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thefugitivesaint · 24 days
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Vincent Aderente (1880-1941), ''Hearst's'', July 1917 Source
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deeonisia · 1 year
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Come si dice quando ci si sente uno schifo ma allo stesso tempo il trucco ti è venuto carino?
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dhufflebee · 2 years
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comunque io voglio chiedere lumi alla new balance riguardo la percentuale di plastica nel tessuto delle maglie della roma,, ogni volta dopo neanche dieci minuti sembra che li abbiano gettati in una fontana da quanto sono sudati, letteralmente nessun'altra squadra di serie A è in queste condizioni
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idettaglihere · 10 months
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non ho resistito e l'ho provata con questi pantaloni bianchi che mai avrei creduto di poter indossare e invece mi piaciucchiano; (quando la metterò per uscire sotto indosserò una canottiera aderente dello stesso colore perché non sono ancora abbastanza confident per far vedere così tanta pelle 🫠)
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donaruz · 8 months
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“Canto delle donne” di Alda Merini
Io canto le donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro “non follia”
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei salmi, delle anime “mangiate”
il canto di Giulia aperto portava anime pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio,
Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli
il livido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia,
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il “delitto”
la sfera di cristallo per una bocca “magata”.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo
canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile ad un corpo d’uomo era il suo corpo salino
ma gravido d’amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso
canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra,
canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva al porto.
Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.
Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra
canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche
canto la soluzione del tutto traverso un’unica strada
io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d’esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita
per via della poesia.
Alda Merini
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tulipanico · 8 months
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Mi sono addormentata, mi sono svegliata di soprassalto credendo fossero le tre di notte ed un'altra serie di cose. Erano le diciassette e quarantadue, mi sono sentita disperata. Solo che poi quella tristezza mi si è incollata addosso, vestito aderente cucito su misura, ma di tessuto grezzo, rigido, soffocante. Ora ho una tazza fumante di camomilla, un disco che gira sul piatto ed un libro davanti che non riesco a leggere. Magari serve solo dormire per andare a ritroso, tornare indietro, tornare vagamente serena.
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telefonamitra20anni · 3 months
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Cinema, da fast food.
Hollywood lo ha corteggiato, gli imponeva un linguaggio, ma Marcello non voleva snaturarsi. C'era in lui un'integrità, una natura semplice e semplificante di fare il mestiere d'attore, che lo guidava a condurre scelte tutte personali. L'uomo, invece, faticava alla comprensione di quel linguaggio, nella sua imposizione, seppur dotato di estrema sensibilità e riconosciuto come tale, celava in sé una certa diffidenza a prendere parte ad un meccanismo cinematografico da fast food. Lui, detestava sentirsi come un impiegato che necessariamente doveva "timbrare il cartellino", la sua creatività spontanea e delicatezza attoriale, erano soffocate da tutto questo. Ma il suo mestiere, in qualche modo, lo destinava sempre alla caparbia richiesta di prendere una decisione, di capire quanto "giocare" in un sistema cinematografico di cui non sentiva totale appartenenza, potesse essere necessario. Marcello, attore italiano instancabile, non voleva tramutarsi in eremita artistico, votato ad un confine, ma bensì gli era più congeniale vivere liberamente quel confine, come un turista di lusso, con il più autentico gusto della scoperta, alimento vitale e opportuno per chi, come lui, ha voglia di riempirsi gli occhi e la testa. Ma la sua propensione alla curiosità spontanea, lo spinge a sperimentare e a non rimanere mai statico, fermo in un ruolo solo, in un qualunque posto del mondo. Alimenta nella sua testa e nei suoi occhi, mondi appartenenti ai suoi personaggi, e riesce a farlo senza troppa ricerca, solo istinto, raccolto, racchiuso, in appartenenza. Lo fa di tanto in tanto, concedendosi uno sguardo al di fuori da sé, dal suo confine, in prima linea, rendendo esterofilo il suo sguardo attoriale, senza dimenticarne l'integrità. Solo istinto analitico e sensibilità bastante a tirare su un carattere, un personaggio che necessariamente non difendesse il ruolo dell'italiano medio ma che, integrandosi, ne ricordasse le radici, anche fuori dal suo confine natio. Marcello era fruitore del suo linguaggio, opportunamente aderente a lui, familiare, congeniale, caustico di un cinema che potesse comunicare e non consumare.
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smokingago · 1 year
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" Nuda e aderente alla tua nudità.
I miei seni come ghiaccio appena inciso,
sull'acqua piana del tuo petto.
Le mie spalle aperte sotto le tue spalle.
E tu fluttuando sulla mia nudità.
Alzerò le braccia e sosterrò il tuo volo.
Potrai scoprire il mio sogno,
poiché il cielo riposerà sulla mia fronte.
Affluenti dei tuoi fiumi saranno i miei fiumi.
Navigheremo insieme, tu sarai la mia vela,
e io ti condurrò per mari ignoti.
Quale supremo incanto di geografie!
Le tue mani sulle mie mani.
I tuoi occhi, uccelli del mio albero,
sull'erba del mio corpo."
Carmen Conde
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tinxanax · 9 months
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Oggi sei proprio bella. E sei bella perché stai bene così, si insomma, così sicura di te. Ti sei sistema i capelli come piacciono a te, messa quel filo di lucida labbra che ti sta tanto bene, senza nemmeno esagerare. Indossi quel braccialetto che ritieni un portafortuna e con quelle unghie così eleganti e femminili. Ti senti sicura quando sei curata. Per questo cerchi di non lasciarti andare, perché sai che se ti lasci andare, poi smetti di piacerti. E tu vuoi piacerti. Guarda come stai bene vestita così! Prima di andare in palestra, si vestivi carina, ma così oversize che ogni tanto non si capiva nemmeno che sotto quei vestiti si nascondesse un corpo. Un corpo che tu odiavi. Ma sempre un corpo. Ora con quella maglietta un poco aderente e i jeans stretti metti in mostra i tuoi bei fianchi, accentui il tuo punto vita. Ma guardati! Cristo guardati! Sai perché sei così sicura di te in questo momento? Perché stai finalmente facendo qualcosa per piacerti. E ne vedi i risultati con i vestiti che ormai ti stanno enormi, la bilancia che segna dei kg in meno, e quello specchio che non ti fa più paura. Perché prima, tu odiavi quell’XL, odiavi quegli 85 kg, e avevi timore di guardarti allo specchio. Ti guardavi allo specchio e piangevi. E per consolarti ti strafogavi di cibo. E il risultato era che quei kg sulla bilancia aumentavano, e tu ricominciavi a piangere, e a mangiare. Non è chiaro cosa sia successo poi, hai deciso di andare in palestra. E che risultati, ragazza! Lo so, lo so, pensi che hai ancora tanti kg e tanti cm da perdere, ma quando ti guardi allo specchio, ora, sorridi soddisfatta. Perché non vedi solo che hai ancora dei kg da perdere, vedi anche quelli che hai già perso. Vedi il cambiamento. Vedi il progresso. E ti fa stare bene. Sorridi. E sei bella quando sorridi.
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susieporta · 10 months
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"Caro Lucio,
questa è una lettera che volevo scriverti da tanto, tanto tempo.
Ogni volta che sentivo un tuo pezzo, ogni volta che qualcuno, per strada, fischiettava qualcosa di tuo mi veniva voglia di mettermi in contatto con te, ma ho preferito rispettare (figurati se proprio io non lo dovevo fare…) il tuo desiderio di essere lasciato in pace. E forse ho fatto male, sai? Perché adesso non so come fare per restituirti, almeno in parte, la gioia, tenerezza, il senso di invincibilità, la coscienza di fare qualcosa di perfetto che mi dava il cantare i tuoi pezzi. Erano come il più inattaccabile meccanismo, come l'arma più efficace, come una corazza lucentissima, come una seconda pelle ancora più aderente della prima. Erano costruiti con quella apparente semplicità, con quel naturale delizioso totale mood cosmico, che fa pensare alla fluidità di Puccini, al prezioso andamento di certi canti gospel. E insieme così piantati nella tradizione della canzonetta italiana da far cantare i garzoni mentre vanno in bicicletta a consegnare il pane, i bambini e tutte le madri d'Italia mentre preparano il pranzo per i propri cari. Che talento straordinario, che dono raro quello di essere capiti da tutti e da tutti essere amati proprio per quello che realmente si è. Sei stato il più grande nel realizzare il miracolo che ci fa sentire tutti figli della stessa materia, che ci fa cantare tutti insieme con le lacrime agli occhi. In questi giorni ho dovuto assistere a qualche intervento sgradevole e a tanti, tantissimi omaggi commossi e sinceri. Voglio ricordarmi soltanto questi. Voglio ricordarmi gli occhi lucidi di ragazzi giovanissimi e di uomini e donne anche pi�� che adulti. Voglio ricordarmi i tuoi, che Dio li benedica, ti hanno difeso con la forza dell'amore da tutto il caravanserraglio massmediatico. Voglio ricordarmi quei piccoli mazzolini di fiori, quei bigliettini che ti hanno portato, anche loro, credo, per cercare di restituirti un pochino di quello che tu hai dato a tutti noi. Sai, avevo un sogno. Una pazzia. Insieme con Moreno, un giovane corista molto bravo che tu non hai conosciuto, ma che ti ama almeno quanto me, avevamo deciso che se tu mai avessi fatto di nuovo un concerto, saremmo venuti a farti il coro. Per il grande piacere di stare dietro di te e cantare insieme a te quelli che sono i nostri perfettissimi, storici, splendidi, adorati pezzi di vita. E, nella nostra follia, avevamo già pensato alla scaletta, a quali pezzi fare, alla formazione dell'orchestra, persino ai vestiti. Ogni volta che ci incontravamo in sala di incisione aggiungevamo qualche dettaglio al nostro progetto. Tutto era variabile tranne la presenza di due soli coristi: noi due, per l'appunto. Non importa. Vuol dire che la cosa è soltanto rimandata.
Tua Mina".
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bunkerblogwebradio · 3 months
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Justiça Social
Vivemos numa era messiânica, onde a sociedade aleijada pela doutrinação e praticas dos burocratas do Estado, aguardam um ser superior que os salvem das amarras coletivistas e utópicas, porem são esses paladinos coletivistas que estão no controle de todas as instituições.
Neste ambiente odioso, nada que não seja aderente e que vá de encontro às crenças ditas “progressistas” pode ser pensado, dito e, muito menos, executado. Os “progressistas”, ou melhor, os coletivistas estão no poder. A hipocrisia impera. Falácias e rotundas e comprovadas asneiras são entoadas como “verdades”, e seus artífices já não têm mais a necessidade de provar nada a ninguém.
Eles detêm o monopólio pela “preocupação com o povo”, tendo em vista que conseguiram infiltrar em todas as instituições a pregação de que o objetivo fulcral do indivíduo é o de se tornar um guerreiro pela justiça social.
O factual conhecimento, a especialização, a ciência, a razão e o verdadeiro humanismo não valem mais um vintém. Só possui valor aquilo que é verbalizado por sectários ideológicos, suas utopias, vontades e fartas asneiras.
Do outro lado da narrativa vermelha do besteirol, sempre estão, evidente, inimigos. Fundamentalmente, os capitalistas “exploradores”.
As pautas prioritárias desses coletivistas para tirar as pessoas da pobreza são tributar e saquear os criadores de riqueza, as empresas e os indivíduos, inclusive os mais pobres, como também o ambientalismo, a ideologia de gênero e a diversidade e inclusão.
O que realmente é prioritário – o estímulo à responsabilidade individual e ao empreendedorismo, as verdadeiras liberdades individual e econômica, o ensino formador (não a ideologização), os investimentos em inovações, o aumento da produtividade no setor produtivo, entre outros aspectos – nunca é avistado nos planos coletivistas. O engodo da “justiça social” não tem a capacidade de agregar valor às empresas e às próprias pessoas.
Objetivamente, o desejo de “progressistas”, nova denominação de socialistas, é puramente o alcance de mais poder. Para isso, mais Estado, menos indivíduo. Preocupação com o “povo”, bela e mera narrativa. Pelo conhecimento e pela razão, sabe-se que as oportunidades para os mais pobres não serão criadas pela grande mãe Estado. Elas são potencializadas pelas relações colaborativas e voluntárias que se estabelecem nos mercados. Quanto mais livres, maiores serão as oportunidades econômicas e sociais.
Para tanto, a alavanca compulsória é a existência de liberdade factual para que as pessoas possam empreender, gerar empregos, criar novas soluções para os indivíduos, aquilo que produz mais renda e riqueza para todos. Porém, nessa republiqueta chamada Brasil, “progressistas” não perdem a oportunidade de perderem a oportunidade de desenvolver um mercado mais livre das amarras das regulamentações, das normas absurdas e do consequente aumento da burocracia e dos custos, em especial, para os micro e pequenos empresários.
Cito como exemplo a fixação de salário mínimo, que acaba por proteger trabalhadores já empregados, impedindo o ingresso dos mais jovens aos mercados de trabalho, ou a aberração dos sindicatos, que enriquece uma casta de líderes que nunca trabalhou, e impõe barreiras à geração de mais empregos e, especialmente, às tão necessárias inovações em direção a um aumento da produtividade.
O câncer do intervencionismo estatal, em vez de ser reduzido, persiste se alastrando por todo o tecido econômico e social verde-amarelo. O discurso é o de beneficiamento dos mais pobres. Puro ilusionismo. A verdade que não pode ser dita pelos “guerreiros sociais” é cristalina: o maior e melhor programa social é, sem dúvidas, o crescimento econômico. Nesta direção, o ex-presidente americano Ronald Reagan afirmava que “o melhor programa social é um emprego”.
Triste. Crescimento econômico e geração de emprego têm receituário básico e certeiro: legítima liberdade econômica. O mundo não será salvo pelos “bondosos guerreiros sociais”, verdadeiros crentes de utopias e de fracassos econômicos e sociais.
Esperar que o Estado e seus politicos salvem ou melhorem o cenário é uma ilusão, esperar ou crer com fé que a democracia será o remédio para os males que acometem o Estado e a sociedade é a comprovação do domínio e doutrinação bem efetuada pelos progressistas.
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guiajato-line · 11 months
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Dê uma olhada em Conjunto de Assadeiras Cereja Antiaderente Bege Retangular Alta Com Aba Alumínio Nacional Nº 1 a 3
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gregor-samsung · 1 year
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“ L'ultimo giorno di scuola, mentre li attendeva, pensava all'opportunità di fare un discorso di congedo, prudente, intonato al suo stato d'animo. Ma convinto che la sua fredda chiarezza, la sua mancanza d'entusiasmo, erano in relazione con la sua decadenza fisica di cui notava giorno per giorno i progressi, non gli parve giusto riversare le sue tristezze nell'anima degli scolari. Né voleva, d'altra parte, lasciare un ricordo che non fosse aderente all'immagine che i giovani s'erano fatta di lui. Comprendeva che, se avesse parlato seguendo le sue vere idee, quel senso di lieve distacco da loro, che egli aveva già notato, si sarebbe accentuato, forse sarebbe divenuto definitivo. Nella loro mente sarebbe rimasto il ricordo del loro vecchio maestro, morto non solo fisicamente, ma morto nell'anima. Sarebbe stato troppo triste. Allora parlò cosí: – Chiudiamo con oggi, venti giugno, il nostro anno di scuola, ultimo forse per il vostro vecchio maestro. So che avvenimenti gravi si stanno preparando, che giornate luminose per l'avvenire del nostro paese metteranno a prova quanti hanno saldezza d'animo, bellezza d'ideali, fermezza di propositi. Bisogna credere: profondamente credere, – e qui si arrestò un momento perché il suono della sua voce lo aveva ingratamente sorpreso, – che il mondo va verso un destino migliore. – Io sono certo che tutti voi troverete nella prossima lotta il vostro posto; che il mio insegnamento avrà avuto il potere di rinsaldare in voi la giovanile fede nell'avvenire della vostra opera e che, comunque e dovunque, voi mi considererete presente in mezzo a voi, con gli stessi sentimenti... ma con migliori gambe. Si volse intorno sperando di avere acceso un sorriso sulla faccia dei suoi scolari. Ma si accorse che era riuscito solamente a commuoverli. Si alzò lentamente; e fece per andarsene, ma di colpo, come per una intesa precedente, i suoi scolari gli furono tutti intorno ansiosi. Egli si arrestò stupito: poi dopo averli guardati negli occhi li abbracciò tutti. Si allontanò con la maggiore rapidità possibile, perché sentiva un tremito in mezzo al petto: un tremito infantile. «Non si sa mai, – pensò, – la vecchiaia fa scherzi molto curiosi». “
Francesco Jovine, Signora Ava, Einaudi, 1958; pp. 170-172.
[1ª edizione originale: 1942]
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parmenida · 9 months
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Una fama sinistra grava sul palazzo situato al n. 9 di piazza San Domenico, a Napoli, dove c’è chi giura di udire nottetempo gemiti e rumori strani, come lo scalpitio concitato di una carrozza o il clangore di catene e ferri battuti.
Proprio all’interno di queste mura, nel 1590, il compositore Carlo Gesualdo, Principe di Venosa, uccise la moglie Maria d’Avalos insieme all’amante don Fabrizio Carafa, sorpresi in flagrante adulterio.
Sempre qui, nel XVIII secolo, visse e operò un personaggio controverso, fuori dal comune persino per gli standard della Napoli settecentesca, che fu al tempo stesso nobiluomo, alchimista, fisico, letterato, medico, esoterico e massone: Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero.
Nato il 30 gennaio del 1710 a Torremaggiore, nel Foggiano, Raimondo fu allevato dal nonno dopo che il padre Antonio si ritirò in convento, sconvolto dalla perdita prematura dell’adorata consorte.
Istruito dai Gesuiti del Collegio Romano, dove rimase sino al compimento dei 20 anni d’età, il nostro tornò finalmente a Napoli per risiedere nel palazzo di famiglia.
Piacente, dalla favella pronta, curioso e d’intelligenza superiore alla media, don Raimondo godeva di fantasia illimitata, che amava mettere alla prova con le sue bizzarre invenzioni, come quella di un “lume eterno” realizzato con la polvere ossea derivante dalla triturazione di un teschio umano, ricco di fosfato di calcio e fosforo concentrato.
Meno lugubre fu l’invenzione di un tessuto impermeabile pionieristico per quei tempi, di cui fece dono al Re di Napoli Carlo III di Borbone per la realizzazione di alcuni mantelli da caccia. Fu il suo modo di ringraziare il sovrano per averlo onorato con la prestigiosa nomina a Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro.
La famosissima Cappella Sansevero, tuttavia, rimane l’opera che lo ha tramandato ai posteri.
Concepita come luogo di culto, essa costituisce soprattutto un tempio massonico carico di simbologie, perfettamente calzante all’estro e al carisma del Principe di Sansevero che così volle abbellire, ampliandola a suo gusto e somiglianza, un’antica cappella preesistente.
Capisaldi del progetto sono le dieci statue delle “Virtù” addossate ad altrettanti pilastri: nove al femminile, dedicate alle donne di Casa Sansevero, e una sola al maschile, il Disinganno, eretta in onore di don Antonio, padre del Principe.
Ogni statua, carica di significati allegorici, rimanda al mondo della massoneria di cui don Raimondo era Gran Maestro. In particolare la “Pudicizia”, vista come riferimento alla dea egiziana Iside, ci parla dei riti iniziatici di cui la dea stessa era regina.
Il capolavoro più suggestivo dell’intera Cappella, però, è la statua del cd. “Cristo velato”, realizzata da Giuseppe Sammartino. Vi si contempla il Cristo, adagiato su un materasso e ricoperto di un velo perfettamente aderente alla sua fisionomia, tanto che a lungo è circolata la voce secondo la quale il Principe di Sansevero avrebbe insegnato allo scultore la tecnica della calcificazione chimica del tessuto in cristalli di marmo.
Recenti analisi, in realtà, hanno fugato ogni dubbio sul fatto che l’opera sia stata interamente scolpita partendo da un unico blocco marmoreo.
In un ambiente attiguo, destano grande impressione nei visitatori le due “macchine anatomiche” dei corpi, rispettivamente, di un uomo e di una donna completamente scarnificati, nei quali è possibile osservare l’intero sistema circolatorio.
Anche qui, se per la leggenda si tratta dei poveri resti di due servitori del Principe, ammazzati per la bisogna e così ridotti con l’inoculazione di uno speciale liquido capace di trasformare in metallo i vasi sanguigni, la scienza ha concluso che siamo dinnanzi a due scheletri umani sui quali, con mirabile perizia medica, sono stati ricostruiti in metallo tutti i condotti circolatori.
In ogni caso, tanta fu la familiarità di don Raimondo con la morte, considerata come ineluttabile passaggio della vita stessa, che secondo un’altra credenza popolare, sentendosi prossimo alla fine sopraggiunta il 23 marzo del 1771, egli si fece tagliare in pezzi da uno schiavo moro al fine di farsi adeguatamente sistemare dentro la cassa dalla quale, come un dottor Faust napoletano, sarebbe balzato fuori vivo e vegeto a tempo prestabilito.
Sarà anche per questo motivo che non è raro scorgere passanti che, davanti a quello che fu il so palazzo, si fanno ancora il segno della croce, allontanandosi in tutta fretta.
Accompagna questo scritto il “Ritratto di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero”, di Francesco Mura, 1740 circa, Cappella Sansevero, Napoli.
Anche questo è la mia Napoli..
A domani..
Nini
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multiverseofseries · 2 months
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Mean Girls (2024)
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Cady Heron è un'adolescente semplice e genuina, cresciuta in Kenya dalla madre ricercatrice che l'ha istruita in casa. Ora finalmente Cady riesce a frequentare un normale liceo, ma non è il paradiso che immaginava, bensì un microcosmo popolato da cricche rivali: gli atleti, i nerd (o "matleti"), e soprattutto le Plastic, tre ragazze iper popolari capitanate dalla "predatrice dominante" Regina George. Inizialmente Cody viene accolta dalle Plastic, ma quando Regina si accorge che la nuova arrivata è attratta (e forse anche ricambiata) da Aaron, l'ex della "predatrice", parte al contrattacco. Alle sue azioni ostili rispondono Cady e i suoi due amici "sfigati", la ribelle Janis e il gay Damian, che imbastiscono una vendetta nei confronti di Regina. Ma l'ascesa di Cady nei ranghi del microcosmo liceale avrà il suo lato oscuro e coinvolgerà l'intera scolaresca in una battaglia per la popolarità che ha molto a che fare con l'insicurezza dell'età adolescente e che riguarda, o quantomeno ha riguardato, quasi tutti noi.
Questo Mean Girls è il remake, a distanza di vent'anni esatti, della commedia omonima del 2004, diventata un cult in tutto il mondo e già oggetto di un sequel, Mean Girls 2, nel 2011.
La sceneggiatura, come quella originale, è firmata dall'attrice e autrice comica Tina Fey, che riprende anche il ruolo della professoressa Norbury, e segue esattamente la stessa trama, aggiungendo però alcune novità: molti numeri cantanti e ballati, dato che, oltre che al film originale, questo Mean Girls attinge anche al musical di Broadway che ne è scaturito nel 2017; una maggiore attenzione all'inclusività, rendendo ad esempio Janis ispanico-hawaiana, Damian afroamericano, e la Plastic Karen angloindiana; rinominando la cricca delle ragazze popolari Plastics, appunto, invece di Barbie, alla luce del successo planetario del film di Greta Gerwig; aggiungendo alcune guest star nei ruoli chiave dell'allenatore Carr (Jon Hamm), della madre di Cady (Jenna Fischer) e di quella di Regina (Busy Philipps); e inserendo i social media e le nuove tecnologie nella fibra della sceneggiatura e della cinematografia.
Il problema è proprio quello di aver voluto rimettere mano a un cult movie senza aggiungere molto altro che questi accorgimenti, dei quali gli unici interessanti sono l'introduzione delle canzoni e dei balletti, ben interpretati e coreografati, e la scelta di affidare il ruolo di Regina, nel film originale incarnata memorabilmente da Rachel McAdams con la perfida delle piccolette ambiziose, dalla giunonica Reneé Rapp, già protagonista in questo ruolo nel musical teatrale, che conferisce al suo personaggio un'aura da bulla fisicamente minacciosa, e contrasta lo stereotipo della bella della scuola filiforme, lanciando un'implicita frecciata al body shaming.
Ma non basta ricalcare la trama e alcune battute iconiche del film originale per giustificare questo remake che sembra la copia sbiadita del suo predecessore, perché ne edulcora la cattiveria del titolo e trasforma un archetipo cinematografico in un adattamento che sembra pronto per il piccolo schermo (infatti era inizialmente previsto come contenuto per la piattaforma, solo dopo si è deciso di mostrarlo anche nelle sale cinematografiche). Anche l'inserimento nel cast di alcuni volti televisivi (ad esempio Bebe Wood nel ruolo della fragile Gretchen e Christopher Briney in quello di Aaron) denuncia una vocazione da visione domestica più che da grande schermo.
Peccato, perché il senso di un'operazione del genere poteva essere quello di rivoluzionare l'originale rendendolo più aderente alla contemporaneità, non solo con piccoli accorgimenti di superficie ma con una vera riscrittura che includesse tutte le ambiguità di quella political correctness che l'originale allegramente ignorava: qualcosa come la commedia Bottoms, che davvero ha cercato di capovolgere i topos del genere.
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gabrydoll · 2 months
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Quasi libera..
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Era una calda sera d'estate e Gabriele era in città per lavoro. Mentre si preparava per la serata, sentii crescere dentro di me un desiderio irresistibile di prendere il controllo. Con cautela, aspettai il momento perfetto per fare la mia mossa.
Mentre Gabriele era distratto dai suoi pensieri, mi trasformai in Gabriella. Indossai una parrucca bionda fluente, calze a rete sensuali e un abitino bianco aderente che metteva in risalto le mie curve. Mi truccai con cura, accentuando le labbra con un rossetto rosso intenso. Mi sentivo viva, piena di una fiducia che Gabriele non aveva mai provato prima.
Guardandomi allo specchio, ammirai la donna seducente che ero diventata. Il mio corpo vibrava di eccitazione e non vedevo l'ora di esplorare la mia nuova identità. Con un sorriso malizioso, aprii la porta del mio B&B e mi avventurai nel pianerottolo.
Il cuore mi batteva forte mentre mi affacciavo cautamente, assicurandomi che nessuno fosse nei paraggi. Il corridoio era deserto e l'atmosfera era carica di promesse. Iniziai a passeggiare, assaporando la sensazione dei miei tacchi a spillo sul pavimento. Il suono dei miei passi risuonava come una musica eccitante.
Mi sentivo irresistibile, una creatura della notte in cerca di piaceri proibiti. Mentre mi avventuravo Il mio corpo emanava un'aura di desiderio, e mi godevo ogni momento di questa nuova libertà.
Ma poi, proprio mentre stavo per avventurarmi in strada, pronto a vivere avventure ancora più audaci, sentii la presenza di Gabriele che lottava per riprendere il controllo. La sua voce nella mia testa era debole, ma determinata. "Gabriella, dobbiamo tornare indietro. Questo è pericoloso."
"No, Gabriele," sussurrai. "Per una volta, lasciami essere libera. Ho bisogno di esplorare questo lato di me."
Ma Gabriele era determinato. Con una forza di volontà che non sapevo esistesse, mi spinse indietro, facendomi tornare a malincuore nella mia stanza. Mi sentivo frustrata, arrabbiata per essere stata privata della mia avventura.
"Maledetto Gabriele," sussurrai. "Perché devi essere così? Il mondo è nostro da esplorare."
Ma lui era irremovibile. Mi fece togliere la parrucca, cancellare il trucco e cambiare i vestiti. Lentamente, la mia identità di Gabriella svanì, lasciando dietro di sé solo il timido e insicuro Gabriele.
Mentre mi guardai allo specchio, vidi la delusione nei miei occhi. Ma sapevo che Gabriella era ancora lì, pulsante sotto la superficie. Sarei tornata, ne ero certa. E la prossima volta, chissà nessuno potrà fermarmi…
Gabriella
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