#affinità artistiche
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Kate Bush photographed by Clive Arrowsmith for Company Magazine, 1982 🌿
Girl with a butterfly painted by Frank Brooks, 1891 🌿
#Kate Bush#aestethic#Frank Brooks#girl with a butterfly#arte#fotografia#natura#abbinamento di agosto#green#affinità cromatiche#affinità artistiche
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Sabato 4 novembre alle ore 17.00 Emanuela Panzironi, Sindaco di Zagarolo, Andrea Celeste Pironti, Presidente di Palazzo Rospigliosi Colonna e gli artisti Ennio Calabria, figura centrale nel panorama artistico e culturale italiano della seconda metà del Novecento, e Enrico Benaglia, considerato tra i più rappresentativi protagonisti dalla fine del ‘900 ad oggi del Surrealismo italiano, interverrano, negli spazi espositivi di Palazzo Rospigliosi Colonna, in Piazza Indipendenza 6 a Zagarolo (RM), storica dimora laziale di cui si favoleggia avesse 365 camere, sede del Museo Demoantropologico del Giocattolo, il più grande d’Europa in sede storica, alla inaugurazione della Mostra d’arte Internazionale “Convergenze” che ha come protagoniste le opere di oltre 150 artisti, italiani e francesi, espressione delle poetiche sviluppate a partire dalle Avanguardie storiche del Novecento (aperta, con ingresso libero, fino al prossimo 25 novembre). L’evento patrocinato dalla Regione Lazio, frutto della stretta collaborazione tra il “Salon d’Arts Plastiques de La Rochelle” di Parigi diretto da Philippe Rat e l’Associazione Culturale “STUDIOZERO” che gestisce la Galleria Romana d’Arte moderna “Purificato.Zero” diretta da Pino Purificato, rinnova la gloriosa tradizione artistica che nella storia da sempre accomuna Francia e Italia per affinità culturali, storiche e sociali. Accanto alle opere di grandi Maestri del Novecento, tra i quali Franz Borghese, Achir Brahim, Ettore De Conciliis, Elena e Giovanni Tommasi Ferroni, Alessandro Kokocinski, Franco Fortunato, Alfonso e Giovanni Omiccioli, Sandro Bini, saranno in esposizione opere di autori emergenti espressione delle più attuali ricerche artistiche. L’interconnessione delle reciproche attività delle due Istituzioni, sviluppate con qualità e successo negli anni, è il punto nodale della collaborazione che intende ancora una volta sottolineare l’internazionalità dei linguaggi dell’arte quale motivo di coinvolgimento per la crescita di artisti emergenti proposti insieme a grandi Maestri del Novecento. Nel corso del vernissage la cantante folk Lavinia Mancusi, si esibirà nella performance “A Cruda Voz”, accompagnata dalla fisarmonica del Mestro Mauro Menegazzi. Nel giorno di apertura della mostra saranno inoltre assegnati, grazie allo sponsor francese “Le Géant des Beaux-Arts”, Premi espositivi in Francia ad artisti italiani e Premi espositivi in Italia ad artisti francesi.
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Solo bei post di testo su questo blog
Salve Ragazzi, sono Rem (perchè devo precisarlo se sono sul mio blog? Vabbè...). Come al solito mi trovo qui a scrivere un piccolo Journal spiacevole, ogni volta mi auguro sempre che sia l’ultimo ma... sembra che certe piaghe non riescano mai a dissiparsi.
Allora, oggi mi trovo qui a rispondere ad un post che purtroppo circola da un mese senza che io o Aoimotion ne fossimo al corrente, purtroppo abbiamo scoperto la sua esistenza solo poche ore fa. Ho deciso di non rebloggarlo perché non voglio certa roba sul mio blog, comunque vi riporto qui il link se volete leggerlo e farvi un idea. Adesso mi scuserete, ma da qui in poi mi riferirò direttamente all’autrice del suddetto post, quindi il soggetto di questo testo cambierà.
Buonasera, Sig.na @spanish-vega.
Sono Rem (sì, non devi temere, solo ed esclusivamente Rem) mi dispiace fare la tua conoscenza in questa spiacevole circostanza, sì, perché per quanto tu asserisca di aver collaborato piacevolmente con me, io non ricordo di averti mai conosciuta fino ad oggi e ti posso assicurare che Landsec non mi ha mai parlato di te. Perdonami anche se mi esprimo nella mia lingua madre, ma visto che tu l’hai fatto, ho pensato che fosse una buona idea che io facessi altrettanto.
Non aver paura di arrivare in fondo a questo post, non ho intenzione di infierire su di te direttamente, anche perché non so quanto tu sia coinvolta in questa faccenda, per quanto ne so potresti essere benissimo un mezzo per uno scopo, non sarebbe la prima volta che vedo una cosa del genere. Come puoi vedere, ti ho menzionata, in modo che tu possa avere diritto di replica immediata, cosa che tu non hai concesso né ha me, né alla mia amica. Ti chiedo solo, in caso avessi delle rimostranze, di riferirti direttamente a me.
Fatta questa premessa ora vado a rispondere al tuo post, esponendo la mia versione dei fatti.
Allora facciamo un passo indietro: stavo lavorando alla seconda metà di Black Jack. Fino a quel momento ero stata io a mantenere i rapporti con i traduttori, è vero, ma solo per questioni personali mie e di Aoimotion che non devo stare qui a spiegare pubblicamente. Con il tuo collaboratore ero in confidenza, quindi mi capitava di avere contatti anche per questioni non legate strettamente alle traduzioni, e in qualche modo anche se non fiscalmente c’è da dire che in modo abbastanza indiretto riuscivo ad avere un buon controllo sulle opere, anche grazie al fatto (se hai collaborato con Landsec lo saprai bene) che da qualche tempo passavo ai traduttori abitudinari le pagine pulite da riempire, che mi venivano chieste puntualmente a distanza di qualche giorno dalla pubblicazione ufficiale. Quindi è vero che non è mai stato chiesto ai traduttori di chiedere il permesso di tradurre ogni opera a noi autrici, ma questo tipo di contatto che avevo instaurato era qualcosa di molto simile. Senza contare il fatto, che questo tipo di atteggiamento dovrebbe essere alla base dell’educazione e del vivere civile. Perché se dovessi pensare di prendere qualcosa di una persona e modificarla, chiederei sempre e comunque il permesso. Io l’ho sempre fatto quando ho chiesto qualcosa in prestito agli amici.
Ma torniamo alla nostra storia. Un giorno le cose cambiano: io ho meno tempo di dedicarmi alla burocrazia che riguarda il nostro progetto e ho alcune questioni personali che mi impediscono di seguire certe cose come facevo prima. Così ne discuto con la mia buddy e conveniamo che essendo Aoi l’autrice della storia e dei dialoghi che venivano tradotti, era più che legittimo che si occupasse lei di intrattenere i rapporti con i traduttori, è una decisione che è stata presa con molto entusiasmo da parte di entrambe, perché poteva essere comunque una nuova occasione di imparare. Così scrivo privatamente ai traduttori abitudinari e dico loro che Aoi si occuperà di gestire le traduzioni, loro mi rispondono (qualcuno sempre con commenti fuori luogo, ma lasciamo perdere...) e in seguito, forse, la contattano solo per chiederle qualche pagina bianca di BJ.
Black Jack finisce. Nell'arco di qualche mese pubblichiamo una parte di OD e altre piccole opere e dei traduttori nessuna traccia. Avevamo pensato che essendo finito Black Jack, probabilmente non avrebbero tradotto più nulla di nostro dato che si trattava di soli contenuti originali. Ovviamente sarebbe stato comprensibile e legittimo e noi non avremmo avuto nessun problema su questo. Senza contare il fatto che ci rendiamo perfettamente conto che come noi, queste persone incastrano le traduzioni con la propria vita privata.
Esattamente un giorno dopo questo discorso che io e Aoi abbiamo avuto, vedo una parte pubblicata e tradotta di OD da parte di Landsec e penso “ma guarda un po’, alla fine ha chiesto ad Aoi le pagine bianche” rebloggo questa parte tradotta e Aoi mi chiede se Landsec aveva contattato me per chiedere le pagine o il permesso di tradurre. Ovviamente questo non era accaduto, così ho cancellato il reblog. Ne è scaturita una forte discussione per cui poi sia io che Aoi ci siamo scusate con Landsec, senza avere alcuna risposta da parte sua. Che ha preferito discutere la questione non direttamente con noi ma in separata sede. Ovviamente io ho potuto vedere di persona quanto detto nella suddetta sede e ho chiuso totalmente i rapporti con il gruppo di cui tu probabilmente fai parte. E sia ben chiaro che non ho alcuna intenzione di riallacciarli.
Purtroppo Landsec non ha mai risposto alla mia domanda del perchè non avesse chiesto ad Aoi quelle pagine bianche. Quella parte di OD fra l’altro era molto difficile da pulire, aveva molti balloons trasparenti. Quindi alla fine la risposta me la sono data da sola, è inutile girarci intorno: il problema si è posto sin dall’inizio, non avete mai considerato e rispettato lei in qualità di autrice quanto avete fatto con me. E il problema non è suo, è vostro che avete deciso a priori di trattare il cuore di un progetto con una sufficienza vergognosa. E questo atteggiamento sia a livello artistico che umano è orrendo. Io detesto questo tipo di atteggiamenti elitari, li odio in modo viscerale. Soprattutto nel momento in cui si riversano su persone che mi sono care. E il post che ti sei premurata di scrivere ne è l’ennesima dimostrazione in quanto fortemente denigratorio. Purtroppo per voi nel momento in cui non rispettate Aoi, non rispettate nemmeno me. Con quale presunzione giudicate il suo ruolo nel nostro duo, e con che ipocrisia, visto che in questo fandom ci sono altre coppie di artisti che stimate, idolatrate con cui collaborate e di cui riconoscete i rispettivi ruoli. Capite che quando affermate che il suo ruolo di scrittrice è infimo, insultate anche i vostri amici scrittori che collaborano con artisti? Capite quanto è stupido tutto questo?
Abbiamo sempre lavorato insieme, fianco a fianco, in realtà abbiamo due ruoli diversi ma che si fondono e compattano quando realizziamo qualcosa, che sia un’opera o un Journal. Sono stata io due anni fa a contattare Aoi, proprio perché avevo letto una sua fic in italiano e me ne ero innamorata, ho trovato avesse un grande talento e volevo assolutamente che lo sviluppasse, poi abbiamo visto di avere notevoli affinità artistiche e abbiamo deciso di collaborare. Col senno di poi, se forse non l’avessi spinta io a questa collaborazione, lei ora starebbe molto meglio, mi duole averlo fatto.
Ti ricordo sempre, cara Vega, che senza di lei i comics che tu hai tradotto tanto “faticosamente”, non sarebbero mai esistiti. Affermare che il lavoro del traduttore è più faticoso di quello dell’autore e quindi ideatore dell’opera è semplicemente penoso, per chiunque lo pensa o abbia il coraggio di scriverlo. Questo è il motivo per cui io per prima ho deciso di chiudere del tutto i rapporti con le traduzioni e i traduttori, e il fandom in generale.
Dopo questa lunga parentesi volevo anche precisare che Landsec non ha smesso di tradurre per colpa nostra, ricordo molto bene che aveva scritto un lungo post di ritiro ben prima che saltasse fuori questa questione, dicendo che avrebbe probabilmente tradotto i nostri comics e quelli di altri artisti, ma mi era sembrata comunque un’affermazione molto leggera e astratta, visto che anche in quel caso nè io nè la mia collaboratrice sapevamo nulla al riguardo. Ma alla fine mi rendo conto che è sempre più semplice dare la colpa agli altri piuttosto che ammettere ai propri followers che si è perso l’interesse in qualcosa. Quindi ti prego di stare sempre molto attenta quando muovi certe accuse.
Ora passiamo alla richiesta della cancellazione delle traduzioni. Una delle poche cose corrette che hai detto in quel post è che Landsec ha cancellato le traduzioni che ha fatto per noi da solo, senza che noi dovessimo chiederglielo. La richiesta a cui ti riferisci è attuale ed è stata fatta perché si sono creati problemi con altre persone (che comunque già c’erano da molto tempo perché ero io la prima a non sopportare certi atteggiamenti che ritenevo prepotenti e maleducati), che mi hanno portata a decidere di estraniarmi totalmente da Zootopia e in particolare da questo fandom (perché la mia stima per il film in purezza e i suoi personaggi è rimasta e stavo rischiando di rovinarla). Presto BJ sarà cancellato dai nostri canali e preferisco che anche le copie editate che conosco e che si trovano in giro per il Web spariscano, ad una persona in particolare ho chiesto di cancellare tutto perché volevo chiudere definitivamente la collaborazione e non mi andava che detenesse ancora le mie opere, ho avuto i miei motivi per farlo, non sono pazza, non preoccuparti. L’altro traduttore che tu hai citato non riesco a ricordarlo per cui di certo non gli ho chiesto alcun ché, ma visto che l’hai gentilmente citato chiedo anche a lui di eliminare quanto meno Black Jack e di smettere di tradurre se sta ancora traducendo.
Questa esperienza mi ha insegnato che è sempre meglio non concedere tutto a tutti perché se poi i risultati sono livore e post come quello che hai scritto, tanto meglio che nessuno metta le mani sul nostro lavoro.
Passiamo alla questione Jack Savage. Pensavo di essere stata chiara a suo tempo ma evidentemente non riesco mai ad esserlo. Prima di tutto concedimi di dirti che non è affar tuo o dei tuoi amici se io e Aoi ci avventuriamo in imprese che voi ritenete suicide, continuate a dire di non aver interesse nel nostro lavoro eppure noto che siete sempre attentissimi ad ogni aggiornamento che pubblichiamo. Come al solito raccogliete ciò che dalle dichiarazioni vi fa più comodo e le usate per sputare sentenze sulle persone (ricordo: Persone). Il suggerimento di cambiare i connotati di Jack ci è arrivato molto tempo fa da altre persone appartenenti al vostro caro fandom. All'inizio avevamo qualche dubbio, ma per come si sono evolute le cose effettivamente ci è sembrata una buona idea per dare un nuovo taglio al cordone ombelicale legato sempre non tanto al film quanto all’universo Zootopia. Perché l’essenza a questo personaggio l’abbiamo già data, se il problema è ancora la sua figura e il suo nome, abbiamo la libertà di cambiarlo, il character design è qualcosa che da disegnatrice adoro fare, quindi non avrò alcun problema a realizzare una nuova figura per Jack.
Ultima cosa, molto importante che mi sento di correggerti: Il meme che hai fatto tu o chi per te, devo dire che è erroneo.
il post a cui ti riferivi l’avevo scritto io di mio pugno e non vedo perché tu abbia usato il nome di Aoimotion sull’ometto del meme, se avevi paura di me ti avviso che non ho mai mangiato nessuno;
ponendo l’ipotesi di lasciarlo così com'è, Mickey e Aoi sono abili in molte cose ma credo che non sappiano disegnare, quindi non vedo perché dovrebbero discutere su chi ha fatto quel disegno dato che in realtà la disegnatrice sono io.
è l’incarnazione perfetta delle caratteristiche che io stessa ho dato a Jack e che ho descritto nel suddetto post: ciuffo, cicatrici, muscoli e anche le strisce sulla spalla.
Quindi potrebbe essere un po’ un boomerang per te. Potevi benissimo mettere due ometti sulla sinistra con “Aoimotion” e “Rem” sulle rispettive magliette e a destra Mickey che reggeva l’immagine originale di Jack Savage tratta dall’artbook, sarebbe stato un modo più coerente e intelligente per esprimere il tuo concetto.
Credo di averti detto tutto quello che ti volevo dire, segnalerò il tuo post in quanto diffamatorio, lacunoso e offensivo. Se avrai rimostranze da fare, ti ripeto di rivolgerle a me. Dato che sai, anch'io sono in grado di risponderti e dirti la mia, come hai potuto vedere e ti posso anche dire che sono piuttosto incazzata.
-Rem, Rem, sempre Rem e ancora Rem-
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DIMMI CHE TIPO TI PIACEVA IN BEVERLY HILLS 90210 E TI DIRÒ CHI SEI
DIMMI CHE TIPO TI PIACEVA IN BEVERLY HILLS 90210 E TI DIRÒ CHI SEI
Dylan. Abbandona ogni velleità lavorativa, ammesso che tu l'abbia mai avuta. La tua occupazione primaria è lui. Anche se ogni giorno ti rendi conto che non guadagni nel portarla avanti il becco di un quattrino, ti racconti di stare facendo un investimento sul futuro. Qualifica di base richiesta: sindrome della crocerossina fortemente accentuata. Da prendere in considerazione solo se nella vita hai un sacco di tempo a disposizione, fai la casalinga, la sciampista o attività analoghe nel mondo del wellness, hai ottenuto un posto part time per raccomandazione, hai ereditato il posto di papino, che in giro ti vanti pure di chiamare lavoro, anche se passi sei ore sane davanti a candy crush. Se qualcuno ti chiede il tuo hobby rispondi: passare l'aspirapolvere, votare la propria esistenza al caso umano, ripassare l'aspirapolvere, piega dai cinesi, uscire, comprare da mangiare a dylan, passare da intimissimi o sexy shop al fine del soddisfacimento degli istinti basici di dylan. Lauree in assistenzialismo sociale danno fino a un massimo di cinque punti. O ESPERIENZA EQUIVALENTE. Tuttavia anche la licenza media è più che sufficiente. Entri ed esci dal manicomio. Reperibilità h 24. Non servirà a niente, tutto inutile. A quaranta cinque anni realizzerai che hai buttato un sacco di tempo, e partirai alla volta di Calcutta alla ricerca della vera te stessa. Ti reinventerai una carriera nel campo del Martirio, presenterai la pratica per beatificazione, ma verrà respinta. Non scoprirai mai che nel frattempo altre 35 donne erano nelle tue stesse condizioni, e forse arrivati a questo punto è finanche meglio. Film di riferimento Mommy di Xavier Dolan. Brandon. Casa in città, due figli, due affacci, doppia esposizione, pertinenze, 4 balconi, casa di villeggiatura invernale a Bardonecchia, casa di villeggiatura estiva a Varigotti, in chiesa la domenica, lavoro in banca ai piani alti. Ferie di 3 settimane ad agosto, in villaggi Valtour con piscine multiple. Se non sei morta prima per cause naturali (la noia, l'ovvietà, eccetera), intorno ai 45 anni ti godrai la scoperta della sua partecipazione sistematica a festini di trans e coca tagliata male e successivo allontanamento a Gerusalemme per affiancare Piero Marrazzo. Film consigliato, L'avversario, tratto dal romanzo di Emmanuel Carrère. Steve. Accollo di dimensione epocali. Ti ci metti ma poi ti vergogni a portarlo in giro perché credi che la gente possa pensare che sei idiota anche tu. Allora lo tieni chiuso in casa, per la maggior parte del tempo; quando stai fuori per più di due ore lo rinchiudi nello sgabuzzino per paura che possa fare danni eccessivi. Quanto torni lo scendi un attimo - previo accertamento sul fatto che in giro non ci siano conoscenti - come direbbe di recente l'accademia della crusca. Film di riferimento Frankenstein di Mary Shelley. David. È i classico tipo che si fa scegliere, perché lui non ha tempo per gli altri, è concentrato sulle sue passioni e la figa è l'ultimo dei suoi pensieri, e questa cosa ti piace un sacco. Il fatto che prima di te sia stata Donna, la più cessa di tutta la contea di Los Angeles, ad accaparrarselo, un po' ti avvilisce, tuttavia vuoi sperare che era piccolo e troppo insicuro per discernere il bene dal male. Ex fondatore della radio dell'università, lo vedi lì con quel suo zainetto e la passione della musica elettronica, in procinto di partire per il sonar, così, un po' timido, ti fa una tenerezza. Nerd da morire, non gli resisti, ti ispira talmente sesso. A differenza di dylan, impersonificazione di un cliché che lasci alle donne banali, un mangiatore compulsivo di tempo a perdere, una vera sanguisuga, in lui riesci a vedere ampi margini di manovra e speri in fondo di poterlo trasformare con gli anni nel maggiordomo che hai sempre sognato di avere. Fa particolarmente leva su di te perché hai una sensibilità spiccata, di solito conduci attività intellettuali o artistiche, persegui immaginarie carriere da scrittrice al primo romanzo. Questa tua sensibilità di fronte a lui si trasforma in puro visionarismo: vedi cose che non ci sono, sei convinta che anche lui abbia al suo interno un mondo popolato di cose meravigliose, uno spiccato senso di disadattamento e una feroce critica sociale e vi considerate presi all'interno di una relazione di affinità elettiva versante genialità incompresa ai più. Fellini al tuo confronto si rivelerà essere un principiante. D'altra parte, lui non fa niente per contraddire queste tue proiezioni, tipo entrare e uscire da un riformatorio come dylan, è un tipo dall'apparenza pacifica, ciò corrobora la tua fantasia. Finirete per unire gli spiriti artistici e imprenditoriali al fine di aprire una concessionaria Aprilia in franchising alla periferia nord di roma, dove, mentre lui gestisce i clienti, tu correggi la settantaduesima versione del romanzo nel cosiddetto retrobottega. Film di riferimento: la saga di Twilight.
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Al via a L'Aquila «Duo. Musiche nuove da tradizioni antiche»
Al via a L'Aquila «Duo. Musiche nuove da tradizioni antiche» con Enzo e Lorenzo Mancuso, Alessandro D’Alessandro e Paolo Angeli, Otello Profazio e Peppe Voltarelli, tre concerti eseguiti “in duo” da musicisti affini.
Al via a L’Aquila, dal 16 al 18 settembre 2022, la rassegna “Duo. Musiche nuove da tradizioni antiche“, evento nato con l’intento di offrire una panoramica su esperienze artistiche eseguite in duo e caratterizzate da affinità stilistiche e da un’accentuata prossimità creativa. Si inizia il 16 settembre, alle ore 18, con il concerto dei Fratelli Mancuso, compositori e polistrumentisti animati da…
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Arriva la seconda edizione di inTOUR
Torna per la sua seconda edizione inTOUR, dal 21 al 23 ottobre 2022: tre giorni di aperture straordinarie – in alcuni casi anche di sedi solitamente chiuse al pubblico – e di attività pensate appositamente per l’occasione, alla scoperta del ricco patrimonio culturale lombardo. inTOUR: la seconda edizione A prendervi parte sono circa 50 tra istituzioni legate al mondo del design, atelier, archivi d’artista e musei d’impresa diffusi in capoluoghi e località della Lombardia, come Milano, Bergamo, Brescia, Como, Pavia e Varese, che partecipano con un ricco programma di iniziative ideato dall’associazione MuseoCity in collaborazione con Circuito Lombardo Musei Design e Museimpresa. Gli itinerari inTOUR suggerisce tredici itinerari che legano per affinità o per vicinanza territoriale le diverse istituzioni partecipanti, in circuiti da percorrere a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici: i visitatori possono così scegliere il percorso più affine ai propri gusti e alle proprie esigenze. Non si tratta comunque di percorsi obbligati: ciascuno è libero di creare i suoi secondo la propria curiosità. Spazi chiusi? Con l’obiettivo di aprire spazi normalmente chiusi al pubblico, di valorizzare un patrimonio poco noto o di approfondire la conoscenza di sedi già celebri con visite ed eventi speciali, inTOUR consente da un lato di praticare quel turismo di prossimità che permette di scoprire le ricchezze artistiche e culturali del proprio territorio e dall’altro di concretizzare quella “rete” così necessaria alla valorizzazione delle diverse istituzioni della Regione. Read the full article
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Modena, musica jazz ai giardini con Silvia Donati
Modena, musica jazz ai giardini con Silvia Donati. La musica jazz del quartetto di Guglielmo Pagnozzi con la voce di Silvia Donati, martedì 6 settembre ai Giardini ducali, apre il calendario degli spettacoli nella nuova settimana di appuntamenti dell’Estate Modenese, che propone anche il concerto degli Zambra Mora alla Sacca, un classico per ragazzi e uno spettacolo “misterioso” al teatro Michelangelo per la rassegna Michestate, e voci liriche femminili al chiostro di San Pietro. Lunedì 5 settembre Alle 19, è però un’insolita passeggiata in bicicletta all’insegna del “cicloteatro” che parte dal quartiere industriale di Modena est e arriva agli argini del Panaro, raccontando “Storie di fiume e marinai di terra”. La biciclettata sarà animata dagli attori di Cajka teatro; il ritrovo dei partecipanti è al bar Est (in viale Caduti sul Lavoro 236), il percorso dura poco più di un’ora e la partecipazione è gratuita. Per informazioni: 345 0851765; [email protected]. Martedì 6 settembre Alle 21, ai Giardini ducali, jazz sotto la luna con il quartetto di Guglielmo Pagnozzi e Silvia Donati, grande cantante jazz italiana e una delle voci più espressive e autentiche del territorio. Il concerto sarà dedicato all’amore per il jazz in tutte le sue incarnazioni, dall’epoca dello swing fino al be bop e agli stili più moderni. Sul palco, a formare un quartetto legato da una particolare affinità elettiva, Guglielmo Pagnozzi (sax e clarinetto), attivo dai primi anni Novanta sulla scena del jazz e della musica sperimentale, esploratore delle musiche etniche e tradizionali di tutto il mondo, Jimmy Villotti alla chitarra, Filippo Cassanelli al contrabbasso e Andrea Grillini alla batteria. L’ingresso è libero; l’iniziativa è a cura di Studio’s in collaborazione con Fondazione di Modena ed Hera. Mercoledì 7 settembre Alle 18, al teatro Michelangelo, va in scena lo spettacolo per ragazzi “Il topo di città e il topo di campagna”, favola classica scritta da Esopo e ripresa da Orazio. Lo spettacolo è una produzione Fantateatro; per informazioni e biglietteria: www.teatromichelangelo.com. Alle 20.30, alla Sacca, nel cortile di via Staffette Partigiane 9, con il concerto del gruppo modenese Zambra Mora, debutta “Contaminazioni”, la rassegna promossa dalla Scuola di musica Euphonia che mescola le diverse forme artistiche. “East to west music” è il titolo dello spettacolo del gruppo che propone una musica di ispirazione etnica e, in particolare, balcanica e medio orientale. Lo spettacolo è a ingresso gratuito. Nel chiostro di San Pietro, alle 21, va in scena “Diva’s… le voci delle donne” con i soprani Samantha Sapienza e Giusy Maresca e la pianista Nadia Testa. La serata è organizzata dal Salotto culturale di Modena, l’ingresso è a offerta libera a sostegno del progetto di restauro del chiostro “Adotta una colonna” (per informazioni e prenotazioni: [email protected]). E sempre alle 21, in piazza XX Settembre, a cura di Modenamoremio, canzoni d’amore con Marco Dieci e Monica Guidetti. Giovedì 8 settembre Alle 21, nuovo appuntamento con la rassegna Michestate: sul palco del teatro Michelangelo, la compagna delle Mo.Re. porta in scena “Mistero misterioso”, giallo di stile anglosassone che prende il via dall’omicidio di un’anziana contessa in un castello. Un maggiordomo, un investigatore e stravaganti sospettati danno vita a una commedia esilarante dai ritmi serrati. Per informazioni e biglietteria: www.teatromichelangelo.com. Read the full article
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“Io, Claudio, Zevi e Palladio...”-Architetti a Roma anni ‘60.In memoria di Claudio D’Amato
di Duccio Trombadori
L’amicizia, la collaborazione, la comunità di esperienza vissuta e ideali coltivati con Claudio D’Amato risale al 1964, quando cominciammo a salire i gradini di Valle Giulia da giovani studenti di Architettura, apprendisti stregoni pre-1968, carichi di ‘astratti furori’ di tipo palingenetico e desiderosi di interventismo rivoluzionario sul piano intellettuale e morale.
Abbracciammo tutti, così sulle prime, le ambizioni di rinnovamento pedagogico annunciate e introdotte da Bruno Zevi; leggemmo avidamente i suoi libri, ne restammo colpiti e suggestionati per l’ efficacia semplificante che tracciava linearmente i passaggi storici dal ‘classico’ allo ‘anti-classico’ come chiave di volta dei tempi architettonici moderni.
Ma le crepe culturali del codice modernista (tra gli equivoci di razionalismo, costruttivismo, funzionalismo, organicismo, neo-purismo, eccetera) si facevano già sentire e mettevano dubbi tra gli spiriti più avvertiti, soprattutto tra coloro che reclamavano un maggior rigore disciplinare in nome di una idea di architettura preservata come arte ‘autonoma’ irriducibile a vaniloquio informale e tantomeno a deriva sociologico-economica.
Senza saper dare risposte adeguate a queste domande basilari, cominciammo però, un po’ alla cieca, un lavorìo di coscienza che imponeva calibrati distinguo: volevamo addirittura riformulare, per conto nostro, un ‘vocabolario architettonico’ in grado di rispondere all’ esigenza di rigore e rinnovamento sociale cui affidare una professionalità conseguente.
Questo esuberante trambusto ideologico accompagnò l’ inquieta formazione di tanti giovani nel passaggio difficile e traumatico degli anni ’60 al limitare del frastuono contestativo del 1968 che pregiudicò l’impianto della struttura universitaria mutandone sensibilmente funzioni e aspirazioni.
Della ‘generazione anni 60’ Claudio D’Amato fu certamente tra i primi a prendere parte alla dialettica che oppose le personalità di Bruno Zevi, col suo pregiudiziale anti-accademismo, e Paolo Portoghesi, cultore di uno storicismo che metteva al centro la regola compositiva. Nascevano istanze revisioniste in materia di modernismo, tanto quanto si ripresentavano i valori fondanti e tradizionali della misura, della proporzione, della simmetria.
Un interesse ‘archeologico’ scevro da romanticismi ci faceva riscoprire con Vitruvio l’ ordine classico alla base del pensiero costruttivo (“nascitur ex fabrica et ratiocinatione") e rimettere in auge, con Canina, i Propilei di Villa Borghese, anticipando quasi un certo gusto postmoderno lontano a venire.
In questo clima di ripensamenti fu così che con Claudio D’Amato, Sergio Petruccioli e altri compagni di studio mi avvicinai ad una lettura ‘formalista’ (così Bruno Zevi) dell’ opera di Andrea Palladio che allora ci piaceva mettere in relazione con le mega-forme di archi e volute innalzate da Louis Kahn a Dacca e con l’ utopia geometrizzante di Le Corbusier a Chandighar.
Un viaggio di studio nelle provincie venete compiuto nel settembre del 1967 ci aprì alla conoscenza diretta delle grandi ville, delle basiliche, del Teatro Olimpico: disegnammo, inquadrammo angolature fotografiche, studiammo Maser e Poiana e tutto il resto come abbeccedari del nostro comune viatico spirituale ad una idea di architettura in grado di associare il permanente e il transitorio, o, se, si vuole, la ricerca di un ‘pensare italiano’ (storia, tradizione) che fosse al tempo stesso uno stimolo alla innovazione. Di quel viaggio sentimentale di formazione conservo memoria nitida, una foto mi riprende sulle gradinate del Teatro Olimpico mentre prendo appunti, e accanto a me Claudio D’Amato è puntualmente occupato a disegnare una angolatura, un particolare dirimente, una simbiosi di effetto luminoso e giuntura compositiva.
Fu un’ esperienza entusiasmante ed altamente formativa, di cui ancora oggi conservo la lezione estetica e artistica. Ne ero orgoglioso. Elaborai una tesi per l’esame di storia dell’ architettura che tuttavia non lasciò per nulla soddisfatto Bruno Zevi ( fin troppo ’formalista’ e ‘crociana’, mi disse). Quella critica, che veniva da un maestro che stimavo molto, ad onta della sua enfatica propensione anticlassica, fu per me una delusione cocente. Non mutai il mio modo di guardare l’ arte di Palladio (frutto di un filologismo degli elementi architettonici a parafrasi delle teorie di Galvano Della Volpe sullo ‘specifico’ dei linguaggi visivi) ma certamente fu a partire da quell’ incidente di percorso che iniziai a distaccarmi dall’ ambizione di diventare un teorico e tantomeno un ‘professionista’ della architettura, mentre più dirompente interveniva l’ esigenza morale di un impegno nella vita politica e nella lotta sociale, come poi avvenne in pieno 1968.
Claudio D’Amato non approvò la mia decisione di abbandonare la facoltà. Ne parlammo a lungo. Avevamo idee comuni ma davamo a quelle stesse idee soluzioni opposte. E così accadde. Diversamente da me, Claudio concentrò la sua vita nella formazione di sé come architetto, inseguendo un modello pedagogico da incarnare, punto di incontro quasi ‘inattuale’ tra storia, tradizione disciplinare e progettualità compositiva. Non si può dire che non sia stato coerente e non vi sia a modo suo riuscito. La nostra amicizia è stata contrassegnata in più di mezzo secolo da un periodico, continuo e vivace scambio di idee e di esperienze che sul piano artistico e civile hanno trovato sempre il modo di incontrarsi. Come se le premesse della formazione originale avessero comunque trovato il letto di un unico fiume in cui confluire.
A conferma di quanto detto c’è un numero della rivista Rassegna di Architettura e Urbanistica, dedicato nel 2004 alla formazione degli architetti negli anni Sessanta: vi si può leggere un prezioso memoriale scritto da Claudio D’Amato (titolo: ’Ideali architettonici’) dove in tralice figurano gran parte delle illusioni perdute, ma anche le idealità e le relative esperienze intellettuali e morali di cui ho già offerto un riassunto. A conclusione del suo resoconto autobiografico –che è anche la foto delle aspirazioni di una generazione- D’Amato se la prendeva, sul piano della didattica, in un primo momento con “i frutti avvelenati della politica destabilizzante di Zevi” (la ossessione ‘antiaccademica’ che pregiudicò secondo lui l’ ordinamento), e successivamente con gli effetti degenerativi delle facoltà di architettura seguiti al terremoto del 1968 ( fra questi, la fine dello sbarramento al biennio, la riduzione del numero degli esami). E ribadiva, per fissare i punti salienti di una possibile rinascita pedagogica, le seguenti priorità: culto della storia, continuità con la tradizione, culto della forma organicamente costruita e della geometria ad essa sottesa, convinzione piena della autonomia della architettura.
Tra il giovane D’Amato, rivoluzionario e ‘formalista’ degli anni Sessanta, e il D’Amato divenuto professore emerito di Composizione architettonica al Politecnico di Bari, vi era la distanza dell’ esperienza e del tempo che passa; ma non vi era divergenza di vedute e modo di sentire. Ad indicare la coerente ed esemplare linea di continuità operativa e teorica di Claudio D’Amato c’è quanto egli lascia come architetto, come insegnante, come assiduo organizzatore di cultura didattica finalizzata a tenere assieme una idea unitaria e organica della architettura, sintesi di storia, tradizione e ‘vita delle forme’.
A proposito di questa intrinseca vitalità della morfologia conseguente alla compresenza delle tradizioni artistiche (Claudio fece subito suo all’atto della costituzione, il motto dell’INTBAU: “One World, many traditions”) vale la pena sottolineare come lo storicismo estetico di D’Amato non chiudesse alla innovazione, nel rispetto delle tecniche costruttive diverse, e degli incroci stilistici. Prova ne sia la sua attenzione dedicata al Mediterraneo, confronto e sintesi di civiltà, allo scopo di tramandare e preservare un sapere architettonico che, prima di ogni altra considerazione (tecnica, ambientale, etnica) è un atto di libera manifestazione spirituale.
Molto ancora ci sarebbe da aggiungere, più di quanto io non sia in grado di fare, sul valore di Claudio D’Amato come maestro, educatore ed accademico. A me preme ricordare come le nostre contiguità morali e intellettuali, cresciute nella Valle Giulia degli anni Sessanta, abbiano trovato la via di una convergenza nella elaborazione della mostra ‘Città di pietra’, curata da Claudio nel 2006 per la X Biennale di Architettura a Venezia, cui presi parte con un saggio intitolato “Misura italiana e identità europea”, sintonizzato sul rapporto di passato e presente nell’arte del nostro ‘900, tema che collimava con l’appassionata attenzione di D’Amato per le tradizioni costruttive e la stereotomia nell’insegnamento delle fisionomie stilistiche. Quella collaborazione confermò qualcosa di più della nostra amicizia, e cioè una sostanziale affinità culturale ritrovata ad onta del tempo.
Di Claudio D’Amato resterà la sua missione straordinaria di insegnante, ma soprattutto il pregio di un carattere passionale, a tratti perfino irruente, dell’ uomo che credeva nel valore non corrivo della progettazione architettonica, da lui intesa e concepita sempre quale forma significante o ‘guida archetipale’, suggello ed arbitrato essenziale di ogni forma di convivenza e civiltà. Non era un carattere facile. Esigente prima di tutto con sé stesso, era alieno dai luoghi comuni, disprezzava la faciloneria intellettuale, il ’progressismo’ esibito come passe-par-tout ideologico. Quando è mancato, il dolore per la perdita dell’amico è stato in buona parte alleviato dalla certezza che la sua opera pedagogica in architettura, condotta nei dettagli quasi fino all’ultimo giorno della vita, resterà per le generazioni future, come quelle ‘città di pietra’ che intendeva custodire e preservare a modello di stile ed impronta morale.
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Non ho intenzione di attaccarti, ma secondo me non puoi mettere Fab e Annalisa sullo stesso piano sull'argomento. Fab ha una fortunatissima carriera, talento e forte personalità tanto da non diventare schiavo delle case discografiche. Lui duetta solo con chi si sente di duettare, perchè come ha detto più volte sente affinità con determinati artisti (e sempre lui ha ammesso infatti di aver legato con pochi, appunto). Questo è essere selettivi eccome.
E non ti assillerò ulteriormente ma qua non stiamo mettendo Fab su un piedistallo, stiamo semplicemente notando che le scelte artistiche di Ermal, da un annetto a questa parte, lasciano un po' a desiderare. Non ha neppure viaggiato in Oriente come diceva, per ritrovare l'ispirazione. Non lo critichiamo senza motivo, ma non credo di esser la sola a pensare che a differenza di Fab, sembra più propenso a farsi influenzare dalla sua casa discografica.
Per fare un paragone che forse riesce meglio: i duetti di Fabrizio, a prescindere che possano piacere o meno, hanno comunque un senso; Anastasio e Niccolò vengono dal suo stesso background pur essendo dei millennials, la Guaccero gliel'ha chiesto x un film... Ma Ermal? S'è svegliato una mattina e ha detto, Massì dai voglio duettare con... J Ax. ???? Che non ha assolutamente senso, perchè non hanno un accidente che li leghi sotto ogni punto di vista ???? Ergo, meno selettivo. Tutto qua
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È evidente che non siamo d'accordo, quindi mi sembra anche assurdo continuare a parlarne.
Solo una piccola precisazione sulle decisioni artistiche di Ermal che tu consideri "discutibili": non è che si è svegliato una mattina e ha deciso di duettare con J-Ax. Lui ha specificato più volte che aveva già quell'intenzione, tant'è che era andato a un suo concerto ben prima di fare il duetto.
Poi se le sue scelte artistiche non vi piacciono è un altro discorso, ma non nascondiamoci dietro al "uno è selettivo e l'altro no" perché sono cazzate.
Basta ammettere che le scelte di uno piacciono meno rispetto alle scelte dell'altro.
Ah, ancora una cosa: il paragone con Annalisa era un esempio per far capire una situazione che evidentemente io non riesco a spiegare (o voi non riuscite a capire). Sono ben consapevole che hanno percorsi differenti, non c'è bisogno di venire a dirmi che non bisogna paragonarli.
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Abbinamento di marzo:
Ciliegio del mio giardino e ciliegio dipinto da Vincent Van Gogh 🤍
#abbinamento di marzo#aestethic#marzo#primavera#ciliegio#affinità cromatiche#affinità artistiche#arte#natura#van gogh#foto mie
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“Voltare le spalle alla cultura è voltare le spalle alla vita”: a Musicultura i consigli di Tosca ai nuovi talenti
Un’ospite speciale, di quelli che non siamo abituati a vedere sul grande schermo, nelle pubblicità o nei talent show musicali. Si tratta di Tosca, che torna a Musicultura per il Concerto dei 16 finalisti al Teatro Persiani di Recanati. Oltre ad avere una voce capace di incantare il pubblico, l’artista romana esprime sempre sul palco la sua personalità libera. Una libertà che passa necessariamente attraverso un “lavoro poetico” e una “rivoluzione” condotta nella quotidianità anche attraverso l’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, laboratorio che vede lo scopo di ritornare ad una musica sincera, nata dal vissuto e non da strategie commerciali studiate a tavolino. Guardando a tutti, giovani e meno giovani, artisti e non, Tiziana Tosca Donati si è raccontata alla redazione Sciuscià.
Il 22 giugno 2016 hai concluso un post su Facebook con una frase del poeta tunisino Awlad Ahmad, l’autore di Diario della rivoluzione: “La rivoluzione è un lavoro poetico”. È una citazione che, indipendentemente da come la si pensi, muove in noi qualcosa e rovescia l’idea che il cambiamento passi necessariamente attraverso l’uso della violenza. Cosa rappresenta per te questa affermazione?
Io credo che la vera rivoluzione si possa fare solamente aprendo le menti e dando gli strumenti in mano alle persone, in modo da rendere gli uomini liberi e coscienti di poter scegliere: per avere la possibilità di combattere qualsiasi soprosso c’è bisogno di cultura e di conoscenza. Sono stata a Tunisi per dei concerti; lì ho conosciuto Lina Ben Mhenni, la blogger artefice della rivoluzione tunisina che, nascosta in una casa-bunker, è riuscita tramite Twitter e Facebook a denunciare tutto quello che stava accadendo, dai maltrattamenti sui ragazzi alla situazione nelle galere. Ho avuto modo di incontrare anche Lotfi Bouchnak, il “Battiato tunisino”. Entrambi mi hanno spiegato come voltare le spalle alla cultura è voltare le spalle alla vita, di qualsiasi cultura si tratti: leggere un libro, andare a scuola, ascoltare musica o scrivere. Per fare un esempio, nelle carceri tunisine Lina Ben Mhenni, dopo essere stata arrestata, per leggere si recava in biblioteca, ma non trovava altro che libri violenti. Questo aneddoto per spiegare la diffusione di una filosofia che induce in qualche modo alla violenza, dalla quale si generano il sopruso e l’abitudine a comandare e ad essere comandati. “Conoscere” vuol dire non lasciarsi dominare. La cultura rende un uomo libero nel mondo. Awlad Ahmad diceva che la rivoluzione in Tunisia, come altrove, si può fare solo istruendo un popolo.
Rimanendo nel merito della domanda precedente, hai una tua “rivoluzione”? Se sì, in che modo la porti avanti nella quotidianità?
Sì, io la sto facendo. Non è una vera “rivoluzione” ma un modo per sentirmi utile socialmente; sarà “rivoluzione” quando vedrò finalmente risorgere la musica che viene dal vissuto dei ragazzi, da tutto quello che deriva dal sentimento vero e non da strategie fatte a tavolino, di cose scritte tanto per riempire degli involucri. Ci tengo a sottolineare che io non ce l’ho con i giovani e neanche con i talent, ma con chi gestisce certi meccanismi che, se venissero amministrati in maniera diversa, darebbero vita a trampolini di lancio; in tal modo si potrebbe dar vita ad una finestra diretta su un vasto pubblico. Il problema è che chi decide di aderire a questa logica, deve rispondere a determinate caratteristiche.
Nel 2014 vieni nominata direttore della sezione Canzone di “Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini”, in cui si sperimenta un modo di coltivare e lavorare su giovani talenti in maniera quasi “artigianale”, rispetto alla grande industria dei talent show musicali. È giusta questa lettura? In cosa consiste questo progetto artistico-culturale?
Verissimo! Dico sempre che noi siamo degli artigiani della musica, degli impagliatori di sedie: spendiamo magari un giorno intorno ad un giro, ad un arrangiamento, ad una parola che non viene; l’Officina Pasolini è un gioco di squadra che tende a far nascere affinità artistiche naturali. Da noi ci sono ragazzi che si sono conosciuti nel contesto dell’Officina e che scrivono insieme, si producono, fanno squadra con gli studenti del multimediale facendosi girare video, diventando imprenditori di loro stessi. L’importante è essere liberi, forti e consapevoli della vita che abbiamo nelle mani.
È per questo che il nome progetto è un omaggio a Pier Paolo Pasolini?
Sì. Pasolini era un uomo libero e non aveva paura di niente. Così tutti noi, nel nostro piccolo, non abbiamo paura. Io, Niccolò Fabi, Piero Fabrizzi, Pietro Cantarelli, Joe Barbieri, Veronica Cruciani, Armando Pugliese e molti altri insegniamo all’Officina perché ci piace; non abbiamo contratti, costrizioni: ognuno è libero di fare ciò che vuole.
Sei una cara amica di Musicultura. Secondo te qual è il contributo che il Festival dà alla musica d’autore italiana?
Musicultura è forse l’unica realtà in grado di accogliere la musica d’autore. Mi sento di poter dire che questo festival rappresenta la terza faccia della medaglia del nostro periodo: ci sono la musica commerciale, studiata a tavolino, il genere indie, che si fa da sé, e poi la canzone d’autore, che qui è viene ancora accolta. Purtroppo veniamo da vent’anni di sbandamento che sono stati una preparazione a tutta questa involuzione e che hanno creato anche confusione. Ognuno cerca la sua via e ognuno fa dei tentativi. Musicultura sta percorrendo una strada propria. De Gregori, Fossati e Venditti, sebbene inizialmente non noti, hanno avuto il loro pubblico, per poi esplodere e inondare lo scenario musicale italiano come uno tsunami.
Diego Borghi
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Hannibal - Recensione
Hannibal è una serie televisiva statunitense trasmessa dal 2013 al 2015 e ideata da Bryan Fuller per NBC, acclamata dalla critica quanto misconosciuta dal pubblico. Attraverso le (sole) tre stagioni Fuller reinventa (e per certi versi risemantizza) per il piccolo schermo la fortunata saga di Thomas Harris.
Al posto dell’agente Clarice Starling a fare da protagonista questa volta è Will Graham, giovane profiler dell’FBI con il dono dell’iper-empatia, abilità che lo porta a un’identificazione totale con i criminali su cui indaga permettendogli di comprenderne la logica. Ma le continue immersioni in queste menti malate trasformano ben presto il dono in una maledizione, al punto che Will dovrà essere affidato allo psichiatra Hannibal Lecter. Il ben noto cannibale, finora sfuggito alla prigione, conduce una vita all’insegna dell’arte, dell’eleganza e del successo, che cela però crimini indicibili. Entrambi, reietti di una società che non ha spazio per loro, percepiscono fin dal primo momento la loro profonda affinità, stringendo così un legame che col trascorrere degli episodi innescherà una serie di eventi destinati a stravolgere la vita loro e degli altri personaggi.
Dopo alcuni episodi regolarmente polizieschi, la serie comincia a disvelare la vera strada che sta percorrendo. I personaggi vengono lentamente risucchiati da un universo alternativo il cui creatore, Hannibal, rimodella ogni convenzione, dalla giustizia (qui retta da leggi che non hanno nulla da spartire con quelle tradizionali), ai rapporti interpersonali, ai simboli. Questo nuovo cosmo è un teatro in cui vita e morte, giusto e sbagliato, amore e odio si accompagnano fino a perdersi l’uno nell’altro. Tutto si confonde, al punto che, giunti alla terza stagione, i personaggi riconosceranno unanimemente che l’unica differenza tra passato e futuro risiede ormai nell’entrata di Hannibal nelle loro vite. Ma non solo: la storia procede verso una chiusura, un avvolgersi su se stesso di questo universo che lo porta infine a serrarsi ermeticamente. Così il senso di asfissia inquina inesorabilmente le vite dei personaggi, anche a livello visivo con il progressivo abbassamento della luminosità verso la fine della serie.
In questo clima irreale, grottesco e onirico insieme, una delle poche certezze è l’arte, che si esprime tanto in citazioni di celebri opere artistiche, letterarie, musicali, quanto negli allestimenti delle scene del crimine e nei piatti cucinati da Hannibal. L’estetismo del personaggio porta nella serie la bellezza e il male allo stesso modo (in un episodio comparirà persino un omicidio ispirato alla Primavera di Botticelli).
Oltre che un ottimo cast, la serie ha una fotografia che purtroppo esprime tutte le sue potenzialità solo tra la seconda e la terza stagione. Molti dialoghi sono a livello metaforico, per cui seguirli talora può risultare difficile (ancora di più col doppiaggio originale in inglese).
Consiglio di approcciare la serie solo a chi è specificamente attratto dal gotico/horror con evidenti nervature psicologiche, ricco di modalità di interpretazione. La sconsiglio invece a chi preferisce tematiche meno negative e mal sopporta la violenza.
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TEATRO SOCIALE DI CAMOGLI
Sabato 25 maggio 2019 – ore 21.00
Biglietti € 20 Settore unico (Under 30 € 10 – Under 18 € 7)
Spettacolo fuori abbonamento in collaborazione con la GOG
MARIA MATER Ensemble Chiaroscuro
Musiche di Stradella, Cima, Rigatti, Legrenzi, Monteverdi, Riccio, Vinaccesi e Scarlatti
L’Ensemble Chiaroscuro presenta in questa occasione un nuovo programma in cui si riuniscono cantanti e strumentisti di raffinata formazione: Fabrizio Haim Cipriani (violino e direzione), Elisa Franzetti (soprano), Paola Cialdella (mezzosoprano), Antonio Fantinuoli (violoncello), Sirio Restani (organo), Ugo Nastrucci (tiorba). L’ensemble è stato fondato da Fabrizio H. Cipriani e Antonio Fantinuoli dopo una collaborazione pluridecennale. Il gruppo riunisce artisti con particolari affinità artistiche e umane, che da sempre si producono nelle sale di tutto il mondo con prestigiose formazioni internazionali tra cui Europa Galante, Il Giardino Armonico, Hesperion XX. L’Ensemble ha registrato due cd: “Baroque Enchantements e Cello Tales” per l’etichetta Concerto Classics, e nell’ambito del repertorio vocale ha presentato programmi dedicati a repertori del Seicento, tra cui uno incentrato sull’opera di Salomone Rossi.
Il programma del concerto Maria Mater è un florilegio di opere vocali e strumentali che bene incarnano la ricchezza e la combinazione inscindibile di sacro e profano, in una epoca in cui gli affetti attraversano le composizioni definendo uno stile unico, in cui non si tracciano confini e in cui la voce e gli strumenti pronunciano le stesse parole, da cui scaturiscono eloqui drammatici densi di umanità. In questo tempo che segue il Concilio, il tema mariano in particolare trova espressione in antifone e mottetti di forte lirismo, tra recitati e voci in dialoghi concertanti, declamati e atmosfere alla volta eteree ed enfatiche, soavi e infiammate di melismi.
Monteverdi è fulcro imprescindibile intorno a cui si muove la musica questo stil moderno, la scrittura arriva alla sintesi e sublimazione dei modelli tardo rinascimentali, gli strumenti partecipano alla restituzione dei versi in cui l’armonia non è signora ma serva dell’oratione. Polifonia o monodia, con o senza strumenti, si esprimono secondo un linguaggio proprio del dramma, esaltando i simboli ed i moti affettuosi delle parole. Con uno stile fiorito e ricco di virtuosismo, in linea di continuità con l’estetica e la poetica di Monteverdi, anche Rigatti, che fu anche cantante, autore di un importante corpus di composizioni per voci e strumenti tra cui i magnifici Mottetti, ancora poco eseguiti, intride i suoi lavori di una dimensione scenica e di colori sfavillanti. Sempre a Venezia incontriamo l’opera di Legrenzi, punto di riferimento essenziale della scuola strumentale fra Gabrieli e Vivaldi, maestro di cappella in S. Marco. Poco conosciuto dal grande pubblico, Legrenzi fu uno dei musicisti più famosi d’Europa, del quale anche Vivaldi e Bach utilizzarono temi e materiale musicale nelle loro opere. In questa epoca di grande creatività e felicità di invenzione, anche lo strumento solista si sostituisce alla voce, e in assenza di testo, fantasia e astrazione guidano la scrittura. Come nelle sonate di Cima, uno dei primi autori ad avere utilizzato il violino come strumento solista, e il primo compositore in assoluto ad aver pubblicato delle sonate in trio. Attivo dapprima a Roma, poi a Venezia da cui fugge per Torino e poi Genova, dove trova la morte per mano di sicari – forse su mandato del nobile Giovan Battista Lomellini – Stradella fu uno dei più grandi e prolifici compositori del medio periodo barocco. Nella sonata in programma, così come in quelle di Cima, spicca la particolarità dell’uso del basso nel ruolo di strumento concertante insieme al violino, aspetto non comune laddove questo tipo di strumenti si limitava generalmente ad eseguire il basso continuo, ossia il sostegno armonico e ritmico del solista. A sua volta autore di svariate composizioni sacre e per il teatro ritroviamo in Vinaccesi i tratti di questa generazione di musicisti e una sintesi tra eredità madrigalistica e retorica barocca.
TEATRO SOCIALE DI CAMOGLI Piazza Giacomo Matteotti, 5 – Camogli (GE) Tel. 0185 1770529
[email protected] [email protected] www.teatrosocialecamogli.it
Ufficio stampa Marzia Spanu
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Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
Comuni-italiani.it
Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
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Stefano Brizzante
Impianti Elettrici
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Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
Camogli 25/05 – MARIA MATER – Ensemble Chiaroscuro in concerto TEATRO SOCIALE DI CAMOGLI Sabato 25 maggio 2019 - ore 21.00 Biglietti € 20 Settore unico (Under 30 € 10 - Under 18 € 7)
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MuseoCity presenta inTOUR
Torna per la sua seconda edizione inTOUR, dal 21 al 23 ottobre 2022: tre giorni di aperture straordinarie – in alcuni casi anche di sedi solitamente chiuse al pubblico – e di attività pensate appositamente per l’occasione, alla scoperta del ricco patrimonio culturale lombardo. La seconda edizione di inTOUR A prendervi parte sono circa 50 tra istituzioni legate al mondo del design, atelier, archivi d’artista e musei d’impresa diffusi in capoluoghi e località della Lombardia, come Milano, Bergamo, Brescia, Como, Pavia e Varese, che partecipano con un ricco programma di iniziative ideato dall’associazione MuseoCity in collaborazione con Circuito Lombardo Musei Design e Museimpresa. Gli itinerari inTOUR suggerisce tredici itinerari che legano per affinità o per vicinanza territoriale le diverse istituzioni partecipanti, in circuiti da percorrere a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici: i visitatori possono così scegliere il percorso più affine ai propri gusti e alle proprie esigenze. Non si tratta comunque di percorsi obbligati: ciascuno è libero di creare i suoi secondo la propria curiosità. Spazi normalmente chiusi Con l’obiettivo di aprire spazi normalmente chiusi al pubblico, di valorizzare un patrimonio poco noto o di approfondire la conoscenza di sedi già celebri con visite ed eventi speciali, inTOUR consente da un lato di praticare quel turismo di prossimità che permette di scoprire le ricchezze artistiche e culturali del proprio territorio e dall’altro di concretizzare quella “rete” così necessaria alla valorizzazione delle diverse istituzioni della Regione. Read the full article
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FANO – Restano pochi giorni per ammirare a Fano le circa 100 opere d’arte dalla collezione Volpini, mostra che celebra la preziosa donazione archivistico-libraria da parte dalle eredi dello scrittore alla città. In esposizione acqueforti, carboncini, serigrafie, xilografie, ceramiche, pitture, sculture e una selezione dei documenti epistolari e dei volumi della collezione libraria. In programma letture animate e laboratori per le famiglie.
Ammirare le opere della Collezione Volpini di Fano è una bella occasione e in molti l’hanno accolta con grande curiosità e piacere visitando la mostra “Valerio Volpini. Il prodigio dell’arte”. Sarà aperta solo fino a domenica 20 gennaio l’esposizione al Museo del Palazzo Malatestiano di Fano, a cura di Tiziana Mattioli, Daniele Salvi e Walter Raffaelli.
La Sala Morganti ospita una significativa selezione di circa 100 opere della collezione d’arte dello scrittore e collezionista fanese a celebrazione della donazione archivistico-libraria recentemente acquisita dal Comune di Fano, grazie al lascito delle eredi. Opere che testimoniano il multiforme interesse artistico di Valerio Volpini, un intellettuale con un passato da direttore dell’Osservatore Romano, da professore universitario e da politico.
Il Vicesindaco e Assessore alla Cultura e Turismo del Comune di Fano Stefano Marchegiani sulla mostra: “La Sala Morganti del Museo del Palazzo Malatestiano inaugura il nuovo anno con un importante evento espositivo: una narrazione per immagini costruita nel tempo dal nostro illustre concittadino Valerio Volpini attraverso una minuziosa opera di raccolta di significative testimonianze artistiche tanto care al mondo di questa provincia.
Un secolo d’arte viene raccontato, nella sua forza e nella sua fragilità, attraverso acqueforti, carboncini, serigrafie, xilografie, ceramiche, pitture e documenti epistolari gettando ponti, creando connessioni tra artisti eterogenei ma accomunati dalla stessa urgenza creativa, dallo stesso forte impulso espressivo.
La mostra rende omaggio alla tenacia con cui quest’uomo, scrittore, politico, critico d’arte, collezionista, ha saputo coltivare l’amore per le proprie radici e per la memoria collettiva, rendendole parte di un vissuto comune. Il mio sentito ringraziamento va dunque alle figlie Marina e Grazia Maria Volpini e ai curatori della mostra, per aver voluto far rivivere una parte preziosa del grande lascito umano e materiale di Valerio”.
L’esposizione “Il prodigio dell’arte” è stata molto gradita dai visitatori, nella sua essenzialità, in quanto lascia rivivere liberamente il ricordo di Valerio Volpini custodito in sé da chi lo ha conosciuto, come amici, conoscenti, concittadini e anche ex allievi. “Un’isola dell’arcipelago Volpini: sentinella del tempo che è”, così è stata definita la mostra nel registro delle firme.
Continuano anche nell’ultima settimana di apertura le attività dedicate alla mostra per “Il Grand Tour Cultura 2018-2019”, promosso dall’Assessorato alla Cultura della Regione Marche, in collaborazione con la Fondazione Marche Cultura e il MAB Marche (l’Associazione che riunisce Musei, Archivi e Biblioteche).
L’iniziativa intende valorizzare la figura di Valerio Volpini. Il programma prevede giovedì 17 gennaio, alle ore 18.00, la lettura animata “Poesia e letteratura nelle lettere di Valerio Volpini” presso la Mediateca Montanari. La lettura è a cura di Fabrizio Bartolucci e Marina Bragadin di Teatro Linguaggi.
Domenica 20 gennaio, invece, alle ore 10.30 si terrà al Museo “Noi e gli altri animali”, una visita animata in mostra con attività laboratoriale a cura di Sistema Museo. Una caccia vera e propria all’animale con carta e penna, consigliata per bambini dai 5 ai 10 anni. La partecipazione è gratuita, si consiglia la prenotazione (0721 887847 dal lunedì al venerdì h 8.30-13.30). La mostra “Il prodigio dell’arte”, ad ingresso gratuito, è aperta con il seguente orario: fino a sabato 9-13/16-19; domenica 10.30-12.30/16-19.
La mostra è stata fortemente voluta per rendere omaggio all’importante donazione della collezione archivistico-libraria di Volpini effettuata dalla famiglia al Comune di Fano. La donazione consta di circa 15.000 volumi, oltre a centinaia di documenti d’archivio, specie inediti materiali epistolari, in cui è rappresentato tutto il secondo Novecento letterario, filosofico e artistico italiano.
Con questa generosa donazione, i cittadini e gli studiosi hanno ora a disposizione un tesoro letterario di pezzi unici e l’opportunità di apprezzare in mostra rare incisioni, anche in tiratura unica, liberalmente prestate dalla famiglia, collezionate da Volpini in stretta affinità d’intenti col fare artistico di quegli anni (specie dal dopoguerra in poi). L’esposizione “Valerio Volpini. Il prodigio dell’arte” ha dunque la capacità di soddisfare il gusto generale del visitatore della città di Fano, ma anche l’interesse degli specialisti d’arte e letteratura.
Dalle opere di questa collezione emerge, infatti, una dimensione dell’arte e dell’arte grafica italiana che abbraccia quasi interamente il Novecento, in un ambito d’interessi che difficilmente si potrebbe circoscrivere. La mostra restituisce lo sguardo speciale di un cattolico “sui generis”, di un’epoca e di un patrimonio librario ed archivistico eccezionale.
La mostra è a cura di Tiziana Mattioli, docente di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Urbino e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Carlo e Marise Bo, Daniele Salvi, critico di filosofia e letteratura, e Walter Raffaelli, editore d’arte e letteratura.
È promossa dal Comune di Fano – Assessorato Cultura e Turismo e Assessorato alle Biblioteche, in collaborazione con Regione Marche con il patrocinio del Consiglio Regionale – Assemblea Legislativa delle Marche, Università degli Studi di Urbino, Fondazione Carlo e Marise Bo. La segreteria organizzativa, l’allestimento e i servizi sono a cura di Sistema Museo. Partner dell’evento è Lavoro srl.
Informazioni: tel. 0721 887845 – [email protected] https://museocivico.comune.fano.pu.it
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Il teatro musicale protagonista dell’edizione 2017 con repertori di rara esecuzione e grande interesse. Inaugurazione con due atti unici di Nino Rota, il compositore delle colonne sonore dei film di Fellini, Visconti e Zeffirelli, su testi della straordinaria sceneggiatrice della grande stagione del cinema italiano, Suso Cecchi D’Amico, e dello scrittore Riccardo Bacchelli. Ancora Rota nel Trittico di chiusura del Festival, insieme a Menotti e Dall’Ongaro, Monteverdi per festeggiare l’anniversario affiancato da opere contemporanee, l’attore Fabrizio Gifuni in musiche di scena da Amleto di Sostakovich, Il Flauto Magico di Mozart in una versione per il pubblico degli studenti, i tradizionali immancabili concerti organistici sul grande strumento Dom Bedòs-Roubo
Omaggio a Nino Rota
Teatro musicale protagonista come sempre al Reate Festival, questa volta in un nuovo ambito cronologico, quello del ‘900, meno consueto, ma con forti radici nel passato. È con un omaggio a Nino Rota, non solo autore di fortunatissime musiche da film, ma compositore solido e fecondo della produzione colta, continuatore della grande tradizione operistica italiana, che al Teatro Flavio Vespasiano l’edizione 2017 del Festival si inaugurerà sabato 30 settembre alle 21 (replica domenica 1 ottobre alle 18 e per le scuole venerdì 29 settembre ore 11). Due opere di teatro musicale di grande pregio e di rara esecuzione, I due timidi – su testo di Suso Cecchi d’Amico – e La notte di un nevrastenico su testo di Riccardo Bacchelli verranno presentate in una nuova produzione del Festival con la regia di Cesare Scarton, le scene di Michele Della Cioppa, i costumi di Anna Biagiotti e la Reate Festival Orchestra diretta da Gabriele Bonolis.
Una personalità musicale, quella di Rota, nella quale convogliano le reminiscenze dei più diversi linguaggi del passato e l’immediata comunicabilità dello stile, uniti ad un’originalità di pensiero e di concezione che lo pongono tra i grandi musicisti italiani del Novecento. Il dittico che verrà presentato, nella scia della tradizione dell’opera buffa italiana, è caratterizzato da una scrittura vivacissima e di forte ascendenza contrappuntista, ma sempre attenta alle esigenze sceniche e intrisa di un affascinante respiro melodico. Interessante notare l’assiduità di Rota oltre che con i massimi registi del tempo (Fellini, Visconti, Zeffirelli), anche con alcuni dei più grandi scrittori italiani del Novecento, da Eduardo De Filippo a Mario Soldati, da Riccardo Bacchelli a Suso Cecchi d’Amico, questi ultimi due autori rispettivamente del libretto de La notte di un nevrastenico e de I due timidi.
L’omaggio a Nino Rota, così vicino al mondo del cinema, si inserisce in maniera ottimale nella collaborazione ormai stabilitasi fin dallo scorso anno con la Fondazione Alberto Sordi per i Giovani, creata con l’intento di favorire l’inserimento di nuovi talenti nelle professioni artistiche legate al mondo dello spettacolo. Ancora una volta la collaborazione consentirà di dar vita alla Reate Festival Orchestra, una compagine orchestrale formata dai migliori elementi provenienti dai corsi di perfezionamento dell’Alta Formazione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dal Dipartimento della Didattica e Formazione del Teatro dell’Opera di Roma, due istituzioni di assoluto prestigio con cui il Reate Festival collabora fin dalla sua creazione. Inoltre, con il Teatro dell’Opera la collaborazione si estenderà anche alla parte relativa all’allestimento scenico con un apporto rilevante da un punto di vista tecnico e produttivo.
Monteverdi a 450 anni dalla nascita
Se Nino Rota rappresenta uno sviluppo novecentesco della grande scuola vocale italiana, al polo opposto cronologico si colloca Claudio Monteverdi di cui ricorrono nel 2017 i 450 anni dalla nascita (1567-2017). Per un festival incentrato sul Belcanto un anniversario importante, festeggiato incorniciando l’esecuzione del Combattimento di Tancredi e Clorinda su versi della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso – uno dei vertici del teatro musicale – con due proposte di musica contemporanea (17-18 ottobre, matinée). Una conferma dello stretto legame che unisce la creatività dei nostri giorni con l’illustre tradizione antica: di Giorgio Battistelli verrà infatti eseguita l’Azione per due percussionisti Orazi e Curiazi del 1996, che ripropone con un linguaggio di forte coinvolgimento emotivo il tema del “combattimento”, mentre la conclusione dello spettacolo sarà affidata a una commissione in prima esecuzione assoluta al compositore Claudio Ambrosini intitolata Tancredi appresso il Combattimento, madrigale drammatico su versi di Torquato Tasso. L’Ensemble In Canto e il Tetraktis Percussioni Ensemble saranno diretti da Fabio Maestri, con la partecipazione del Gruppo Danza Oggi, la regia di Cesare Scarton, le scene di Michele Della Cioppa e le proiezioni con la particolare tecnica motion capture di Flaviano Pizzardi. Anche questo trittico nasce dalla collaborazione con altre istituzioni, la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, l’Associazione In Canto di Terni, l’Associazione Nuova Consonanza e l’Associazione Roma Sinfonietta con l’apporto dell’Università Roma Tre e dell’Università Roma Due Tor Vergata.
Amleto da Shakespeare a Šostakovich
Ancora teatro musicale, ma questa volta con le musiche di scena, genere non molto frequentato ma di grande interesse. Il titolo scelto è Concerto per Amleto (8 ottobre ore 18) dalla tragedia di William Shakespeare per la quale Dmitrij Šostakovich ideò in due diverse occasioni un potente affresco sonoro. La prima, datata 1932, è una suite tratta dalle musiche di scena per un’edizione teatrale dell’Amleto firmata dal regista Nikolaj Akimov; la seconda opera, del 1964, fu commissionata dal regista Grigorij Kozincev come colonna sonora per il suo film Hamlet, e si avvale del prezioso adattamento di Boris Pasternak. Punto di forza di questa esecuzione sarà la presenza del celebre attore Fabrizio Gifuni, che non si limiterà a interpretare il dramma, ma ne curerà una sua personale versione realizzata in collaborazione con Rino Marrone per la parte musicale. Sarà lo stesso Marrone a dirigere l’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, partner privilegiato del Festival da alcuni anni. Da segnalare inoltre la collaborazione con l’Archivio di Stato di Rieti che in concomitanza inaugurerà la mostra Le carte tra le macerie, Il patrimonio documentario recuperato dopo il sisma di Amatrice-Accumoli (Archivio di Stato di Rieti, ore 15.30).
Mozart per i giovani con il Flauto Magico
L’attenzione per il pubblico giovanile e per una programmazione integrata in un progetto didattico vero e proprio è una vocazione del Reate Festival che negli ultimi anni ha trovato riscontri notevoli nel tessuto scolastico del territorio. In questo contesto verrà proposta una particolare edizione del Flauto Magico di Mozart, nella versione italiana di Giovanni Da Gamerra del 1794 (6-9 novembre, matinée). Si tratta di un innovativo progetto, realizzato in collaborazione con l’Associazione Europa In Canto, strutturato su un metodo didattico che tramite incontri, seminari e laboratori è in grado di avvicinare e appassionare i giovani al mondo della musica, del teatro, dell’opera lirica. La direzione è di Germano Neri, la regia di Elisa Capaccioli. In questo stesso contesto di attenzione ai giovani si colloca la collaborazione con il Liceo Musicale di Rieti “Elena Principessa di Napoli” e con la sede delocalizzata a Rieti presso Villa Battistini del Conservatorio di Musica “Santa Cecilia” di Roma che consentirà agli studenti più meritevoli di esibirsi in due concerti appositamente dedicati nel cartellone del Festival (20 e 27 ottobre, matinée).
Concerti per organo
Completano la programmazione due concerti organistici, solisti Marco Cadario e Leonardo Ciampa, che si terranno nella chiesa di San Domenico di Rieti sul grande organo pontificio Dom Bedos-Roubo, un enorme strumento di quattordici metri che costituisce in assoluto uno dei maggiori risultati artistici della moderna arte organaria (6 e 13 ottobre ore 21).
Chiusura con un trittico del Novecento
Infine il teatro musicale italiano del Novecento ancora in chiusura del Festival con un trittico che impagina composizioni teatrali di Nino Rota, Giancarlo Menotti e Michele dall’Ongaro (17 novembre ore 11:00 e ore 21). La scuola di guida di Rota su libretto di Mario Soldati rivela evidenti affinità con Il telefono di Giancarlo Menotti, sia per l’argomento trattato che per una vena musicale tanto accattivante quanto ispirata; entrambe sono pièces teatrali di brevissima durata e di immediata godibilità. Accanto a questi due lavori ben si colloca l’opera di Michele dall’Ongaro Bach Haus, musicalmente fruibile e con un bel senso del teatro. Un divertissement che rievoca la famiglia di Bach con i suoi tanti talenti musicali a cui un “impresario in angustie” chiede la composizione di un’opera lirica. La regia è di Cesare Scarton, le scene di Michele Della Cioppa, le proiezioni video di Flaviano Pizzardi, i costumi di Giuseppe Bellini, la Reate Festival Orchestra sarà diretta da Federico Amendola.
Sotto le foto della conferenza stampa di presentazione. Immagini di Massimo Renzi
Reate Festival: si inaugura con due atti unici di Nino Rota ------------------ Si è svolta nella mattinata del 26 settembre, nella sala consiliare del Comune di Rieti, la presentazione dell'edizione 2017 del Reate Festival. Il teatro musicale protagonista dell’edizione 2017 con repertori di rara esecuzione e grande interesse. Inaugurazione con due atti unici di Nino Rota, il compositore delle colonne sonore dei film di Fellini, Visconti e Zeffirelli, su testi della straordinaria sceneggiatrice della grande stagione del cinema italiano, Suso Cecchi D’Amico, e dello scrittore Riccardo Bacchelli.
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