#animali giganti
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palmiz · 2 years ago
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«Non mi sarei mai sognato di dipingere animali, soprattutto giganti, sulle pareti della mia città».
Giulio Masieri, artista pordenonese originario di Ferrara, ha trasformato Pordenone nella città degli animali giganti attirando turisti da ogni dove.
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sigitheunicorn · 2 years ago
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diceriadelluntore · 7 months ago
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Farine
Ogni anno, quando ci sono gli sconti Adelphi (tra Fine Gennaio e Fine Febbraio), compro un libro che sta in una ormai ingiallita lista di titoli, alcuni irrecuperabili, altri fuori catalogo e altri non ancora presi per vari motivi (disponibilità, tempo, anche a volte economiche).
Tra questi c'era questo libro
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Nella presentazione sinottica di Adelphi, c'è scritto: Il libro che finalmente ci ha fatto capire che cosa vedessero gli antichi nel cielo.
Giorgio De Santillana è stato un fisico italiano, nato a Roma nel 1901, e costretto dalle leggi razziali a fuggire dal nostro Paese nel 1938 verso gli Stati Uniti. Lì insegnò a lungo al MIT di Boston, occupandosi soprattutto di Storia del Pensiero Scientifico.
E quando nel 1969 l'uomo sbarca sulla luna pubblica un saggio, insieme alla etnologa tedesca Hertha von Dechen, dal titolo suggestivo: Il Mulino Di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo.
La tesi di fondo degli autori è affascinante: la mitologia antica non è solo un racconto epico, ma è il modo in cui dei saggi arcani hanno trasmesso le loro idee e conoscenze sul cosmo e sulla misurazione del tempo. Un pensiero come quello antico non poteva che esprimere in termini mitici quelle che sono verità razionali, matematiche: in una parola, scientifiche. Per questo lo fa attraverso animali nei cieli, storie di Giganti, maghi, fiumi, oceani. Per dimostrare ciò, De Santillana e von Dechen si prodigano in un colossale, erudito e sorprendentemente ricco tesoro di miti, storie, brani che vanno dai miti Norreni a quelli Greci e Romani, da quelli babilonesi a quelli Indiani, dalla Cina fino ai miti Polinesiani e delle grandi civiltà sudamericane, alla ricerca di un fattore comune, una "tragedia cosmologica" che gli antichi erano stati capaci di individuare: la lenta ma inesorabile trasformazione del cielo delle stelle fisse causata dalla precessione degli equinozi. Questa capacità secondo gli autori era già presente in "arcaici saggi" circa 5 mila anni fa, e la saggezza del mito simbolico è stata una pratica che si è perpetuata almeno fino a Platone, secondo loro ultimo "discendente" di questi saggi astronomi.
Invito chiunque sia arrivato a leggere fino a qui a vedere i commenti che il libro ha sui siti sia di lettori che di vendita dei libri. Nella quasi totalità dei casi è considerato un libro capolavoro, un geniale saggio che scardina gli studi del settore, un classico di mitologia comparata.
Quello che invece ho sentito io è che, nonostante lo studio francamente gigantesco e ammirevole delle fonti (che farà aumentare la ingiallita lista di almeno una cinquina di raccolte di racconti mitologici) la tesi del libro (che è di 420 pagine, più 120 di Appendice e 100 di bibliografia) non solo non è dimostrata, ma non è affatto dimostrabile. Detto che è dal punto di vista filologico molto discutibile la qualità e la scelta delle traduzioni e gli autori che sono stati usati per rafforzare l'ipotesi di base, ci sono almeno tre punti storico-critici incontrovertibili:
non è mai stato dimostrato che la precessione degli equinozi sia stata scoperta prima di Ipparco, nel 127 A.C., cosa che invece il saggio pone almeno due millenni prima;
la divisione dello zodiaco in dodici segni da trenta gradi ciascuno, altro punto centrale di tutto il discorso astronomico del saggio, è quasi certamente una convenzione che inizia soltanto nel V secolo a.C. a Babilonia, e non ci sono a 60 anni di distanza dalla pubblicazione di questo libro ipotesi che sia stata architettata 3 mila anni prima;
l’ipotesi di un unico Ur-mito di migliaia di anni fa di natura astronomica è essa stessa un mito, nato nell’Ottocento e ormai improponibile in ambito accademico.
Credo sia la prima volta che parlo di un libro che, per quanto mi abbia stuzzicato e in molti punti anche provocato ammirazione, è davvero complicato, in molti punti intellegibile sotto la cascata infinita di citazioni in lingue più o meno morte, e di rimandi che molto spesso è palese fossero prese per i capelli, e niente affatto evidenti le corrispondenze. A tale riprova, va detto che il libro non uscì mai in ambito accademico, che di per sé non è un male, ma che alla fine è diventato il testo "culto" di un certo fanatismo occultista.
Non mi resta che spiegare il titolo. Amleto prima di essere il protagonista indimenticabile della tragedia di William Shakespeare, è stato uno dei miti fondativi delle popolazioni scandinave. Il racconto più bello è quello che fa Saxo Grammaticus nel De Gesta Danorum (XIII secolo), ma probabilmente si rifà a miti molto più antichi: infatti è possibile risalire da Amleth a Amblothæ, Amladhe ed Amlaighe fino alle saghe islandesi di Amlóði il quale, secondo quanto si racconta nel medievale discorso sull’arte scaldica, “fuori dall’orlo terrestre” possedeva un crudele “mulino di scogli”, mosso da nove fanciulle: per questo una delle kenning – le avviluppate metafore della lirica norrena – per significare il mare è Amlóða kvren, il mulino di Amleto.
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firewalker · 1 year ago
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Dobbiamo parlare di gatti
Sono sicuro che c'è un padrone o una padrona di gatto o gatti tra chi mi segue, e forse questo post non sarà di suo gradimento. La faccio breve.
TL;DR: non fate uscire il gatto da casa, tenetelo dentro.
Versione lunga.
Su Nature Communications è stata pubblicata una revisione della letteratura riguardante l'impatto del gatto domestico (Felis catus) sul regno animale. L'articolo è stato riassunto da Fanpage in italiano. Le revisioni sono pubblicazioni scientifiche che cercano di fare il punto sulla conoscenza attuale di un dato argomento. Gli studiosi hanno esaminato 533 studi precedenti e hanno identificato oltre 2000 specie animali predate dai gatti in tutto il mondo (per la precisione 2084).
Mettendo insieme tutti i dati, i risultati sono questi:
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Se pensate che i gatti servano per catturare i topi, ebbene sbagliate. La prima preda, in assoluto, del micio è un uccello, non un mammifero. In tutto il mondo, i gatti fanno strage di uccelli, quando va bene i mammiferi sono la seconda scelta, globalmente sono la terza (preferiscono i rettili). E tra i mammiferi, si specifica nell'articolo, non ci sono solo topi e ratti, ma anche mammiferi di grandi dimensioni, perché al gatto non è che interessi poi tanto se deve catturare un animale o può cibarsi di una carcassa: anche fosse un toro non gli farebbe schifo.
Eh, ma tanto, cosa vuoi che sia? Il gatto ha sempre portato un regalino, è la loro natura
Sì, certo, è la loro natura. Assassina. Altro grafico tratto dallo studio:
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Al gatto non frega niente se quella che ha puntato è una specie comune o è in via di estinzione. Consideriamo che globalmente le specie predate a basso rischio sono il 75%, aggiungiamo un 10% di specie incerte (che non significa che siano a basso rischio, significa che non sono state valutate con certezza, ma consideriamole ottimisticamente). Abbiamo quindi che il gatto risulta un fattore di rischio di estinzione per il 15% delle specie predate. Considerando le 2000 specie complessive circa, abbiamo quindi 300 specie minacciate dal gatto domestico. E non è un problema solo dell'Australia, ma anche dell'Europa (che magari non arriva al 15%, ma di poco)
Il gatto domestico è nella lista delle 100 specie invasive più dannose al mondo, e c'è un motivo. Interessante notare anche la taglia della preda del gatto:
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La maggior parte delle prede è intorno ai 5 kg (quanto pesa il vostro gatto?), ma come dicevo prima non si salvano nemmeno i bovini, o anche gli emu, le tartarughe marine o anfibi giganti come la rana toro: i gatti sono anche spazzini.
Quando guardate il vostro gatto e pensate che è così carino, ricordatevi che il suo fascino è quello di Ted Bundy.
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scalpcollector · 7 months ago
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di solito gli anime mi fanno sanguinare gli occhi, ma ci sono eccezioni. Tra le mie serie horror preferite pochissime arrivano al livello di AOT. tralasciando la trama, che ora non ricordo perchè l'ho visto anni fa, mi piace molto il concetto dei giganti e come le persone che vivono all'interno delle mura si sono adattate negli anni.
Mi era piaciuta tantissimo la scena in cui i cadetti imparavano come funzionavano i giganti. Gli spiegano che non si possono riprodurre e che non mangiano animali, ma specificamente gli umani.
La mia scena preferita è quando stanno ripulendo dopo una battaglia e Jean (mi pare fosse lui) trova un agglomerato di carne e schifo e gli spiegano che queste sono delle creature che mangiano senza una ragione o uno scopo.
quell'agglomerato è vomito. i giganti non digeriscono. non possono morire di fame. non gli serve mangiare, eppure lo fanno. arrabbiarti contro di loro non servirà a niente perchè non hanno nemmeno la capacità mentale di comprendere il tuo odio per loro. sono delle creature anti-uomo. ( hey, dovresti decisamente leggere The Living Dead di George Romero e Daniel Kraus!)
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veritanascoste · 11 months ago
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💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥💥💥💥💥
L'"aldilà" è l'altro lato del muro di ghiaccio...
Il regno della vegetazione e di tante altre forme di vita...
Un regno di giganti, mammiferi e animali, oceani e mari, soli e terre tropicali...
L'ammiraglio Byrd aveva sicuramente ragione...
Ora sono CONVINTO che la Terra NON è ciò che ci è stato insegnato ad essere...
💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥 💥💥💥💥💥
Elizabeth Landvari
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chez-mimich · 2 years ago
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LA MODA GIUSTA (parte II)
(Segue )Ed effettivamente la catena è troppo lunga, tanto è vero che il 42 per cento delle imprese del settore non sa né dove, né da chi siano fabbricati i propri vestiti. Ma tra gli obblighi morali di chi fa moda, oltre a quello di cercare di soddisfare il proprio cliente, ci sarebbe o ci dovrebbe essere anche quello di creare profitto con qualcosa di eticamente sostenibile . Purtroppo ben poche sono le aziende che scelgono di mantenere una dimensione contenuta, ma stabile, a tutto vantaggio di un consumismo sfrenato che promette grandi margini di profitto anche, anzi soprattutto, sulla pelle di chi lavora e viene sfruttato da questa diabolica e perversa macchina. “All’industria della moda interessa poter contare su lavoratori con poca voce e ancor meno diritti: per questo i suoi operai preferiti sono gli animali…” scrive ancora la Riezu: oche e anatre spennate per farci piumoni, conigli d’angora scuoiati vivi e serpenti, anch’essi vivi, gonfiati d’acqua per ottenere maggiori quantità di pelle. Insomma un mondo infernale dove lavoratori e animali sembrano trovarsi nello stesso girone, a tutto vantaggio del nostro futile apparire. Certo che è abbastanza semplice comprendere che, se per produrre un solo paio di jeans occorrono circa 8.000 litri d’acqua, cioè quanto una persona può bere in dieci anni, i danni provocati dalla moda al nostro ambiente diventano più che evidenti. Marta Riezu però non espone solo fatti o denuncia solo il malaffare del sistema moda, ma propone anche soluzioni, in particolare nella seconda parte del libro intitolato “Proposte”. La principale può essere riassunta nel paradigma (che susciterà le ire di qualcuno, anzi più di qualcuno) che afferma che occorre comprare di meno. Secondo l’autrice comprare di meno è quello che distingue una persona con i piedi per terra da un incosciente. Il cliente non ha sempre ragione, poiché siamo davvero arrivati alla fine del percorso: senza materie prime è necessario uno stop ai “negozi carini” (di questo ormai si tratta) per l’indispensabile tutela del pianeta. Per proteggere l’ambiente dovremmo avere più cura delle nostre cose, non solo quindi consumarle, ma anche imparare a ripararle e questo vale per tutti gli oggetti, a cominciare dai capi di abbigliamento che indossiamo. La Riezu cita non a caso il lavoro dell’artista tessile britannica Celia Pym che nel suo lavoro di “rammendo etnografico”, medita sul parallelismo tra cura del corpo e cura dell’indumento che indossiamo. Ma poi, lontano da ogni romanticismo, il volumetto prende in considerazione i veri giganti del vintage, come i siti Yoox, The RealReal, Vestiaire Collective. Poshmark, Rebelle, Designer Exchange, Tradesy, che hanno fatto del riuso una filosofia di massa. Un altro tema trattato è quello della tracciabilità del capo di abbigliamento, che certo richiede un certo allenamento e una alta capacità di discernere tra tessuti, luoghi di produzione, distributori ecc. Insomma un inconsueto viaggio nel mondo della moda per insegnarci a scegliere con consapevolezza, pur accettando l’idea che la moda è un fatto piuttosto serio, non tanto per i suoi aspetti semantici, ma per i risvolti materiali che influenzano massivamente la vita sulla terra e della terra.
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scienza-magia · 4 months ago
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Relazione fra grandezza genoma e dimensione fisica
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Grande genoma e piccoli spermatozoi, i risultati della vasta ricerca Unipd. I ricercatori hanno inoltre dimostrato che i fattori associati all’evoluzione di spermatozoi “giganti” nei tetrapodi sono in parte legati, come prevedibile, alle strategie riproduttive. Nonostante le differenze di dimensioni corporee - da frazioni di grammo a molte tonnellate - che si osserva nei tetrapodi, vertebrati con quattro arti che comprendono anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, la dimensione delle cellule che li compongono varia generalmente molto meno. Con un’eccezione: quella degli spermatozoi che, sebbene svolgano tutti la medesima funzione di trasporto del genoma paterno all’interno dell’uovo, possono misurare da pochi micron a oltre 3 millimetri. L’interesse nel comprendere queste differenze da un punto di vista evolutivo è aumentato negli ultimi due decenni circa, ma le metodologie statistiche applicate non permettevano di investigarlo ad una scala tassonomica ed evolutiva ampia; questo è stato poi possibile solo grazie all’abbondante disponibilità di dati riguardanti determinate specie e allo sviluppo di nuove metodologie soprattutto per il controllo filogenetico. La ricerca
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Utilizzando un approccio innovativo per questo tipo di studi (la multi-ottimizzazione di Pareto) un gruppo di ricercatori del dipartimento di Fisica dell’Università di Padova diretto da Amos Maritan e composto da Flavio Seno e Loren Koçillari, esperti di fisica statistica, e un gruppo di biologi evoluzionisti del dipartimento di Biologia composto da Maria Berica Rasotto, Silvia Cattelan e Andrea Pilastro, sono riusciti per la prima volta a esplorare come si è evoluta la dimensione degli spermatozoi in relazione alla massa corporea nei tetrapodi basandosi sull’analisi di quasi 1.400 specie tra cui rane, piccoli uccelli come il luí, piccoli mammiferi come il toporagno e alcuni pipistrelli, ma anche il capodoglio, l’elefante, la giraffa, l’orso e l’uomo stesso. Lo studio dal titolo “Tetrapod sperm length evolution in relation to body mass is shaped by multiple trade-offs” e pubblicato sulla rivista «Nature Communications» dimostra che l’evoluzione della lunghezza degli spermatozoi (o spermi) nei tetrapodi, negli ultimi 350 milioni di anni, è stata influenzata dagli stessi vincoli in gruppi di animali molto diversi per fisiologia (omeotermi, come uccelli e mammiferi, ed eterotermi, come rettili e anfibi), biologia riproduttiva (fecondazione interna o esterna), e relazioni filogenetiche, suggerendo che per tutti valgano le medesime costrizioni evolutive. I risultati I ricercatori hanno inoltre dimostrato che i fattori associati all’evoluzione di spermatozoi “giganti” nei tetrapodi sono in parte legati, come prevedibile, alle strategie riproduttive – ad esempio il grado di competizione spermatica (quando una femmina si accoppia con molti maschi e gli spermi rivali entrano in competizione per fecondare le uova disponibili) e il numero di uova da fecondare – ma anche, sorprendentemente, alle dimensioni del genoma, un aspetto finora quasi inesplorato. Se l’aspettativa iniziale era, infatti, trovare una proporzione diretta tra la dimensione del genoma e quella degli spermatozoi, lo studio dimostra esattamente il contrario: le specie con spermi lunghi hanno un genoma più piccolo rispetto alle specie con spermi più corti. Unipd «I tratti riproduttivi sono spesso difficili da studiare in quanto influenzati da tantissimi fattori diversi – spiega Silvia Cattelan, corresponding author dello studio e, al tempo della ricerca, postdoc al dipartimento di Biologia dell’Università di Padova –. Il concetto di ottimalità di Pareto e il metodo statistico che abbiamo usato in questo studio ci hanno aiutato a sbrogliare questa matassa, permettendoci di dimostrare come la lunghezza degli spermatozoi sia associata in maniera complessa e non lineare alla massa corporea delle specie e quali siano stati i fattori che hanno principalmente influenzato l’evoluzione della lunghezza degli spermatozoi nei tetrapodi. Con questo risultato speriamo di stimolare ricerche future al fine di indagare, per esempio, se l’evoluzione di un genoma grande possa essere stato limitato in specie ad alta competizione spermatica». Concludono Maria Berica Rasotto e Andrea Pilastro, biologi evoluzionisti dell’Ateneo e membri, col collega Maritan, del National Biodiversity Future Center: «Questo studio apre nuove prospettive nella comprensione di uno dei fenomeni più affascinanti ed enigmatici della biodiversità animale, ossia quello dell’enorme variabilità interspecifica della dimensione dei gameti maschili in questo importante gruppo di vertebrati». Read the full article
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dropsofsciencenews · 5 months ago
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La Salamandra Gigante che riscrive la storia dei Tetrapodi
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Quando apriamo i libri di paleontologia e andiamo indietro nel tempo tra i nostri antenati, ritroviamo che i tetrapodi, i primi vertebrati a quattro zampe, sono spesso descritti come animali strettamente legati alle zone umide equatoriali del Carbonifero, periodo compreso tra 358,9 e 298,9 milioni di anni fa. Continuando a leggere, scopriamo che durante il tardo Carbonifero, circa 307 milioni di anni fa, i tetrapodi più arcaici furono rapidamente sostituiti da antenati dei moderni amnioti (vertebrati con uova amniotiche, come rettili, dinosauri, uccelli e mammiferi) e lissanfibi (gli anfibi moderni come rane, salamandre e cecilie). Queste ipotesi si basano principalmente su fossili ritrovati nella regione paleoequatoriale di Pangea, nota come Laurussia, che includeva Nord America ed Europa.
Ma una scoperta inaspettata in Namibia suggerisce una distribuzione più globale di questo gruppo di animali. Un team di ricerca capitanato dai dottori Claudia A. Marsicano e Jason D. Pardo ha trovato resti fossili nella valle del fiume Ugab, nel Damaraland, conservati nella pietra fangosa di un antico lago d'acqua dolce. I resti sono stati datati a 280 milioni di anni fa, a cavallo proprio con l’inizio del Permiano, e provengono da depositi di alta paleolatitudine (circa 55° S), una regione che faceva parte del supercontinente Gondwana. La datazione ed il luogo unico di questo ritrovamento dimostrano che i tetrapodi erano già ben radicati anche nelle latitudini temperato-fredde del Gondwana durante le fasi finali della deglaciazione del periodo Carbonifero-Permiano.
Trovati i resti, i ricercatori hanno immediatamente compreso che questo antico tetrapode rappresentasse una specie nuova, che è stata denominata Gaiasia jennyae. Il nome si riferisce alla Formazione Gai-As e onora Jenny Clack (1947–2020), scienziata le cui scoperte sono state fondamentali nello studio dei primi tetrapodi. L’animale visse durante il periodo Permiano, molto prima della comparsa dei primi dinosauri. Le caratteristiche di Gaiasia jennyae indicano che si trattava di un prototetrapode, una forma di transizione tra i pesci e i primi tetrapodi terrestri. I fossili, che comprendono uno scheletro quasi completo di un adulto lungo circa 3 metri, sono i più grandi mai scoperti per questa tipologia di vertebrato. L'analisi dei fossili ha rivelato una testa larga e piatta, lunga quasi 60 centimetri, attaccata a un corpo di 2,5 metri. La struttura del cranio, decorata con zanne insolitamente grandi e ricurve, suggerisce che questo animale fosse anche un predatore formidabile, probabilmente un cacciatore di pesci nelle acque paludose e nei laghi della regione. Gaiasia jennyae presenta ancora tratti acquatici, come branchie e arti sottosviluppati, che le permettevano di vivere sia in acqua che sulla terra.
La scoperta di questa specie in Namibia è particolarmente significativa poiché sfida l'ipotesi precedente secondo cui i primi tetrapodi giganti fossero confinati all'emisfero settentrionale durante la transizione Carbonifero-Permiano.  Questa nuova prospettiva suggerisce che importanti adattamenti nella radiazione iniziale dei tetrapodi abbiano avuto luogo al di fuori dei bacini ben campionati della Pangea paleoequatoriale. La diversificazione e le dinamiche di estinzione dei tetrapodi durante il tardo Paleozoico potrebbero quindi essere state molto più complesse e globalmente diffuse di quanto si pensasse in precedenza.
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newsnoshonline · 5 months ago
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L'ultima resistenza dei mammut lanosi Una storia genetica: l’eccezionale resistenza dei mammut lanosi Per milioni di anni, i mammut hanno popolato Europa, Asia e Nord America, fino a scomparire 15.000 anni fa, ad eccezione dell’isola di Wrangel. Qui, un piccolo gruppo di meno di 10 animali ha resistito per 6.000 anni, nonostante disturbi genetici. Una lezione sull’importanza della diversità genetica Gli studi condotti sulla popolazione di mammut di Wrangel hanno messo in luce come la consanguineità possa causare danni a lungo termine nelle specie animali. Questo scenario offre spunti importanti per la salvaguardia delle specie attuali dall’estinzione. Esaminando i genomi di questi antichi giganti, i
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gaetaniu · 6 months ago
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I fossili che si formano oggi mostreranno come l'umanità ha sconvolto la vita sulla Terra
Quando pensiamo ai fossili, di solito pensiamo ai dinosauri, o magari alla bella forma a spirale di un’ammonite raccolta su una spiaggia durante una vacanza estiva. I fossili sono antiche reliquie del passato profondo che ci permettono di ammirare la storia della vita sulla Terra, degli animali che camminavano o nuotavano molti milioni di anni fa, degli alberi giganti che sono stati sepolti e…
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palmiz · 2 years ago
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sigitheunicorn · 1 year ago
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cinquecolonnemagazine · 11 months ago
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Blue Ocean Strategy: cos'è e perché ha tanto successo
Per capire cos'è la Blue Ocean Strategy bisogna andare a scavare negli annali della strategia aziendale. In questo campo, sempre in movimento, emergono idee rivoluzionarie che trasformano il modo in cui le imprese affrontano la concorrenza e creano valore. La Blue Ocean Strategy, o Strategia Oceano Blu, è un concetto innovativo che va oltre il tradizionale approccio di competizione nei mercati esistenti. Ma chi sono gli architetti di questa visionaria strategia? Cos'è la Blue Ocean Strategy La Blue Ocean Strategy è stata introdotta da due professori dell'INSEAD, W. Chan Kim e Renée Mauborgne. Nel 2005, i due accademici pubblicarono un libro omonimo che trasformò il panorama aziendale, proponendo un modo radicalmente diverso di pensare alla competizione. La loro idea fondamentale era di muoversi dalla "Red Ocean" (Oceano Rosso) della concorrenza intensa e sanguinosa, verso un inesplorato "Blue Ocean" (Oceano Blu) di spazio di mercato incontaminato. In cosa consiste, quindi, questa Blue Ocean Strategy? Essenzialmente, è un approccio strategico che si concentra sulla creazione di nuovi mercati e settori, piuttosto che competere in quelli già esistenti. Mentre nell'Oceano Rosso le imprese combattono ferocemente per una fetta di mercato già saturata, nell'Oceano Blu si cerca di innovare e creare un contesto dove la concorrenza è irrilevante. La Blue Ocean Strategy per il proprio business L'applicazione della Blue Ocean Strategy al proprio business implica una rigorosa analisi dei confini di settore e delle pratiche convenzionali. Kim e Mauborgne suggeriscono di esaminare quattro elementi chiave, noti come il "Quadro delle Quattro Azioni", che includono l'eliminazione, la riduzione, l'aumento e la creazione di nuovi fattori. Eliminare implica l'abbandono di elementi che la maggior parte delle imprese del settore considera essenziali. Ridurre significa tagliare gli investimenti su elementi di basso valore. Aumentare riguarda l'accentuazione di aspetti che sono al di sopra della media del settore. Infine, creare implica l'introduzione di nuovi fattori che non esistono nel settore. Un esempio iconico di applicazione della Blue Ocean Strategy è stato il passaggio della compagnia Nintendo dal mercato dei videogiochi da console tradizionale a quello dei giochi fisici e sociali con la console Wii. Eliminando la complessità dei controller, riducendo il prezzo e creando un'esperienza di gioco coinvolgente, Nintendo ha creato uno spazio di mercato completamente nuovo, allontanandosi dalla strenua competizione con altri giganti del settore. I vantaggi del navigare in un oceano blu Gli vantaggi derivanti dall'adozione di questa strategia sono molteplici. In primo luogo, la Blue Ocean Strategy offre l'opportunità di raggiungere nuovi segmenti di clientela, aumentando così la base di clienti e le opportunità di guadagno. In secondo luogo, la riduzione della competizione diretta consente alle imprese di mantenere prezzi più alti e margini più sani. Inoltre, l'innovazione continua nel creare valore per i clienti porta a un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. Un esempio eclatante di successo è stato Cirque du Soleil, che ha trasformato il settore del circo eliminando elementi tradizionali come gli animali, riducendo i rischi associati alle esibizioni pericolose e aumentando l'intrattenimento attraverso la fusione di diverse forme artistiche. Questa nuova offerta ha creato un Oceano Blu, portando il Cirque du Soleil a un successo globale. In copertina foto da Depositphotos Read the full article
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enkeynetwork · 1 year ago
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pikasus-artenews · 1 year ago
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Il fantastico mondo di Wal Giganti sculture, magici animali e bizzarre creature
Incontrare le opere di Wal è come trovarsi catapultati in una delle storie dei fratelli Grimm
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