#abito tunica
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lacameliacollezioni · 7 months ago
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ELEONORA DUSE - Centenario 1924 - 2024 - donazione R 2007 / 25 abito in velluto con inserti in pizzo ecrù
Centenario Eleonora Duse 1924 – 2024 : dal nostro guardaroba storico – donazione R 2007 / 25 – abito in velluto di seta nero modello a “tunica” maniche decorate con pizzo ecrú Nome(required) Email(required) Messaggio Contattaci Δ
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La disfida dell’abaya: Parigi la vieta a scuola ma per le musulmane è un abito alla moda
PARIGI — «Non c’è posto per l’abaya nelle nostre scuole», dice il giovane ministro dell’Istruzione, Gabriel Attal. Il governo francese si prepara alla riapertura degli istituti tra qualche giorno e lancia una nuova battaglia contro la tunica musulmana molto diffusa tra le donne in Medio Oriente, e ora indossata da tante ragazze francesi. L’abaya è un abito largo che ha cominciato ad apparire in…
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amicidomenicani · 2 years ago
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Quesito Buona e Santa festa di tutti i Santi.  Buonasera Padre Angelo.  Mi chiamo Margherita, sono polacca, ma vivo in Italia (a Roma) da quasi 30 anni.  Nell’Apocalisse 1,13 è scritto: “e in mezzo ai candelabri [qualcuno] simile a un figliuolo d’uomo, vestito di tunica talare e cinto presso alle mammelle d’una fascia d’oro.” Nella Bibbia che possiedo del 1864 in polacco-latino, spiega in parte del significato della fascia d’oro, con la quale [Cristo] è cinto alle mammelle, e poi rimanda a Cornelio a Lapide per le ulteriori spiegazioni. Io ho cercato un pdf di Apocalisse con i commenti/spiegazioni di Cornelio a Lapide, ma non lo trovo in lingua né italiana, né inglese. Ne ho trovato soltanto una in latino, ma purtroppo il latino non lo parlo (almeno per ora). Volevo chiederle umilmente di mandarmi la spiegazione della fascia d’oro e se ha in suo possesso, anche il pdf di Apocalisse by Cornelio a Lapide o un link, da dove potrei scaricarlo o in inglese, o meglio ancora in italiano.  La ringrazio con tutto il cuore e attendo la sua gentile risposta.  Laudetur Jesus Christus  Margherita  Risposta del sacerdote Cara Margherita, 1. La visione avuta da Giovanni è davvero grande. È descritta così nell'Apocalisse: “Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro” (Ap 1,12-13). 2. A Giovanni apparve Gesù Cristo, il figlio dell’uomo. La Bibbia di Gerusalemme annota: “Il Messia appare nelle funzioni di giudice escatologico. I suoi attributi sono descritti per mezzo di simboli: Sacerdozio (rappresentato dall'abito lungo); Regalità (fascia d’oro), Eternità (capelli candidi); Scienza divina (occhi come fiamma di fuoco per scrutare gli affetti e i pensieri); Stabilità (piedi di bronzo). La sua maestà è terrificante (splendore delle gambe, del volto, potenza della voce). Egli tiene le sette Chiese (le stelle) in suo potere (mano destra) e la sua bocca si appresta a lanciare i suoi decreti mortali (spada affilata) contro i cristiani infedeli”. 3. La fascia d'oro rimanda agli antichi costumi orientali. Nel primo libro dei Maccabei si legge che “il re Alessandro, udendo queste notizie, aumentò gli onori a Giònata; gli inviò la fibbia d'oro, che si usa donare ai parenti del re, e gli diede in possesso Ekron e tutto il suo territorio” (1 Mac 10,88-89). Era dunque simbolo di potere. 4. Il padre Marco Sales scrive: “La fascia portata ai reni è simbolo di azione come si legge in Luca 12:35: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”, ma portata sul petto indica riposo e maestà. Gesù Cristo è così presentato come sacerdote il re”. 5. Alfred Wikenhauser commenta: “Cristo porta una veste che gli scende fino ai piedi, stretta al petto da una cintura d’oro. L'abito ampio è distintivo del sommo sacerdote; la cintura intrecciata d'oro fa parte anch'essa dell'abbigliamento dei sommi sacerdoti, oltre che dei re; trattandosi di un abito sacerdotale, essa passa non ai fianchi, ma sul petto. Abito e cintura, dunque, simboleggiano la dignità di sommo sacerdote di Cristo. Espressione di altissima santità è il suo aspetto. Capo e capelli sono pari a candidissima lana. Il colore bianco non è simbolo dell'eternità di Cristo, ma dello splendore degli esseri celesti, dei quali egli fa parte. (Qui Wikenhauser si discosta dalla Bibbia di Gerusalemme ma non da Marco Sales, secondo il quale la bianchezza simboleggia la gloria celeste. n.d.r.). Gli occhi che scintillano come vampa di fuoco significano che allo sguardo penetrante del figlio dell'uomo non rimane nascosto nulla. I piedi sono simili a metallo fuso, - secondo un'altra possibile traduzione del termine greco - a minerale d'oro reso incandescente dal fuoco. La voce risuona come lo scrosciare di un'ingente massa d'acque, com
e il rimbombo del mare. Nella destra tiene sette stelle, simbolo delle sette Chiese, in forma di corona eretta verso l'alto e tenuta stretta da un cerchio invisibile. Dalla bocca gli esce un'acuta spada a due tagli, espressione della parola che giudica e punisce. Il volto del figlio dell'uomo brilla come il sole quando dardeggia in tutta la sua forza” (L'Apocalisse di Giovanni, p. 51). 6. Purtroppo non sono in possesso del commento di Cornelio a Lapide. Con l'augurio che anche tu possa contemplare Nostro Signore nella sua maestà come l'ha contemplato San Giovanni, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.  Padre Angelo
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miaoohaus · 6 years ago
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un modo di essere
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fondazioneterradotranto · 3 years ago
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Lo sciakuddhi, il folletto dispettoso del Salento
il folletto salentino, visto da Daniele Bianco
  di Paolo Vincenti
Lo sciakùddhi, o sciacuddhi, è la maschera popolare del Carnevale della Grecìa salentina, protagonista delle colorate sfilate in maschera che si tengono nei giorni carnascialeschi. È un termine greco-salentino col quale si indica un curioso folletto, esponente di quell’immenso patrimonio che sono le tradizioni popolari del nostro territorio, abitato da molte altre maschere o “spauracchi”, quali la catta scianara, l’uomo nero, le macare, il Nanni Orcu, ecc.  Lo sciakùddhi è conosciuto sotto nomi diversi non solo negli altri comuni del Salento ma anche in tutta la vasta area meridionale italiana. Nella fantasia popolare, esso è un folletto, molto piccolo, bruttino, fosco, peloso, vestito di panno e con un buffo cappellino in testa; in genere scalzo, smanioso di possedere un paio di scarpette, quindi riconoscente nei confronti di coloro che gliele donano, ai quali regala un gruzzolo di monete sonanti o indica il luogo dove si trova nascosto un tesoro, l’acchiatura. Ha l’abitudine di saltare di notte sul letto delle case che visita, raggomitolandosi sul petto del dormiente e dandogli un senso di soffocamento, poiché esercita una forte pressione; e probabilmente, proprio dalla voce dialettale carcare, ossia “premere”, deriva carcaluru, nome con cui è più conosciuto nel nord Salento.  Per la verità, questo che stiamo descrivendo è propriamente il tipo dello scazzamurrieddhu, assimilato allo sciakùddhi, mentre lu moniceddhu è raffigurato come un uomo piccolissimo, vestito con un abito da frate ed è considerato uno spiritello più bizzarro e scherzoso che cattivo, come è invece  lu scazzamurrieddhu : “piccin piccino, gobetto, con gambe un  po’ marcate in fuori, è peloso in tutta la persona, gli copre il capo un piccolo cappelletto a larghe tese e indossa una corta tunica affibbiata alla cintola”, come  ci informa il Castromediano.
Vi è almeno una trentina di modi in cui è chiamato questo folletto: oltre a quelli già citati, asciakùddhi, variante di sciakùddhi, nella Grecìa Salentina, soprattutto a Martano; àuru, nelle varianti lauru e laurieddhu, a Lecce; diaulicchiu o fraulicchiu, o, più raro, piccinneddhu, nel medio Salento; scarcagnulu, diffuso nel Capo di Leuca; altrove anche uru, urulu, ecc.
Per il Rohlfs, sciacuddhi /sciaguddhi è un folletto ed anche un incubo; il suo nome verrebbe dal greco σκιαούλον, ossia “piccolo spettro”, da σκιά ,“ombra”, con influsso del latino augurium. In altre aree del Salento si ha però, come abbiamo detto, anche scazzamurreddhu, scazzamaurrieddhu, che secondo il Vocabolario dei dialetti salentini vale “spirito, folletto” e “incubo”. L’origine si trova in un cazzamurreddhu che, oltre a presentare l’aspetto di una parola composta, si mostra anche congruente col francese cauchemar. La somiglianza non è sfuggita a Rohlfs, che infatti rimanda la nostra forma a un composto tra la voce dialettale cazzare, “schiacciare”, e il germanico mara, “fantasma”. Nonostante la voce salentina (e meridionale) presenti un vocalismo e uno sviluppo morfologico più tipico, l’origine di questo secondo elemento è rafforzata dal primo, visto che TLFI (Trèsor de la langue francaise informatisè) ritiene che il francese cauche dipenda proprio da un latino calcare, “schiacciare” e, in sintonia con la proposta di OED (Oxford English Dictionary on line) per l’inglese nightmare, riconduce il francese mar a forme di tipo mare, “spettro” presenti in neerlandese, tedesco e inglese antico.
Munacceddhu e animali, visto da Daniele Bianco
  A Napoli, “o munaciello” è quasi una maschera popolare; ma, a differenza del monaciello napoletano, che miracolosamente nacque dalla bella Mariuccia e dall’ottantenne doli Salvatore, come informa Giovan Battista Basile nel Cunto de li cunti, lu scazzamurrieddhu salentino non ha lasciato traccia della sua venuta al mondo. Può essere lo spirito di un bambino morto senza aver ricevuto il battesimo, come il monachicchio, l’omologo lucano del nostro moniceddhu, di cui parla Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli. Oppure, questo spirito lo si credeva sprigionato dal fumo delle carcare (da cui, forse, un’altra etimologia per carcaluru), nelle quali si produceva la calce utilizzata per le costruzioni. Dal fumo della calce ribollente, veniva fuori l’astuto folletto e guai alla casa che prendeva di mira, nella quale si intrufolava passando dal camino, e guai agli abitanti della stessa, che venivano svegliati di soprassalto dallo scazzamurrieddhu, il quale in questo modo, sonoramente, sottolineava il proprio arrivo. Certo, il comitato di benvenuto che il furbo carcaluro si sarebbe aspettato di trovare al suo arrivo non era proprio la “festa” che gli arrabbiatissimi famigliari, svegliati di soprassalto, gli volevano fare. Il Nostro è dunque un nano, categoria dalla quale ha attinto molta letteratura per l’infanzia e in ispecie le fiabe (pensiamo, su tutti, a Biancaneve e i sette nani).
Il primo e il più famoso di questi nani è lu cumpare Sangiunazzeddhu, così chiamato perché piccolissimo quasi quanto un sanguinaccio, secondo il Castromediano. Sangiunazzeddhu sta per Sanguinello e la derivazione forse più attendibile di questo termine, secondo Rossella Barletta, è quella di Silvanus, una divinità agreste della mitologia romana che più tardi il popolo convertì in una specie di folletto.
A volte, egli può volgere la sua attenzione agli animali: di notte striglia, abbevera i cavalli e gli asini nelle stalle, oppure li bastona; può vedere di buon occhio il cavallo e mal vedere l’asino, e allora toglie la biada all’uno e la porta all’altro. Una volta infilatosi in casa dal camino, comincia a compiere una serie di scherzetti anche pesanti: nasconde o cambia la disposizione degli oggetti, rompe piatti, bottiglie, bicchieri, producendo un gran frastuono, facendo sobbalzare nel letto i componenti della famiglia. Guai se vi è un ospite sgradito in casa: lu moniceddhu comincia a premergli il petto fino a toglierli il respiro. Ma se l’oppresso riesce a vincere l’affanno e a catturare il folletto, prendendolo per il ciuffetto e tenendolo fermamente, allora il dispettoso spiritello piange e prega e tutto promette per riavere la libertà.
disegno di Daniele Bianco
  Un altro modo per sottometterlo è impadronirsi del suo berretto rosso, lu cappeddhuzzu. Senza il suo copricapo, il folletto non può vivere e per riaverlo promette di rivelare ai padroni della casa il luogo in cui si trova un’acchiatura. Ciò può essere un tranello e, per ritrovare questo fantomatico tesoro, l’uomo può cacciarsi in grossi guai, sempre che il folletto non sia nel frattempo scappato, dopo aver ricevuto il suo cappeddhuzzu, senza rivelare alcun nascondiglio. Essendo un burlone, se gli si chiede denaro, egli colma la casa di cocci; se invece gli si chiedono cocci, egli dà il denaro. “E’ uno di quei folletti”, dice ancora il Castromediano, “tra il bizzarro e l’impertinente, tra lo stizzoso e lo scherzevole, cattivo con chi lo ostacola o sveli le sue furberie, benefico con chi usa tolleranza”.
Frequentando le stalle, può succedere che si innamori di un’asina o di una cavalla ed allora è tutto premure e dolcezze. Pettina e lucida il crine o la coda della cavalla di cui è innamorato e, a questa soltanto, porta tutta la biada, sottraendola agli altri animali, che diventano sempre più rinsecchiti, per somma disperazione dello stalliere che non riesce a darsi una spiegazione per lo strano fenomeno. La famiglia che abita la casa visitata dal nanetto, a causa della sua presenza ossessiva e fastidiosissima, può anche decidere di cambiare casa; sempre che il terribile folletto non decida di seguire le sue vittime nella nuova abitazione.
Fra i vari dispetti, il peggior male è, senz’altro, quello di non dormire la notte o di dormire male, con un sonno agitato dagli incubi. C’è un altro rimedio per tenerlo lontano: si può apporre ad un arco o alla sommità della porta principale della casa un paio di corna di bue o di montone, di cui il folletto ha una paura tremenda. Come visto, un altro nome con cui viene indicato dalle parti di Lecce è lauru o auru, auricchiu nel suo diminutivo. Secondo Rossella Barletta, l’origine del termine auro deriva da “augurio”, dal latino augurium, derivato da augur, cioè “augure”, intendendo con questo termine quei sacerdoti che, nella religione romana arcaica, divinavano la volontà degli déi attraverso la lettura dei segni celesti o anche attraverso il canto o il volo, oppure ancora le interiora, degli uccelli. Ma il termine “augurio”, nella nostra lingua, è collegato con qualcosa di positivo, un buon auspicio, e questo ci fa pensare alla componente buona, o almeno duale, del carattere di questo folletto-divinità della casa. Maurizio Nocera individua un’altra etimologia per laurieddhu: “Le due parole (Laurieddhu e Monachicco) non sono in contraddizione fra di loro, anzi: Laurieddhu si riferisce al luogo e ha la sua origine etimologica da laura, grotta naturale, spesso usata nel primo millennio d. C. dai monaci bizantini per i loro ritiri, per pregare ed anche per dormire. In Salento le laure basiliane sono molte tuttora visitabili. Monachicco invece significa appunto piccolo monaco, che vive nella laura”.
Ricorda, Nocera, le sue paure di bambino nel piccolo paese agricolo (Tuglie) in cui è nato: “La mia paura era legata soprattutto al buio e ai racconti che si facevano intorno a questo elemento della natura. Una volta andati a letto, ai bambini si raccomandava di mettersi sotto le coperte e di non mettere mai fuori la testa da esse, pena l’arrivo del laurieddhu e gli scherzi di cattivo gusto che egli avrebbe potuto fare. A ciò vanno aggiunte le paure derivanti dai racconti legati all’apparizione di anime morte o comunque di spiriti maligni. Ovviamente da bambino anch’io ho creduto a tutto ciò, e non dimentico il terrore che avevo per questo strano spiritello. Il mio lettino stava affianco a quello di mio fratello più grande, oltre al quale c’era il camino, di giorno acceso, di notte spento. Una volta coricato e messa la testa sotto le coperte, l’immagine della mente più appariscente che mi si presentava era sempre quella della bocca del camino nero, dal quale poteva uscire lo gnomo dispettoso o qualche anima morta. Terrore e tremore fino a che il sonno non vinceva. Da adulti, mio fratello mi ha ricordato che durante quella prima fase di sonno ipnagogico, parlavo molto, a volte gridavo anche, e le parole che scandivo erano sempre rivolte allo gnomo affinché stesse lontano da me. Paure di bambino scaturite dalla narrazione.
Oggi di tutta questa leggenda sono rimasti solo i racconti”. Fatto sta che, nonostante la disponibilità di contributi autorevoli di figure di spicco della cultura salentina, deve ancora allestirsi una bibliografia sugli esseri immaginari salentini, anche in relazione a quelli di altre aree dello spazio mediterraneo.
Per trovare l’origine degli scazzamurrieddhi, secondo noi, si può certamente risalire ai Lares, ai Penates e ai Manes, le divinità domestiche della casa romana. Nella religione romana, i Lares erano protettori di uno spazio fisico ben preciso e circoscritto, la casa appunto. Ad essi si portavano delle offerte, come un grappolo d’uva, una corona di fiori o cibarie. Il Lar Familiaris è invocato da Catone nel De agri cultura e da Plauto nell’Aulularia. I Penati erano, etimologicamente, gli dèi del penus, cioè il vano delle provviste. Anch’essi erano i protettori della casa e dei suoi abitanti, in particolare del pater familias. Vi erano poi i Lemures o Manes, cioè gli spiriti dei morti. La morte, nell’antica Roma, veniva ritenuta contagiosa, funesta, e quindi doveva essere purificata con riti appropriati, come il sacrificio di una scrofa a Cerere. Il lutto durava nove giorni. L’ultimo giorno, si faceva un pasto sulla tomba, poi la pulizia con la scopa e la purificazione della casa e di tutti coloro che avevano assistito alla sepoltura. La famiglia infatti si riteneva contaminata, in qualche modo, dal contatto con la morte. Se ai morti veniva data giusta sepoltura, essi potevano sopravvivere in pace nell’aldil��, altrimenti potevano tornare sulla terra e tormentare i vivi. Questi spettri malefici erano chiamati Larvae e i famigliari venivano da essi tormentati. I Lares ed i Penates non abbandonavano mai la casa e ne proteggevano gli abitanti, mentre i Manes, nella loro forma di Larve, potevano essere avversi. Se dunque affondassero nella mitologia romana le origini dei folletti di casa nostra, ciò fornirebbe anche una spiegazione della loro doppia natura, benevola e malevola.
tavola di Daniele Bianco
  Ringrazio il prof. Antonio Romano per l’ottima consulenza bibliografica.
  BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Saverio La Sorsa, Fiabe e novelle del popolo pugliese, Bari, Casini, 1927.
Idem, Leggende di Puglia, Bari, Levante, 1958.
Giuseppe Gabrieli, Biblioteca del folklore pugliese, Bari, Set,  1931.
Giuseppe Gigli, Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto, ristampa, Bologna, Forni, 1970.
Sigismondo Castromediano, Cavallino: usi costumi e superstizioni, ristampa, Lecce, Capone Editore, 1976.
Gerard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini di Terra d’Otranto, Galatina, Congedo, 1976.
Aa.Vv., Favole e leggende salentine, Bari, Adda Editore, 1977.
Aa.Vv., Salve – miti e leggende popolari, Salve, Edizioni Vantaggio, 1995.
Alice Joisten e Christian Abry, Trois notes sur les fondements du complexe de Primarette. Loups-garous cauchemars, prédations et graisses, in Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n. 30- 1-3, 2002, pp.135-161.
Mario Alinei, «Silvani» latini e «Aquane» ladine: dalla linguistica all’antropologia, in «Mondo ladino», IX  n. 3-4, 1985, pp. 49-78.
Mario Alinei, L’étude historique des êtres imaginaires des Alpes, dans le cadre de la théorie de la continuité,  in Les êtres imaginaires dans les recits des Alpes – Actes de la conférence annuelle sur l’activité scientifique du Centre d’Études Francoprovençales, Saint-Nicolas 16-17 décembre 1995, 103-110.
Gian Luigi Beccaria, I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e parole perdute, Torino, Einaudi, 1995.
Sabina Canobbio, Les croquemitaines du Piémont occidental. Premier inventaire, in Le Monde alpin et  rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n.26-2-4, 1998, pp. 67-80.
Davide Ermacora, Intorno a Salvàns e Pagàns in Friuli: buone vecchie cose o nuove cose buone, in «Atti dell’Accademia San Marco» n. 11, 2009, pp. 477-502.
Gennaro Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, Torino-Palermo C. Clausen, 1894 (Rist. anast. Cerchio, Polla, 1986).
Aa.Vv., Leggende e tradizioni popolari delle Valli Valdesi, a cura di Arturo Genre e Oriana Bert, Torino, Claudiana, 1977.
Alice Joisten e Christian Abry, Les croquemitaines en Dauphiné et Savoie: l’enquête Charles Joisten, in Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n. 26-2-4, 1998, pp. 21-56.
Êtres fantastiques des Alpes, a cura di Alice Joisten e Christian Abry, Paris, Entente, 1995, (Collezione di Estratti da: Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie, n.1-4/1992).
Giovanni Ruffino, Fantastiche abitatrici dello spazio domestico nelle credenze popolari alpine e siciliane, in Les êtres imaginaires dans les recits des Alpes – Actes de la conférence annuelle sur l’activité scientifique du Centre d’Études Francoprovençales, Saint-Nicolas 16-17 décembre 1995, 45-50.
Rossella Barletta, Scazzamurrieddhri i folletti di casa nostra, Fasano, Schena Editore, 2002.
Federico Capone, In Salento Usi, costumi, superstizioni, Lecce, Capone Editore, 2003.
Salento da favola storie dimenticate e luoghi ritrovati, a cura di Roberto Guido, Lecce, I libri di Qui Salento, Guitar Edizioni, 2009.
Maurizio Nocera, Il laurieddhu e il culto della papagna nel Salento, in La magia nel Salento, a cura di Gianfranco Mele e Maurizio Nocera, Lecce, Edizioni “Spagine/Fondo Verri”, 2018, pp. 123-136.
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sguardimora · 4 years ago
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Alcune immagini dalla prova aperta del nuovo progetto di Alessandro Carboni Context che debutterà a Kilowatt festival dove verranno ospitati tre formati differenti del progetto. 
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Si entra diretti nel processo creativo di Context attraversando il confine che separa il foyer dalla sala del teatro dimora che ha ospitato la prova aperta di uno dei formati che compongono il progetto di Alessandro Carboni, il trio coreografico. 
A sinistra un piccolo assaggio delle immagini, dei tratti grafici, dei disegni che definiscono l’immaginario dentro al quale si dischiudono le strutture compositive dell’opera; poi un grande abito bianco e nero che è il costume indossato dalla performer del solo site-specific e infine la macquette che riproduce in miniatura la scena che di li a poco si attualizzerà di nuovo sul palco dell’arboreto: è il teatro in miniatura dove il coreografo e le danzatrici hanno studiato i movimenti di corpi e triangoli scomposti e ricomposti dalle proiezioni di luce. Queste tracce, che andranno poi a definire anche uno dei formati che compongono il progetto, cioè una mostra espositiva, vanno a comporre le tessere di quel mosaico di incontri e geografie, di spaesamenti emotivi e imprevisti necessari che hanno dialogato con la ricerca creativa dell’artista. 
La scena è quasi al buio, le tre figure, incappucciate in un vestito a tunica verde, si muovono su palco quadrato richiamando alla mente le tre figure in Quad di Samuele Beckett e quel minimalismo scenico. Il suono elettronico pervade la sala ma le tre figure proseguono sul loro ritmo cadenzato, ripetuto, rituale. 
Escono e rientrano, di nero vestite e con il volto colorato da una maschera nera che ne toglie definitezza e ne nasconde i tratti. Ad una ad una iniziano a girare le tessere che compongono il quadrato dentro al quale si sviluppa la coreografia: sono triangoli bianchi che mano a mano che vengono girati producono un riflesso che va ad illuminare la scena e le performer nel loro movimento sempre più schematico e ritualizzato. 
il quadro è bianco e le figure iniziano a muoversi su di esso come se stessero tracciando delle misurazioni non solo spaziali ma anche temporali trasportando lo sguardo dello spettatore dentro una dimensione nuova, ritmica, osservando i loro movimenti che sono speculari nel loro disegnare linee longitudinali e diagonali, verticali e orizzontali. 
Le tre figure sembrano costrette in un gioco matematico, o meglio geometrico e l’unica possibilità che hanno per nascondersi, fermarsi, è scomporre la scena tornare a far si che la luce si abbassi di nuovo verso il buio, volgendo la faccia dei triangoli sul nero. Così ad uno a uno i triangoli vengono sollevati e lasciati in verticale sull’angolo in alto a destra del quadrato andando a costituire una sorta di radura colorata da un tramonto di luci dietro alla quale i corpi si vanno a celare. 
Ora tutto è immobile, un giorno è passato e il tempo si è fermato. 
*I passages dalla residenza
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carmenvicinanza · 4 years ago
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Rosa Genoni, la stilista che ha inventato il Made in Italy
https://www.unadonnalgiorno.it/rosa-genoni/
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Rosa Genoni è stata sarta, insegnante, scrittrice, attivista politica e femminista.
È stata una donna capace di abbracciare la modernità. All’alba del XX secolo comprese l’importanza dell’interazione tra arte, scienza e tecnologia. Intuì che questa innovazione avrebbe cambiato il mondo in cui era cresciuta e riuscì a trarne vantaggio traducendola nella creatività che ha contraddistinto tutta la sua vita.
Capì che, come un abito può rivoluzionare la visibilità delle donne nella società, allo stesso modo la moda poteva essere un potente veicolo, capace di modellare e proiettare non solo le identità individuali e collettive, ma anche l’identità di un’intera nazione.
Nacque a Tirano, in provincia di Sondrio, il 16 giugno 1867 da una famiglia di umili origini. Era la primogenita di diciotto fratelli e sorelle. Studiò fino alla terza elementare per poi diventare apprendista sarta, all’età di dieci anni. Desiderosa di migliorarsi, riuscì comunque a prendere la licenza elementare alla scuola serale e successivamente studiò il francese. Avida di conoscenza e dotata di spirito di iniziativa, riuscì a salire passo dopo passo tutti i gradini della professione fino a diventare “maestra”. Mentre si appropriava del mestiere, Rosa Genoni iniziò a interessarsi di politica. Giovanissima, frequentava i primi circoli socialisti.
Il primo evento documentato della sua vita risale al 1884, quando i dirigenti del Partito Operaio Italiano le proposero di andare a Parigi per partecipare a un convegno internazionale sulle condizioni dei lavoratori.
In tempi in cui la moda era egemonia della sartoria francese, Rosa Genoni riuscì a cogliere le potenzialità del settore in Italia proponendo soluzioni di grande modernità per riorganizzare l’industria dell’abbigliamento. All’epoca, nel nostro paese, da poco unito e non organizzato, venivano riprodotti esclusivamente modelli francesi, fedeli riproduzioni di bozzetti rubati o acquistati a caro prezzo nei più famosi atelier parigini.
Dopo varie esperienze lavorative in Francia, nel 1888 si impiegò nella Sartoria Bellotti a Milano.
Nel 1893 iniziò il suo impegno per migliorare le condizioni delle lavoratrici. Entrò a far parte della Lega Promotrice degli Interessi Femminili per abbracciare poi le posizioni di Anna Kuliscioff, con la quale sostenne le battaglie per l’emancipazione delle donne lavoratrici e per la tutela dei minori.
Nello stesso anno partecipò al Congresso Socialista Internazionale di Zurigo.
Nel 1895 venne assunta da una delle più note case di moda milanesi H. Haardt et Fils con varie filiali tra l’Italia e la Svizzera, dove fu a capo di 200 dipendenti.
Per costruire una moda tutta italiana, Rosa Genoni recuperò le eccellenze tessili nostrane.
I riferimenti artistici a cui attingeva erano l’antichità classica e il Rinascimento, che riadattava con spirito contemporaneo, ritenendo la forma a tunica molto consona alle nuove esigenze di vita delle donne.
Per tutta la vita ha lavorato a stretto contatto con la IFI, Industrie Femminili Italiane, nata nel 1903 per promuovere il lavoro femminile.
Per spingere l’Italia verso una moda libera e autonoma scriveva su giornali, come Vita femminile italiana, e intervenne a eventi come il Congresso Nazionale delle Donne Italiane a Roma del 1908. Aveva intuito che la sartoria era strettamente legata all’emancipazione delle donne. Invitava per questo a trovare un accordo statale che riunisse in un unico circuito lavoratrici e fornitori di materiali.
Nel 1903 divenne madre di Fanny, nata dalla sua unione con Alfredo Podreider, avvocato che sposò soltanto nel 1924, anno della morte della madre di lui, che si opponeva strenuamente alla loro unione.
Ottenne un grande successo con il padiglione presentato all’Esposizione Internazionale di Milano del 1906, dove propose abiti di grande pregio, con materiali unicamente italiani.
Pubblicò il libro Per una moda italiana. La sua influenza portò alla fondazione del Comitato per una Moda di Pura Arte Italiana fondato in Lombardia nel 1909, a cui aderirono importanti imprenditori legati al tessile e all’abbigliamento.
Dal 1911 collaborò con la stampa femminile emancipazionista, scrisse molti articoli per La Difesa delle lavoratrici, giornale fondato da Anna Kuliscioff.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu sostenitrice della neutralità promuovendo la pubblicazione del periodico Per la guerra o per la pace?
Dal 1915 al 1922 fu la delegata italiana del Women’s International League for Peace and Freedom.
È stata l’unica delegata italiana alla Conferenza Internazionale delle donne, tenutasi a L’Aia nel 1915, dove lottò per convincere i capi di stato a porre fine al conflitto.
Nel 1925, Rosa Genoni ha pubblicato il manuale Storia della Moda Italiana attraverso i secoli a mezzo dell’immagine. Nel 1928 organizzò un laboratorio di sartoria per le detenute del Carcere di San Vittore sostenuto da suo marito. Seguirono anche un asilo nido e un gabinetto ginecologico, rimasti in funzione grazie alla loro famiglia fino ai bombardamenti del 1943.
Ha insegnato alla scuola professionale femminile della Società Umanitaria di Milano fino al 1931, quando si dimise per non giurare fedeltà al fascismo.
Nel 1932 si trasferì con la famiglia a San Remo, rimase vedova nel 1936.
È stata anche precorritrice delle colture biologiche, si fece coltivare un terreno seguendo la metodica dell’agricoltura biodinamica di Rudolf Steiner.
Nel 1948 scrisse un’appassionata lettera al conte Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU, per la questione palestinese in cui auspicava la pace tra arabi e ebrei.
Negli ultimi anni della sua vita spinse molto per la costruzione di un museo nazionale stabile che potesse conservare gli oggetti delle manifatture italiane.
È morta a Varese il 12 agosto del 1954.
Rosa Genoni è stata una donna importante nella storia del nostro paese, di cui si parla troppo poco. Un’innovatrice che ha guardato oltre l’immaginabile, una pioniera, una visionaria con i piedi ben piantati sulla terra, che ha apportato un enorme contributo all’industria della moda italiana, precorrendo di tanti anni il Made in Italy, alle lotte delle lavoratrici e al legame tra lavoro e emancipazione femminile.
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in-marocco-con-laura · 4 years ago
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Gli abiti tradizionali Il Marocco è un Paese ricco di storia e di tradizione, anche se i giovani preferiscono indossare abiti molto simili a quelli dettati dalla moda occidentale, durante le feste più importanti, come ad esempio il fidanzamento ed il matrimonio, preferiscono quelli tradizionali. Nella grande varietà di abiti in stile marocchino i due più importanti sono: Djellaba ed il Caftano, il primo indossato sia dagli uomini che dalle donne, consiste in un lungo ed ampio abito con cappuccio, spesso indossato sopra a degli abiti normali, che copre interamente il corpo, lasciando scoperta la testa, le mani ed i piedi. Se indossato nelle cerimonie importanti, viene abbinato a delle babbucce in cuoio di colore giallo ed un fez rosso dagli uomini, invece a bellissime babbucce colorate per le donne . Il Kaftan è il tradizionale abito da donna, un lungo vestito composto da due abiti che vanno sovrapposti, spesso sono modelli unici, realizzati su misura e seguendo un modello personale, a completare la mise si usano le Mdamma, ovvero delle particolari cinture, che possono essere in semplice cuoio o in metallo prezioso come l’oro. Questo vestito è simbolo di eleganza e può essere realizzato in vari tessuti dal cotone alla pregiata seta a seconda del tipo di evento al quale si deve partecipare. Un altro abito molto amato dagli uomini marocchini è il Kamis o Qamis, una specie di camicione o di tunica, con il collo a listino, di solito viene indossato nei giorni di festa o il venerdì per la preghiera, abbinato ad copricapo lavorato all’uncinetto. Per le stoffe si va dal fresco cotone al delicato raso lucido. I vestiti berberi invece sono Tuniche ricamate d’oro, casacche decorate con paillette, pantaloni con merletti, tessuti drappeggiati … tutti questi abiti tradizionali femminili sono uno più straordinario dell’altro. Imprezositi con gioielli di argento e corallo. Questi Mille accessori testimoniano la destrezza manuale degli artigiani I colori  sono ricavati da polveri naturali, erbe e bacche, come ad esempio polvere di henné, il fico, il melograno e le foglie di tè che crescono nelle montagne dell’Atlas #marrakech #marocco #marrakech #inmaroccoconlaura https://www.instagram.com/p/CNUbdx3nI6x/?igshid=it1m5h389uxh
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iphisesque · 4 years ago
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BRO necessito del tuo aiuto. condividendo, anche se più nascostamente (gioie e dolori) la tua hyperfixation per federico zoccola ii di svevia, sono m e s i che sto cercando delle reference o giù di lì su come si vestiva la nobiltà e/o royalty dell'epoca (immagino un misto di stile bizantino e boh?? altomedioevale????? un mistero) per poter finalmente disegnare per bene bestia bizantina e company. conosci per caso qualche fonte a cui potrei indirizzarmi? grazie super mega in anticipo!!!!!!
Ehilà, felice di aiutarti! Allora, la faccenda del vestiario è abbastanza complessa, sia perché parliamo di un periodo a noi lontanissimo e di cui non rimangono molte fonti visive di facile comprensione, sia perché le variazioni nel guardaroba erano moltissime, non solo come è normale fra etnia ed etnia ma anche solamente fra regione e regione. Possiamo immaginare che quella di Federico II fosse una corte influenzata dalla moda normanna e in parte da quella germanica, con le dovute differenze di stoffe e ornamenti -- avrebbe poco senso indossare un abito di lana o un mantello bordato di pelliccia sotto l'estate palermitana -- ma anche nell'ambito della corte le variazioni culturali erano tante, per cui i consiglieri arabi avrebbero indossato le loro tuniche e turbanti, le donne dell'harem i loro pantaloni e il velo, i servitori greci i loro abiti di foggia bizantina e così via, senza molta cura per le mode centroeuropee.
Detto questo, e posto che molte delle informazioni più specifiche che abbiamo sono pura speculazione, i capi di abbigliamento che tutti o quasi gli uomini europei dal più ricco al più povero avrebbero indossato erano questi, con le ovvie differenze in materiali, colori e ornamenti fra le varie classi sociali: una camicia, quasi sempre in lino o cotone per assorbire il sudore e porre uno strato protettivo fra corpo e vestiti (ricordiamo che le tinte dell’epoca stingevano); una o più tuniche, spesso colorate, lunghe circa fino al ginocchio e con molte possibili variazioni per le stoffe (un nobile siciliano d’estate non avrebbe indossato la stessa tunica di un contadino tedesco d’inverno); delle brache, essenzialmente dei pantaloni che potevano essere lunghi fino al ginocchio, alle caviglie o addirittura formare un tutt’uno con le calze come una moderna calzamaglia; delle calze e scarpe, ovviamente; e a seconda dell’occasione mantelli, cappelli, cinture e accessori vari ed eventuali. Ti lascio questo post per una reference visiva, anche se è più orientato al fantasy e include elementi post-medievali le immagini sono abbastanza esplicative, e se mastichi l’inglese ti consiglio di guardare i video sulla moda maschile medievale di Morgan Donner, che mostrano bene e in un'ottica un attimino più storica le varie parti di un abito maschile.
Riguardo alla moda normanna del Sud Italia nello specifico, le fonti sono ben poche, specialmente tessili: possiamo presumere che fossero in uso tuniche riccamente ricamate, all’uso normanno, e in seta, ampiamente prodotta in Sicilia, e che vi fossero alcune influenze arabe e bizantine, ma le informazioni specifiche disponibili su internet non sono molte. Ti segnalo questi link (x) (x) (x) (x) anche se alcuni hanno poche fonti, quindi ti consiglio di prenderli con un grano di sale; per il resto, ciò che posso consigliarti è di studiarti immagini di mosaici e miniature dell’epoca, che nel caso di Federico in particolare non lasciano a desiderare e possono aiutarti a farti un’idea di cosa egli indossasse.
Spero di esserti stata d’aiuto! Ovviamente non sono una storica della moda, né in alcun modo un’esperta di moda medievale maschile, ma credo/spero che queste informazioni di base ti possano servire. Buona fortuna con la tua impresa, se finisci per disegnare Federico taggami nel post che non vedo l’ora di vederlo!
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katrinelillianwarren · 9 years ago
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You are my beginning
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02.05.2072 Siamo in Scozia. La cerimonia di oggi si svolge in uno dei più belli castelli del mondo. Evidentemente i novelli sposi volevano fare le cose in piccolo. La location di oggi è raggiungibile attraverso il biglietto d’ invito che includeva un’ immagine del luogo che in primo piano portava il castello e poi la visuale si spostava ad inquadrare l’ambiente circostante. Anche l’indirizzo stava inserito sul biglietto in modo che fosse raggiungibile anche con mezzi all’ infuori della smaterializzazione. Appena arrivati bisognerà arrivare al portone d’ingresso su cui stanno legati con il proprio filo tre acchiappa-sogni. Questi sono stati incantati per essere delle passa-porta e solo tramite questi è possibile raggiungere il luogo della cerimonia. In realtà gli acchiappa-sogni sono sempre stati lì, solo che, vai a dirlo ai babbani che vengono in visita ogni giorno alla struttura. Per il giorno di chiusura la struttura è stata offerta alla coppia in questione che ne ha fatto richiesta, come chiunque voglia sposarsi in un castello. Toccato l’acchiappa-sogni l’effetto è il solito solo che appena arrivati alla meta, gli invitati verranno accolti da una pioggia di petali di rosa e da degli uccellini di colore blu che metteranno al collo una lunga collana di fiori agli uomini e una coroncina, anche questa di fiori, in testa alle donne. Gli uccellini sono castati da Adam, nessun animale è stato torturato per tale cerimonia, che sia chiaro solo lo sposo. Il luogo non sta poi così lontano dal castello. Appena arrivati un corridoio di ciottoli porta ad una piccola piazza in pietra con una grande fontana, sullo sfondo il castello. La fontana presenta una vasca rotonda e al centro si erge la statua di due amanti che uniscono la fronte e il naso mentre stanno dritti a fissarsi negli occhi e a tenersi le mani. Intorno è tutto zampilli e pesci rossi. Davanti alla fontana un arco di colore bianco su cui è cresciuta e si è intrecciata una pianta o forse due, chi può capirlo ormai, di Wisteria nutt conosciuta come Glicine. I suoi fiori a grappolo dal colore già intuibile sembrano grappoli d’uva e ricadono ai lati e sopra le teste di dove dovranno stare il ministrante e il futuri coniugi. Davanti all’arco un piccolo spazio di due metri circa, sarebbe la piazzetta e subito il corridoio. Ai lati di questo, dei sedili cubici di colore bianco e soffici disposti in numero di sei su un numero di file adatto per raggiungere il numero degli invitati, giusto per non far restare nessuno in piedi. Se corridoio e piazza sono bianchi, tutto il resto è verde, perché prato inglese. Delle lanterne fatte da rametti di legno stanno sospese sopra il corridoio, sopra le teste degli invitati e vicino la fontana a fare luce nella notte con le loro fiammelle. Gli uccellini continueranno a volteggiare e ad inseguirsi, anche quando non avranno nessuno a cui mettere le corone e le ghirlande di fiori.
Iniziano ad arrivare gli invitati Christine Berry si è messa a tiro ed ha truccato più del normale il viso perché non è carino avere le occhiaie belle in mostra nelle foto dei matrimoni altrui quindi tanto copri-occhiaie e tanto fard per rendere meno pallida la pelle reduce dal periodo femminile del mese. Ha deciso di indossare una tuta intera di un bel color borgogna, priva di spalline, con un frou-frou che scende verticalmente in mezzo alla pianura padana che ha al posto delle tette, per poi scendere retto ed aderente alle lunghe gambe a stecca di biliardo ma sode grazie ai tanti anni di sport. Visto che il vestito è così semplice si è concessa dei sandali gioiello impreziositi con pietre e punti luce, argentati, niente tacco perché con quelli qui si cade, semplici zeppe non troppo alte però altrimenti si rischia di superare il fidanzato al quale è arpionato per il braccio, naturalmente. Fra i cimeli non possono mancare né il bracciale empatico né l`anellino bronzeo all`anulare sinistro ma neanche due punti luce ai lobi, visto che ha i ricci rossi raccolti in uno chignon elegante ed adatto all`occasione. Sebastian Waleystock Indossa uno smoking blu scuro, con scarpe blu scure lucide e leggermente a punta, abbinate, pantaloni del medesimo colore ed un bottoncino argentato a chiudere la giacca. Al di sotto vi è una camicia bianca con la punta del colletto, nella parte di dietro, blu - più chiaro di giacca e pantaloni - ed una cravatta che scende, rigorosa, semplice e blu, lungo l`interno della giacca e lungo la camicia.I capelli di Hegla McDunst sono raccolti in un`acconciatura che con molte probabilità avrà arrangiato lei stessa con qualche colpo di bacchetta, mentre l`abito da strega che indossa, se pur da cerimonia, risulta essere molto semplice: una veste lunga color prugna smanicata, stretta in vita, ma che per il resto cade morbida sul corpo dell`auror. Niente scollature eccessive, né spacchi vorticosi, ma anzi, a coprire in ultimo le spalle c`è una sorta di stola semi trasparente in tinta con l`abito. Presa a braccetto col marito, non manca di starsene vicino ai colleghi auror e ministeriali che a quanto pare erano presenti a Skye. Ilary Wilson stretta nel suo abito di chiffon color fragola composto da una gonna semirigida lunga fin sotto il ginocchio, un corpetto arricciato con una chiusura di nastrini laterali, dalle maniche corte e dal delizioso scollo a cuore, le cui estremità sono legate dietro al collo e le ricadono sulle spalle e lungo la schiena in leggeri svolazzii di tessuto,  le ballerine blu, rialzate da una zeppa per contrastare la sua nanerottolosità, completano l`outifit assieme ad una pochette portata a tracolla a forma di rosa blu, così come le unghie laccate di smalto e le cuciture dell`abito che indossa. I capelli biondi svolazzano alla brezza primaverile, anche se pungente, della sera scozzese e sono intrecciati dietro la nuca mentre il resto degli stessi le ricade sulle spalle in leggere onde mosse ottenute con la giusta dose di lozione arricciapelli, questa volta.
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Katrine nel suo abito bianco e principesco, un vestito a fascia che tiene alzato quel ben di Merlino che mamma le ha donato, e ricade lungo i fianchi per poi aprirsi largo sotto di lei con delle piccole balze bianche; la parte del corpetto ha dei ricami argentati a fiori che si attorcigliano dal seno fino al fianco sinistro finisce di preparasi. Arielle e Melanie da damigelle indossano un abito lungo di colore lilla e senza spalline. Il vestito è composto da una fascia di tessuto lavorato e a pieghe in vita, per poi culminare in una lunga gonna che ricopre in modo morbido le curve. Ai piedi delle decoltè abbinate all`abito , i capelli di Arielle sono raccolti in una sorta di chignon con delle perle incastonate, da cui ricadono alcune ciocche arricciate, mentre quelli di Melanie sono lasciati sciolti mentre ricadono morbidamente sulla spalla destra, intorno al capo una treccia di capelli che fa da cerchietto la aspettano appena fuori dal castello.Zola indossa un vestitino bianco con una fascia lilla sotto al petto corre su e giù per le scale, il padre aspetta alla fine delle scale in uno smoking nero mentre la nonna nel suo tailleur verde scuro, i capelli raccolti in uno chignon e lo sguardo serio fissa la nipote davanti allo specchio.
E: « Sei ancora in tempo.. »  
Raggiunto il giardino Zola apre le danze spargendo petali di fiori davanti al trenino di fanciulle, Melanie porta le fedi su un cuscinetto bianco, mentre Arielle da damigella d’onore tiene i fiori in mano, Katrine dietro con il padre sottobraccio.
M: « oooh, ma che bel culo ha Adam, non l`avevo mai notato »
Adam Alla sinistra dell’arco indossa un vestito di seta simile ad una tunica, solo che al petto sta una scollatura a V a mostrare il petto e parte dei pettorali. In vita una cintura color oro e come ad abbracciare il vestito, mille rami di Edera si muovono, crescono, si spostano attorno al suo corpo. I ricci sono stati gellati indietro e in testa una corona fatta con rametti intrecciati e bacche rosse: ricorda molto le corna di un cervo, il re dei boschi. Non appena la vede arrivare dà un cenno del mento muovendolo verso l’alto, come dire “ Ehi schianto!”; e le fa un occhiolino.
Camminano tutti lenti, Zola saltella spargendo petali per poi finire col mettersi alla sinistra dell’altare nella parte della sposa, Arielle davanti a lei mentre Melanie con le fedi si porta a destra, vicino al padre di Adam (l’elefante e la bambina).Il padre di Katrine la bacia sulla fronte lasciandole la mano e porgendola ad Adam che saluta il padre e porge lei la mano;  quando la mano di lei prende la sua, lui le fa il baciamano e la accompagna sotto l'arco. 
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La cerimonia ha inizio e dopo l'ordinaria celebrazione, è il momento delle promesse. Il ministrante tira fuori la sua bacchetta che si muove a causa del tremolio alla mano del nonnetto. Adam si volta verso Katrine e porge la sua mano. Quando entrambi avranno congiunto le mani ecco apparire un nastro di luce che avvolge il palmo di Adam e Katrine e poi si congiunge in un nodo arrivato alle dita. Un gruppo di uccellini volano in fretta a rubare dalla corona di Adam una delle bacche rosse. Trattiene una risata, perché si accorge del furto ma, resta immobile dinanzi a Katrine con un sorriso ebete. I novelli sposi insieme diranno:
« Sei sangue del mio sangue, e ossa delle mie ossa. Ti dono il mio corpo, affinché possiamo essere una cosa sola. Ti dono il mio spirito, finché le nostre vite non avranno fine.»
Sciolto il nastro Melanie può portare le fedi, ed eccola trotterellante arrivare fino ad Adam e poi a Katrine in modo che entrambi possano prenderne una per poterle scambiare ed è in quel momento, proprio nel momento in cui Katrine si abbassa a prendere la fede che Melanie esce con la sua frase da caduta di stile 
M: « palpeggiagli le chiappotte da parte mia »
per poi tornarsene a posto con una non-chalance da fare quasi schifo. Zola tira il vestito di Arielle che fa – m’ama non m’ama con i fiori, il padre di Katrine piange e la nonna fissa Adam con il giusto mix di odio e stima. « Se gli sposi vogliono dire qualcosa.. » aggiunge il ministrante Katrine annuisce e dunque stringendo la mano di Adam fa preparare i fazzoletti a tutti 
« Oggi è il giorno in cui la mia vita comincia, fino a ieri sono stata solo io, una ragazzina troppo arrabbiata per poter assaporare davvero la vita, ma da oggi, da oggi divento tua moglie, la tua compagna, e parte della tua vita come tu della mia, oggi qui, davanti a coloro che sono stati il nostro passato, il nostro presente e che saranno il nostro futuro, prometto di amarti, onorarti e rispettarti ogni giorno della mia vita, prometto di non deluderti e di proteggerti con la mia stessa vita se necessario, oggi davanti alle persone che amiamo a alle quali dobbiamo gran parte di ciò che siamo ti prometto che darò il massimo ogni giorno. Il terzo anno al castello ti vidi in biblioteca e decisi che saresti stato mio, e solo mio…ed oggi tra intoppi,promesse,bugie e litigi sei qui davanti a me, sei qui e sei tutto quello di cui ho bisogno per iniziare a vivere di nuovo. Ti Amo Adam Wilson e sono fiera di essere tua moglie »   
Attesa l’eventuale risposta di Adam il nonnetto andrebbe dunque a pronunciare le fatidiche parole « E allora se nessuno qui, ha qualcosa in contrario.. io vi dichiaro marito e moglie.. il marito può baciare la sposa » e visto che NESSUNO interrompe la cerimonia Katrine ed Adam andrebbero dunque a sbaciucchiarsi davanti al mondo e agli invitati, per poi con non-chalance Katrine allungare una manina in palpata delle chiappotte di Adam per poi tirare su il pollice verso Melanie.
Una volta finita la cerimonia, magicamente il giardino cambia aspetto, facendo comparire un gazebo bianco, con delle lanterne  fluttuanti ma distanti abbastanza da evitare incendio, della musica prende vita e alcuni camerieri iniziano a portare champagne, alcolici vari e insomma tutto il necessario per diventare imbarazzanti e ubriachi, uno schermo per il karaoke, uno sfondo per le foto, sedie, cibo, fiori e uccellini. Katrine viene addobbata da una coroncina di fiori da degli uccellini mandati da Adam, per poi richiamare tutte le fanciulle « LANCIO I FIORIIIII » andrebbe a starnazzare per poi incamminarsi in un posto un po’ più largo dopo aver dato un bacio ad Adam ed essersi dunque congedata; di spalle alle ragazze « uno due tre » una spinta con le gambe e viaaaa. Si volta in cerca del bouquet che è finisce addosso a Christine, ch'ella lo voglia o no.
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perfettamentechic · 7 years ago
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Cristobal Balenciaga Eizaguirre, nato nel 1895 a Getaria (Spagna) da madre sarta e padre pescatore, ereditò proprio dalla madre la passione per la sartoria, con cui collabora durante l’infanzia, fino all’adolescenza, quando incontra la marchesa Blanca Carrillo de Albornoz y Elio di Casa Torres, importante nobildonna, che diventa sua cliente e protettrice. Grazie a lei, riesce a conferire titoli di studio a Madrid. Di fatto, Balenciaga fu uno dei pochi stilisti a disegnare, tagliare e cucire da solo le proprie creazioni. A soli 22 anni apre la sua prima boutique a San Sebastián nel 1919, a cui ne seguono altre a Madrid e Barcellona. La guerra civile spagnola, purtroppo, lo costringe a chiu dere le sue boutique, e a trasferirsi a Parigi, dove apre la propria casa di moda nel 1937 su Avenue George V. La sua prima sfilata di moda è stata caratterizzata da un design fortemente influenzato dal Rinascimento spagnolo. Il successo di Balenciaga a Parigi fu quasi immediato. Nel giro di due anni, la stampa francese lo ha lodato come un rivoluzionario, e i suoi progetti erano molto ricercati. Durante questo periodo, è stato notato per il suo “cappotto quadrato”, con le maniche tagliate in un unico pezzo con il giogo, e per i suoi disegni con pizzo nero (o nero e marrone) su tessuto rosa brillante. Gli anni del dopoguerra appare evidente l’inventiva del designer molto originale. Il suo designer divenne più lineare ed elegante, divergendo nella forma a clessidra resa popolare da ” New Look ” di Christian Dior.
Maestro del taglio e della precisione, Cristóbal Balenciaga fu capace di creare sul corpo umano geometrie morbide ed eleganti; riuscendo a far apprezzare, alla Parigi degli anni Cinquanta, elementi caratteristici del suo paese come il pizzo, il bolero e il contrasto tra rosso e nero. Intuizione e innovazione, unite ad una maniacale precisione sono alla base di tutte le sue creazioni: camicie senza colletto, scollature piatte, abiti a palloncino, a tunica, a sacco e scamiciati. La  fluidità delle sue sagome gli ha permesso di manipolare la relazione tra i suoi vestiti e il corpo delle donne.
Nel 1947 Balenciaga lancia il suo primo profumo, “Le Dix”, a richiamo del numero civico della boutique.
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Gli anni 50 sono caratterizzati dal New look di Christian Dior, Balenciaga, però, decide di liberare la donna. A differenza di quest’ultimo, infatti, il couturier spagnolo necessitava del contatto fisico con l’abito e desiderava conferire libertà al corpo femminile eliminando stecche, imbottiture, corpetti rigidi, discostandosi dunque dalle tecniche sartoriali del XIX secolo. Conosceva molto bene i tessuti e le loro potenzialità, egli traeva ispirazione dalle stoffe tanto che inventò un tessuto perfetto per creare volumi e adatto per gli abiti da sera: il Gazar una specie di raffia di seta, che permetteva di dar nuove forme, grazie alla sua particolare struttura rigida. Oltre al Gazar utilizzò un altro materiale innovativo, ovvero il Cracknyl, un tessuto plastificato, scintillante, impermeabile, ma sempre duttile con cui Balenciaga disegna soprabiti da città, pantaloni da campagna, completi da sci e costumi da bagno. . Coco Chanel disse di lui: “Solo Balenciaga è un vero couturier. Solo lui è in grado di tagliare il tessuto, assemblarlo e cucirlo con le sue mani. Gli altri sono semplici disegnatori”. Seguendo questi principi crea nel 1951 il Tailleur semi aderente, nel 1953 la giacca a palloncino e nel 1955 l’abito a tunica.
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Manteau du soir “papillon”, faille vert d’eau. Vêtements griffés Balenciaga. début années 60. Galliera, musée de la Mode de la Ville de Paris.
Nel 1951, ha completamente trasformato la silhouette, allargando le spalle e rimuovendo la vita. Nel 1955, disegnò l’abito tunica, che più tardi si sviluppò nell’abito chemise del 1958. Altri contributi nel dopoguerra comprendevano la giacca a palloncino sferica (1953), l’abito da bambolina a vita alta (1957), il mantello di bozzolo (1957), la gonna a palloncino (1957) e il vestito a sacco (1957).  Nel 1959, il suo lavoro culminò nella linea Empire, con abiti a vita alta e cappotti tagliati come kimono. La sua manipolazione della vita, in particolare, ha contribuito a “what is considered to be his most important contribution to the world of fashion: a new silhouette for women.“.
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RISDM 1997-83
Couturier ufficiale della casa reale spagnola, apprezzato dall’aristocrazia europea e dalle donne più belle e potenti dell’epoca, Balenciaga realizzò abiti per una ristretta élite di persone in grado di indossare e rendere omaggio alla sua arte. Le sue creazioni non erano appariscenti o spettacolari, al contrario erano espressione di un’eleganza interiorizzata, raffinata e sobria.
Negli anni ’60 Balenciaga era un innovatore nell’uso dei tessuti: tendeva verso tessuti pesanti, ricami intricati e materiali audaci. I marchi di fabbrica comprendevano “colletti che si distaccavano dalla clavicola per dare un aspetto da cigno” e accorciando le maniche a “bracelet”. Le sue spesso scarse creazioni scultoree – tra cui abiti a forma di imbuto di rigida satin duchessa indossati per acclamare clienti come Pauline de Rothschild, Bunny Mellon, Marella Agnelli, Hope Portocarrero, Gloria Guinness e Mona von Bismarck – erano considerati capolavori di haute couture negli anni ’50 e ’60.
Jackie Kennedy notoriamente sconvolse John F. Kennedy per aver acquistato le costose creazioni di Balenciaga mentre era presidente perché temeva che il pubblico americano potesse pensare che gli acquisti fossero troppo generosi. I suoi conti di haute couture furono alla fine pagati discretamente da suo suocero, Joseph Kennedy. 
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Disegna, nel 1960, per la Regina Fabiola del Belgio l’abito da sposa, che gli conferisce fama nel mondo aristocratico europeo.
La prima collezione di Balenciaga, trae ispirazione dal rinascimento spagnolo, a cui segue la collezione “Infanta”, ispirata agli abiti ritratti da Diego Velasquez nei dipinti della Principessa di Spagna, e nella collezione “Jacket of light”, in cui ritroviamo i bolero che indossavano i torero spagnoli.
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Dopo la nobiltà europea, nella Maison Balenciaga arrivò Hollywood. Elizabeth Taylor, Audrey Hepburn, Grace Kelly, Marlene Dietrich, Brigitte Bardot erano tutte grandi appassionate di Cristobal.
Cristobar veste l’attrice Audrey Hepburn nel celebre film “A colazione da Tiffany“. E per altri celebri film come: “Anastasia” con Ingrid Bergman, spiccano soprattutto un completo abito e mantellina, indossato sempre dall’attrice, e un vero abito principesco, di satin.
Era un uomo paziente, onesto, preciso, ossessionato dal raggiungimento della perfezione.  Cristobal seguiva personalmente ogni tappa della creazione di ogni abito. Negli anni Sessanta, con le rivolte sociali e l’ingresso sempre crescente delle donne nel mondo del lavoro, cambiarono le esigenze. Proprio in quegli anni si sviluppò il prêt-à-porter: i capi venivano confezionati in taglie predefinite e venduti ai clienti, spesso nei grandi magazzini. La serialità non rientrava nella concezione di Balenciaga, non trovava onesto rinunciare al diretto contatto con il cliente, non si potevano realizzare quei particolari dettagli che facevano sì che un abito fosse perfetto per un particolare corpo. Nel 1968 all’apice della fama, prevedendo un inevitabile declino a seguito dei cambiamenti che stavano prendendo forma, preferì ritirarsi dalle scene, pur rimanendo di grande ispirazione per successivi stilisti di fama internazionale come Oscar de la Renta, André Courrèges, Emanuel Ungaro, e Hubert de Givenchy, e le passerelle continuano a mostrare le sue proposte. Balenciaga interruppe momentaneamente la pensione e tornò al lavoro nel 1972, per creare l’abito da sposa di María del Carmen Martínez-Bordiú, aristocratica e socialite spagnola. L’abito da sposa del 1972 era fatto di metri e metri di fili d’argento e oltre 10 mila perle. Dopo aver finito, non ancora soddisfatto da come vestiva, Cristobal rifece tutto, appena due settimane prima del giorno fatidico delle nozze di Marìa. Un perfezionista leggendario. Morì due settimane dopo aver consegnato l’abito alla sposa e la casa di moda rimase dormiente fino al 1986.
Cristóbal Balenciaga rimarrà sempre nella storia della moda come simbolo indiscusso di stile ed eleganza, come disse Christian Dior: “Il couturier dei couturier, il maestro di tutti noi”. Il 10 giugno 2011 è stato inaugurato dalla regina Sofia a Getaria, in Spagna, il museo a lui dedicato.
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“Un maestro indimenticabile“. Nel 1986, Jacques Bogart acquisì i diritti su Balenciaga e aprì una nuova linea di prêt- à -porter , “Le Dix“. La prima collezione fu disegnata da Michel Goma nell’ottobre del 1987, che rimase alla maison per i successivi cinque anni con recensioni contrastanti. Nel 1992, Goma viene sostituito dal designer olandese Josephus Thimister. La Maison viene resuscitata da Thimister, direttore artistico del prêt-à-porter e accessori da donna di lusso per oltre mezzo decennio in uno stato d’élite e di alta moda. Si è detto che a Balenciaga “ha contribuito attraverso il suo stile minimalista e le sue grandi capacità nel ridurre la modernizzazione dell’immagine della casa“. I tempi d’oro tornano però molto tempo dopo, nel 1997, quando alla guida viene chiamato Nicolas Ghesquière, già attivo nella maison come progettista che non a caso si rifà molto agli archivi del grande Cristobal.
  Nicolas Ghesquière creò la prima it bag tre anni dopo il suo arrivo e fece entrare la Maison nel mondo contemporaneo. La Motorcycle Lariat nacque con due modelli diversi, che però non entrarono in produzione. Ghesquière convince però i proprietari a produrne una limited edition di soli 25 esemplari, da distribuire a poche, fortunate celebrities. Kate Moss fu una di loro. La borsa esplode, desideratissima, e ancora oggi è in produzione.
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 Nicolas Ghesquière realizza un abito per Jennifer Connelly per la cerimonia degli Oscar del 2002. L’attrice vince come miglior attrice non protagonista, e sale sul palco. Tra il prima e il dopo dei fotografi, l’abito è sotto gli occhi di tutti, e Balenciaga torna sulla bocca di tutti, come sinonimo di sogno e perfezione.
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Balenciaga è ora di proprietà di Kering SA (gruppo internazionale di lusso con sede a Parigi – possiede vari marchi di beni di lusso, tra cui: Gucci , Yves Saint Laurent, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron e Brioni, oltre a Puma e Volcom nel suo portfolio Sport & Lifestyle), precedentemente noto come PPR, e la linea abbigliamento uomo e donna è diretto da Nicolas Ghesquière. Ghesquière, come Balenciaga, è un designer autodidatta, e apprendista di Jean-Paul Gaultier e Agnes B. L’interpretazione fresca e alla moda dei classici di Balenciaga, come la giacca semi corta e il vestito a sacco, attirò l’attenzione dei media e di celebrità come Madonna e Sinéad O’Connor.
La House di Balenciaga ha disegnato gli abiti indossati da Jennifer Connelly e Nicole Kidman agli Academy Awards del 2006, e l’abito da sposa Kidman ha indossato quando ha sposato Keith Urban.  Kylie Minogue indossava anche un abito Balenciaga per i suoi video ” Slow ” e ” Red Blooded Woman ” e nel tour di concerti.
Nella collezione della primavera estate 2007, sfilano dei leggings che fanno delle gambe da robot. 100 mila dollari il costo, ma l’effetto è epico! Ovviamente, i leggings conquistano tutti. Beyoncé li indossa ai BET Awards del 2007, e li lancia nell’empireo dei capi più desiderabili, e belli da guardare, della moda contemporanea.
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Sempre Ghesquière, novello Balenciaga, manda in passerella per la collezione autunno inverno 2007 un blazer fantastico. Slim fit, dal mood preppy e con collo di pelliccia. Si crea immediatamente una lista d’attesa lunghissima per averlo. Sembrano davvero tornati i tempi d’oro di Cristobal.
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Ghesquière disegna nel 2010 gli stivaletti Ceinture (cintura). Le stringhe richiamano proprio l’aspetto di una cintura, e anche se non producono l’exploit della it bag, nel lungo termine diventano richiestissimi. Uno di quegli accessori d’affezione che compaiono ancora oggi ai piedi di modelle e fashion blogger.
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Nel 2012, poco prima di lasciare la Maison, Ghesquière fa un’operazione nostalgia, in omaggio al grande Cristobal. Seleziona dall’archivio 12 bozzetti di abiti e 6 di gioielli, e li riporta in vita ricreandoli nella linea Balenciaga Edition. Ghesquière usa gli stessi tessuti scelti dal countries  a suo tempo, presentando un risultato straordinario. Nel 2013 Cate Blanchett indossa uno di quei 12 abiti, creato da Cristobal nel 1967.
Nel 2012 Ghesquière lascia la Maison, dopo averla praticamente traghettata nel contemporaneo. Subentra Alexander Wang, prodigio della moda americana. Anche Wang pesca generosamente dagli archivi della Maison, fonte inesauribile di ispirazione e creazione. Alexander Wang è uno stilista statunitense di origini taiwanesi. Wang lancia la sua prima linea di abbigliamento donna nel 2007 e nel 2008 viene nominato dal Council of Fashion Designers of America per un riconoscimento legato alla moda femminile, e vince un riconoscimento di 200,000 dollari, oltre che il Fashion Fund Award winner, premio indetto dalla rivista Vogue. Wang è principalmente noto per lo stile dei suoi abiti femminili, sottili ed in qualche modo mascolini. Molto caratteristico nel suo stile è anche l’utilizzo del cashmere, del cotone e del lino abbinato a tagli basici. Dopo aver disegnato la sua collezione autunno 2008, utilizzando principalmente il colore nero, ha prodotto per la stagione successiva una collezione a base di colori sgargianti come l’arancione, il rosa, e l’acquamarina al proclamo di, “Loro volevano colore, loro avranno colore!“. Oltre ai suoi marchi, è stato responsabile del brand Balenciaga dal 2013 sino alla collezione primavera/estate 2016. Nel 2014 sigla un accordo con H&M per la collezione autunno inverno del colosso low cost. Wang lascia Balenciaga nel 2015. Arriva un altro enfant terrible, ma di altra scuola. Il georgiano Demna Gvasalia è provocatorio e ultra innovativo, eppure l’anima di Balenciaga resta. Classe 1981, di origine georgiana e di nazionalità tedesca, ha iniziato il percorso del fashion designer alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, accademia belga che vanta tra i suoi alunni gente come Dries Van Noten e Ann Demeulemeester, e dove Gvasalia si diploma con importanti riconoscimenti alla sua creatività.
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La sua prima collezione arriva nel 2007 con il debutto alla fashion week di Tokyo. A soli due anni di distanza, nel 2009, il giovante talento approda alla Maison Martin Margiela, dove rimarrà fino al 2013 per dirigere il womenswear. È poi il turno di Louis Vuitton che lo vuole nel ruolo di Senior Designer per le collezioni femminili di prêt-à–porter. E a un certo punto lo stilista si lancia in un’avventura dal carattere indipendente come Vetements, brand al quale dà vita insieme ad altri sette creativi inizialmente rimasti anonimi. Emerge però ben presto la figura di Gvasalia, che guida la creatività della nuova label portandola sulle passerelle parigine nel 2014. Nel frattempo il fratello Guram ne cura il business dedicandosi all’aspetto commerciale.
Oggi, il marchio è più famoso per la sua linea di borse di ispirazione motociclistica, in particolare per il popolare “Lariat“. Balenciaga ha otto boutique esclusive negli Stati Uniti. Un negozio Balenciaga si trova sulla 22nd St a New York City, New York. Un secondo negozio si trova a Los Angeles, in California, in Melrose Avenue. Di recente, un terzo negozio ha aperto presso la South Coast Plaza, a Costa Mesa, in California. Questo negozio misura 110m2 e include espositori a forma di bara. Le boutique di New York e Los Angeles includono sia il prêt-à-porter maschile che femminile, mentre la boutique South Coast Plaza vi sono solo abiti femminili. Un quarto, situato a Las Vegas all’interno del Caesars Palace, espone solo accessori. Una posizione aggiuntiva sul Las Vegas Strip, in Crystals at CityCenter, vende accessori e prêt-à-porter femminile. La boutique dell’Ala Moana Center di Honolulu offre prêt- à -porter e accessori per uomo e donna. C’è un negozio nei negozi di Bal Harbour a Bal Harbour, in Florida. Un ottavo negozio aprirà nella primavera 2014 a Dallas presso l’ Highland Park Village per diventare la prima boutique del Texas. La boutique di Highland Park Village si apre accanto a Christian Dior. Tutte le boutique hanno uno stile vivace, con pannelli bianchi, marmo e vetro, nonché sedili in pelle nera e tappeti verde chiaro, nero e blu scuro o piastrelle bianche, sottolineando l’inclinazione del marchio verso le avanguardie e il dramma della moda.
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Aggiornato al 24 maggio 2018
Autori: Paola Moretti e Lynda Di Natale Fonte: web
Cristobal Balenciaga #cristobalbalenciaga #creatoredistile #creatoredimoda #perfettamentechic #lyndadinatale Cristobal Balenciaga Eizaguirre, nato nel 1895 a Getaria (Spagna) da madre sarta e padre pescatore, ereditò proprio dalla madre la passione per la sartoria, con cui collabora durante l'infanzia, fino all'adolescenza, quando incontra la marchesa…
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magistercaeremoniarum · 6 years ago
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23.12.2018
La festa delle capanne volgeva al termine e tutto il circondario del Tempio di Gerusalemme, che già nei giorni ordinari era molto frequentato, era oggi un vero formicaio di gente. Il sole di una mattina gaia, la più gaia del mese, batteva su una moltitudine di tuniche di tanti colori vivaci, una più pulita dell’altra: uno spettacolo che, visto dall’alto, sembrava un abito cucito a pezze pronte a scambiarsi posto l’una con l’altra. Un mare magnum di uomini, donne ed animali, pronto a manifestarsi prepotentemente anche all’udito, con un miscuglio di dialetti giudaici, di belati e di muggiti, ed all’olfatto, attraverso il salire al cielo di tanti incensi estratti da piante diverse.
Solo Gesù era estraneo a tutto questo. Si era seduto per terra, aveva le spalle contro il muro che dava accesso a quello che era il sommo santuario della sua gente. Con le dita scriveva sulla sabbia, che una pioggia all’alba aveva bagnato e si presentava a distanza di qualche ora né troppo umida né troppo asciutta: l’ideale per essere modellata. Era tanto sommerso nei suoi pensieri, così lontani dai normali pensieri di un uomo, da non accorgersi che lo scenario che lo circondava stava rapidamente cambiando. Dopo circa mezz’ora di sfioramenti di dita sulla sabbia, di scarabocchi cancellati e poi riscritti, di citazioni dei profeti raschiate e ricoperte da altre citazioni, Gesù si sentì toccare la spalla. Era Giovanni, il più giovane dei suoi discepoli, il prediletto. Un elegante viso ovale, quasi sempre giocondo (anche quando non sorrideva), incrociato da capelli castani e corti, ospitava una peluria da piena adolescenza e due occhi tra il nocciola ed il verde. L’apostolo non era alto, non quanto Gesù: fu questo il motivo per cui gli sembrò strano, per una volta, che il suo maestro lo guardasse dal basso verso l’alto.
“Maestro, facciamo meglio ad andarcene di qui… quella che poco fa era una festa sta per trasformarsi in una tragedia. Più di una volta hai fuggito le masse, temevi mettessero a rischio la tua missione. A maggior ragione oggi dovremmo…”
“Restare qui” rispose Gesù calmo. Giovanni rimase in silenzio qualche attimo, un silenzio interrogativo che il suo più unico che raro interlocutore non tardò a rompere. “Restiamo qui e facciamo missione qui. Con tutti loro, anzi a tutti loro”. Indicò la folla con un pacato gesto della mano, mano che porse poi all’apostolo per farsi tirare su. Si scrollò dalla tunica la polvere procuratagli dal prolungato contatto con la parete e si fece strada tra una folla di gente parecchio arrabbiata. Nel vederlo, però, i giudei cominciavano ad abbassare i toni. Il suo non era un volto nuovo: sebbene fosse da poco a Gerusalemme, aveva predicato per tutti i villaggi della Galilea. Difficile dimenticare il viso di una persona che aveva operato guarigioni, che aveva dialogato alla pari con i sacerdoti pur non essendo uno di loro e si era chinata solo quando, con le caviglie immerse nelle acque del Giordano, aveva lasciato che Giovanni il Battista lo battezzasse. Dopo essersi fatto strada senza troppa fatica tra una moltitudine di mani che cingevano sassi, si trovò davanti agli occhi una donna che già aveva conosciuto. Una donna con lo stesso nome di sua madre, nata nel villaggio di Magdala. Era pressata da un semicerchio umano incendiato da una rabbia non troppo consapevole. Di tutte quelle persone, guardò bene Gesù, le più fervide erano le donne che davano l’idea di essere sposate da tanto tempo e di aver visto in vita loro solo la casa ed il tempio. Tozze, sui trentacinque anni, con la fronte già corrucciata da qualche ruga, mani e piedi gonfi ma secchi. L’esatto opposto di quello che era Maria. Doveva aver superato già da un po’ i sedici anni, dunque era adulta da poco. Era pallida, più alta dei due scribi che l’avevano trascinata di peso contro il muro, il viso gradevole con una fronte alta e liscia. Aveva un abito nero, che accentuava ancor più il suo pallore.
Gesù non solo non reputava possibile che Maria avesse commesso adulterio, il peccato di cui era accusata. Ma, essendo Dio, non sentiva provenire da lei neppure il male che di solito le colpe umane sprigionavano, provocandogli un dolore che pur non essendo fisico gli doleva molto più di quanto non avrebbero fatto, poche settimane dopo, le piaghe accumulate tra la sua condanna a morte e l’esecuzione. Viceversa, molto di quel male lo avevano sprigionato e lo stavano sprigionando i tanti che già con la pietra in mano erano pronti a lapidarla. L’atmosfera da brulicante si era fatta muta, al suo arrivo. Ma ciò non la rendeva meno soffocante. Uno dei due scribi, un tipico uomo orientale, moro nella pelle e nero negli occhi, ruppe il silenzio.
“Maestro, cosa vuoi che ne facciamo? La legge di cui tanto parli ci dice di lapidarla. Tu che dici?”. C’era un sarcasmo che non era troppo difficile da percepire in quella domanda.
“Lapidiamola”, rispose tra la sorpresa di tutti, Maria in primis, un Gesù calmissimo, quasi con un filo di voce. “Tutti quanti. Cominciamo da chi è senza peccato”. E qui il suo sorriso si fece radiante. “Avanti”. Si andò a sedere al fianco della donna, e riprese a modellare la sabbia come se non fosse successo nulla. Chiamò Giovanni al suo fianco e lasciò che si sedesse vicino.
Nessuno ebbe il coraggio di replicare. Quanto seguì è noto a tanti: il più anziano dei presenti fu il primo ad andarsene, seguito da tutti gli altri. Non ebbero neppure il coraggio di avvicinarsi a Gesù, che placidamente continuava a scarabocchiare segni sulla sabbia. Quando si accorse che non c’era più rumore di passi, alzò lo sguardo verso la ragazza e fece cenno di sedersi anche a lei.
“Dove sono finiti tutti? Non ti hanno condannata?”
“Nessuno”. La voce si sentiva appena, pur essendo i due affiancati. Dopo una breve pausa aggiunse “Ma io…”
“So che sei innocente” fece Gesù, sempre sereno, ma senza sorridere. Le strinse un attimo la spalla con un cenno della mano, ma solo per un istante. Era ancora molto spaventata, pur non facendolo vedere, e non doveva gradire troppo il contatto fisico. “Io e Giovanni abbiamo bisogno di fermarci da qualche parte, e il tempio chiude tra poco. Tu non vivi lontano da Gerusalemme, non è così?” “Non ti sbagli, vi guido”, rispose lei con un tono di voce più chiaro. Si incamminarono verso la periferia della città giudea. Maria era gentile, non elargiva molte parole, e parlava solo in risposta alle poche domande che i due le fecero. Lo faceva cordialmente, era molto grata loro per l’aiuto fornito, ma se avesse potuto scegliere tra il parlare ed il non farlo, la seconda scelta sarebbe stata certamente meglio accetta.
Dopo un po’ di cammino sotto un sole non troppo invadente, furono in un accampamento di media grandezza. Era l’accampamento da cui proveniva un altro dei dodici che di solito accompagnavano Gesù, con parentele greche: Matteo. E proprio di origine greca erano coloro che vivevano lì.
Mentre accendevano un fuoco su cui arrostire del pesce, Gesù chiese (ora che le tensioni si erano smorzate) a Maria come si trovasse lì, e per quale motivo era stata afferrata e portata con le spalle contro il muro del tempio. Con dei toni molto misurati, lei spiegò: “Mi sono allontanata da Magdala con i miei fratelli, tra la nostra gente una volta che è scaduta la podestà dei nostri genitori su di noi siamo tenuti a cercare casa. Tra tutti i villaggi in cui ci siamo trasferiti, questo è stato il più accogliente… gli uomini che vedi sono evitati da gran parte dei Giudei, che li cercano solo quando bisogna fare i censimenti ed annotare i matrimoni. Anche se sono tutti convertiti alla religione del Tempio, hanno conservato una liturgia della loro terra d’origine. Lo chiamano dramma, che nella loro lingua d’origine vuol dire “azione”. Mi ha presa da subito, il mio entusiasmo è stato così lampante ai loro occhi che hanno scelto di farmi partecipare, anche se di solito è qualcosa che viene messo all’opera solo da uomini”.
“In cosa consiste?” fece Gesù, con tono pulito. Già era a conoscenza di tutto, ma trovava bello che fosse la voce di quella giovane donna a spiegargli cosa fosse il dramma. Il volto di Maria, solitamente pallido, era reso ambrato dalla luce crepitante del fuoco.
“Si tratta del narrare un’azione simulando quella stessa azione e i personaggi che la compongono. Io sono Maria, ma compiendo quest’azione posso essere qualsiasi altra donna. Sono stata presa mentre simulavo di essere la moglie di un uomo. La persona che in quel momento stava recitando (questo è il termine che si usa per indicare quest’azione) con me era stata da poco censita come sposata dai due scribi che mi hanno presa. Hanno pensato che quell’uomo stesse tradendo sua moglie con me…” “Qui devo correggerti”, la interruppe Gesù, e vide gli occhi di Maria dilatarsi per la sorpresa. Non era da lui fermare una persona mentre parlava, lo sapevano tutti. “Gli scribi che ti hanno presa sapevano già tutto. La tua colpa ai loro occhi è un’altra. Qui tutti ti conosciamo come ‘Maria di Magdala’, ti identifichiamo con il tuo villaggio d’origine. Solitamente le donne si identificano con il nome del marito o del padre, ne sono una proprietà. Tu non appartieni a nessuno, se le altre figlie d’Israele facessero come te, quasi tutti gli uomini sarebbero privati di un loro prezioso possesso. Occorreva un pretesto, e lo hanno trovato inventando l’adulterio. Ha funzionato: hanno incanalato bene la rabbia di tutti gli astanti contro di te, specie quella delle donne. Tante di loro vivono l’oppressione senza sapere di viverla, e cercano qualcosa contro cui liberare tutto il male accumulato. Come certi uccelli, quando nella loro gabbia introduci l’osso di seppia. Non è stato lui a renderli prigionieri, ma loro possono beccare solo quello.”
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Dopo il velo, l'abaya: in Francia fa discutere la tunica araba portata dalle studentesse a scuola
PARIGI – Vent’anni dopo la battaglia sul velo islamico nelle scuole, bandito secondo una legge del 2004, scoppia una nuova polemica sugli indumenti religiosi. Questa volta si tratta dell’abaya, tunica musulmana tradizionale molto diffusa tra le donne in Medio Oriente, e ora indossata da tante ragazze francesi. Le giovani che indossano questo abito largo, che copre qualsiasi forma, fanno…
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tingtinghux · 2 years ago
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( 2022 - 247th day ) Camilla seduta ai piedi di un ulivo con luce del tramonto dell’Ogliastra alle spalle, indossa un abito tunica con maniche a 3/4 in cotone indiano stampato a mano. Per info DM 🪡 🧵 #vsco #vscocam #vscogrid #meetCamilla #babyCamilla #newborn #babygirl #newmommy #newmommylife #babyswim #nursery #babiesofinstagram #newbornphotography #lovelittlethings #newbabiesaccessories #breastfeed #allattamento #allattamentoalseno #mammaefiglia #18monthsold #family #petiteCrownBrandRep #clothdiaperfamily#artTherapy #isew #upcycling #millaetbabou https://www.instagram.com/p/CiF4khPML7_/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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freeexpertwasteland · 3 years ago
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https://futuro-fashion.vestito.biz/
Donna Maglia Tunica con Tasche Mini Abito Top Lungo Maglione Vestito 8-12 208
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barbaraspinozzi · 3 years ago
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🛶🇮🇹💖👕👖 All'interno delle mura dell'incantevole Arsenale di Venezia, la collezione Dolce&Gabbana Alta Sartoria riflette il meticoloso lavoro degli artigiani #DolceGabbana, dove tessuti pregiati e squisiti abbellimenti rivelano un'estro creativo indimenticabile pieno di stupore e bellezza.
Omaggio alla città di Venezia, i look dell'Alta Sartoria includono una corta tunica con il leone alato di San Marco, interamente ricamata con perline di vetro, specchi e paillettes, abbinata a pantaloni in duchesse di seta blu pavone e pantofole jacquard damascate blu petrolio, ed un abito due pezzi monopetto in jacquard lurex argento, ricamo degradé con cristalli e paillettes, una maglia aderente ricamata con lo stesso motivo, abbinato ad una cintura in pelle bianca ricamata e pantofole in velluto grigio chiaro.
Guarda lo spettacolo #DGAltaSartoria e scopri di più al link in bio.
#DGLovesVenice #DGFattoAMano #Madelnitaly
#Repost @dolcegabbana
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Inside the walls of the enchanting Arsenale di Venezia, the Dolce&Gabbana Alta Sartoria collection reflects the meticulous work of #DolceGabbana craftsmen, where fine fabrics and exquisite embellishments reveal an unforgettable creative flair full of amazement and beauty.
A tribute to the city of Venice, the Alta Sartoria looks include a short tunic with the winged lion of San Marco, entirely embroidered with glass bugle beads, mirrors and sequins, paired with peacock blue silk duchesse trousers and petrol blue damask jacquard slippers, and a single-breasted, two-piece suit in silver Lurex jacquard, degradé embroidery with crystals and sequins, and a matching form-fitting vest embroidered with the same motif, combined with a white embroidered leather belt and light grey velvet slippers.
Watch the #DGAltaSartoria show and discover more at the link in bio.
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