e che conserva un intrinseco significato di eternità. Quello che rende il castello della Valle della Loira un emblema di mistero però è il suo ideatore. Non sono chiare, infatti, le origini dello stesso. Oggigiorno non ci è ancora dato sapere quale mente geniale abbia progettato una delle opere architettoniche più notevoli del Rinascimento. Alcuni studiosi sostengono che l’indizio principale, per comprendere da chi sia stato ideato Chambord, risieda proprio nella sua scala rivoluzionaria. L’asse centrale del Castello, infatti, è ornata da una scala a doppia elica. Una spirale a giorno a due rampe che collega i diversi piani e dalla quale si può salire da ciascun lato senza mai incontrarsi e seguendosi, solamente, con lo sguardo. Una sorta di nascondino da da poter giocare su una brillante scala rinascimentale. Design completamente nuovo per la Francia (a differenza dell‘Italia) e che sembra suggerire un interessante legame con il nostro Leonardo Da Vinci, anche grazie al ritrovamento di molti schizzi architettonici dello stesso e che sembrano essere stati l’ispirazione per la costruzione della scala e della pianta centrale del Castello di Chambord. Altri ancora sono convinti che il mistero della Valle della Loira sia risolvibile osservando le facciate e l’interno della struttura. Lo zampino di Leonardo Da Vinci sarebbe percepibile negli ornamenti utilizzati nella parte esterna di Chambord, dalla disposizione a griglia e dagli interni modulari. Tutti elementi che collegano inevitabilmente all’eleganza distintiva e alla straordinaria logica visionaria del poliedrico artista italiano. Tuttavia, a causa della mancanza di prove certe, non è ancora possibile riconoscere Leonardo Da Vinci come architetto del Castello di Chambord. Questo rende la visita della Valle della Loira un’esperienza fatta di cultura, bellezza e mistero e che spinge studiosi e visitatori a interrogarsi continuamente sulla vera paternità di Chambord. https://ift.tt/398drFH Il mistero irrisolto dell’imponente Valle della Loira in Francia La Valle della Loira è conosciuta come il giardino della Francia e culla della lingua francese. Una regione baciata da un clima mite, dove pullulano arti e architetture risalenti al Rinascimento. Proprio in questa zona sorgono ben 300 favolosi castelli, inizialmente costruiti come semplici fortificazioni, e divenute nel tempo meravigliose opere invidiate da tutto il mondo. Da queste parti sono passate le migliori menti creative della storia dell’arte e delle scienze, intellettuali e umanisti illuminati, soprattutto durante il Rinascimento. Non a caso c’è un fitto mistero che avvolge la Valle della Loira, qualcosa di irrisolto e legato a uno dei geni per eccellenza di tutti i tempi: Leonardo Da Vinci. Circa 5 secoli fa il sessantaquattrenne artista italiano venne invitato dal giovane re Francesco I in terra francese. Un incontro che portò Leonardo a poter passare i suoi ultimi anni di vita all’insegna del lavoro e delle arti fino ad ottenere la carica di pittore di corte. Proprio per questo si dice che il suo corpo riposi oggi (forse) nel castello di Amboise, una delle spettacolari costruzioni della Valle della Loira. Ma c’è un castello, in particolare, che rende ancora adesso la Valle della Loira scenario di un fitto mistero: Il castello di Chambord. Un’opera d’arte magistrale inserita nel patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1981 e considerata tutt’oggi uno dei simboli distintivi della Francia. Fonte: iStock, di Vladislav Zolotov Il castello è una progettazione che suggerisce l’idea di una continua rinascita, come se rappresentasse il ciclo della vita, e indicasse il posto dell’essere umano su questa terra. Capolavoro di bellezza e di intelligenza e che conserva un intrinseco significato di eternità. Quello che rende il castello della Valle della Loira un emblema di mistero però è il suo ideatore. Non sono chiare, infatti, le origini dello stesso. Oggigiorno non ci è ancora dato sapere quale mente geniale abbia progettato una delle opere architettoniche più notevoli del Rinascimento. Alcuni studiosi sostengono che l’indizio principale, per comprendere da chi sia stato ideato Chambord, risieda proprio nella sua scala rivoluzionaria. L’asse centrale del Castello, infatti, è ornata da una scala a doppia elica. Una spirale a giorno a due rampe che collega i diversi piani e dalla quale si può salire da ciascun lato senza mai incontrarsi e seguendosi, solamente, con lo sguardo. Una sorta di nascondino da da poter giocare su una brillante scala rinascimentale. Design completamente nuovo per la Francia (a differenza dell‘Italia) e che sembra suggerire un interessante legame con il nostro Leonardo Da Vinci, anche grazie al ritrovamento di molti schizzi architettonici dello stesso e che sembrano essere stati l’ispirazione per la costruzione della scala e della pianta centrale del Castello di Chambord. Altri ancora sono convinti che il mistero della Valle della Loira sia risolvibile osservando le facciate e l’interno della struttura. Lo zampino di Leonardo Da Vinci sarebbe percepibile negli ornamenti utilizzati nella parte esterna di Chambord, dalla disposizione a griglia e dagli interni modulari. Tutti elementi che collegano inevitabilmente all’eleganza distintiva e alla straordinaria logica visionaria del poliedrico artista italiano. Tuttavia, a causa della mancanza di prove certe, non è ancora possibile riconoscere Leonardo Da Vinci come architetto del Castello di Chambord. Questo rende la visita della Valle della Loira un’esperienza fatta di cultura, bellezza e mistero e che spinge studiosi e visitatori a interrogarsi continuamente sulla vera paternità di Chambord. La Valle Della Loira è una terra ricca di architetture rinascimentali avvolte nel mistero. Viaggio tra i suoi castelli e tutti gli enigmi irrisolti.
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Biografia di Wak Chiummi
Wak Chiummi (nato Fisher) è un personaggio della soap opera statunitense Telenovela d'amore, interpretato da Joulk Asholi dal 2013.
Universo Telenovela d'amore 1ª app. in 21 giugno 2013 (USA) 4 marzo 2014 (In TV) Interpretato da Joulk Asholi Voce italiana Flavio Aquilone Sesso Maschio Professione Produttore di gioielli presso la Quata Artigiant Jewerly Ex produttore di gioielli presso la Foresta Componente del Cda della Chiummi Publications Parenti Max Chiummi Jr. (padre) Quata Fisher (madre) Dixon McCall (patrigno) Rose Ligin (ex moglie) Stefania Foresta (ex moglie) Louis Chiummi (fratello da parte di padre) Stuard Chiummi (fratello da parte di padre) Michael Chiummi (fratello da parte di padre) Lucas Chiummi (nipote, figlio di Louis) Luke Chiummi (nipote, figlio di Louis) Noah Chiummi (nipote, figlio di Louis) Max Chiummi (nonno; deceduto) Kally Chiummi Foresta (zia; deceduta) Kerin Chiummi (zia) Kally Chiummi (cugina) Lucas Chiummi Jr (pronipote, figlio di Lucas, deceduto) David Chiummi (pronipote, figlio di Lucas) Josephine ''Jo'' Chiummi (pronipote adottiva, figlia di Luke) Dylan Chiummi (pronipote, figlio di Lucas) Donna Chiummi (pronipote, figlia di Lucas) (un figlio perso con Rose) Immagine= *Wak sorride nella sigla iniziale con i capelli mori e con gli occhi marroni* JOULK ASHOLI WAK CHIUMMI
Biografia del personaggio Wak Chiummi è figlio di Max Chiummi Jr. e di Quata Fisher e lavora nell'azienda produttrice di gioielli di sua madre, la Quata Artigiant Jewerly.
L'incontro con Rose Ligin Mentre si trova a Big Bear con il suo fidanzato Stuard, Rose esce da sola per una passeggiata nei boschi intorno allo chalet di sua madre Carmen, ma durante la passeggiata incontra un ragazzo nudo: Wak. Rose tenta di fotografarlo, ma lui se ne accorge e incomincia un inseguimento, fino a che la donna non cade svenuta. Wak prende Rose in braccio, la porta al suo chalet e, dopo averla adagiata su un divano, la bacia. Quando Rose si riprende, il giovane le rivela di chiamarsi Wak, i due parlano dell'accaduto ridendoci sopra e si salutano con un nuovo bacio. Tornata a casa, Rose racconta a Carmen tutto quello che è successo: dalla delusione ricevuta da Stuard, che sembra ancora innamorato di Stefania, all'inaspettato incontro con Wak. Rimasta sola, la Ligin cerca di rilassarsi in giardino, dove, a sorpresa, ricompare proprio Wak, che l'ha raggiunta per riportarle il cellulare. Lei ne approfitta per invitarlo alla festa organizzata da suo fratello Josh in occasione del Giorno dell'Indipendenza.
I segreti di Quata Fisher e l'incontro con Max Chiummi Jr. Un giorno, Rose va con Wak nella sua azienda produttrice di gioielli, la Quata Artigiant Jewerly dove è stata realizzata anche la sua collana: la giovane inizia a chiedergli sul suo passato e su suo padre, ma lui spiega che suo padre è morto quando lui era piccolo. Inoltre, Rose fa la conoscenza di Quata, madre di Wak, e le chiede come sia possibile che suo figlio abbia una collana identica a quella degli Chiummi; la donna risponde che si somigliano ma non sono uguali. Wak decide così che al ritorno di Stuard confronteranno le collane per averne la conferma. Rose intanto inizia a sentirsi molto attratta da Wak e prende nota del comportamento freddo e distaccato di Quata. In seguito, Rose confida al fratello Josh che si sente intrigata da Wak, inoltre gli parla della collana del giovane e del comportamento della madre: Rose sospetta che Louis, Stuard e Wak siano fratellastri. Il giorno dopo, Rose propone a Wak di portare Quata al ristorante dove stanno pranzando Max, Louis e Stuard: così Quata e Max si incontrano, la donna è costretta a dire la verità sulla paternità di Wak e litiga furiosamente con Rose, dovendo affrontare l'ira del figlio, che infatti, furioso, va a vivere nella casa sulla spiaggia con i ritrovati parenti. Max si accorge subito che Wak ha ereditato molte delle sue caratteristiche: infatti, quando il Chiummi lascia sua moglie Angelica per la cognata Carmen, Wak decide di affrontare il padre, esprimendogli la sua disapprovazione, ma Max lo rinnega. Wak torna così da sua madre, che è felice di rivederlo e vede in lui dei cambiamenti positivi da quando ha incontrato Rose, ma è furiosa con Max per avere rinnegato il figlio. Alla fine Max riaccoglie Wak nella sua famiglia e i due iniziano a costruire un rapporto padre-figlio.
La relazione con Rose Ligin Intanto, notato l'amore che Wak prova per Rose, Quata dimentica la sua antipatia iniziale verso la ragazza e spinge il figlio a conquistarla; Rose chiede così ad Errico che sia la ditta della madre di Wak a rifornire di gioielli la Foresta e il Foresta accetta. Quata e Wak sono entusiasti per l'opportunità di lavorare per una grande azienda, così da portare la loro società a livello internazionale e a ricavare profitti enormi. Stuard, accortosi dei sentimenti del fratellastro per la fidanzata, lo caccia di casa e chiede ad Rose di troncare anche i contatti lavorativi con lui. Lei inizialmente acconsente, chiedendo ad Errico di licenziarli, ma quest'ultimo non lo permette, dati gli ottimi profitti ultimamente ottenuti. In vista della sfilata della Rose, Quata pensa di chiedere in prestito un diamante simile al "Diamante Rose" e lo comunica al figlio, che non si lascia sfuggire l'occasione e chiede a Rose di andare in Messico con lui per prenderlo. La ragazza accetta e prende il jet Foresta con Wak per Città del Messico; arrivati, incontrano il proprietario della pietra, il signor Riccardo Montemajor, e lo convincono a prestarla a loro, ma ad una condizione: fermarsi una notte per ultimare le procedure legali per il prestito. Rose è in difficoltà, ma Stuard la comprende e nel frattempo le prepara un tributo a sorpresa con i loro momenti più felici: non sa di averlo spedito per errore a Stefania. Nel frattempo, in Messico, Rose e Wak restano ammaliati dalla bellezza della pietra e si baciano. Stefania, in chat con Stuard per terminare le procedure di annullamento, gli parla anche della mail inviata erroneamente dal ragazzo e gli chiede di realizzare un tributo anche per lei; Stuard vacilla, ma accetta lo stesso. Tornata dal Messico con il diamante, Rose può dedicarsi nuovamente ai preparativi del suo matrimonio con Stuard. Tuttavia, per ostacolare tale unione, Quata chiede a Errico di anticipare la sfilata, e così succede. Il rebranding della Rose va a gonfie vele, soprattutto per i gioielli della Quata Artigiant Jewerly e per il diamante ma, la sera stessa della sfilata, Quata nota sul tablet di Stuard il tributo per Stefania e architetta un piano: invia il video a se stessa e poi, con un account subito dopo eliminato, lo spedisce ad Rose, a Big Bear con Stuard per i preparativi delle nozze. La ragazza visiona il tributo e si arrabbia con il fidanzato, sempre pronto a correre da Stefania come un burattino. Lui la ritiene una reazione esagerata, ma Rose si sfila l'anello e torna a Los Angeles. Intanto Quata, saputo quanto accaduto, si gode la festa. Rose, dopo quanto accaduto, decide di dedicarsi di più a sé stessa e alla Rose, nonostante i continui tentativi di Stuard di riconquistarla. La linea sta riscuotendo un grande successo e nella boutique Foresta di Rodeo Drive la gente è curiosa di vedere il diamante da vicino, sotto la vigile sorveglianza di una bizzarra guardia giurata, Charlon Wibber. Wak, consapevole di un possibile avvicinamento a Rose, è fiero dei risultati e, durante una serata karaoke per intrattenere compratori esteri, dedica una canzone alla ragazza. Nonostante ciò, Rose è ancora sentimentalmente legata a Stuard e provata per il tributo a Stefania e così, ascoltando i racconti di Charlon, a Wak viene in mente un'idea per attirare l'attenzione della ragazza e fare pubblicità alla Rose: sul finire della giornata lavorativa alla boutique, Wak fa sparire il diamante e Charlon, disorientato, chiama la polizia. Ma i due non sanno che due famosi criminali travestiti da donne, Clyde Withfield e Steve Kaplan, sono pronti a mettere in atto un vero tentativo di rapina. Charlon e Wak si vedono puntare la pistola contro e allora il ragazzo disarma i ladri con del caffè bollente, per poi approfittare del momento ed infilare la pietra nella borsa di uno dei due rapinatori. Fortunatamente la polizia interviene in tempo e si riesce ad evitare il peggio, come previsto, la notizia si sparge molto in fretta e Wak passa sotto gli occhi di tutti come un eroe.
Il matrimonio con Rose Nonostante i tentativi di conquista di Wak, Rose e Stuard decidono di sposarsi, ma, per impedire che qualcuno rovini il matrimonio, come già accaduto in passato, quest'ultimo ordina a Rose di licenziare Wak e Quata. Stuard infatti è venuto a sapere da Alexandra, figlia di Thot, che Rose e Wak si sono baciati durante un servizio fotografico per la Rose. Rose, sebbene sia attratta da Wak, accetta la proposta di Stuard e lo dice a Wak, che decide di rinunciare a Rose e di partire per le Hawaii, mentre Quata escogita un piano diabolico per far saltare ancora una volta le nozze di Rose e Stuard. Sul jet della Foresta diretto a Parigi, la donna cerca di convincere Stefania, che nel frattempo è ritornata a Los Angeles per una breve visita alla Foresta, a tornare con Stuard, ignorando il motivo per cui la coppia si lasciò in passato, ovvero la perdita del bambino che Stefania aspettava da Stuard a causa di un incidente in moto. Stefania sulle prime è titubante e rifiuta la proposta di Quata, quando però a sopraggiungere le due donne è una telefonata delle dottoressa, che dà un'ottima notizia alla giovane Foresta: la terapia ha funzionato e può di nuovo rimanere incinta. Quata e Stefania, quindi, volano a Los Angeles. Mentre Quata corre a casa dei Ligin, dove si stanno ultimando i preparativi per il matrimonio, per infilare nella camera di Rose un biglietto sul quale c'è scritto di andare nella casetta di Stuard, Stefania va dal suo amato e gli dà la buona notizia per poi fargli le congratulazioni per le nozze. Stuard, felice per Stefania gli augura di averne dieci di figli, ma con un altro uomo, e la abbraccia proprio nel momento in cui Rose raggiunge la casetta, scatenando la sua ira. Rose decide di non sposare più Stuard e di raggiungere Wak alle Hawaii. Stuard, una volta scoperto il coinvolgimento di Quata in questa storia, raggiunge Rose alle Hawaii e le chiede di ritornare con lui, ma la ragazza sceglie Wak e i due iniziano una relazione. Dopo aver scoperto del coinvolgimento di Quata nell'incidente subito da Gianni, la Ligin decide di lasciare Wak per tornare con Stuard. Quata, furiosa per la fine della storia tra suo figlio e Rose, tenta di uccidere Stuard, ma Wak e Dixon McCall, nel frattempo tornato in città, riescono a salvarlo. Stuard e Rose, intanto, programmano di sposarsi, ma i due litigano quando Wak regala a Rose il diamante, dopo la morte del signor Riccardo Montemajor. Stuard impone alla fidanzata di rifiutare il regalo, ma ella non è d'accordo e dichiara pubblicamente di essere la nuova proprietaria del diamante. Successivamente, Wak e Josh convincono Rose ad andare con loro a Parigi per un servizio fotografico con il diamante. Rose dice a Stuard di raggiungerlo nella capitale francese per sposarsi subito dopo la conclusione del servizio fotografico, ma Stuard, ancora arrabbiato, non è sicuro di partire. Saranno Alexandra e Eva, figlia di Johny, fratello di Errico, a convincerlo a raggiungere Rose per sposarla. Eva e Stuard volano a Parigi ma, mentre Wak tenta di riconquistare la Ligin, Quata fa cadere Eva nella Senna, in modo da far arrivare in ritardo Stuard al matrimonio con Rose. Il Chiummi salva Eva, arrivando così tardi alle nozze. Rose si convince che il suo futuro con Stuard non era altro che fantasia e con Wak raggiunge Montecarlo, dove i due si sposano sullo yacht di Max. Tornata da Parigi con Stuard, ancora scosso ed amareggiato, Eva racconta ad Alexandra quanto accaduto nella capitale francese e le confida che si sente attratta da lui. In seguito consiglia a Stuard di raccontare la verità sul suo ritardo all'appuntamento a Rose, la quale rimane sconvolta; per farlo distrarre un po', Eva decide di invitare il ragazzo alla festa di fine estate al "Bikini" e lo bacia. Alexandra è felice per la sua amica, ma entrambe, mentre conversano, non sanno di essere spiate da Rose: la Ligin così si avvicina ad Eva e la attacca verbalmente, secondo lei Stuard ha bisogno ancora di un po' di tempo per digerire i cambiamenti in corso, ma la Foresta ribatte che ormai non sono affari suoi, in quanto è sposata con Wak, e Stuard, ormai, è un capitolo chiuso. Rose, insinuando che Eva si sia gettata volontariamente nella Senna, la ammonisce: deve portarle rispetto, poiché è un'impiegata della sua linea di moda. In realtà Rose prova ancora forti sentimenti per Stuard, nonostante sia sposata con Wak, e non può sopportare che un'altra possa frequentarsi con lui. Eva non si arrende e invita il ragazzo al barbecue australiano organizzato a villa Foresta. Per tutta la serata, Stuard è assente e pensieroso, tuttavia, finita la festa, dice ad Eva di essersi divertito e la ringrazia dell'invito con un bacio. Rose continua ad essere infastidita dalla complicità formatasi tra Stuard ed Eva, ma nel frattempo scopre di essere incinta di Wak. Quando viene a galla il ruolo di Quata nella caduta nella Senna di Eva, Stuard, ancora più sconvolto di prima dopo aver saputo che la sua ex aspetta un figlio, parla con Rose e le propone di rimettersi insieme, promettendole di crescere il bambino che porta in grembo come se fosse lui il padre; tuttavia, Rose, volendo far crescere il bambino dal suo vero padre, rifiuta a malincuore e, sebbene per nulla pronta a farlo, dice addio con un bacio a Stuard, che decide quindi di voltare pagina e di frequentare Eva. Nel frattempo, la Foresta organizza un ulteriore servizio fotografico nei Paesi Bassi, ad Amsterdam, in cui vengono coinvolte Rose ed Eva, accompagnate dai rispettivi compagni, Wak e Stuard. Rose, vedendo l'ex fidanzato felice con Eva, è molto sofferente e prova nostalgia dei bei momenti trascorsi con lui, ma Eva, ancora una volta, le ricorda che è sposata con Wak e che aspetta un bambino da lui. Il servizio fotografico si trasforma così in una specie di competizione tra le due, che si sfidano in pose affascinanti e seducenti. Wak nota il malcontento della moglie e, consigliato dalla madre Quata, prepara un piano per allontanare Stuard da Rose, ovvero una romantica gita in barca sul fiume Amstel per il fratello e la sua nuova ragazza. L'imprevisto è dietro l'angolo: Rose, avendo sentito parte della conversazione del marito con l'organizzatore della gita in barca, e credendo che sarebbe stata destinata a loro due, ringrazia di cuore Wak, ma questi le rivela che la sorpresa è in realtà per Stuard ed Eva, e di lì nasce un acceso litigio. In seguito, la Ligin vede Stuard e Eva baciarsi romanticamente in barca e le si spezza il cuore. Tornati a Los Angeles, Quata va a congratularsi da Rose, la quale però la gela dicendo che la vuole fuori dalla vita del bambino. Allora Quata seduce Dixon per avere il suo appoggio con Rose, ma la Ligin ribadisce che non la vuole intorno al bambino e dice al padre che, se non chiuderà la storia con Quata, taglierà fuori anche lui dalla sua vita. Per questo Quata affronta Rose a casa di Carmen e, quando la prima sta per andarsene da casa Ligin, Rose cade dalle scale del giardino, battendo la testa. Stuard la soccorre sul momento e la porta in ospedale, ma l'ecografia non mostra più il battito del bambino, che dunque è morto. Tornata a casa, Rose affronta Wak, incolpandolo della morte del loro figlio, perché gli aveva più volte detto di tenere Quata lontana da lei, e così se ne va di casa. Tornata nel giardino per rivivere la scena, viene raggiunta da Stuard, al quale Rose dice di amarlo, ma ha comunque deciso di trasferirsi a Milano dalla madre e di restare lì tutto il tempo necessario per riprendersi. Successivamente Wak la raggiunge a Milano, sperando in un nuovo inizio per il loro matrimonio, ma qualche tempo dopo torna a Los Angeles e fa capire che tra loro qualcosa si è rotto dalla perdita del loro bambino: infatti, porta a Carmen i documenti da far firmare a Rose per il divorzio definitivo.
La frequentazione con Naomi Evans Per scoprire il segreto di Sonia, Max, Louis e Stuard convincono ad Wak ad iniziare una frequentazione con sua sorella Naomi. I due si baciano più volte e Naomi spera di diventare un giorno la signora Chiummi, ma, quando apprende che Wak la sta solo usando, allora lo lascia e lo ripudia, nel momento in cui, però, ha già rivelato al giovane che Sonia è una transessuale.
La relazione con Eva Foresta Wak inizia così una relazione con Eva, che, in seguito alla fallita relazione con Stuard, si accorge di essere innamorata del giovane. Nonostante il rapporto felice e sereno con il Chiummi, Eva subisce il fascino di Drew che, dopo aver chiuso con Kally, sembra voler ostentare il proprio disprezzo verso i Chiummi, non risparmiando scherno nei confronti di Wak e Stuard. Complice il fatto che la ragazza sia fidanzata con Wak, Drew scommette con Donna che riuscirà a strappare Eva dal ragazzo. Sebbene la sorella faccia di tutto per convincerlo a lasciar perdere, Drew corteggia Eva e, approfittando della propria posizione di stilista, crea ad arte tutte le possibili situazioni per star da solo con lei. Durante una festa in maschera riesce persino a salvarla dalla caduta di un faro elettrico, suscitando le perplessità di Wak, che però si fida ciecamente della propria ragazza. Però, durante un viaggio di lavoro del Chiummi, Drew approfitta della sua assenza per presentarsi nella casa dove Eva ha deciso di passare la notte sola: il Foresta, pur non riuscendo a portarsi a letto Eva, le strappa dei baci, rafforzando la loro intimità. Eva sembra comunque intenzionata a restare con Wak, quindi dice chiaramente a Drew di lasciarla stare. Durante una conversazione tra i due in ufficio, Stefania ascolta di nascosto e capisce che Eva ha tradito Wak e va su tutte le furie, rivelandolo prima a Stuard e poi allo stesso Wak. Saputo della rivelazione, Eva decide di affrontare Stefania e tra le due sorge un battibecco, durante il quale Stefania spinge accidentalmente Eva, facendola entrare in contatto con dei fili elettrici scoperti: Eva resta dunque folgorata e si crea una situazione simile a quella che aveva visto Stefania coinvolta nella morte di Alexandra, ed cosi Donna assiste all'incidente di Eva. Tuttavia, stavolta le cose andranno bene e Eva si riprenderà appieno, però Il rapporto tra lei e Stefania sarà fortemente compromesso, tanto che la prima chiederà un provvedimento restrittivo verso la seconda. Eva non tarda molto a scoprire di provare ancora dei sentimenti per Stuard, nonostante sia impegnata con Wak e ritira il provvedimento restrittivo contro Stefania per aver dichiarato il suo amore a Stuard, il quale decide di rimanere con Stefania. Durante una discussione riguardante Stuard tra Stefania e Eva, quest'ultima cade dalle scale e tutti pensano subito a Stefania come colpevole, dato che era sola con lei, compreso Stuard, giunto subito dopo l'incidente. Stefania ripete più volte a Stuard di non essere stata lei a spingere la cugina, ma lui stenta a crederle. Essendo ormai compromessa la sua relazione con Wak (infatti Quata ha rivelato al figlio che Eva ama ancora Stuard) e avendo deciso Stuard di restare accanto a Stefania, Eva torna in Australia da suo padre Johny, accompagnata accidentalmente proprio da Stuard, che è svenuto sull'aereo a causa di una caduta. Per questo Stefania crede che Stuard sia ancora innamorato di Eva e allora trova conforto proprio in Wak, anche se lei lo vede solo come un amico, per ora.
Il matrimonio con Stefania Foresta Quando Stuard torna a Los Angeles dall'Australia, non visto, trova Stefania nel letto di casa sua tra le braccia di Wak, mentre stanno dormendo nudi, e crede che i due abbiano fatto l'amore, ma in realtà Wak sta consolando la ragazza, disperata poiché crede che Stuard sia partito per l'Australia, perché ancora innamorato di Eva. Così Stuard va a dormire alla Chiummi Publications e il giorno dopo decide di licenziarsi dalla Foresta e di lasciare Stefania. Quest'ultima, incredula e disperata, gli chiede il motivo della sua decisione, ma lui non glielo rivela, sostenendo che dovrebbe ricordarsi delle sue azioni. A quel punto Stefania gli chiede di presentarsi la sera stessa nella loro casa, per darle ancora un'altra possibilità. Il ragazzo si reca in seguito nel parcheggio della Foresta, dove incontra Quata, che gli chiede se abbia lasciato Stefania, e Stuard le ordina di dire a suo figlio Wak di stare lontano da Stefania. Subito dopo il giovane sviene, sotto gli occhi esterrefatti di Quata, che decide di portarlo nel suo chalet per evitare che lui si presenti all'incontro con Stefania e per dare una possibilità a Wak di conquistare la giovane Foresta. Mentre Stuard, che ha perso la memoria, è tenuto nello chalet di Quata a Topanga, Wak cerca di far felice Stefania, distraendola dal pensiero di Stuard, che ovviamente non si è presentato all'incontro: prima la porta in spiaggia a trascorrere un pomeriggio, al termine del quale si baciano, poi le regala una moto. Dopo vario tempo trascorso insieme, Wak chiede a Stefania di sposarlo, ma lei non si sente completamente libera da Stuard, perché non gli ha dato spiegazioni del suo silenzio. Allora Quata riesce a mandare un messaggio vocale di Stuard, registrato con l'inganno, a Stefania, nel quale l'ex fidanzato la spinge a dimenticarlo. Stefania, disperata, si lascia andare con Wak, con cui fa l'amore per la prima volta, anche se continua a pensare a Stuard. Successivamente Wak chiede nuovamente a Stefania di sposarlo e la ragazza accetta, sentendosi ormai libera da Stuard: i due si sposano così su una spiaggia e decidono di trascorrere la luna di miele in casa. Nel frattempo, a causa dell'improvvisa scomparsa di Stuard, Max decide di offrire a suo figlio Wak la possibilità di lavorare alla Chiummi Publications e di farlo partecipare a un consiglio di amministrazione: così, Wak si dimette dalla Foresta per lavorare a tempo pieno alla Chiummi. Ma il giorno dopo del matrimonio con Stefania, Wak scopre che Il nuovo compagno di sua madre è proprio Stuard, che ha perso la memoria. La donna, innamorata di Stuard, implora il figlio di lasciarli partire insieme ma Stuard improvvisamente riacquista la memoria e riesce a ricordare il volto di Stefania; allora Wak chiude sua madre nel ripostiglio dello chalet per farla arrestare e libera suo fratello. Dopodiché si reca nello chalet con il padre Max, non trovando più Quata che è stata salvata dal redivivo Dixon. In seguito, Quata va da Stefania per indurla a convincere Stuard a tornare con lei, essendone ancora innamorata, ma Wak e lo stesso Stuard accorrono, avvisati da Stefania, e la fanno arrestare. Tuttavia, dopo pochi giorni, la Fisher viene rilasciata per volontà dello stesso Stuard, che, su consiglio di Jame, capisce che sarebbe troppo complicato fornire le prove nel processo per incriminarla.
Il flirt con Angelica Ligin Wak e Angelica si avvicinano inaspettatamente nonostante la donna provo a negare la passione che lega i due, che però sfocia addirittura in un bacio a Montecarlo. Angelica cerca di avvicinare la stagista Charlotte a Wak, ma il ragazzo e la ex matrigna continuano a condividere dei baci fino ad arrivare a letto.
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E stata presentata alla Liuc - Università Cattaneo la Guida “Ciclopasseggiando in Valle Olona“alla scoperta dei tesori dei paesi lungo i venti chilometri del tracciato, come un filo prezioso esattamente al centro di una lunga serie di gioielli da incastonare. Grandi o piccoli, tutti capaci di dare un enorme contributo al valore complessivo della zona. Un valore tutto da cogliere e sfruttare, a partire dagli abitanti. Così, la pista ciclopedonale della Valle Olona sta contribuendo a cambiare percezione e frequentazione di un territorio dimenticato per decenni e ora pronto a rivelarsi una risorsa. Questo è l’obiettivo dell’Associazione Ecomuseo della Valle Olona, impegnata da diversi anni a riscoprire e difendere il territorio e il suo patrimonio, attraverso una delicata opera di sensibilizzazione. Storia, arte, natura, sport e tempo libero in Valle Olona si combinano infatti come raramente accade altrove... Una guida rapida, al servizio sia dei residenti desiderosi di scoprire più da vicino il proprio territorio, sia dei visitatori il cui numero cresce regolarmente proprio grazie alla pista ciclabile. Non sempre però, chi percorre a piedi o in bicicletta il tracciato conosce la bellezza e i tesori dei paesi a poche centinaia di metri dal fondovalle. La pubblicazione offre quindi la possibilità di seguire brevi itinerari alla loro scoperta. Propone un primo approccio per risalire le tante strade della costa, addentrarsi per i singoli centri abitati o esplorare i boschi circostanti alla scoperta di luoghi nascosti spesso sorprendenti. Già disponibile in una prima versione online, Ciclopasseggiando in Valle Olona ora diventa ufficialmente una pubblicazione, da tenere sempre a disposizione per pianificare una passeggiata, trovare una variante a un percorso abituale, riscoprire il proprio territorio da un nuovo punto di vista. Soprattutto, quale strumento di promozione per una Valle Olona in una visione di insieme capace di moltiplicare il valore dei suoi gioielli considerati uno per volta. Continua su http://www.varesenews.it/2017/05/la-pista-ciclabile-della-valle-olona-e-piena-di-tesori/621463/ Di seguito il pensiero propositivo di Enrico Vizza, apparso su Valleolona.com, sulla Valle Olona, il Seprio, sui Parchi Locali, il territorio, il turismo e il patrimonio che noi deteniamo, ma che non riusciamo a rilanciare come invece andrebbe fatto. "...non potevo non fare tappa alla serata organizzata alla LIUC Università Cattaneo di Castellanza, dove protagonista era sempre lei, la nostra straordinaria Valle Olona da scoprire tra arte, cultura, natura e monumenti dei Comuni della Valle e del Seprio. L’occasione era utile per per ascoltare alcuni importanti interventi del Professor Massimiliano Serati sulle Potenzialità del cicloturismo in Valle Olona, illustrando esperienze nazionali ed Europee.
Subito dopo, l'intervento di. Raul Del Santo su Connettere la biodiversità il progetto Olona Green Way.
Infine il caro amico e giornalista Giuseppe Goglio, con la presentazione della guida fresca di stampa Ciclopassegiando in Valle Olona della quale incoraggio tutti ad averne una copia.
Ascoltando gli interventi che hanno rilanciato l’importanza della rete nel territorio valorizzando l’emergenze e favorendo il turismo, che nonostante la crisi e i bilanci dei Comuni potrebbe essere il vero motore del territorio e dell’Italia, e di fronte alla buona partecipazione all’iniziativa, mi sono venute in mente alcune riflessioni e mi sono posto alcuni quesiti, che desidero sottoporre all'attenzione. Prima di tutto, tranne alcuni, dove erano tutti i rappresentanti dei Comuni dei Plis Parchi Locali RTO, Medio Olona, Boschi del Rugareto, la sera di venerdì 19 maggio? Che fine ha fatto il coordinamento dei tre Plis e le relazioni con i Plis della vicina Svizzera? Il progetto Ecomuseo è un problema di persone, di ruolo o di paternità o lasciamo che altri ne godono i risultati? A che punto è il progetto Pista Ciclabile della Valle Olona da Castglione Olona (dove inizialmente non era neppure previsto il raggiungimento) alla Svizzera? Castiglione Olona Città Slow come procede? Perché non costruire, grazie alle enormi potenzialità che abbiamo, un progetto turistico della Valle Olona. Comprendente, cultura, ambiente, archeologia, sito Unesco, Parchi Locali, fiume Olona e tradizioni, valorizzando il tutto anche dal punto di vista economico e imprenditoriale locale? Perché stare a guardare ciò che si fa all’estero e all’esterno, mentre noi con il potenziale che abbiamo lo lasciamo solo ad immagini e proiezioni? Grazie ancora a Giuseppe Goglio che stimola senza stancarsi e riesce a non perdere la voglia di dire “Valle Olona, un'area da proteggere e valorizzare”.
Le foto del convegno sono di Aldo Moroni
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La donna nel dipinto
Intrappolati nelle cornici delle nostre vite, viviamo cosi lontani da quello che vogliamo che quando lo troviamo non siamo in grado di prendercelo. Passano i giorni, e tanti ne sono passati, in questa stanza di un bianco lucente. Solo quattro mura, tutte per noi, ci siamo solo io, te ed i paesaggi più belli che entrambi abbiamo mai visto. Siamo in questa stanza insieme ormai da anni. Ti vedo ogni giorno nel tuo bel vestito bianco panna, con quell’ombrello aperto sopra la testa e null’altro. Solo tu con l ‘ombrello ed uno sfondo nero infinito. Cosi vicini, eppure non ci siamo mai potuti sfiorare. Appesa alla parete di fronte la mia, sei cosi vicina e cosi irraggiungibile per me. Alla mia destra un famoso tramonto dipinto dei colori più intensi mai visti, alla mia sinistra una vallata fiorita che crea dei giochi di luci cosi tremendamente reali. di tempo ne è passato dal giorno che siamo stati portati in questa stanza, eppure non faccio che innamorarmi di te giorno dopo giorno, sempre di più. Abbiamo visto mille e mille più persone venire ad ammirare le tue bellezze, e la perfezione dei dettagli riportati della mia stanza, dove me ne sto beato, seduto alla mia scrivania, poggiato sul gomito a fissare fuori dalla tela, chi sa dove. Tanti sono convinti che L’artista aveva trovato nella mia espressione persa nel vuoto una profonda ispirazione di pensieri in solitudine. Vengo considerato una delle sue opere migliori, per me sono, semplicemente… io, me stesso, un giovane seduto sulla sua scrivania a fissare altrove. In molti sono convinti ci fosse la mia amata o una finestra alle spalle dell’artista. A questo non saprei dare una risposta neanche io, so solo che fuori dalla tela non ho che te, così bella cosi innocente e cosi sconosciuta ed estremamente irraggiungibile. Dipinta di cosi bei candidi colori una firma anonima, chiunque abbia fatto ciò, non ha voluto nemmeno prendersi il merito della creazione di una cosi pura e perfetta creatura. Maledetto il pittore che ti ha dipinta cosi bella e cosi sola, felice e limpida di pensieri, senza cercare nemmeno il riconoscimento dovutogli. E maledetto sia il pittore che ha dipinto me, cosi perfetto, studiato nei libri, per le perfette armonie tra luci e colori, che non ha dipinto te al mio fianco, nella stessa tela, nella stessa opera. Tanti credono che camminando da un lato all’altro della stanza il mio sguardo li segua. la realtà è che il mio sguardo è fisso verso di te. La notte, quando le vernici di cui siamo fatti pian piano si sciolgono, possiamo finalmente muoverci nelle nostre tele. Ti vedo guardarti intorno sorridendo, e come ogni notte finisci con l’incrociare il tuo sguardo con il mio ed io finalmente sento che l’intera giornata passata ad essere osservato da tutti ma non da te, ha finalmente preso un senso. La mia perfezione, la mia bellezza, non portano altro che gloria all’artista che mi ha creato. A me non resta che la fortuna di poterti osservare giorno dopo giorno. Lo trovo così ingiusto. La bellezza perde ogni sua gloria, se una firma ne reclama la creazione. Nessun Dio vorrebbe dunque reclamare la creazione dell’uomo se dovessimo poi finire con il dimenticare quanto di bello c’è nel mondo, solo per reclamarne la paternità. Almeno di questo sono contento, chiunque venga ad ammirare te, non sa a chi attribuirne la gloria e rimane in silenzio perso nella tua bellezza e goderne la profondità. Passiamo le notti a sorriderci ed insieme a fissare il bel tramonto prendere vita, che quasi sembra di respirare l’aria di mare. O perderci per quella splendida vallata dove sembra di poter sentire la brezza e la purezza di quel vento che smuove i fiori. Al sorgere del sole le vernici si seccano di nuovo e torniamo alla routine, tu con il tuo ombrello poggiato sulla spalla a cercare con lo sguardo qualcosa in alto, ed io riprendo la mia espressione, persa si, ma nelle tue bellezze. Accade lo stesso da tantissimo tempo e chi sa quanto, tempo ancora. Soffro della consapevolezza di non poterti mai avvicinare ma almeno l’universo ha dato a me la fortuna di poterti guardare giorno dopo giorno. Questa mattina ho visto entrare delle persone, che ti hanno tolta di li difronte a me, senza darmi alcuna spiegazione, portandoti via con loro, avvolta in un lenzuolo. È accaduto cosi all’improvviso. ho il cuore distrutto, lo sento vuoto. Le mie giornate hanno perso ogni significato. Sono giorni ormai che non fisso altro che un chiodo nel muro. Nel tramonto non trovo altro che malinconia, è un posto solo, triste. La vallata è fredda e priva di ogni emozione. Improvvisamente due posti stupendi, cosi pieni di passione si sono trasformati in pura malinconia. Da qualche anno è stato rimosso il chiodo che ti sosteneva, cosi anche l’ultimo ricordo di te è andato. Ho paura di dimenticare i tuoi colori, il tuo sguardo quando incrociava il mio. Mi sforzo giorno dopo giorno di non pensare ad altro, per tenere vivo il ricordo, in modo tale che il mio sguardo possa forse rievocare negli occhi di chi mi osserva di giorno, l’opera infinita della tua creazione. Ignari stanno ammirando due opere stupende in una sola tela. Il vero spettatore ora sono io, che cerco di ammirare sulla tela dei miei ricordi la tua bellezza. Sono passati molti anni dalla nostra separazione, oggi stanno portando via tutto, me compreso. Il posto dove mi tenevano non esiste più. Un qualche ricco ha deciso che io andrò a far parte della sua collezione. Adesso ho la certezza di averti persa per sempre. Finirò con l’osservare chissà cosa davanti a me. In questo momento avrei voluto essere stato dipinto con lo sguardo rivolto al muro, o bendato. Se non posso ammirare te, non voglio essere costretto a guardare qualcos’altro. Vengo appeso ancora coperto dal lenzuolo. È notte, e per la prima volta la passo a fissare il nulla, il lenzuolo su di me mi impedisce di vedere fuori. Spero non lo tolgano mai. Che immensa tortura sarà vedere qualcosa di nuovo davanti a me, che inevitabilmente farà parte dei miei ricordi, ed aiuterà la mia memoria con il tempo a dimenticare i tuoi dettagli. È arrivato il momento, vengo scoperto. Sento come un terremoto all’interno della mia tela, come se un’esplosione potentissima avesse ricostruito il mio mondo. Sento un gelo al cuore. Dall’altra parte della stanza vedo te. Non so se sia più incredibile il fatto che dopo tutti questi anni il destino ci abbia riportati uno davanti all’altro o il fatto che sei esattamente come ricordavo. Stupito dalla forza della mia memoria mi sento piangere il cuore di felicità.Ma quella felicità si trasforma in paura. Avrai memoria di me? Questa notte quando ti volterai mi riconoscerai, la tua indifferenza potrebbe distruggere ogni singola pennellata di cui sono formato. Passo la giornata a fissarti in un misto di gioia e terrore. Arriva finalmente la notte. Ti vedo sospirare, e spostare il tuo sguardo dall’alto verso il basso co espressione sconsolata. Perché quella tristezza? Stai forse anche tu cercando di ricordare me come facevo io fissando quel chiodo? Ecco… vedo che ti stai voltando. Potrei morire dall’emozione che sto provando. Il tuo sguardo finalmente incrocia il mio, quei pochi secondi sembrano secoli. E finalmente arriva quel sorriso che avevo disperatamente sperato di rivedere e di non dimenticare mai. Quello che abbiamo intorno questa volta non importa, ci siamo finalmente noi uno per l’altra, così vicini ma pur sempre separati da queste mura. Ma va bene cosi, ho capito che è meglio una vita passata solo a guardarti e godere delle tue bellezze di una vita senza te, persa nei miei ricordi.
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“Io – dice il mio dottore – devo trovarmi sempre in un luogo dove faccia la prima attrice”. Anna Bonacci, la regina del teatro che nessuno conosce. Fu messa in scena da Billy Wilder e recitata da Kim Novak, Jeanne Moreau, Gina Lollobrigida. Dialogo con Anna T. Ossani
Se ponessimo ai nostri lettori, forse anche alle compagnie teatrali, le domande: «Chi era Anna Bonacci?», «Cosa ha scritto?». O ancora: «Quante autrici teatrali italiane sono state in grado, negli anni ’50, di superare la frontiera con le loro opere?», la prima risposta sarebbe certamente: «Mai sentita nominare», e un leggero imbarazzo si noterebbe nell’interlocutore di fronte all’ultimo quesito. Eppure, questa «ignota signora del teatro» – come la definisce Anna T. Ossani, già docente di Letteratura italiana e di Letteratura teatrale italiana all’Università degli Studi di Urbino, che per prima, ristampandone (da sola o in collaborazione con altri studiosi) alcune opere, ha cercato di darle un respiro di vita, di sottrarla alla ragnatela del tempo – è autrice de L’ora della fantasia, la «più fortunata commedia italiana del dopoguerra». Interpretata in Francia al Teatro Antoine dalla magnifica Jeanne Moreau, ha prodotto, con 295 repliche consecutive, incassi da record allo stesso Teatro, ed è stata tradotta in 20 lingue e rappresentata in 23 paesi. Il successo internazionale ha favorito non solo le trasposizioni cinematografiche della commedia ad opera di Mario Camerini prima (Moglie per una notte, 1952) e poi di Billy Wilder (Kiss me stupid, 1964), ma ha dato nuova vita scenica anche agli altri precedenti lavori teatrali.
Il nome di Anna Bonacci brilla, oggi, solo nel registro delle assenze. Un oblìo vero e proprio nelle pagine della critica e in quelle della scena.
Perché? In un intervento sul teatro delle donne in Italia, Sharon Wood ha sottolineato che i testi scritti da donne sono difficili da reperire e che il lavoro delle drammaturghe è stato messo da parte da una tradizione letteraria ancora estremamente maschilista. La scena e la drammaturgia del Novecento rappresentano ancora oggi un universo maschile, che spesso dimentica l’altra metà del cielo. Nonostante, lo ricordiamo, ci siano state penne strepitose. Potrebbe essere una prima risposta.
Molte altre risposte ci vengono invece dal volume di Anna T. Ossani e Tiziana Mattioli, pubblicato nel 2014 da Raffaelli Editore di Rimini: Anna Bonacci Biografia per immagini. Un libro prezioso non solo per lo splendido apparato iconografico che lo correda, ma soprattutto per le prospettive inedite che offre per avvicinarsi alla vita e all’opera della drammaturga.
Al di là e oltre i testi, affascina l’identità trasgressiva, sfuggente, complessa della Bonacci come persona; sorprendono e fanno vivere la sua opera sul crinale tra passato e futuro i suoi temi hard, modernissimi anche nel tratteggio di una nuova figura di donna. Una precoce anticipazione dei miti della modernità si colgono non solo nell’Ora, ma in tutta la sua produzione, ed è da subito evidente, nella scrittura, il rapporto tra l’autrice e i suoi personaggi.
Se l’opera assoluta, quella che le ha dato visibilità mondiale, è L’ora della fantasia (1944) – punta dell’iceberg di una produzione in cui troviamo, oltre alle commedie, poesie, racconti, novelle, romanzi (pubblicati anche a nome del compagno, il colonnello Guglielmo Della Noce), opere già percorse da sottili e complesse ragioni freudiane, quali Le favole insidiose (1926) – stupisce da subito conoscere da quale straordinaria famiglia provenisse. Ed è su Anna Bonacci che dialoghiamo con Anna T. Ossani.
L’ora della fantasia rappresenta un unicum: enorme successo all’estero, specie in Francia, ma anche in tutta Europa e in America Latina, freddezza della critica e disattenzione del pubblico in Italia. Perché?
16 gennaio 1953. Si alza il sipario al Teatro Antoine di Parigi: va in scena L’Heure éblouissante, allestimento francese de L’ora della fantasia di Anna Bonacci. È il trionfale prologo di un successo planetario. Mentre nella capitale francese vanno in scena Eduardo, Ugo Betti e Pirandello, i parigini fanno la fila al botteghino del teatro Antoine e le entusiastiche recensioni dei quotidiani d’oltralpe registrano un consenso immediato, vivo, di pubblico e di critica. Sentiero inconsueto per chi ignorava chi fosse «questa madame Bonacci» e audace apertura di credito a una commedia rappresentata in Francia, ambientata in Inghilterra in età vittoriana, scritta in italiano da una affascinante, sconosciuta signora della penna, almeno dieci anni prima. I fili che hanno condotto a questo risultato sono intricati, complessi, ma portano a due precise e complementari direttrici di lettura e di azione. La prima. I francesi colgono da subito nella commedia un lavoro di scavo sulle emozioni e sui pensieri delle protagoniste, che lascia emergere una coscienza nuova del femminile; e, invece di disegnarne l’apparente trama sentimentale, richiamano e apprezzano i pimenti psicanalitici che fecondano la commedia, cogliendone insieme risposte ora leziose ora graffianti, ad una società che aveva bisogno di leggerezza, ma che stava anche affrontando, con forza, i temi della indipendenza femminile nel dibattito culturale. La seconda e vera ragione del successo fa leva proprio sulla trasformazione della commedia in uno spettacolo, chiarendo così il senso dell’éclat francese. Simone Berriau, allora direttrice del Teatro Antoine a Parigi, aveva capito che quella commedia di un’autrice sconosciuta – e non francese – per affermarsi sulla scena doveva essere rivestita, come sarà, «d’un plume parisienne». Ben presto, il lusinghiero giudizio sull’opera inizia a sospingere inclinazioni sciovinistiche via via amplificate, e i francesi si aggiudicano la paternità del successo dell’opera. In Italia, intanto, in un continuo andirivieni di esaltazione e rabbia, la scrittrice segue il polverone mediatico che si è sollevato; vede sottolineata anche dalla critica italiana l’importanza, per il successo planetario della commedia, dell’intervento di Henry Jeanson, il dialoghista «che ti trasforma in sciampagna un denso vino d’Algeria, in cioccolatini al liquore un piatto di patate lesse» e quello degli interpreti (tra cui una splendida, giovanissima, Jeanne Moreau). Posizione, questa, propria degli importanti cronisti del «Tempo», condivisa dai colleghi del «Corriere della sera» e avvalorata dalle note acide e stizzose del critico teatrale allora decisamente più importante, Silvio D’Amico. Per lui la Bonacci è «una esordiente», capace di ideazione, ma non di costruzione di una piéce, e la sua commedia uno sterile tentativo di pochade all’italiana risolto, come in altre sue commedie, in una «favoletta». Aspra la querelle, confermata dall’epistolario, tra la scrittrice e la severa critica italiana; contenziosi e querele che aumentano, mentre L’ora della fantasia inizia il suo trionfale viaggio nel mondo. Il testo per l’allestimento che produttori e agenti stranieri intendono seguire sarà, però, proprio quello francese, tradotto da Albert Verly, coi dialoghi di Henri Jeanson: lo spettacolo, insomma, che Simone Berriau voleva. Ma c’è di più. La non dissimulata distanza di D’Amico dalla Bonacci, di cui pure il critico aveva apprezzato, come Tilgher e Pirandello, il primo testo teatrale La casa delle Nubili (1936), è anche polemica distanza dalle posizioni teatrali di Anton Giulio Bragaglia, nume tutelare della scrittrice. Non sono solo differenze di natura teorica e ideativa sulla specificità teatrale e dunque non nascono solo dalle pur reali ragioni di tenuta scenica delle commedie della Bonacci. Nascono invece proprio da temi e stilemi che premono alle soglie e costruiscono e accompagnano l’immagine del femminile che vi si disegna, dalla graffiante rappresentazione delle smagliature morali della famiglia, della società, della politica, delle distorsioni della religione, dalla sua lucida premonizione dei miti della modernità: la bellezza, la seduzione, il successo, la mondanità, il cinismo del potere. Decisamente troppo per il cattolico D’Amico e per la esterofila critica italiana, non più costretta nei limiti di prudenza necessari di fronte al nome della famiglia da cui Anna discendeva, quello dei Mancini-Bonacci, culturalmente e politicamente tra i più influenti dello Stato italiano sin dal Risorgimento.
Anna Bonacci (1891-1981), donna di enigmatica bellezza, signora del teatro italiano
Ulteriore, non secondario tassello, per animare di nuove implicazioni una visione critica sostanzialmente bloccata, potrebbe essere dato dal rapporto tra la commedia e il clima storico culturale in cui si colloca. Scritta nei primissimi anni ’40, rappresentata all’Argentina nel ’44, poi a Venezia nel ’48 con un successo di circostanza, viene alla luce nel quadro storico di un’Italia provata prima dal fascismo e dalla guerra, culturalmente dominata poi dal neorealismo, successivamente percorsa da profonde trasformazioni politico-ideologiche ed economiche, da sperimentazioni complesse nella vita letteraria e artistica. Una situazione storica e teatrale sfavorevole: da un lato sicuramente troppo tardi, quando la drammaturgia si apre alle miserie di un quotidiano povero, squallido; quando si assiste ad un totale cambiamento del repertorio, del pubblico, dei temi, della recitazione stessa; quando i registi, nuovi signori della scena, privilegiano scelte di alta qualità costringendo spesso l’autore sotto la propria egida. Dall’altro, va in scena troppo presto in una società, quella italiana, ancora troppo attardata culturalmente, per cogliere le indubbie ragioni di modernità di una commedia che tocca la vita di coppia, la solitudine e la finzione matrimoniale, la contiguità sesso-potere, i mercanteggiamenti a fini di successo, le crepe morali insomma di un mondo che la Bonacci aveva visto prodursi già durante il Fascismo e che sono forse, ancora di più, quelle di oggi.
Hai parlato della trasformazione della commedia in un vero e proprio «spettacolo». In che senso? Qual è stata dunque la chiave del successo francese?
Parto dalle ragioni del successo francese. È stato un inaspettato «fattore X». Simone Berriau, «brillante femme de théatre», che proprio nel 1953 festeggiava i suoi primi dieci anni di direzione artistica del Teatro Antoine (dove aveva portato i più grandi autori della realtà francese, da Sartre a Bernard, a Bourdet), cercava una pièce interessante da portare in scena nel gennaio 1953. Nella sua autobiografia, Simone est comme ça, ricorda di avere avuto un coup de foudre leggendo la pièce della Bonacci (senza conoscerne l’autrice), tra le pile di manoscritti poco interessanti depositati nel suo petit bureau: il testo, a titolo L’heure éblouissante, è L’ora della fantasia nella versione francese di Albert Verly. Successo francese, prima di ogni altro (impossibile negarlo), determinato da una serie di fattori concomitanti: scelta oculata sia del cast artistico che di quello tecnico: una venticinquenne splendida, sensuale Jeanne Moreau (già nota, ma non ancora celebre, che, dopo la prima, interpreterà entrambe le parti femminili per l’improvvisa indisposizione di Suzanne Flon), Pierre Blanchar e Bernard Lancret per le parti maschili di rilievo, un grande regista della Comèdie-Française, come Fernand Ledoux. Nel cast tecnico le scenografie vennero affidate a Emile Bertin e i costumi a Pierre Balmain, mentre a un musicista come Paul Misraki, il grande compositore di origine turca che aveva composto canzoni per Edith Piaf (è suo il valzer L’amour s’en vient, l’amour sen va, cantato in modo sensuale dalla Moreau) venne chiesto anche di introdurre all’interno della commedia vari passaggi musicali. Il ruolo fondamentale lo ebbe soprattutto un abile dialoghista, una straordinaria penna del giornalismo francese, un polemista feroce di grande fama quale Henry Jeanson. È, se vogliamo, un secondo fattore X. E qui veniamo alla prima parte della tua domanda. L’apparente acquerello puritano che la Bonacci aveva disegnato, le volute capricciose di un linguaggio agrodolce che si muove tra il lezio e il graffio, tra fiaba e ironia, il fascino indiscreto dei temi, la profondità leggera, la magica leggerezza, insomma, della commedia italiana diventa, tra le sue mani, una partitura in cui suonano ben altre note. Come spesso accade nei processi traduttivi, anche Jeanson, pur lasciando invariata la struttura dell’opera e sostanzialmente anche l’intreccio, allunga la commedia di ben tre volte il testo originario, intercettando e rendendo inequivocabili, espliciti, temi e stilemi erotici e religiosi su cui la Bonacci aveva svolazzato con andamento sinuoso, alludendo e sfuggendo la gravità degli argomenti affrontati. Le battute diventano salaci ed erotiche, gli attacchi al bigottismo religioso espliciti; l’insistenza sul tema del denaro e dell’interesse personale, del «marché conclu» sono affrontati con un artiglio affilato, non con il bulino della Bonacci. Altro cartello indicatore: il linguaggio utilizzato è di una modernità forse anche eccessiva per un testo ambientato nell’Ottocento; è privato di ogni descrizione superflua, di ogni nota crepuscolare, di quelle mezze luci che si accendono per lasciare affiorare verità inconfessabili, sottraendo così all’opera la sua dimensione favolistica. Anche i personaggi, proprio perché prioritario è il tema dell’intrallazzo, dell’accordo predefinito, diventano in alcuni casi più forti e sicuri di sé (le due donne specialmente) sempre e decisamente più moderni nel rispettato gioco geometrico degli opposti. Il linguaggio è certo più aderente di quello di Anna al periodo in cui la commedia è stata messa in scena a Parigi, ma l’operazione Jeanson ha sostanzialmente privato la commedia italiana del suo fascino ambiguo, allusivo, della verità interiore che lentamente affiora nei personaggi femminili e che li porta ad essere, almeno per una notte, quello che non sono, ma che sempre avrebbero voluto essere. In proposito Bragaglia diceva che il teatro della Bonacci è «il teatro della vita non vissuta». A conferma, valgano le parole di Anna: «Occorre fare di ogni vita, anche la più insipida, un’immensa avventura… con gli splendori dell’immaginazione».
Puoi accennare alle due trasposizioni cinematografiche, cioè quella di Camerini e quella di Wilder?
Nel 1952 Mario Camerini firma la regia e – con Franco Brusati e Paolo Levi – la sceneggiatura della prima trasposizione cinematografica della commedia della Bonacci Moglie per una notte. Film discutibile e discusso (più intrigante e problematico, forse, di quanto appaia ad una prima visione) che coglie e aggrava le avvisaglie, presenti nella commedia, di un nuovo clima morale del nostro Paese. Nonostante potesse valersi di un cast straordinario: Gina Lollobrigida, Gino Cervi, Armando Francioli, Paolo Stoppa, Nadia Gray, il film fa arricciare il naso all’autrice, alla Lollobrigida e alla critica e arriva in Francia nel 1953, dopo il successo della commedia in teatro.
Una conferma ulteriore dunque per le rivendicazioni francesi in merito al successo mondiale della commedia, che, voglio ricordarlo, era stata respinta, perché giudicata scandalosa dalla Warner Bros, non adatta al puritano pubblico americano. La stessa sorte toccherà al film di Billy Wilder, Kiss me stupid (1964) derivato dalla commedia di Anna, non dunque un remake di Moglie per una notte, censurato e bollato come scandaloso in una America già kennediana. Il film è una godibile satira dell’american way of life, un attacco ai valori ipocriti della midlle class americana dove il travestimento e il mercanteggiamento a fini di denaro e di successo travolgono persone e relazioni, cancellano ogni identità nella trasformazione dei ruoli, in una vertigine dello scambio, in una continua spregiudicatezza morale. Che un regista (che ha firmato la sceneggiatura con I.A.L. Diamond) già celeberrimo per aver firmato Viale del tramonto, A qualcuno piace caldo, Gli uomini preferiscono le bionde, Sabrina, Quando la moglie è in vacanza, L’appartamento, Irma la dolce, (solo per ricordarne alcuni) citi nei titoli di testa l’opera della Bonacci forse non è cosa trascurabile. Forse a Wilder quella commedia non è sembrata solo «una torta di castagnaccio e zucchero filato» come continuava a sostenere la critica italiana. Ha colto invece ed esasperato il nocciolo duro della commedia: la messa in crisi dei fondamenti rocciosi della morale borghese, a cominciare dal matrimonio e dalla vita di coppia, fustigando i costumi americani nel loro finto perbenismo, presentando i personaggi non come desiderosi di evadere dalla loro piccola quotidianità verso il sogno, la fantasia, ma verso i lauti guadagni, verso il successo e, per ottenerlo, sono disposti anche ad affittare una prostituta che sostituisca la moglie nella svendita dell’amore coniugale. Solo Polly, la prostituta, interpretata da una sensuale e splendida Kim Novak, col suo finto diamante all’ombelico, i suoi abiti succinti, sembra salvarsi nel sarcastico annientamento di ogni valore che il film presenta. Il travestimento, l’intrigo, la beffa, tutto ciò che la Bonacci aveva derivato dalla novellistica e dalla commedia classica, assume un andamento parossistico nel film di Wilder che aveva fatto di questi stessi temi le dinamiche portanti del proprio cinema. Le allusioni, le reticenze eloquenti della commedia diventano grottesche, ridondanti parole di personaggi resi cinici, spregevoli; l’ironia leggera diventa satira condotta su un Paese come l’America che le immagini di Wilder ricostruiscono con occhio lucido e acuto, con le dolorose vibrazioni intime di «uno straniero». Un rapporto insomma di adesione e superamento del testo originario certo, come è giusto che sia, ma che colloca il regista nella scarsa schiera di coloro che ne hanno inteso, al di là di inutili etichette, non i luoghi comuni ma le note stonate rispetto ai tempi sino a concludere il film con quel «no questions» che rinnova il falso lieto fine, il senso di una recita coniugale che continua. Come la chiusa della commedia della Bonacci lasciava abilmente intendere.
A questo punto credo che tu debba rispondere a due impellenti curiosità: cosa racconta L’ora della fantasia? Quali sono le sue novità tematiche?
Partiamo dal plot. Siamo in una piccola città di una contea inglese in epoca vittoriana. Un villaggio dove le giornate si ripetono eguali, dove il tempo viene scandito dagli appuntamenti religiosi. Una realtà sociale falsa, ripetitiva, dominata dal controllo della Chiesa. Qui una moglie, Mary, perfetta incarnazione della domesticy, sposa paziente di George Sedley (megalomane musicista di parrocchia che si crede ingiustamente sottovalutato) accetta – dopo qualche tentennamento, e per favorire la carriera musicale del marito – l’imbroglio proposto dal borgomastro Taylor: uno scambio di persona e di spazi tra lei e Geraldine, la prostituta di paese. Geraldine, fingendosi Mary, dovrà adescare lo sceriffo Ronalds (noto donnaiolo) in visita nella contea e ospite dei Sedley. La sua compiacenza potrebbe aiutare (e così sarà) Sedley nella sua carriera. Nel boudoir di Geraldine, vestendo altri abiti, quelli suggeriti dalla esperta domestica della prostituta, Mary si sente diversa, si vede bella, si apre ad altra vita, ride e beve con dei mercanti che la credono una prostituta e infine consuma adulterio con lo sceriffo, sospendendo per una notte i protocolli della ragione e della recita quotidiana, per vivere liberamente un’ora di passione. In casa, intanto, Sedley, marito di Mary, si lascerà sedurre dalla dolce prostituta che sogna una vita matrimoniale, mandando al diavolo lo sceriffo in visita, che finirà per trovare nella casa di Geraldine proprio Mary, con cui vivrà una notte di passione. Tornata a casa, Mary non sarà più la piccola inconsapevole Madame Bovary del primo atto. La moglie perfetta non ha più interesse per il proprio quotidiano e risponde in maniera puntuta al marito, ignaro di quanto sia accaduto. Geraldine andrà in chiesa per sentire ancora suonare George, con grande scandalo delle bigotte di paese. L’arrivo del borgomastro, che ha ricevuto la stella a cinque punte per il servizio reso, crea una nuova inaspettata situazione teatrale: George non può resistere e nell’esaltazione del successo non sa tacere e confessa che l’intrigo non ha rispettato il copione stabilito. Sarà il campanaro a spiegare di avere visto uscire all’alba dalla casa di Geraldine lo sceriffo. Il «grazie» che Mary rivolge al borgomastro consente a lui, non al marito, di capire e la scena si chiude con la donna che guarda la cassapanca in cui conserva lo scialle regalatole dai mercanti. Oggetto da guardare per ricordare o per alimentare una nuova fantasia? E dunque, finzione che continua? A proposito dei nuclei tematici, il titolo già esplicita una tematica hard: l’ora della fantasia è il momento di una vera trasgressione, della sospensione di ogni etica normativa per soddisfare inconsci desideri: «vivre son rêve». Non è più solo «il gioco dell’equivoco e dell’impreveduto» che tesse le fila delle commedie di De Benedetti. Qui, una situazione out low, viene vissuta come naturale. Fantasia e trasgressione, regole e ordine sono di nuovo a confronto, come sempre negli scritti di Anna, ma la commedia non è da leggere secondo un’ottica di gender (neppure nella sua versione emancipazionista); non si notano intenzioni pedagogiche rivolte a consacrare il ruolo femminile entro la famiglia; non si difendono diritti della donna oppressa. Non esistono intenti pedagogici o personaggi donna positivi da romanzo rosa; i luoghi comuni del teatro borghese poi, perdono la loro realtà formulare, la loro liturgia per diventare operativamente concreti: non silfide né vampira, non portatrice di un eros meduseo, ma creatura ritornata di carne, complessa, composita, non più pirandellianamente donna mediterranea, divisa tra i ruoli di madre o moglie o amante, ma una donna di virtuosa amoralità, che compie adulterio senza alcun senso di colpa. La novità del tema non sta solo nell’adulterio effettivamente vissuto (modernità stridula per tempi in cui l’adulterio era, doveva essere, esclusiva prerogativa del genere maschile), ma anche nella conclusione, non troppo mimetizzata, di una pièce nella quale i personaggi non trovano una nuova identità, ma una nuova finzione. In un impasto di salsa piccante e miele, si costruisce non un triangolo, ma un perfetto quadrilatero che vede realizzarsi per un’ora di fantasia alternative di vita possibili per due donne, quelle alternative che entrambe sognano: due donne con ruolo e status opposti si scambiano le parti e sembrano trovarsi benissimo fino al limite, poco dissimulato, per nulla scosso dal dubbio, che la donna sia anche un corpo che si affitta. Viene colpita al cuore l’etica del sacrificio, della rinuncia, l’istituzione matrimoniale stessa; emergono le crepe morali di una società, quella vittoriana che ha molte consonanze con quella dell’Italia fascista. L’escamotage di affidare poi ad una serva una puntuta silloge del matrimonio è, da parte dell’autrice, prudenziale, ma evidente comprensione di una precisa situazione storico-culturale, in cui non era facile sostenere certe tesi: «Io penso che il matrimonio unisca malinconicamente per tutta la vita due persone che avrebbero passato insieme qualche settimana deliziosa». Nuclei ideativi decisamente eccentrici, e precoci per una donna (come l’immaginario erotico mostrato in una quotidianità di situazione), si accompagnano a note molieriane sul matrimonio come infinita serie di tradimenti mentali e si intrecciano a qualche considerazione cechoviana sulla solitudine che in esso si vive; resta, è giusto rimarcarlo, un alone favolistico sentimentale quando le due protagoniste, in situazioni inconsuete, raccontano sogni e desideri che ancora una volta rimandano a un amore ideale, ad un principe azzurro che continua a vivere nella loro fantasia. Talora, però, un’ironia ariosa apre, con lo sguardo dell’immaginazione, spazi altri, non percorsi dal mondo femminile contemporaneo alla Bonacci. E allora l’ironia, come si sa, musa dei contrari, confonde le gerarchie, sovverte i valori in un teatro labile come un sogno, ma con contrappesi di piombo.
Chi era, in definitiva, Anna Bonacci?
Ritengo che per cogliere il sottile, complesso intreccio tra opera e diagramma biografico sia possibile partire a due luoghi geografici che diversamente segnano il destino e il profilo di Anna Bonacci: Roma e Falconara. La villa di Falconara, «la casetta stracciona» dove non voleva vivere, è stata per lunghi anni solo il soggiorno estivo della sua famiglia, prima di essere la sua dimora definitiva nei tristi anni della vecchiaia. Casetta stracciona certo, ma solo se messa a confronto a Palazzo Borghese, dove era nata, nel 1892, ultima dei sette figli del senatore jesino Teodorico Bonacci (allora ministro di Grazia e Giustizia nel Gabinetto Giolitti), e nipote, per linea materna, di uno straordinario giurista e uomo politico (nei difficili anni vissuti dal Paese prima e dopo la l’unità d’Italia), come Pasquale Stanislao Mancini e Laura Beatrice Oliva («la poetessa del Risorgimento»). Scoprire l’importanza storico-politica e culturale della famiglia cui apparteneva, non è stato solo l’aver reperito un dato sconosciuto della sua biografia: quello era l’elemento nucleare di un percorso conflittuale, di ribellione verso la struttura soffocante della famiglia, verso la severa educazione impartitale, verso le regole dell’ipocrisia, verso tutto ciò insomma che le aveva provocato laceranti sensi di colpa. Era anche, però, matrice di opposte espansioni letterarie e comportamentali; era anche possibilità di capire che il suo corredo di intelligenza, avvenenza e charme, aveva bisogno della scena pubblica, dei fasti della vita romana: «Io – dice il mio dottore – devo trovarmi sempre in un luogo dove faccia la prima attrice». L’agorafobia conseguente alla nevrosi ipocondriaca che aveva caratterizzato gli anni giovanili si rovescia, a metà degli anni Venti, in volontà di ostentare la propria bellezza, di esercitare con alterigia il suo fascino regale e voluttuoso, la propria vanità, recitando – nei luoghi più elitari della capitale – il nuovo personaggio che ha costruito di sé. Recita, appunto. Inaccettabile, dunque, la proposta di Lydia, la sorella maggiore, di andare a vivere a Falconara, tra gente che considera rozza e provinciale quando, dopo la morte dei genitori, il benessere economico della famiglia si è assottigliato a un punto tale che non sono più in grado di sostenere lo status e i costi della vita romana. Sarebbe stato un mondo di sole donne (se si esclude Attilio, un «ducetto» inattivo che morirà nel 1935), e, di nuovo, una famiglia; Giuliano, corrispondente di guerra del «Corriere della sera» era morto in guerra nel 1917, e Filippo continuava la professione paterna a Roma. E a Roma continuerà a vivere, in pensioni, in case in affitto, a fare vita mondana nella capitale, scrivendo ogni giorno lettere alle sorelle (spesso per chiedere «prestiti»), ma inviandole separatamente a ciascuna di loro. Prova, anch’essa, di un legame tormentato (un legame da cui non riesce però almeno formalmente, se non sentimentalmente a sbarazzarsi ); un amore-odio che giustifica sia il rifiuto di vivere a Falconara, sia quello di non volere mai possedere una casa (costringendosi a vivere, ospite di lusso, in pensioni di lusso, in camere d’albergo, lamentandosi continuamente del loro non essere consone alle sue esigenze), perché quella eventuale stabilità avrebbe consumato ogni possibilità immaginativa, ogni possibilità di pensarsi altrove, nei sentimenti e nei luoghi, di derogare al prevedibile, al conforme. Ribelle, testarda, altera, contro sin da bambina. Irrisolti complessi psichici si manifesteranno, nella adolescenza e nella prima giovinezza, con i sintomi di quella nevrosi ipocondriaca di cui soffrirà in modo più o meno pesante tutta la vita. Disturbi nervosi alimentati da conflitti intimi tra regola e trasgressione, virtù e vizio, piacere e dovere, impulsi sessuali e ideali, desiderio e rinuncia che la porteranno a sperimentare, con primi grandi psicologi italiani, l’analisi freudiana, a vivere la scrittura come terapia e autoanalisi, modo per conoscersi. Quando, nel 1926, diventa un personaggio pubblico, con la pubblicazione a firma Igor Velasco (una firma maschile, dunque) de Le favole insidiose, la sua irregolare e dunque ancor più seduttiva bellezza, la sua vasta e disordinata curiosità culturale, la sua eleganza vistosa, sembrano rovesciare l’immagine di quella giovane angosciata in quella di un essere trasgressivo, seducente, affermando e fermando sulla pagina l’immagine di una nuova donna che traveste con una nuova identità, le proprie paure. E le favole, il suo viaggio verso l’inconscio, condotto attraverso una rilettura capovolta di sei fiabe di Perroult, sono splendida sceneggiatura di meccanismi psichici, sono la scoperta di un Sé plurale in una già presente drammaturgia dell’anima, in un teatro insomma. Se i circoli letterari ed esoterici più esclusivi di Roma non tarderanno a chiamarla «la poetessa della psicanalisi» ammaliati da tanta avvenenza e da tanta risoluta e coraggiosa impudenza, quel mondo, ancora dorato, favorirà il suo passaggio alla scrittura per il teatro. Una scelta che vale anche come ulteriore sfida: misurarsi dopo diari, racconti, novelle, poesie, romanzi (talora a firma del compagno Della Noce; opere che le danno utile economico, ma scarsa notorietà), con un genere codificato al maschile, dove la creatività femminile riceveva scarse attenzioni. Il rifiuto di vivere a Falconara, come quello di avere una casa propria, è anche rifiuto del matrimonio con Guglielmo della Noce («valeriana degli uomini», secondo la ironica definizione di Bragaglia), l’uomo che le è stato accanto tutto tutta la vita sopportandone le bizze, gli umori instabili, i tradimenti forse, o forse solo la civetteria e il bisogno di immaginare schiere di amanti ai suoi piedi. Della Noce era un colonnello dell’aviazione fascista con incarichi importanti nel Ministero della Cultura e propaganda e, come responsabile dell’Ufficio Editoriale aereonautico, dirigeva giornali di settore come «Le vie dell’aria», «L’aquilone», in cui aveva pubblicato, a proprio nome, racconti e novelle di Anna. Un amore nato da una possibile avventura diventa una relazione lunga una vita: per lei abbandona moglie (di un importante casato) e figli con conseguenze non secondarie sul piano economico e lavorativo; per lei quell’uomo diventa padre, fratello, amico, amante, agente. Un amore che favorisce incontri e pubblicazioni, la mette in contatto con gli uomini di cultura e di teatro, l’accompagna ovunque anche quando, con il successo francese tutto cambia. Certo successo, certo guadagni, ma anche crescenti preoccupazioni per le modifiche che le sue opere ora in scena subiscono nelle traduzioni, per le assillanti richieste degli impresari, mentre la scrittura, pur praticata ogni giorno, rivela un’immaginazione sempre più portata ad inseguire trame favolistiche o mostra un riuso manieristico, superficiale dei propri materiali, anche quando prova ad osservare un costume cambiato. Ancora una volta, per arrivare ad un’altra opera di respiro, occorre che Anna sondi di nuovo la propria condizione autobiografica. La lente di ingrandimento si fissa allora su un personaggio anziano, cogliendo i tormenti della sua senilità giunta alla resa dei conti. È il 1957. Rina Franchetti interpreta ai Satiri Il crepuscolo. L’incontro del soggetto con se stesso è arrivato ad una dolorosa sensazione di fine. Il personaggio donna che aveva incarnato tra vanità ed estetismi incontra i dolorosi tormenti di una senilità giunta alla resa dei conti. Ma anche qui scardina orizzonti d’attesa stabiliti quando si parla di vecchiaia: essa non è per lei stanca serenità, saggezza, ma scacco, tragica consapevolezza di un nulla che si è attraversato nell’attesa, inutile diagramma di un’avventura umana costellata di rinunce. La vecchiaia selvaggia che qui si disegna non è correzione della vita, ma tragedia del non essere che attiva il desiderio nel disperato tentativo di dare senso al vissuto e di resistere all’impietosa invadenza del tempo. L’ossessione quasi feticistica di conservare tutto della sua quotidianità, non solo del proprio lavoro – così che accanto ad appunti, manoscritti, lunghe liste di aforismi, è possibile rinvenire liste della spesa o conti della sarta – lascia ora spazio alla furia ablativa con cui cancella date e ogni possibilità di datazione da lettere, cartoline, opere e corregge a penna le fotografie che potevano rivelare la corruzione che il tempo aveva esercitato sulla bellezza. Il mondo di Anna si sta già chiudendo: possono allora risuonare nei testi dell’ultima stagione creativa le parole degli amati scrittori libertini del ’600: le Lettere sulla vecchiaia di Ninon de Lenclos, i motti di Saint Évremond, riassunti da un aforisma di La Rochefoucauld: «L’inferno delle donne è la vecchiaia». Per lei lo è stato. A Falconara. A Falconara, dove ancora aveva tentato di sorprendere i falconaresi con pose trasgressive, con vestiti ridicoli per la sua età, recitando ancora la parte della donna seducente sino all’ictus che, nel 1976, devasta il suo corpo e la sua mente, sino alla morte nell’ospedale di Ancona nel 1981.
Parlaci del rapporto tra la scrittrice e i suoi personaggi…
Per rispondere alla domanda, isolerò solo qualche spunto, riferendomi ad alcune opere. Un dato certo: per Anna Bonacci la scrittura è stata sempre una sorta di laboratorio di identità, un ossessivo grumo interiore che diventa nucleo generativo della sua immaginazione. Un groviglio in cui coesistono la tentazione alla ribellione e al piacere sensuale; la tendenza ad isolarsi nei piaceri della fantasia e/o macerarsi per i sensi di colpa; una oltranza e una rinuncia in un narcisismo sfrenato che accoglie ora l’una ora l’altra tendenza o le raffigura contrapposte nella pagina. Sin dal primo trasgressivo personaggio de La «Cortigiana del sogno», «la prostituta dell’ideale», affiora, nelle inedite giovanili Poesie, il pendolarismo tra sé e altro da sé, tra eros e amore ideale; e la scrittura mostra già i segni di un’assenza, di un appagamento sempre rinviato: s’avverte, in una artificiosa e insieme significativa ricerca, la malattia di un’anima che ha paura di se stessa, e dei propri istinti.
Muoversi nel labirinto dell’inconscio, riflettere su Eros, Desiderio e rinuncia, virtù e vizio, viaggiare in modo allucinato nella drammaturgia della psiche è la scelta che presiede, s’è detto, a Le favole insidiose. I personaggi di queste fiabe sono crudeli e perversi, toccano elementi autobiografici di patologia amorosa spesso percorsa da note aggressive, tormentata da ossessioni mistiche. L’opera mette a nudo i meccanismi psichici che dominano l’agire umano: sesso, arrivismo, sadismo, complessi edipici e bisogno di fuga nel sogno. Conoscersi, se non dominarsi, è anche la via per una nuova sfida verso un mondo autoriale decisamente maschile, per soddisfare la propria vanità, per il narcisistico piacere di diventare un grande personaggio pubblico. La consapevolezza acquisita che può attraversare il proprio caos e portarne alla luce alcune riflessioni, proiettando nei personaggi specchiate immagini di un sé plurale, diventa elemento mediatore tra il teatro dell’analisi proprio delle Favole e il vero teatro, portando ad una nuova nascita che è anche nascita di una nuova scrittura teatrale. I plot saranno strutturati proprio su una dinamica oppositiva, contraddittoria di temi e personaggi, dei loro nomi, dei loro spazi, delle categorie grammaticali stesse che vi presiedono, sino a mostrare il rapporto di scambio tra due realtà, in cui l’una camuffa l’altra, in una drammaturgia che non ha più come setting il teatro borghese, ma la dimessa realtà del quotidiano colta in ambienti domestici. Non solo. Ho già accennato al primo testo teatrale, La casa delle nubili. La commedia affronta un tema, il nubilato, da una prospettiva scomoda, quella stessa dell’io che scrive (Anna nel 1936 ha 44 anni ed è nubile), dove il grande tema di eros, tragicamente affrontato ne Le Favole insidiose, diventa galateo mondano che irride la virtù (che «è tale finché non è stata messa alla prova») e inneggia al piacere. Se «solo nell’immaginazione è la purezza dell’innocenza», il personaggio della Bonacci vive nell’interstizio tra realtà e immaginazione, tra vero e falso, bene e male, eros e amore ideale, rincorrendo sempre l’infinito piacere della mente, interpretando, come attore, il teatro delle passioni. L’autore – l’autrice – come Don Chisciotte (ed stata disattesa dalla critica anche l’audacia quasi presuntuosa e programmatica di Incontro alla locanda, testo del 1942, dove faceva incontrare in una locanda spagnola del milleseicento due miti dell’immaginario come Don Giovanni e Don Chisciotte) vive di sogni, di deliri immaginativi, corteggia la realtà, ma volontariamente sceglie la misura chimerica di un teatro leggero come una favola, labile come un sogno. Ne L’ora della fantasia le istanze programmatiche di Incontro alla locanda si compongono in una scrittura in cui le parole le parole danzano leggere e ironiche, smontando la solo apparente earnestess di quella società dalla falsa morale, ridicolizzando insieme smanie sessuali e ipocrisie, cinismo e vanagloria dei personaggi maschili. Proprio perché i suoi personaggi sono sempre modelli proiettivi di parti nascoste del sé, gioco continuo di maschera e identità, maschere di un sé che dice e non è detto, orme metamorfiche di un io capace di mettere a fuoco una dinamica psichica che si sdoppia tra simulazione e verità, tra luce e tenebre, tra esaltazione e angoscia, voci insomma di un solo vero personaggio nato da una drammaturgia interiore mossa dalla libido, non deve sorprendere l’apparente decantazione nella Casa delle nubili, come ne L’ora, del groviglio emotivo che presiedeva la sua scrittura, né la presenza nella commedia di maggior successo, di due personaggi di donna che felicemente si scambiano le parti. É un’istanza progettante nella quale, come nell’inconscio, i contrari possono convivere, a consentire il nuovo alfabeto dell’immaginario che qui la Bonacci inventa. Inventa recuperando temi e strutture di un ricco patrimonio culturale velocemente assimilato e reso proprio. Non deve sorprendere, altresì, se pochi anni dopo la apparente leggerezza de L’ora della fantasia Anna scriva Il giudizio universale (1950). «Ritratto di famiglia in un interno», Il giudizio universale è la versione rovesciata, tragicamente negativa de L’ora della fantasia. Una commedia del 1950 (che Cesare Vico Lodovici trasforma in un libretto d’opera musicato da Vieri Tosatti e rappresentato alla Scala nella primavera del ’55), che lascia trasparire – in una apocalittica sensazione di fine – un’umanità ipocrita e disonesta; una commedia nella quale l’ironia si fa sarcasmo, il desiderio diventa vizio della mente e dei sensi, il dialogo tra gli stessi membri di una famiglia, vomito di parole ingiuriose.
In una produzione che copre circa cinquant’anni (1926-1977, data, quest’ultima, dell’ultima opera, Una strana ordinazione) la vena creativa sembra esaurirsi già all’altezza della fama internazionale de L’ora della fantasia, quasi per un appagato, soddisfatto narcisismo. Il successo, giunto in età matura, è stata forse causa non ultima della mancata ricerca da parte dell’autrice di nuove tematiche e di nuove sollecitazioni culturali. Nelle opere della vecchiaia, ancora manieristicamente rivivono, nel delirio dell’immaginazione, gli abissi dell’essere in un quotidiano che ora lascia risuonare note scivolose che deformano stati interiori, e con volute ora oblique, ora elusive, mostrano crepe, grinze, falle di un’esistenza mancata. Trascuro molte altre commedie posteriori di minor impatto, che spesso rappresentano la versione senile di opere giovanili, quando l’incontro del soggetto con se stesso è giunto ad una dolorosa sensazione di fine. Fine dell’attesa e attesa della fine. La scrittura non è più leggera, ma manieristica, si attorciglia su se stessa e l’aggiornamento dei temi diventa quasi una rimasticatura. Al di là, dunque, di facili sociologismi e di altrettanto facili automatismi interpretativi, le commedie rivelano l’eccentrico coraggio di una donna alla ricerca di se stessa, capace di mettersi in scena attraverso tematiche rischiose, con un sorriso ora sentimentale, ora sardonico, ora tragico, sostanzialmente incapace di vivere la dimensione della realtà: una sostanziale «manque-á être».
Alessandro Carli
*In copertina: una immagine da “Kiss me Stupid” di Billy Wilder (1964)
L'articolo “Io – dice il mio dottore – devo trovarmi sempre in un luogo dove faccia la prima attrice”. Anna Bonacci, la regina del teatro che nessuno conosce. Fu messa in scena da Billy Wilder e recitata da Kim Novak, Jeanne Moreau, Gina Lollobrigida. Dialogo con Anna T. Ossani proviene da Pangea.
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