#albero di ciliegio
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tremaghi · 2 months ago
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Non cercarlo nel libro di scienza naturale: l’albero di Natale è l’albero della magia (Gianni Rodari)
Mi sono sempre chiesta come sia nata la tradizione dell’albero di Natale. Un’esaustiva spiegazione l’ha scritta e condivisa Elena Paredi nel suo profilo di Facebook, dal quale attingo spesso i suoi preziosi articoli che ho riportare anche nel mio blog. L’abete sempreverde è stato tradizionalmente utilizzato per festeggiare le ricorrenze invernali (pagane e cristiane) per migliaia di anni. I…
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unmeinoakaito · 6 months ago
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4. Qual è la tua parola preferita?
5. Se tu fossi un tipo di albero, cosa saresti?
24. Si può avere solo un tipo di sandwich. Ogni ingrediente  noto all'umanità è a tua disposizione. Crea il tuo panino.
🤍🍮🥛.
4. Fantasia.
Quella che i bambini hanno e vivono per essa, ma gli adulti si dimenticano che esiste. Tutti noi dovremmo ricordarci che esiste la fantasia e sognare un po' di più.
Saremmo sicuramente, tutti un po' più felici.
5. Albero di ciliegio.
È così bello, ed in più rappresenta parte della mia personalità.
Invece se mi dici scegli una rosa ti dico la rosa nera.
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24. Mh, interessante domanda 😋
Direi insalata, salmone, e Philadelphia (perché l'ho provato al sushi e non c'è cosa più buona di questo abbinamento) peccato che viene segnalato come "vietato" per gli intolleranti al lattosio quindi da quando ho deciso di smettere di mangiare alimenti con lattosio ho eliminato questo "sushino" come si chiamano? Ahahah
Grazie per le domande.
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lunamagicablu · 2 years ago
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Narra la leggenda che in una foresta incontaminata, lontana dalla civiltà, crescesse un ciliegio che non riusciva a fiorire. La sua aura negativa e triste impediva all'erba di crescere e agli animali di avvicinarsi. Era come bloccato, incapace di sbocciare e di vivere.
Attirata da questa stranezza, una Kami, una divinità boschiva, ebbe compassione dell'albero e gli offrì il suo aiuto. Gli diede la capacità di trasformarsi in uomo, donandogli un cuore umano, così che potesse viaggiare e trovare delle ragioni buone e belle che lo portassero a fiorire.
Aveva un anno per trovare un motivo che gli permettesse di sbocciare, scaduto il quale sarebbe morto.
Il ciliegio accettò, ma in principio l'umanità non gli piacque, così presa da guerre di potere, morte e violenze. Tutto cambiò però quando il ciliegio incontrò Sakura, una giovane donna, a cui si presentò col nome di Yohiro, ossia "speranza".
I due diventarono ben presto confidenti, poi cari amici ed infine si innamorarono. Il ciliegio non nascose a Sakura la sua vera natura, lasciandola profondamente turbata e sorpresa.
Tuttavia, l'anno era quasi passato e la dea si ripresentò per chiedere a Yohiro se fosse pronto a sbocciare... o a morire. Fu allora che Sakura capì che non poteva rimare senza il ciliegio, così la divinità le propose di fondersi a Yohiro nello stesso albero per stare insieme a lui per sempre.
Sakura accettò e, quando i due amanti si abbracciarono, diventarono una cosa sola. A quel punto l'albero sbocciò, riempiendosi di centinai di fiori rosa, simboli di un amore eterno suggellato da una cascata di petali. Anna Silvia Armenise ****************** Legend has it that in an uncontaminated forest, far from civilization, a cherry tree grew that could not blossom. His negative and sad aura prevented the grass from growing and the animals from approaching. It was like stuck, unable to blossom and live.
Attracted by this strangeness, a Kami, a forest deity, took pity on the tree and offered her help. She gave him the ability to transform into a man, giving him a human heart, so that he could travel and find good and beautiful reasons that lead him to flourish.
He had a year to find a reason that would allow him to blossom, after which he would die.
The cherry tree accepted, but in the beginning it didn't like humanity, so caught up in wars of power, death and violence. However, everything changed when the cherry tree met Sakura, a young woman, to whom he introduced himself with the name of Yohiro, meaning "hope".
The two soon became confidants, then close friends and finally fell in love. The cherry tree didn't hide her true nature from Sakura, leaving her deeply disturbed and surprised.
However, the year had almost passed and the goddess came back to ask Yohiro if he was ready to blossom ... or die. It was then that Sakura understood that she couldn't stay without the cherry tree, so the deity proposed that she merge with Yohiro in the same tree to be with him forever.
Sakura accepted, and as the two lovers embraced, they became one. At that point the tree blossomed, filling itself with hundreds of pink flowers, symbols of an eternal love sealed by a cascade of petals. Anna Silvia Armenise 
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alonewolfr · 1 year ago
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In quel meraviglioso bosco si ergeva un albero che non fioriva mai. Pur essendo pieno di vita, sui suoi rami non apparivano mai i fiori. Per questo aveva l’aspetto di un albero morto, ritorto e secco. Pur essendo vivo, sembrava condannato a non godere del colore e degli aromi della fioritura.
L’albero si ergeva solitario. Gli animali non gli si avvicinavano per paura di essere contagiati dallo stesso male, neanche l’erba cresceva nei suoi dintorni. La solitudine, la sua unica compagna. Narra la leggenda di Sakura che una fata dei boschi si commosse vedendo l’albero apparisse vecchio, pur essendo giovane.
Una notte la fata comparve accanto all’albero e con nobili parole gli sussurrò che avrebbe voluto vederlo rigoglioso e raggiante, e che era disposta ad aiutarlo. Allora gli fece la sua proposta: avrebbe lanciato un incantesimo che sarebbe durato 20 anni. Durante questo lasso di tempo, l’albero avrebbe provato quello che prova il cuore umano. Forse così si sarebbe emozionato e avrebbe trovato la fioritura.
La fata aggiunse che si sarebbe potuto trasformare in qualsiasi momento in essere umano e di nuovo in pianta, come più desiderava. Tuttavia, se terminati i 20 anni non fosse riuscito a recuperare la sua vitalità e bellezza, sarebbe morto immediatamente.
Proprio come disse la fata, l’albero scoprì che poteva prendere le sembianze di un uomo e tornare a essere albero quando voleva. Provò a passare lunghi periodi tra gli umani, per vedere se le loro emozioni lo potevano aiutare nel suo proposito di fiorire. Inizialmente, però, ricevette una delusione: attorno a lui non vedeva altro che odio e guerra.
Questo lo spingeva a tornare nelle sue sembianze originali per lunghi periodi, e così passarono i mesi e poi gli anni. L’albero era quello di sempre e non trovava negli esseri umani la svolta che potesse liberarlo dalla sua condizione. Un giorno, tuttavia, dopo essersi trasformato in umano, camminò fino a un ruscello cristallino e lì vide una bellissima giovane. Era Sakura. Impressionato dalla sua bellezza, l’albero dalle sembianze umane si avvicinò a lei.
Sakura si rivelò gentile con lui. Per ricambiare la sua gentilezza, la aiutò a trasportare l’acqua fino a casa. Durante il tragitto conversarono animatamente, e con una vena di tristezza sullo stato di guerra in cui si trovava il loro paese, condividendo i loro sogni di speranza.
Quando la giovane gli chiese quale era il suo nome, all’albero venne in mente una sola parola: “Yohiro”, che significa speranza. Tra i due nacque una profonda amicizia. Si incontravano tutti i giorni per conversare, per cantare e leggere poemi e libri pieni di storie meravigliose. Più conosceva Sakura, più sentiva il bisogno di stare al suo fianco. Quando non era con lei, contava i minuti che mancavano per vederla.
Un giorno Yohiro non poté più trattenersi e confessò a Sakura tutto il suo amore. Le confessò anche la sua vera natura: era un albero tormentato che presto sarebbe morto perché non era riuscito a fiorire. Sakura rimase impressionata e restò in silenzio. Il tempo era passato e la scadenza dei 20 anni stava per avvicinarsi. Yohiro, che tornò ad assumere le sembianze di un albero, si sentiva sempre più triste.
Un pomeriggio, quando meno se lo aspettava, Sakura si presentò al suo fianco. Lo abbracciò e gli disse che anche lei lo amava. Non voleva che morisse, non voleva che gli accadesse nulla di male. Fu allora che apparve nuovamente la fata e chiese a Sakura di scegliere: rimanere umana o fondersi con Yohiro sotto forma di albero.
Lei si guardò intorno e ricordò i campi desolati e distrutti dalla guerra. Allora scelse di fondersi per sempre con Yohiro. Ed ecco che i due si fusero e divennero uno solo, e come per miracolo, l’alberò fiorì. La parola Sakura significa “Bocciolo di ciliegio”, ma l’albero non lo sapeva. Da allora, il loro amore profuma i campi del Giappone.
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ Un albero di ciliegio aveva messo le radici nelle fenditure tra i sassi componenti il muretto che sosteneva la terrazza; sporgendosi dalla ringhiera, si vedeva sotto il suo tronco uscire dal muretto a due metri da terra, e poi arcuarsi in modo che, spingendosi in alto, si rovesciava in dentro. Quasi tutta la chioma era perciò sopra il giardino, anzi sembrava stendersi verso l’interno il più possibile, e mi faceva tetto sopra la testa. Notai che la ringhiera era un po’ fuori sesto, come tirata in giù, proprio nel tratto dove il tronco, salendo dall’esterno, le passava rasente. Guardai e vidi che il muro si era gonfiato intorno al punto da cui il tronco ne usciva. Qualche sasso si era staccato e giaceva per terra nel prato sottostante. Fatta questa breve ispezione mi ritirai d’un passo e rivolsi lo sguardo in su. I rami, esili e serrati, formavano una cupola, e i fiori bianchi erano così fitti da non lasciar vedere nemmeno un pezzetto di cielo. Non avevo mai visto niente di così numeroso, e nel primo momento quella ripetizione infinita di petali dello stesso colore bianco mi diede il capogiro. Dove si apriva un varco, l’occhio era subito fermato da un intreccio di petali sul piano successivo; un piano era sfondo dell’altro; da sotto, si poteva credere che quell’immensa fuga di alette bianche non terminasse mai. Il sole non filtrava e, per quanto vedevo, la fioritura stava in ombra, senza vibrazioni di raggi e tutta luminosa allo stesso grado. Stampava un’ombra netta sul prato: fuori del suo contorno, il prato risplendeva d’una luce calda: ma io mi trovavo chiuso sotto una campana di luce chiara, fredda e come irradiata da una sorgente artificiale. Eppure portava qualcosa di vigoroso e di eccitante più dello stesso giorno. Mi pareva di essere caduto in un mondo diverso da quello della casa, e forse lo ero davvero; ho sempre pensato possibile, l’intrusione di un altro mondo in quello nostro abituale, e che possiamo scivolarvi da un momento all’altro. Mi giunse, in un secondo scatto, anche il movimento e il rumore. L’albero era pieno d’api, che in quell’ombra non luccicavano, ma volavano nitide tra i rami e penetravano nelle grotte dei rami, facendo un brusio d’alveare. Quella era la cosa vivente che amavo di più in casa mia, che avevo spesso ricordato, e da cui mi piaceva essere ricevuto dopo una lunga assenza. Emanava una grande, quasi smisurata energia, trasmetteva una vibrazione invisibile come le onde eteree che giungono fino alle stelle; era l’energia degli dei, dei grandi animali e dei morti. “
Guido Piovene, Le stelle fredde, Arnoldo Mondadori Editore, (Collana Scrittori Italiani e Stranieri), 1970¹; pp. 32-34.
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scrivosempreciao · 3 months ago
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Short story: Legno e Sangue, pt.2
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Ogni albero aveva il suo carattere e così anche il legno. Non ne esisteva uno che fosse uguale a un altro. Erano le impronte digitali del mondo. Erano come bambini. Erano come sentinelle sempre in attesa.
Il Rovere era saggio, con tante storie da raccontare. A volte diventava un po' noioso. Il Noce mi ricordava Zio Francis, un bohémien gioviale ma insidioso, con i suoi baffi arricciati e quella voglia immortale di stupire e raccogliere tutte le attenzioni. Il Mogano era forza e bellezza, ma anche così arrogante da far tremare le ossa. L'Acero era uno dei miei preferiti: vitale, modesto, affidabile, come un cagnolino dagli occhi lucidi e speranzosi. Il Ciliegio sognava un mondo colmo solo di musica, amore e mani gentili; nella villa c'era una pianola di ciliegio e quando nessuno guardava mi appisolavo vicino a lei. Mi faceva fare sogni dolcissimi.
Il Pioppo era come il maggiordomo Bernard; servizievole, quieto, generoso. Dava senza chiedere e non sapeva mai come prendere i complimenti. L'Ebano era energico e flessibile, sensuale e potente. Amava le sfide e le scommesse, forse fin troppo. Raro e prezioso, proprio come un segreto sussurrato nelle orecchie giuste. Il Frassino affrontava il tempo e le ingiustizie con una neutralità quasi commovente.
Io parlavo con il legno e il legno parlava con me. Io ero legno e il legno era me. Toccare una corteccia o la superficie di un mobile era come toccare me stessa. Eppure, spesso il legno era come uno sconosciuto ostinato e sospettoso. Mi chiedeva cose che non capivo, mi diceva parole che non avevano significato, mi incoraggiava a fare scelte che non osavo fare. A volte mi ubbidiva, molte altre no. A volte ci capivamo, molte altre no. A volte sapevo cosa fare con lui, molte altre no.
Ciò accadeva perché alle Streghe non si insegnava mai nulla che avesse a che fare con la loro maledizione. Avevamo dei poteri, sì, ma non sapevamo come usarli. Non conoscevamo l'infinito delle nostre capacità, solo i limiti. Ciascuna di noi apprendeva da se stessa, usando l'istinto e poco altro.
Eppure, non era per nulla facile togliere il marcio dai nostri corpi, anche se eravamo noi le prime a non capire davvero i poteri. Non era facile e il Collegio lo sapeva. Luminari — uomini innamorati della propria voce — del passato e del presente avevano speso molte energie a studiarci, vivisezionarci, spogliarci, torturarci, aprirci, maltrattarci e stuprarci per capire come curare la maledizione. Ci avevano rotte ancora di più nel tentativo brutale e ottuso di aggiustarci.
Si diceva che il potere delle Streghe traesse la sua forza dalle mani, dagli occhi e dalla voce. Toccare, vedere, ordinare. No, non ordinare: chiedere. Pregare, supplicare, sedurre, conversare.
Al Collegio non era possibile né toccare, né vedere, né parlare. Alle nuove arrivate, come me, venivano cuciti sulle mani dei lunghi guanti bianchi, che coprivano tutte le dita e arrivavano fino al gomito. Il colletto delle tuniche — bianche pure quelle, ovvio — era alto, aderente e stretto, fatto per stringere la bocca e impedire al suono di uscire. Attorno alle orbite veniva applicata una maschera che ci permetteva di vedere almeno un poco da due sottili fessure orizzontali — per farle aderire alla pelle del volto venivano adoperati dei punti di sutura più fini di quelli grossi e grezzi che ci lasciavano sulle braccia.
I primi giorni furono un inferno di dolore e confusione. Chi mi aveva messo tutta quella roba addosso alla pelle aveva fatto un pessimo lavoro e i punti tiravano come se volessero squarciare in mille pezzi la mia carne. Muoversi, mangiare o prendersi cura di se stesse era un'impresa; ci pensavano gli assistenti delle donne alte che mi avevano portata via e che avevo scoperto essere chiamate le Due Dame.
Gli assistenti aiutavano le nuove arrivate a prendere confidenza con quella condizione costretta. No, dire che ci aiutavano è dare loro troppo credito. Semplicemente, si assicuravano che non schiattassimo di fame o per una qualche infezione. A volte fallivano.
Agli assistenti piaceva molto assisterci durante i lavaggi o i momenti di igiene: eravamo come bambole cieche e rallentate nelle loro mani e potevano divertirsi un po'.
Volevo fare una strage. Volevo entrare in sintonia con ogni singolo pezzo di legno presente in quel Collegio — e ce n'era parecchio — e schiantarlo addosso agli assistenti e alle Due Dame. Volevo che soffrissero di tutto il male del mondo, volevo vedere le schegge impazzite lacerare i loro occhi e martoriare le loro facce prive di emozioni, lasciando solo grovigli di sangue, nervi, vene e ossa.
Prima di allora, prima di aver quasi fatto esplodere la villa e di essere stata gettata in quel baratro oscuro, non avevo mai pensato ai miei poteri come qualcosa di davvero pericoloso o violento. Ma più la mia pelle sanguinava sotto i capricci delle suture, più sentivo una scintilla brutale accendersi nel mio petto. Quel luogo esisteva per togliere il male da dentro di noi, eppure stava accadendo esattamente il contrario.
Ma io non ero più legno e il legno non era più me. Senza poterlo toccare davvero, quelle superfici che prima mormoravano sotto le mie dita erano diventate fredde e silenziose. Senza la mia voce, non potevo corteggiare neanche il più timido dei Pioppi. Senza la vista, i miei occhi non potevano più essere la finestra sul mondo per nessun Ciliegio curioso.
Il processo di normalizzazione era ormai iniziato. Al Collegio non serviva che le studentesse parlassero o dicessero la loro. Non potevamo fisicamente, ma ci sarebbe comunque stato impedito anche senza colletti alti. Eravamo lì per ascoltare e per essere ripulite da ogni marciume.
Ci lasciavano da sole in camere buie e umide per ore e ore. Altre volte facevano lo stesso, ma in stanze di un bianco così chiaro e candido da far venire la nausea. Spesso ci picchiavano, bacchettandoci le dita o il collo. Non sapevo con che criterio scegliessero chi punire e quando, ma era pressoché impossibile passare più di due giornate senza aver ricevuto una generosa dose di botte. Assistevamo anche a delle lezioni tenute da maestri barbuti; mi interessavano poco, erano dei lunghi sproloqui su Dio, sulla moderazione, sulla scienza e sul progresso.
Dopo qualche settimana, avevo ormai capito che la mia vita sarebbe stata un susseguirsi di giornate confuse, vuote e noiose, almeno finché non fossi uscita di lì. Non succedeva nulla; non volevano davvero educarci a una vita diversa, volevano solo soffocare i nostri poteri. Ci trattavano come piante infestanti da isolare, affamare ed estirpare, nella speranza impaziente che il prato tornasse pulito e immacolato. Era un gioco perverso di attesa e oblio: prendi una Strega, chiudila in una stanza, toglile tutto e attendi che il marcio se ne vada.
Conciata com'ero, facevo pure fatica a capire bene dove mi trovassi e chi fossero le altre maledette come me. Eravamo forse in un castello? Da quello che riuscivo a intravedere, non sembrava essere molto diverso dalla villa di Padre e Madre, solo immensamente e inutilmente più grande. No, grande non è la parola giusta. Più labirintico. Era tutto un aggrovigliarsi di corridoi, scale, camere, stanze, stanzette, ripostigli, saloni, aule, refettori, dormitori. Non riuscivo mai a trovare dei punti fermi a cui aggrapparmi per disegnare una mappa di quel posto nella mia mente; gli assistenti giocavano con noi come se fossimo state delle trottole, continuavano a spostarci da un posto all'altro. Non dormivamo per più di qualche giorno nello stesso letto e anche i tavoli dove mangiavamo sembravano cambiare di frequente.
Ma perché? Io non lo capivo, era tutto troppo assurdo. Quello che avevo capito era che quel posto urlava. Quel posto soffriva. Quel posto non era nato per il Collegio e ne aveva abbastanza. Aveva visto troppo. Aveva ospitato troppo. Aveva permesso troppo. Il legno non mi apparteneva più e io non appartenevo più al legno, ma potevo comunque sentirlo urlare tutto attorno a me.
Urlava di giorno, urlava di notte. Era un coro di grida strazianti che faceva vibrare le mie ossa e mi provocava un senso continuo di nausea. Vomitavo diverse volte al giorno e venivo anche punita per lo sporco che creavo sulla mia tunica o sul pavimento. Era come sentire il pianto di un neonato e non poter fare nulla di nulla.
Tra un conato e l'altro, mi chiedevo se ci fossero altre Streghe tra le mie compagne che soffrissero come me. Soffrivamo tutte, tutte noi maledette e guaste, questo era ovvio — "Vieni con noi e non soffrirai mai più". Ma mi chiedevo se ce ne fossero altre che sentivano il posto dove eravamo rinchiuse. Magari c'era una Sorella legata alla pietra o una che poteva parlare con i tessuti.
Non avevo idea di chi fossero le altre ragazze. Passavano davanti alle fessure della maschera come piccole nuvolette bianche prive di forma. Gli assistenti tendevano a dividerci in gruppi e a volte capitava di essere assieme alle stesse Sorelle per più occasioni. Avevo imparato a riconoscerle usando quel poco che potevo sapere di loro. Ce n'era una che uggiolava come un cucciolo bastonato — nella mia testa era stata rinominata Cucciola. Un'altra che sudava molto e odorava di pelle bagnata — lei era Sudore. Una aveva i gomiti appuntiti — Ossa. Una faticava a stare ferma e tremava sempre — Vibra. E poi ce n'era una che faceva "mmh-mmh" ogni volta che vomitavo o stavo male. Era un verso strano, come un colpo di tosse.
Lo faceva quando io rischiavo di soffocare nei miei stessi succhi gastrici fino a che un assistente non abbassava il mio colletto per permettermi di svuotare lo stomaco, lo faceva quando le urla del legno diventavano insopportabili e io vibravo. Non capivo se lo facesse perché le davo fastidio o perché anche lei sentiva quello che sentivo io.
"Mmh-mmh", mormorava, e basta. E quindi lei era Mmh-mmh.
Il Collegio non esisteva per educare, questo ormai lo avevo capito, ma dopo un po' — settimane? Mesi? Non mi era chiaro, il tempo aveva perso consistenza e le giornate erano diventate un grumo di confusione e oblio — iniziai ad avere il sospetto che il suo vero scopo non fosse solo toglierci i poteri. Il Collegio esisteva per condurre esperimenti sulle maledette.
Tutto ciò che subivamo doveva certamente far parte di qualche sperimentazione. Essere lasciate da sole per ore e ore. Picchiarci senza logica. Spostarci in continuazione. Rimbambirci con monologhi privi di senso. Ma se quelle torture potevano anche essere scambiate per semplici punizioni, c’era comunque la questione del cibo.
Ci davano da mangiare, sì, ma non erano dei pasti normali, né regolari. Quella faccenda mi aveva ricordato fin da subito ciò che Padre faceva con i suoi levrieri, un po’ per divertimento e un po’ per vero interesse. Somministrava ai cuccioli carni e sbobbe diverse, così da poter osservare il modo in cui certi cibi influivano sulla crescita dell’animale. La carne di cervo, di cavallo o di gallo li rendeva rapidi e reattivi. Le uova di quaglia e il coniglio di solito generavano cani timidi e docili. Padre ammazzava sempre questi ultimi.
E lì al Collegio, avessero solo voluto punirci, ci avrebbero dato ogni giorno il solito pasto insipido e scarno. Perché variare? Perché tanta fatica? Era un esperimento, chiaro. A volte ci davano delle zuppe caldissime e dal sapore orrendo; andavano giù a fatica in gola, sembrava di bere fango bollente. Altre venivano servite delle cene luculliane, roba da fare invidia a un re. Antipasti, primi piatti, secondi, dolci e digestivi; per me era una tortura, perché in quei casi vomitare era anche peggio. Sembrava mi dovesse uscire fuori l'intero stomaco, insieme ai pezzi di abbacchio.
Certi giorni ci davano solo frutta. Altri carne cruda. Altri solo carote o ravanelli. Altri solo acqua. In alcuni ci imponevano un digiuno feroce, privandoci di tutto. Se il digiuno durava troppo poteva anche accadere che una delle ragazze si sentisse male o svenisse. Un giorno capitò a me e fu il giorno in cui riuscii a parlare per la prima volta con Mmh-mmh.
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micheleilgiardiniere · 11 months ago
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Ciliegio nano, molto produttivo e di lento accrescimento con una costante produzione di ciliegie duracine rosso luminoso. Le dimensioni contenute di questo alberetto da frutto rendono possibile la sua coltivazione anche su terrazzi, balconi e piccoli giardini. Provalo! L’alberello arriva al massimo, a1,50 m di altezza e non ingombra!!
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cinquecolonnemagazine · 11 months ago
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Albero di Pasqua: idee per un tocco di primavera nelle nostre case
L'albero di Pasqua è una delle idee giuste per dare quel tocco in più alle nostre case in questi giorni. La luce e i colori della primavera insieme ai simboli della festa sono la combinazione adatta per vivacizzare gli ambienti in cui viviamo. Da realizzare in pendant con l'arredamento o in uno stile vicino ai più piccini, ecco alcuni suggerimenti per realizzare l'albero di Pasqua adatto a voi. Non solo l'albero di Natale Prima, però, facciamo un passo indietro e vediamo dove e quando nasce la tradizione di addobbare le case con l'albero di Pasqua. Fratello minore del più famoso albero di Natale, l'albero di Pasqua nasce dalla tradizione molto in voga nei Paesi del Nord e Centro Europa di decorare alberi e cespugli con fiori e uova per celebrare l'arrivo della primavera. La cristianità, poi, ha trasformato questo rito pagano inondandolo con i suoi significati. Ecco che le uova con cui decoriamo l'albero, da simbolo di rinascita, diventano rappresentazione della resurrezione di Cristo. L'usanza si è ben presto diffusa in tutto il mondo e anche da noi in Italia sta diventando una piacevole occasione per vivacizzare gli ambienti casalinghi. Secondo la tradizione, l'albero di Pasqua si realizza subito dopo il mercoledì delle ceneri per fare compagnia durante tutto il periodo della Quaresima. Idee per l'albero di Pasqua nelle nostre case La base dell'albero di Pasqua è costituita da rami di alberi come ciliegio, pesco, betulla, albicocco o melo. La presenza di gemme sui rami darà al tutto un aspetto più realistico. In alternativa si possono utilizzare anche rami finti, magari con piccoli fiori. Come tutte le decorazioni, anche l'albero di Pasqua dovrà adattarsi allo stile generale della casa: - In ambienti dallo stile classico sarà azzeccatissimo un albero realizzato con rami veri sistemati in un vaso di terracotta e addobbati con piccoli ovetti colorati e sagome di coniglietti. - Uno stile moderno, invece, richiama un albero realizzato anche con rami anche finti da sistemare in un vaso di vetro. Se non vi piace che si vedano i rami adagiati nel vaso potete nasconderli con della sabbia colorata. A quel punto potete procedere con le decorazioni. Una valida alternativa può essere tinteggiare di bianco i rami di bianco: in questo modo, i colori delle decorazioni risalteranno maggiormente. - Se avete un giardino scegliete un albero o un cespuglio e decoratelo con uova colorate di una misura più grande: l'impatto visivo sarà garantito. Coinvolgere i più piccoli Proprio come il Natale, anche la Pasqua può essere un'occasione per ritagliarsi del tempo di qualità con i propri figli. Possiamo coinvolgere i nostri piccoli nella realizzazione dell'albero sia in casa che all'aperto oppure realizzarne uno diverso da esporre nella loro cameretta. L'opzione più gettonata, nel secondo caso, è un albero realizzato con del panno lenci e un'anima di ferro che lo aiuti a tenersi in piedi. Insieme ai piccini si possono ritagliare le sagome di uova e di coniglietti e decorarle per renderle più realistiche e vivaci. Armatevi di forbici e colla e il gioco sarà fatto. In copertina foto di scartmyart da Pixabay Read the full article
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gregory71 · 1 year ago
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You never give up heels when you want to be just a shadow of the evening and crush confetti with light as if you had to stick them with a sword. Don't give up being a woman and raising your body with the same grace as a cherry tree in bloom. Don't give up the heels if you really want to wait for me, I'll choose the chains, I'll choose the whip, and I'll respect the heels that are yours and it's you, and you're the gentle song of the felines in love that recall as soon as evening comes
Non rinunci mai ai tacchi quando vuoi essere solo un’ombra della sera e schiacciare i coriandoli di luce come se li dovessi infilzare con una spada. Non rinunci ad essere donna ed ad alzare il tuo corpo con la stessa grazia di un albero di ciliegio in fiore. Non rinunci ai tacchi se mi vuoi aspettare davvero, sceglierò le catene, sceglierò la frusta, e rispetterò i tacchi che sono tuoi e sei tu, e sei il canto gentile dei felini in amore che si richiamano appena viene sera
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67enne ferito da albero pericolante a Bolzano
Un bolzanino di 67 anni questa mattina, mentre in un giardino stava tagliando un ramo, l’albero di ciliegio pericolante e crollato per terra e ha ferito l’uomo in modo serio. Sul posto sono intervenuti la Croce bianca, i vigili del fuoco e i vigili urbani.     Riproduzione riservata © Copyright ANSA source
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polveremagica3 · 2 years ago
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Ridammelo, ridammelo tutto indietro l’amore che ti ho dato, forse non ti è servito, forse non ti è bastato, ridammi indietro il mio cuore puro, ridammi l’innocenza di un bacio, ridammi indietro le lacrime, l’ansia, il mal di stomaco, il nodo alla gola, le palpitazioni, ridammi indietro la gioia, ridammi indietro il sesso, ridammi indietro l’adolescenza, le notti a pregare che fossi tu quello giusto, ridammi i miei pensieri, le mie angosce, i miei occhi gonfi, i miei ricordi, dammi tutto perché vorrei seppellirlo nel giardino più bello che ci sia, piantarli sopra un albero di ciliegio, vorrei scriverlo su un pezzo di foglio e gettarlo al mare, annegare tutto questo dolore che mi provochi la notte
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alonewolfr · 1 month ago
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In quel meraviglioso bosco si ergeva un albero che non fioriva mai. Pur essendo pieno di vita, sui suoi rami non apparivano mai i fiori. Per questo aveva l’aspetto di un albero morto, ritorto e secco. Pur essendo vivo, sembrava condannato a non godere del colore e degli aromi della fioritura.
L’albero si ergeva solitario. Gli animali non gli si avvicinavano per paura di essere contagiati dallo stesso male, neanche l’erba cresceva nei suoi dintorni. La solitudine, la sua unica compagna. Narra la leggenda di Sakura che una fata dei boschi si commosse vedendo l’albero apparisse vecchio, pur essendo giovane.
Una notte la fata comparve accanto all’albero e con nobili parole gli sussurrò che avrebbe voluto vederlo rigoglioso e raggiante, e che era disposta ad aiutarlo. Allora gli fece la sua proposta: avrebbe lanciato un incantesimo che sarebbe durato 20 anni. Durante questo lasso di tempo, l’albero avrebbe provato quello che prova il cuore umano. Forse così si sarebbe emozionato e avrebbe trovato la fioritura.
La fata aggiunse che si sarebbe potuto trasformare in qualsiasi momento in essere umano e di nuovo in pianta, come più desiderava. Tuttavia, se terminati i 20 anni non fosse riuscito a recuperare la sua vitalità e bellezza, sarebbe morto immediatamente.
Proprio come disse la fata, l’albero scoprì che poteva prendere le sembianze di un uomo e tornare a essere albero quando voleva. Provò a passare lunghi periodi tra gli umani, per vedere se le loro emozioni lo potevano aiutare nel suo proposito di fiorire. Inizialmente, però, ricevette una delusione: attorno a lui non vedeva altro che odio e guerra.
Questo lo spingeva a tornare nelle sue sembianze originali per lunghi periodi, e così passarono i mesi e poi gli anni. L’albero era quello di sempre e non trovava negli esseri umani la svolta che potesse liberarlo dalla sua condizione. Un giorno, tuttavia, dopo essersi trasformato in umano, camminò fino a un ruscello cristallino e lì vide una bellissima giovane. Era Sakura. Impressionato dalla sua bellezza, l’albero dalle sembianze umane si avvicinò a lei.
Sakura si rivelò gentile con lui. Per ricambiare la sua gentilezza, la aiutò a trasportare l’acqua fino a casa. Durante il tragitto conversarono animatamente, e con una vena di tristezza sullo stato di guerra in cui si trovava il loro paese, condividendo i loro sogni di speranza.
Quando la giovane gli chiese quale era il suo nome, all’albero venne in mente una sola parola: “Yohiro”, che significa speranza. Tra i due nacque una profonda amicizia. Si incontravano tutti i giorni per conversare, per cantare e leggere poemi e libri pieni di storie meravigliose. Più conosceva Sakura, più sentiva il bisogno di stare al suo fianco. Quando non era con lei, contava i minuti che mancavano per vederla.
Un giorno Yohiro non poté più trattenersi e confessò a Sakura tutto il suo amore. Le confessò anche la sua vera natura: era un albero tormentato che presto sarebbe morto perché non era riuscito a fiorire. Sakura rimase impressionata e restò in silenzio. Il tempo era passato e la scadenza dei 20 anni stava per avvicinarsi. Yohiro, che tornò ad assumere le sembianze di un albero, si sentiva sempre più triste.
Un pomeriggio, quando meno se lo aspettava, Sakura si presentò al suo fianco. Lo abbracciò e gli disse che anche lei lo amava. Non voleva che morisse, non voleva che gli accadesse nulla di male. Fu allora che apparve nuovamente la fata e chiese a Sakura di scegliere: rimanere umana o fondersi con Yohiro sotto forma di albero.
Lei si guardò intorno e ricordò i campi desolati e distrutti dalla guerra. Allora scelse di fondersi per sempre con Yohiro. Ed ecco che i due si fusero e divennero uno solo, e come per miracolo, l’alberò fiorì. La parola Sakura significa “Bocciolo di ciliegio”, ma l’albero non lo sapeva. Da allora, il loro amore profuma i campi del Giappone.
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thegirlwithgrayeyes · 6 years ago
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🌸 Spring 🌸
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(FOTO MIA)
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*Ho letto una storia molto bella ed ho deciso di condividerla qui con voi!
《Il ciliegio del sedicesimo giorno
Nel distretto di Wakegori, che appartiene alla provincia di Iyo, c’è un ciliegio famoso e antichissimo chiamato Jiu-roku-zakura, ovvero «ciliegio del sedicesimo giorno», perché fiorisce tutti gli anni il sedicesimo giorno del primo mese (secondo il vecchio calendario lunare), e quello soltanto. Il tempo della sua fioritura cade quindi nel Periodo del Grande Gelo, sebbene per regola naturale i ciliegi attendano la primavera prima di azzardarsi a fiorire. Il fatto è che nello Jiu-roku-zakura fiorisce una vita che non è − o almeno non lo era in origine − la sua. In quell’albero alberga lo spirito d’un uomo.
Era egli un samurai di Iyo e l’albero cresceva nel suo giardino e fioriva, insieme a tutti gli altri, verso la fine di marzo e i primi di aprile. Aveva giocato sotto quell’albero quando era bambino; i suoi genitori, i suoi nonni e i suoi antenati avevano appeso ai suoi rami in fiore, una stagione dopo l’altra, per più di cento anni, strisce di carta colorata che recavano scritte poesie di lode.
Lui stesso era diventato vecchissimo sopravvivendo ai suoi figli e non gli era rimasta altra creatura da amare che non fosse il ciliegio. Ma, ahimè, durante l’estate di un certo anno, l’albero si avvizzì e morì. Il vecchio se ne dolse oltre ogni dire. Invano cortesi vicini gli trovarono un altro ciliegio, giovane e vigoroso, e lo piantarono in giardino, con la speranza di recargli conforto. Li ringraziò di cuore e dette mostra di aver ritrovato la felicità. Ma in realtà aveva la morte nel cuore, perché così teneramente aveva amato il vecchio albero che nulla avrebbe potuto consolarlo.
Alla fine gli venne in mente una buona idea: si ricordò come si può salvare una albero morente. Era il sedicesimo giorno del primo mese. Si recò da solo in giardino e s’inchinò davanti all’albero avvizzito rivolgendogli le seguenti parole: «Ti scongiuro di fiorire ancora una volta… perché sto per morire al posto tuo». (È convinzione diffusa, infatti, che si possa immolare la propria vita per un’altra persona, o per qualsiasi essere creato, compreso un albero, purché si ottenga l’aiuto degli dèi; e questa trasmigrazione dell’esistenza è espressa dalle parole migawari ni tatsu: «agire per sostituzione».)
Allora il vecchio distese sotto l’albero un telo candido e vi depose alcuni cuscini, quindi vi s’inginocchiò e fece hara-kiri, alla maniera dei samurai. E il suo spirito trasmigrò nell’albero e lo fece fiorire in quel preciso istante.
E tutti gli anni continua a fiorire il sedicesimo giorno del primo mese, nella stagione delle nevi.》
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pataguja61 · 3 years ago
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Piccola storia di una Merletta
La Merletta è tornata all'attacco. Ieri ha saccheggiato il "giardino" ( che chiamo così per comodità, ma che in realtà è un misero lembo di terra tipo loculo che ospita addirittura un ippocastano piantato decenni fa dagli originali proprietari.)L' albero è altissimo e raggiunge il terzo piano del palazzo sfiorando le finestre dei condomini, recentemente è stato impietosamente potato. Averlo piantato fu una follia e nemmeno l' unica...all' Ippo facevano compagnia un ciliegio selvatico e nel "giardinoloculo" accanto addirittura un pino che solitamente si trova in montagna.Sopravvissuto solo Ippo, datosi albero di larghe vedute e fronde, decise di diventare B&B. Ecco perché la Merletta e suo marito Merlodalbeccogialloeappuntito la scorsa settimana avevano pensato bene di buttare giù dal nido, offerto da Ippo, il loro unico figlio. Poiché Leo, pur essendo vecchiotto non è ancora del tutto rinco, gli ha dato la caccia e io ho dato la caccia a Leo salvando il Figliounico dalle sue fauci sdentate e infilandolo contro la sua volontà nel giardino del signor E.,protetto da ogni pericolo. Ora mi sono resa conto che la Merletta deve avere un secondo figlio perché questa mattina ho visto Leo,che solitamente esibisce un'andatura ondeggiante con pancia strascicata sul terreno tipo leone della Savana in procinto di catturare una preda, fare uno scatto degno di Mennea ai tempi d' oro. Ho subito braccato il felino, sgridato con parole a lui comprensibili tipo" Guai a te, non ci provare, ti ammazzo..." e sono tuttora in attesa di recuperare il fratello di Figliounico per infilarlo nel giardino del signor E.
Ho proprio niente da fare...
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susieporta · 3 years ago
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Adesso,
salgo sopra il cielo,
Sopra di te.
Mi sembra che tutta la vita ritorni a danzare
d'amore e poesia,
proprio come io
ho intenzione di viverla,
la vita più piena
e Assoluta.
Di luce e di prese lancinanti,
io sono fatta
per scomparire
negli altri, nei momenti migliori,
in me stessa,
nei momenti peggiori.
Sono pura, sono libera.
Sono come te, Sono animale, albero,
motore immobile, dinamismo perpetuo, ciliegio
inconsistente, giornate appassite, pienezza inaudita.
Sono me stessa,
tra i croli e i colteli,
tra le luci e le stelle.
Al diradarsi del cammino, vi è un fiore ad attenderti.
Sono io.
Greta Verdini
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