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#Sua Santità Benedetto XVI
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Il VERO PAPA 2022 Benedetto XVI è morto! Un nuovo Santo!
Oggi 31 dicembre 2022 apprendo la notizia della morte di Sua Santità con dolore e lacrime.
Questo Papa mi fa ricordare San Giovanni Paolo II.
Ecco le sue ultime parole prima di morire: “Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato. In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte. In proposito mi ritorna di continuo in mente quello che Giovanni racconta all’inizio dell’Apocalisse: egli vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra, gli dice: “Non temere! Sono io...”
L’Italia è in lutto, il popolo cristiano è in lutto, il mondo intero è in lutto!
Ma un Grazie di cuore tutto quello che hai fatto nel corso della tua lunga vita, grazie per i tuoi insegnamenti, per le tue Benedizioni.
Sua Santità Benedetto XVI aveva scelto questo nome perché il Papa Benedetto XV FU FERMO OPPOSITORE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE!
E’ ora che sei tornato alla Casa del Padre Sua Santità Benedetto XVI, ti chiedo un buona parola davanti a DIO, a GESU’ e MARIA, a San Giuseppe, San Michele Arcangelo, ai nostri Angeli Custodi, a tutti i Santi e Beati per la PACE DI TUTTO IL MONDO MAI PIU’ LA GUERRA, MAI PIU’ LA GUERRA, MAI PIU’ LA GUERRA DI MORTE E DISTRUZIONE!
Ah si ti chiedo per l’ultima volta ora che sei in CIELO, BENEDICI DI NUOVO PER L’ULTIMA VOLTA BENEDICI TUTTO IL MONDO, FA CHE IL MONDO POSSA VIVERE IN PACE, nell’amore, nella fede, nella speranza, nella carità e serenità, ma soprattutto che L’UOMO SI VOGLIA BENE E SI RISPETTA COME SE FOSSE SUO FRATELLO.
Fai Buon Viaggio e grazie di tutto Sua Sanità Benedetto XVI!
I funerali dovrebbero essere il 5 gennaio 2023 celebra da Papa Francesco!
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Magistero integrale Benedetto XVI - Omelie della Notte Santa di Natale
Magistero integrale Benedetto XVI – Omelie della Notte Santa di Natale
SANTA MESSA DI MEZZANOTTE SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI Basilica VaticanaSabato 24 dicembre 2005 “Il Signore mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato””. Con queste parole del Salmo secondo, la Chiesa inizia la Santa Messa della veglia di Natale, nella quale celebriamo la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo nella stalla di Betlemme.…
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perfettamentechic · 4 years
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Guillermo Mariotto
Guillermo Mariotto #GuillermoMariotto #mariotto #gattinoni #maisongattinoni #perfettamentechic #felicementechic #lynda
Jesus Guillermo Mariotto è uno stilista e personaggio televisivo venezuelano naturalizzato italiano. Da molti anni vive a Roma.
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Guillermo Mariotto nasce a Caracas Caracas, 13 aprile 1966) da madre venezuelana e padre italiano.
Mia madre studiava Medicina mentre accudiva noi. Ha ripiegato in Odontoiatria e si è laureata partorendo altri due figli. È stata un’eroina. Mio padre era avvocato ed era…
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corallorosso · 4 years
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Giovanni Paolo II, esaltato con toni quasi fantozziani come “moderno” e vicino alla gente, ha tracciato quel profondo solco di conservatorismo che Benedetto XVI ha continuato. E che Francesco, politicamente più vicino al presunto progressista Paolo VI e mediaticamente di ispirazione wojtyliana, di certo non ha chiuso. «È stato lo stile di #Wojtyla quello di far pesare la sua presenza scenica e l’ingerenza politica per schierarsi nettamente contro ogni possibile avanzamento sui temi etici, l’aborto, l’omosessualità e contro possibili riforme interne alla chiesa (come il sacerdozio femminile). Non a caso nella sua patria polacca, dove vige una pesante cappa di confessionalismo cattolico, ha lasciato un indelebile marchio». «Oggi si torna mettere in dubbio l’aura di “santità” di Giovanni Paolo II. Con l’uscita del rapporto vaticano sulla condotta del cardinale (ormai ex) Theodore E. #McCarrick, accusato di abusi sessuali, è venuto fuori che Wojtyla aveva promosso nel 2000 con la porpora il controverso prelato, nonostante le accuse. Il #NewYork Times, in un articolo del corrispondente in Italia Jason Horowitz che ha avuto subito la ribalta internazionale, si è chiesto se Wojtyla non sia stato «santificato troppo presto». «Ma l’opaco retaggio wojtylano non finisce qui. Oggi proprio #Dziwisz, potente ex segretario personale di Giovanni Paolo II, è accusato dai media polacchi di aver coperto abusi sessuali da parte di preti. Un’inchiesta mandata in onda dall’emittente TVN24 arriva a sostenere che abbia ricevuto dei #soldi» «La maggior parte degli scandali della pedofilia clericale insabbiati dalle gerarchie vaticane, che hanno poi investito la chiesa minandone pesantemente la credibilità, sono maturati proprio durante i quasi 27 anni di regno ininterrotto di Giovanni Paolo II. Scomparso il carismatico leader, sono iniziate a cedere le dighe». blog.uaar.it
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pangeanews · 5 years
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“Ciò che ti smarrisce orienta verso Dio”. Altro che testo sul celibato dei preti… Ecco una sfilza di autentici apocrifi di Benedetto XVI
Benedetto XVI dice che l’uomo sceglie Dio sposandosi a lui, spostandosi dal mondo, restando celibe per aderire al sacerdozio. Apriti cielo. Forse l’ha detto, forse no. Chi si dedica a Dio dona tutto ciò che ha: il corpo. Fa di sé, figura tra uomo e Dio, sfigurato, tanto uomo da darsi a Dio, uno sposalizio. Ma non è questo il punto: questa è cronaca. Mi preme questo: penso che lo scrittore, l’ultimo degli uomini, il grado zero, l’uomo-uomo, debba scavare nella polpa di Dio – quindi, della Storia. E nel cuore di chi detiene la parola rivolta a Dio. Su questo, nel 2014, ho scritto un romanzo, “Rinuncio” (Guaraldi). La prima parte del libro è costituita da una serie di lettere, pagine di diario, aforismi di Benedetto XVI. Quelli che ricalco, in particolare, sono introdotti così: “Questi pensieri sono stati scritti, a matita, nelle pagine di un libro di Saint-John Perse, “Exil”, tra i rari volumi che Benedetto XVI ha voluto nella sua cella. Sembrano costituire un insieme di pensieri congiunti dalla stessa ispirazione, raccolti da un titolo, “In estremo”. Benedetto XVI ha cominciato a scrivere i pensieri quando era Papa, così per lo meno dimostra la calligrafia: rotonda, netta e comprensibile nel periodo papale, devia bruscamente, all’improvviso. La grafia diventa più torbida e roca dopo la rinuncia”. Naturalmente, sono apocrifi. Il libro fu consegnato all’‘emerito’ da Piergiorgio Odifreddi – che non conoscevo – un anno fa. Che gli sia piaciuto o meno rientra nel chiostro del narcisismo da cui non mi sottraggo. (d.b.)
***
Né milizia, né mestizia o malizia – martirio nella preghiera, reclamare l’osso ultimo, il sopravvissuto, audacia nel soffrire.
Dio è raccoglimento, umiltà. “Inutile” è Gesù sulla Croce, è il niente a cui dedicare la vita.
Si nasce per servire, per essere ultimi: chi non ha pace, chi è frustrato, chi è infelice deve comandare.
Solo quando Gesù dubita trova Dio.
Non si è guida, si è scelti a guidare – senza desiderarlo si conduce al deserto. L’unico condurre è presso la morte.
Usare la carità come un’arma – amare fino a uccidere.
Il cristiano non è felice – cioè, esaltato – vaga nel mondo senza desideri. Deve toccare il fondo, sfondare l’abisso, amarlo.
Disutile, il cristiano non ha personalità. Vivere è il suo solo dovere, valicare la vita senza seminare il male.
L’ingenuità è la genuina natura di Dio.
Cedersi è il carisma del cristiano.
Sempre si è soli – l’obbedienza è una necessaria menzogna.
Gesù dirige verso il caos, non c’è direzione ma vagabondaggio, né destinazione se non la morte. Ordine, via e viatico per una vita celeste sono un possesso degli antichi dèi, umani; il volto di Cristo è inumano.
Non esiste ordine, ma imprevisto, come l’avvento di Gesù non accade mai all’ora stabilita. L’ordine è la follia degli uomini ordinari che non sanno riconoscere lo straordinario.
Ogni uomo è un ponte nel nulla – nessun mortale porta a Dio.
Piuttosto, perseverare in una preghiera che è attesa. Prepararsi all’incontro con Dio lasciando ai superstiziosi le giaculatorie, la lista languida dei rosari. Abitare il silenzio, come una foresta dove gli alberi sembrano lupi. Eventualmente, far sorgere una parola per Dio sul ciglio della morte. Mai sentirsi degni di Lui.
La carne è il centro del cristianesimo: per questo Dio se ne è ornato. In questo modo, ha compiuto il riscatto della carne, facendone luogo di purezza e non di disprezzo o vergogna. Per questo il cristiano affronta la carne, non la denigra. Si accontenta di saggiare l’anima, ma salva la carne, di cui bisogna impregnarsi. Toccarla fino a credere che sia immortale.
E se il demonio fosse nell’ostinato distacco dalla terra, dai mortali? Pensare di poter fare a meno dell’uomo e della morte è il male.
Le stimmate sono gli occhi di Dio – i chiodi diventeranno rose.
Senza amore non conoscerò l’Amore.
Accendi i sensi – non avvilirli – avventati sul mondo violentalo: altrimenti come potrai riconoscere ciò che è da amare?
Ciò che ti smarrisce orienta verso Dio.
Cosa è stato di tutto quell’amare? Non ci è di sostegno – è perso. Per fortuna: ci porta a desiderare Dio.
I martiri, i penitenti, gli eccezionali – non imitarli. Non vivere da santo, da ispirato, perché Dio non parla con te. Diventa un vuoto che rassicura gli uomini. Farsi fuori, per far fare a Dio.
Costruire – perché si abbia la percezione che è inutile. L’opera si fonda sul tormento, e sulla presunzione che il bene sia una certezza. Accontentati di vedere nella pietra deposta da Dio la cattedrale.
Dio è presso di te, ti è addosso, ti indossa – perché tu pensi che sia lontanissimo.
La Croce non è un peso, ma una liberazione, un’aquila. Ogni uomo vuole la morte, cioè liberarsi dei propri beni, della propria abitudinaria personalità, abolirsi. La Croce non è una spada per vendicarsi della cattiva sorte, bisogna puntarla contro se stessi, uccidersi.
La lancia che ha trafitto Cristo in Croce si è trasformata in ciliegio: i bambini lo accerchiano ed è il più timoroso a scalare l’albero. Come una pioggia di stelle, il bimbo fa cadere sulla testa e sul petto degli amici i frutti. Chissà quale sapienza apprendono ingurgitando quelle ciliegie. Non so se il loro viso si contorca in ghigno, oppure gli occhi conoscano la serenità dei corvi.
Sentiti sempre come se Gesù ti avesse abbandonato – per farti ritrovare.
Ho parenti nei boschi, la mia carta d’identità è la corteccia di una betulla e ho amato il ferro più dell’ostia – nel rosario sono inanellati occhi di lupo.
Accetta la sconfitta come una grazia – sfida l’abiura abitandola.
Rifiutare ogni cosa – soprattutto, chi mi ritiene buono, chi mi onora con opinioni di santità, chi mi crede un genio, chi sperpera casuali complimenti. Essere inamovibile e indifferente. Come l’albero dai rami sempre spalancati: accoglie falchi e corvi, accettando la morte. Come l’acqua. Comunque, condurre gli altri a convincersi che sono malvagio – ritenersi indegni, indigenti, indigeni nel nulla.
Mi diede un filo d’erba, piantandolo spaccò il vaso, perforando perfino il cemento del balcone. Come il chiodo affonda nella carne non riuscii più a sradicare il vaso dal balcone. Con ciò, l’erba non smarrì la propria debolezza, senza la quale si tramuterebbe non in albero, ma in uomo.
La preparazione che si impartisce agli uomini di Chiesa è per renderli adatti al mondo. I sacerdoti sono le creature più esperte del mondo, amministrano, mettono ordine tra le emozioni dei propri parrocchiani, le curano e annaffiano di senso mentre dovrebbero annientarle. Sono esperti di denaro più che di Dio e parlano della resurrezione come di un pattuito stipendio. La vita della Chiesa è diventata una devastante inversione dei termini: si parla di “preghiera” per dire “mercanteggio”, il deserto è un’aula di ricevimento, il confessionale la vorace finestra del guardone, Dio è l’uomo, il fedele che occorre compiacere, la povertà è sostituita dal bisogno di successo. L’uomo di Chiesa deve conquistare anime da porgere in pasto a Dio, il carnefice. Il sacerdote così è come il possidente che compra e rivende schiavi, come un allevatore che con gioia e tenacia conduce al trotto le bestie verso il macello.
Nessuna parola può superare la verità di un corpo – né sovrapporsi ad esso cancellandone il ricordo. Questo rende autentico l’invecchiare, terribile la morte, remoto Dio. Il verbo tenta di incardinarsi alla carne, vorrebbe incaricarsene, per essere vivo. Ma sono le parole ad aver scandito la morte, legato i corpi al deperimento. Se non parlassimo, moriremmo senza sapere di morire, di essere vecchi. La carne non è un alfabeto, e Dio non parla – tocca – brucia – buca.
Non accettare alcun ruolo di dominio, ancor meno se “a fin di bene”, perché il potere non ammette altro fine che il male e corrompe chiunque lo abita – soprattutto i religiosi.
Non appena pronunci una cosa, dici un volto, ne dichiari la sconfitta.
L’incarnazione è un incantesimo.
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donatoantonio75 · 5 years
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Buon compleanno a San Giovanni Paolo II 18 maggio 1920 - 18 maggio 2017 "Santo Padre, lei dovrebbe riposare!" "Posso farlo in cielo!" Che Giovanni Paolo II fosse un santo, negli anni della collaborazione con lui mi è divenuto di volta in volta sempre più chiaro. C’è innanzitutto da tenere presente naturalmente il suo intenso rapporto con Dio, il suo essere immerso nella comunione con il Signore di cui ho appena parlato. Da qui veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche che doveva sostenere, e il coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile. Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti. Il suo impegno fu instancabile, e non solo nei grandi viaggi, i cui programmi erano fitti di appuntamenti, dall’inizio alla fine, ma anche giorno dopo giorno, a partire dalla Messa mattutina sino a tarda notte. Durante la sua prima visita in Germania (1980), per la prima volta feci un’esperienza molto concreta di questo impegno enorme. Per il suo soggiorno a Monaco di Baviera, decisi pertanto che dovesse prendersi una pausa più lunga a mezzogiorno. Durante quell’intervallo mi chiamò nella sua stanza. Lo trovai che recitava il Breviario e gli dissi: «Santo Padre, Lei dovrebbe riposare»; e lui: «Posso farlo in Cielo». BENEDETTO XVI - ACCANTO A GIOVANNI PAOLO II - 2014 https://www.instagram.com/p/BxmTOoACMFu/?igshid=wegll73r3qds
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papacitobenedicto · 2 years
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VENERDÌ 05 NOVEMBRE 2021 - SAN GUIDO MARIA CONFORTI Guido Maria Conforti (Casalora di Ravadese, 30 marzo 1865 – Parma, 5 novembre 1931) è stato un arcivescovo cattolico italiano. Fondò la Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere (Saveriani). È venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Sono numerose le notizie di grazie straordinarie attribuite alla intercessione di Guido Maria Conforti, segnalate sia in Italia, sia in altre parti del mondo dove operano i Saveriani. Significativi sono i due episodi che la Chiesa ha esaminato in vista della beatificazione e della canonizzazione, ed è eloquente che essi abbiano avuto luogo in terre di missione: uno in Burundi e uno in Brasile, dove, nell'ottobre del 1965, per sua intercessione, una ragazza di dodici anni, Sabina Kamariza, ormai dimessa senza speranza dall'ospedale di Bujumbura, capitale del Burundi, ritorna alla vita. E in Brasile, quando Thiago Joâo Dos Apostolos Souza, nato prematuro il 3 agosto 2003, a Santa Luzia, nella Diocesi di Belo Horizonte, fu strappato alla morte per cause umanamente inspiegabili. Guido Maria Conforti, con la sua intercessione, rispose all'appello delle preghiere. Nel 1941, a dieci anni dalla morte, in seguito al perdurare della fama di santità, mons. Evasio Colli, primo successore di Conforti come vescovo di Parma, apre il processo ordinario informativo sulla fama di santità, sulle virtù, sui miracoli e sugli scritti del suo predecessore. Il processo si conclude nel settembre 1942. Nel 1961 viene celebrato il processo apostolico presso la Curia di Parma e concluso a Roma, postulatore della causa di beatificazione fu Don Luigi Grazzi, padre saveriano]. L'eroicità delle virtù di Guido Maria Conforti viene approvata con decreto l'11 febbraio 1982. Viene beatificato da papa Giovanni Paolo II nella basilica di San Pietro il 17 marzo 1996. Il 23 ottobre 2011, nel corso di una solenne cerimonia in piazza San Pietro, è canonizzato da papa Benedetto XVI. Da Il Santo del Giorno #Tradizioni_Barcellona_Pozzo_di_Gotto_Sicilia #Sicilia_Terra_di_Tradizioni Rubrica #Santo_del_Giorno (presso Parma, Italy) https://www.instagram.com/p/CV5ShCKsqKC/?utm_medium=tumblr
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Per la festa di san Giovanni Maria Vianney (il Curato d’Ars) vi offriamo un ottimo articolo a firma di don Aldo Rossi, pubblicato qualche anno fa su “La Tradizione Cattolica” (n.71), dal titolo: “Il Santo Curato d’Ars: modello di tutti i sacerdoti”.
Giovedì 4 agosto 1859 vola verso il Cielo colui che doveva diventare l’esempio per tutti i sacerdoti: san Giovanni Maria Battista Vianney, detto più comunemente il santo Curato d’Ars. Il Papa san Pio X lo beatifica nel 1904, Pio XI lo canonizza nel 1925 e lo proclama patrono di tutti i parroci del mondo nel 1929. Il Papa Giovanni XXIII nel centenario (1959) con la lettera enciclica Sacerdotii Nostri Primordia lo ripropone come modello di tutti i pastori. Giovanni Paolo II lo dichiara «modello senza pari» e  quest’anno il 19 giugno (festa del Sacro Cuore) Benedetto XVI nel 150° anniversario indice l’Anno Sacerdotale durante il quale lo proclamerà “Patrono di tutti i sacerdoti del mondo”. Provvidenzialmente la nostra Santa Madre Chiesa ci ha posto davanti agli occhi la figura di questo santo al momento della più grande crisi sacerdotale che abbia conosciuto la storia.
Al tempo di san Pio X in Italia i sacerdoti erano quasi 69.000 su una popolazione di circa 33 milioni. Al tempo di Benedetto XVI i sacerdoti sono quasi 33.000 su una popolazione che supera i 57 milioni. La “densità” del clero si è più che dimezzata ed è inferiore a quella dei dentisti, psicologi e  commercialisti(1). Il problema purtroppo non è solo nella “quantità” ma soprattutto nella “qualità”, cioè nella “formazione” che ricevono i seminaristi nei “nuovi seminari” per diventare sacerdoti. In questa società che si è progressivamente secolarizzata, in crisi di “valori”, “l’uomo di Dio”, ovvero il sacerdote, ha perso il suo carattere sacro diventando sempre più “l’uomo dell’uomo” ovvero un semplice assistente sociale. Al tempo del nostro santo, la Rivoluzione Francese eliminava i preti o li trasformava in preti “giurati” o secolarizzati, che avevano spesso sulla bocca parole di “cittadino, di civismo, di costituzione, e non mancavano critiche ai predecessori” (2).
La nostra società figlia della stessa Rivoluzione Francese, con la complicità del nuovo “aggiornamento” della Chiesa, in modo più subdolo e più efficace ottiene gli stessi risultati: eliminazione del sacerdote (in particolare mi riferisco alle migliaia di sacerdoti che hanno abbandonato il loro sacerdozio), o secolarizzazione dello stesso, sia nell’abito che nel modo di pensare e agire, avendo sulla bocca in particolare parole come “solidarietà”, “pace”  “fratellanza” “aiuto dei poveri”, “fame nel mondo”, “il problema dell’inquinamento”, …e come molti sanno, il disprezzo dei predecessori e del passato della Chiesa non manca. Tutto questo è avvenuto soprattutto dopo il Concilio Vaticano II che non a caso da uno dei suoi padri, il Cardinale Suenens, è stato chiamato «il 1789 nella Chiesa». Cercando di leggere il piano della Provvidenza possiamo dire che la Santa Chiesa propone il Santo Curato d’Ars oltre che come modello per la santità sacerdotale anche come un “anti-virus” di questa peste della secolarizzazione o laicizzazione del sacerdote da cui dipende direttamente anche quella della società. Come diceva il Papa san Pio X, che considerava il nostro Santo come il suo compagno (socius meus): «Per far regnare Gesù Cristo nel mondo nessuna cosa è così necessaria come la santità del clero…». Quindi alla luce della teologia cattolica guardiamo cosa devono fare i sacerdoti per imitare il Santo Curato ed essere quel “sale della terra” per guarire questa società dalla “peste” della laicizzazione o secolarizzazione ricordando che «chiunque vuol essere amico di questo mondo, si fa nemico di Dio» (Gc 4,4). In particolare vedremo con l’aiuto di mons. Trochu, che ha scritto la più bella biografia del santo, chi è il sacerdote, quali devono essere le sue caratteristiche principali, il mezzo principale per riprodurle in lui stesso e… il segreto per riuscire.
CHI È IL SACERDOTE?
«Un uomo – dice il Santo – che sta al posto di Dio, un uomo che è rivestito di tutti i poteri di Dio… Provate ad andare a confessarvi dalla santa Vergine o da un angelo: vi potranno assolvere? No. Vi daranno il Corpo e il Sangue di Nostro Signore? No. La santa Vergine non può far discendere il suo divin Figlio nell’Ostia. Se anche foste di fronte a duecento angeli, nessuno di loro potrebbe assolvere i vostri peccati. Un semplice prete, invece, può farlo; egli può dirvi: “Va in pace ti perdono”. Oh! Il prete è veramente qualcosa di straordinario!… Dopo Dio il prete è tutto!» (3). «Oh, – afferma un giorno – come è grande il sacerdote! Il sacerdote non si comprenderà bene che nel Cielo… Se egli comprendesse qui che cos’è, ne morrebbe non di spavento, ma di amore» (4). San Tommaso d’Aquino c’insegna che la dignità dell’Ordine Sacro supera quella degli stessi Angeli. Di tutto questo il Curato d’Ars era ben consapevole. Fin dall’istante della sua ordinazione considerò se stesso come un calice, destinato unicamente ad un ministero divino… e non di assistenza sociale, o comunque “umano”, come potevano essere i preti giurati della rivoluzione francese da cui, fin da giovane con la sua famiglia, prese le distanze abbandonando la propria parrocchia per seguire un prete “refrattario”(5) che segnò profondamente la sua vita. Se la famiglia avesse seguito il prete “giurato” non solo il nostro Santo non avrebbe avuto la sublime considerazione del suo sacerdozio, ma probabilmente non sarebbe neppure divenuto sacerdote come molti giovani di oggi vedendo un sacerdozio che ha perso la sua sacralità e la sua identità. Non se ne conosce più la sublime grandezza e l’inestimabile beneficio. San Giovanni Vianney conosceva e viveva la grandezza del suo sacerdozio e sapeva bene che senza un vero sacerdote la società crollerebbe. Questo i nemici della Chiesa non lo ignorano. «Lasciate – dice il Santo – una parrocchia per vent’anni senza prete e la gente finirà per adorare le bestie. Quando si vuole nuocere alla religione, si comincia attaccando il prete, perché laddove non c’è più il prete, non c’è più sacrificio eucaristico e laddove non c’è più sacrificio, non c’è più religione» (6). Che cosa bisogna dire oggi, quando lo stesso sacrificio della Messa è stato ridotto ad una cena?…
L’UOMO DI DIO
«Ho visto Dio in un uomo» affermò un pellegrino vedendo il parroco di Ars dire ad un cappellano: «come vorrei perdermi e non trovarmi che in Dio». La prima caratteristica del sacerdote è quella di cercare continuamente questa unione con Dio e il Sommo Sacerdote Gesù Cristo, in modo che si possa dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo ma è il Cristo che vive in me”». Per questo il vero ministro di Dio, come san Giovanni Maria Vianney, è prima di tutto un uomo di fede. Molti preti che l’hanno conosciuto da vicino hanno detto: «Don Vianney era l’immagine vivente della vita soprannaturale e la perfezione che indicava agli altri era la regola costante della sua condotta. La fede fu il movente di tutte le sue azioni e di tutta la vita e formò di lui l’esemplare di ogni virtù e la copia più perfetta del divino modello. Averlo conosciuto può considerarsi una grazia particolare di Dio»(7).
È ammirevole come il Nostro, in mezzo alle più grandi occupazioni e alle persone che lo importunavano, manteneva sempre questa vita interiore con Dio e la completa padronanza di sé. Dice il canonico Gardette: «Era tanto il suo abbandono al beneplacito divino che, anche in mezzo all’azione così varia e così faticosa del suo ministero, rimaneva sempre raccolto, come quando compiva i suoi esercizi di pietà, e si sarebbe detto che non aveva da fare che l’azione del momento. Era sempre guidato dalla sollecitudine dello zelo e non dall’attività della natura e bastava osservarlo per convincersi che in nessuna ora della giornata mai era turbata la libertà di spirito, la dolcezza di carattere, il riflesso della pace interiore» (8). Tutta la sua vita ruotava attorno a Dio come il suo centro, in ogni momento, in pulpito, in confessionale, o fra le diverse occupazioni del suo ministero, elevava il suo cuore a Dio, «essendosi fatta l’abitudine di uscir da Dio per l’azione, quando ciò fosse strettamente necessario, e di rientrare in Dio colla preghiera, appena gli fosse possibile»”(9).
Ai preti di oggi, che sono molto presi dal ministero il nostro modello direbbe, come consigliò un giorno a don Dufour: «Al presente non ho molto tempo per fare la mia preghiera regolarmente, e per questo, fin dal principio della mia giornata, mi sforzo di unirmi intimamente a Nostro Signore ed opero col pensiero di questa unione». Per questo, come racconta il suo biografo, «in ogni istante della giornata il suo pensiero considerava qualche azione della vita di Nostro Signore e dei Santi, con una spiccata preferenza per i misteri dolorosi, che lo aiutavano a seguire il Redentore nelle diverse stazioni, fino al Calvario; per questo aveva dato incarico alla buona Caterina Lassagne (una perpetua) di segnare le stazioni ai margini del suo breviario, e pensava con gli occhi bagnati di lacrime di compassione, alle diverse scene della Passione» (10). «La sua vita – afferma mons. Trochu – era la realizzazione integrale di questo pensiero profondo, nato dalla sua riflessione: “La fede è parlare a Dio come si parlerebbe ad un uomo”» (11).
Il nostro Santo, nonostante il grande lavoro, metteva sempre al primo posto Dio e la preghiera. La vita contemplativa – come insegna la Chiesa e in particolare san Tommaso d’Aquino – precede la vita attiva e l’una non esclude l’altra. Ma la prima ha la precedenza perché è la più perfetta e la più necessaria (12). Non ci si può nascondere dietro il molto lavoro o lo zelo delle anime. La prima anima da santificare è la propria e solo se santifichiamo noi stessi e siamo uniti a Dio possiamo anche santificare gli altri. La vita del Curato d’Ars afferma pienamente questa verità che non è altro la messa in pratica delle parole di Nostro Signore: «Io sono la vigna, e voi i tralci. Colui che rimane in me e io in lui, porta abbondanti frutti, perché senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5).
LA CONQUISTA DELLE ANIME
San Giovanni Maria Vianney fin dalla giovinezza, quando si trovava ancora con i suoi genitori, diceva alla sua piissima madre: «Se io fossi prete, vorrei guadagnare molte anime!». Il sindaco di Ars – racconta sempre mons. Trochu – gli aveva domandato un giorno di dicembre quanti grossi peccatori aveva convertito durante l’anno. «Più di settecento», rispose con un sorriso dove si nascondeva una fierezza soprannaturale. Il numero delle conversioni è incalcolabile. Si parla di 20.000 visitatori ad Ars nel 1827, nove anni dopo il suo arrivo, e di 80.000 o 100.000 l’anno che precede la sua morte. Nel Nostro non solo c’era il desiderio del bene delle anime, ma aveva nel sangue un vero “istinto della conquista”. «Il suo programma (all’inizio del suo ministero) – afferma il biografo – era stato meditato ai piedi del Tabernacolo, ed era quello di un pastore zelante per la salvezza del suo gregge: prendere contatto con la popolazione al più presto possibile ed assicurarsi la cooperazione delle famiglie migliori; perfezionare i buoni, richiamare gli indifferenti e convertire i peccatori; ma soprattutto pregare Dio, dal quale vengono con abbondanza tutti i doni, e santificare se stesso, per riuscire a santificare gli altri; infine, fare penitenza per i peccatori colpevoli. Prima di iniziare il suo lavoro si sentiva debole ed insufficiente, ma aveva con sé fin d’allora la forza misteriosa della grazia, e quella umiltà che Dio sceglie per abbattere le potenze dell’orgoglio: “Un santo prete compie grandi cose con mezzi apparentemente insufficienti.”(13). Da “buon soldato di Cristo” nel silenzio della notte si reca in chiesa per pregare il  Signore che usi misericordia per il suo popolo e Pastore. “Mio Dio – esclamava il santo Curato – datemi la conversione della mia parrocchia. Io acconsento a soffrire tutto ciò che vorrete, per tutto il tempo della mia vita!… Anche i dolori più atroci per cento anni, purché il mio popolo si converta”»(14). E le sue lacrime cadevano sul pavimento. Al sorgere del sole il pastore era ancora là…Tutte le volte che le opere di ministero non gli imponevano di uscire, il “buon soldato” lo si trovava non nella casa, ma in chiesa. Vi furono dei giorni in cui usciva solo dopo l’Angelus della sera. Un giorno un signore attraversa il bosco non lontano dalla parrocchia e sorprende don Vianney inginocchiato. Il giovane curato, che non si era accorto di lui, ripeteva a calde lacrime: «Mio Dio, convertite la mia parrocchia». Il pio contadino, non osando interrompere la preghiera, si allontana con tutta la precauzione.
Le mortificazioni del Curato d’Ars sono diventate celebri. Mortificazioni da ammirare più che da praticare. Si dava la disciplina fino al sangue, mangiava e dormiva pochissimo, soffriva il freddo e soprattutto approfittava di ogni cosa, anche delle più piccole e indifferenti, per tormentare il suo povero corpo, o “il vecchio Adamo”, al dire del Santo. L’assiduità al confessionale (confessava fino a 18 ore al giorno!) – afferma mons. Trochu – «colle pene di cui era causa, gli sarebbe bastata per raggiungere un alto grado di perfezione; ma era così avido di penitenza che tutto gli sembrava di poco conto e cercava le mortificazioni così come un altro va in cerca dei piaceri»(15). Uno specialistadella penitenza, un Padre della Grande Certosa, afferma: «Confessiamo noi solitari, eremiti, monaci, penitenti di ogni regola, non osiamo seguire il Curato d’Ars altrimenti che con lo sguardo della nostra simpatica e cordiale ammirazione: non siamo degni di baciare le orme dei suoi piedi o la polvere delle sue scarpe»(16). Il buon Curato, come il Sommo Sacerdote, era cosciente che la sua missione era quella di salvare le anime soprattutto con la preghiera e con il sacrificio. Come afferma il Trochu: «Non cerca nuove vie di risurrezione morale, ma semplicemente applicherà gli antichi rimedi nelle forme tradizionali». E questo non si può dire non valga anche per il sacerdote del terzo millennio. La città di Ars in pochi anni, nonostante l’indifferenza, la perdita della fede e il grande disordine che aveva procurato la Rivoluzione, fu trasformata in un “santuario”.
LA SANTA MESSA
Il mezzo essenziale e necessario del sacerdote per unirsi a Dio e conquistare le anime è il Santo Sacrificio della Messa. Infatti il sacerdote, in persona Christi, rinnova lo stesso sacrificio di Nostro Signore per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. È in questo momento soprattutto che “l’uomo di Dio” è unito in maniera straordinaria e celeste al suo Signore che “assume” la persona  stessa del sacerdote per rinnovare il suo Sacrificio. Per il sacerdote la Messa è tutto: è stato ordinato per questo. «Ogni pontefice è destinato a offrire doni e vittime» (Eb 8,3). Il santo Curato d’Ars da vero sacerdote dice: «Io non vorrei essere parroco, ma sono contento di essere prete per poter celebrare la Messa»(17). Molti dicevano che era così assorto in Dio che sembrava un angelo quando celebrava e che si commuoveva fino alle lacrime. L’unione con Dio che aveva durante la giornata si realizzava e si irrobustiva soprattutto durante la santa Messa che è considerato l’atto supremo di contemplazione della Chiesa. «Noi siamo così terreni – dice il santo – che la nostra fede ci indica le cose soprannaturali lontane 300 leghe di distanza, come se Dio fosse al di là dei mari. Se avessimo una fede viva lo vedremmo certamente nell’Eucarestia. Ci sono dei preti che lo contemplano ogni giorno, celebrando la Messa»(18). Allo stesso modo è durante il divino Sacrificio che alimentava il suo desiderio della salvezza delle anime e dei poveri peccatori per strapparli dai lacci del demonio e dalla voragine dell’inferno. «Durante la santa Messa dice il Santo – quando si prega il Signore, che è sull’altare, per i poveri peccatori, Egli dà ad essi raggi di luce, perché scoprano le proprie miserie e si convertano». Si univa veramente alla Vittima dell’altare che lo aiutava ad esercitare una pazienza eroica: «Quanto è bene – diceva – che un prete si offra a Dio ogni mattina in sacrificio». Possiamo affermare che per il santo Curato d’Ars, come per Padre Pio, la Messa era «come il sole che dà luce e forza durante la giornata».
Per sottolineare l’importanza che dava al santo Sacrificio è sufficiente considerare la sua preparazione e il suo ringraziamento, che purtroppo oggi non sono più di “moda”. «Secondo l’avviso del suo confessore – racconta mons. Trochu – tutto ciò che aveva fatto dalla sua levata fino a quel momento (della Messa) poteva essere considerato un’eccellente preparazione», ma egli voleva ancora alcuni minuti per meglio raccogliersi prima della celebrazione. Rimaneva immobile inginocchiato sul pavimento del coro, colle mani giunte e gli occhi fissi al Tabernacolo, e non vi era nulla che fosse capace di distrarlo in quegli istanti di intimità con Dio»(19). Per il ringraziamento don Vianney si recava davanti all’altare in cotta e stola. Racconta il suo biografo: «Vi furono dei pellegrini che non temettero di avvicinarlo anche in questi momenti per scrutarlo con curiosa attenzione, e di scambiare riflessioni sul suo conto; ma egli rimaneva sempre impassibile e sembrava non accorgersi di nulla che succedesse, tanto era assorto in Dio. Non aveva detto egli stesso in uno dei suoi catechismi: “Quando si è fatta la Comunione l’anima si immerge nel balsamo dell’amor di Dio, come l’ape fra i fiori”?».
Il suo amore per la Messa e la liturgia in generale lo si nota anche dal fatto che voleva paramenti e vasi sacri ricchissimi e preziosi: avrebbe voluto un calice d’oro massiccio perché «il più bello che aveva non gli sembrava ancora degno di contenere il Sangue di Gesù Cristo». Se pensiamo a quello che vediamo oggi nelle nostre chiese (sia fuori sia dentro), che cosa direbbe colui che è l’esempio di tutti i sacerdoti?… Purtroppo non solo si è impoverito tutto ciò che fa parte della bellezza esteriore, ma anche – ed è infinitamente più grave – lo stesso rito della santa Messa, che non esprime più la bellezza della fede cattolica, ma anzi «si allontana in modo impressionante sia nel suo insieme come nei particolari dalla teologia cattolica della Santa Messa» (20). L’esempio per tutti i sacerdoti ci invita con la Chiesa a fare della Messa il centro della nostra vita e considerarla il più grande beneficio. «Tutte le buone opere insieme non equivalgono al santo sacrificio della Messa: esse, infatti sono opere degli uomini, mentre la messa è opera di Dio. Il martirio è nulla in suo confronto: è l’uomo che sacrifica a Dio la sua vita, ma la Messa è Dio che sacrifica all’uomo il suo Corpo e il suo Sangue».
LA LOTTA COL DEMONIO
Il nuovo sacerdote secolarizzato, illanguidendo o perdendo la fede, non solo perde il senso e la necessità dell’unione con Dio e i suoi angeli, ma anche la realtà della lotta con il demonio. «Siate sobri e vigilate, perché il vostro avversario, il diavolo, vi gira attorno come un leone ruggente, cercando chi divorare», ci insegna il primo Papa (1 Pt 5,8). Per molti sacerdoti le realtà del demonio e dell’inferno o non esistono più o non bisogna dar loro importanza. Tutti si salvano, tranne forse alcuni casi eccezionali. Anche il messaggio della Madonna a Fatima del 1917, riconosciuto dalla Chiesa, sembra non abbia avuto successo. In questo clima di pacifismo sembra si sia voluti fare la “pace” anche con il demonio e per conseguenza si è perso progressivamente quello spirito di lotta che ha caratterizzato la Chiesa “militante” per duemila anni. Perché dal Papa Leone XIII è stata introdotta alla fine della messa la preghiera a san Michele Arcangelo, Principe delle milizie celesti, per poi toglierla con la nuova messa? Il santo Curato e altri santi sacerdoti come Padre Pio hanno dovuto lottare contro il demonio anche fisicamente. Per circa trentacinque anni, dal 1824 al 1858, fu in preda alle ossessioni esterne del Maligno. Ma «le lotte di don Vianney col demonio – ci dice Caterina Lasagne – contribuirono a rendere la sua carità più viva e più disinteressata»(21). D’improvviso in mezzo al più profondo silenzio della notte si udivano rumori contro la porta, mentre forti grida risuonavano nel cortile. Satana giunse fino a bruciare il suo letto. All’inizio, certo, c’era un po’ di paura nei confronti del “Grappino” – soprannome dato dal Santo – ma poi prese l’abitudine di queste persecuzioni infernali. Si affidava a Dio, faceva il segno della Croce rivolgendo qualche parola di disprezzo. «Se il maligno non mi lascia in pace – diceva – è buon segno… la pesca del giorno seguente sarà senza dubbio eccellente… Il “Grappino” è una gran bestia: mi dice lui quando verranno i grandi peccatori: è in collera, tanto meglio!»(22). In effetti il giorno dopo c’era sempre qualche grande peccatore che si convertiva al suo confessionale.
Il 23 gennaio 1840, sempre nel tribunale della confessione, avvenne qualcosa di eccezionale. Una donna che non aveva dato nessun segno di possessione diabolica incominciò a parlare con voce stridula e forte tanto che i presenti potevano ascoltare tutto quello avveniva tra il santo Curato e la penitente: «Leva la tua mano ed assolvimi… – disse la donna. Tu quis es? (chi sei tu?) – domandò il Santo. Magister Caput (cioè il capo), rispose il demonio. Poi continuando la sua risposta in francese, aggiunse: “Ah, rospo nero, quanto mi fai soffrire! Ci sono dei rospi neri che mi fanno soffrire meno di te…Ti avrò! Non sei ancora morto… Senza quella… (e qui una volgarità ripugnante indicava la Santissima Vergine) che è lassù noi ti avremmo; ma Ella ti protegge con questo grande dragone (San Michele) che è alla porta della tua chiesa… Dimmi, perché ti alzi così presto al mattino? Perchè predichi in un modo così semplice? Perché non predichi in un modo più elevato come nelle città?…»(23). A noi, in rapporto alle cose dette prima, di trarre le debite conclusioni e di vedere il sacerdote come il ministro della chiesa “militante” che lotta contro il demonio e contro il peccato e non solo contro la fame nel mondo, la droga, l’inquinamento, ecc…
IL SEGRETO DELLA RIUSCITA
Il “successo” sacerdotale ed in particolare pastorale ha un segreto: la sua devozione alla Santa Vergine, Madre del Sacerdozio. «Tutti i santi l’hanno amata la Madonna – dice mons. Trochu – ma pochi hanno potuto superare san Giovanni Maria Vianney». Lo stesso demonio, come abbiamo visto, afferma la grande protezione di Maria nei confronti del santo. Questa devozione inizia all’età di quattro anni, quando sua mamma gli dona in regalo una statuetta della Vergine Maria. A settanta anni di distanza ricorderà questa statua dicendo: «Quanto l’amavo!… Non potevo separarmene né giorno né notte, e non avrei neppure potuto dormire tranquillo, se non l’avessi avuta vicino a me nel mio lettino… La Santa Vergine raccolse la mia prima affezione; l’ho amata ancora prima di conoscerla»(24). Il suo amore della Madonna lo esprimeva con la recita assidua della corona del Rosario, che distribuiva a tutti. «Come era commovente – scrive don Raymond – vedere questi uomini dai capelli bianchi che da tempo avevano disertato la chiesa, trascurata la preghiera e la devozione alla Santa Vergine, tenere fieramente il Rosario in mano e recitarlo con fervore! Nessuno di loro poté resistere alle ingiunzioni del Santo Sacerdote, che comandava a tutti di portare con sé un Rosario e di recitarlo. Invano gli obbiettavano che non ne conoscevano più l’uso, e che, dopo tutto, si sapeva leggere… “Amico mio”,  rispondeva il Curato, “un buon cristiano è sempre munito della sua corona; io non la lascio mai. Compratene una ed io le applicherò le indulgenze delle quali avete così grande bisogno, per supplire a una troppo debole penitenza”. Nella maggior parte dei casi agli uomini regalava una corona e tutti l’accettavano come un prezioso ricordo»(25). Eppure oggi diversi rettori e professori di seminario non consigliano più questa preghiera, che per il Magistero della Chiesa (a seguito anche delle apparizioni della Madonna di Lourdes e Fatima) è fondamentale.
Ma ciò che veramente ha contribuito a trasformare gli abitanti di Ars è stata la consacrazione solenne di tutti i parrocchiani a Maria Immacolata “Concepita senza peccato”, domenica 1° maggio 1836. Durante la cerimonia depone la lista dei suoi parrocchiani nel cuore in argento dorato, regalato da una signora di Ars, all’entrata della cappella della Santa Vergine. A questo evento il santo sacerdote dava una importanza particolare. Infatti mise vicino alla cappella della Madonna un quadro, che ricorda la cerimonia. Ogni famiglia aveva un “memento”: una immagine della Madonna sotto la quale ogni padre di famiglia scriveva la consacrazione. Il Curato la firmava e ognuno se la portava a casa. Nel 1927, afferma mons. Convert, se ne trovano ancora molte nelle famiglie. Più tardi i pellegrini che venivano ad Ars volevano possedere queste immagini, scrivere la loro consacrazione ed avere la firma del santo Curato. «Quante consacrazioni ha firmato! – dice un testimone – per la fiducia che aveva nella Madre celeste ne firmò tantissime». Affermava che non la si invoca mai invano, che Ella è tutta misericordia e amore per i poveri peccatori che ricorrono a Lei: diceva spesso che gli piaceva ringraziare Nostro Signore che aveva preso un così buon Cuore per i peccatori e soprattutto che ne aveva dato uno tanto buono alla sua santa Madre. Ha anche confessato «che consacrava i suoi parrocchiani alla Santa Vergine molte volte durante la notte; e tutti quelli, diceva, che andavano a lui per confessarsi, erano messi nel numero dei suoi parrocchiani». Don Toccanier dirà: «Il Curato offriva spesso la sua parrocchia alla Santa Vergine»(26). Prendiamo esempio dal nostro santo per far trionfare al più presto il Cuore Immacolato di Maria che è «così pieno di tenerezza per noi che i cuori di tutte le madri del mondo messi assieme non sono che un pezzo di ghiaccio in confronto al suo»(27).
CONCLUSIONE
Sappiamo bene che l’unico vero rimedio per l’uomo che porta in sé le conseguenze del peccato originale ha un solo nome: Gesù Cristo, il Sacerdote. Ed Egli continua la sua missione attraverso coloro che partecipano al suo sacerdozio ricevendo il sacramento dell’Ordine. Ma questa opera non si può veramente realizzare se al sacerdozio viene data un’altra orientazione. La missione del sacerdote è quella di Gesù Cristo: la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Gesù ha realizzato questa missione in particolare con il Sacrificio del Calvario, il sacerdote lo fa attraverso la santa Messa che è la rinnovazione dello stesso e unico Sacrificio. Ora, i nuovi sacerdoti devono celebrare una nuova messa (novus ordo missae) che non esprime più in modo chiaro questo sacrificio e si orienta (anche fisicamente) non più veramente verso la gloria di Dio ma verso l’uomo (l’assemblea), offrendo non più l’Ostia immacolata, ma i frutti della terra e del lavoro dell’uomo (vedi il nuovo offertorio della Messa). In questo modo la loro missione cambia orientamento avendo come fine principale non più Dio ma l’uomo. Come dice il Concilio Vaticano II la Chiesa è al «servizio dell’uomo» (Gaudium et spes,n. 3) e il sacerdozio (Presbyterorum ordinis) è orientato prima di tutto verso il corpo mistico (i fedeli) e non verso il Corpo di Cristo (Dio)(28). «L’ordine della finalità – afferma mons. Lefebvre – è stato invertito: il sacerdozio ha un fine primario che è quello di offrire il sacrificio, e un fine secondario che è l’evangelizzazione. Abbiamo numerosi esempi che mostrano sino a qual punto l’evangelizzazione prenda il sopravvento sul sacrificio e sui sacramenti. È fine a se stessa. Tale grave errore ha conseguenze tragiche: l’evangelizzazione, divelta dal suo scopo, risulterà disorientata, cercherà dei motivi che piacciono al mondo, quali la falsa giustizia sociale, la falsa libertà che si bardano di nomi nuovi: sviluppo, progresso, costruzione del mondo, miglioramento delle condizioni di vita, pacifismo»(29).
In questo modo il sacerdote facilmente perde di vista l’importanza dell’unione a Dio, della dimensione soprannaturale e della preghiera manifestata anche dal fatto che il breviario è ridotto ad un quarto di quello precedente la riforma. La salvezza delle anime si trasforma facilmente in un servizio sociale. In questa nuova visione, certo, imitare il santo Curato d’Ars diventa molto complicato se non impossibile a meno che si cambi la formazione nei seminari o si diventi dei “preti refrattari” come al tempo del nostro Santo per cercare di seguire la strada e la missione perenne della Chiesa e del suo Sacerdozio. È ciò che ha fatto mons. Lefebvre, il “Vescovo refrattario”, per trasmettere e salvare il sacerdozio cattolico. A lui penso sia doveroso dare un ringraziamento particolare in questo “anno sacerdotale”. Solo così ci può essere speranza di guarire il sacerdozio e la società dalla peste della secolarizzazione e formare sulla terra il vero regno di Dio. Allora i sacerdoti facilmente sapranno chi sono, che cosa devono fare e magari saranno anche più numerosi dei dentisti, psicologi e commercialisti…
Note
(1) GIAN PAOLO SALVINI, Il clero in Italia: timori e speranze, in «La Civiltà Cattolica», 2006, quad. 3735,  p.243.
(2) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars – San Giovanni Maria Battista Vianney (1786 – 1859), Torino-Roma, 1937, p.13.
(3) SANTO CURATO D’ARS, Pensieri scelti e fioretti, a cura di Janine Frossard, 1999, p. 76.
(4) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., p.107
(5) I sacerdoti “refrattari” a differenza di quelli “giurati” erano coloro che non giuravano fedeltà alla Costituzione Civile del Clero del 26 novembre del 1790.
(6) SANTO CURATO D’ARS, Pensieri scelti e fioretti, cit., p. 77.
(7) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., p. 496
(8) Ibidem, p. 379.
(9) Ibidem, p. 379
(10) Ibidem, p. 381
(11) Ibidem, p. 381
(12) Summa Theologica II II, q. 182, art. 1.
(13) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., pp. 134-135.
(14) Ibidem, p. 140.
(15) Ibidem, p. 535.
(16) Ibidem, p. 541 – Lettera del P. Maurizio Maria Borel certosino, indirizzata all’abate Toccanier, in data 15 settembre 1865.
(17) Ibidem, p. 363.
(18) Ibidem, p. 593.
(19) Ibidem, p. 364.
(20) Breve esame critico del Novus Ordo Missae.
(21) MONS. TROCHU, Il Curato d’Ars, cit., p. 270.
(22) Ibidem, p. 275.
(23) Ibidem p. 289.
(24) Ibidem, p. 9.
(25) Ibidem, p. 338.
(26) Lettre aux amis de saint Francois, n. 26, 10 febbraio 2009, p. 6.
(27) SANTO CURATO D’ARS, Pensieri scelti e fioretti, cit., p. 91.
(28) Per quello che riguarda le variazioni nel sacramento dell’Ordine vedere lo studio sul documento Presbyterorum Ordinis nella rivista Nouvelles de Chretientè, n. 92-93, 2005, Du déréglement dans l’Ordre ou le sacrement de l’Ordre à Vatican II, dell’abbé Chautard.
(29) MONS. LEFEBVRE, Lettera aperta ai cattolici perplessi, pp. 58-59.
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Magistero integrale Benedetto XVI Solennità di Pentecoste
Magistero integrale Benedetto XVI Solennità di Pentecoste
SANTA MESSA CON ORDINAZIONI PRESBITERALI – Solennità di Pentecoste OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI Basilica di San PietroDomenica di Pentecoste, 15 maggio 2005  La prima lettura ed il Vangelo della Domenica di Pentecoste ci presentano due grandi immagini della missione dello Spirito Santo. La lettura degli Atti degli Apostoli narra come, il giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo, sotto i…
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San Giovanni Paolo II :Grazie a una mano materna! Perdono il mio Fratello!
Quarant’anni fa, il 13 maggio 1981, Giovanni Paolo II scampava al drammatico attentato in piazza san Pietro Laura De Luca – Città del Vaticano
Nella festa della Madonna di Fatima, il 13 maggio 1981, si compì il drammatico attentato da cui però Giovanni Paolo II riuscì ad avere salva la vita. Un misterioso, invisibile legame unisce il terzo segreto, i drammatici eventi del XX secolo, la parabola spirituale e storica del Papa che visse sulla sua pelle le peggiori dittature del Novecento, restando però incrollabile nella fede…
Impietriti, come se fossimo presenti, abbiamo riudito gli spari del tragico attentato in Piazza San Pietro del 13 maggio 1981.
Ascolta la voce di Benedetto XVI Così Papa Benedetto XVI il 30 marzo 2006, al termine della proiezione di un film dedicato alla vita di Karol Wojtyla. Impossibile non rivivere quell’evento, anche semplicemente nella memoria, senza un analogo impietrimento. Che si coglie anche nelle sfumature della voce dei cronisti di allora. Ecco per esempio padre Roberto Tucci.
Qui vi parla il padre Tucci dai microfoni della Radio Vaticana in piazza san Pietro. Come il collega Nardacci vi ha informato, verso le 17.17 si è sentita una serie di spari in rapida successione e si è visto il Santo Padre vacillare e accasciarsi tra le braccia del segretario particolare don Stansilao Dziwisz e del signor Angelo Gugel…
Il racconto di padre Tucci Qualcuno avrebbe dunque voluto spegnerla, la voce del Papa. E invece, solo cinque giorni dopo, come sempre dai microfoni della Radio Vaticana, alle 12 in punto, per la recita della preghiera mariana quella voce tornò a farsi sentire…
Carissimi fratelli e sorelle, So che in questi giorni e specialmente in quest’ora del Regina Coeli siete uniti con me. Vi ringrazio commosso per le vostre preghiere e tutti vi benedico. Sono particolarmente vicino alle due persone ferite insieme con me. Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato. Unito a Cristo, Sacerdote e Vittima, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo. A Te Maria ripeto: “Totus tuus ego sum”.
Giovanni Paolo II e il perdono Debole la voce, fortissima l’intenzione spirituale. E tra i primi pensieri del Papa ancora convalescente, il perdono. Tornavano intanto, nelle coscienze dei fedeli, le prime frasi captate dalla radio nell’immediatezza dei fatti. Così dalla voce del radiocronista Benedetto Nardacci:
Come avrete sentito i vescovi presenti all’udienza, i prelati che erano presenti all’udienza hanno invitato la folla a pregare per la salute del Papa. Sembra che il Santo Padre sia stato raggiunto almeno da un proiettile all’addome. Mi pare che quelle pantere dei carabinieri e della polizia scortassero l’ambulanza che, vi avevo detto prima, era entrata in Vaticano… L’ambulanza dovrebbe aver preso a bordo il Santo Padre e dovrebbe essere scortata da quelle gazzelle, da quelle pantere delle forze dell’ordine verso il Policlinico Gemelli. Così mi pare, ma non è che io possa confermare questa notizia, io mi trovo in piazza…
La radiocronaca di Benedetto Nardacci Dell’attentato, Giovanni Paolo II parlò ancora al Regina Coeli della domenica successiva, il 24 maggio 1981, sempre dal letto del Policlinico Gemelli. E il pensiero spirituale stavolta portò con sé una dedica a una precisa categoria di persone….
Quando, all’indomani della mia elezione alla Cattedra di Pietro, venni per una visita al Policlinico Gemelli, dissi di voler “appoggiare il mio ministero papale soprattutto su quelli che soffrono”. La Provvidenza ha disposto che al Policlinico Gemelli ritornassi da malato. Riaffermo ora la medesima convinzione di allora: la sofferenza, accettata in unione con Cristo sofferente, ha una sua efficacia impareggiabile per l’attuazione del disegno divino della salvezza. (…) Invito tutti gli ammalati ad unirsi con me nell’offerta a Cristo dei loro patimenti per il bene della Chiesa e dell’umanità. Maria santissima ci sia di sostegno e di conforto.  Estendo poi il mio cordiale saluto a tutti coloro che sono uniti con me nella preghiera e a quanti in questi giorni mi hanno fatto pervenire la testimonianza del loro affetto e, mentre li ringrazio di questa spirituale vicinanza, li assicuro del mio ricordo nel Signore.
Giovanni Paolo II e i malati Un anno dopo il Papa annuncia i suo viaggio in Portogallo. Si era già delineato il filo rosso che legava l’attentato del 13 maggio con il terzo segreto di Fatima…
…mi recherò, per grazia di Dio, a Fatima il 13 maggio, nel contesto della visita alla Chiesa in Portogallo. Desidero in questo modo rispondere al cortese invito rivoltomi dal Presidente della Repubblica a nome della Nazione, e dal Cardinale e dall’Episcopato della Chiesa in quel nobile Paese di grandi tradizioni cattoliche. Approfittando di tale invito, desidero soprattutto rispondere al bisogno del cuore, che mi spinge a recarmi, nel primo anniversario dell’attentato alla mia persona, ai piedi della Madre di Dio a Fatima, per ringraziarla del suo intervento per la salvezza della mia vita e per il ricupero della salute.
L'annuncio del viaggio a Fatima Spiegherà questo nesso fra l’attentato, il terzo segreto di Fatima e la mano protettrice di Maria il cardinale allora Segretario di Stato Angelo Sodano, in occasione del viaggio di Giovanni Paolo II in Portogallo dell’anno 2000. Durante il Grande Giubileo, il Papa sarà a Fatima per beatificare Francisco e Giacinta, i due veggenti morti bambini, mentre Lucia dos Santos è ancora in vita…
Dopo l'attentato del 13 maggio 1981, a Sua Santità apparve chiaro che era stata "una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola", permettendo al "Papa agonizzante" di fermarsi "sulla soglia della morte". In occasione di un passaggio da Roma dell'allora Vescovo di Leiria-Fátima, il Papa decise di consegnargli la pallottola, che era rimasta nella jeep dopo l'attentato, perché fosse custodita nel Santuario. Per iniziativa del Vescovo essa fu poi incastonata nella corona della statua della Madonna di Fatima.
Le parole del cardinale Angelo Sodano Nel suo viaggio in Portogallo di dieci anni dopo, il 12 maggio 2010 Papa Benedetto XVI ricorda l’evento durante la visita alla cappellina delle apparizioni e in questi termini si rivolge a Maria…
Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II, che ti ha visitato per tre volte, qui a Fatima, e ha ringraziato quella «mano invisibile» che lo ha liberato dalla morte nell’attentato del tredici maggio, in Piazza San Pietro, quasi trenta anni fa, ha voluto offrire al Santuario di Fatima un proiettile che lo ha ferito gravemente e fu posto nella tua corona di Regina della Pace.
È di profonda consolazione sapere che tu sei coronata non soltanto con l’argento e l’oro delle nostre gioie e speranze, ma anche con il «proiettile» delle nostre preoccupazioni e sofferenze.
La preghiera di Benedetto XVI Ma la parola chiave di tutta questa vicenda, riassuntiva di tanti conflitti e persecuzioni del XX secolo, è ancora una volta lo stesso Giovanni Paolo II a ripeterla. Visita a Rebibbia del 27 dicembre 1983. In quella occasione in cui celebrerà Messa per i detenuti e le detenute incontrerà anche il suo attentatore. Ma le parole di quell’incontro resteranno segrete. Non così il fatto di quell’incontro. Di quel perdono
Visita a Rebibbia, incontro con le detenute:
Oggi ho potuto incontrare anche la persona che voi tutte e tutti conoscete, di nome, Ali Agca, che nell’anno 1981 , il 13 maggio, ha attentato alla mia vita. Ma la Provvidenza ha condotto le cose in una maniera sua, direi eccezionale, direi anche meravigliosa. Penso che anche l’incontro di oggi, nel contesto nella cornice dell’Anno della Redenzione, è provvidenziale. Non è stato pianificato, programmato: è venuto. E il signore mi ha dato, come penso anche a lui, la grazia di poterci incontrare da uomini e da fratelli, perché tutti siamo fratelli e tutte le vicende della nostra vita devono confermare quella fratellanza che proviene dal fatto che Dio è nostro padre…
Tutti siamo fratelli... Ascolta la puntata integrale de “Le voci dei Papi” in onda domenica 9 maggio su Radio Vaticana
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-05/papa-giovanni-paolo-ii-attentato-anniversario-fatima.html
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Vaticano, Tarcisio Bertone vivrà nel suo super attico. Qualunque sarà la sentenza finale di Francesco Antonio Grana, vaticanista Sabato prossimo, 14 ottobre, in nome di Sua Santità papa Francesco sarà emessa la sentenza del processo penale di primo grado sulla ristrutturazione del mega attico del cardinale Tarcisio Bertone. L’accusa del pm vaticano è di peculato per distrazione dei fondi della Fondazione Bambino Gesù utilizzati per i lavori di sistemazione dell’appartamento del Segretario di Stato di Benedetto XVI. Ben 422mila euro, fatture alla mano, per rendere confortevole la dimora, tutt’altro che modesta, del porporato salesiano. Al di là di quella che sarà la sentenza penale, non calerà il sipario su questa triste vicenda (per usare un eufemismo) che ha macchiato indelebilmente il Vaticano, aggiungendosi a tanti altri gravi scandali degli ultimi decenni, il pontificato di Joseph Ratzinger e la congregazione religiosa dei salesiani, di cui Bertone è uno dei maggiori esponenti. Qualunque sarà la sorte degli imputati, Bertone continuerà a vivere tranquillamente e indisturbato nel suo mega attico e nessuno gliene chiederà conto. Nessuno gli intimerà lo sfratto, magari facendogli subentrare numerose famiglie di profughi che bussano alle porte dell’Europa fuggendo da violenze, guerre, fame e persecuzioni. Dov’è, dunque, la trasparenza che si invocava all’inizio di questo processo penale? Dove è la soluzione allo scandalo? Dov’è la sentenza riparatoria? Non sarebbe stato molto più semplice sfrattare l’illustre inquilino e riequilibrare uno dei peggiori scandali degli ultimi anni? E allora perché ostinarsi a vivere all’interno dei sacri palazzi? Perché davanti allo scandalo mediatico scoppiato urbi et orbi non ha pensato di correre ai ripari lasciando l’attico con un gesto riparatorio che lo avrebbe sicuramente nobilitato? E ancora: perché nessuno glielo ha chiesto? E perché oggi nessuno glielo chiede? Solo così sarà fatta davvero giustizia. Non a parole, ma coi fatti.
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giancarlonicoli · 6 years
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27 MAR 2019 15:31
''SE AVESSI CONOSCIUTO GLI INTESTATARI DEI CONTI IOR, SAREI MORTO''. LA SECONDA, CLAMOROSA, INTERVISTA DELLE ''IENE'' A GOTTI TEDESCHI, EX BANCHIERE DI DIO, E QUEI 4 CONTI LEGATI ALLA FONDAZIONE MONTE DEI PASCHI. DAVID ROSSI PRIMA DI FINIRE GIÙ DALLA FINESTRA SI STAVA FACENDO RISTRUTTURARE LA CASA DALLA DITTA CHE FACEVA I LAVORI PER LO IOR E NELLE BASILICHE DI ROMA. COME MAI ARRIVAVA FINO A SIENA? FORSE PERCHÉ ROSSI FACEVA ANCHE LO SPALLONE DI FONDI NERI TRA IOR E MPS?
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VIDEO: L'INTERVISTA INTEGRALE A ETTORE GOTTI TEDESCHI
https://www.iene.mediaset.it/2019/news/david-rossi-ior-gotti-tedeschi-vaticano-nomi-pericolosi-morte_359671.shtml
Da www.iene.it, servizio a cura di Marco Occhipinti e Antonino Monteleone
“Mi sono sempre rifiutato di vedere i conti per non trovarmi un giorno in imbarazzo di fronte a un giudice che mi domanda: ‘che lei sappia ci sono questi conti’?'”. Continua l’inchiesta di Antonino Monteleone e Marco Occhipinti sul caso David Rossi, dopo lo Speciale Iene di giovedì 21 marzo, con nuove eclatanti rivelazioni da parte di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior, la banca del Vaticano, tra il 2009 e 2012.
David Rossi, ex capo della comunicazione della banca Monte dei Paschi di Siena, vola giù dalla finestra del suo ufficio, al terzo piano della sede centrale della banca, il 6 marzo 2013. Si è trattato di suicidio, come stabilito con due archiviazioni dalla magistratura, o è stato ucciso, come sostiene la famiglia?
Nello speciale, che vi riproponiamo qui sotto nelle sei parti in cui è diviso (clicca qui per vederlo integralmente), abbiamo ripercorso tutti i dubbi che avvolgono la morte di David Rossi, dai quelli sul video della sua caduta mortale ai dubbi su alcuni aspetti delle indagini, ascoltando anche la testimone Lorenza Pieraccini, che dice di non essere mai stata sentita dalla Procura, come invece risulta agli atti, e valutando la storia dei festini a base di sesso e droga raccontata da un escort. Fino alle clamorose rivelazioni fatte proprio dall’ex presidente della banca del Vaticano, che ha parlato non solo della possibile esistenza di tangenti e soldi sporchi, ma ha addirittura lasciato intendere che uomini interni alla Curia vaticana potrebbero essere capaci anche di commissionare un delitto.
È proprio Gotti Tedeschi a fare nuove clamorose dichiarazioni nell’intervista che vedete qui sopra. Nel primo incontro tra la Iena e l’ex presidente dello Ior, Monteleone gli ha chiesto dei quattro conti correnti che sarebbero stati aperti presso la banca del Vaticano e che sarebbero riconducibili a uomini della Fondazione Mps. “Credo che fosse vero”, risponde l’ex presidente dello Ior sull’esistenza di questi conti. “Sono tangenti mi pare evidente”, dice, come avete visto nella sesta parte dello speciale che abbiamo dedicato al caso.
Dopo la prima intervista, Antonino Monteleone è tornato da Gotti Tedeschi, per capire come fosse possibile che l’allora presidente dello Ior non sapesse nulla sulla presunta esistenza di quei conti. Le dichiarazioni di Gotti Tedeschi a riguardo sono davvero clamorose.
“Mi sono sempre rifiutato di vedere i conti”, dice Gotti Tedeschi alla Iena. Come faceva a non occuparsi di tutti i conti e della loro provenienza, proprio lui che, come ci ha detto nell’ultima intervista, era stato chiamato da Papa Benedetto XVI per “ripulire lo Ior”? “Io non ho mai voluto vederli. Non era il mio compito”, risponde l’ex presidente. “Il mio incarico era di attuare le necessarie procedure per fare trasparenza, e mi fu anche detto: ‘lascia proprio stare la curiosità naturale di guardare di chi sono i conti’, infatti io non volli mai sapere”.
E perché non ha mai voluto sapere? “Se tu hai visto i conti e dici al giudice di chi erano i conti, quelli veri, la tua famiglia dove la metti?”, dice Gotti Tedeschi alla Iena. “A proteggerla, ci vuole il più grande sistema di protezione che si possa immaginare” e nomina il giornalista Mino Pecorelli. “Si ricorda perché è morto?”, chiede a Monteleone. “Ha messo le mani su che cosa? Sui nomi”. Monteleone gli fa notare che sapere chi ha i soldi allo Ior è un potere.“Sarei morto”, risponde l��ex presidente della banca del Vaticano.
Perché le dichiarazioni di Ettore Gotti Tedeschi sono così rilevanti? Primo perché mentre era presidente dello Ior, Gotti Tedeschi era stato a capo per l’Italia di Santander e partecipò all'acquisto per conto di quell’istituto della Banca Antonveneta, che è stata poi rivenduta nel 2007 a Monte dei Paschi innescando ripercussioni negative a catena sulla banca senese che venne travolta da una bufera mediatica e finanziaria. Quella durante la quale muore David Rossi, volando giù dalla finestra del suo ufficio.
L’ex presidente dello Ior, nell’ultima intervista andata in onda, ci ha detto di non ricordarsi di lui. Su una foto scattata dalla polizia scientifica il giorno del dissequestro dell’ufficio di David si vede un biglietto sulla scrivania con scritto a penna il nome "Ettore Gotti Tedeschi" e il suo numero di cellulare. I due si dovevano parlare? Nel caso, chi aveva cercato chi e, soprattutto, perché l’allora capo dell’area comunicazione di Mps doveva parlare con il presidente dello Ior?
Si tratta solo di una coincidenza? Davvero Ettore Gotti Tedeschi non conosceva David Rossi? Esistevano davvero quattro conti riconducibili a uomini della Fondazione presso lo Ior? E chi poteva sapere i nomi legati a quei conti? Sono solo alcuni dei dubbi che legherebbero il Monte dei Paschi e David Rossi alla banca del Papa.
Ecco per esteso l'intervista inedita a Ettore Gotti Tedeschi.
“Mi sono sempre rifiutato di vedere i conti proprio per questa ragione. Per non trovarmi un giorno in imbarazzo di fronte a un giudice che mi domanda che lei sappia ci sono questi conti? Io non ho mai voluto vederli".
Cioè è come se lei fosse un pilota di Formula 1 che si rifiuta di guardare cosa c’è nel cofano della sua monoposto?
"Esattamente”.
È un po’ spericolata come cosa.
"Non era il mio compito. Primo perché non sono un meccanico, se anche avessi aperto il cassone, avrei dovuto avere competenza per la meccanica. Io so guidare la Formula 1. Non significa saper cambiare le gomme".
Però siccome è lei che guida...
"Ho avuto un incarico…estremamente preciso, direttamente dal Papa. Quello di attuare le necessarie procedure, per fare la trasparenza. E mi fu anche detto lascia proprio stare la curiosità naturale di guardare di chi sono i conti, infatti io non volli mai sapere".
Però c’è una cosa che lei mi ha detto, io non volevo sapere chi erano i nomi, perché…
"Su questo non deve dubitare…".
"No no non dubito…".
"E non li so!".
Ma se io avessi avuto un mandato da Sua Santità Benedetto XVI di…
"Eh, come è stato…".
Io ho bisogno di ripulire questo istituto. Come si concilia il mandato per la trasparenza assoluta senza entrare a gamba tesa su chi ci ha messo i soldi.
"No no no… le rispondo, a poco a poco dal 2001 al 2008 sono stati chiusi tutti i paradisi fiscali nei Paesi, chiamiamoli democratici, non canaglia. va bene? si ricorda San Marino?
Certo…
"Bene. Quale era l’unico e ultimo aperto? Quello all’interno dello stato della Città del Vaticano. Benedetto dice: se noi non ottemperiamo ai criteri di massima trasparenza esemplare, mettiamo a repentaglio la credibilità della Chiesa e del Papa. Dottore vada, faccia quello che deve fare. Santità, devo fare una legge antiriciclaggio. Devo fare delle procedure e un’autorità di controllo che controlli che le procedure alla lettera vengano applicate. Vada! Cosa ho detto: come faccio io a evitare che ci siano dei conti intestati a chi non devono essere intestati? Transazioni che non devono essere fatte, cosa faccio? Senza voler andare a vedere chi li ha fatti fino al giorno prima. Faccio una legge che dice: da oggi chi li fa è un fuorilegge. Ma ha capito?"
In questo modo come si fa a sapere: noi abbiamo i soldi della mafia nelle casse dello Ior?
"Ma non voglio saperlo!".
Eh però se vogliamo toglierli quei soldi bisogna saperlo se ci sono, sennò ce li teniamo, è un gioco strano.
"No, lei mi sta chiedendo delle cose talmente, scusi eh, per me talmente semplici e banali. Io non dovevo guardare i conti. Non dovevo".
Ma chi li guardava?
L’unica persona al mondo che io sappia che conoscesse i conti di chi erano era Cipriani, Tulli e Mattietti.
Qui Gotti Tedeschi sostiene che gli unici a sapere di chi erano i conti fossero l’ex direttore aggiunto dello Ior Giulio Mattietti, licenziato nel 2017 con l’accusa di avere tradito la fiducia del Papa. E insieme a lui Paolo Cipriani, ex direttore generale, e Massimo Tulli, il suo vice. Entrambi condannati a risarcire 47 milioni allo Ior per danni in primo grado. Mentre Gotti Tedeschi, che era il Presidente, afferma che di chi fossero quei conti non ne avrebbe saputo niente.
Ma perché lei rinuncia ad avere informazioni che ha una figura all’interno dell’istituto che le è sottoposta.
"Allora stia a sentire. Lei fa il giornalista d’inchiesta, si ricorda perché è morto Mino Pecorelli? si ricorda chi era?".
Sì certo faceva…
"Si ricorda perché è morto? ha messo le mani su che cosa? sui nomi. allora..."
Cioè lei mi sta dicendo che chi mette le mani sui nomi schiatta.
"Cosa mi viene detto? me lo ricordo come se fosse adesso: non volere mai sapere, non andare a cercare... se ti vengono a dire le facciamo vedere rifiutati di vedere. Per due ragioni. La prima, che prima o poi succederà uno scandalo allo Ior, tu verresti immediatamente interrogato. Ti dicono lei ha guardato i conti? Tu dici: sì che l’ho guardati. Allora ci dica di chi sono i conti. Oppure tu dici non li ho guardati, hai mentito perché li hai guardati, in tutti e due i casi tu sei morto. se tu hai visto i conti…"
Professionalmente?
"… e dici al giudice di chi erano i conti, quelli veri, la tua famiglia dove la metti? a proteggerla ci vuole il più grande sistema di protezione che si possa immaginare. seconda ipotesi: tu li hai visti ma dici noooo, non li ho visti, ti arrestano, perché sanno perfettamente che li hai visti!"
Tutti pensano di lei, cazzo Gotti Tedeschi sa chi c’ha i soldi allo ior. Cioè, che potenza…
"Sarei morto. non, si potrebbe aver recitato molti requiem…".
Se Gotti Tedeschi fosse stato più spericolato, lei mi dice sarebbe morto...
"Senta…"
Ma morto professionalmente o morto schiattato, cioè morto... morto
"Ehhhhhhh… lei deve riflettere sulla morte di quel giornalista".
Pecorelli.
"Vada a rileggersi i giornali dell’epoca e vada a riflettere, cioè, se lei sa dei nomi e li dice nel modo sbagliato, alla persona sbagliata e questi nomi potrebbero non gradirlo, avere un segreto è un’arma a doppio taglio. Se lei è forte le permette di influenzare gli altri. Se lei è debole o decide di essere debole... lei è morto".
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latinabiz · 3 years
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Il santo del 18 agosto: Sant'Alberto Hurtado Cruchaga 
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Sant'Alberto Hurtado Cruchaga  Alberto Hurtado Cruchaga nacque a Viña del Mar, Cile, il 22 gennaio 1901 e rimase orfano di padre all’età di 4 anni. La madre fu costretta a vendere, a condizioni sfavorevoli, la loro modesta proprietà per pagare i debiti della famiglia. Di conseguenza, Alberto e suo fratello dovettero andare a vivere presso dei parenti e, spesso, trasferirsi dall’uno all’altro di essi: fin da piccolo egli sperimentò dunque la condizione di chi è povero, senza casa e alla mercé degli altri. Una borsa di studio gli diede modo di frequentare il Collegio dei Gesuiti a Santiago dove divenne membro della Congregazione Mariana e, come tale, prese un vivo interesse per i poveri, recandosi presso di loro nei quartieri più miseri ogni domenica pomeriggio. Finiti gli studi secondari nel 1917, avrebbe voluto farsi gesuita; ma gli fu consigliato di rimandare l’attuazione di tale progetto al fine di occuparsi della madre e del fratello più giovane. Lavorando al pomeriggio e alla sera, riuscì a sostenere i suoi e al tempo stesso a frequentare la facoltà di legge dell’Università Cattolica. Anche in tale periodo le sue premure erano rivolte ai poveri che continuava a visitare ogni domenica. L’obbligo del servizio militare gli fece interrompere gli studi, ma una volta congedato, riuscì a laurearsi all’inizio dell’agosto 1923. Il 14 di quello stesso mese entrò nel Noviziato della Compagnia di Gesù a Chillán. Nel 1925 si trasferì a Córdoba, in Argentina ove compì gli studi umanistici. Nel 1927 fu inviato in Spagna per gli studi di filosofia e teologia, senonché, a motivo della soppressione dei Gesuiti, avvenuta in quel Paese nel 1931, dovette partire per il Belgio e continuare la teologia a Lovanio. Ivi fu ordinato sacerdote il 24 agosto 1933 e conseguì poi nel 1935 il dottorato in Pedagogia e Psicologia. Dopo aver compiuto il Terzo Anno di Probazione a Drongen, sempre in Belgio, fece ritorno in Cile nel gennaio 1936. Rientrato nella sua patria, il suo zelo andò gradualmente estendendosi a tutti i campi: iniziò a svolgere la sua attività come professore di religione al Collegio Sant’Ignazio, di pedagogia all’Università Cattolica di Santiago e nel Seminario Pontificio. Scrisse vari saggi sull’educazione come pure sull’ordine sociale cristiano; costruì una casa di Esercizi spirituali in un villaggio che oggi porta il suo nome; fu Direttore della Congregazione Mariana degli studenti, coinvolgendo questi nella catechesi ai poveri; animò innumerevoli corsi di Esercizi spirituali ed offrì la direzione spirituale a molti giovani, accompagnandone parecchi nella loro risposta alla vocazione sacerdotale e contribuendo in modo notevole alla formazione di molti laici cristiani. Nel 1941 il Padre Hurtado pubblicò il suo libro più famoso: «¿Es Chile un país católico? ». Nello stesso anno gli venne affidato l’incarico di Assistente della sezione giovanile dell’Azione Cattolica per l’Arcidiocesi di Santiago, poi, l’anno seguente, per tutta la nazione: impegno da lui svolto con notevole spirito d’iniziativa, dedizione e sacrificio. Nell’ottobre dell’anno 1944, mentre dava un corso di Esercizi, sentì impellente il bisogno di fare appello agli uditori sollecitandoli a pensare ai molti poveri della città e in specie agli innumerevoli bambini che vagabondavano per le strade di Santiago. Questo suscitò una pronta risposta di generosità e costituì l’avvio di quella iniziativa che ha reso specialmente noto il Padre Hurtado: si tratta di quella forma di attività caritativa che provvede alla gente senza tetto non solo un luogo in cui vivere, ma un vero focolare domestico: «El Hogar de Cristo ». Per mezzo dei contributi di benefattori e con l’attiva collaborazione di laici impegnati, il Padre Hurtado aprì una prima casa di accoglienza per i fanciulli poi una per le donne, poi un’altra ancora per gli uomini: i poveri iniziarono così finalmente ad avere nel «Hogar de Cristo » un ambiente di famiglia in cui vivere. Queste case andarono sempre più moltiplicandosi, prendendo anche nuove forme e caratteristiche: in alcuni casi divennero centri di riabilitazione, in altri di educazione artigianale e così via. Il tutto sempre ispirato ai valori cristiani e permeato da essi. Nel 1945, il Padre Hurtado visitò gli Stati Uniti per studiare il movimento «Boys Town» e come adattarlo al suo paese. Gli ultimi sei anni della sua vita furono dedicati allo sviluppo delle varie forme in cui « El Hogar de Cristo » era venuto gradualmente ad esistere ed operare. Nel 1947 il Padre Hurtado fondò l’Associazione Sindacale Cilena (ASICH), indirizzata a promuovere un sindacalismo ispirato alla Dottrina Sociale della Chiesa. Fra il 1947 ed il 1950 scrisse tre importanti libri: sui Sindacati, sull’umanesimo sociale e sull’ordine sociale cristiano. Nel 1951 diede avvio alla rivista «Mensaje », la ben nota rivista dei gesuiti cileni dedicata a far conoscere ed a spiegare la dottrina della Chiesa. Un cancro al pancreas lo portò in pochi mesi alla fine della vita: in mezzo agli atroci dolori fu spesso udito ripetere: « Contento, Signore, contento ». Dopo aver speso l’esistenza manifestando l’amore di Cristo ai poveri, fu da lui chiamato a sé il 18 agosto 1952. Dal ritorno in Cile alla sua morte il Padre Hurtado visse soli quindici anni: furono anni di intenso apostolato, espressione di profondo amore personale per Cristo e, proprio per questo, caratterizzato da una grande dedizione ai bambini poveri ed abbandonati, da uno zelo ardente per la formazione dei laici, e da un vivo senso di giustizia sociale cristiana. Il Padre Hurtado è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1994. Il 23 ottobre del 2005 è stato canonizzato da papa Bendetto XVI di cui si riporta l'omelia (Editrice Vaticana): OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI Piazza San PietroGiornata Missionaria MondialeDomenica, 23 ottobre 2005  Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!Cari fratelli e sorelle! In questa XXX Domenica del tempo ordinario, la nostra Celebrazione eucaristica si arricchisce di diversi motivi di ringraziamento e di supplica a Dio. Si concludono contemporaneamente l’Anno dell’Eucaristia e l’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata proprio al mistero eucaristico nella vita e nella missione della Chiesa, mentre sono stati da poco proclamati santi cinque Beati: il Vescovo Józef Bilczewski, i presbiteri Gaetano Catanoso, Zygmunt Gorazdowski e Alberto Hurtado Cruchaga, e il religioso Cappuccino Felice da Nicosia. Inoltre, ricorre quest’oggi la Giornata Missionaria Mondiale, appuntamento annuale che risveglia nella Comunità ecclesiale lo slancio per la missione. Con gioia rivolgo il mio saluto a tutti i presenti, ai Padri Sinodali in primo luogo, e poi ai pellegrini venuti da varie nazioni, insieme con i loro Pastori, per festeggiare i nuovi Santi. L’odierna liturgia ci invita a contemplare l’Eucaristia come fonte di santità e nutrimento spirituale per la nostra missione nel mondo: questo sommo "dono e mistero" ci manifesta e comunica la pienezza dell’amore di Dio. La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che nell’amore si riassume tutta la legge divina. Il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo racchiude i due aspetti di un unico dinamismo del cuore e della vita. Gesù porta così a compimento la rivelazione antica, non aggiungendo un comandamento inedito, ma realizzando in se stesso e nella propria azione salvifica la sintesi vivente delle due grandi parole dell’antica Alleanza: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore…" e "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (cfr Dt 6,5; Lv 19,18). Nell’Eucaristia noi contempliamo il Sacramento di questa sintesi vivente della legge: Cristo ci consegna in se stesso la piena realizzazione dell’amore per Dio e dell’amore per i fratelli. E questo suo amore Egli ci comunica quando ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue. Può allora realizzarsi in noi quanto san Paolo scrive ai Tessalonicesi nell’odierna seconda Lettura: "Vi siete convertiti, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero" (1 Ts 1,9). Questa conversione è il principio del cammino di santità che il cristiano è chiamato a realizzare nella propria esistenza. Il santo è colui che è talmente affascinato dalla bellezza di Dio e dalla sua perfetta verità da esserne progressivamente trasformato. Per questa bellezza e verità è pronto a rinunciare a tutto, anche a se stesso. Gli basta l’amore di Dio, che sperimenta nel servizio umile e disinteressato del prossimo, specialmente di quanti non sono in grado di ricambiare. Quanto provvidenziale, in questa prospettiva, è il fatto che oggi la Chiesa additi a tutti i suoi membri cinque nuovi Santi che, nutriti di Cristo Pane vivo, si sono convertiti all’amore e ad esso hanno improntato l’intera loro esistenza! In diverse situazioni e con diversi carismi, essi hanno amato il Signore con tutto il cuore e il prossimo come se stessi "così da diventare modello a tutti i credenti" (1 Ts 1,6-7). ….. "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore... Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22, 37 e 39). Questo sarebbe stato il programma di vita di san Alberto Hurtado, che volle identificarsi con il Signore e amare con il suo stesso amore i poveri. La formazione ricevuta nella Compagnia di Gesù, consolidata dalla preghiera e dall'adorazione dell'Eucaristia, lo portò a farsi conquistare da Cristo, poiché era un vero contemplativo nell'azione. Nell'amore e nel dono totale di sé alla volontà di Dio trovò la forza per l'apostolato. Fondò El Hogar de Cristo per i più bisognosi e i senzatetto, offrendo loro un ambiente familiare pieno di calore umano. Nel suo ministero sacerdotale si distinse per la sua semplicità e la sua disponibilità verso gli altri, essendo un'immagine viva del Maestro, "mite e umile di cuore". Alla fine dei suoi giorni, tra i forti dolori causati dalla malattia, ebbe ancora forze per ripetere:  "Contento, Signore, contento", esprimendo così la gioia con la quale visse sempre. Read the full article
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