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Tour de France. di Robert Capa e altri fotografi della Magnum
I maestri dell’immagine dell’agenzia magnum esplorano la dimensione umana del ciclismo, con l’occhio al Tour de France
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Trieste, la mostra fotografica "Il Mosaico in bianco e nero"
Trieste, la mostra fotografica "Il Mosaico in bianco e nero". Allestita a Trieste, nella suggestiva e centrale "cornice" del Civico Museo Sartorio (Largo Papa Giovanni XXIII, 1), nel segno della collaborazione tra i Comuni di Trieste e Spilimbergo, il CRAF (Centro di ricerca e archiviazione della fotografia) e la spilimberghese Scuola mosaicisti del Friuli, è stata inaugurata e presentata ufficialmente giovedì 1 dicembre. La mostra fotografica "Il Mosaico in bianco e nero", un’esposizione che indaga e ripercorre la quotidianità del mosaico e dei mosaicisti, in un’arte che diventa cultura. L'esposizione si compone di quaranta fotografie originali d’autore (Antonio Baldini, Angelo Borghesan, Mario Cresci, Francesco Nonino, Francesco Radino, Roberto Salbitani, Carl Shubert, Stephen Shore e Olga Zamperiolo) realizzate tra gli anni ’20 e gli anni ’90 del secolo scorso, di proprietà dell’archivio fotografico del CRAF. All’apertura sono intervenuti tra gli altri l’assessore alla Cultura e Turismo del Comune di Trieste, Giorgio Rossi e il sindaco di Spilimbergo. Enrico Sarcinelli con l’assessore alle Attività produttive e Turismo Anna Bidoli e il direttore del CRAF Alvise Rampini. "La collaborazione con il Comune di Spilimbergo – ha detto l’assessore Giorgio Rossi – si inserisce in una stagione espositiva di ampio respiro, ideata e realizzata nella prospettiva della valorizzazione del patrimonio museale della nostra città e della sinergia con soggetti istituzionali e le realtà culturali della nostra Regione". "Siamo onorati di essere ospiti qui a Trieste in questo storico Museo -ha evidenziato il sindaco Enrico Sarcinelli – sottolineando il valore dell’esposizione che rappresenta un efficace connubio tra mosaico e fotografia". "L'inserimento della mostra all’interno delle proposte natalizie della Città capoluogo di Regione, oltretutto a forte vocazione turistica – ha ribadito l’assessore Anna Bidoli - e la sua collocazione in un istituto culturale di pregio e prestigio quale il Museo Civico Sartorio, rappresenta per noi un’importante opportunità di promozione che si inserisce nel percorso intrapreso con la progettualità "Spilimbergo Città del Mosaico", che mira a valorizzare la storia, l’artigianalità legata all’arte e alla tecnica musiva". Curatrice e ideatrice dell’esposizione è Silvana Annicchiarico, architetto di fama internazionale già direttrice della Triennale Design Museum di Milano. La mostra si struttura in quattro sezioni, che raccontano le origini di una tecnica e di una tradizione, la natura con i sassi e il Tagliamento, Aquileia, fulcro dell’arte musiva antica, l’epopea dei mosaicisti migranti in tutto il mondo e la Scuola mosaicisti del Friuli, centro di alta specializzazione, che richiama studenti da moltissimi paesi esteri, connotandosi sempre più come internazionale. Le foto d’autore selezionate rappresentano un mondo musivo, fatto di persone prima ancora che di pezzi di pietra, e fatto di storie prima ancora che di arte. "Mosaico in Bianco e Nero" – ha ricordato Anna Bidoli - "apre gli orizzonti su un percorso artistico, storico e culturale che va oltre i nostri confini, per fondersi con esperienze di altri tempi e altri territori, in una prospettiva che ha come orizzonte futuro un’arte antica ridisegnata in chiave moderna". L’esposizione, a carattere itinerante, è già stata ospitata a Udine, Pordenone, Lignano Sabbiadoro. Dopo aver fatto tappa a Trieste, da gennaio sarà ospitata nella città Unesco di Cividale per approdare successivamente ad Aquileia e Gorizia città capitale della cultura. La mostra "Il Mosaico in bianco e nero" resterà aperta al Civico Museo Sartorio di Trieste fino all'8 gennaio, con il seguente orario: giovedì-domenica dalle ore 10.00 alle ore 17.00; sabato 24 e 31 dicembre dalle ore 10.00 alle ore 14.00, chiusa il 25 dicembre 2022 e il 1 gennaio 2023, aperta lunedì 26 dicembre (10-17). L'ingresso è libero.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Torino rilegge Leopardi attraverso le fotografie di Mario Giacomelli
Torino rilegge Leopardi attraverso le fotografie di Mario Giacomelli
Dal 15 novembre 2021 al 31 gennaio 2022 PHOS Centro Polifunzionale per la Fotografia e le Arti Visive di Torino presenta, in collaborazione con CRAF (Centro di Ricerca ed Archiviazione della Fotografia) di Spilimbergo, Mario Giacomelli e Giacomo Leopardi. Poetare per immagini, mostra fotografica con opere di Mario Giacomelli (Senigallia, 1925 – 2000) ispirate alla celebre poesia di Giacomo…
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L'archivio CRAF per una mostra sulla Primavera di Praga
L’archivio CRAF per una mostra sulla Primavera di Praga
Trieste, 4 mag – MPB – L’inaugurazione della mostra “Immagini Parallele” di Pavel Kopp in Consiglio regionale, organizzata dal Centro Ricerche e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo, è stata l’occasione per annunciare una ulteriore futura collaborazione del CRAF con la Repubblica Ceca.
Il coordinatore del Centro Walter Liva ha infatti annunciato che l’ambasciatore italiano a Praga ha…
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Tutto per una ragione. Dieci riflessioni sulla Fotografia
Intervista a Loredana De Pace
di Terry Peterle
--- Inaugura tra pochissimi giorni, nella sua 32esima edizione, la rassegna fotografica Friuli Venezia Giulia 2018 organizzata dal CRAF di Spilimbergo - Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia. Una stagione che promette un ricco calendario di mostre, attività ed incontri sulla fotografia.
Tra questi ultimi, sabato 30 giugno alle ore 10.30 nell’atrio di Palazzo Tadea, ci sarà Loredana De Pace con il suo nuovo libro Tutto Per una Ragione. Dieci Riflessioni sulla Fotografia (edito emuse).
Le motivazioni che hanno spinto l’autrice a raccogliere le considerazioni sulla fotografia, sono raccontate in dieci capitoli: immagini, argomentazioni, riflessioni, analisi e approfondimenti. “Qual è questa ragione? La prima risposta è strettamente connessa alla meravigliosa duttilità dell’immagine fotografica” commenta la giornalista.
I dieci capitoli percorrono la tematica della fotografia, anche attraverso le riflessioni portate da autorevoli personalità tra cui sociologi, psicologi, filosofi, direttori di festival e di musei, esperti di fotografia. Ragioni che portano a studiare la fotografia con senso critico, aprendoci alla possibilità di ampliare una personale concezione su questa tematica.
Loredana De Pace è una giornalista pubblicista, curatrice indipendente di mostre e, quando sente di avere qualcosa da dire, fotografa.
Scrive da quattordici anni per la testata FOTO Cult – Tecnica e Cultura della Fotografia. Ha collaborato con vari media on line dedicati alla cultura e alla fotografia. Cura l’archivio dell’autrice Gina “Alessandra” Sangermano; partecipa a giurie di premi nazionali e internazionali e letture portfolio.
Collabora con associazioni culturali nell’organizzazione di eventi e conferenze sulla fotografia e cura in toto numerosi progetti editoriali.
Come fotografa, ha esposto il reportage El pueblo de Salinas, Ecuador: il piccolo gigante (2011) che è anche un libro con introduzione di Luis Sepúlveda, Sono un cielo nuvoloso (2014, Galleria Interzone-Roma), Qualcosa è cambiato (Priverno, 2017).
Per questa occasione, l’abbiamo intervistata.
Come è nata l’idea di questo libro? Perché hai voluto scriverlo e da cosa ti sei fatta ispirare?
L’idea è nata dai miei 25 anni di attività fotografica, prima come fotoamatrice, poi come giornalista e infine come curatrice. Ho sentito l’esigenza di mettere ordine fra gli stimoli ricevuti dalla fotografia in tutti questi anni - dagli autori alle interviste, dalle curatele agli articoli scritti- e di restituire le esperienze vissute in maniera più ordinata sotto forma di libro che, ovviamente, ha un’altra struttura. Ho voluto scrivere TUTTO PER UNA RAGIONE. Dieci riflessioni sulla fotografia per questo motivo e mi sono fatta ispirare non solo da tutte le esperienze vissute dalla fotografia ma anche dalle figure professionali con cui mi sono confrontata. Questo è un libro che io definisco una scatola aperta: ci sono stati un sociologo, un filosofo, una psicologa, numerosi fotografi che mi hanno dato un loro punto di vista e mi hanno messo a disposizione le loro fotografie. Sono molte le figure professionali che fanno parte del settore della fotografia e non, che hanno composto, assieme alle mie riflessioni, i dieci capitoli di questo libro.
Rispetto a questo libro, ai tuoi approfondimenti fatti e anche alla tua esperienza professionale, in che stato di salute è la fotografia secondo te?
Il mio pensiero si riferisce alla fotografia impegnata, quella d’autore e non quella commerciale. Essendo una forma espressiva, la fotografia risponde a un esigenza collettiva e a un modo di pensare: in questo senso, la fotografia godrà sempre di buona salute. Le dinamiche che ci sono dentro l’aspetto commerciale sono varie e molto complesse e la variabilità dipende sia dalla tipologia di settore, sia dalla nazionalità di appartenenza. L’Italia di recente si sta affacciando al mondo internazionale perché sta finalmente aprendosi a una tipologia di fotografia un pò meno tradizionale. Ad esempio nell’ultima edizione del MIA Photo Fair di Milano, era presente una componente di fotografia che si serve della terza dimensione - che esce quindi dalla bidimensionalità. Si è osservato che anche le gallerie hanno finalmente accettato questa novità.
Nell’ultimo decennio, la fotografia espositiva ha preso piede anche in Italia con festival ed incontri che spaziano dal fotogiornalismo alla fotografia autoriale dal Nord al Sud Italia. In un Paese che ha le sue radici in altri linguaggi visivi - come la pittura, qual’è la tua opinione rispetto alla qualità e all’offerta fotografica a tal proposito?
Ho avuto modo, per fortuna, di partecipare a vari festival non solo come visitatrice, ma sono stata membro di giurie, ho anche esposto lavori miei, ho curato delle mostre, organizzato visite guidate, sono stata molto spesso dentro alla pianificazione dei festival.
Dipende dal festival e dai generi proposti, ma normalmente l’offerta è di buona qualità anche perché c’è un’ampia (a volte fin troppa) diversificazione di tematiche dei festival. Il problema è che ci sono moltissimi festival che vivono di forza d’animo e di pochissime risorse, perché non esiste un’istituzione a livello statale che dia un contributo economico, come in altre nazioni, all’aspetto culturale a tutto tondo. La fotografia “se la cava” con i festival perché sostenuta da iniziative prettamente private, a parte qualche fortunato festival aiutato da sponsor o da Comuni illuminati. Il discorso rimane complesso, ma posso dire che la qualità rimane sempre abbastanza alta sia per quanto riguarda gli autori nostrani sia per quelli chiamati dall’estero, e soprattutto il lavoro e la forza di volontà dei organizzatori dei festival, più che ammirabile.
C’è stato un argomento che “conoscevi poco” o a cui ha dovuto dedicare più tempo per approfondire? Se sì quale è stato?
Sebbene tutti i capitoli trattino di argomenti che nel corso degli anni ho appreso, sono il risultato di un mio approfondimento e di moltissimo studio mirato alla produzione del libro visto che il mio obiettivo era dare un’idea più attuale possibile dell’orientamento della fotografia. Ho cercato quindi di inquadrare, incastrare e capire tutte le informazioni raccolte rispetto all’attualità. L’argomento che ha richiesto più approfondimento è stato quello del capitolo sulla fotografia condivisa proprio perché si trattava di un tema estremamente attuale che doveva essere approfondito in funzione delle statistiche e dei numeri più recenti sulla condivisione, oltre che sulle condizioni di vita di una fotografia nel momento in cui viene condivisa. Sono partita dalle statistiche ed assieme al supporto del sociologo, il dott. Andrea Meloni ho portato alla luce i rischi e le possibilità della fotografia condivisa.
In dieci capitoli e 220 pagine hai cercato di spaziare in vari ambiti della fotografia. Rispetto al capitolo, fotografia condivisa, che hai poc’anzi illustrato, in questo momento storico, tra social networks e blogs, cosa puoi dirci a riguardo?
Rispetto alla mia esperienza, la sensazione è quella che c’è sempre meno un’inclinazione all’approfondimento. Social network, blog, realtà virtuali hanno sicuramente una loro funzione nel contesto attuale, però limitano l’approccio all’approfondimento, istigano una buona fetta della popolazione a un’ipotetica conoscenza dei fatti, quando invece spesso ci si trova addirittura di fronte a fake news.
Per approfondire è necessario leggere, comprare i giornali, i libri, cercare il confronto reale quindi andare a visitare mostre e festival. L’invito che voglio fare, fortissimo e con tutto il cuore è quello di scegliere sempre di comprare giornali, riviste, libri e leggere con il desiderio di approfondire; di continuare a stampare le proprie fotografie.
Faccio un esempio: quando curo progetti editoriali o di autori arriva il momento di fare fotografie che possono essere editate a dovere. E’ certamente importante avere una visione d’insieme, quindi conoscere anche ciò che accade nei contesti virtuali, ma non ci si può accontentare di leggere online, su un blog ad esempio, le informazioni necessarie perché molto spesso i contenuti sono scritti da chi non ha competenze in materia. E’ importante, quindi, approfondire attraverso la lettura di riviste cartacee, giornali e libri, non accontentarsi mai.
#loredana de pace#craf#foto cult#gina alessandra sangermano#luis sepùlveda#mia photo fair#andrea meloni#terry peterle
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Migranti ambientali. L’ultima illusione. Il presente nelle immagini di Alessandro Grassani
di Terry Peterle
-- Fino al 6 settembre, la Chiesa di San Lorenzo a San Vito al Tagliamento (Pordenone) ospita la mostra “Environmental Migrants - the last illusion” del fotografo Alessandro Grassani. In occasione della 34^ Rassegna di Friuli Venezia Giulia Fotografia, il CRAF, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia, di Spilimbergo punta l’attenzione su una delle tematiche attuali che incrocia il nostro già difficile presente, il cambiamento climatico.
L’esposizione, realizzata dal CRAF con la collaborazione della Regione Friuli Venezia Giulia, il sostegno di Fondazione Friuli ed il patrocinio dell'Università degli Studi di Udine, descrive le profonde conseguenze che l’innalzamento climatico sta, da lungo tempo, portando alle popolazioni più fragili all’estremità del mondo, con la dimostrazione di quanto sia assente un concreto piano d’azione politico davanti al vacillare della sopravvivenza di uomini e donne costrette a svendersi alla miseria e ad un futuro del tutto incerto.
Le immagini del milanese Alessandro Grassani, che si definisce un narratore di storie, sono forti, struggenti e a tratti inconcepibili. Il progetto di lungo termine, è iniziato nel 2011 ed è ancora oggi, per lui, tematica di approfondimento. Secondo Legambiente nel 2012 il Pianeta Terra è stato rappresentato da fenomeni climatici distruttivi di ampia portata. Cicloni, tornadi, terre secche in aree rurali insospettabili, incapacità di allevare bestiame fonte di sopravvivenza millenaria per molte popolazioni a causa di climi rigidi o torridi sono state immagini e storie di cronaca che abbiamo visto passare nei media tv.
Del resto “il CRED - Centre for Research on the Epidemiology of Disasters - ha contato 310 calamità naturali che hanno portato a quasi 10 mila morti, 106 milioni di persone colpite e sopravvissute costituendo un danno economico pari a 138 miliardi di dollari”1. Forse non tutti sanno che entro il 2050 da ipotesi OIM e ONU, una persona su 45 sarà un migrante ambientale, e che da una decina di milioni di oggi, le stime ammontano a 200/250 milioni di persone costrette a migrare verso orizzonti migliori a causa del mutamento climatico.
Mentre la comunità scientifica internazionale converge verso il rischio ambientale causato dall’attività dell’essere umano, ciò che rende problematico lo scenario futuro è l’impatto che l’uomo avrà sulle sue attività e sulla sua stessa vita. L’adattamento non sempre possibile, pone come unica alternativa quella di fuggire a vite migliori e verso l’ignoto, visto che gran parte del flusso dei migranti ambientali è rappresentato da individui provenienti da Paesi in via di sviluppo, che infine approdano in megalopoli già sovraffollate tra baraccopoli che spesso assicurano miseria e destini incerti.
“La migrazione ambientale è come un dispositivo inesploso: in un futuro non troppo lontano, l'intero pianeta dovrà affrontare l'onere economico e sociale delle sue conseguenze”2, afferma Grassani e ha ragione, la sensazione di inadeguatezza è sensibilmente palpabile davanti alle sue microstorie presentate nello spazio espositivo.
La mostra è innanzitutto costruita da un ottimo allestimento curato dall’architetto Alvise Rampini (nonché neo-direttore CRAF), da Alessandro Grassani e da Maria Santoro. Il colore grigio scuro determina il fil rouge dell’esposizione, un colore di mezzo, un richiamo all’incertezza. “Dietro ad ogni cambiamento si nasconde un’opportunità” così il visitatore viene introdotto alla mostra, una entrée che vuole intenzionalmente imprimere consapevolezza. Ogni sezione è poi rappresentata da una storia di uno dei Paesi d’indagine di Grassani e da una frase con cui l’autore esprime le sue sensazioni davanti ad un fenomeno poco raccontato. Toccante: “I migranti ambientali sono dei fantasmi, ho voluto dare loro un volto”.
Colpisce la prima immagine, scattata ad Ulan Bator in Mongolia. Grassani, che abbiamo avuto modo di intervistare racconta: “l’immagine ritrae Erdene, una Donna pastore della mongolia che trascina una pecora morta su un carretto di legno. Ebbene in Mongolia, ove ho iniziato questo progetto nel 2010 sono morti 8 milioni di capi di bestiame e 20 mila pastori come Erdene sono stati costretti ad abbandonare la campagna per migrare in città. Ho vissuto con Erdene e ho raccontato la sua sfida quotidiana contro lo dzud, l’estremo inverno mongolo che raggiunge temperature di -50° e quello che di fatto uccide milioni di pecore portando questi pastori all’esasperazione. Quando ho incontrato Erdene, si stava lentamente avvicinando ad Ulan Bator, capitale della Mongolia e aveva perso la metà delle sue duemila pecore a causa dell’estremo freddo”.
Questo progetto cerca di collegare la tematica dei cambiamenti climatici e l’urbanizzazione. Pensate che in Mongolia, un Paese grande 5 volte la Francia vivono solo 3 milioni di persone e la metà di queste vivono ammassate una sopra l’altro a Ulan Bator che negli ultimi dieci anni ha raddoppiato la propria popolazione, proprio causa dell’arrivo di questi pastori dalle campagne. Costoro portano con sé l’unico bene rimasto delle proprie ricchezze, la gher (o iurta), la tradizionale tenda mongola che poi ricostruiscono nella periferia della città che si sviluppa e si urbanizza con delle tende”.
In Bangladesh il racconto della comunità di pescatori sull’isola di Bongor e sulla difficile e situazione che vivono con le frequenti inondazioni del fiume Meghna che in tre anni ha eroso due terzi dell’isola. Grassani ci porta nell’intimità delle vite di queste persone non arrendevoli davanti alla durezza della vita.
Poi Haiti, uno dei Paesi più poveri al mondo. La città di Port-au-Prince è di fatto la meta di migliaia di migranti climatici provenienti dalle campagne, un territorio particolarmente colpito e fragile dai rischi idrologici e sismici che abbiamo avuto modo purtroppo di seguire ai notiziari. A dieci anni dal terremoto di magnitudo 7.0 la situazione è ancora precaria, tanto che Grassani specifica che la mancanza di servizi essenziali è ancora una nota dolente. Le immagini di Haiti sono rovine di una quotidianità che è andata avanti, nella miseria e nella forza delle persone che cercano di farcela come meglio possono.
Le immagini del Kenya sono l’opposto della Mongolia: il caldo torrido ha aumentato la desertificazione dei territori e complicato i rapporti tra le popolazioni. Nella serie di queste immagini vediamo Leduung Elimlin, un pastore della tribù dei Turkana. Con la tribù avversaria dei Poket, si contendono i pochissimi pascoli e riserve idriche del territorio. La tensione porta a forti scontri, tanto che nel protagonista ne sono visibili le ferite. Delle vere e proprie faide civili che portano anche alla morte: Grassani documenta le fosse comuni dove un cartello indica il numero di corpi seppelliti. I cambiamenti climatici hanno portato anche a questo, all’inasprirsi di scontri tribali per il controllo dei pascoli e dei miseri bacini d’acqua presenti.
Una mostra che va vista, con attenzione e con la mente aperta. Le immagini di Grassani sono “l’ultima illusione” di una opportunità di vita migliore, per questi migranti climatici, che si vanifica davanti ad una realtà ben diversa da una iniziale speranza. Possiamo esserne complici o possiamo essere fonte di cambiamento? Ad ognuno di noi la propria risposta.
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1 Fonte: Profughi Ambientali. Cambiamento climatico e migrazioni forzate. A cura del Dipartimento Internazionale Maurizio Gubbiotti, Tiziana Finelli, Elena Peruzzi, Melania di Vara. Luglio 2013
2 Fonte: sito web di Alessandro Grassani. Link: http://www.alessandrograssani.com/portfolio/permalink/261384/9790d861954b9e
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#CHANGE. Friuli Venezia Giulia Fotografia. Inaugurata la 34a rassegna
di Terry Peterle
--- Il Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo, malgrado le restrizioni per il Covid-19 ha inaugurato la sua 34a rassegna fotografica che dal 1987 accompagna le stagioni estive italiane con autorevoli autori della fotografia conosciuti a livello nazionale e internazionale, premiati per il loro contributo visivo e sociale.
È Alvise Rampini il nuovo direttore dell’Ente, architetto e docente di museologia per il turismo presso l’Università degli Studi Udine, che assieme al personale del CRAF ha scelto come tematica il momento attuale, il cambiamento dal titolo #CHANGE. Sono le trasformazioni del mondo sotto forma di mutamento climatico e il conseguente cambiamento della sopravvivenza dell’essere umano. Con la collaborazione della Regione Friuli Venezia Giulia, con il sostegno della Fondazione Friuli ed il patrocinio dell'Università degli studi di Udine, Rampini afferma: “Abbiamo scelto di costruire un progetto “fisico” che restituisse alle nostre comunità il bisogno di cultura - commenta il direttore Alvise Rampini – la fotografia ci offre l’opportunità di trasmettere messaggi sociali importanti capaci di stimolare un comportamento più responsabile nei confronti della natura”.
Quest’anno la rassegna si prolungherà fino ad aprile e vedrà l’esposizione di tre grandi autori di notevole capacità estetica ma prima di tutto grazie al loro punto di vista sensibile, in grado di trasmetterci un messaggio importante di consapevolezza verso noi stessi, farci specchiare in atteggiamenti discutibili e mostrare ciò su cui, già ora e nel nostro prossimo futuro, non c’è più controllo. La prima mostra inaugurata il 4 luglio, in concomitanza con l’apertura della rassegna, è stata quella del fotografo milanese Alessandro Grassani dal titolo “Environmental Migrants, The Last Illusion” a San Vito al Tagliamento presso la Chiesa di San Lorenzo, premio Friuli Venezia Giulia Fotografia 2020.
©Alessandro Grassani – Kenya, Nairobi
Grassani si definisce un narratore e utilizza la fotografia ed il video come principali forme espressive per raccontare importanti temi sociali che lo hanno portato in giro per il mondo per oltre 40 Paesi. Vincitore dell’undicesima edizione del Premio Giornalistico Amilcare Ponchielli, in questo progetto fotografico di lungo termine esposto anche al Palazzo delle Nazioni Unite, Grassani descrive le storie ed il fenomeno dei migranti climatici contemporanei della Mongolia, Haiti, Bangladesh e Kenya. Rispetto alle stime ONU entro il 2050, una persona su 45 sarà un migrante ambientale, per un totale che varia dai 200 ai 250 milioni di persone. Attualmente il numero è attorno alla decine di milioni. Persone che cercano fortuna e condizioni migliori in megalopoli sempre più povere e sovraffollate. L’indifferenza dei Paesi Occidentali e del 2% dei super ricchi del mondo, è ancora molto alta davanti ad un fenomeno sempre più spingente. Le immagini incisive di Grassani, che non hanno bisogno di ulteriori interpretazioni, sono testimonianza per incoraggiare la nostra responsabilità individuale. I protagonisti delle storie sono “gli altri” lontani e fuori dalla nostra concezione ma siamo anche noi nel nostro senso di accoglienza, comprensione, tolleranza e vicinanza che abbiamo il dovere di accrescere per sopravvivere ad un fenomeno che non deve fermarsi solo a strumento di propaganda politica.
In autunno, dal 9 ottobre al 15 novembre il CRAF presenta a Palazzo Ricchieri di Pordenone l’autore friulano Francesco Comello con il suo apprezzato progetto “L’isola della salvezza”, vincitore del terzo posto al World Press Photo nel 2017.
©Francesco Comello – da ”L’isola della salvezza”
L’Isola della Salvezza è un reportage fatto in un centro spirituale e culturale, che si trova lungo la strada che da Mosca porta a Jaroslavl’, fondato negli anni ’90 da Padre Aleksey, un prete ortodosso, dove il pensiero del fondatore era quello di costruire una vita seguendo i precetti del vangelo, per i quali le dinamiche della vita sociale/moderna, rimanevano escluse.
Comello conosce questo luogo nel 2014, attraverso una scultrice russa che occasionalmente incontra in Italia. I racconti di lei, lo portano a decidere di seguirla in questa comunità solo per istinto e casualità.
Tre viaggi e quattro mesi di permanenza all’interno di questa confraternita, permettono all’autore di approfondire la conoscenza di questo luogo, individuando in questo, momenti della sua infanzia. L’autore, in un’intervista, così racconta: «con il tempo è diventata una comunità che oggi accoglie 300 ragazzi, molti dei quali disadattati o con problemi familiari. Niente Tv, internet, cellulari e niente denaro, considerati mali della società. Si zappa la terra, si studia, si balla. Si forgia l'anima e si allena il corpo».
Francesco Comello sarà premiato con il Premio Friuli Venezia Giulia Fotografia per un autore regionale 2020.
A febbraio del 2021, Palazzo Tadea di Spilimbergo vedrà l’esposizione fotografica di “Home” del francese Yann Arthus-Bertrand, stimabile autore della fotografia aerea e autore del bellissimo film “Human” presentato fuori concorso alla 72^ Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 2015.
©Yann Arthus-Bertrand – Raccolta del cotone in Burkina Faso, Banfora
La mostra Home, visibile dal 20 febbraio al 25 aprile 2021, prospetta scene dal cielo: le ferite del nostro Pianeta sono evidenti e tangibili. Le fotografie raccontano i cambiamenti e l’impatto dell’uomo sulla Terra, volendo sensibilizzare allo sviluppo sostenibile dagli oceani alle cime delle montagne dalla savana africana ai ghiacciai antartici, le sue immagini trasmettono un profondo rispetto e amore per il Pianeta in cui viviamo. Yann Arthus-Bertrand è promotore della Fondation GoodPlanet creata nel 2005. Tra film, mostre, pubblicazioni e programmi formativi, la Fondazione incentiva progetti a tema ambientale a livello globale, per accrescere la coscienza ecologica delle persone e per aiutare le comunità più esposte a rischi ambientali. L’autore francese riceverà dal CRAF il prestigioso International Award of Photography: “La sua presenza ci onora – commenta il presidente Enrico Sarcinelli – e, se le restrizioni ce lo permetteranno, contiamo di organizzare un incontro pubblico all’università e la proiezione del suo lungometraggio Home”.
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Mostra già attualmente in corso:
ALESSANDRO GRASSANI - ENVIRONMENTAL MIGRANTS – THE LAST ILLUSION
4 luglio – 6 settembre 2020
Orari di apertura della mostra:
SABATO E DOMENICA 10.30-12.30 / 15.30-19.00
Per info: [email protected]; [email protected] - Tel. 0427-91453
La mostra è visitabile secondo le disposizioni Covid-19, è dunque necessario indossare la mascherina.
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Jannah. Il Giardino Islamico del Chiapas di Giulia Iacolutti
di Terry Peterle
-- Jannah. Il Giardino Islamico del Chiapas della giovane e talentuosa fotografa friulana Giulia Iacolutti, è stata inaugurata ieri alle Antiche Carceri di San Vito al Tagliamento (PN) in occasione dell’apertura della rassegna annuale Friuli Venezia Giulia Fotografia 2019, visitabile fino al 1 settembre.
© Terry Peterle ph.
L’occasione della mostra organizzata dal CRAF di Spilimbergo - Centro di Ricerca ed Archiviazione della Fotografia - è uno dei motivi per averle assegnato il premio “Friuli Venezia Giulia Fotografia 2019 per un autore regionale”, un riconoscimento meritato per la capacità di aver saputo raccontare, con una naturale sensibilità ed empatia, con una fotografia pensata, consapevole e con tecniche del passato, la storia di una piccola popolazione messicana indigena di 400 persone, in Chiapas, ai confini del Guatemala, che convive pacificamente con la dottrina dell’Islam.
Negli anni ’90, con l’arrivo di un piccolo gruppo di musulmani Mirabitum proveniente da Granada, Spagna, la comunità autoctona tzotzil, discendente dei Maya che vive vicino ad una riserva naturale, si converte alla religione musulmana. Jannah, che in arabo significa giardino ed a livello religioso paradiso, vuole proprio raccontare come in un Messico fortemente cattolico, questo Giardino pacifico rappresenti un’eccezione: la conversione pacifica di un popolo indigeno con una nuova religione, in nome di una diversità accettata e condivisa.
© Giulia Iacolutti
L’esposizione, curata dall’autrice stessa, è molto ben costruita e lo spazio ben si presta nel voler far rivivere allo spettatore almeno in parte l’esperienza del racconto. Le piccole sale, che inducono ad una riflessione intima, sono suddivise in modo tale che ci si possa addentrare man mano nella narrazione e farsi coinvolgere in questa storia. Al piano terra, gli ingrandimenti fotografici della foresta, le prime case, le figure delle prime persone, fino al contesto del villaggio e al secondo piano la stanza della preghiera e a seguire i vari protagonisti del racconto: gli uomini, le donne ed i bambini. In una stanza, attigua a queste - la cella dell’isolamento - un’immagine con il fiume del luogo: la fotografa ci racconta che nel Corano “il paradiso è dove passa un fiume”. In questo particolare scorcio, la volontà dell’autrice è far riflettere lo spettatore ricercando il significato rispetto al “paradiso per ciascuno di noi”.
© Giulia Iacolutti
L’esposizione è costituita da 40 fotografie a colori, tra cui degli ingrandimenti che arrivano anche ad 1.4m, che descrivono la vegetazione ed immettono lo spettatore nel paradiso e le restanti immagini sono in piccolo formato stampate 10x10. Quest’ultima scelta è stata intenzionale per restare vicini al lavoro originale - in analogico e medio formato - e per indurre le persone ad avvicinarsi alle immagini con uno sguardo più attento e consapevole. All’entrata è, inoltre, visibile un video dell’intera mostra a favore delle persone diversamente abili voluta fortemente dall’autrice, visto che la struttura permette l’accesso solo con le scale.
La mostra è veramente molto interessante, lontana da qualsiasi cliché riservato a questa religione e cerca in maniera semplice e delicata di raccontare quanto si possano trovare realtà diverse, armoniose ed in equilibrio, nuove davanti ai nostri occhi, subissati come siamo da stereotipi contemporanei e sovrastrutture mentali, in un momento storico, come questo, di forte contraddizione.
© Terry Peterle ph.
Un invito a vedere Jannah. Il Giardino Islamico del Chiapas, non solo per aprire gli occhi, ma anche la mente e soprattutto il nostro cuore verso realtà diverse capaci di costruire pace, nella condivisione e senza pregiudizio, in una semplice felicità.
#giulia iacolutti#jahnna il giardino islamico del chiapas#antiche carceri di san vito al tagliamento#friuli venezia giulia fotografia 2019#chiapas#guatemala#islam#musulmani mirabitum#granada#tzotzil#maya#corano#terry peterle
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160 donne, 160 foto
di Andrea Scandolara
--- Fare una mostra di fotografie scattate solo da donne potrebbe sembrare inopportuno in un clima nel quale si cerca la parità di genere; ma vedere che una singola mostra raggruppa 160 autrici che hanno contribuito alla storia della fotografia fa cambiare subito opinione; il loro numero indica già una parità e non da oggi ma già dai primi anni del 1900, ben prima della rivoluzione femminista degli anni ’60 e ’70.
Encomiabile l’operazione che hanno fatto Silvia Bianco, Ken Damy e Walter Liva, i curatori della mostra Donne&fotografia appena aperta a Udine dal CRAF in una centrale chiesa sconsacrata della città.
Raccogliere 160 foto di autrici internazionali non deve essere stato facile: il prestito è stato accordato da una decina di privati, gallerie e fondazioni, una di queste della Repubblica Ceca; ma tutto fa supporre una eccellente conoscenza della storia della fotografia, per lo meno per il periodo che va dal 1900 ad oggi.
E non deve essere stato facile creare un percorso espositivo trattandosi di foto a colori e in bianconero, di corpi, paesaggi e oggetti, di periodi ben diversi tra loro. Proprio questa eterogeneità ha imposto accostamenti per epoche precise (decenni) all’interno delle quali le differenze dei generi fotografici si scatenano.
Il percorso, assai complesso, tocca differenti epoche e culture d’Europa, delle Americhe, Africa, Asia, Australia. Le frontiere non esistono, nemmeno i confini per la creatività, questo è il miracolo della fotografia.
Tuttavia qui non è in gioco il riscatto del genere femminile impegnato in una professione un tempo prevalentemente maschile, ma per dirlo con le parole di Ken Damy “il vero scopo di questa importante esposizione è di verificare se le differenze stilistiche e di contenuto siano poi così evidenti”.
E’ innegabile che esista un modo femminile di guardare al mondo e questa già potrebbe essere una delle risposte. Il concetto è rafforzato dalle parole di Angelo Bertani, presidente del CRAF di Spilimbergo: “nel campo della fotografia la sensibilità femminile si esprime sopratutto nel saper dare la dovuta importanza agli stati d’animo più intimi e di conseguenza anche ai dettagli più nascosti e apparentemente trascurabili.”
In virtù di una diversa sensibilità della donna si dovrebbe riscontrare “una minor rudezza d’approccio alle cose, una gentilezza di tratto anche là dove l’impegno documentario è maggiore, una pietas più difficile da rintracciare altrove, un’attenzione non retorica per il corpo femminile, analizzato senza eccessivi e timorati pudori.” (nota 1)
D’accordo, ma ci vorrà impegno nel guardare le fotografie, spesso queste differenze non sono così evidenti.
La mostra è imperdibile: 120 anni di capolavori messi insieme, autori opss... autrici capisaldi della fotografia, le cui opere abbiamo ammirato più volte su libri e antologie, non lasciano dubbi sull’importanza dell’iniziativa.
Le sorprese del Friuli non si fermano qui. Alla Galleria Tina Modotti di Udine (ex Mercato del pesce) è aperta fino al 29 ottobre, sempre a cura del CRAF una mostra di Newsha Tavakolian, giovane fotografa iraniana dal 2015 membro della prestigiosa Agenzia Magnum. Altra fotografa, peraltro presente nella collettiva di cui sopra, impegnata nei reportage, compresi quelli in zone di guerra, molto richiesti dai periodici internazionali. Sono in mostra immagini a colori di grande formato dove il soggetto è trattato con una sensibilità diversa che dichiara apertamente un approccio che va oltre quello documentario. E’ un messaggio che non arriva soltanto dal soggetto ma anche dallo stile, un suo stile inconfondibile.
Tavakolian a 36 anni è già richiestissima dalla stampa internazionale e i riconoscimenti per i suoi lavori non si contano più. Ma è curioso un episodio che non fa che aumentare la stima che abbiamo per lei. Nel 2014 vinse un premio messo a disposizione da una fondazione di un banchiere francese: 50.000 euro più una mostra e un volume con le sue foto. Il lavoro descriveva le condizioni di vita in Iran di coloro che erano stati adolescenti durante la rivoluzione komeinista. Il banchiere chiese alla Tavakolian di cambiare il titolo al lavoro e di togliere il testo che lei aveva preparato a corredo. “Non sono un fiore delicato, voglio solo prendermi la responsabilità del mio lavoro”, fu la risposta mentre restituiva il premio compreso l’importo in denaro. Successivamente ha usato parole pesanti e decise in merito all’influenza del mondo occidentale nel tentativo di condizionare l’arte iraniana e di conseguenza i suoi lavori. Coerenza.
(nota 1) Romano Vecchiet, Dirigente del Servizio Integrato Musei e Biblioteche
Donne&fotografia
dal 30.09.2017 al 7.01.2018 - Chiesa di San Francesco, Udine - orario: venerdì e sabato 15.00-18.00, domenica 10.30-12.30, 15.00-18.00. Ingresso libero.
Le autrici sono: Fatima Abbadi, Berenice Abbott, Umida Akhmedova, Laure Albin Guillot, Lola Alvarez Bravo, Diane Arbus, Eve Arnold, Marina Ballo Charmet, Letizia Battaglia, Shobha Battaglia, Inez Baturo, Marina Berio, Ruth Bernhard, Rosangela Betti, Lynn Bianchi, Jelena Blagovic, Irena Blühovà, Hou Bo, Claude Bodier Batho, Margaret Bourke White, Marianne Brandt, Marilyn Bridges, Barbara Brooks Morgan, Lynn Butler, Marcella Campagnano, Lisetta Carmi, Ghitta Carell, Frances Aretta Carpenter, Carla Cerati, Denise Colomb, Augusta Conchiglia, Gabriella Csozso, Imogen Cunningham, Judy Dater, Liliane de Cock Morgan, Pamela de Marris, Diana Y Marlo, Delphine Diallo, Desiree Dolron, Gertrude Duby, Rena Effendi, Angele Etoundi Essamba, Gertrude Fehr, Trude Fleishmann, Rosa Foschi, Barbara Forshay, Martine Franck, Gisèle Freund, Susan Friedman, Toto Frima, Toni Frissell, Enikô Gàbor, Serena Gallini, Flor Garduño, Nan Goldin, Dorothee Golz, Henriette Grindat, Anne Marie Grobet, Shu Hamaura, Ester Havlová, Annemarie Heinrich, Florence Henri,Majlinda Hoxha,Regina Hübner,Zann Huizhen Huang,Elizaveta Ignatovic, Connie Imboden, Irina Ionesco, Graciela Iturbide, Monique Jacot, Bruna Kazinoti,Uma Kinoschita, Jaschi Klein, Sabine Korth, Germaine Krull, Dorothea Lange, Rebeka Legovic, Annie Leibovitz, Gerda Leo, Jana Leon, Elaine Ling, Monia Lippi, Mari Mahr, Rebecca Major, Mary Ellen Mark, Cindy Marler, Paola Mattioli, Marie Maurel de Maillé, Ruth Mayerson Gilbert, Janice Mehlman, Sheila Meitzner, Susan Meiselas, Manuela Metalli, Lee Miller, Tina Modotti, Lucia Moholy, Edit Molnar, Daniela Monaci, Sarah Moon, Inge Morath, Galina Moskaleva, Eleni Mouzakiti, Maria Mulas, Shirin Neshat, Jeanine Niepce, Cristina Nunez, Eleonora Olivetti, Cristina Omenetto, Elizabeth Opalenik, Ana Opalic, Orlan, Lina Pallotta, Slavka Pavic, Lynwood Pelham, Dita Pepe, Anna Pisula Mandziej, Marion Post Wolcott, Joan Powers, Lieve Prins, Agnese Purgatorio, Bettina Rheims, Leni Riefenstahl, Ursula Richter, Andre Rogi, Louise Rosskam, Ernestine Ruben, Marialba Russo, Katarina Sadowski, Sara Saudkova, Jane Schreibman, Cindy Sherman, Dayanita Singh, Sandy Skoglund, Viera Slavikovà, Vee Speers, Camila Sposati, Elisabeth Sunday, Karin Székessy, Brigitte Tast, Newsha Tavakolian, Joyce Tenneson, Olga Tobreluts, Naomi Toki, Ivana Tomanovic, Giuliana Traverso, Linda Troeller, Deborah Tuberville, Doris Ulmann, Carla van de Puttelaar, Danielle van Zadelhoff, Tereza Vickovà, Verena von Gagern, Sabine Weiss, Katarzyna Widmańska, Alice Wielinga, Susannah Wilshire Torem, Wong Wo Bik, Wanda Wulz, Mariana Yampolsky, Madame Yevonde, Yva, Cristina Zelich, Erszebet Zinner, Maria Zorzon.
Newsha Tavakolian
dal 29.9 al 29.10.2017 - Galleria Tina Modotti (ex Mercato del pesce), via Paolo Sarpi, Udine - orario: venerdì e sabato 15.00-18.00, domenica 10.30-12.30, 15.00-18.00. Ingresso libero.
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