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Su “Avvenire” di oggi l’anticipazione del dibattito sulla “Risoluzione europea del 19 settembre 2019” raccolto nel volume: Novecento addio. La risoluzione europea sui totalitarismi: un dibattito, a cura di Roberto Righetto, in libreria da Edizioni Medusa. A tema la delicata e controversa questione di una memoria condivisa dei crimini nazisti e comunisti. Vengono anticipati brani degli interventi di Salvatore Natoli e Agostino Giovagnoli. «La storia dell’umanità è piena di sentenze collettive. La sentenza che in un certo senso ha messo sullo stesso piano nazismo e comunismo ha diviso gli storici e i politici ma, seppur carente in vari passaggi, ha avuto il merito di rilanciare la questione di una memoria storica condivisa a livello europeo rispetto ai totalitarismi del ‘900. Varie domande sorgono: se accanto al nazismo si colloca il comunismo si finisce per relativizzare il “male assoluto” della Shoah? Su queste e altre domande si interrogano gli autori del libro». Oltre ai contributi di Agostino Giovagnoli e Salvatore Natoli nel volume figurano gli interventi del curatore Roberto Righetto, Franco Cardini, Riccardo De Benedetti, Adriano Dell’Asta, Anna Foa, Ernesto Galli della Loggia, Damiano Palano e Gianfranco Pasquino.
#Avvenire#Riccardo De Benedetti#Roberto Righetto#anna foa#adriano dell’asta#salvatore natoli#agostino giovagnoli#franco cardini#ernesto galli della loggia#damiano palano#gianfranco pasquino#la zona rossa
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L’evidente assurdità dell’icona. Un saggio di Pavel Florenskij
L’attenzione di chi si accosta per la prima volta alle icone russe del XIV e del XV secolo, e in parte anche del XVI, di solito viene colpita dai rapporti prospettici inattesi, in particolare quando si tratta di raffigurazioni di oggetti con superfici piane e contorni rettilinei, come, ad esempio, edifici, tavoli, seggi e in special modo libri, per essere esatti i Vangeli, insieme ai quali il Salvatore e i santi vengono abitualmente raffigurati. Questi particolari rapporti sono in stridente contrasto con le regole della prospettiva lineare e, dal punto di vista di quest’ultima, non possono che essere considerati come la manifestazione di una grossolana imperizia nel disegno. A un esame più attento delle icone, però, non è difficile notare che anche i corpi delimitati da superfici curve sono resi con scorci al di fuori delle regole della rappresentazione prospettica.
Nelle icone vengono spesso mostrate parti e superfici, di figure sia curvilinee sia sfaccettate, che non sono visibili simultaneamente, come ci si può rendere facilmente conto anche dal più elementare manuale di prospettiva. Così, pur guardando perpendicolarmente la facciata degli edifici rappresentati, di questi edifici ci vengono mostrati insieme entrambi i muri laterali; del Vangelo si vedono simultaneamente tre o addirittura tutte e quattro le coste; un viso viene raffigurato con la sommità del cranio, le tempie e le orecchie voltate in avanti e quasi distese sulla superficie dell’icona, con superfici del naso e di altre parti, che non dovrebbero essere visibili, girate verso lo spettatore, e al contrario con altre superfici, che normalmente dovrebbero essere rivolte in avanti, rovesciate; sono caratteristiche anche le gobbe delle figure ricurve nell’ordine della Deisis, la visione simultanea della schiena e del petto di san Procoro che scrive sotto dettatura dell’apostolo Giovanni il Teologo, e altre analoghe combinazioni di superfici del profilo e del volto, di piani dorsali e frontali, e via dicendo.
A proposito di questi piani complementari, le linee parallele che non si trovano sul piano dell’icona o su un piano a essa parallelo, e che in base alle regole della prospettiva dovrebbero essere raffigurate come convergenti verso la linea dell’orizzonte, nell’icona sono raffigurate invece come divergenti. In una parola, queste e altre simili violazioni dell’unità prospettica di ciò che viene rappresentato nell’icona sono così chiare e lampanti che saprebbe indicarle immediatamente anche l’allievo più mediocre e che ha solo una conoscenza superficiale e di terza mano della prospettiva. Ma qui succede una cosa strana: questa «imperizia» nel disegno, che apparentemente dovrebbe indignare qualsiasi osservatore che abbia capito l’«evidente assurdità» di una simile raffigurazione, al contrario non desta alcun senso di fastidio, ma viene anzi percepita come qualcosa di necessario, e addirittura piace.
Non solo: quando sono messe l’una accanto all’altra due o tre icone pressappoco identiche per tipologia ed eseguite con abilità tecnica più o meno equivalente, lo spettatore rileva con assoluta certezza l’enorme superiorità artistica dell’icona nella quale la trasgressione delle regole della prospettiva è maggiore, mentre le icone il cui disegno è più «corretto» appaiono fredde, prive di vita e senza un legame diretto con la realtà che vi è raffigurata. Le icone che a una immediata percezione artistica appaiono più creative sono anche quelle che immancabilmente risultano «difettose» dal punto di vista della prospettiva; le icone che invece più soddisfano un manuale di prospettiva sono senz’anima e noiose. Se soltanto si riescono a dimenticare anche per un istante le esigenze formali della prospettiva, il senso estetico immediato di ciascuno di noi sarà indotto a riconoscere la superiorità delle icone che violano le sue leggi.
A questo punto si potrebbe pensare che a piacere, in realtà, non sia il modo della raffigurazione in quanto tale, ma l’ingenuità e il carattere primitivo di un’arte ancora infantilmente incurante di tutto ciò che ha a che fare con la perizia artistica: ci sono addirittura degli appassionati che sono propensi a considerare le icone un tenero balbettio infantile. Ma il fatto che le icone con la più evidente violazione delle regole della prospettiva siano proprio quelle dei grandi maestri, mentre la minor violazione di queste regole è caratteristica per lo più dei maestri di seconda o terza categoria, ci spinge a chiederci se a essere ingenuo non sia lo stesso giudizio che ritiene ingenue le icone. D’altro canto, queste violazioni delle regole della prospettiva sono così insistenti e frequenti, direi così sistematiche, e perfino così ostinatamente sistematiche, che senza volerlo si è indotti a pensare alla non casualità di queste violazioni, all’esistenza di un particolare sistema di rappresentazione e di percezione della realtà che viene raffigurata nelle icone.
Non appena tale idea si affaccia alla mente, chi guarda le icone sente nascere in sé e poi progressivamente consolidarsi la ferma convinzione che queste violazioni delle regole della prospettiva siano l’applicazione di un procedimento cosciente dell’arte iconografica e che, buone o cattive, siano comunque estremamente premeditate e consapevoli. L’impressione che queste violazioni della prospettiva siano consapevoli si rafforza straordinariamente se si considera il risalto che viene dato agli scorci particolari da noi presi in esame attraverso l’impiego di speciali toni di colore o, come dicono gli iconografi, attraverso la raskryška: qui le particolarità del disegno non solo non passano inosservate alla coscienza, come accadrebbe se nei punti in questione si fossero utilizzati colori neutri o attenuati dall’effetto coloristico complessivo, ma anzi spiccano vistosamente, quasi stridendo sul generale sfondo colorato. Così, ad esempio, le superfici complementari degli edifici non solo non restano nascoste nell’ombra ma, anzi, sono spesso dipinte con colori vivaci e, per giunta, completamente diversi da quelli utilizzati per le superfici delle facciate. In questi casi, poi, risalta ancor di più l’oggetto che, in varie maniere e già di per se stesso, si staglia su tutto il resto e tende a essere il centro pittorico dell’icona: il Vangelo; la sua costa, solitamente color cinabro, è il punto più luminoso dell’icona, e in questo modo se ne mettono in evidenza con una forza del tutto particolare le superfici complementari.
Questi sono i procedimenti per mettere in evidenza determinati oggetti dell’icona. Tali procedimenti sono tanto più coscienti in quanto sono in contraddizione con il colore abituale di questi oggetti e quindi non si possono spiegare come una forma di imitazione naturalistica di ciò che normalmente esiste. Il Vangelo, di solito, non aveva la costa color cinabro, e le pareti laterali di un edificio non venivano dipinte con un colore diverso da quello della facciata, così che nell’originalità cromatica delle icone non si può non vedere la tendenza a sottolineare la complementarità di queste superfici e la loro indipendenza rispetto agli scorci della prospettiva lineare in quanto tali.
L’insieme dei procedimenti indicati porta il nome di prospettiva rovesciata o inversa, e anche, talvolta, di prospettiva deformata o falsa. Ma la prospettiva rovesciata non esaurisce le molteplici particolarità del disegno e neppure del chiaroscuro delle icone. Come immediato ampliamento dei procedimenti che caratterizzano la prospettiva rovesciata va ricordato il policentrismo delle raffigurazioni: il disegno viene costruito come se l’occhio lo guardasse da diverse angolature, cambiando continuamente posto.
Pavel Florenskij
*Il testo è tratto da: Pavel Florenskij, “La prospettiva rovesciata”, Adelphi 2020, a cura di Adriano Dell’Asta
**In copertina: una fotografia di scena da “Andrej Rublëv”, il film di Andrej Tarkovskij del 1966
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CINQUANTA ARTISTI LIGURI DONANO LE LORO OPERE A SOSTEGNO DELLA BANCA DEGLI OCCHI LIONS MELVIS JONES PER LA TERZA “TRIENNALE ARTISTICA DELLA SOLIDARIETÁ”
Una gara di solidarietà, riproposta attraverso un’ampia esposizione artistica fortemente legata al territorio. Le opere saranno esposte, dal 7 all’11 maggio, tra il Primo foyer e il foyer dell’Auditorium del Teatro Carlo Felice
Genova – Cinquanta artisti, cinquanta opere e un obiettivo comune: la solidarietà. In occasione della terza edizione della “Triennale Artistica della Solidarietà” questi artisti, attivi soprattutto a Genova ma provenienti da diverse latitudini geografiche e culturali, hanno deciso di donare una propria opera per raccogliere fondi a favore della Fondazione Banca degli Occhi Lions Melvin Jones che, dal 1996, è impegnata nella lotta alla cecità. L’iniziativa è ideata e realizzata dal Prof. Roberto Guerrini, ed è promossa dall’Associazione Amici della Banca degli Occhi e dal Teatro Carlo Felice, dove andrà in scena tra il 7 e l’11 maggio l’esposizione delle opere donate.
Una gara di solidarietà, riproposta attraverso un’ampia esposizione artistica fortemente legata al territorio. «Il senso e il significato della “Triennale Artistica della Solidarietà” – racconta Roberto Guerrini – è quello di portare avanti attraverso l’arte e l’amicizia una causa comune, sostenuta nel tentativo di alleviare le difficoltà o le sofferenze altrui. Anche quest’anno, i ricavati dell’iniziativa saranno interamente devoluti a beneficio della Fondazione Banca degli Occhi Melvin Jones, associazione che provvede a tutto quanto necessario per i trapianti di cornea: dal prelievo alla catalogazione, conservazione e infine alla distribuzione delle cornee agli ospedali che ne fanno richiesta». Le cinquanta opere, donate da altrettanti artisti, sono all’asta sul sito della Triennale Artistica della Solidarietà (www.bomj.it) e saranno esposte, dal 7 all’11 maggio, tra il Primo foyer e il foyer dell’Auditorium del Teatro Carlo Felice. Potranno inoltre essere formulate proposte di acquisto direttamente nel corso dell’esposizione. «Siamo arrivati alla terza edizione di questa manifestazione – aggiunge Maurizio Roi, Sovrintendente del Teatro Carlo Felice – alla quale abbiamo partecipato e collaborato fin dalla nascita. Accogliamo la Triennale Artistica della Solidarietà con la gioia e la voglia di essere parte di questa iniziativa, a conferma della vocazione del Teatro a proporsi come luogo aperto, disponibile a cogliere e accogliere linguaggi e proposte di valore».
Allestita nello stesso periodo in cui va in scena la “Tosca”, l’esposizione inaugura martedì 7 maggio (ore 17) nel primo foyer del Carlo Felice, mentre dall’8 all’11 è visitabile al foyer dell’Auditorium. «È sempre entusiasmante – concludono Renzo Bichi e Santo Durelli della Associazione Amici Banca degli Occhi Lions Melvin Jones – vedere tante realtà differenti del territorio fare rete con l’obiettivo unico della solidarietà. La Fondazione Banca degli Occhi Melvin Jones è da tempo in prima fila per migliorare la qualità della vita di chi è affetto da patologie corneali che compromettono la vista e iniziative come la Triennale Artistica della Solidarietà ci permettono, attraverso l’arte, di far prevenzione, di promuovere la ricerca e di aumentare il numero di donazioni». Inoltre, giovedì 9 maggio (ore 17) nella Sala Conferenze del Teatro Carlo Felice i professori Daniele Grosso e Roberto Guerrini terranno una lezione divulgativa.
Gli artisti partecipanti sono Marisa Bertolotti con “Trasparenze in giallo”, Matilde Bianchi con “Fontana del Tritone”, Agostino Boldrini con “Ichtys”, Gian Luigi Boleto con “Nous descendons les escalier”, Barbara Borello con “Presente”, Francesco Bruzzo con “Nudo femminile”, Daniela Cappa con “Il rugbista”, Marina Cella con “La finestra”, Francesco Cento con “Efebo”, Antonino Cerda con “Specchio”, Marina Chesi con “Riflessi di luce”, Maddalena Costella con “NO BORDER N°1”, Bruno Di Giulio con “Mareggiata in Liguria”, Anna Ferrari con “Memoria delle radici”, Giorgio Gatto con “Senza Turchese”, Paola Ginepri con “Piani di Praglia [galaverna]”, Giacomo Grasso con “Theft”, Corrado Guderzo con “Preludio”, Roberto Guerrini con “Sub” e “Tris (dvertissement)”, Silvio Intiso con “Natura morta”, Pia Inzirillo con “All’angolo della strada”, Rosella Lauretta con “Omaggio a Vasco”, Silvana Maisano con “Quattro studi per sculture in bronzo”, Stefania Maisano con “Labirinto – Studio per bassorilievo in bronzo”, Sergio Massetti con “Integrazione”, Maurizio Roman Melis con “Il violino”, Davide Merello con “Untitled”, Marcello Mula con “S.t”, Enrico Musenich con “Città vecchia, città nuova”, Riccardo Musenich con “La città invisibile”, Mimmo Padovano con “FRAGILE !?”, Riccardo Panusa con “Formella picta”, Paolo Lorenzo Parisi con “Senza titolo”, Danila Parodi con “San Valentino”, Adriano Pasqualini con “A Sassello”, Paola Pastura con “Fioritura”, Melissa Pestillo con “Anacronistica catastrofe: il prezzo pagato”, Franco Repetto con “Sette vaschi”, Luisa Rognoni Apedistri con “Le stelle, gli alberi e i Cercatori”, Lucia Rotta Falcone con “Pezzi a pezzi”, Enrica Sala con “Humus”, Fulvio Salvi con “Safu” “Insomnia”, Rachele Sansalone con “Pane e vino con zucca”, Angela Sciutto con “Untitled”, Alessandra Secci con “Leçon de Ténèbres”, Daniela Tavella con “Magie del deserto” e Marco Tonnicchi con “Autoritratto”. La terza edizione della Triennale Artistica della Solidarietà vede anche la partecipazione speciale di Edoardo Alfieri con “Studi per “Le piaghe d’Egitto”” e di Antonio Contrada con “Nudo”, opere donate dai rispettivi gestori del loro lascito artistico.
«Un sincero grazie – conclude Gian Mario Moretti, Presidente della Fondazione Banca degli Occhi Melvin Jones – agli artisti, al Teatro Carlo Felice e a tutti coloro che si sono adoperati per realizzare la nuova edizione di questo importante evento a favore della Banca degli Occhi». L’esposizione della terza edizione della Triennale Artistica della Solidarietà inaugura martedì 7 maggio alle 17 nel Primo Foyer del Teatro Carlo Felice. Da mercoledì 8 a venerdì 10 maggio è visitabile nel foyer dell’Auditorium del Teatro Carlo Felice dalle 17 alle 19, mentre sabato 11 maggio dalle 9 alle 13 e dalle 14.30 alle 17.30. Per ulteriori informazioni sul regolamento dell’asta: https://www.bomj.it/regolam e www.banca-occhi-lions.it
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CINQUANTA ARTISTI LIGURI DONANO LE LORO OPERE A SOSTEGNO DELLA BANCA DEGLI OCCHI LIONS MELVIS JONES PER LA TERZA “TRIENNALE ARTISTICA DELLA SOLIDARIETÁ” CINQUANTA ARTISTI LIGURI DONANO LE LORO OPERE A SOSTEGNO DELLA BANCA DEGLI OCCHI LIONS MELVIS JONES PER LA TERZA…
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Sabato l’Asta Mondiale del Bue Grasso di Carrù
È uno dei momenti più suggestivi della Fiera Nazionale del Bue Grasso di Carrù. Sabato 14 dicembre, dalle 10:30 alle 12:30 presso l’ala dott. Borsarelli di Piazza Mercato si svolgerà la 14^ edizione dell’Asta Mondiale del Bue Grasso. Qui il pubblico potrà assistere all’aggiudicazione degli esemplari presentati, seguendo il vivace susseguirsi delle offerte che i … Leggi... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
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Bolaffi, 30mila euro all’asta per la maglia del Brasile di Pelè
Pelè è stato il campione assoluto della vendita all’incanto internet live di Sport Memorabilia di Aste Bolaffi: la maglia della Nazionale brasiliana indossata da O’ Rey nell’amichevole Brasile-Jugoslavia del 1971, allo stadio di Rio, ha raddoppiato le stime dopo un’accesa competizione, volando fino a 30.000 euro. Sul podio dell’asta, al secondo posto con 25.000 euro,... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
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Record mondiale per la Fiat Panda di Gianni Agnelli all’asta Bolaffi: aggiudicata a 37mila euro
Una somma di 37mila euro per la Panda 4×4 Trekking del 1993, color argento metallizzato, con i doppi profili blu, e con il nome di Gianni Agnelli come primo intestatario nel libretto. E’ questo uno dei risultati dell’asta di auto classiche a Torino organizzata da Bolaffi che annuncia il record mondiale per questo modello di … Leggi tutto L'articolo Record mondiale per la... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
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Asta mondiale del tartufo bianco di Alba, 420mila euro di ricavato per la ventesima edizione – Video –
420mila euro. Di profumo (e non solo) al tartufo. E’ il ricavato della 20/a Asta Mondiale del Tartufo bianco d’Alba promossa dall’Enoteca Regionale Piemontese Cavour e dal Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, con il supporto della Regione Piemonte e di Enit (Agenzia nazionale italiana del turismo). Cifre record quest’anno: la regia dell’Asta... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
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All’asta da Bolaffi 360 lotti di arredi del 900
Apre al pubblico venerdì 3 maggio, allo Spazio Bolaffi (corso Verona 36E, Torino) l’esposizione delle opere di design protagoniste dell’asta in programma mercoledì 8 maggio. La mostra resterà aperta fino al giorno dell’asta, incluso il weekend, con orario continuato 11-19. Nel catalogo di oltre 360 lotti spiccano rari arredi del primo Dopoguerra appositamente disegnati per … Leggi... Per il contenuto completo visitate il sito http://bit.ly/1tIiUMZ
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Le opere saranno presentate alla stampa martedì 7 maggio (ore 17) nel Primo Foyer del Teatro Carlo Felice
COMUNICATO STAMPA
CINQUANTA ARTISTI LIGURI DONANO LE LORO OPERE A SOSTEGNO DELLA BANCA DEGLI OCCHI LIONS MELVIS JONES PER LA TERZA “TRIENNALE ARTISTICA DELLA SOLIDARIETÁ”
Una gara di solidarietà, riproposta attraverso un’ampia esposizione artistica fortemente legata al territorio. Le opere saranno esposte, dal 7 all’11 maggio, tra il Primo foyer e il foyer dell’Auditorium del Teatro Carlo Felice
Genova – Cinquanta artisti, cinquanta opere e un obiettivo comune: la solidarietà. In occasione della terza edizione della “Triennale Artistica della Solidarietà” questi artisti, attivi soprattutto a Genova ma provenienti da diverse latitudini geografiche e culturali, hanno deciso di donare una propria opera per raccogliere fondi a favore della Fondazione Banca degli Occhi Lions Melvin Jones che, dal 1996, è impegnata nella lotta alla cecità. L’iniziativa è ideata e realizzata dal Prof. Roberto Guerrini, ed è promossa dall’Associazione Amici della Banca degli Occhi e dal Teatro Carlo Felice, dove andrà in scena tra il 7 e l’11 maggio l’esposizione delle opere donate.
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Allestita nello stesso periodo in cui va in scena la “Tosca”, l’esposizione inaugura martedì 7 maggio (ore 17) nel primo foyer del Carlo Felice, mentre dall’8 all’11 è visitabile al foyer dell’Auditorium. «È sempre entusiasmante – concludono Renzo Bichi e Santo Durelli della Associazione Amici Banca degli Occhi Lions Melvin Jones – vedere tante realtà differenti del territorio fare rete con l’obiettivo unico della solidarietà. La Fondazione Banca degli Occhi Melvin Jones è da tempo in prima fila per migliorare la qualità della vita di chi è affetto da patologie corneali che compromettono la vista e iniziative come la Triennale Artistica della Solidarietà ci permettono, attraverso l’arte, di far prevenzione, di promuovere la ricerca e di aumentare il numero di donazioni». Inoltre, giovedì 9 maggio (ore 17) nella Sala Conferenze del Teatro Carlo Felice i professori Daniele Grosso e Roberto Guerrini terranno una lezione divulgativa.
Gli artisti partecipanti sono Marisa Bertolotti con “Trasparenze in giallo”, Matilde Bianchi con “Fontana del Tritone”, Agostino Boldrini con “Ichtys”, Gian Luigi Boleto con “Nous descendons les escalier”, Barbara Borello con “Presente”, Francesco Bruzzo con “Nudo femminile”, Daniela Cappa con “Il rugbista”, Marina Cella con “La finestra”, Francesco Cento con “Efebo”, Antonino Cerda con “Specchio”, Marina Chesi con “Riflessi di luce”, Maddalena Costella con “NO BORDER N°1”, Bruno Di Giulio con “Mareggiata in Liguria”, Anna Ferrari con “Memoria delle radici”, Giorgio Gatto con “Senza Turchese”, Paola Ginepri con “Piani di Praglia [galaverna]”, Giacomo Grasso con “Theft”, Corrado Guderzo con “Preludio”, Roberto Guerrini con “Sub” e “Tris (dvertissement)”, Silvio Intiso con “Natura morta”, Pia Inzirillo con “All’angolo della strada”, Rosella Lauretta con “Omaggio a Vasco”, Silvana Maisano con “Quattro studi per sculture in bronzo”, Stefania Maisano con “Labirinto – Studio per bassorilievo in bronzo”, Sergio Massetti con “Integrazione”, Maurizio Roman Melis con “Il violino”, Davide Merello con “Untitled”, Marcello Mula con “S.t”, Enrico Musenich con “Città vecchia, città nuova”, Riccardo Musenich con “La città invisibile”, Mimmo Padovano con “FRAGILE !?”, Riccardo Panusa con “Formella picta”, Paolo Lorenzo Parisi con “Senza titolo”, Danila Parodi con “San Valentino”, Adriano Pasqualini con “A Sassello”, Paola Pastura con “Fioritura”, Melissa Pestillo con “Anacronistica catastrofe: il prezzo pagato”, Franco Repetto con “Sette vaschi”, Luisa Rognoni Apedistri con “Le stelle, gli alberi e i Cercatori”, Lucia Rotta Falcone con “Pezzi a pezzi”, Enrica Sala con “Humus”, Fulvio Salvi con “Safu” “Insomnia”, Rachele Sansalone con “Pane e vino con zucca”, Angela Sciutto con “Untitled”, Alessandra Secci con “Leçon de Ténèbres”, Daniela Tavella con “Magie del deserto” e Marco Tonnicchi con “Autoritratto”. La terza edizione della Triennale Artistica della Solidarietà vede anche la partecipazione speciale di Edoardo Alfieri con “Studi per “Le piaghe d’Egitto”” e di Antonio Contrada con “Nudo”, opere donate dai rispettivi gestori del loro lascito artistico.
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200 anni di Infinito: Anna Achmatova e Rainer Maria Rilke traduttori di Leopardi
Quest’anno, si sa, sono i 200 anni dell’Infinito di Giacomo Leopardi, la poesia più celebre del ‘canone’ italiano. Quest’anno il fato mi ha assegnato un corso di letteratura italiana per universitari stranieri, in terra nostra per i progetti Erasmus. Ho quattro studenti: due russe, che provengono dalla prestigiosa università di Mosca, e studiano cose letterarie, e due tedesche. Mentre insegno come è possibile vedere l’infinito dietro una siepe, una russa, edotta al mio amore per la poesia del suo paese, mi ricorda che anche Anna Achmatova ha tradotto L’infinito di Leopardi. Al che, blocco tutto e mi inalbero di gioia.
*
In effetti, annoto. In alcune lettere – che leggo in: Anna Achmatova, Io sono la vostra voce…, Edizioni Studio Tesi, 1990 – la Achmatova accenna al suo lavoro traduttivo. “Noi vivremo semplicemente come Lear e Cordelia in una cameretta e tradurremo Leopardi e Tagore e crederemo l’uno nell’altro”, scrive Anna al poeta e complice Anatolij Najman, il 31 marzo del 1964, da Mosca. Che immagine stupenda: la traduzione serve ad avere fiducia l’uno nell’altro, a cedere all’isolamento, a concedere l’amare. Un anno e mezzo dopo, Anna ricorda a Iosif Brodskij: “Con Tolja [Anatolij Najman] stiamo terminando la traduzione di Leopardi”.
*
Il lavoro di Anna Achmatova dentro Leopardi dura il getto dei suoi ultimi anni, anni importanti. Fine 1964: alla Achmatova, ultima rappresentante della grande poesia russa, è concesso il viaggio in Europa; prima in Italia, dove le viene conferito l’Etna-Taormina, poi all’Università di Oxford, a ritirare una laurea in onore e a incontrare l’amico – e amante velleitario – Isaiah Berlin. Nell’autunno del 1965 è pubblica l’ultima raccolta della Achmatova, La corsa del tempo; lei morirà il 5 marzo del 1966. Il libretto con le traduzioni di Leopardi, che funge quasi da testamento, è pubblico nel 1967. “Nella raccolta, con una tiratura di trentamila copie, furono tradotte 24 poesie, che circolarono ampiamente in Urss… Si può affermare che il grande merito della raccolta di traduzioni del 1967 è consistito nel saper attualizzare l’opera poetica di Leopardi, rinnovandone e amplificandone la fortuna anche grazie a scelte stilistiche e traduttive” (Marco Sabbatini in Contributi italiani al XV Congresso Internazionale degli Slavisti, Firenze University Press, 2013).
*
Rainer Maria Rilke traduce “L’infinito” di Leopardi nel gennaio del 1912, poco prima di scrivere la prima delle “Elegie duinesi”
Provo a farmi tradurre L’infinito secondo Anna Achmatova. Il russo ha una dolcezza arcaica, dicono che ricorda il poeta ottocentesco Evgenij Baratynskij. Sostiamo un po’ sull’ultimo distico: “E fra questa/ immensità i miei pensieri si disfano/ mi è dolce affogare in questo mare”. La sovranità di Leopardi sembra mescolarsi alla levità nostalgica della Achmatova (“il mio cuore ha quasi paura”; “ascolto il fruscio del vento/ confronto questo suono a quel/ silenzio infinito”). “I due poeti si incontrano ancora una volta: al culmine della disperazione, nella preghiera. Ma non capiremmo sino in fondo questa comunione se non capissimo che questa comune preghiera nasce dall’identica domanda dell’uomo, che vuole capire e dire sino in fondo il senso del proprio esistere: vuole ritrovare il senso della propria umanità mortale e finita di fronte all’infinito, come succede con Leopardi, o vuole ritrovare e restaurare il mistero del volto umano di fronte alla riduzione e alla negazione dell’umano tentata dai regimi totalitari, come succede con l’Achmatova”, ha scritto Adriano Dell’Asta in calce a Requiem. Poema senza eroe. Traduzioni da Giacomo Leopardi, per la cura di Carlo Riccio e pubblicate, nel 2011, dall’Istituto Italiano di Cultura di Mosca.
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La traduzione di Leopardi è, anche, per Anna Achmatova, un rapporto con i morti, con il tempo stritolato. Dal 1919, infatti, è il marito, Nikolaj Gumilëv, a tentare una traduzione ‘moderna’ – cioè, una specie di riscrittura, secondo la moda rinnovatrice e non riepilogativa di quell’epoca – di Leopardi. “Gumilëv si dedicò intensamente a Leopardi, e a molti altri autori stranieri, nell’estate del 1919, uno dei tre anni di fruttuosa collaborazione con ‘Vsemirnaja Literatura’. È cosa nota che Gumilëv, insieme ad Aleksandr Blok, Kornej Cukovskij, Evgenij Zamjatin e agli orientalisti Sergej Ol’denburg e Ignatij Krackovskij, fu – sin dalla sua fondazione nel 1918 – una delle colonne portanti della casa editrice ideata da Maksim Gor’kij allo scopo di predisporre la traduzione in russo di un’enorme quantità di classici stranieri, scelti tra le letterature di diversi paesi europei ed asiatici” (Francesca Lazzarin, Giacomo Leopardi (ri)tradotto da Nikolaj Gumilëv: due frammenti inediti dai ‘Canti’, in “Europa Orientalis” 31, 2012). Il lavoro, rapace – Gumilëv ha tradotto tanto, soprattutto dal francese, “anche e soprattutto per garantire una fonte costante di reddito a sé e alla sua famiglia” – fu interrotto dalla fucilazione del poeta, nel 1921. Gumilëv, volitivo fondatore dell’acmeismo, che si separò da Anna nel 1918, è il padre di Lev, il figlio, poi recluso in prigione, per cui la Achmatova scrisse l’impressionante Requiem. Secondo la testimonianza di Najman, “le bozze con le note a margine e i tentativi di versione dello stesso Gumilëv vennero serbate nelle credenze dell’Achmatova per più di quarant’anni per essere poi riscoperte per puro caso”. Come non vedere, allora, nell’immersione in Leopardi un canto gettato nell’orda del passato, intriso nel rancore, di mirabile rimorso?
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Leopardi e in particolare L’infinito hanno un legame particolare, una atrocità e un attorcigliamento biografico, con i grandi poeti del secolo scorso. Nella sua traduzione delle Elegie duinesi Michele Ranchetti segnala un legame tra la Quinta elegia e le Operette morali, ricordando che “a Duino, nel gennaio 1912, Rilke traduce Leopardi (L’infinito)”. Il gennaio del 1912 è uno dei momenti di cristallo di Rilke: il 21 di quel mese termina la Prima elegia poi scrive la Seconda, abbozza la Terza e brani della Decima. Come se la lettura di Leopardi lo abbia confermato nel suo progetto, una basilica della lirica. Nella lettera al traduttore polacco Witold von Hulewicz, del 13 novembre 1925, esplicitando l’ispirazione delle Elegie, Rilke calca pensieri che sembrano ‘leopardiani’: “La natura, le cose che tocchiamo e usiamo, sono transitorie e caduche; ma, fintanto che siamo qui, sono il nostro possesso e la nostra amicizia, sanno della nostra miseria e gioia, come già furono i confidenti dei nostri avi… Siamo le api dell’invisibile… Ora, dall’America, arrivano cose vuote e indifferenti, cose apparenti, imitazioni della vita… La terra non ha altra via di scampo che diventare invisibile… solo in noi può compiersi questa intima e duratura trasformazione del visibile nell’invisibile, in ciò che non dipende più dall’essere visibile e tangibile”. Nell’Infinito Leopardi vede l’invisibile (l’infinito) dietro il visibile (colle, siepe) e tramuta il secondo nel primo, nel dolce naufragio.
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Rilke precipita Leopardi nel proprio tono lirico, astraendolo dalla siepe marchigiana a una rocca marziale. “Ultimo orizzonte” diventa “tumulto lontano dei cieli”; “Così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio” diventa – mi aiuta a capire la studentessa – “Quindi/ il pensiero sprofonda nell’eccesso”. Il “naufragar” di Leopardi diventa una parola (Unter-gehen) spezzata, a segnare il crollo delle parole, tra penultimo (Unter) e ultimo (gehen) verso: “Af-/ fondare”. Qui c’è un tracollo tutto, di uomo e linguaggio, nella quiete, che non può non ricordare, con aghi, la chiusa delle Elegie: “E noi che la felicità la pensiamo/ in ascesa sentiremmo la commozione,/ che quasi ci atterra sgomenti,/ per una cosa felice che cade”.
Davide Brullo
*In copertina: Anna Achmatova (1889-1966)
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