#a letto senza dolci
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Porto sempre la merenda ai ragazzi mentre studiano, al pomeriggio. È ormai un rito: a una certa ora busso alla porta della camera di mio figlio e porto a lui e ad Antonio, il suo compagno di banco fin dalle elementari, il vassoio, con il tè, i biscotti, le merendine. Sono una brava mamma, giusto?
L’altro giorno la porta non era ben chiusa e quindi….perchè bussare? È stato così che ho sentito chiaramente quelle parole “…..quel gran pezzo di gnocca di tua mamma…”
A dirle Antonio. La voce era bassa, i due stavano confabulando a bassissima voce, i libri aperti, ma, evidentemente, non era sulla lezione che era concentrata la loro attenzione. Ho fatto assolutamente finta di nulla. E loro avranno pensato che non avessi potuto sentire dalla soglia della porta.
Invece….
Ma guarda il ragazzino, ho pensato nei giorni successivi. Eppure senza che provassi indignazione per quella frase così sfacciata. Anzi….e dire che lo conosco da piccolo, chissà da quanto ha sviluppato questa “cotta” per me…..
Comunque sentirmi definire “gnocca”non mi disturba affatto, anzi mi lusinga e mi stuzzica. Antonio è poi un ragazzo adorabile, carino ed educatissimo, niente affatto sfacciato, anzi piuttosto timido e taciturno di solito…..avesse solo qualche anno di più, il fatto che pensi a me come “un gran pezzo di gnocca” più che soltanto lusingare, bè mi farebbe eccitare….
Doveva accadere, ed è accaduto. Antonio che viene a casa, non trova mio figlio, noi due che restiamo soli…..
Lo faccio sedere, anche se solo non è un buon motivo per non preparargli anche oggi il tè con i biscottini. Servirglielo non nella stanza di mio figlio, ma qui in salone. Farlo accomodare sul divano. Sedermi davanti a lui, sul puff….
Che dirgli? Canzonarlo rivelandogli che l’ho sentito definirmi “gnocca”? No, poverino, morirebbe di vergogna. E comunque mi ci sento gnocca, oggi. E da come mi guarda, lo pensa proprio.
È da gnocca questa gonna corta? Si, è vero, mi sono cambiata quando l’ho sentito al citofono, ma lo avrei fatto comunque, non certo per…..fargli vedere le gambe…
Anche i collant ….direi che sono da gnocca….ma porto sempre le calze velate, anche in casa…e a ben pensarci quante volte mi era sembrato che Antonio mi guardasse le gambe mentre stavo in camera loro e attendevo che sorseggiassero il tè …..esattamente come mi guarda le cosce adesso….
Certo, avrei potuto evitare di non mettere il reggiseno. Con il reggiseno, le punte dei capezzoli che si sono induriti sarebbero meno visibili sotto la camicetta. E questi seni gonfi non tenderebbero la camicetta in questo modo, e i capezzoli duri che si vedono non calamiterebbero lo sguardo di questo ragazzo…..
Mi alzo per prendergli la tazza di tè dalle mani. Noto che gli tremano. Mi seggo stavolta accanto a lui. Molto vicina. Non fiata. Spingo il mio corpo a contatto con il suo. Si sposta un po’ ma il divano è finito…..Lo guardo e poggio la mia mano sulla sua. “ Forse disturbo, vado via?” Non rispondo, gli sorrido e porto la sua mano sul mio seno. Spalanca gli occhi. Spalanca la bocca. Mi faccio toccare il capezzolo attraverso la stoffa leggera della camicetta, poi guido la sua mano sulla mia coscia. Mi protendo e gli sfioro le labbra con le mie. Sono morbide, dolci. Gliele lecco con la punta della lingua.
Poi la lingua la spingo tra le sue labbra, gliele faccio aprire, la infilo dentro la sua bocca per il primo vero bacio con una donna della sua vita.
Sento la sua mano contrarsi sulla mia coscia. Anche io gli stringo la patta con la mia. Duro come il ferro. Proprio come lo volevo.
“E così sono un gran pezzo di gnocca, vero?” I miei gesti e l rivelazione che so cosa pensa lo mettono nella confusione totale. Come un bambolotto si lascia guidare in camera da letto, mentre canzonandolo gli dico che merita una punizione…
Mentre lo spoglio nudo, guardo di sfuggita l’orologio per capire quanto tempo ho a disposizione per farmelo. Tre ore almeno, abbastanza per castigare come previsto di fare questo ragazzino insolente.
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DOLCI VARI E PIGNOLATA MESSINESE
Non è l’ eccesso d’amore che porta Romeo a uccidersi sul corpo della dormiente Giulietta ? Non è l’eccesso d’amore che spinge il Moro di Venezia a uccidere Desdemona rea di aver tradito il suo stesso amore. Gli eccessi non sono mai visti come situazioni o eventi positivi. Essere golosi è un male perché l’eccesso di cibo o dolci porta a disfunzioni nel nostro organismo. Lo stesso vale anche per il sesso perchè l’eccesso di sesso può porta a decadimento fisico o morale esponendoci ai rischi di malattie innominabili . Non a caso, l’eccesso è visto come il sintomo evidente di un malessere interno, che non si riesce a comunicare e che per questo ci fa scivolare nella solitudine. L’eccesso quindi è sempre riprovevole anche se, a ben notare, la golosità o il sesso, o l’amore danno piaceri equivalenti in quanto portano tutti e tre al piacere fisico, prima ancora che emotivo o esistenziale. Pensavo questo quando mia moglie si è mangiata tutto il vassoio di Pignolata Messinese appena comprata perché, come dicevo, la golosità è un eccesso molto simile al sesso e se ci si butta su uno dei due eccessi, è perché forse manca l’altro o non è abbastanza soddisfacente. Che mia moglie volesse dirmi qualcosa? Non lo so. Nel dubbio ho comprato un altro chilo di pignolata e l’ho messa sul mio comodino del letto, se la vorrà dovrà passare sul mio corpo e allora vedremo se vorrà soddisfare l’eccesso carnale lasciando la pignolata al suo posto o viceversa. Non si sa mai di quale eccesso siamo spinti a saziare, ma l’importante è essere pronti a soddisfarlo perché senza quell’eccesso d’amore che Romeo e Giulietta hanno mortalmente soddisfatto, sarebbero solo una delle solite coppiette di illusi e banali adolescenti.
Isn't it the excess of love that leads Romeo to kill himself on the body of the sleeping Juliet? It is not the excess of love that pushes the Moor of Venice to kill Desdemona, guilty of having betrayed his own love for her. Excesses are never seen as positive situations or events. Being greedy is bad because excess food or sweets leads to dysfunctions in our body. The same also applies to sex because excess sex can lead to physical or moral decay, exposing us to the risks of unmentionable diseases. It is no coincidence that excess is seen as the obvious symptom of an internal malaise, which cannot be communicated and which therefore makes us slip into loneliness. Excess is therefore always reprehensible even if, if you carefully note, gluttony or sex or love give equivalent pleasures as all three lead to physical pleasure, even before emotional or existential pleasure. I was thinking this when my wife ate the entire tray of Pignolata Messinese she had just bought because, as I was saying, gluttony is an excess very similar to sex and if you indulge in one of the two excesses, it is because perhaps the other is missing or not It's quite satisfying. Did my wife want to tell me something? I do not know. When in doubt, I bought another kilo of pignolata and put it on my bedside table. If she wants it, she will have to pass it over my body and then we'll see if she wants to satisfy her carnal excess by leaving the pignolata in her place or vice versa. We never know what excess we are driven to satiate, but the important thing is to be ready to satisfy it because without that excess of love that Romeo and Juliet mortally satisfied, they would be just one of the usual couples of deluded and banal teenagers
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ieri sera festa nel container rosso del co-housing/spazio culturale in cui vive Ka per il compleanno di un suo coinquilino. abbiamo ballato in gruppo fino allo sfinimento, schiena a schiena, culo a culo, lanciandoci palloncini e ridendo. usciamo e incontriamo una ragazza che ha appena staccato il turno alla taverna, davanti a noi l'orto e nel naso l'odore che fa il verde la notte. mi sono accorto di essere ubriaco quando ho pisciato nudo davanti a Ka dicendogli di non guardarmi perché ero un verme brutto. Sei un verme bello - mi ha risposto. tutte quelle persone sorridenti tra pile e altri abbigliamenti da fricchettoni, tutta quell'energia quando senti la stanza piena di persone della tua età che nella vita cercano di creare strade alternative, sentirle parlare tra una focaccia e un bicchiere di vino dei loro impegni e sogni per un futuro diverso, e poi liberarsi senza posa né giudizio in balli scomposti e sgraziati. abbracciarsi tanto dicendosi grazie, buonanotte, baci baci, portate su i dolci avanzati? sì li prendiamo noi! che bello stare sotto le coperte insieme. ma M dove ha dormito ché nel letto non c'è? vuoi del caffè? che mal di testa. dopo gli ultimi giorni grigi mi serviva questo: ricordarmi che il mondo è tanto grande e popolato, che si può sperare, che per quanto le cose siano tristi si può sempre mettere su un po' di musica con qualche sconosciuto e per una sera lasciar andare il dolore. grazie vita, grazie corpo.
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Entrare in biblioteca è un rito che mi affascina come recarmi in pasticceria,ma senza i sensi di colpa.
Nessuna commessa alle calcagna.
Puoi entrare senza soldi e senza scuse.
Puoi esplorare e ti godi il silenzio e l'odore di pagine invecchiate bene come il buon vino.
Trovi l'introvabile e pure di più.
Ogni libro mi sussurra l'impegno di chi lo ha scritto, la fatica e la gioia, il desiderio e la speranza di essere letto.
" Prendi me...prendi me"
Si alternano voci sommesse, a volte tuonanti, a volte fatte di dolci, timidi accenni o dai toni rigorosamente pretenziosi.
Sono i libri che parlano e diventano persone.
È la magia che si respira in biblioteca.
E poi prendo dagli scaffali ciò che mi ispira: il vantaggio di scegliere senza problemi permette di poter assaggiare un testo : se poi non piace, si passa ad un altro.
Nessuno ti dice " lo hai comprato e ora lo finisci tutto!"
Io mangio ciò che è buono, mica ciò che mi fa star male: perché dovrei sorbire parole che non nutrono la mia testa?
La biblioteca è libertà.
(Angela P.)
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Sono stata sveglia quasi tutta la notte. Succede ogni volta, ogni anno. Come quando ero bambina, nell'attesa del mio giorno rimanevo in dormiveglia, agitata per chissà quale motivo. Quell'agitazione bramosa, vivace e positiva, che senti scorrere nel corpo e morderti ogni centimetro di pelle, che la senti ingarbugliarti lo stomaco. Così anche quest'anno alle sei ero sveglia e poi alle sei e mezza e ancora alle sette e insomma ho deciso di rimanere in quel buio chiaro, sentendo i rumori di mamma e papà già svegli, la mattina che incomincia, inizia ed io nel mio letto tra le lenzuola, leggendo email di auguri, leggendo qualche pagina del libro, facendo trascorrere il tempo prima del suono della sveglia, meditando. Poi mi sono alzata, sempre senza uscire dalla camera, ho steso il tappetino sul parquet ed ho fatto yoga. Nel silenzio e in questo giorno speciale. I primi trilli di dolci messaggi, i primi sorrisi leggendo alcune parole, fuori il tempo non è granché eppure oggi son felice ugualmente. Ancora in pigiama faccio colazione con caffelatte e cereali al miele ed accanto alla tazza trovo un pacchetto color arancio, una dedica sopra, impazzisco! Amo queste piccole sorprese, mamma mi da un bacio ed esclama "auguri". La mattina prosegue nella calma e nel recupero di candeline. Ho preparato da poco un pranzetto leggero, i miei amati spaghetti di zucchine con del pane croccante sbriciolato sopra e dello speck profumatissimo...ho sulle labbra un rossetto rosso acceso, in contrasto con la mia pelle ancora troppo chiara per essere aprile ed un filo di mascara marrone. Attendo gli altri. Fremendo. La torta mi aspetta
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Conoscere l'amore
“Che cos'è l'amor
Chiedilo al vento
Che sferza il suo lamento sulla ghiaia
Del viale del tramonto […]”
Mi sono domandato spesso cos’è l’amore, in realtà me lo sto chiedendo ancora e credo che me lo domanderò finché vivrò. Ho avuto molte risposte dalla vita fino a oggi. Alcune evasive, altre discutibili, però molte sono state chiare e ben definite. Ora. Escludendo l’amore nelle sue molteplici forme che variano da quelle per dei figli, a quello per i genitori, alla passione, alla idolatria o alla devozione mi sono sempre chiesto cos’è l’amore tra persone che si seducono. Quello che attrae due persone donandosi reciproca felicità mentale, fisica e appagamento sessuale.
Credo che non ci sia una definizione indiscutibile per definire l’amore, a meno che non ci addentriamo nell’aspetto scientifico.
<In questo caso il nostro cervello produce chimicamente dopamina e noradrenalina. Il cuore batte più forte, il benessere interiore aumenta e la felicità anche>. Se avete letto questa definizione con la voce di Alberto Angela o Barbara Gallavotti, a seconda di chi vi garba, sappiate che siete delle belle persone.
Ma se dovessimo dare una spiegazione non razionale, beh, qui si potrebbe scrivere tantissimo.
E allora proviamo a immaginare dove si trova e com’è fatto l’amore che fa palpitare il cuore, in cosa si cela il sentimento che fa vibrare le anime.
L’amore può ambientarsi in una stazione dei treni, in un incontro rubato ai mille impegni della quotidianità, un incontro veloce dove il tempo è tiranno. Lo vedi negli occhi che si cercano tra la folla, le dita delle mani che finalmente si intrecciano per la prima volta e quell’ansito affannato di chi sospira profondamente per l’emozione.
L’amore può avere i tratti somatici di un viso, ovvio direte, ma potrebbe essere quello di una persona incrociata tanto tempo fa per le strade del proprio quartiere più e più volte. Fino ad ammirare quella persona e immaginare di poterle parlare, sorriderle e finanche baciarla. Pensare di poter far parte della sua vita. Senza averne mai avuto il coraggio. Ancora oggi il ricordo rimane. Perché se l’amore ha un volto, si tratta proprio di quel viso tanto sospirato.
L’amore può trovarsi in viaggio su una strada. Fatta di chilometri, non importa quanti, percorsi per arrivare da quella persona. Poco interessa se non tutte le strade sono percorribili a velocità sostenuta, se siano sconnesse o interrotte. Non si guardano i chilometri percorsi sul contachilometri ma l’orologio, quello sì, per calcolare quanto tempo si stia perdendo. Invece di trascorrerlo tra le braccia desiderate.
L’amore può essere pungente come il freddo di una mattina di gennaio, una di quelle con la brina sui prati. Mentre il vapore che esce dalle bocche sembra prendere forme romantiche, dando vita a fisionomie dolci che accarezzano le anime di chi si sta incontrando. Tutto questo dopo aver preso il coraggio di incontrarsi.
L’amore può avere una voce melodiosa. Quella di un soprano per esempio. Una voce di un’estensione magnifica che viene accompagnata da due occhi profondi, un sorriso da incorniciare, un cuore generoso. Un’anima eccelsa. Tutte coreografie degne della meravigliosa opera, creata da Madre natura, che si para dinnanzi ai nostri occhi. Estasi ed emozioni profonde.
L’amore può risiedere in una mente. Nelle confidenze, nelle parole e nei concetti creati dalla materia cerebrale di una persona. Un labirinto, come i vicoli di un centro storico, dov’è facile perdersi e dove non si proverà mai a cercare una via d’uscita. Perché ci si sta bene tra quei pensieri, dove in quelle riflessioni e nell’immaginazione si trova riparo. Un intelletto nei confronti del quale non si percepisce il tempo, perché esso rimane sospeso.
L’amore può trovarsi in svariati posti diversi tra loro. Luoghi che possono spaziare dalle biblioteche a delle colline, da una spiaggia marina a un museo, da un caffè del centro cittadino a uno sperduto castello medievale. Perché in quei luoghi ci arriva grazie a dei cuori generosi e pulsanti che lo ospitano trasportandolo.
Per ultimo, ma non meno importante, per me l’amore più potente risiede negli occhi di chi ha sofferto per amore e ti chiedono di non infierire, li noti nella moltitudine tra tanti occhi. Sono occhi che “gridano” nonostante il silenzio della luce spenta in essi. E se si riuscisse a riaccendere quella luce, chiunque resterebbe abbagliato. Ma l’amore sta anche in quel sorriso appena accennato, perché teme di illudersi di nuovo e che in pochi sanno percepire. Oppure nella voce di chi ti fa capire che vorrebbe volare in alto per non stare più sul fondo, ma con quella tremenda paura di cadere di nuovo.
“Ahi, permette signorina
Sono il re della cantina
Vampiro nella vigna
Sottrattor nella cucina […]”
Immagine: Diana spezza l’arco di Cupido (perché a un certo punto anche basta, con quella mira quel nanerottolo ha rotto gli zebedei) - dipinto di Pompeo Girolamo Batoni (1761)
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Gestire i momenti di difficoltà delle persone con cui vivo fa parte di una vita come quella che sto facendo in questa casa.
Nei giorni scorsi avevo notato che una delle mie compagne di appartamento, Annarita, non stava molto bene, era irascibile, quando andavamo insieme all'università camminava molto lenta, e a casa passava molto tempo sul divano senza parlare.
Stamattina è venuta in camera mia, appena alzata dal letto, mi ha chiesto se potevamo parlare da soli e mi ha spiegato meglio, anche se avevo immaginato il problema. Mi ha detto che ha il ciclo abbastanza problematico, probabilmente per via dello stress dell'università.
Ho cercato di capire come aiutarla, e in quel momento la cosa migliore era semplicemente ascoltarla.
Ora cercherò di fare qualcosa per aiutarla, ma facendo in modo da non essere invadente. Probabilmente oggi comprerò del cioccolato, perché un'altra volta mi aveva detto che quando ha il ciclo trova conforto nel mangiare dolci e soprattutto cioccolato al latte in gran quantità.
Poi non credo di dover fare molto altro, in questi casi credo che sia giusto lasciar passare questi giorni cercando di farle pesare il meno possibile qualunque cosa. Non so se ci riesco ma mi impegno a farlo.
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Non riesco a stare senza gridare la pena del mio animo. Con chi altro dovrei parlare, se non con te che eri e sei tutto per me?
A te voglio dire tutto per la prima volta, parlare di una vita che forse non è neanche la mia, ma che se lo fosse, sarebbe legata a te dal suo primo momento.
Lascia che mi spieghi.
In un altro universo, io sono morto.
Non potrei dirlo in altre parole, in frasi più dolci, in virgole meno taglienti (non toccarle, graffiano la pelle e non vorrei mai ti facessi del male per causa mia.)
Perdona questo mio inizio così pesante. Pare di aver ricevuto un pugno in pieno stomaco e adesso ho la nausea e gli ematomi violacei addosso. La gola brucia e sento che quel nodo che si è formato è talmente tanto ottuso, bastardo ed egoista da non permettere neanche all’aria di passare.
Ma non preoccuparti, mio bellissimo amore, adesso capirai.
Mi hai insegnato a non pormi dei limiti, a non vergognarmi della mia essenza, a riuscire a parlare senza avere paura delle conseguenze, a tirar fuori le mie idee sia nel giorno che nella notte. Allora, non avrò paura a scrivere di noi in questo modo assai orrendo, spiacevole agli occhi, amaro sulla lingua, tossico al cuore.
Non fraintendere, non sono qui per rovinare il tuo stato d’animo, non sono qui per essere egoista e toccarti il viso con le mani sporche d’inchiostro luttuoso.
Tempo al tempo.
In un altro universo, io sono morto.
Mi spiace che sia andata così, la mia storia era già stata scritta da una penna più potente della mia.
Credi a me, ho combattuto in quel momento. Non sono stato debole, qualche pugno l’ho sferrato, ma era come lottare contro i mulini a vento: assai inutile.
Non si possono correggere a mano delle pagine già stampate senza che qualcuno non se ne accorga.
In un altro universo, io sono morto.
Mi hanno già chiuso gli occhi, congiunto le mani su una camicia bianca e ai quattro angoli del letto ardono dei ceri. Al tremolio delle fiamme le ombre scivolano sul mio viso impassibile.
Tu non ci sei tra tutti i presenti li dentro, perché non mi hai mai conosciuto.
L’ultimo mio alito di vita, me lo immagino in solitudine. Perché non esiste modo di stare bene senza il tuo tocco presente nella mia quotidianità.
Io sono morto perché tu non esistevi, non c’è altra spiegazione.
Non ho sentito alcun tipo di dolore.
Stavo steso sulla spiaggia, i granelli di sabbia si attaccavano ai miei capelli e alla schiena nuda, si infilavano in mezzo alle pieghe del solo gomito appoggiato.
L’altro giaceva gonfio sul mio addome, col braccio pieno di siringhe assassine.
Le onde mi bagnavano i piedi e il mare era illuminato dalle prime luci della notte.
Ero lì, fermo, a marcire nella certezza che le cose non sarebbero mai più tornare come prima.
In un altro universo, io sono morto.
Ma la vita era impossibile, e io ero troppo stanco.
Respiravo sempre nell’attesa di un qualcosa che non si è mai rivelata a me. Galleggiavo in una statica apatia, sempre sull’orlo di un precipizio di un buco nero generato dal collasso gravitazionale della mia testa che non riuscivo a spegnere. E per non cadere, ho cercato l’appiglio nella sostanza sbagliata che si è diffusa nel mio corpo come una febbre.
C’era la luna a guardarmi, sopra di me.
Sentivo gli ultimi secondi come finzione, recitazione, tutto era fantasia e stavo bene.
Poi ho mollato tutto, e io tutto neanche lo avevo.
Il niente invece, era il solo oggetto che possedeva la mia anima sporca e contagiata.
Mi spiace essermene andato, ma è stato meglio così.
Ma moriremo davvero tutti? Toccherà ad ognuno di noi questa mia precoce sorte?
Anche lì, avevo neanche trent’anni.
Anche lì, avevo ancora un’intera esistenza davanti.
Dio, il destino, Buddha, Allah o chicchessia che governi questo mondo mi aveva dato buca anche se all’appuntamento mi ci ero presentato per una buona volta puntuale.
Quella notte, la mia ultima, io ti sognai.
E mi incazzai.
Perché riuscii a vedere il tuo viso solo in quel momento. Ad averlo conosciuto prima, li avrei anche distrutti quei mulini.
Non mi sarei perso per sempre.
Non mi sarei addormentato.
Avrei ritrovato la via e la vita.
Avrei urlato.
Graffiato.
Ucciso.
Pur di trovarti.
In un altro universo, io sono morto.
E non ho mai conosciuto le tue stranezze.
Non ho mai conosciuto le tue mani aggrappate alle mie.
Non ho mai conosciuto i tuoi sguardi tanto profondi da contenere un universo.
La tua voce la mattina.
La vibrazione della tua risata che arriva nell’orecchio e va a sbattere contro ogni costola creando una meravigliosa canzoncina.
La temperatura dei tuoi pensieri che riscaldano i miei.
Persino i tuoi baci.
Troppo? Mi sembra di averti versato addosso una colata di calcestruzzo.
Respira, adesso.
Ti ho sentito titubante, durante tutto questo tempo.
Respira, mio meraviglioso amore.
Rilassa la fronte,
rilassa le spalle.
Andrà tutto bene, me l’hai detto tu.
In un altro universo, io sono morto.
Ma in questo no.
In questo è tutta un’altra storia.
Tu sei l’impeto di un’urgenza che non ho mai provato per nessuno.
Posso viverti, e affermare che sei bello e trasparente come una poesia che non sa nascondere niente.
Perché ti conosco!
Ti respiro,
ti parlo,
ti rispondo anche male.
Ma siamo insieme e strapperei a mani nude un pezzo della mia anima come se fosse un foglio di carta per dimostrarti la concreta realtà che esiste tra noi.
Pensare tutto ciò è come estrarre dalla ferita, il coltello che blocca un’emorragia di sentimento smielato. Concedimelo, solo per questa volta.
So che un piccolo periodo può assomigliare ad un per sempre, ma se è questa l’illusione che mi dai, è così bella che mi lascerò violentare.
In questo universo, le cose le viviamo momento per momento.
Ma mi piace da…morire(?) anche solo l’idea che tu mi conosca, che io ti conosca.
Di te, mi sono innamorato in un’istante, ma non sarà sufficiente un’eternità per smettere.
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26/02: un'altra lunga domenica di febbraio sembra star per finire. a pranzo il vino rosso e la pioggia scrosciante accompagnata dall'inconfondibile petricore a farmi compagnia subito dopo nel letto sotto al piumone. è sempre così, la malinconia e il mio non saperla gestire mi portano a scrivere due pensieri spesso scoordinati fra loro, tra canzoni francesi e dolci parole di autori italiani non vissuti nella mia epoca. ho un po' di ricordi vividi nella testa, a volte ritorno a pensare anche a te, chissà forse. ieri ho pianto nuovamente in silenzio sperando forse di soffocare senza esser visto e sentito da nessuno, oggi vorrei essere altrove (come sempre d'altronde), scappare come Gauguin in Polinesia a dipingere Cristi e muse esotiche, o comunque in qualsiasi altro posto lontano lontano. spero tu stia bene, sai a volte spero sia stato un sogno.
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Viaggio Antonacci
È un'umidità che non ti lascia mai. Non smetti mai di avere freddo, neanche con il sole. Neanche con 14 gradi in un gennaio spaventosamente primaverile. Le coperte non sembrano mai del tutto asciutte. Non appena mi infilo nel letto minuscolo dove sono ospitato lo noto. Sembra di stare su un materassino gonfiabile, in mezzo al mare. Le rocce sono scivolose e le mie scarpe da ginnastica moderne potrebbero essere state un acquisto sbagliato. Certo i colori sono gradevoli. Il baffo rosa simbolo di vittoria padroneggia sopra un verde lime e il classico nero che mai abbandonerò.
Ho lasciato casa per venti giorni quasi. Non capitava da anni. Una volta sistemato Ernesto ho capito che potevo provare ad essere libero. Mi sono sentito solo e costantemente bagnato. Indossavo magliette messe ad asciugare durante la notte sul termosifone che parevano appena estratte da un ciclo rinfrescante dalla lavatrice. Il paesaggio della Murgia al mattino mi ha tolto il fiato. Nascosto in una caverna noto il passaggio delle coppie precedenti. Fazzoletti gettati ovunque. Involucri di preservativi nascosti tra ciuffi d'erba carichi di gocce di rugiada. Le gambe mi facevano male dal camminare e la schiena era sudata. Pensavo fosse ancora l'umidità e invece no, questa volta era la mia fatica.
C'era silenzio rotto solo dal saluto con alcuni passanti. Ho cercato riparo dal sole e l'ho trovato in una piega del torrente che spaccava in due la vallata. "Se non scivolo qua non scivolerò mai più" ho detto ad alta voce e adesso penso di avere ventose al posto delle Nike. Il cuore aveva bisogno di una pausa. La cassa toracica e i polmoni hanno discusso tra di loro, su chi avesse diritto a maggiore spazio. Ho sentito scricchiolii di assestamento. Di notte le gambe tremavano, per il freddo e per i chilometri. Mi sono chiuso in biblioteca quando ho potuto, ho elaborato la fine del manoscritto. Perché le mie storie iniziano tutte minuscole, quasi banali, e finiscono a prendere in giro divinità ed esseri astrali? "Perché ti credi anche tu un Dio" mi hai detto prima di addormentarti. Mi credo un Dio. Sicuramente uno meritevole di bestemmie e altari.
Si chiamano edicole votive e Bari ne è cosparsa come acne sul volto di un adolescente butterato. Ogni arco venera qualcuno. Cerco l'arco dedicato a me e non lo trovo. Anche qua non mi abbandona l'umidità e ora la sento più corposa, le scarpe che ho pagato non so quanto per essere alla moda e togliermi una decina di anni sono piene di tracce di sale. Le signore anziane guardano dalle finestre socchiuse delle case a piano terra. Mi hanno detto come si chiamano questi luoghi ma ho dimenticato. Ho dimenticato ogni volta la strada di casa e l'ho fatto di proposito. Volevo perdermi e trovare il b della matassa da solo. Nessun ristorante aveva posto e nonostante gli innumerevoli dolci mangiati in ogni pasticceria stavo morendo di fame. Vengo cacciato ovunque. Era troppo tardi per pranzare e troppo presto per il tramonto. Noto una di queste case, una coppia di anziani seduta a una tavola apparecchiata guarda svogliatamente il telefono. Quello di lei non prende bene ed è costretta ad allungare le braccia verso la porta d'uscita. Noto un cartello scritto a mano poggiato per terra "Da Carletto", decido di essere coraggioso e mi affaccio. Chiedo di spiegarmi che posto è questo, perché ci sono due tavoli apparecchiati e nessun commensale. Carletto mi invita ad entrare e dice che mi avrebbe sfamato. Gli dico di fare di me quello che vuole, sono il suo pozzo senza fondo. Vado a lavarmi le mani e noto uno spazzolino lasciato in bagno. Sono a casa di Carletto, un ristoratore in pensione da anni che accoglie affamati come me e li sfama con la cucina più onesta mai provata. I piatti in plastica mi ricordano un passato che ancora resiste al sud. Cambiare un'abitudine sembra impossibile. Carletto continua a portare cibo in tavola e io assaggio ogni cosa, anche del pesce crudo, andando contro ogni avvertimento di mia madre. Resto sulla sedia, incollato, a guardare le effigi sacre appese nella stanza di pochi metri quadrati. Entra un altro gruppo di persone, sono loro i veri invitati in casa di Carletto. Li fa sedere e l'accento barese mi riporta alla realtà. Parlo tre lingue e capisco due dialetti e ora sto schivando colpi d'ascia e sputazze e alitate, parole grosse, risate, non capisco nulla e sorrido. Prima di andare via Carletto ci tiene a mostrarmi una gigantografia della star del piccolo viale: un cane ovattato e peloso più simile a un alpaca. Mi dice che si chiama Lollo e che i turisti si fermano per fotografarlo. Non sono abituato a tanta ospitalità. Vorrei dare la colpa a Vienna ma ho capito che non è colpa sua, sono io ad essere cambiato. Mi domando perché Carletto non abbia una mia foto, forse gliela dovrei spedire, grande quanto quella di Lollo.
Forse mi sono sentito più libero in mezzo alle grotte, nascosto da tutto. Davanti al mare mi sento nudo. I pescatori del mattino mi guardano straniti, sono un elemento contrastante per loro. Ho gli occhi affamati, il naso che respira ogni goccia sospesa nell'aria, anche quelle cariche di odori nauseabondi. Le orecchie registrano le onde calme infrangersi sugli scogli. Non è il tirreno, lo noto dalla grazia con cui portano a termine il loro viaggio e perché il sole sta sorgendo dalla linea piatta dell'orizzonte.
È davvero così utopico pensare di poter vivere così? Con le giornate che non hanno più un nome, entrando in case di sconosciuti, in letti abbandonati per le vacanze, cercando un po' di pace tra gli studenti spaventati dalla riapertura delle facoltà, mescolandomi nei banchi di biblioteche millenarie. Parlando di idee, progetti, racconti, ricordi. Mi fa schifo pensare al denaro. I miei più cari amici scrivono nella chat che ci unisce da diverse parti del pianeta "È lunedì! Si torna a produrre!!!" ma produrre cosa? Vendite? Numeri in un computer? Risparmi per andare in vacanze sovraffollate una settimana all'anno? Fotografie interscambiabili da social network?
Durante il volo di ritorno non ho avuto paura. Io che non ho preso l'aereo per 12 anni convinto di essere inadatto al volo. Ho lasciato il sud che si è coperto di nuvole per l'occasione, per non mostrarsi bello come volevo ricordarlo. "Stai tornando verso il grigio, ecco un assaggio dei prossimi mesi". A venti minuti da Vienna arrivano le perturbazioni. Saltiamo. Ci agitiamo. Scosse e vibrazioni. Il capitano interviene per tranquillizzarci ma io proseguo a leggere il libro. Mi giro e vedo persone con la testa tra le mani che pregano una divinità che non farà nulla per loro. Alcuni pregano San Nicola, sicuro uno sta pregando Lollo. Sono indifferente. La morte non mi spaventa più? Mi spaventa la malattia. La lunga degenza. Le file infinite in ospedale. Mi spaventa il lunedì lavorativo dedicato al produrre. Mi spaventano i metri quadrati di un ufficio illuminato a neon. I pomodorini tutti uguali al supermercato. Mi spaventa ferire qualcuno. Far piangere. Ma morire non mi spaventa più.
Atterriamo e ritorno a casa mia dopo averla lasciata in affidamento a due ospiti. L'odore è diverso, hanno fumato dentro. Ovunque. È tutto pulito e ordinato ma noto delle piccole differenze, mi sento come gli orsi della favola di Riccioli d'oro. È il prezzo da pagare per essere stato libero: perdere il luogo che definisce l'inizio e la fine della mia personalità. Aggiusto i particolari cambiati. Apro le finestre. Accendo candele profumate. Resto con la giacca in casa e mi sento tranquillo come lo sono stato nelle ultime settimane. Come sul bus diretto nel nulla delle autostrade calabresi. Ho imparato a inserirmi in ogni contesto senza deturparlo, sono un elemento decorativo esterno che al massimo sorride e ti chiede un caffè.
Faccio colazione al buio, nel palazzo di fronte nessuno è sveglio. Le coperte puzzavano di pelle di fumatori, faccio finta di non pensarci. Il caffè lo ricordavo migliore ma l'ultimo che ho bevuto era in riva al mare prima di baciarci e dirci addio. Vienna si sta svegliando piano. La luce filtra intermittente tra le nuvole come un neon carico di gas esausto che vuole solo andare in pensione ed essere cambiato.
In ospedale la sala d'attesa è gremita di abitudinari come me. Li saluto e canticchio. Ho portato questo con me dall'Italia, canticchiare mentre aspetto. C'erano altoparlanti ovunque anche nelle stazioni più sperdute, nelle fermate del bus più isolate. Non luoghi, come lo è diventata casa mia da quando ho deciso di lasciarla in mano ad altri. Allora canticchio e mi sento a casa. Senza soldi, senza programmi per il futuro, se non andare a riprendere il mio gatto dalle sue vacanze. Riccioli d'oro ha mangiato la mia zuppa, dormito nel mio letto, usato il mio spazzolino e a me va bene così. Ho trovato altrettante caverne altrove e sono tutte uguali quando le riempi canticchiando un motivetto allegro.
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Dopo tre mesi senza incontrarlo x motivi di salute ,finalmente lo rivedo .
Oddio non stavo nella pelle ,eccitata più che mai , mentre guidavo sentivo quel calore in mezzo alle gambe che non sentivo più da tempo... pensavo mi si fosse congelato tutto .... Arrivo davanti casa sua e mi chiedo se rivedendolo mi sarei sentita come a casa . Ok invio il messaggio e lui mi apre ,prendo l ascensore ,4 piano e ogni volta che salgo su quell' ascensore mi salgono i brividi di calore misti ad eccitazione , si aprono le porte e trovo la solita porta socchiusa ,entro ,eccitata come sempre , e lui è in bagno :mi urla fai come se fossi a casa tua io arrivo .
Così mi tolgo la giacca ,appoggio la borsa sul divano mi tolgo le scarpe , e lo aspetto . Lui arriva in accappatoio , profumato di doccia e con quello sguardo magnetico ....
Mi alzo e subito un bacio scioglie ogni paura ,dubbio , incertezza ,mi accoglie come sempre ,con quel calore che nessuno riesce a farmi provare ,e tra baci ,morsi e mani che vanno ovunque mi ritrovo senza vestiti e in camera sua . Ci guardiamo e in un attimo , ci troviamo sdraiati sul letto ,le sue mani perlustrano il mio corpo dall' inguine in giù e la sua bocca la parte superiore , sento i denti stringere un capezzolo che mi manda in visibilio ,parte un brivido dal capezzolo al pube , mi esce un mugolo, poi i suoi muglii mi facevano impazzire di più e le sue dita sapienti si intrufolano dentro e fuori di me stimolando nei punti giusti , stuzzicando fuori e dentro ,davanti e dietro e più si insinuava più mi rilassavo , ero vicina all' esplosione e lui si ferma mi guarda e mi dice: ti sarebbe piaciuto vero ?! Invece no decido io quando.
Mi parla , cerca di distrarmi ,mi coccola ,mi vizia con baci dolci , si parla di tante cose e mi distraggo da quello che un attimo prima era quasi un orgasmo , sembro distratta ma io lo voglio .....
Voglio lui , lo voglio dentro , ne ho bisogno così decido di prendere l iniziativa tra un bacio e una carezza allungo una mano verso il pene , lo accarezzo e sento la reazione, tra un bacio e l altro, scivolo con la bocca giù e avida lo lecco lungo tutta la lunghezza dell' asta ,lo bacio, con una mano lo stringo e con le labbra lo stuzzico ,lo infilo in bocca ,scende giù fino in fondo ,poi su e giù in gola un paio di volte mentre con la mano stuzzico il perineo , poi lui siccome adora dominare mi bacia e mi mette supina , ancora bagnata dai precedenti umori mi stuzzica un pochino il clitoride ,lui sa che lo voglio dentro tutto , e così mi accontenta ,entra tutto ,fino in fondo , io mi sento in paradiso ,lo sento tutto ,ogni cm di lui dentro di me ,scivola ,inizia pompare più forte ,lo adoro , lo sento prepotente , poi rallenta e io lo rimprovero ,voglio godere ti prego non fermarti e di nuovo lui mi dice decido io ......
Sfila la sua erezione, sembra di marmo tanto è duro ,lo punta sull' ingresso del mio ano ,ed io lo rimprovero non è ancora pronto e lui lo prepara dolcemente con modo sapiente , poi lentamente lo ripunta e con un piccola spinta entra ,io resto a bocca aperta ,dalla posizione supina non lo avevamo mai provato ,entra tutto e non capisco più nulla ,inebriata dalle sue spinte nell' ano esplodo squirto come non mi era mai successo e lui ,ancora due colpi ,ed un gemito , ed esplode mi riempie il mio buco di sborra . Esterefatti entrambi dal piacere ci baciamo e io ho bisogno di un morso x svegliarmi da quel piacere .
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‘’Sono qui a scrivere come tanti anni fa, e gira tutto sempre sulle delusioni che possono essere d’amore o familiari il dolore è sempre quello, un dolore ripetitivo che ti brucia da dentro l’amore per me è molto particolare, ho amato sono stata amata sono stata amata anche tanto penso e penso che tutt’ora sono amata, il problema è che cerco l’amore sempre nei posti sbagliati perché io ci credo sempre, io ci spero sempre vivere l’amore per me non è semplice non è mai stato semplice,
fin da piccola ho avuto svariati esempi d’amore sbagliati i miei genitori, i miei nonni e sono cresciuta con la concezione che quello potesse essere amore, invece crescendo sempre di più ho imparato che quello non è amore.
Ho deciso che non cercherò più l’amore ho imparato che forse è meglio mettere d’apparte per un po’ i sentimenti, forse credo che non so effettivamente amare,
ci provo,
ci provo sempre do tutto il mio meglio per esprimere questo sentimento come meglio penso che posso fare, delle volte non basta delle volte c’è bisogno di altro che io forse non ho ancora capito e stento a comprendere, faccio fatica ripeto non so che cos’è l’amore, anche se ammiro chi riesce ad esprimerlo e farlo capire a qualcun altro, vorrei che tutto fosse più semplice, magari se avessi capito determinate cose sull’amore o su me stessa adesso non starei qui a rimurginare sugli errori sbagliati che ho fatto.
Ho fatto soffrire tanto me ne rendo conto e chiedo scusa ogni giorno per il male che ho fatto non avrei voluto molte cose le ho fatte involtariamente e incosciamente.
non ho mai capito l’amore ecco perché quando vedo qualcuno che penso lo stia praticando al meglio cerco di imparare il più possibile magari da piccoli gesti dolci o facendo domande.
Vorrei capirlo l’amore, è un sentimento cosi bello e pure che però ormai mi fa solo paura, forse mi ha sempre fatto un po’ paura, ho chiuso i miei sentimenti da un po’ sono tornata la solita persona che si limita e forse non dovrei, però mi fa paura e mi fa male tornare a conoscere altra gente, mi fa terribilmente paura sapere che magari la fuori ci può essere realmente qualcuno per me, mi fa cosi paura che non voglio nemmeno interassarmene, mi fa così paura che penso di aver messo i miei sentimenti in un bel casetto nel mio cuore, forse un giorno proverò di nuovo a cercare di dimostrare affetto e amore a qualcun altro ma al momento non sono pronta, il mio cuore non è pronto ad un altro ciclo di questo sentimento e per quanto io sia innamorata dell’amore stesso non lo farò, è vero è uno spreco lasciare il cuore chiuso per paura che si rompa di nuovo ma sono arrivata alla conclusione che forse è meglio fare cosi che essere sempre troppo esposti, anche se forse dovrei dirlo che non sono pronta perché ancora io ci spero in altro ma è tutto nella mia testa delle volte è cosi difficile accettare l’evidente che laceri te stessa con mille pensieri e paranoie prima di accettare la verità, forse un giorno riuscirò ad accettarlo, forse un giorno mi alzerò dal letto pronta a ricominciare qualcosa di nuovo senza più guardarmi indietro, in realtà un po’ lo spero, sarebbe bello se accadesse.
Io credo nel destino e probabilmente questo arriverà tutto ha un suo percorso, la vita ci riserva tante sorprese dobbiamo vedere se noi stessi siamo pronti ad accettarle noi siamo l'input di noi stessi, parte tutto dal nostro centro.
Un giorno spero di capire il perché di tutto questo, di tutti questi anni passati a vedere la vita da spettatore e a chiediermi perché è successo quel che è successo.
Vorrei forse amare
Vorrei forse imparare ad amare
Vorrei amare
#-(occhi-grandi)#tumblr#frasi#frasi tumblr#male#dolore#pensieri#frasi pensieri#frasi belle#frasi e citazioni#amore#amare#poesie#cuore
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PARLANDO D’AMORE
Frammentati ricordi
sogni in odore di sottobosco e pioggia
dolce-salati sentori di vita fra i canali
in spiagge desertiche di un lido immaginario
nell’aperto teatro dei monti
tra le voci incantate dagli echi
nello sforzo di ricucire immagini, suoni
su questo tappeto di luce grigia.
Il Poeta dormiente si è da poco svegliato
sul bordo del letto con le mani poggiate sui fianchi
ruota la testa e le spalle come Lei gli ha insegnato.
L’ha sempre conosciuta: da molto tempo prima di nascere
e poi immaginandola nelle strazianti ore insonni,
scrivendo di Lei, per Lei, in dolci rime silenziose
rimaste impresse fra le bianche cicatrici dalla sua memoria.
Sa che ascolterebbe le sue parole
in un punto distante dell'Universo
per infiniti anni luce senza mai stancarsi
perché Lei è Tutto, Lei è Verbo!
La bacia bevendo dal suo stesso bicchiere
Porgendo alle labbra screpolate di tanto in tanto
e con mano sicura
un sorso umido di verità.
Così:
fragile ma consapevole,
disposto ad accettare tutto,
anche il terribile rifiuto.
Senza compromessi,
accogliendo ogni stranezza,
ogni errore
Senza ansia di correzione,
senza presunzione
col sorriso di chi crede
nella Voce che riempie:
ossigeno senza cui tutto
sfiorirebbe.
Nell’umorismo della posa imbronciata
mentre dorme, dubitativa
nel verde-azzurro dei suoi occhi densi
intensi
sporgenti nel chiaroscuro delle palpebre
disegnate a tratti
nei riflessi di grano ramato dei setosi capelli.
Tutto di Lei lo attrae
senza tregua.
E quella sera a casa,
seduta sul parapetto
di fronte alla luna di ghiaccio
riflessa sui monti
fra le nebbie di sigaro e grappa
parlando d’amore Lei disse
d’esser vuota
come una scatola vuota
e Lui disse
timidamente
che il suo vuoto basterebbe
a riempire ogni cosa.
………………………………………………
E ora so di essere un uomo
ora so che per te vorrei essere tutto,
farmi specchio dei tuoi labirinti
per poterti curare
oltrepassando ogni soglia
ogni dolore
nascondendolo a volte
fra celati sospiri
Divenire nel cielo lontano
della tua essenza
Fra le scintillanti costellazioni
delle tue relazioni
stella polare inchiodata
nel turbine dei tuoi desideri.
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Avete mai detto un "mai"? Io si, ho riempito i migliori pensieri e le migliori conversazioni con quei ridondanti mai di principio, soprattutto in amore.
Sapete ho conosciuto e ho vissuto il vero amore, quello che sa darti vita ma purtroppo, come le più dolci tragedie, può anche lentamente e inesorabilmente ammazzarti quando la sofferenza pervade chi ami...soprattutto quando cammini sul filo del rasoio e ogni giorno rischi di assestare tu la pugnalata finale.
Avete presente Romeo e Giulietta? Quante volte in questi giorni mi sono sentita un pò Giulietta e ho letto la famosa frase "Perché sei proprio tu colui che io amo, un uomo che non posso avere", e quanto la ho compresa, mi sono sentita una ragazzina di dodici anni indifesa che cerca affannosamente di raggiungere ciò che il suo cuore richiede ma se per lei l incapacità di ascolto, per me una grave malattia, hanno permesso solo di assaporarlo un attimo caldo dolce e impetuoso per poi vedercelo strappato senza più rimedio; proprio come Giulietta ho combattuto con delle presenze nella vita del mio amato, incombenti e che hanno impossibilitato tutto, se solo se ne fossero andate o se solo addiritturami avesse ascoltato di più prima che queste arrivassero a dividerci...e proprio come lei ho sperato fino all'ultimo fino a piangerlo, piangerlo ogni giorno perché vivevo la sua morte che certo era "solo" una possibilità ma per me era una certezza se io avessi continuato a ferirlo (cosa inevitabile dato i Capuleti e i Montecchi, quelle presenze, che perseguitandomi mi hanno ridotto a un cumulo di disperazione). Quelle presenze alla fine, non ti hanno portato a farmi del male, almeno amore mio, di questo ti ho liberato ma dio, perché allora avverto una assurda morte nel cuore? Alla fine mi sa che il suicidio ai tuoi occhi lo ho compiuto io (forse facendoti sentire abbandonato, forse facendomi odiare ma se è ciò di cui hai bisogno odiami odiami dal profondo del cuore e dimenticami, io non dimenticherò mai te e cosa siamo stati noi) ma, lasciarti così oramai era la sola strada percorribile per non rischiare che pur non volendo aggravassi il peso di Montecchi e Capuleti, per non rischiare di porre fine non solamente a noi ma anche a te.
"Pastello bianco" oramai sono pianti assicurati...
Sai, amore, sapete voi, mi ripetevo: "non mi sveglierò mai più senza dargli il buongiorno","non lo lascerò mai","non passerò mai più lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato o domenica senza dimostrare quanto lo amo", "non lo feriró mai di mia spontanea volontà", " non vivrò mai senza lui"...e mi crogiavo di questa illusione perché l amore che provo per lui è immenso, perché una volta egoismo e altruismo coincidevano alla perfezione...amare e essere amati come bisognerebbe, in un solo luogo, nell ambito di una sola relazione: e solo l'universo, con quei miliardi di stelle che amavamo guardare e amerei con te, sa quanto ci abbia creduto, quanto ancora il giorno mi svegli convinta sia tutto un interminabile incubo. Purtroppo l'illusioni hanno vita breve però e la realtà ,talvolta puttana, viene a bussare alla tua porta. Quel veleno è davvero veleno, quelle parole, quella distanza, quel terrore di ferirti irrimediabilmente, quel gelido che si irradia per tutto il petto a pensare a te così che ti senti solo e indifeso, quando cazzo quanto sei amato...però da una persona che non può amarti più (quanto è ingiusta la vita), quella scelta di assestarti un ennesimo addio (assestarmi un ennesimo addio) prima che ogni giorno tra noi fosse una battaglia o peggio un cruento gioco macabro a chi irrazionalmente e tra mille crolli ferisce di più ...
I mai si trasformano in non posso, e i sorrisi e i litigi si trasformano in lacrime strazianti (se tutto va bene) o altrimenti un vuoto, un vuoto enorme, che qualsiasi cosa tu possa fare non accenna a sparire.
Non posso amarti
Ma la realtà è che non posso non amarti
Non posso starti accanto e non posso averti con me
Non posso e neanche voglio dimenticarti
Non posso sostenerti e per questo non posso non odiarmi e odiare quella tua malattia
Non posso non provare un profondo rancore diretto talvolta a una persona reale, talvolta a quelle che negli ultimi tempi hanno soppiantato me pur non essendolo
Non posso non odiarti per non aver creduto prima alle mie parole, per non esserti davvero mai completamente affidato a me quando dicevo che avresti trovato affetto, una famiglia, ascolto, presenza e amore. Eppure non ti odio perché so cosa c'è dietro, e il mio amore per quanto immenso non ha potuto lavorare su ciò che su di te ha lavorato una vita, come potevi pensare parlassi sempre per il tuo bene se ciò prima ti è mancato da dove sarebbe dovuto arrivare naturalmente? Però infondo provo una malsana rabbia perché dio ti avrei amato se lo avessi fatto più di tutti messi assieme.
Non posso più stringerti la mano, abbracciarti,viverti ma tutto questo perché no, non posso, non posso, (sento il mio cervello urlarlo e il mio cuore creare un terremoto del più forte magnitudo) rischiare di ferirti, non più.
Non ho potuto che dirti addio..già addio.
Ti amo amore mio. Dimenticami, ti prego non rendere vano il fatto che questa sia stata la sola scelta da farsi perché mi ha massacrata in modi inconcepibili per una flebile speranza.. perché tu non sai cosa c'è ora al posto mio, non sarebbe stato lo stesso perché io non sono la stessa, sono rotta e questo non è ciò di cui hai bisogno...perché assieme ci sgretoleremmo
... ti prego, impara ad apprezzarti anche solo un millesimo di quanto ti amo io
Perché starai anche un disastro, sarà tutto un bordello una confusione, ma anche il cielo notturno lo è e noi lo amiamo lo stesso. E anche ora, anche adesso che non vedi le stelle, io credo in te ma purtroppo dovrai essere tu a cercarle non potrò più indicartele, purtroppo...
Però un attimo, se ti amo e ti ho amato così, c'è solo un motivo, tu. Spero realizzerai anche tu che sia un motivo per continuare a lottare e vivere. Tu. Stupendamente tu.
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Parents -Geto Suguru [JJK]
Attraversare nuovamente quella porta d'ingresso dopo davvero tanti anni, gli aveva regalato una strana sensazione che pareva coccolarlo assiduamente su tutta la pelle del corpo, sin da quell'ansioso mal di stomaco fino a quella pacifica leggerezza in petto.
Non erano minimamente cambiati, erano rimasti gli stessi, fatta eccezione per qualche ruga ed acciacco in più dovuti all'avanzare degli anni. Ma non si erano affatto preoccupati di questi, invece gli dedicarono la loro completa attenzione: dolci parole, confessioni di stima, genitoriali premure, tanto e tutto pur di cimentarsi nella titanica impresa di colmare il vuoto creato da tutti quei giorni lontani.
Si erano comportati esattamente come se questi non fossero mai passati, come se fosse rimasto sempre lì con loro, come se fossero felici assieme nella stessa maniera in cui lo erano stati anni addietro. Anche se aveva provato a desistere, lo avevano comunque invitato a cena e a tavola, tra un boccone e l'altro, si lasciarono andare ai sentimentalismi dei vecchi ricordi del passato.
Forse erano proprio questi che l'abbracciavano con smanioso affetto e ne comprendeva le motivazioni poiché, ovunque osasse volgere lo sguardo, in mente gli si figurava subito un'immagine dai colori sbiaditi, lontana e logora come una pellicola retrò.
E mentre loro parlavano, rispondeva distrattamente accarezzando la morbida pelle del divano in soggiorno, sfiorando il manico della sua tazza preferita in cucina, sollevando una ad una le fotografie esposte sugli ammobili in legno.
La vista della sua camerata fu il passo nel vuoto che lo fece tuffare definitivamente nel passato e rivisse tutti quegli attimi accaduti, maniacalmente, senza dimenticarne nemmeno uno.
Di quella stanza però non osò toccare nulla e ne richiuse la porta, privato del coraggio di stendersi sul suo tanto amato letto.
E mentre loro tacevano, osservava distrattamente i mobili chiazzati, le stoviglie sporche abbandonate nel lavello in cucina assieme agli avanzi che sarebbero dovuti essere riposti dentro al frigorifero, i bicchieri sbeccati che brillavano come cristalli affianco ai vetri in sala da pranzo... ma il divano era rimasto sempre comodo, così come se lo ricordava, così come lo aveva lasciato qualche minuto prima.
No, non era necessario che si preoccupassero di tutto quel disordine. In fondo non erano cambiati minimamente, erano rimasti gli stessi, fatta eccezione per il pallore e qualche ecchimosi dovuti all'arresto dei loro giorni.
Quelle voci non rimbombavano più di bentornato all'interno di quelle fredde mura, sostituite invece dall'intermittente gocciolare del liquido viscoso sul parquet. Non percepiva più quell'asfissiante sensazione di cure non richieste e non vedeva più alcun ricordo nel volgere lo sguardo tutto attorno.
Il suo unico respiro riempì finalmente quel vuoto, creato da tutti quei giorni lontani. Persino l'ansiosa morsa alle viscere aveva trovato pace, man mano che la sua mente rielaborava tutti quegli attimi accaduti, maniacalmente, senza dimenticarne nemmeno uno.
Era giusto così.
Quello che aveva fatto era stato più che giusto, concorde al suo pensiero non sarebbe mai potuto essere ipocrita né egoista.
Loro non c'entravano nulla con lui e lui non c'entrava nulla con loro.
Era sempre stato così, per quanto avessero fatto finta del contrario, era così, per quanto avessero voluto ignorare la realtà.
Non c'era riuscito, non poteva non farlo: aveva scelto di cambiare totalmente vita e per fare ciò aveva bisogno di ricominciare da zero. Non aveva bisogno di quegli insulsi ricordi sfocati che, ancora dopo anni, nascondevano vilmente quanto loro non avessero mai avuto bisogno di lui, che era stata tutta una mera e patetica facciata.
Ne avevano commessi tanti di peccati, ma il più grande di tutti era stato senza ombra di dubbio quello di ignorare chi fosse lui realmente: una maledizione.
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Mi piace che non facciamo le cose che non facciamo. Mi piacciono i nostri progetti al risveglio, quando il giorno sale sul nostro letto come un gatto di luce, e che non realizziamo perché ci alziamo tardi per esserceli immaginati tanto. Mi piace il solletico che trasmettono ai nostri muscoli gli esercizi che enumeriamo senza eseguirli, le palestre dove non andiamo mai, le abitudini sane che invochiamo come se, desiderandole, il loro splendore si riflettesse su di noi. Mi piacciono le guide di viaggio che sfogli con quell’attenzione che tanto ammiro in te, con i loro monumenti, strade e musei dove non mettiamo mai piede, incantati davanti a un caffelatte. Mi piacciono i ristoranti che non frequentiamo, le luci delle loro candele, il sapore fantasticato dei loro piatti. Mi piace come viene la nostra casa quando la descriviamo rimodernata, i suoi mobili sorprendenti, l’assenza di pareti, i colori azzardati. Mi piacciono le lingue che vorremmo parlare e sogniamo di imparare l’anno prossimo, mentre ci sorridiamo sotto la doccia. Ascolto dalle tue labbra quei dolci idiomi ipotetici, le loro parole mi riempiono di stimoli. Mi piacciono tutti i propositi, dichiarati o segreti, che disattendiamo insieme. È questo che preferisco della vita a due. La meraviglia aperta sull’altrove. Le cose che non facciamo.
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