#bagno chimico
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gennarocapodanno · 21 hours ago
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Vomero, piazza Vanvitelli: la piazza dei bidoncini. Un bagno chimico posizionato in bella mostra
Si tratta della piazza simbolo del Vomero, tutelata anche dalla Sovrintendenza Piazza Vanvitelli: bagno chimico Piazza Vanvitelli: bidoncini carrellati Piazza Vanvitelli: bidoncini carrellati            Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari, che ha realizzato un ricco dossier fotografico, a disposizione di quanti interessati, sulle disfunzioni dell’attuale sistema di…
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solo-a-primavera · 5 months ago
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Anche tu....
magari lo becca proprio giusto TUA o SUA madre che è andata
nel bagno chimico al concerto.
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pstefano95 · 5 months ago
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Livello di voglia?
Sono a lavoro e mi sono dovuto chiudere nel bagno chimico perché ce l’ho di marmo e dai pantaloni si vede tutto.
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macabr00blog · 8 months ago
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poema sul nuovo millennio
I suoi adepti, fuori,
a rotolarsi nel fango come porci, presto, molto presto
come un ambiente underground diventa un parco giochi
o un parco giochi che diventa
l’imitazione di un Paradiso. I suini
della performance, lui siede a capotavola:
noi, sulla luna, ci siamo già stati.
L’era dell’imitazioni, sfogliando la Settimana Enigmistica,
cercare soluzioni in mille amori,
c’è un bagno chimico alla fine della via che odora
d’estate. Dietro alla scritta Made In Vietnam c’è una
storia di venti stupri americani, io sono un agnello multiforme -
innumerevoli sono i tentativi di trasformazione,
sono troppo presto performante. Ho tredici anni di buchi
sulle mani, stigmate di sonno, mia madre che mi chiede
di tenermi in salvo. Stai attento, dice, credo che la sua bocca
sia un unico pixel, scavallo il palcoscenico dove un
politico di destra si erge a figura mitica, lo chiamavano Sansone -
si è rasato tutti i capelli per l’esecuzione di un impresario.
Si è fatto bello per la disfatta del mondo, suona ad un campanello,
lui è uno che conta. Mio nonno sostiene che il nero
edifica il divenire, perciò con nostalgia bacia la foto di vent’anni fa:
lui e il suo stemma del MSI tatuato a ricamo sulla divisa militare:
mi dice che sono troppo giovane per capire, sono troppo
dispari.
Gli spiriti dei deviati in un classico numero in serie
cinque cifre prima del precipizio, io sarei incatenato ad un letto
d’ospedale: grido il nome di mamma, il nome di Cristo, sono il figlio
cannibale di una nazione silenziosa. L’esercito di improvvisati
nazionalisti che pasteggiano con tacchino e lepre, i fucili ancora
a riposo. Dietro il nero, dietro le casacche, corpulenti strascichi demoniaci
il tempo di un tesseramento e il tenore di uno schiavo sessuale,
mi ricordo di uno di loro rimasto a bocca spalancata e una virgola
di sperma appena prima della ciglia del suo occhio celeste.
Dietro il nero, c’è una tenda che porta ad un giardino di memorie
appese, fotografie di vecchie madri chine a costruire una nazione,
la repubblica ancora giovane prima di inciampare sulle sue stesse
scarpe sfoderate, ero ancora troppo giovane, sono ancora troppo
dispari.
La Bibbia di me stesso resa universale, le mie mani che tendono verso
la fine delle sue carezze,
sono oltre le colonne, sono oltre la scuola elementare, voglio
che mi racconti della volta in cui ti hanno arrestato, perché
eri così giovane, così giovane, troppo dispari,
che fine ha fatto il labirinto? Sei troppo arrabbiato con me,
la danza degli oggetti diventa scema, il poeta senza laurea crepa,
il dottore mi apre la pancia, ci trova i resti di un disordine camerata.
Io te l’ho detto, lo ribadisco, rimarrò dispari
con questo disturbo da troppe lettere
che mi si inceppa in gola, i miei termini arcaici e la proprietà
unica dimora privata - di linguaggio
che mi porta su Marte: sulla luna ci siamo già stati, eravamo
ancora americani, eravamo ancora nazisti travestiti
da pace, eravamo ancora rivoluzionari con la divisa della Nato,
venti minuti l’uno addosso all’altro, era estate e d’altronde
non potevamo essere altro. Amarti il mattino quando
nessuno ci vede: tende chiuse, luci spente, il sole
non è il sole nel cosmo del tuo pube
reso cieco dalle scorse
venti ore di marijuana e coca zero. Il film senza spettatori,
i padri che aspettano di ridere senza riferimenti colti alle disfatte dei
figli, ora sei gay di default, sopra alle isole sconosciute della mia pancia
aspetti un figlio che chiameremo Pier Vittorio, avremmo una
pensione come ce la meritiamo, e una serie tv sui vizi del Papa
da consumare come due clandestini. Meglio fingere
di credere, che credere e poi fingere di stare bene,
io con la dolcezza di un papavero, estraggo oppio per tornare a dormire,
tu con le mie carezze, i tuoi capelli margherita, cadono a fiotti.
E’ la malattia o la primavera?
E’ un sollievo temporaneo, almeno, tane come fossimo ai domiciliari,
io latitante nei tuoi sogni di porpora, fingere di credere, fingere di
credere, il figlio di un eroinomane
e il figlio di un democristiano, ti accarezzo le palpebre perché
so che non hai paura del buio. Hai paura di Dio, sai che se non
credi è peggio, da bambino volevi fare il prete poi
la religione ti ha fatto violentare, schiavo nell’abisso del nulla,
ci sei già dentro a piè pari, ne amplifichi il bisogno.
Il liquido che aveva santità, me lo ha detto
un Angelo, nessun altro,
è urina lasciata scorrere nella gola,
mi aumenta il fetore. Così ti
lascio andare, come farebbe qualsiasi altro padrone benevolo,
come farebbe qualsiasi altro difettato senza speranza, sterile
amante dispari, come una trave di tempio al mare,
io soggetto, oggetto, forma, essenza
io mi ricordo di quella volta in cui assaggiai il sapore dell’estate
da solo
fu l’ultima, non ci voglio tornare più. Ora
il mare sa di lamponi salati, mi piace, ora il vento
sa di cenere, mi piace, ora tu di spalle di fronte alla libreria enorme
del tuo salotto,
io sto qui e immagino casa,
bene,
io sto qui e mi piace, e ora a quale autore ti impicchi
poeta?
In quale casa? Sopra quale libreria? La poesia
ti ha salvato la vita, Poeta, ora cosa ne sarà del resto
della tua esistenza? Vivrai da Martire,
bruciato a vita, bruciato vivo, un cammello senza testa e con
le mani: sei ricoperto di sabbia. Stai invecchiando, Poeta,
cosa ne sarà della tua poesia?
I vertici del tuo respiro chiusi dall’asma, le salme dei
tuoi antenati esposte a raffineria, domani succede
che fanno le primarie e io mi sparo, mi sparo in bocca,
vorrei che lo facessi tu in estrema divinazione da assenzio, ma
hai scelto la via sporca della sobrietà, ora non c’è nulla in te
che mi ricorda mio padre.
Mi rassicura ma mi uccide, mi protegge ma mi espone quando i miei
occhi indagano dettagli confusi. Io ero
dietro il nero,
io ero dietro il nero il nipote più
dispari, la mia è la mano di un diavolo qualunque, tu volevi
una ragione, una sola ragione, penso di avertela data.
Il Messia ha scordato le chiavi di casa, ma non ha
mai scordato il nome di sua madre. Tipo il richiamo degli
uomini, tipo il libro sulla droga, tipo quella foto a vent’anni dove assomigli
ad un agnello.
Hai terminato la mutazione. Tu, almeno, ce l’hai fatta, Poeta.
La vita con te come due bracconieri dell’insonnia, trascinare
anima e corpo alle porte del Paradiso, noi nudi e distratti dalla stagione
peggiore. Mi fermo e ti dico: non so se ce la faccio ad andare oltre.
Noi dentro le porte del Paradiso, qui è pieno di Santi tristi e
Eroi di guerra con le mani sporche di interiora,
assomiglia ad una terra di promesse,
io e te non siamo fatti per questo.
I morti si amano come figli,
il tuo viso scavato dal freddo, il mio reso rosso dalla ricerca di dimora,
una volta al mese scavando morti casalinghe, senza uscire di casa,
arrestati per atti indecenti o per possesso di bocca. Io
detengo la voce addomesticata dalla campagna, tu hai
una penna affilata che usi come bisturi, siamo l’uno davanti all’altro
su un altare-sala operatoria-scrivania-letto
ad aprirci i costati, si voti per eleggere il Segretario!
Punto di ritorno e via del ripristino, la domenica le case
si svuotano per dare una pista da ballo ai topi,
e il tuo naso da ratto
e i miei capelli da pulce,
bugiardi performanti cadaveri
un giorno saremo un poema.
Per oggi, solo una penna
che si lascia rotolare nel fango del nuovo millennio.
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cerentari · 8 months ago
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Gli assassini
Non esistono salme grate, avevano poco da dire in vita continuano a ripetersi. Gli assassinati giacciono nella differenziata alla meglio ammucchiati dentro un bagno chimico. Nessuno dice, nessuno sa. Siamo qui per una contabilità, gli assassini coprono le mani mostrando intere collezioni di farfalle. *
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Che cosa è il Lilial, l'esperto: "Ecco perché è pericolosa, controllate le etichette"
E’ dei giorni scorsi la notizia dell’ultimo maxisequestro di profumi, bagno schiuma, doccia schiuma e deodoranti, contenenti il Butylphenyl methylpropional, conosciuto anche come Lilial, un composto chimico comunemente usato come profumo in bagnoschiuma, profumi, deodoranti, creme e shampoo ma anche nelle polveri per bucato. Si tratta di una sostanza vietata dal Regolamento Ue 2021/1902 dal primo…
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kritere · 1 year ago
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Alessandria, la Guardia di Finanza sequestra migliaia di cosmetici contenenti sostanze cancerogene
DIRETTA TV 5 Settembre 2023 Sequestrate circa 5mila confezioni tra profumi, bagno schiuma, doccia schiuma e deodoranti, contenenti il ‘Butylphenyl methylpropional’, conosciuto anche come ”Lilial”, un composto chimico rientrante nel novero delle sostanze catalogate come cancerogene e tossiche. 0 CONDIVISIONI La Guardia di Finanza di Tortona, in seguito ai costanti controlli eseguiti per…
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enkeynetwork · 2 years ago
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goodbearblind · 2 years ago
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DETTAGLI INSIGNIFICANTI - Storie da Caffè
“Che per caso hai visto la borsetta a strisce?”
“Eh?”
“Si, la borsetta a righe bianca e azzurra, quella coordinata con la borsa mare”
Francesca e Marco vivono a Galatone, è il 12 di agosto e si stanno preparando per una bella giornata di mare in un lido a Gallipoli.
Francesca ha studiato l’abbinamento tra costume, copricostume e borsa mare, ed è molto fiera del risultato finale: manca solo il dettaglio della borsetta a strisce coordinata.
Marco non ha mai notato che Francesca ha più di una borsa, e non ha idea di cosa sia una borsetta coordinata. E’ convinto che comunque sia un dettaglio senza importanza
“Dai Francè, spicciati che è tardi, che la litoranea sarà gia un casino, andiamo”
“Ma dai, quella carinissima, volevo mettere lì portafoglio e telefono”
“Scusa, ce l’hai in mano la borsa con dentro portafoglio e telefono, andiamo”
“Ma no! Questa è quella che uso ogni giorno, non vedi che non centra niente! Posso mai andare con la borsetta di pelle marrone nella borsa mare!”
“Ma certo che puoi” E con un sorriso le prende dalle mani la borsetta “da passeggio” di pelle, la infila nella borsa mare, prende il tutto e con ferma dolcezza accompagna Francesca fuori di casa, ignorando le sue proteste.
Francesca terrà un po' il muso ma pochi minuti dopo, incolonnati sulla litoranea, alla radio passeranno la sua canzone preferita, e ritroverà il sorriso.
Maria Lucrezia è una bella bambina bionda. E’ di Roma, ma è in vacanza dalla nonna a Gallipoli, e dopo un bagno nelle acque cristalline è seduta insieme al suo Papà sotto gli ombrelloni del bar del lido, mentre mangia un ghiacciolo al limone.
La radio trasmette il tormentone estivo, e c’è quell’aria di spensierata rilassatezza che si respira all’ombra dei bar della spiaggia.
Un’ape, attirata dal giallo zuccherino si poggia sul ghiacciolo di Maria Lucrezia, e la bambina, per nulla spaventata, come per gioco decide di scacciarla soffiandoci sopra con forza; così si riempie d’aria i polmoni per prepararsi al lungo soffio, e fa una profonda inspirazione.
Ma il destino, che ama mascherarsi da caso, opera nei dettagli.
E l’ape decide di prendere il volo proprio mentre la bambina sta facendo la sua profonda aspirazione; e la bella Maria Lucrezia insieme all’aria aspira anche l’ape, che nello scombussolamento del risucchio non capisce niente e la punge.
In gola.
La reazione al dolore della puntura è un forte colpo di tosse, che espelle l’ape.
Il tutto succede in una frazione di secondo, ma la situazione al bar della spiaggia è cambiata radicalmente: ora c’è una bimba bionda che tra tosse e lacrime cerca di spiegare all’attonito papà quello che è accaduto.
Ma la situazione cambia ancora: dopo ogni colpo di tosse la bambina ha sempre più difficoltà a parlare, e poco dopo inizia ad avere evidenti problemi di respirazione, come se stesse soffocando.
Il papà di Maria Lucrezia è un dottore, un anatomopatologo per la precisione, ed in un momento capisce quello che sta succedendo: per reazione alla punture, in qualche punto la gola della figlia si stava gonfiando, ostruendo fisicamente le vie di respirazione; l’ospedale più vicino è a Gallipoli, ma con le litoranee di Gallipoli intasate col traffico del 12 di agosto, non ci si potrebbe mai arrivare in meno di venti minuti, e la figlia non li ha venti minuti di tempo: ha bisogno di aria, subito.
Ognuno affronta le situazioni col suo bagaglio di esperienze e competenze.
Superman prenderebbe in braccio la figlia e volerebbe all’ospedale.
L’incredibile Hulk prenderebbe in braccio la figlia e spazzando via le macchine incolonnate correrebbe all’ospedale.
Un chimico magari mescolerebbe un antidoto con i prodotti del bar.
Io non lo so nemmeno che farei.
Il papà di Maria Lucrezia è chirurgo, e decide di praticare una tracheotomia d’urgenza: un’operazione salvavita che si studia sui manuali, che consiste nell’incidere la trachea al di sotto dell’ostruzione per permettere il passaggio dell’area verso i polmoni.
Ci sono racconti splatter di tracheotomie eseguite con le penne, usando la linguetta di metallo per incidere, e il cavo della penna come tubicino da inserire nel taglio per permettere il passaggio dell’aria.
Il papà di Maria Lucrezia vede la figlia che agonizza, e dopo aver avuto chiamato il 118 e aver avuto conferma dei tempi di intervento incompatibili con la situazione, con lucidità ed una freddezza incredibile individua sul bancone del bar gli strumenti della sua operazione disperata: vodka per disinfettare, il cavatappi per incidere e la cannuccia per far passare l’aria.
Guarda gli occhi terrorizzati della figlia che gli chiedono aiuto, e trova in se la forza di procedere con l’intervento più complicato della sua vita, il cui livello di difficoltà è estremizzato da un carico emotivo incomparabile.
Sta per dare disposizioni, quando dalla folla a cerchio intorno alla scena si sente una voce incerta: “Io ho il Bentelan”
Il Bentelan è un farmaco al cortisone, efficacissimo contro reazioni allergiche, schock anafilattici e gonfiori di varia natura: potrebbe essere la salvezza per Maria Lucrezia
Il papà si gira grato, con gli occhi pieni di speranza, mentre Francesca apre la cerniera interna della sua borsa da passeggio di pelle marrone, e gli porge un blister di compresse.
Il medicinale funziona, restituendo il respiro alla bambina ed evitandole la sgradevole situazione di farsi aprire la gola dal padre con un cavatappi sul tavolo di un bar spiaggia.
Di fatto salvandole la vita.
Maria Lucrezia è abbracciata al suo papà, immediatamente spossato dopo il calo della tensione e il repentino sollievo. “Non vi dico nemmeno cosa stavo per fare” dirà ai parenti a pericolo scampato, Poi a cena davanti ad una bottiglia di vino racconterà il suo piano basato su Vodka cannuccia e cavatappi.
Francesca invece scoppia in un pianto liberatorio che scioglie la tensione. “ Non la dovevo neanche prendere quella borsetta. Non la dovevo neanche prendere”
Marco è seduto ad un tavolino all’ombra un po' più indietro. Sorseggia una birra ed ha un sorriso indecifrabile.
Non aveva mai sentito nominare il Bentelan, così come non sapeva cosa fosse una borsetta coordinata, ma ripensa al momento in cui ha messo la borsetta da passeggio di pelle marrone nella borsa mare e ha spinto Francesca fuori di casa; non lo dice a nessuno, ma un po' si sente l’eroe della giornata.
Tutto quello che ci succede, tutte le nostre vite, sono il prodotto delle conseguenze di migliaia di dettagli insignificanti, la maggior parte dei quali indipendenti dalla nostra volontà.
C’è chi li chiama Caso.
A me piace pensare che ci sia Qualcosa dietro quell’inestricabile intrico di coincidenze, Qualcosa dotato di un grande senso dell’ironia.
E che si faccia un sacco di risate.
Il che, per come vedo io la faccenda, in un certo qual modo è consolante.
#StorieDaCaffè
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hellomavipitty · 3 years ago
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......LE LACERAZIONI INVISIBILI.......
(Lidia Ravera)
Una birra, due birre, tre birre… stonarsi. La musica ritma forte. Il nulla. Niente da pensare. Uhmf, uhmf, uhmf… Fianchi, gambe, braccia. Muoverli. Prima ci facevi caso. Ad essere invitante. Il tuo corpo, questo tabernacolo del tuo Dio, del tuo Io. Ballare. I ragazzi si avvicinano come le api al miele. Ronzano attorno a te. Ballando.
Uno. Ti sintonizzi facile. Non vedi neanche com’è. Braccia, gambe, fianchi, tutti vicini, tutti a ondeggiare sulla stessa base ritmica. Potente, ipnotica.
Ti ritrovi che lo stai baciando.
Bocca, lingua, mani. Ti ritrovi nel bagno chimico. Angusto. E’ un barcone sul Tevere, no? Non l’avevi davvero deciso, ma va bene lo stesso. Si fa. Quattro birre cinque birre sei birre… Poi c’è l’altro. Ma questo chi è? Non vorresti, ma ormai sei quella che ci sta. Braccia, gambe, cosce. Ti devi aprire. Ti apri. Non sarai mica una di quelle che “fanno storie”? Cedi, è meno complicato. Non vorresti, non così. C’è odore di disinfettante e di umori umani. Sei contro un muro, sei in terra. Poi tutto è finito e ti siedi in un angolo buio, il frastuono ti protegge. Ti metti a piangere, non ti sei divertita. Non li rivedrai mai più quei due che si sono introdotti dentro di te, svelti, spicci, senza parole.
Come la devi rubricare l’esperienza? Incidente sul luogo del divertimento? Errore tattico? Violenza sessuale? Mancanza di riguardo per te stessa?
Denunci il fatto, dici che sei stata violata. Il riscontro obbiettivo è contro di te: non ci sono lacerazioni. Cioè: le lacerazioni sono invisibili. Che cosa si è lacerato dentro di te, dentro di noi…
Perché è successo a tutte, sai? Prima o poi. Prima e poi.
E’ successo a tutte di aver dovuto arrivare un punto più in là, con uno, con due, di essere state forzate, usate, illuse e deluse.
Quando si fa in due il sesso è bellissimo. Piacere, intimità, condivisione. Ma non è sempre così, ormai. Non è così molto spesso. Sempre più spesso. La “liberazione” la stanno usando male, la stanno stravolgendo. Sempre più spesso non si è “in due”. Con gli stessi diritti, la stessa dignità. Tenerezza e sensualità.
Piacere reciproco.
C’è il grande “lui” e la piccola “lei”. La lei-cosa, lei-bambolina, lei-scarico. Si fa tutto nei bagni. Dove si va a liberarsi di umori eccedenti. E’ triste. Tutto qui. Non ho voglia di pontificare, di teorizzare.
Una ragazza dice no, una moglie si stanca del matrimonio, una che chattava con te non ha voglia di frequentarti di persona… e parte la violenza. Non quella “sessuale”, quella mortale. Botte, coltellate. E intanto, dai muri delle città e dei paesi, continuano a sorridere procaci e grintose quelle che “puoi montare senza pagare”, quelle che devono “scatenare la bestia che è in te”, quelle che “te la danno”, quelle che “te le fai”…
Non è nostalgia , no, non voglio la calzamaglia e il collettino abbottonato, la verginità e l’ipocrisia… però pulire i muri sì, far pulizia, sgombrare l’immaginario collettivo da tutti quei pezzi di carne…
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pizzetterosse · 3 years ago
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Tu da lontano come sei?
da lontano cessa, da vicino bagno chimico
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corallorosso · 5 years ago
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Salvini è ministro o proprietario di polizia e carabinieri? di Peppino Caldarola C'è un solo bagno chimico per 116 persone sulla Gregoretti. Il figlio di Matteo Salvini fa un giro sulla moto d’acqua della polizia. Un carabiniere viene ucciso a Roma indifeso perché ha «dimenticato», come cosa normale, la pistola d’ordinanza. Il capo della polizia dice che mancano oltre 20 mila posti in organico e che i migliori se ne stanno andando. È vero: in Italia c’è un allarme sicurezza che nasce dal fatto che questo Paese non è affidato in mani sicure. Al ministero dell’Interno c’è un personaggio che bada ai fatti suoi, che spreca denari di Stato per la sua personale caccia ai disgraziati del mare, che è osannato anche da poliziotti e carabinieri per le felpe che indossa ma che nulla fa per migliorare la loro vita né perché sia migliorata la loro preparazione professionale. Si dice: la gente vuole che sia così e appoggia Salvini. Ma quale gente? Ieri vicino a un negozio Natura sì di Prati, Roma, una vecchia signora spingeva un carrello pienissimo di cose, forse la scorta per l’intero mese. Un ragazzo di colore, che generalmente staziona davanti all’esercizio, si è offerto di spingere il carrello fino all’abitazione della signora che ha accettato. Alla scena ha assistito un uomo di 50 anni circa con due bambini che l’ha subito rimproverata mettendola in guardia dal pericolo rappresentato dal «negro». L’anziana signora gli si è piantata davanti e guardandolo negli occhi con grande serenità gli ha detto seccamente: «Io non la penso come lei». E se ne è andata col suo improvvisato tuttofare che 10 minuti dopo era davanti al negozio per raccattare altri spiccioli. Il mondo di Salvini esiste, è aggressivo, e, come si è visto dall’atteggiamento del signore di cui sopra, è sempre in servizio permanente effettivo. Sono i militanti dell’odio, futuri soldati della guerra civile italiana a cui rischia di portarci la politica del ministro dell’Interno. Però, ecco il gigantesco “però”, se Salvini sale nei sondaggi, cresce anche la popolazione che lo avversa e che lo contrasterà in ogni modo e disubbidirà alle sue idiozie razziste come quella gentile vecchia signora. In questo stato delle cose va detto che la denuncia di Franco Gabrielli, capo della polizia, e l’appello accorato del generale Giovanni Nistri al funerale del povero carabiniere, vanno apprezzati. Però devono sapere che il loro comportamento è al di sotto di quel che ci si attende da servitori dello Stato che rispettano il governo, gli obbediscono anche, ma che hanno il dovere di curare la collettività e non di occuparsi delle paturnie del ministro, della sua prole, dei suoi fanatici seguaci. Schiena dritta, please.
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strichinina · 6 years ago
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Tu che leggi per me 1984 di Orwell mentre facciamo il bagno e la nostra pelle profuma di yogurt alla pesca un po' troppo chimico e vapore acqueo. Io che ho paura di bagnare le pagine del tuo libro e per evitare di farlo mi muovo malamente dentro la vasca, scatenando invece tsunami attorno a noi e allagamenti sulle piastrelle del pavimento. Fuori è esplosa, da un paio di giorni, una primavera anticipata che il sole sulla tua campagna mette ancor più in risalto e noi due siamo carinissime mentre raccogliamo asparagi fuori stagione. Oggi sono 21 mesi insieme, una vita intera per la vecchia me troppo abituata al malamore e alla fuga. Eppure è così facile vivere in te, proprio come un battito di ciglia, che stento a crederci. Quasi quanto la cameriera del sushiwok, che tutte le volte si ritrova sbalordita a fare il conto delle pietanze sulla nostra lunghissima comanda, a fine pasto.
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levysoft · 6 years ago
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“È un’operazione complessa. Sulla Terra, ci vuole pochissimo tempo: mia moglie è meravigliata del fatto che impiego meno di un minuto per completarla. Sullo Space Shuttle, invece, ce ne mettevo trenta”. Parole di Mike Mullane, ex astronauta Nasa, tre volte a bordo dello Shuttle (1984, 1988 e 1990). Mullane non si riferisce a una passeggiata all’aperto, né alla preparazione di un sandwich – attività notoriamente facili a Terra e laboriose nello Spazio – ma a qualcosa di molto più prosaico. I pudichi statunitensi la chiamano “number two”, da noi diciamo “fare la cacca”. Comunque lo si voglia chiamare, e al netto di facili ironie, quello delle deiezioni spaziali è un problema scientifico piuttosto serio, tanto che la stessa Nasa, lo scorso anno, ha indetto un concorso mondiale per raccogliere le idee migliori per la raccolta e il riciclo delle feci umane a bordo della Stazione spaziale internazionale (lo Space Poop Challenge: ci torneremo tra poco).
Ecco tutto quello che dovete necessariamente sapere sull’argomento.
Un po’ di storia La prima missione spaziale abbastanza lunga da costringere gli scienziati a pensare al problema del number two fu la Gemini 5, prima vera missione a lungo terminedell’agenzia spaziale americana. Nell’agosto 1965 gli astronauti Gordon Cooper ePete Conrad trascorsero otto giorni in orbita, conducendo vari test sulla capsula, che sarebbero dovuti servire a preparare le missioni Apollo verso la Luna. Nonostante il regime alimentare estremamente rigido cui erano sottoposti, studiato appositamente per minimizzare i movimenti intestinali, Cooper e Conrad defecarono quattro volte durante la missione, servendosi di un rudimentale sistema di contenimento delle feci (defecation device, se preferite). Si trattava di una busta cilindrica lunga circa trenta centimetri, con un’apertura di quattro centimetri coperta da un adesivo removibile (per farla aderire alle natiche), da usare in combinazione con un additivo chimico per uccidere i batteri e neutralizzare gli odori. Il sistema di contenimento non poteva essere buttato via, naturalmente: gli astronauti furono costretti a tenere nella capsula le buste usate e riportarle con sé sulla Terra.
Questione di gravità Non c’è solo il problema del dove. C’è anche il problema del come. Defecare in assenza di gravità (più precisamente: in condizioni di microgravità) è tutt’altro che semplice, perché non c’è alcuna forza che aiuta la separazione e la caduta delle feci: per ovviare a questo problema, il dispositivo di contenimento fecale fu dotato di una piccola estensione che aiutava gli astronauti con la separazione. Non provate a parlare di privacy: la cabina di Gemini 5 era poco più grande dell’abitacolo di un’utilitaria, per cui bisognava – letteralmente – farlo l’uno di fronte all’altro.
Sulle missioni Apollo le cose andarono più o meno allo stesso modo: l’astronauta si spostava, alla bisogna (e al bisogno) in un angolo, e i suoi colleghi si muovevano verso l’angolo opposto, che comunque era a pochi metri di distanza. A questo proposito è interessante citare quello che passò alla storia come mistero dell’escremento flottante.
Da una conversazione avvenuta a bordo dell’Apollo 10: Lunar Module Pilot Gene Cernan: “E quello da dove viene?” Commander Tom Stafford: “Dammi un fazzoletto, veloce. C’è un escremento che galleggia in aria” Command Module Pilot John Young: “Non sono stato io. Non è uno dei miei” Lunar Module Pilot Gene Cernan: “Non penso sia uno dei miei” Commander Tom Stafford: “I miei erano un po’ più appiccicosi. Buttalo via” Command Module Pilot John Young: “Dio onnipotente” Tutti: risate.
Migliorie su migliorie Dopo la disavventura dell’Apollo, racconta Donald Rethke, ex ingegnere di Hamilton-Standard, azienda all’epoca a contratto con la Nasa per lo sviluppo di sistemi per il supporto vitale in orbita, gli astronauti pretesero dei gabinetti su cui ci si potesse sedere. Una zero-gravity toilet. Furono proposti vari prototipi: un modello di gabinetto verticale, attaccato al muro; una sorta di aspirapolvere da far aderire all’ano; e persino un frullatore per polverizzare le feci (che però avrebbe avuto l’effetto collaterale di innescare potenziali diffusioni di impalpabili polveri fecali nella cabina). Tutti scartati, per un motivo o per un altro: il primo modello veramente funzionante fu quello a bordo dell’Atlantis e del Discovery. Si trattava di un sedile con una piccola apertura: una volta che l’utilizzatore vi si accomodava, tappandola completamente, tirava una leva aprendo la superficie inferiore del sedile (mai farlo prima: si sarebbero librati nell’aria i resti lasciati dall’utilizzatore precedente). Una ventola posta nel sedile aiutava ad aspirare le feci, e probabilmente a coprire i rumori molesti. Tempo totale richiesto per l’operazione: circa 30 minuti.
Sulla Stazione spaziale internazionale Sulla Iss, le cose non sono cambiate poi molto. Come ha spiegato Samantha Cristoforetti, al centro del bagno della Iss c’è un piccolo seggiolino che poggia su un contenitore grigiastro, cui è fissato un sacchetto usa e getta. Gli astronauti se ne servono per il number two (c’è chi preferisce farlo stando seduto, chi ha confessato di trovarsi meglio in piedi), poi lo sigillano e lo ripongono nel contenitore, avendo cura di prepararne un altro per il prossimo ospite. A sua volta, il contenitore viene svuotato ogni dieci giorni circa; i rifiuti sono poi espulsi dalla Stazione spaziale e si disintegrano bruciando nell’atmosfera.
La Space Poop Challenge Arriviamo infine alla Space Poop Challenge. Trattasi, come vi avevamo raccontato, di un concorso indetto lo scorso anno dalla Nasa per raccogliere idee su come gestire i bisogni fisiologici nello Spazio. In particolare, l’agenzia spaziale americana aveva chiamato a raccolta appassionati e innovatori per creare soluzioni per la gestione di urina, feci e flussi mestruali, da integrare nelle tute spaziali a lunga tenuta usate durante i lanci, i rientri e le attività extraveicolari. Il vincitore fu Thatcher Cardon, medico dell’aeronautica statunitense, che propose “un’idea basata sulle più moderne tecniche chirurgiche laparoscopiche, fornendo prototipi di diversi progetti e dimostrazioni dettagliate”.
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hellomavipitty · 3 years ago
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My Top Posts in 2021
#5
I've been hiding for so long
These feelings, they're not gone
Could I tell anyone?
Afraid of what they'll say
So I push them away
I'm acting so strange
They're so pretty, it hurts
I'm not talking 'bout boys
I'm talking 'bout girls
They're so pretty with their button-up shirts
I shouldn't be feeling this
But it's too hard to resist
Soft skin and soft lips
I should be into this guy
But it's just a waste of time
He's really not my type
I know what I like
No, this is not a phase
Or a coming of age
This will never change
They're so pretty, it hurts
I'm not talking 'bout boys
I'm talking 'bout girls
They're so pretty with their button-up shirts
3 notes • Posted 2021-06-05 17:09:32 GMT
#4
Tumblr media
Good luck
3 notes • Posted 2021-01-06 14:36:34 GMT
#3
......LE LACERAZIONI INVISIBILI.......
(Lidia Ravera)
Una birra, due birre, tre birre… stonarsi. La musica ritma forte. Il nulla. Niente da pensare. Uhmf, uhmf, uhmf… Fianchi, gambe, braccia. Muoverli. Prima ci facevi caso. Ad essere invitante. Il tuo corpo, questo tabernacolo del tuo Dio, del tuo Io. Ballare. I ragazzi si avvicinano come le api al miele. Ronzano attorno a te. Ballando.
Uno. Ti sintonizzi facile. Non vedi neanche com’è. Braccia, gambe, fianchi, tutti vicini, tutti a ondeggiare sulla stessa base ritmica. Potente, ipnotica.
Ti ritrovi che lo stai baciando.
Bocca, lingua, mani. Ti ritrovi nel bagno chimico. Angusto. E’ un barcone sul Tevere, no? Non l’avevi davvero deciso, ma va bene lo stesso. Si fa. Quattro birre cinque birre sei birre… Poi c’è l’altro. Ma questo chi è? Non vorresti, ma ormai sei quella che ci sta. Braccia, gambe, cosce. Ti devi aprire. Ti apri. Non sarai mica una di quelle che “fanno storie”? Cedi, è meno complicato. Non vorresti, non così. C’è odore di disinfettante e di umori umani. Sei contro un muro, sei in terra. Poi tutto è finito e ti siedi in un angolo buio, il frastuono ti protegge. Ti metti a piangere, non ti sei divertita. Non li rivedrai mai più quei due che si sono introdotti dentro di te, svelti, spicci, senza parole.
Come la devi rubricare l’esperienza? Incidente sul luogo del divertimento? Errore tattico? Violenza sessuale? Mancanza di riguardo per te stessa?
Denunci il fatto, dici che sei stata violata. Il riscontro obbiettivo è contro di te: non ci sono lacerazioni. Cioè: le lacerazioni sono invisibili. Che cosa si è lacerato dentro di te, dentro di noi…
Perché è successo a tutte, sai? Prima o poi. Prima e poi.
E’ successo a tutte di aver dovuto arrivare un punto più in là, con uno, con due, di essere state forzate, usate, illuse e deluse.
Quando si fa in due il sesso è bellissimo. Piacere, intimità, condivisione. Ma non è sempre così, ormai. Non è così molto spesso. Sempre più spesso. La “liberazione” la stanno usando male, la stanno stravolgendo. Sempre più spesso non si è “in due”. Con gli stessi diritti, la stessa dignità. Tenerezza e sensualità.
Piacere reciproco.
C’è il grande “lui” e la piccola “lei”. La lei-cosa, lei-bambolina, lei-scarico. Si fa tutto nei bagni. Dove si va a liberarsi di umori eccedenti. E’ triste. Tutto qui. Non ho voglia di pontificare, di teorizzare.
Una ragazza dice no, una moglie si stanca del matrimonio, una che chattava con te non ha voglia di frequentarti di persona… e parte la violenza. Non quella “sessuale”, quella mortale. Botte, coltellate. E intanto, dai muri delle città e dei paesi, continuano a sorridere procaci e grintose quelle che “puoi montare senza pagare”, quelle che devono “scatenare la bestia che è in te”, quelle che “te la danno”, quelle che “te le fai”…
Non è nostalgia , no, non voglio la calzamaglia e il collettino abbottonato, la verginità e l’ipocrisia… però pulire i muri sì, far pulizia, sgombrare l’immaginario collettivo da tutti quei pezzi di carne…
Tumblr media
9 notes • Posted 2021-08-12 07:47:42 GMT
#2
Tumblr media
E ora diamoci alla pazza noia.
15 notes • Posted 2021-06-05 15:30:39 GMT
#1
Tumblr media
22 notes • Posted 2021-02-09 18:02:59 GMT
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giorginodj69 · 3 years ago
Photo
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Reposted from @ricettedelcuoreblog Buongiorno 😃 che programmi avete per oggi? Io in realtà sto lavorando 😅 ma non potevo non condividere con voi questa deliziosa 🤤 TORTA DELLA NONNA AL CIOCCOLATO BIANCO 😊 Ingredienti per la frolla • 290 g Farina 00 • 80 g Zucchero • 2 Uova (medie) • 80 g Olio extravergine d’oliva (oppure di olio di semi di girasole) • 5 g Lievito chimico in polvere (circa 1 cucchiaino) • 1 pizzico Sale Ingredienti per la crema al cioccolato bianco • 500 ml Latte • 150 g Cioccolato bianco • 100 g Zucchero • 40 g Farina • 2 Uova • 1 pizzico Baccello di vaniglia Per decorare: • 30 g pinoli o scaglie di mandorla • q.b. Zucchero a velo Preparazione Mettete il cioccolato bianco in pezzi in un pentolino e fatelo sciogliere a bagno-maria. Fate scaldare il latte con 1 pizzico di semi di vaniglia. Mettete uova , zucchero e farina in un pentolino e mescolate velocemente, versate il latte caldo e il cioccolato fuso e mescolate velocemente. Portate sul fuoco e mescolate fino a quando si addensa, lasciate raffeddare. Preparate la frolla, mettete in una ciotola le uova con lo zucchero e l’olio e mescolate, aggiungete la farina e il lievito e lavorate velocemente fino a formare un panetto, dividetelo in 2 e stendete la base, sistematela nello stampo, bucherellate il fondo e versate la crema, livellate e stendete il secondo strato sistematelo sopra la crema. Sigillate i bordi e mettete sopra le scaglie di mandorla o i pinoli. Infornate a 180°, forno statico preriscaldato per circa 30 minuti. Sfornate, lasciate raffreddare e spolverizzate con zucchero a velo. Mangiatela il giorno successivo per apprezzare appieno i sapori. https://www.instagram.com/p/CT17neKAYuZ/?utm_medium=tumblr
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