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Presunta scomparsa di Harlan Coben: il ritorno di Myron Bolitar tra misteri, intrighi e colpi di scena. Recensione di Alessandria today
Harlan Coben ci trascina in un thriller mozzafiato dove nulla è come sembra
Harlan Coben ci trascina in un thriller mozzafiato dove nulla è come sembra “Presunta scomparsa”, di Harlan Coben, è un thriller che segna uno dei primi successi del celebre personaggio Myron Bolitar, un ex campione di basket con un passato nell’FBI, ora agente sportivo. Pubblicato in formato Kindle, il romanzo si immerge in una vicenda piena di colpi di scena, intrecciando passioni, segreti e…
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Shenmue: l’anime arriverà nel 2022, ecco il primo trailer
La serie tratta dalla celebre saga di videogiochi creata da Yu Suzuki sarà composta da 13 episodi.
In occasione di un panel presso il New York Comic Con di quest’anno, Crunchyroll e Adult Swim hanno svelato un primo trailer di “Shenmue The Animation”, l’attesa serie animata basata sulla storica saga videoludica lanciata da SEGA a fine anni ‘90.
L’anime sarà composto in tutto da 13 episodi e verrà trasmesso globalmente in streaming nel corso del 2022.
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Con il trailer è stata anche presentata una nuova locandina ufficiale della serie.
L’adattamento è diretto da Chikara Sakurai (One Punch Man 2, Majimoji Rurumo) presso gli studi TELECOM ANIMATION FILM (Lupin III - Ritorno alle origini, Tower of God) e Yuu Suzuki in persona, il director del videogioco, partecipa al progetto in qualità di produttore esecutivo.
Un racconto di vendetta. Nel 1986, il giovane praticante di jujutsu Ryo Hazuki torna nel dojo del padre, Iwao Hazuki, e si ritrova ad assistere al suo assassinio per mano di un uomo cinese, Lan Di. Questi ruba poi un misterioso manufatto noto come specchio del Drago. Ryo giura di vendicare la morte del padre e si mette sulle tracce di Lan Di.
Pubblicati originariamente per Dreamcast nel 1999 e nel 2001, “Shenmue I” e “Shenmue II” sono due giochi di avventura e azione ambientati in un mondo aperto che unisce combattimenti di arti marziali, indagini, elementi GDR e incredibili minigiochi. Hanno gettato le basi per molti aspetti dei videogiochi moderni, tra cui l'esplorazione libera delle città, e inventato i Quick Time Event (QTE). Sono stati tra i primi giochi a offrire un mondo aperto realistico in cui si alternano il giorno e la notte, le condizioni atmosferiche cambiano, i negozi aprono e chiudono e i PNG portano avanti le loro vite. La storia epica e coinvolgente e il mondo vivo hanno prodotto una generazione di fan appassionati, e la serie fa parte di tutte le liste dei migliori videogiochi di tutti i tempi.
Annunciato all’E3 del 2015 e finanziato tramite una campagna di crowdfunding, “Shenmue III” è stato pubblicato per PC e PS4 il 19 novembre 2019, vedendo la luce ben 18 anni dopo il secondo capitolo della serie.
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Autore: SilenziO)))
[FONTE]
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The Outer Worlds: Assassinio su Eridano è un giallo interstellare, disponibile a breve
The Outer Worlds: Assassinio su Eridano è un giallo interstellare, disponibile a breve
Il secondo DLC di The Outer Worlds sarà disponibile in settimana e ci chiederà di risolvere un misterioso omicidio. Assassinio su Eridano è un giallo interstellare! (more…)
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IL GRANDE GATSBY
Francis Scott Fitzgerald, 1925
Se si dovesse definire con un solo aggettivo “Il grande Gatsby”, si potrebbe utilizzare il termine “Romantico”: “Nessun fuoco e nessuna freschezza possono sfidare ciò che un uomo è capace di immagazzinare tra gli spettri del suo cuore”.
Sin dall’inizio della comparsa di Gatsby nel romanzo, un alone di mistero avvolge la sua figura: c’è chi lo crede contrabbandiere e autore di un assassinio, chi lo crede una ex spia tedesca durante la guerra, chi invece crede che fosse nell’esercito americano durante la guerra. “Il fatto che girassero tante voci su di lui da parte di chi aveva trovato poco su cui far girare voci era la prova delle congetture romantiche che Gatsby sapeva ispirare”, scrive il narratore. Ma poco misterioso è quanto accade nella vita di Gatsby nel 1917: costui si innamora profondamente della più famosa ragazza di Louisville, Daisy, con la quale vive una storia d’amore. Questo amore, che dura un mese soltanto, è molto ingigantito dalla fede di Gatsby, al punto che egli trascorre gli anni che seguono la fine della storia con Daisy senza abbandonare la speranza di poterla incontrare nuovamente un giorno, illudendosi di poter rivivere il sogno di quell’amore. Non a caso, come svelerà una delle protagoniste del romanzo quando spiegherà dove risiede la dimora di Gatsby, “Gatsby ha comprato quella casa perché Daisy fosse proprio dall’altra parte della baia”. Quest’uomo innamorato e dedito a ricostruire l’illusione di un sogno, trascorre ore intere nel cuore della notte a guardare “una luce verde, minuta e lontana” proveniente proprio dalla casa della donna che porta nel cuore dal 1917: come si legge nel romanzo “Gatsby credeva nella luce verde, nel futuro orgastico che anno dopo anno si ritira davanti a noi”.
Nell’estate del 1922, in cui si svolge la storia raccontata nel romanzo, Gatsby e Daisy si incontrano dopo cinque anni, ed è proprio il loro incontro la scena preferita dell’autore: in un cuore illuso e devoto non bastano cinque anni di vita per cancellare l’amore di un mese. Gatsby aspetta Daisy ansioso e preoccupato, ma quando la vede non smette un solo istante di guardarla. “Dopo l’imbarazzo e la gioia irragionevole, adesso era consumato dalla meraviglia per la presenza di Daisy. Si era nutrito di quell’idea a lungo, l’aveva sognata fino in fondo, attesa a denti stretti, per così dire, fino a un acme di intensità inconcepibile”.
I due protagonisti riscoprono i sentimenti che avevano vissuto in passato; trovarsi e ritrovarsi induce Gatsby a desiderare che Daisy confessi a suo marito di non averlo mai amato, ma alla fine decide di affrontare egli stesso il suo rivale in amore.
Gli eventi di quell’estate si concludono in modo funesto, tanto da poter definire questo romanzo non solo romantico, ma anche impressionista, allusivo, vago, tragico. Fitzgerald stesso definisce “Il grande Gatsby” come “il miglior romanzo americano che mai sia stato scritto”, e dopo il 1960 entra tra i capolavori della letteratura americana.
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‘Che disastro di commedia’, rocambolesco noir al Teatro Augusteo con effetto sorpresa
#ILMONITO
Napoli, 28 ott. – Ha debuttato lo scorso 25 ottobre al Teatro Augusteo di Napoli la commedia intrisa di umorismo inglese che ha conquistato l’Europa. Rocambolesca, sorprendente, “Che disastro di commedia”, piace al pubblico napoletano che ne comprende i giochi sottili di gag. La commedia sociale inglese trae spunto da un topos farsesco tipico anche di Petito. Sette attori in scena cominciano ad interagire col pubblico prima che inizi fattivamente lo spettacolo. Nessuno si accorge però di quel che accade. Un’apparente normalità cela l’essenza della commedia: smontare tutti gli schemi fino a rendere il disastro qualcosa di eccezionale. Battute, personaggi e scene vengono letteralmente fatte a pezzi dagli attori che si muovono sul palcoscenico come stuntman tra effetti a sorpresa e risate. Un dramma noir, un assassinio degno di Agatha Cristie o Scherlock Holmes, diventa ghiotto per un pubblico trasversale: grandi e piccini si stupiscono per quanto accade con la piéce londinese tradotta già in 20 lingue e replicata in Italia per il quarto anno consecutivo.
Alessandro Marverti, Yaser Mohamed, Marco Zordan, Luca Basile, Viviana Colais, Stefania Autuori, Valerio Di Benedetto, e Gabriele Pignotta giocano con battute lanciate sul palcoscenico ad effetto domino.
Sono loro le mani che “scompongono” il copione da mettere in scena con la compagnia amatoriale che tenta di produrre un ambizioso spettacolo che ruota intorno a un misterioso omicidio perpetrato negli anni ’20, nel West End.
Il canovaccio delle battute diventa il cubo di Rubik colmo di rompicapi da risolvere.
La piéce permette agli attori di ruotare sulla scena con tutte le facce ambivalenti che rappresentano il loro personaggio, così da mescolare in modo a volte indipendente, a volte interconnesso, tutti i colori dello spettacolo diretto da Mark Bell.
Gli attori del cast sono acrobati e il loro fare scenico crea una sinergica danza con la scenografia pensata per farsi e disfarsi secondo il piacimento di una estemporanea regia concepita dalle platee come un continuo work in progress.
’Che disastro di commedia’, fonda il suo successo sulla meraviglia inaspettata ed ha ragion d’essere annoverato tra gli spettacoli teatrali pluripremiati, alla luce della trappola di spirito che di volta in volta cattura ogni tipologia di spettatore.
Il noir si “tira al lucido” per Napoli, guadagnandosi anche all’Augusteo applausi e consensi a scena aperta.
L'articolo ‘Che disastro di commedia’, rocambolesco noir al Teatro Augusteo con effetto sorpresa di Pina Stendardo
source http://www.ilmonito.it/che-disastro-di-commedia-rocambolesco-noir-al-teatro-augusteo-con-effetto-sorpresa/
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Calcio, crisi senza fine per il Diavolo. Dall’ultimo Berlusconi al fondo Elliott passando per il cinese: un disastro continuo
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/calcio-crisi-senza-fine-per-il-diavolo-dallultimo-berlusconi-al-fondo-elliott-passando-per-il-cinese-un-disastro-continuo/
Calcio, crisi senza fine per il Diavolo. Dall’ultimo Berlusconi al fondo Elliott passando per il cinese: un disastro continuo
Calcio, crisi senza fine per il Diavolo. Dall’ultimo Berlusconi al fondo Elliott passando per il cinese: un disastro continuo
Milan, al peggio non c’è mai fine. E’ così dal gennaio del 2012: era ancora la gloriosa era belusconiana e Galliani, all’epoca amministratore delegato rossonero, fece di tutto per portare Tevez alla corte di Massimiliano Allegri al posto dello spento Pato, allora fidanzato di Barbara Berlusconi. E il Cavaliere, per accontentare la figlia preferì tenere il brasiliano dicendo no all’attaccante argentino che in un secondo momento fece le fortune della Juve. Cuore di papà. Il Milan di Thiago Silva e Zlatan Ibrahimovic era campione d’Italia in carica e si apprestava a vincere il secondo titolo di fila. E invece alla fine il tricolore lo vinse la Juventus di Antonio Conte che inaugurò l’era del dominio bianconero; un dominio che dura ancora oggi. Nell’estate del 2012 poi per motivi di bilancio, Berlusconi fu costretto a cedere al Paris Saint Germain sia Thiago che Ibra. L’inizio della fine. Da quel momento solo disastri rossoneri a suon di esoneri di allenatori. E’ lungo l’elenco delle teste cadute: Allegri, Seedorf, Pippo Inzaghi, Mihajlovic, Brocchi, Montella, Gattuso e ora Giampaolo. Otto, ben otto, allenatori cambiati in 5 anni. Un record. Peraltro, Giampaolo cacciato dopo soli 7 turni di campionato e dopo una vittoria, 2-1 in casa del Genoa sabato scorso. E’ un record anche questo.
Mercoledi 9 ottobre, Stefano Pioli diventerà ufficialmente il nuovo allenatore del Milan, l’ennesimo. Nella serata di martedì il tecnico emiliano ha raggiunto Milano per firmare il contratto che lo legherà ai rossoneri. Tutto questo, dopo che il club ha provato ripetutamente a ingaggiare Luciano Spalletti il quale però non ha trovato l’accordo con l’Inter per la giusta buonuscita (il tecnico di Certaldo infatti è ancora sotto contratto con i nerazzurri dopo l’esonero che ha aperto le porte a Conte). Pioli, ex allenatore di Lazio, Inter e Fiorentina, firmerà un biennale da 1,5 milioni di euro. Il paradosso? I tifosi del Milan, sui social e non solo, sono furiosi per la nuova scelta della società. Non volevano più l’inadeguato Giampaolo, ma, al suo posto avrebbero preferito un tecnico di gran lunga superiore all’allenatore nato a Bellinzona. Uno Spalletti, un Garcia, un Wenger, magari pure un Ranieri. Un’altra mazzata dunque dopo l’umiliazione dell’esclusione dalle Coppe europee per violazione del financial fair-play Uefa.
Milan barzelletta d’Italia con la fine dei fasti firmati Berlusconi. Era il 13 aprile 2017, sembrava l’inizio della rinascita alla luce dei problemi economici del gruppo Fininvest. Ma il passaggio di proprietà dal Cavaliere al parvenu cinese Yonghong Li ha solo aggravato la situazione; anche perchè per rilevare il club, il misterioso cinese chiese aiuto (cioè soldi in prestito) al fondo americano Elliott. L’hedge fund di Paul Singer prestò last minute a Yonghong Li 303 milioni di dollari. Per la precisione, 180 a Li (con un tasso dell’11,5%) e 123 alla società rossonera (con un tasso del 7,7%). Garanzia del buffo? Tutte le azioni milaniste. Così, nel luglio del 2018, Elliott divenne il nuovo proprietario avendo proceduto all’escussione del pegno detenuto per l’inadempimento da parte del cinese “sòla”. Una gestione cinese peraltro devastata dall’incompetenza della coppia Fassone-Mirabelli, il gatto e la volpe. E oggi aggravata dalla confusione che avvolge la coppia Boban-Maldini. In confusione anche il direttore sportivo Massara e soprattutto il presunto super manager greco Gazidis, amministratore delegato che guadagna ben 4 miliardi di euro lordi all’anno. Senza dimenticare il presidente Scaroni, uno che nel luglio del 1992, in piena Tangentopoli, fu arrestato con l’accusa di aver pagato tangenti al PSI di Craxi per la centrale elettrica di Brindisi, per conto della Techint di cui era amministratore delegato. Al processo patteggiò la pena, 1 anno e 4 mesi.
I retroscena. Al termine della stagione 2018-2019 Gattuso, stufo del caos societario capitanato dall’altro fenomeno Leonardo, mandò tutti al diavolo e si dimise senza nulla a pretendere. Lasciò parecchi soldi nelle casse rossonere, pretendendo, da autentico signore quale è, solo il pagamento del suo staff. A quel punto, via anche Leonardo (tornato al Psg) e spazio all’inesperta coppia Boban-Maldini. I due decisero di affidare la squadra a Giampaolo, un tecnico provinciale da provincia, non da grandi piazze. Boban si pentì quasi subito, mentre Maldini provò a difendere fin dal primo momento l’allenatore scelto. Pertanto, un amore mai sbocciato quello tra Giampaolo e il Diavolo. Il resto è storia recente. Il capitano della squadra Romagnoli, 20 giorni fa, si presenta ai dirigenti chiedendo di cacciare Giampaolo per richiamare Gattuso. Il figlio di Boban sui social scrive che il problema non sono i calciatori ma il tecnico, e il padre non lo smentisce, nè lo rimprovera per un’uscita fuori luogo. Giampaolo sulla graticola fin dalla prima giornata di campionato e sfiduciato prima ancora di essere esonerato. Assurdi i contatti con Spalletti e Pioli prima del licenziamento ufficiale dell’ex trainer della Samp e dopo la vittoria di Genova contro i rossoblù. Un teatrino che da anni umilia i tifosi rossoneri. E al peggio non c’è mai fine perchè il Fondo americano ha toccato il fondo e continua a scavare. D’altronde, a Elliott non frega nulla dell’aspetto tecnico, interessa solo il bilancio: plusvalenze e cessioni importanti per vendere il club. Elliott non punta a vincere le partite, ma, a trovare un acquirente per liberarsi di questo peso. Povero Diavolo.
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Autenticato come Ennio. Uscire?
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Commenti Autori Quella foto non stravolga la cronaca di un assassinio Commenti Autori BRACCIO DI FERRO NEL GOVERNO. La febbre propagandistica di Salvini contro il rispetto delle regole istituzionali di Conte Commenti Autori IL «PROCESSO» A SALVINI/ L’Italia lacerata tra veri garantisti e falsi giustizialisti, e tra veri giustizialisti e falsi garantisti
Milan, al peggio non c’è mai fine. E’ così dal gennaio del 2012: era ancora la gloriosa era belusconiana e Galliani, all’epoca amministratore delegato rossonero, fece di tutto per portare Tevez alla corte di Massimiliano Allegri al posto dello spento Pato, allora fidanzato di Barbara Berlusconi. E i…
Fabio Camillacci
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Il misterioso assassinio della bella influencer L’ultima volta che i suoi followers avevano interagito con lei era stato in occasione di un viaggio che la bella influencer Ekaterina Karaglanova aveva fatto in Grecia, a Oia Santorini per visitare un resort da mostrare poi a chi la seguiva.
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“Nella difettosa esecuzione del piano ben disposto dell'universo raramente l'invito provoca l'arrivo di chi si invoca; raramente si incontra l'uomo da amare, quando viene l'ora per l'amore. La natura non dice troppo spesso "guarda" alla povera creatura nel momento in cui il guardare potrebbe portare a una lieta conclusione, nè risponde "qui" alla carne che grida "dove?"; finché tutto questo nascondersi e cercarsi diventa un gioco penoso senza mordente.
(...) la controparte assente, vagando indipendentemente per la terra, aspetta in crassa ottusità un tempo che giungerà sempre troppo tardi.”
Metafisica della brughiera dove gli uomini sono fantasmi di P. Citati
“In apparenza, la natura e i capolavori di Thomas Hardy obbediscono alla forza del ciclo. «Sopraggiunse — racconta Tess dei d’Urberville — una primavera particolarmente bella, e il tumulto della germinazione divenne quasi udibile nelle gemme: esso mosse Tess come muoveva gli animali selvaggi e la rese impaziente di partire. I raggi dell’aurora facevano sbocciare le gemme, prolungandole in lunghi steli, sollevavano le linfe in silenziose correnti, aprivano i petali, succhiandone fuori i profumi in getti e respiri invisibili». La vita trionfale della natura era evidente in tutto ciò che esisteva di minuzioso, minuscolo e molecolare: le nebbie di polline sollevate dalle erbe succose, la policromia delle erbacce, le gommosità vegetali, le lebbrosità vischiose, le ondulazioni delle ragnatele, il luccichio delle zanzare vaganti. Dovunque, in ogni punto, c’era gioia e felicità che poteva riempire il cuore anche di chi, come Tess, era condannata all’estrema sventura.
D’estate il sole splendeva nella brughiera, e pareva che incendiasse, rendendola scarlatta, la fioritura dell’erica. Era l’unica stagione dell’anno in cui la brughiera assumeva un aspetto sfarzoso. L’aria palpitava in silenzio, opprimendo la terra che sembrava sfinita. Il cielo era di un color violetto dai riflessi quasi metallici. Nel fango si potevano scorgere distintamente le forme, simili a larve, di innumerevoli esseri senza nome, che ne emergevano e si rituffavano, ebbri di piacere. Non si vedeva in giro anima viva, sebbene le note rauche e intermittenti delle cavallette, che uscivano da ogni ciuffo d’erica, bastassero a dimostrare che, mentre gli animali più grandi dormivano, tutto un mondo invisibile di insetti si agitava nella pienezza della vita. In quell’atmosfera, più greve di un narcotico, i merli e i tordi non aprivano le ali, ma si trascinavano come quadrupedi nella polvere. Esisteva un’altra stagione: quella indeterminata della brughiera. Essa era sempre fosca e cupa. Col suo colore aggiungeva un’ora e mezza alla sera: faceva ritardare l’alba, attenuava lo splendore del mezzogiorno, anticipava il cipiglio dei temporali, rendeva più intensamente opaca la profonda notte senza luce, causando uno sbigottito terrore. Mentre le altre cose si immergevano nel sonno, pareva che la brughiera si destasse lentamente mettendosi in ascolto. Aveva atteso, così immota, attraverso le crisi di tanti anni, che poteva attendere un’ultima crisi: lo sconvolgimento finale. Aveva qualcosa di maestoso, ma non scostante, che colpiva senza ostentazione: vigoroso nei suoi richiami, grandioso nella sua semplicità. Era gigantesco e misterioso nella sua tetra monotonia. Come accade a persone vissute a lungo isolate, un senso di solitudine pareva emanare dal volto della brughiera, che faceva pensare a tragiche possibilità. Queste possibilità erano rivelate dalle vampate di rosso che attraversano tutti i libri di Hardy: fiamme, piccoli e grandi falò, incendi, oppure un misterioso venditore, col volto e le vesti tinte d’ocra, che percorreva le colline del Wessex. Nella fattoria di Flintcomb-Ash si rivelava la desolazione dell’inverno. Non c’era un solo albero in vita né un solo tocco verde: null’altro che terra incolta e distese di rape, in vasti campi divisi da siepi intrecciate con monotonia. Le spine delle siepi avevano abbandonato l’aspetto vegetale per assumerne uno animale. Su quella desolazione giunse un incantesimo di gelo secco, in cui strani uccelli sopravvenuti da regioni oltre il polo australe cominciavano ad arrivare silenziosamente sull’altopiano: magre creature spettrali dagli occhi tragici, occhi che avevano contemplato scene di cataclismi in regioni polari inaccessibili, di un’immensità inconcepibile agli esseri umani, in temperature raggelanti che nessun uomo poteva sopportare; occhi che avevano veduto l’urto degli icebergs e lo smottamento di colline di neve alla luce delle aurore boreali. Dovunque Hardy e i suoi personaggi guardassero, perfino nell’incantevole primavera, non scorgevano che sventura. La natura stessa era intessuta di sciagure: non solo umane, ma animali e vegetali. Fuggendo, Tess si nascose tra il fogliame di alcuni cespugli di agrifoglio, dove cadde nel sonno. Mentre dormiva, le pareva di udire strani rumori: forse era il vento, benché l’aria fosse quasi immobile. Talvolta sembrava un palpito, talvolta uno sbatter d’ali, talora una sorta di respiro affannoso e di gorgoglio. La mattina Tess uscì alla luce. Allora comprese cosa l’aveva disturbata. Sotto gli alberi giacevano parecchi fagiani: alcuni torcevano debolmente un’ala, alcuni fissavano con occhi sbarrati il cielo, altri erano scossi da un palpito febbrile, altri giacevano contorti, altri ancora distesi: tutti tremavano di sofferenza, all’infuori di quei fortunati che erano morti durante la notte per l’impossibilità di sopportare più oltre il dolore. Questa era la natura: ferite, crudeltà, strazio, assassinio, che essa sembrava infliggere a se stessa, servendosi di qualsiasi strumento. Sopra la natura stava qualcosa di inattingibile: un Dio, un Potere, gli Immortali, o il Presidente degli Immortali, come diceva Eschilo, o il Destino. Non aveva nessuna importanza come gli uomini si comportassero: se fossero virtuosi o peccatori, o peccassero solo per inavvertenza. Lassù, il Destino o gli Immortali condannavano senza motivo, preparando per l’uno la facile strada che portava senza fatica tra i beati, e per l’altro il sentiero che conduceva, in vita, tra i tormenti più atroci. Gli uomini, come Tess dei d’Urberville, chiedevano giustizia, grazia, bontà, remissione, pace: o almeno riposo; nulla veniva concesso loro, perché gli Immortali e il Destino continuavano a divertirsi alle loro spalle. In un romanzo di Hardy il Destino agisce come un fabbro macchinoso e malvagio, ribadendo una catena di piccoli fatti assurdi, di coincidenze miracolose, di avvenimenti e di persone che ritornano, di segni uniformemente negativi. Il primo anello della catena di Tess sembra innocente: quando un parroco rivela a un contadino del Wessex che egli discende dai potenti cavalieri dei d’Urberville che dormono inconsapevoli, sotto alti baldacchini di marmo, nella navata della chiesa di Kingsbere. Questa rivelazione deve svegliare una bizzarra collera nelle nuvole sopra le quali ha preso posto Hardy, se, a partire da questo momento, i segni negativi si infittiscono. Un cavallo muore: un uomo dipinge i muri e le staccionate del Wessex con rosse scritte bibliche, che fiammeggiano e urlano come frasi diaboliche: il gallo canta tre volte nel pomeriggio del matrimonio di Tess: un pezzo di carta insanguinata vola davanti ai suoi occhi: i cognati le rubano un paio di scarpe; fino a quando tutti i segni si realizzano, e la rossa vernice del fanatico si trasforma nella macchia di sangue che chiude la sua vita. Ad imitazione dell’opera della sorte, il libro di Hardy è costruito con una minuziosa sapienza artigiana: come, del resto, gli altri romanzi ottocenteschi consacrati al destino, il Meister e Madame Bovary. Ma mentre Goethe e Flaubert ne mascheravano ironicamente il passaggio, Hardy lo annuncia con una passione apostolica, e la sua fantasia visionaria si accende proprio nei punti dove il destino ribadisce, senza svelarsi alle proprie vittime, la catena irrimediabile della loro esistenza. Dentro questa trama di avvenimenti fatali, Hardy raccoglie il ricco e libero spettacolo della vita. I personaggi dei suoi romanzi sono in primo luogo dei volti, dei vaghi e possenti fantasmi corporei, apparsi nel minaccioso silenzio delle notti. Se pensiamo a Tess, questo personaggio immensamente amato, descritto in tutte le pose, piangente, col viso intiepidito dal sonno o mentre immerge le braccia rosee nella bianchezza immacolata del latte cagliato, — ricordiamo il disegno della sua «profonda e rossa bocca carnosa»: la involontaria mossa del labbro inferiore che spinge verso l’alto il punto centrale di quello superiore: «i grandi occhi teneri, né neri né azzurri, né grigi né violetti, ma composti di tutti questi colori insieme e di cento altri che possono distinguersi,... gradazione su gradazione, tinta su tinta, intorno a pupille senza fondo»; o, se l’ala della sventura la sfiora, la sua pallida bellezza marmorea. Mentre il romanzo si svolge, l’umile lattaia del Wessex acquista la nobiltà tragica di una regina elisabettiana, e metafore seicentesche o romantiche prorompono come una fioritura inaspettata dal suo cuore esultante o ferito.
* * *
Quando leggiamo Tess dei d’Urberville, ci sembra che i tesori di immaginazione visionaria, che da secoli si erano annidati in ogni angolo della campagna inglese, si ridestino clamorosamente. La solenne fantasia architettonica che aveva creato i pilastri e altari di Stonehenge; la fantasia superstiziosa, che serpeggiava nelle foreste druidiche; l’ebbrezza alcoolica che scintillava sulle scene elisabettiane; le avventure del romanzo settecentesco, da Defoe a Richardson, le più fosche invenzioni romantiche — tutto quanto era esistito di meravigliosamente e assolutamente anglosassone si dà convegno in queste brughiere, in questi campi funestati dall’inverno o intiepiditi dalla dolcezza dell’autunno. Come se i romanzi di Hardy fossero l’ultima cittadella posseduta dall’immaginazione prima di lasciare la terra, ecco che i re-pastori della Bibbia, gli dèi delle tragedie greche, gli eroi dei rustici poemi cavallereschi, un Cervantes smarritosi nelle osterie, un Rembrandt delle campagne giungono anch’essi qui, come in un corteo di re magi, lasciando i loro omaggi, le loro trame romanzesche, le loro complicate metafore. Uno scrittore dal talento meno robusto si sarebbe lasciato travolgere da questa eredità pericolosa. Hardy non teme nulla di quanto la fantasia umana, o quella di Dio, abbia inventato. Sopra ogni cosa imprime il proprio sigillo di fuoco: colma, deforma, agita con la sua mano sicura, selvaggia e accecante. Quando deve descrivere una trebbiatrice a vapore, possiamo essere certi che la trasformerà in una creatura infernale: un contadino che vernicia di rosso le staccionate, l’ardore dei carboni che illumina un bel volto femminile, due lacrime che scendono da occhi addolorati acquistano nelle sue pagine un’intensità allucinatoria, quasi che, fino a quel momento, non avessimo mai visto un oggetto né un volto. Poi lascia ogni freno: ciò che è assurdo e bizzarro, sinistro e spettrale — sonnambuli che attraversano fiumi in piena con la donna amata sulle braccia, creature dormienti sopra altari primordiali — attrae la sua arte. Se qualcuno gli avesse obiettato che i suoi romanzi sono inverosimili, egli avrebbe risposto che anche Shakespeare è inverosimile: che né Otello né Macbeth si comportano come tranquilli gentiluomini, e che il compito del romanziere è proprio quello di ricordarci quale martellante fragore di tuoni, quale splendore di fulmini possono colpire all’improvviso la nostra esistenza.”
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Conversazione con Gemma Carbone
Durante la sua residenza creativa al Teatro Dimora di Mondaino ho incontrato Gemma Carbone che - insieme al fotografo Samirluca Mostafa Aly che ci ha concesso le due immagini all’interno dell’intervista - mi ha raccontato l’ultimo progetto artistico della compagnia @naprawski Gul - uno sparo nel buio.
[Un-retouched preview by Samirluca Mostafa Aly]
Mi parli di Gul – uno sparo nel buio?
Il progetto è nato la scorsa estate e coniuga due elementi che a prima vista possono sembrare molto contrastanti ma credo che nello scontro di forme possa esserci qualcosa di interessante. Il primo elemento è il giallo, il poliziesco. Il secondo elemento è un dramma, un fatto reale, l’omicidio del premier svedese Olof Palme nel 1986. Questo omicidio è a tutti gli effetti un cold case: un assassinio violento avvenuto in centro a Stoccolma, un venerdì sera dopo il cinema, di cui non sappiamo niente; sappiamo tutto in realtà, abbiamo tutti i moventi, nessun alibi, però non siamo mai arrivati a una condanna o a una soluzione. È un enigma scandinavo, un thriller politico che rimane quasi cristallizzato in questo mistero che in Svezia è doloroso. Se chiedi a chiunque dove fosse e cosa facesse il 28 febbraio del 1986 quando sono iniziate a uscire le prime notizie dell’assassinio, tutti ricordano esattamente. È una specie di 11 settembre per il popolo svedese. Una frase che ricorre spesso in relazione a questo evento è che “in quel giorno abbiamo perso la nostra innocenza”. È detta da tutti, è stata scritta sui giornali, è una frase caratterizzante. In una società utopica perfetta come pu�� essere quella svedese questo evento è un neo, un cancro, un rimorso, un rancore che non dovrebbe esserci stato. Invece c’è, c’è stato e ha avuto degli effetti non solo politici, non solo sociali ma risvolti storici incredibili di cui poche persone sanno.
Come è nato lo scontro con il genere?
Il fatto che ci sia una storia così tragicamente presente nella nostra contemporaneità, nella formazione dell’Europa, nella formazione di noi come cittadini, nell’idea che noi abbiamo della socialdemocrazia che è stata radicalmente condizionata dalla vita e dalla morte di Olof Palme ma nessuno di noi sappia niente, è strano. Quando sento parlare dell’omicidio di Palme mi sembra di sentire una di quelle saghe nordiche, una leggenda, qualcosa di “brutto”, non risolto e misterioso: un labirinto di buio. La domanda che mi sono posta è stata come fare entrare il pubblico in questo evento e come far passare attraverso questa la forma del giallo, del thriller scandinavo, qualcosa che veramente è successo. Viaggiare attraverso il giallo, il poliziesco, il gioco del genere, il gioco di una storia inventata, e a un certo punto svelare che questa non è una storia qualsiasi ma la Storia con la S maiuscola, la realtà. Questo contrasto mi ha accesa. Il giallo è un genere che se usato bene espone degli elementi sociali forti. Il modo in cui la vittima è uccisa, l’efferatezza del delitto, la colpevolezza, la condanna dell’assassino, il tipo di fobia che si crea intorno a questa cosa, ci parlano, se il giallo è scritto bene, del tipo di paura sociale che esiste nella realtà.
Come avete scelto la forma monologo?
Il giallo svedese è quasi sempre un esterno, la persona piccola immersa in un panorama immenso. È azione, sparatoria, è qualcuno che sta nell’ombra, è suspense, colpo di scena. Il monologo è stato da un punto di vista attorale e registico una sfida che ci siamo voluti prendere, un paletto che abbiamo scelto con la produzione. A un certo punto è stato chiaro che questa figura solitaria in scena traslasse dall’estetica del noir a un thriller più psicologico assolutamente compatibile con la poetica del giallo scandinavo. C’è questa figura solitaria che si barcamena in questo immenso paesaggio di personaggi e complotti, di passioni e politica, di spazi e paesi – si parla di Svezia ma in questo omicidio sono coinvolti tutti, dall’Iran al Sud Africa, dalla CIA all’Italia, etc. Questa diversa focale, questa lente che va al contrario, può dare una prospettiva scenica diversa. Nel monologo è una persona sola a essere la chiave dello svelamento e della memoria.
[Un-retouched preview by Samirluca Mostafa Aly]
Come compagnia avete prodotto un altro spettacolo, You Are Here (so don’t take things so seriously), dove lavoravate confrontandovi con un altro genere letterario, la fantascienza, Isaac Asimov. Dalla fantascienza passate ora al giallo due generi letterari considerati minori ma che riletti attraverso il teatro possono illuminare la grande Storia. Come avviene il cortocircuito?
Questa fa parte di uno degli indirizzi della mia ricerca artistica. Sono cresciuta con i romanzi di fantascienza. Asimov è stato uno dei miei autori di riferimento fin dagli anni della pubertà. Credo che in questi generi considerati minori si possa ritrovare una connessione più semplice e più immediata con il pubblico. Ognuno di noi ha letto un giallo, un romanzo di fantascienza, questi generi fanno parte della nostra vita, del tempo libero, dello svago. Sono generi riconoscibili e questo mi piace molto. Tirare fuori la nostra Storia è il lavoro che abbiamo fatto sul ciclo di sette romanzi di Asimov che parlano di una psicostoria umana del futuro. È una storiografia precisa di quello che avverrà tra ventimila anni ma tra le righe si parla chiaramente di quello che stava succedendo negli anni in cui Asimov scriveva – il mondo diviso tra mondo sovietico e occidentale, c’è Reagan e altri - e i lettori, il pubblico, lo riconoscono come parte della loro vita, della loro quotidianità. Ma con una maschera. Vale a dire: la realtà è mascherata attraverso un altro tipo di tempo, spazio e atmosfera, e così la prospettiva su quella storia, la tua, si sposta. Gli strumenti quotidiani che normalmente sei abituato a usare per osservare e giudicare non valgono più ma vale un’altra posizione, una posizione cosmica, più umana, più sana forse, perché pone una distanza. Oggi si ha la tendenza a perdere questo tipo di prospettiva, di visione, siamo sempre immersi nell’azione, nel fatto, nell’informazione, nell’identità. L’astrazione che danno questi due generi è interessante perché traslano la prospettiva in maniera ironica e, credo, diano strumenti più ricchi, divertiti, per poter essere consapevoli. Lavorando con le tragedie greche, il ruolo del coro - in qualche maniera – torna anche qui. Certo, anche se molto trasformato. Ci sono dei momenti di confronto diretto tra quello che avviene in scena e te che stai a guardare, c’è la parabasi. Insomma, il teatro avviene anche nella fantascienza o nel giallo perché colui (o colei) che sta in scena ha il “ruolo” e la responsabilità di comunicarti una data cosa. L’ascolto che si innesca non è passivo ma è creativo.
Come avete scelto Giancarlo de Cataldo per la scrittura del giallo?
È una storia di incastri felici. Ero ad Atene dove stavo lavorando e nel ragionare anzitempo a Gul e a questo mondo del giallo ho iniziato a pensare a chi proporne la scrittura. Ho scartato il mondo svedese e, confrontandomi anche con Cantieri Teatrali Koreja che produce il lavoro, ho deciso che fosse più interessante capire come un non svedese potesse trattare il fatto. Ho contattato Marina Fabbri, presidentessa del Premio Raymond Chandler e co-direttore del Festival Noir a Milano, le ho confusamente raccontato quello che avevo in testa. Mi ha suggerito tre scrittori italiani. Il primo nome è stato Giancarlo de Cataldo. Lui aveva già collaborato con Cantieri Teatrali Koreja per Acido Fenico qualche anno fa. L’ho contattato, ci siano incontrati e nell’incontro sono già fiorite idee per il testo, per il personaggio.
Come avete lavorato alla scrittura del personaggio?
Con Giancarlo de Cataldo abbiamo instaurato una collaborazione di scrittura forte: è stato un processo aperto e ci siamo scambiati i testi tra me, De Cataldo e i miei assistenti - Giulia Maria Falzea e Riccardo Festa - e insieme abbiamo composto questo testo. I vari personaggi sono stati caratterizzati seguendo un processo aperto. Per esempio ad un certo punto, mentre lavoravo sul personaggio principale ho detto a Giancarlo che non riuscivo a trovare più il giallo e se c’è un personaggio che deve portare questo è proprio lei, la poliziotta. Come la stavo costruendo non funzionava forse mancavano termini tecnici. Lui mi rimanda una scrittura perfetta di quello che avevo cercato di proporre: c’è un paragrafo in cui lei spiega precisamente come funziona il colpo della pistola che cambia tutta la scena. Era perfetto. Giancarlo respira il genere e ha un modo di far venire fuori l’atmosfera che è eccezionale. Davvero esaltante poter imparare da lui.
Che tipo di lavoro si è sviluppato durante questa residenza a Mondaino?
Questa seconda tappa di residenza è molto importante. È il primo confronto vero e proprio con la stesura definitiva del testo. Ora iniziano le difficoltà. Se con Asimov c’erano sette testi pronti e fatti qui c’è stata anche la testimonianza partecipata a un processo di scrittura, cosa che non avevo mai fatto. All’inizio del percorso mi sono resa conto di avere una posizione schizofrenica: quando ci mettevamo a scrivere io già pensavo a una visione registica ed era totalmente confusionario. In seguito ho dovuto abbandonare quel tipo di sguardo per scrivere. L’Arboreto è stato l’incontro con questo testo e quindi abbiamo fatto un lavoro di analisi, di destrutturazione e ristrutturazione per capire come rendere in teatro quel tipo di suspense e di atmosfera tipica del giallo. Stiamo esplorando il testo, stiamo giocando con gli elementi del giallo svedese e stiamo immaginando lo spazio scenico e gli strumenti che userà il personaggio in scena. Siamo in filo diretto con la musicista Harriett Ohlsson, un’artista svedese che sta curando l’impianto sonoro e musicale.
Tu lavori molto all’estero. Ci sono molte differenze tra la scena estera e quella italiana?
Si.
*Nella residenza #Gul - uno sparo nel buio
#residenza creativa#gemma carbone#gul - uno sparo nel buio#giallo#olof palme#teatro dimora l'arboreto#residenza idra#svezia#giancarlo de cataldo#armunia
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Düsseldorf, misterioso omicidio: iraniano accoltella una donna sulla porta di casa. Assassino in fuga
Düsseldorf, misterioso omicidio: iraniano accoltella una donna sulla porta di casa. Assassino in fuga
Düsseldorf – Assassinio nel quartiere Bilk di Düsseldorf. Un uomo (44 anni) ha accoltellato una donna (36) alle 7:38 di ieri. È morta poco dopo in clinica.
Il sospetto – secondo le informazioni acquisite sarebbe Ali S., l’uomo del chiosco, iraniano – è ancora in fuga. Una task force speciale (SEK) ha preso d’assalto la casa dell’uomo a circa un chilometro dalla scena, ma lui non era lì. La…
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[Books] Assassinio di marzo di Dan Turèll
Titolo originale: Mord i marts Autore: Dan Turèll Prima edizione: Borgen, Copenaghen, 1984 Edizione italiana: traduzione di Maria Valeria D’Avino (Iperborea, 2016)
Presentazione dell'editore: Marzo a Copenaghen, un giornalista senza nome, flâneur dei bassifondi e detective per il vizio di trovarsi sempre nel posto sbagliato, sta per recuperare un po’ di fiducia nell’umanità quando si imbatte in un ricco collezionista d’arte con un coltello piantato nella schiena. Nessun indizio nel suo lussuoso appartamento, a parte due quadri spariti, un Pollock e un Léger, ma la polizia scopre ben presto i sentimenti più che paterni che legavano il mecenate a un giovane pittore, suo ultimo protetto. Quando il ragazzo sparisce senza riscuotere la sua immensa eredità e i cadaveri cominciano ad aumentare, tutte le tracce portano dai quartieri alti ai vecchi vicoli a luci rosse della città, dietro le porte sempre chiuse di un misterioso night club. Poeta metropolitano e virtuoso della penna, fonte inesauribile di immagini folgoranti che brillano di uno humour geniale e amaro, Dan Turèll è entrato nei classici del giallo nordico come il Chandler danese. Amico di sbirri e prostitute, con lo sguardo smaliziato di chi ha visto quelli che si sporcano le mani e quelli che muovono i fili dall’alto, il suo giornalista senza nome ci trasporta in una Copenaghen hard boiled anni Settanta, tra inquieti teppisti, trafficanti di droga e avventurieri della notte, nella fumosa penombra di un vecchio film noir, al ritmo incalzante di una calda suite jazz.
Era un giorno di marzo, come risultava dal cosiddetto calendario gregoriano, ma era anche molto di più. Era un bel giorno, proprio come piacciono a me. Nella solita vitaccia da cani un giorno del genere è abbastanza raro perché valga la pena farci caso. Il cielo era sereno e come immobile, né caldo né freddo, né secco né umido, come se si fosse preso un giorno di vacanza e avesse lasciato l’officina, dopo aver chiuso tutti i suoi attrezzi e materiali di scena negli armadi sigillati con serrature di sicurezza. Era uno di quei giorni in cui sembrava di poter vedere da un capo all’altro della città, o da un capo all’altro della propria vita, secondo la direzione in cui si puntava il cannocchiale.
"L'uomo che inciampa nei cadaveri": è questo il soprannome che si è guadagnato l'anonimo protagonista dei romanzi della Mord-serien (la "serie-assassinio", dalla prima parola del titolo di ciascuno dei 12 libri che la compongono) di Dan Turèll, un giornalista free-lance con la peculiarità di riuscire ad incappare in inaspettati omicidi. Stavolta tutto inizia con una segnalazione al Bladet, il giornale con cui collabora: "Dov'è Eric Liljecrone?". Neanche a dirlo, ben presto si scopre che Eric Liljecrone è morto, con un coltello piantato tra le scapole nella cucina della propria abitazione.
Fu lì che lo trovammo. Era l’unica cosa che rovinava l’ordine perfetto di quell’ambiente. Lui, e due bicchieri sporchi. Giaceva sul pavimento, mezzo nascosto sotto il tavolo, a pancia in giù e con le gambe che spuntavano dal bordo. E aveva un grande coltello da pane piantato tra le scapole. Grande, e in apparenza anche efficiente.
Assassinio di marzo è un romanzo hard boiled ambientato tra le strade di Copenaghen, che ha nell'ironia della scrittura di Dan Tùrell il suo maggiore punto di forza.
Comunque: il mittente della lettera anonima che avevo in tasca sapeva leggere, probabilmente, visto che era in grado di scrivere. I due requisiti si accompagnano spesso.
Il ritmo è serrato e il caso viene risolto in un paio di giorni, ma in fondo è poco più che un pretesto: il vero fulcro dell'intera narrazione è lo sguardo disincanto e beffardo con cui il protagonista senza nome guarda quel mondo fatto di strade buie, locali più o meno malfamati, ma anche direttori di giornale più che energici e poliziotti disposti a chiudere un occhio sulle grandi e piccole infrazioni del nostro alla ricerca della verità. Dato il genere, non può mancare una femme fatale:
L’ospite era una signora con la S maiuscola. Alta, slanciata e con i capelli neri, indossava una pelliccia bianca con un’altra maiuscola: la A di animale. La borsa doveva essere stata fatta con il cucciolo.
Un noir divertente, senza filtri, davvero godibile e che offre uno sprazzo delle mille sfaccettature del giallo nordico.
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Shenmue, il videogioco ispirerà una serie animata
L’anime tratto dalla storica opera di Yuu Suzuki arriverà prossimamente su Crunchyroll.
Crunchyroll ha annunciato durante il Virtual Crunchyroll Expo che, in collaborazione con Adult Swim, sta producendo una serie animata di 13 episodi basata su “Shenmue”, la storica serie videoludica creata da SEGA.
L’adattamento è diretto da Chikara Sakurai (One Punch Man 2, Majimoji Rurumo) presso gli studi Telecom Animation Film (Lupin III - Ritorno alle origini, Tower of God) e Yuu Suzuki in persona, il director del videogioco, partecipa al progetto in qualità di produttore esecutivo.
Un racconto di vendetta.Nel 1986, il giovane praticante di jujutsu Ryo Hazuki torna nel dojo del padre, Iwao Hazuki, e si ritrova ad assistere al suo assassinio per mano di un uomo cinese, Lan Di. Questi ruba poi un misterioso manufatto noto come specchio del Drago. Ryo giura di vendicare la morte del padre e si mette sulle tracce di Lan Di.
Pubblicati originariamente per Dreamcast nel 1999 e nel 2001, “Shenmue I” e “Shenmue II” sono due giochi di avventura e azione ambientati in un mondo aperto che unisce combattimenti di arti marziali, indagini, elementi GDR e incredibili minigiochi. Hanno gettato le basi per molti aspetti dei videogiochi moderni, tra cui l'esplorazione libera delle città, e inventato i Quick Time Event (QTE). Sono stati tra i primi giochi a offrire un mondo aperto realistico in cui si alternano il giorno e la notte, le condizioni atmosferiche cambiano, i negozi aprono e chiudono e i PNG portano avanti le loro vite. La storia epica e coinvolgente e il mondo vivo hanno prodotto una generazione di fan appassionati, e la serie fa parte di tutte le liste di migliori videogiochi di tutti i tempi.
Annunciato all’E3 del 2015 e finanziato tramite una campagna di crowdfunding, “Shenmue III” è stato pubblicato per PC e PS4 lo scorso novembre, vedendo la luce ben 18 anni dopo il secondo capitolo della serie.
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Autore: SilenziO))) (@s1lenzi0)
[FONTE]
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Lo Sguardo del Peccato: Un Thriller Coinvolgente dell'Ispettore Moretti. Un Indagine Intrigante a Firenze tra Segreti Oscuri e Conflitti Interiori. Recensione di Alessandria today
"Lo Sguardo del Peccato: Un'indagine dell'ispettore Moretti", scritto da Vanni Pestelli, è un avvincente romanzo giallo ambientato nella storica e affascinante città di Firenze.
“Lo Sguardo del Peccato: Un’indagine dell’ispettore Moretti”, scritto da Vanni Pestelli, è un avvincente romanzo giallo ambientato nella storica e affascinante città di Firenze. Il libro segue le indagini dell’ispettore Moretti, un detective esperto ma tormentato dai suoi demoni interiori, che si trova a dover risolvere un caso che sembra privo di movente. La storia inizia con la scoperta del…
#ambientazione fiorentina#assassinio misterioso#biografia autori gialli#Conflitto Interiore#crime thriller#crimine e punizione#crimine in chiesa#crimini senza motivo#Delitto#delitto religioso#detective novel#esplorazione dei segreti umani#Giallo Italiano#indagine poliziesca#Indagini#intrighi sociali#intrigo#investigatore tormentato#investigazione senza movente#ispettore Moretti#letteratura gialla#letteratura thriller italiana.#libri Kindle#Lo Sguardo del Peccato#mistero#mistero nella storia#moralità#narrativa contemporanea#narrativa di tensione#narrativa italiana
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Assassinio sul Nilo: rivelato il cast del film di Kenneth Branagh
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/assassinio-sul-nilo-rivelato-il-cast-del-film-di-kenneth-branagh/
Assassinio sul Nilo: rivelato il cast del film di Kenneth Branagh
Assassinio sul Nilo: rivelato il cast del film di Kenneth Branagh
Assassinio sul Nilo: rivelato il cast del film di Kenneth Branagh
Fox ha confermato il cast completo per Assassinio sul Nilo, di e con Kenneth Branagh. L’adattamento di Agatha Christie servirà come sequel di Omicidio sull’Orient Express, sempre diretto e interpretato dal fenomeno inglese che ha ricoperto il ruolo (che riprenderà) dell’iconico Hercule Poirot.
Assassinio sul Nilo sarebbe dovuto arrivare in sala a dicembre 2019, e se la sarebbe vista con Star Wars: L’ascesa di Skywalker. Tuttavia, in seguito all’acquisizione della Fox da parte della Disney, il film è stato rinviato a ottobre 2020, per evitare di mettere l’uno contro l’altro i due film targati Disney.
Assassinio sull’Orient Express ha raccontato di Poirot che tentava di risolvere un misterioso omicidio a bordo dell’omonimo treno negli anni ’30. Il film vantava un cast impressionante, con Daisy Ridley, Michelle Pfeiffer, Willem Dafoe e molti altri attori di serie A che davano vita ai numerosi passeggeri dell’Orient Express. Come c’era da aspettarsi, Branagh ha riunito un equipaggio di pari grandezza per il suo seguito, Assassinio sul Nilo.
Il cast del film è stato ufficialmente confermato da Fox, ora che la produzione è in corso tra Regno Unito e Egitto. Branagh sarà affiancato nel film da Gal Gadot, Armie Hammer e Letitia Wright, oltre ad Annette Benning, Russell Brand, Rose Leslie, Sophie Okonedo, Ali Fazal, Tom Bateman, Emma Mackey, Dawn French e Jennifer Saunders.
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Assassinio sul Nilo: rivelato il cast del film di Kenneth Branagh
Fox ha confermato il cast completo per Assassinio sul Nilo, di e con Kenneth Branagh. L’adattamento di Agatha Christie servirà come sequel di Omicidio sull’Orient Express, sempre diretto e interpretato dal fenomeno inglese che ha ricoperto il ruolo (che riprenderà) dell’iconico Hercule Poirot. Assassinio sul Nilo sarebbe dovuto arrivare in sala a dicembre 2019, e […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Chiara Guida
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