#bambini a carico
Explore tagged Tumblr posts
Text
#bakfiets#vrachtfiets#Lastenrad#cargofiets#cargo bike#Lastenfahrrad#vélo cargo#ladcykel#lastcykel#bicicleta de carga#bici da carico#lastbilar#lastesykkel#godssykkel#rahtipyörä#farmhjól#kinderen op de fiets#kids on bicycles#enfants à vélo#Kinder auf Fahrrädern#børn på cykler#barn på cyklar#barn på sykkel#bambini in bicicletta#bambini in bici#niños en bicicleta#niños en bici#crianças em bicicletas#fietsen#cycling
8 notes
·
View notes
Text
In montagna di solito carico la legna in una piazzola vicino a una casa sperduta nel nulla, in questa casa ci abita una bambina di 6 anni che mi viene a trovare ogni volta che sono li, me la vedo arrivare di corsa col suo cane che la precede sempre sorridente e serena, è una bambina molto intelligente, di solito non ho un buon rapporto con i bambini e sono spesso a disagio, ma lei ha qualcosa di diverso è come parlare con un adulto spensierato e senza filtri di nessun genere, parliamo di tutto mentre carico la legna, mi racconta del suo cane, dei suoi pesci nell'acquario, dei pappagalli, di quello che mangerà a pranzo di quello che le piace e di quello che non le piace e io le racconto delle mie tartarughe dei gatti delle galline e tante altre cose. La mamma spesso la controlla con la coda dell'occhio mentre stende i panni in terrazza e quando guardo verso di lei mi saluta con la mano e la chiama: "Martinaaaaaaa lascia stare Giulio che ha da fareeeeeeeeee". Io la saluto a mia volta con la mano e gli dico "non ti preoccupare mi fa compagniaaaaaaaaa" di solito quando ho finito di caricare o se devo fare qualche manovra pericolosa la riporto a casa, mi da la mano appena le dico "dai ti accompagno a casa che ho finito" e ci facciamo questi 30 metri a piedi con il cane che ci gira intorno come una trottola. Oggi ero parecchio nervoso e scazzato stavo facendo i conti delle pesate e la penna mi scriveva a tratti, così smadonnavo sbattendo la penna sul volante e non mi sono reso conto che Martina era lì a osservarmi, quando ho alzato gli occhi me la sono vista che mi fissava con aria preoccupa , e subito mi dice: sei arrabbiato oggi? E io gli dico, un po' non mi scrive manco la penna.... a queste parole è scattata via a casa, non gli ho dato peso e ho continuato a smadonnare con i miei conti, ma dopo 5 minuti rieccola qui con una penna, mi guarda, mi fa uno scarabocchio sul foglio e mi dice, te la regalo, questa scrive bene così non ti arrabbi più.
382 notes
·
View notes
Text
Sette di Spade
"Io sono qui per te"
Questa fase di profondo rilascio che stiamo vivendo ci racconta di quanto sia stato duro "interpretare ruoli e funzioni" che limitavano la nostra autentica spinta vitale.
I Patti Antichi, le Eredità Traumatiche, le Alleanze Familiari, ci legavano ad automatismi severi ed inflessibili. Non era possibile scollegarsi al sistema di interdipendenze.
Tutto chiedeva salvezza. Tutto voleva essere guarito e integrato.
Da bambini non avremmo potuto sottrarci in alcun modo al "massacro". Nemmeno se avessimo "visto prima". Nemmeno se ci fossimo impegnati con sangue e sudore a risolvere.
Eravamo "piccoli". Con addosso pesi troppo grandi.
Ma oggi non lo siamo più. Non siamo più "indifesi".
Possiamo aiutarci a guarire.
Con dedizione, pazienza e azione partecipata.
Il Tempo è una variabile fondamentale nelle guarigioni umane. Variabile alla quale non ci si può sottrarre.
Il Corpo necessita di uno spazio di ricomposizione della Ferita. Va assecondato, incoraggiato ad adempiere il suo Destino, riconosciuto nella sua infinita saggezza risolutiva.
Il Corpo sa. Parla, si esprime, sente.
Rimane "bambino" per sempre.
Non viene intaccato dalle nostre nefandezze.
I suoi ancestrali automatismi di guarigione sono impressi da sempre nella nostra struttura base. Si ereditano. Tanto quanto i traumi.
Se posso ammalarmi, allora posso anche guarire.
Se posso far entrare così in profondità le emozioni, posso altrettanto lasciarle andare con la stessa intensità sensoriale e psichica.
Le dipendenze, le malattie del corpo e della mente, i comportamenti disfunzionali, sono "risposte adattive".
Sono soluzioni che non abbiamo "inventato noi". Preesistevano alla nostra incarnazione.
Sono "difese di sopravvivenza apprese". Sono state vitali per difenderci quando tutto era "troppo" e "troppo sbagliato".
Ma allo stesso modo in cui noi "non siamo il nostro trauma", così noi "non siamo la nostra compensazione", noi non siamo il nostro comportamento adattivo, noi non siamo la nostra disabilità.
Il Corpo non compensa. Non è il suo compito. Il Corpo vorrebbe risolvere.
Se non trova strada aperta per la guarigione, sviluppa sistemi adattivi. Il suo compito è mantenerci in Vita.
Se fossimo consapevoli e partecipassimo alla meravigliosa esperienza della guarigione emotiva e fisica, se ci concedessimo di esplorare e ripristinare lo "schema originale" di funzionamento, ne saremmo spaventati.
Troppa bellezza. Troppo potere. Troppa responsabilità. Troppa Luce.
Non potremmo più accettare situazioni di compromesso, mancanze di rispetto, relazioni squilibrate, ruoli di salvatori o di vittime, invisibilità, impotenza, umiliazione, povertà.
Non potremmo più attribuire colpe all'esterno. Al carnefice di turno. All'aguzzino che abbiamo assoldato noi per confermare il nostro tanto affezionato ruolo di "martirio".
Dovremmo "risplendere".
E smetterla di rubare energia all'Altro, di incolparlo della nostra "non scelta".
Siamo noi che abbiamo aderito al ruolo. Siamo noi che ancora oggi lo "foraggiamo" di Energia. E noi dobbiamo portarlo a chiusura.
Non è l'Altro che "deve cambiare". Siamo noi che non ci sentiamo più confortevoli nelle dinamiche di disfunzione dell'Antica eredità traumatica e vogliamo rinascere a noi stessi.
Perciò noi dobbiamo muoverci nella Direzione che sentiamo accendersi dentro.
Non chiediamo all'Altro di facilitarci la strada, di benedirci, di assecondare la nostra trasformazione o la nostra "partenza".
Chiediamo a noi stessi di essere i più fervidi sostenitori del nostro straordinario processo di trasmutazione.
L'Altro non vuole, non può, non riesce a cambiare?
Va ascoltato, compreso. Ma non "preso in carico".
Se dobbiamo spostarci, spostiamoci da dove non c'è più nulla da dire o da fare. Non restiamo complici di un sistema che non cambia, che non si riconosce alcuna responsabilità, che non vuole o non può crescere.
C'è tanta gente che sta tanto tanto male intorno a noi.
Spesso non se ne accorge nemmeno. Non si problematizza.
A volte non può.
A volte invece non vuole. Troppa fatica affrontare. Troppo dolore dentro. Troppa paura di frantumarsi.
Spesso è la stessa struttura psichica ed emotiva ad impedire a priori di vedere o di sentire la disfunzione e il blocco emotivo.
Il male dei nostri Tempi sono i "disturbi di personalità" e le "patologie psichiatriche".
Essi rappresentano, a livello endemico e diffuso, la cristallizzazione pressoché definitiva di schemi di auto-distruttività, di violenza, di abuso etero o auto-inflitto.
Nell'individuo malato è il "corpus emotivo e psichico" che non ce la fa più a reggere l'eredità traumatica ed il carico ad essa conseguente.
Non si può fare nulla.
E' tardi.
Esistono professionisti per questo.
Impariamo a riconoscere, sentire ed ammettere ciò che "non può essere cambiato" e distinguerlo da ciò che invece ha una reale possibilità e volontà di trasformazione.
E' sano prenderne coscienza. E' giusto. Anche se fa male.
Non possiamo soccombere alla resa dell'Altro. Non possiamo sostituirci al suo dolore, alla sua scelta di "non vivere", all'impotenza, alla rabbia.
Possiamo solo operare scelte di salute per noi stessi.
Lavorare sul nostro prezioso sistema emozionale. Prendercene carico. E allontanarci da ciò che lo ferisce e lo annienta.
Questo è ciò che ci dobbiamo.
Dobbiamo ripetere al nostro Corpo sensibile e sensitivo innumerevoli volte al giorno: "Io sono qui per te".
Noi ci siamo per noi stessi.
Ora sì. Siamo presenti.
Non stiamo andando via. Non scappiamo più. Non ci nascondiamo dietro ai ruoli antichi. Non ci abbandoniamo.
Siamo qui. Fermi. Composti e risoluti. Amorevoli.
Pronti ad abbracciarci. Pronti a incoraggiare i nostri passi.
Pronti a trasmutare nel nuovo "schema".
Oggi ripetiamo più volte a noi stessi con amore e risolutezza: "Io sono qui per te. E non andrò più via".
Mirtilla Esmeralda
7 notes
·
View notes
Text
Dedicato alle capre antisemite.
LA VERITA' SUGLI EBREI IN ERETZ ISRAEL, O PALESTINA
Di Indro Montanelli
Nel 1876, assai prima dunque della nascita del sionismo, vivevano a Gerusalemme 25.000 persone, delle quali 12.000, quasi la metà, erano ebrei, 7500 musulmani e 5500 cristiani. Nel 1905 gli abitanti erano saliti a 60.000. Di questi 40.000 erano ebrei, 7000 musulmani e 13.000 cristiani. Nel 1931 su 90.000 abitanti, gli ebrei erano 51.000, i musulmani 20.000 e i cristiani 19.000. Nel 1948, alla vigilia della nascita dello Stato ebraico, la popolazione di Gerusalemme era quasi raddoppiata: 165.000 persone, di cui 100.000 ebrei, 40.000 musulmani e 25.000 cristiani. La presenza ebraica a Gerusalemme ha sempre costituito il nucleo etnico numericamente più forte. Di nessun altro popolo Gerusalemme è mai stata capitale. E’ quindi una leggenda l’affermazione che gli ebrei siano stati assenti da Gerusalemme per quasi venti secoli o che costituissero una insignificante percentuale della popolazione.
Prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, il nazismo in Germania già perseguitava i suoi 500.000 cittadini ebrei. Le disperate richieste di quegli ebrei di essere accolti nei paesi democratici al fine di evitare quello che già si profilava chiaramente come il loro tragico destino, vennero respinte.
Nel luglio 1938, i rappresentanti di trentuno paesi democratici s’incontrarono a Evian, in Francia, per decidere la risposta da dare agli ebrei tedeschi. Ebbene, nel corso di quella Conferenza, la risposta fu che nessuno poteva e voleva farsi carico di tanti profughi. Dal canto suo la Gran Bretagna, potenza mandataria della Palestina, venendo meno al solenne impegno assunto verso gli ebrei nel 1917 di creare una National Home ebraica in Palestina, nel 1939 chiudeva la porta proprio agli ebrei con il suo Libro Bianco, nel vano tentativo d’ingraziarsi gli arabi.
E’ stata questa doppia chiusura a condannare a morte prima gli ebrei tedeschi e poi, via via che la Germania nazista occupava l’Europa, gli ebrei austriaci, cechi, polacchi, francesi, russi, italiani, e così via. Il costo per gli ebrei d’Europa, che contavano allora una popolazione di dieci milioni, fu di sei milioni di assassinati, inclusi un milione e mezzo di bambini. Appena finita la seconda guerra mondiale i 5/600.000 ebrei superstiti, in massima parte originari dell’Europa orientale, si trovarono senza più famiglia, senza amici, senza casa, senza poter rientrare nei loro paesi, dove l’antisemitismo divampava (in Polonia ci furono sanguinosi pogrom persino dopo la guerra, e nell’Unione Sovietica Stalin dava l’avvio a una feroce campagna antiebraica).
Tra il 1945 e il 1948 nessun paese occidentale, Gran Bretagna e Stati Uniti in testa, volle accogliere neanche uno di quel mezzo milione di ebrei “displaced persons”, come venivano definiti dalla burocrazia alleata. La Palestina, malgrado la Gran Bretagna e il suo Libro Bianco, sempre in vigore anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, non fu quindi una scelta, ma l’unica speranza, cioè quella del “ritorno” a una patria, all’antica patria, una patria dove da tempo si era già formata una infrastruttura ebraica.
Nel passato la vita degli ebrei nei paesi islamici e negli stessi paesi arabi è stata nell’insieme sopportabile. Di serie B, ma sopportabile. Gli arabi hanno incominciato a sviluppare in Palestina un odio “politico” nei confronti degli ebrei pochi anni dopo l’inizio, nel 1920, del Mandato britannico. L’odio, sapientemente fomentato dai capi arabi, primo tra i quali il Gran Muftì di Gerusalemme (che durante la seconda guerra mondiale avrebbe raccolto volontari per formare una divisione SS araba andata poi a combattere a fianco dei tedeschi contro l’Unione Sovietica), doveva culminare, dopo molti altri gravi fatti di sangue antiebraici, nella strage perpetrata a Hebron nel 1928 contro l’inerme, antica comunità religiosa ebraica.
Chiunque abbia viaggiato e vissuto nei paesi arabi durante le guerre del 1947-1973, sa che l’intera coalizione araba (Egitto, Siria, Iraq e Giordania) con il sostegno dei paesi arabi moderati, avevano un solo scopo che non veniva tenuto celato: il compito non era dare una patria ai palestinesi. Era cancellare ed annientare lo Stato di Israele. Le tragiche vicende che hanno successivamente tormentato il popolo palestinese sono state sempre per mano araba. Due i fatti impossibili da dimenticare: lo sterminio dei palestinesi in Giordania per mano di re Hussein e delle sue artiglierie, dove, solo il primo giorno del terribile “Settembre Nero” si contarono 5.000 morti; le stragi nel Libano, dove i palestinesi sono stati assediati ed attaccati, distrutti e costretti alla fuga dai miliziani sciiti di “Amal” e dai siriani.
Così scriveva Montanelli: “Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c’è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d’Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l’odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell’altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso.”
(Dal «Corriere della Sera», Indro Montanelli, 16 settembre 1972).
34 notes
·
View notes
Text
IL CASO UMANO
.
Si scopre che, in realtà, Chiara Ferragni vende la sua immagine e non certo per beneficienza.
Sono le aziende che a prescindere dalla Ferragni, devolvono una piccolissima cifra a enti di beneficienza (come ospedali pediatrici o istituti di ricerca) .
Insomma due truffe, in un colpo solo, alle spalle dell'ingenuo acquirente del prodotto !!!
Complimentoni alle mercenarie che si vendono l'immagine e l'anima, pur di non lavorare, e per giunta, finiscono per chiamare questa bella attività, incentrata sull'inganno (e diciamocela tutta: griffare un prodotto, scrivendoci il proprio nome sopra, non è un servizio aggiuntivo che aumenta il valore del prodotto!) e sulla credulità popolare
fare l'influencer !
O ancora peggio, essere imprenditrice di se stessa...
E allora fra una zingara che borseggia, chi sale sul tram, e la Ferragni che differenza c'è?
Chiediamocelo!
Se poi, lo stesso giochetto viene replicato, in modo sistematico, sulle uova di Pasqua presentate in collaborazione con Dolci Preziosi, a febbraio 2021 e a febbraio 2022, significa che la zingarella Chiara c'ha davvero preso gusto.
Truffatrice seriale. Altro che scuse!
Ma quale errore!? Quale distrazione o svista!
Se ingannare la gente e la fiducia delle persone, è il nocciolo della tua attività, non vedo errori, bensì perfidia.
Ripetuta, metodica e scientifica.
Nient'altro da aggiungere!
👎👎👎
Dopo gli iniziali sospetti e l’inchiesta da parte dell’Autorità garante della comunicazione del mercato, l’Antitrust, partita da una dettagliatissima denuncia presentata dal Codacons - associazione a difesa dei consumatori, la multa di 1,4 mln di euro a carico di Chiara Ferragni, infine è arrivata.
Secondo l’Antitrust infatti la campagna pubblicitaria “Pandoro Pink Christmas” di Balocco, in collaborazione con Chiara Ferragni, è stata presentata come un iniziativa di beneficenza per l’ospedale Regina Margherita di Torino. Secondo i diretti interessati si tratta di un “errore di comunicazione”, in particolar modo da parte della pseudo-imprenditrice italiana, mentre secondo l’Antitrust si tratta di un' autentica truffa aggravata, attraverso una specifica campagna pubblicitaria che induceva a credere che il prezzo di vendita gonfiato contribuisse alla donazione di beneficenza all’ospedale. In realtà l’ammontare della donazione era stato già disposto e versato e non era legato in alcun modo alle vendite del prodotto Balocco.
Proprio il prezzo aumentato, gonfiato di quasi tre volte rispetto al pandoro classico Balocco, avrebbe contribuito a indurre in errore i consumatori e rafforzato la percezione che questo contribuisse alla donazione in aiuto di bambini con gravi malattie.
implicazioni del caso
Il caso del pandoro Balocco Ferragni, rivelato da Selvaggia Lucarelli, è quindi soltanto uno dei tanti esempi di come una comunicazione ambigua e confusa possa generare false aspettative nei consumatori.
E di come una collaborazione, teoricamente, benefica, possa nascondere una squallida operazione commerciale. Con implicazioni etiche tutt’altro che secondarie.
Sfruttare il sentimento di solidarietà verso dei bambini malati di tumore, per vendere un prodotto e aumentare la popolarità di una poveretta che si autodefinisce "influencer" non è il massimo.
È giusto usare la beneficenza verso soggetti fragili e verso i bambini (per di più ammalati) come strumento di marketing personale, per aumentare solo la propria visibilita ?
Post Scriptum
Alle Elementari, un giorno, ci spiegarono le caratteristiche degli AVVOLTOI e di come questi uccelli, volteggiassero per ore ed ore in quota, senza alcuna fatica, sfruttando le correnti ascensionali, in attesa di individuare la carcassa di un animale malato o morto per poi precipitarsi a divorarlo.
Chissà perchè, oggi, m'è tornata in mente questa immagine?
Chissà...
.
20 notes
·
View notes
Text
L’amore interrotto si fa indietro come il mare, lasciando nuda la sabbia e le conchiglie al sole, e l’orecchino che mia madre perdette tanto tempo fa brilla laggiù, oltre gli scogli. Le alghe dimenticano la danza della corrente e qualche pesce sconta la sua distrazione.
L’amore zittito lascia nuda la sabbia, ma è ciò che accade dopo a rivelare a pieno il suo fenomeno. Spesso è una lenta desertificazione, che fa le crepe piene di sale, e l’odore di spiaggia abbandonata; e il sole brucia, ma non riscalda. Spesso, ed �� normale, irreversibile.
Altre volte, però, è un’onda che si carica, piano piano. Si ritira prima come un velo, diventa un mantello; prende il respiro, gonfia i polmoni all’abisso e solleva navi da carico come balocchi, sommergendo isolette e piccoli fari, mentre ancora i bambini giocano a riva. Poi, all’improvviso, come un muro che sembra fermo e invece corre, si fa strada all’orizzonte, anzi lo copre. Da lontano i pochi bagnanti abituati a guardare lontano, fuori da sé, restano immobili, come di fronte a qualcosa che non siamo venuti al mondo per contenere, che ci lascia a occhi sgranati, bocca aperta e ginocchia paralizzate. Gli altri se ne accorgeranno presto, ma sarà tardi.
L’amore arrestato, a volte, sembra andare e invece torna, e si abbatte a tradimento - è la natura, eccezionale! - in un silenzio di luce, in mezzo alle palme, tra le barchette ormeggiate, quando tutto sembrava placato, nella vacanza del cuore. Chi si salva, non si sa.
#ninoelesirene#pensieri#frasi#persone#riflessioni#sentimenti#letteraturabreve#emozioni#amore#aforismi#amore interrotto
30 notes
·
View notes
Text
Come sorgessero dal nulla, su quelle barche in balia delle onde, migranti, spesso li crediamo soli al mondo. Queste entità senza volti, senza nomi, senza parenti, come mai nati, bambini, donne, uomini, magari siamo convinti che nessuno li piangerà, nessuno li cercherà, come li chiama quello che fa il ministro: "carico residuale".
Poi vedi gente piangere, un fratello, un nonno, una sorella, un cugino, una madre; li chiamano con i loro nomi, li fanno vivi: "lo stavo aspettando..." - "sperava in una vita migliore in Europa..." - "ci siamo sentiti ieri..." - "amava il calcio..." - "Aveva solo sei mesi...".
Mostrano foto, raccontano momenti, parlano di guerra, di torture, piangono sulle bare, quelle marroni e quelle bianche. Esseri umani, nient'altro che esseri umani, proprio uguali a tutti gli altri esseri umani, con le loro storie, il loro passato, le loro lacrime, un nome e un cognome, e poi la disperazione, proprio come gli altri esseri umani quando sono disperati e cercano una mano tesa. Una mano che non hanno trovato, perché qualcuno si crede più essere umano di altri.
90 notes
·
View notes
Text
Gli Stati Uniti hanno sganciato 270 milioni di bombe a grappolo sul Laos. "Ogni otto minuti, 24 ore al giorno, per nove anni dal 1964 al 1973, un aereo carico di bombe a grappolo è stato sganciato sul Laos dai B-52 americani". 50 anni dopo, civili (e bambini) vengono ancora fatti saltare in aria dalle bombe.
32 notes
·
View notes
Text
Nella notte di Capodanno, quando tutti a nanna vanno, è in arrivo sul primo binario un direttissimo straordinario, composto di dodici vagoni tutti carichi di doni…
Gennaio Sul primo vagone, sola soletta, c’è una simpatica vecchietta. Deve amar molto la pulizia perché una scopa le fa compagnia… Dalla sua gerla spunta il piedino di una bambola o d’un burattino. – Ho tanti nipoti, – borbotta, – ma tanti! E se volete sapere quanti, contate tutte le calze di lana che aspettano il dono della Befana.
Febbraio Secondo vagone, che confusione! Carnevale fa il pazzerellone: c’è Arlecchino, c’è Colombina, c’è Pierrot con la sua damina, e accanto alle maschere d’una volta galoppano indiani a briglia sciolta, sceriffi sparano caramelle, astronauti lanciano stelle filanti, e sognano a fumetti come gli eroi dei loro giornaletti.
Marzo Sul terzo vagone viaggia la Primavera col vento marzolino. Gocce ridono e piangono sui vetri del finestrino. Una rondine svola, profuma una viola… Tutta roba per la campagna. In città, fra il cemento, profumano soltanto i tubi di scappamento.
Aprile Il quarto vagone è riservato a un pasticcere rinomato che prepara, per la Pasqua, le uova di cioccolato. Al posto del pulcino c’è la sorpresa. Campane di zucchero suoneranno a distesa.
Maggio Un carico giocondo riempie il quinto vagone: tutti i fiori del mondo, tutti i canti di Maggio… Buon viaggio! Buon viaggio!
Giugno Giugno, la falce in pugno! Ma sul sesto vagone 10 non vedo soltanto le messi ricche e buone… Vedo anche le pagelle: un po’ brutte, un po’ belle, un po’ gulp, un po’ squash! Ah, che brutta invenzione, amici miei, quei cinque numeri prima del sei.
Luglio Il settimo vagone è tutto sole e mare: affrettatevi a montare! Non ci sono sedili, ma ombrelloni. Ci si tuffa dai finestrini meglio che dai trampolini. C’è tutto l’Adriatico, c’è tutto il Tirreno: non ci sono tuttii bambini… ecco perché il vagone non è pieno.
Agosto Sull’ottavo vagone ci sono le città: saranno regalate a chi resta in città tutta l’estate. Avrà le strade a sua disposizione: correrà, svolterà, parcheggerà da padrone. A destra e a sinistra sorpasserà se stesso… Ma di sera sarà triste lo stesso.
Settembre Osservate sul nono vagone gli esami di riparazione. Severi, solenni come becchini… e se la pigliano con i bambini! Perché qualche volta, per cambiare, non sono i grandi a riparare?
Ottobre Sul decimo vagone ci sono tanti banchi, c’è una lavagna nera e dei gessetti bianchi. Dai vetri spalancati il mondo intero può entrare: è un ottimo maestro per chi lo sa ascoltare.
Novembre Sull’undicesimo vagone c’è un buon odore di castagne, paesi grigi, grige campagne già rassegnate al primo nebbione, e buoni libri da leggere a sera dopo aver spento la televisione.
Dicembre Ed ecco l’ultimo vagone, è fatto tutto di panettone, ha i cuscini di cedro candito e le porte di torrone. Appena in stazione sarà mangiato di buon umore e di buon appetito. Mangeremo anche la panca su cui siede a sonnecchiare Babbo Natale con la barba bianca. Gianni Rodari ******************* On New Year's Eve, when everyone goes to bed, is arriving on the first track a very direct extraordinary, composed of twelve wagons all loaded with gifts…
January On the first carriage, alone, there is a nice old lady. You must be very fond of cleanliness because a broom keeps her company... The little foot emerges from her pannier of a doll or a puppet. – I have many grandchildren, – she mutters, – but many! And if you want to know how many, count all the woolen socks who await the gift of the Befana.
February Second car, what a mess! Carnival goes crazy: there is Harlequin, there is Colombina, there is Pierrot with his lady, and next to the masks of the past Indians gallop at full speed, sheriffs shoot candy, astronauts launch stars streamers, and dream in comics like the heroes of their newspapers.
March On the third car Spring travels with the March wind. Drops laugh and cry on the window glass. A swallow flies, smells like a violet... All campaign stuff. In the city, among the concrete, they only smell the exhaust pipes.
April The fourth car is reserved to a renowned pastry chef which prepares, for Easter, chocolate eggs. Instead of the chick there is the surprise. Sugar bells they will play at length.
May A playful load fills the fifth carriage: all the flowers in the world, all the songs of May... Have a good trip! Have a good trip!
June June, the scythe in hand! But on the sixth car 10 I don't just see the rich and good crops… I also see the report cards: a little ugly, a little beautiful, a little gulp, a little squash! Ah, what a bad invention, my friends, those five numbers before six.
July The seventh car it's all sun and sea: hurry up and assemble! There are no seats, but umbrellas. You dive from the windows better than trampolines. There is the whole Adriatic, there is the whole Tyrrhenian Sea: not all children are there... that's why the carriage isn't full.
August On the eighth car there are cities: they will be given away to those who remain in the city all summer. He will have the roads at his disposal: it will run, turn, park as master. To the right and to the left will surpass itself… But in the evening it will be sad anyway.
September Look on the ninth car remedial exams. Severe, solemn like gravediggers… and they take it out on the children! Because sometimes, for a change, Aren't the adults the ones who repair?
October On the tenth car there are many benches, there is a black board and some white chalk. From the wide open windows the whole world can enter: he is an excellent teacher for those who know how to listen.
November On the eleventh car there is a good smell of chestnuts, gray towns, gray countryside already resigned to the first fog, and good books to read in the evening after turning off the television.
December And here is the last carriage, it's all made of panettone, It has candied cedar cushions and the nougat doors. As soon as he gets to the station he will be eaten in good spirits and with a good appetite. We will also eat the bench on which he sits dozing Santa Claus with a white beard. Gianni Rodari
16 notes
·
View notes
Text
IL PRIMO FARMACO SALVAVITA PRODOTTO DA UNA NO-PROFIT
Per la prima volta al mondo un ente senza scopo di lucro ha deciso di produrre un farmaco salvavita che l’industria farmaceutica non considera profittevole per il basso numero dei casi.
L’Ada-Scid è una patologia che ogni anno colpisce tra i 6 e gli 11 bambini nei Paesi dell’UE; nota anche come malattia dei ‘bambini bolla’ è una immunodeficienza che impedisce di combattere le infezioni più comuni. Questi bambini sono costretti a vivere isolati in ambienti sterili e oltre a sopportare continue privazioni, sono soggetti ad un tasso di mortalità molto elevato. La terapia genica per questa malattia è stata scoperta e sviluppata nei laboratori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano, unico ente al mondo che ne effettua la somministrazione. Dopo l’interruzione della produzione del farmaco da parte dell’azienda farmaceutica anglo-statunitense Orchard Therapeutics, la Fondazione Telethon ha annunciato di aver deciso di prendersi carico della produzione e distribuzione del farmaco. “Una decisione maturata per salvare la vita anche di un solo bambino affetto da questa malattia rara”, ha dichiarato il presidente della Fondazione Telethon, Luca di Montezemolo.
La decisione è stata presa per evitare la scomparsa dal mercato di un farmaco salvavita che ha permesso finora di curare 45 bambini provenienti da oltre 20 Paesi del mondo. “Questo traguardo ci incoraggia ad andare avanti su malattie genetiche per arrivare alla cura. I colleghi in Europa e Stati Uniti guardano il modello Telethon da prendere come esempio: credo che possa fare da apripista” spiega Alessandro Aiuti, dell’Istituto San Raffaele Telethon.
___________________
Fonte: IRCCS Ospedale San Raffaele; foto di Polina Tankilevitch
VERIFICATO ALLA FONTE | Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
BUONE NOTIZIE CAMBIANO IL MONDO | Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali
Se trovi utile il nostro lavoro e credi nel principio del giornalismo costruttivo non-profit | sostieni Mezzopieno
11 notes
·
View notes
Text
“Una notte di molti, molti anni fa, ero di guardia notturna nel mio ospedale. Mi avvisarono alle 22 dell’arrivo di un traumatizzato stradale: condizioni disperate, dissero, stai pronto. Io sono nato pronto, risposi con la mia deprecabile grinta giovanile.
Partii dall’ecografia nella sala trauma. Poi lo portarono in Tac. C’erano tutti: anestesisti, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi vascolari, otorini. L’uomo era sfasciato dappertutto, ma proprio dappertutto. Mentre sul monitor scorrevano le immagini della TC stavano tutti dietro di me, zitti, ad ascoltare la litania di accidenti che poi, di lì a poco, avrei trascritto nel mio referto. Ma a quel punto il referto sarebbe stato inutile: avevamo già fatto il punto della situazione, ci eravamo parlati. Ognuno di noi adesso sapeva cosa fare. Eravamo una squadra, un gruppo di persone che si fidavano gli uni degli altri, ciecamente. Quell’uomo era nelle migliori mani possibili, ve lo giuro su quello che ho di più caro al mondo.
Il Paziente andò in sala. Gli passarono sopra tutti, a turno: chirurghi, ortopedici, otorini. Gli anestesisti in seconda fila, a tenerlo vivo. Intorno alle cinque della mattina il lavoro grosso era stato fatto. Mi chiamarono per dare un’ultima occhiata in ecografia: in sala operatoria c’era sangue ovunque, sembrava ci fosse appena transitata Beatrix Kiddo di Kill Bill. L’uomo, l’omone anzi, perché era grosso come un armadio a tre ante, era disteso ancora sul letto operatorio. Sembrava che dormisse.
La mattina, alle otto, il momento dello smonto, telefonai in terapia intensiva. Mi rispose la collega della notte, con la voce stravolta dalla stanchezza. Disse: È vivo, è stabile, abbiamo fatto un buon lavoro. Tornai a casa carico di adrenalina: i bambini erano all’asilo, mia moglie al lavoro, avevo tutta la mattina per me. Non riuscii a prendere sonno: tutta quell’adrenalina accumulata mi girava ancora in corpo, vorticosamente. Quell’uomo era vivo grazie all’equipe di medici che avevano passato la notte in bianco per lui. È poco, dite? Può essere. Ma se quell’uomo fosse stato vostro marito, vostro figlio, vostro padre, allora sì che avrebbe fatto la differenza. Tutta la differenza di questo mondo.
Da quella notte sono passati vent’anni ed è cambiato quasi tutto nel modo di intendere la vita ospedaliera. I medici sono diventati carne da macello. La sanità si è trasformata in un’azienda che deve fabbricare utili, dividendi e consenso elettorale. Però, siccome costa troppo, deve anche tramutarsi in qualche altra cosa, lasciare spazi, cedere terreno. Mutare natura. Ma in silenzio, senza fare troppo rumore.
E di quel gruppo di medici cosa è rimasto? Qualcuno è andato in pensione, qualcun altro è rimasto dov’era, a svolgere il suo ottimo lavoro, qualcun altro ancora ha avuto il privilegio di trovarsi a dirigere un reparto tutto suo nella pia illusione di costruire qualcosa di buono. Nel mentre, dicevo, è cambiato quasi tutto. La politica ha preso il sopravvento e tirato i cordoni della borsa. Ai nuovi medici, giunti via via a sostituire i vecchi, non piace passare le notti in bianco nel pronto soccorso o nelle sale operatorie. Meglio un lavoro impiegatizio. Meglio un lavoro da casa, se possibile. Meno responsabilità, meno rotture di scatole, più soldi in tasca. Chi è rimasto delega: meglio una Tac in più, anche se non necessaria, che una in meno. Pazienza se tra vent’anni quella Tac causerà un tumore da qualche parte. La medicina ha smesso di essere un’arte, insomma, e le manca ancora troppo per diventare una scienza esatta. Meglio non rischiare. Meglio farsi i fatti propri.
Così, adesso io mi ritrovo in piena notte con un’urgenza addominale, e spesso sono da solo. Io, il tecnico e la Tac, nel silenzio più attonito che si possa immaginare. E non dovrei nemmeno essere lì, in quel momento, perché non è più il mio ruolo, quello. Così, mentre attendo le immagini sul monitor, mi domando perché quasi tutto è cambiato, perché certa politica ha fatto fuggire i medici dagli ospedali, cosa ha fatto perdere loro la passione, l’entusiasmo divorante, il ricordo dei validi motivi per cui, molti anni prima, hanno scelto quella professione e non un’altra. Cosa li spinge a essere indifferenti verso i Pazienti, verso colleghi che in loro assenza dovranno svolgere il lavoro che per qualche futile motivo non hanno voluto portare a termine. Cosa spinga loro, ma alla fine spinga tutti, in senso generale, senza distinzione di sesso, età, censo, lavoro, a credere di essere in perenne credito col mondo. Di essere dalla parte della ragione, sempre e comunque.
Ve lo dico subito: non trovo la risposta, e a questo punto credo che non la troverò mai. La risposta forse verrà fuori quando vi recherete in ospedale e troverete solo medici pagati a cottimo, gente che quella notte è lì e la prossima chissà dove, a quante centinaia di chilometri di distanza. Quando non esisterà più un gruppo, un’equipe affiatata pronta a passare la notte in bianco per salvare una vita, una sola: quella di vostro marito, vostro padre, o vostro figlio. Oppure la risposta andrete a chiederla a certa politica: la quale risponderà che non è sua responsabilità, e che gli errori di programmazione, il numero chiuso a medicina, l’imbuto di ingresso nelle specialità, sono colpa di quelli di prima. Di quelli che hanno governato, male, prima.
Ma quelli di prima eravamo anche noi: il radiologo, l’anestesista, il chirurgo, l’ortopedico, il maxillo-facciale. Quella fantastica squadra di bravi medici, ognuno dei quali si fidava ciecamente dell’altro. Ci rimpiangerete, certo. Come ci rimpiangiamo già noi stessi, ogni giorno, ogni santo giorno di lavoro, finché durerà ancora.”
(Da un post del Dott. Giancarlo Addonisio)
12 notes
·
View notes
Text
#kinderen op de fiets#kids on bicycles#enfants à vélo#Kinder auf Fahrrädern#børn på cykler#barn på cyklar#barn på sykkel#bambini in bicicletta#bambini in bici#niños en bicicleta#niños en bici#crianças em bicicletas#Longtail#longtail fiets#Longtail bike#Longtail bicycle#longtail cykel#bicicletta a coda lunga#bicicleta de cola larga#bakfiets#vrachtfiets#Lastenrad#cargofiets#cargo bike#Lastenfahrrad#vélo cargo#ladcykel#lastcykel#bicicleta de carga#bici da carico
5 notes
·
View notes
Text
Messaggio di Febi Harani cancellato da FB:
❌ATTENZIONE❌
le colline e i paesi sono stati abbandonati al loro destino! Niente esercito,vigili del fuoco né altro! Nessuna centralina risponde nessuno interviene! Questo non da ieri ma da una decina di giorni perché il disastro che avete visto o peggio subito in pianura ha anche origine sui monti ed era già preannunciato da dieci giorni con frane e dissesti gravi! La regione emilia Romagna in fattispecie la città metropolitana di Bologna dopo averci chiuso in casa senza accesso alle strade ma senza dare aiuti alimentari o acqua ha ritenuto tramite i suoi specialisti che era tutto in sicurezza e ha riaperto senza intervenire in alcuna maniera! Nemmeno sulle strade in evidente crollo né su quelle in cui i fiumi avevano eroso i fianchi fra cui la provinciale Idice! Monterenzio dopo le scuole, Fiumetto, Savazza, Monte delle Formiche e tutti i paesi adiacenti sono non raggiungibili da giorni! La gente spala da sola NON CI SONO AIUTI! fate sapere al mondo la realtà! Le milioni di tonnellate di roccia e terra che stanno franando dentro i fiumi hanno aumentato il carico idrico e la sua forza in maniera esponenziale! Fate sapere a tutti come funziona la giunta bonaccini che fra le altre cose ha dovuto rinunciare a 55,2 milioni stanziati dal pnrr per il sistema idrico e la sua messa in sicurezza perché incapace di utilizzarli oppure perché i progetti in chiaro non interessano! Elicotteri e droni passano solo per fare servizi tg strappalacrime ma nessun elicottero di acqua o alimenti! Non abbiamo più le strade e i fiumi non sono guadabili,hanno lasciato la popolazione inerme da sola!
FATELO SAPERE A TUTTI IN MANIERA CHE SI COMPRENDA LA REALTÀ! questi sono i fatti e non ho molto da aggiungere se non che è ora di aprire gli occhi! Questa non è una regione di eccellenze ma di patti da cosche,cementificazione selvaggia,chimica agroalimentare, nessuna veduta del futuro, nessun rispetto,nessuna remora morale tale e quale le regioni gestite da mafia! Fatelo sapere,fatelo sapere che il dolore di chi ha perso tutto non sia inutile! Ci sono anziani,bambini,adolescenti,animali nelle stalle,pensate che non hanno nemmeno dato la dad ai ragazzi bloccati in casa,a loro avviso le scuole SONO APERTE A BOLOGNA E LIMTROFI E BISOGNA RAGGIUNGERLE! non trapela nulla di cosa stia succedendo quindi la situazione peggiorerà! Piove e noi siamo qui a spalare, cercare gli ultimi animali morti nei box e cercando di capire come procedere ai prossimi giorni! Non fatelo per me che un tetto ancora sulla testa lo possiedo, fatelo per onore della verità! Non c'è la si farà a lungo a spalare! Qui sono venuti giù interi boschi! Fatelo per la comunità di Monterenzio e di tutti i paesi collinari e montani,fatelo per il vostro futuro perché se non si risolvono i problemi a monte siete condannati anche a valle,la regione non fa manutenzione a strade e boschi e non ti permette di farla a te privato proibendogli di chiudere anche una buca, non ascolta i consigli di chi ci vive e ci riduce così! Nessun evento avverso ! Tutto da copione,anche le piogge erano ben segnalate assieme alla loro capacità eppure si è ritenuto di affermare che andava tutto bene!
Inviate a tutti se credete che la gente sappia e che inviino almeno i militari! Ci sono strade crollate siamo isolati
14 notes
·
View notes
Text
Sette di Bastoni
"La dolcezza della Via del Cuore".
Le Energie di questi giorni ci portano ad "accorgerci". Ci colpiscono proprio nel grande tema della "Direzione".
Abbiamo investito molto sulla "ricerca interiore" in questi ultimi anni. Siamo stati ripetutamente invitati a guardarci dentro e a sciogliere i nodi che impedivano il nostro "flusso originale". Tutto è stato veloce, accelerato, imprevedibile.
Il tempo ha perso la sua dimensione cadenzata, per portarci a sperimentare nell'arco di pochi istanti movimenti iper accelerati o estremamente lenti e rallentati.
Tutto si è ribaltato, è finito sottosopra.
Eppure noi, ancora oggi, non abbiamo colto fino in fondo il "senso del processo". Abbiamo dapprima tentato di opporre resistenza, poi di negarlo e alla fine di assecondare attimi di lucida Verità.
Ma senza mai ammettere a noi stessi che l'Autenticità ha un prezzo altissimo. Che l'Integrità è per pochi coraggiosi. Che l'Onestà è un concetto che pretendiamo dall'Altro, ma troppo spesso sembra non riguardare noi.
Noi mentiamo.
Ci barrichiamo dietro alle mille scuse che ci rendono comodi, "a posto", migliori.
Ma tutte le volte che vorremmo andare via da qualcosa o da qualcuno, e restiamo, siamo i più grandi disonesti al Mondo.
E ci inventiamo le più creative giustificazioni: "La situazione prima o poi cambierà, lui/lei cambierà, andrà meglio. Sono io che non so cosa voglio. Ma lui/lei come farà senza di me?. Poi come faccio con le spese, con la casa, con le bollette? E dove vuoi che vado?"
Sono mille mila le giustificazioni per "restare" dentro allo schema dell'impotenza.
E ne potremmo trovare altre diecimila, con impegno e fantasia.
Se spendessimo le stesse Energie di negazione per raccontarci la Verità ed elaborare il lutto, avremmo nel frattempo cambiato situazione già altre centinaia di volte.
Se invece della lista dei "no", stendessimo un'onesta lista dei "sì", l'Umanità si capovolgerebbe in un giorno.
Ma noi non ci ricordiamo nemmeno cosa sognavamo da bambini, quando il nostro Mondo non era carico di sovrastrutture e di processi educativi manipolati. Quando le gabbie non esistevano. Erano solo un invenzione dei "grandi".
Il "dovere" non era mai "onesto". Era sempre "indottrinato" da schemi disfunzionali dell'Adulto.
E nemmeno l'Adulto si poneva il dubbio se "indottrinare" fosse un po' come staccare un biglietto sola andata per l'infelicità futura.
Ancora oggi, dopo millenni, la priorità del collettivo è "sopravvivere". A noi stessi, alla schiavitù di sistema, alla competizione, all'appiattimento della generatività, allo sfruttamento delle arti magiche.
Oggi si lavora per sottrarre risorse all'Altro, non per condividerle.
Oggi si confligge per un pezzo di pane, anziché collaborare per riappropriarsi insieme dell'abbondanza collettiva.
Oggi si accumula beni e sicurezze, anziché spingere le nuove generazioni e noi stessi verso una Repubblica non "fondata sul lavoro", non sul "consumismo", non sulla "perdita", e nemmeno sulla "malattia e sulla medicalizzazione del sintomo", ma sulla Libertà e Creatività.
Gli sforzi dovrebbero dirigersi verso l'espansione di spazi espressivi, sul "ritorno all'Origine", su ciò che il nostro Bambino sognava, su ciò che ci faceva brillare gli occhi prima di venire sommersi dall'illusione della compravendita, della competizione e dal ricatto emotivo basato sull'aspettativa.
Ad un figlio viene chiesto: "Cosa vuoi fare da grande?"
Ad un figlio va chiesto: "Cosa senti ti fa battere il Cuore?"
E lui risponderà: "l'Amore".
L'Amore per il Creato, per la Vita, per la Natura, per il suo compito d'Anima, per il suo Corpo, per la sua straordinaria scintilla di Gioia.
E' tempo di scardinare schemi di Antica struttura.
Apriamo le porte al Nuovo.
Lasciamo che crolli il vecchio e grottesco Sistema.
Accogliamo il movimento di Direzione originale.
C'era chi voleva ballare, chi danzare, chi cantare, chi scrivere, chi coltivare la Terra e chi guarire la sofferenza con il tocco delle mani.
E ora cosa desideriamo? Cosa ci fa brillare gli occhi? Siamo capaci di "vedere" e di "veder-ci"? Siamo davvero "dentro al nostro autentico Sogno?
Mirtilla Esmeralda
7 notes
·
View notes
Text
“Una notte di molti, molti anni fa, ero di guardia notturna nel mio ospedale. Mi avvisarono alle 22 dell’arrivo di un traumatizzato stradale: condizioni disperate, dissero, stai pronto. Io sono nato pronto, risposi con la mia deprecabile grinta giovanile.
Partii dall’ecografia nella sala trauma. Poi lo portarono in Tac. C’erano tutti: anestesisti, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi vascolari, otorini. L’uomo era sfasciato dappertutto, ma proprio dappertutto. Mentre sul monitor scorrevano le immagini della TC stavano tutti dietro di me, zitti, ad ascoltare la litania di accidenti che poi, di lì a poco, avrei trascritto nel mio referto. Ma a quel punto il referto sarebbe stato inutile: avevamo già fatto il punto della situazione, ci eravamo parlati. Ognuno di noi adesso sapeva cosa fare. Eravamo una squadra, un gruppo di persone che si fidavano gli uni degli altri, ciecamente. Quell’uomo era nelle migliori mani possibili, ve lo giuro su quello che ho di più caro al mondo.
Il Paziente andò in sala. Gli passarono sopra tutti, a turno: chirurghi, ortopedici, otorini. Gli anestesisti in seconda fila, a tenerlo vivo. Intorno alle cinque della mattina il lavoro grosso era stato fatto. Mi chiamarono per dare un’ultima occhiata in ecografia: in sala operatoria c’era sangue ovunque, sembrava ci fosse appena transitata Beatrix Kiddo di Kill Bill. L’uomo, l’omone anzi, perché era grosso come un armadio a tre ante, era disteso ancora sul letto operatorio. Sembrava che dormisse.
La mattina, alle otto, il momento dello smonto, telefonai in terapia intensiva. Mi rispose la collega della notte, con la voce stravolta dalla stanchezza. Disse: È vivo, è stabile, abbiamo fatto un buon lavoro. Tornai a casa carico di adrenalina: i bambini erano all’asilo, mia moglie al lavoro, avevo tutta la mattina per me. Non riuscii a prendere sonno: tutta quell’adrenalina accumulata mi girava ancora in corpo, vorticosamente. Quell’uomo era vivo grazie all’equipe di medici che avevano passato la notte in bianco per lui. È poco, dite? Può essere. Ma se quell’uomo fosse stato vostro marito, vostro figlio, vostro padre, allora sì che avrebbe fatto la differenza. Tutta la differenza di questo mondo.
Da quella notte sono passati vent’anni ed è cambiato quasi tutto nel modo di intendere la vita ospedaliera. I medici sono diventati carne da macello. La sanità si è trasformata in un’azienda che deve fabbricare utili, dividendi e consenso elettorale. Però, siccome costa troppo, deve anche tramutarsi in qualche altra cosa, lasciare spazi, cedere terreno. Mutare natura. Ma in silenzio, senza fare troppo rumore.
E di quel gruppo di medici cosa è rimasto? Qualcuno è andato in pensione, qualcun altro è rimasto dov’era, a svolgere il suo ottimo lavoro, qualcun altro ancora ha avuto il privilegio di trovarsi a dirigere un reparto tutto suo nella pia illusione di costruire qualcosa di buono. Nel mentre, dicevo, è cambiato quasi tutto. La politica ha preso il sopravvento e tirato i cordoni della borsa. Ai nuovi medici, giunti via via a sostituire i vecchi, non piace passare le notti in bianco nel pronto soccorso o nelle sale operatorie. Meglio un lavoro impiegatizio. Meglio un lavoro da casa, se possibile. Meno responsabilità, meno rotture di scatole, più soldi in tasca. Chi è rimasto delega: meglio una Tac in più, anche se non necessaria, che una in meno. Pazienza se tra vent’anni quella Tac causerà un tumore da qualche parte. La medicina ha smesso di essere un’arte, insomma, e le manca ancora troppo per diventare una scienza esatta. Meglio non rischiare. Meglio farsi i fatti propri.
Così, adesso io mi ritrovo in piena notte con un’urgenza addominale, e spesso sono da solo. Io, il tecnico e la Tac, nel silenzio più attonito che si possa immaginare. E non dovrei nemmeno essere lì, in quel momento, perché non è più il mio ruolo, quello. Così, mentre attendo le immagini sul monitor, mi domando perché quasi tutto è cambiato, perché certa politica ha fatto fuggire i medici dagli ospedali, cosa ha fatto perdere loro la passione, l’entusiasmo divorante, il ricordo dei validi motivi per cui, molti anni prima, hanno scelto quella professione e non un’altra. Cosa li spinge a essere indifferenti verso i Pazienti, verso colleghi che in loro assenza dovranno svolgere il lavoro che per qualche futile motivo non hanno voluto portare a termine. Cosa spinga loro, ma alla fine spinga tutti, in senso generale, senza distinzione di sesso, età, censo, lavoro, a credere di essere in perenne credito col mondo. Di essere dalla parte della ragione, sempre e comunque.
Ve lo dico subito: non trovo la risposta, e a questo punto credo che non la troverò mai. La risposta forse verrà fuori quando vi recherete in ospedale e troverete solo medici pagati a cottimo, gente che quella notte è lì e la prossima chissà dove, a quante centinaia di chilometri di distanza. Quando non esisterà più un gruppo, un’equipe affiatata pronta a passare la notte in bianco per salvare una vita, una sola: quella di vostro marito, vostro padre, o vostro figlio. Oppure la risposta andrete a chiederla a certa politica: la quale risponderà che non è sua responsabilità, e che gli errori di programmazione, il numero chiuso a medicina, l’imbuto di ingresso nelle specialità, sono colpa di quelli di prima. Di quelli che hanno governato, male, prima.
Ma quelli di prima eravamo anche noi: il radiologo, l’anestesista, il chirurgo, l’ortopedico, il maxillo-facciale. Quella fantastica squadra di bravi medici, ognuno dei quali si fidava ciecamente dell’altro. Ci rimpiangerete, certo. Come ci rimpiangiamo già noi stessi, ogni giorno, ogni santo giorno di lavoro, finché durerà ancora.”
(Da un post del Dott. Giancarlo Addonisio)
—
Foto della mia ultima ispezione all’ospedale “San Francesco” di Nuoro.
4 notes
·
View notes
Text
L'artista non può rimanere sordo al richiamo della verità poiché è unicamente questa che determina la sua volontà creatrice, che la organizza. Solo in questo caso egli è in grado di trasmettere la sua fede all'altro. L'artista che non ha fede assomiglia a un pittore cieco dalla nascita...il tema matura dentro di lui come un frutto e comincia a richiedere di essere espresso. E' come un parto... Perciò non c'è di che inorgoglirsi: egli non è padrone della situazione, è un servo. La creazione è per lui l'unica forma di esistenza possibile e ogni sua opera equivale a un gesto che egli non può fare a meno di compiere...Lo scopo dell'arte consiste nel preparare l'uomo alla morte, nell'arare e nel rendere soffice la sua anima in modo che sia atta a rivolgersi al bene.
Quello che mi interessa è l'uomo, nel quale è racchiuso l'Universo; per esprimere l'idea, il senso della vita umana, non è assolutamente necessario costruire una trama di avvenimenti a sostegno di quest'idea. Parlando dell'attrazione che esercita su di me la debolezza umana, alludo all'assenza di un'espansione esteriore della personalità, all'assenza di aggressività verso gli altri e la vita nel suo complesso, all'assenza del desiderio di sottomettere l'altro e utilizzarlo per realizzare i propri intenti allo scopo di affermare se stessi.
Ritengo che il mio dovere consista nello spingere a riflettere su ciò che di specificamente umano ed eterno viva nell'anima di ciascuno. Ma questo elemento eterno e fondamentale, il più delle volte, viene ignorato dall'uomo; sebbene il destino sia nelle sue mani, rincorre fantasmi. Eppure, in ultima analisi, si riduce tutto a questa semplice particella elementare, l'unica su cui l'uomo possa basare la sua esistenza: la capacità di amare. Tale particella può crescere nell'anima di ciascuno fino a costituire l'impostazione centrale della vita, dare un senso alla vita umana. Ritengo che il mio dovere consista nel far sì che l'uomo avverta in sé l'esigenza di amare, di donare il proprio amore, che senta il richiamo del bello nel vedere i miei film.
Quando parlo dell’aspirazione al bello e affermo che l’ideale è lo scopo dell’arte e che è dalla nostalgia dell’ideale che essa nasce, non intendo assolutamente sostenere che essa debba rifuggire dal ‘fango’. Al contrario! L’immagine artistica è sempre un’allegoria, ossia la sostituzione di una cosa con un’altra. Del più grande col più piccolo. Narrando di ciò che è vivo l’artista opera con ciò che è morto; parlando dell’infinito, propone il finito. Si tratta di una sostituzione! Non si può materializzare l’infinito, si può soltanto creare l’illusione di esso, la sua immagine.
L’orribile è sempre racchiuso nello stupendo, così come lo stupendo è racchiuso nell’orribile. La vita è compenetrata dal lievito di questa contraddizione grandiosa fino all'assurdo, che nell’arte si presenta in una unità contemporaneamente armonica e drammatica.
Mi sono sempre piaciute le persone che non riescono ad adattarsi alla realtà in senso pragmatico. Nei miei film non ci sono mai stati eroi, solo uomini forti grazie alla propria convinzione spirituale che si fanno carico degli altri. Le persone di questo genere assomigliano sovente a bambini forniti del pathos di un adulto, tanto irrealistica e disinteressata è la loro impostazione secondo il buonsenso.
Le opere d’arte, a differenza dalle speculazioni scientifiche, non perseguono alcuna finalità pratica quanto al loro significato materiale. L’arte è un metalinguaggio per mezzo del quale gli uomini tentano di entrare in contatto l’uno con l’altro: di comunicare informazioni su se stessi e di far propria l’esperienza altrui. Ma, di nuovo, non in vista di un vantaggio pratico, ma in nome della realizzazione dell’idea di amore, e il significato dell’amore è racchiuso nel sacrificio che contraddice il pragmatismo. Io non riesco assolutamente a credere che l’artista sia capace di creare mosso soltanto dal desiderio di autoespressione. L’autoespressione senza la comprensione reciproca non ha senso. L’autoespressione in nome della realizzazione del collegamento spirituale con gli altri è tormentosa, svantaggiosa e, in ultima analisi, conduce al sacrificio di se stessi. Vale forse la pena di affaticarsi per udire la propria eco?
Andrej Tarkovskij, da Scolpire il tempo - Traduzione di V. Nadai
5 notes
·
View notes