#Settimana della Moda di New York 2019
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Modena, alla tenda le riflessioni in musica di Emma Frank
Modena, alla tenda le riflessioni in musica di Emma Frank Martedì 5 dicembre il concerto, a ingresso gratuito, della cantautrice americana che mescola rock, folk e soul. Mercoledì 6 un incontro di Emergency e Mediterranea Modena Il concerto della cantautrice americana Emma Frank rappresenta l’appuntamento principale della settimana alla Tenda, dove prosegue con due iniziative la rassegna culturale inserita nell’ambito delle attività proposte dall’assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Modena. Entrambi gli eventi iniziano alle ore 21 e l’ingresso è gratuito. In particolare, martedì 5 dicembre è in programma l’ultimo appuntamento del 2023 della kermesse di jazz e contaminazioni Arts & Jam, curata da associazione Muse e JazzOff Produzioni. Sul palco sale, appunto, Frank, cantautrice di base a New York che torna nella sala di viale Monte Kosica a quasi cinque anni di distanza (si esibì alla Tenda nel gennaio 2019). Il suo lavoro più recente, “Interiors”, pubblicato in primavera da Nettwerk Music group e Justin time, costituisce uno studio sull’autoriflessione e sul processo creativo che celebra il gioco interdisciplinare e trova significato nel mondano. L’opera strizza l’occhio al rock, al folk e al soul degli anni Settanta; nel curriculum dell’artista c’è, inoltre, anche un focus sul jazz contemporaneo. Mercoledì 6 si svolge invece “Soccorsi in mare: dialogo tra Emergency e Mediterranea”, un evento organizzato da Emergency Modena e Mediterranea Modena per approfondire il tema del soccorso in mare dei migranti. All’incontro intervengono Roberto Maccaroni, responsabile sanitario della nave Emergency Life Support; Sheila Melosu, attivista di Mediterranea Saving Humans; Abdoulie Ceesay, testimone del viaggio. Modera l’appuntamento Roberta Biagiarelli, attivista di Rivolti ai Balcani e artista multidisciplinare. Già da un’ora prima dell’inizio, le 20, è possibile “visitare” la nave Emergency Life Support grazie ad appositi visori di realtà virtuale. Il calendario completo di tutte le iniziative e le modalità di prenotazione sono consultabili sui canali social e sul sito web de La Tenda al seguente link. Per informazioni: mail [email protected], telefono 059 2034810... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Escada
La passerella newyorchese ha dato, per la prossima stagione, il meglio di sé. Si tratta di un tripudio di colori e forme che si è esplicato molto bene da Escada, dove a farla da padrona sono le linee anni Cinquanta, mescolate a tinte pop.
Una cascata di fiori su faux leather e capi logati su tessuti impalpabili che prendono spunto dalla nota scultura creata da Robert Indiana nel 1970 e diventata, immediatamente, simbolo della città di New York.
La nota maison tedesca fondata dalla svedese Margaretha Ley, ormai parte del gruppo Procter & Gamble e ora guidata dall’imprenditrice indiana Megha Mittal, mette in scena la classicità grazie a gonne longuette e giacche lunghe oltre la vita.
Un’eleganza sofisticata che si mescola però alla modernità di tessuti come il mesh e di accessori come il marsupio, che fanno bella mostra di sé sul longdress e sulle camicie over, lasciate fuori sulla mini o infilate nei pantaloni solo per metà.
Largo spazio viene dunque dato a colori vibranti e colour-blocking, che si uniscono a estremità sfilacciate e giacche in duvet.
Ma non è tanto il mix & match delle consistenze a rivelare la vera essenza della nuova linea primavera/estate 2019 di Escada, bensì l’unione delle fantasie, che contribuiscono a creare così una nuova eleganza.
Ecco quindi comparire, su camicie e bomberini, maxi pois e righe sporty, che si uniscono alle giacche logate dei country club o dei college americani e ai completi giacca-pantalone dal profumo anni Novanta.
I tessuti sono lucidi, le linee morbide, specialmente quando, a metà sfilata, la collezione vira sulle tonalità pastello, giocando con i pattern geometrici e gli abbinamenti.
Come quando appare in scena l’abito a tubino con giacca-impermeabile in PVC giallo limone e sneakers, o come quando sdogana il pigiama inserendolo nel daywear insieme alla tracolla con catena dorata.
Rouches, accessori a forma di cuore ed asimmetrie, aggiungono movimento ed entusiasmo in coda, quando Niall Sloan decide di giocare con il colore gold, il velluto riccio marezzato e le paillettes a scaglie, che utilizza per ribadire il concetto di eleganza sofisticata che contraddistingue il brand.
#Escada#Niall Sloan#New York Fashion Week 2018#NYFW2018#spring/summer 2019#Mercedes-Benz Fashion Week 2018#Mercedes-Benz Fashion Week New York 2018#MBFWNY2018#MBFW2018#ready-to-wear#prêt-à-porter#RTW2019#S/S 2019#P/E 2019#primavera/estate 2019#womenswear#womenscollection#pop#Settimana della Moda di New York 2018
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Cinequarantena: New York, New York!
Hi guys,
dopo la settimana francese torno con il secondo capitolo della rubrica “Cinequarantena” dedicata ai film di un Paese. Questa volta, però, ho scelto una città e quale più iconica dell’intramontabile Grande Mela?
New York, infatti, è da sempre uno degli scenari più amati per ambientare film e serie TV e talvolta fa padrona alla scena, più dei dialoghi e degli attori stessi.
Così ho scelto alcuni film ambientati nella tanto amata città americana, forse più oltreoceano in Europa che non negli Stati Uniti, per la sua magia e frenesia che ti fanno venire voglia di abitare nell’appartamento di “Friends” o di Carrie in “Sex and the City”. I film che ho scelto sono principalmente commedie e vicende romantiche e, sebbene non siano i più iconici, a modo loro li ho apprezzati tutti. Qui sotto trovate qualche informazione in più, qualora qualcuno di loro fosse nella vostra wishlist.
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Day 1 - On the rocks (2020)
Ultimo omaggio di Sofia Coppola, in questa vicenda la figlia del celebre regista lascia da parte la sua indole prettamente descrittiva, molto focalizzata sulle immagini e poco sul racconto, e mette in scena lai vita di una donna sulla quarantina, sposata con un uomo brillante e affascinante e madre di due splendide bambine. La protagonista, interpretata da una promettente Rashida Jones, teme che il marito la stia tradendo e ad aiutarla nel suo intento di scoprire la verità sarà suo padre, un Don Giovanni antropologo che gira con l’autista. Ad interpretarlo è Bill Murray, già protagonista di un altro celebre film della Coppola “Lost in translation” che magistralmente incarna il ruolo di un padre per troppo tempo assente che vuole recuperare il rapporto con la figlia.
Se sembra, infatti, che il racconto sia incentrato sulla crisi di coppia, presto lo spettatore si renderà conto che il filo conduttore è il rapporto tra padre e figlia, tema già trattato dalla regista, come nel successo “Somewhere” che le ha fatto vincere il Leone d’oro dieci anni prima.
Voto: 8
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Day 2 - Una giornata di pioggia a New York (2019)
Se si pensa a film ambientati a New York, non si può non dedicare una parantesi al mito di Woody Allen, nonché uno dei miei registi preferiti. Dopo tanto girovagare tra Parigi, Londra, Barcellona, Roma... il regista è tornato nella sua città natale con una commedia romantica che vede come protagonisti giovanissimi attori. Al posto di Mia Farrow e Diane Keaton, troviamo le giovanissime Elle Fanning e Selena Gomez che interpretano rispettivamente Ashleigh, un’ingenua ragazza dell’Arizona che si lascia infatuare da alcuni personaggi del mondo dello spettacolo e Shannon, la sua controparte “cittadina” newyorchese al 100% e sicura di sé. Al centro, un ragazzo, il promettente Timothee Chamalet - di recente avvistato in “Little Women” - che accompagna la fidanzatina Ashleigh in una gita a New York, la sua città natale, ma il suo piano salta a causa di molteplici imprevisti e lo porteranno a riflettere sul rapporto con la famiglia e sulle sue scelte di vita.
Diciamo che con Woody - non mi soffermo sulle vicende personali ma solo sui film - sono di parte e stranamente non avevo ancora visto questo film fino ad ora ma, sebbene sia consapevole non torneremo più al registra di “Manhattan” e “Io ed Annie”, questa commedia newyorchese mi ha ricordato il Woody degli inizi. Manca tanto ma i presupposti ci sono. Poi, devo ammetterlo, mi ha fatto un piccolo regalo scegliendo Jude Law per il cast.
Voto: 7
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Day 3 - Autumn in New York (2000)
Ok lo so, sono caduta nel sentimentale, ma ogni tanto qualche lacrima ci vuole e, come sapete, io tendo ad averla molto facile. La storia è talmente banale che quasi la si apprezza per la sua banalità e, in questo caso, devo ammettere che le scene in una Central Park tinta di giallo e arancione, aiutano a tenere alto il livello.
Lui (Richard!) è un uomo di quasi 50 anni, di successo, proprietario di un ristorante alla moda che nella vita ha scelto di non legarsi mai. Lei (Winona!) è una ventiduenne romantica, sognatrice, che crea cappellini, vive sotto la protezione di sua nonna e che, ovviamente, perde la testa per l’uomo più grande. Lui vuole a tutti i costi conquistarla e mette subito in chiaro che tra loro non ci sarà nulla più di una storia di passione. Lei desidera l’amore ma è consapevole di avere i giorni i contati a causa di una brutta malattia al cuore.
E così nasce e si alimenta un amore tenero ma tormentato che devo fare i conti col tempo che passa troppo velocemente. E mentre le foglie cadono e la neve accarezza i prati, questi due innamorati si mettono in gioco e scoprono molto di più su loro stessi.
Se volete farvi un piantino, questo è il film ideale, inoltre avrete l’occasione di vedere i due attori protagonisti in ottima forma.
Voto: 6.5
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Day 4 - Cercasi Susan Disperatamente (1985)
E dopo avere apprezzato New York ai giorni nostri e agli inizi degli anni duemila, facciamo un salto nei magnifici anni 80, bazzicando sia nei disco bar e varierà cittadini, sia nelle villette del New Jersey, patria delle impeccabili casalinghe.
In una di queste villette vive Roberta, la perfetta sposina educata a servire il marito, al punto che arriva a leggere libri per raggiungere l’orgasmo. L’unico momento di evasione per lei è seguire le cronache amorose di Susan e del suo misterioso amante che lascia annunci sul giornale per incontrarla. “Cercasi Susan disperatamente”, più la data, l’ora e il luogo di incontro. Roberta decide così di recarsi a sua volta al prossimo “appuntamento” per scoprire chi sono Susan e l’uomo che la ama e la rincorre scrivendole sui quotidiani.
Si scoprirà quindi che Susan - la Madonna dei tempi d’oro di “Like a Vergin” - è una donna sfrontata, esibizionista che seduce gli uomini per derubarli. Peccato che questa volta abbia scelto il “pollo” sbagliato e un gangster la stia cercando per riprendersi un gioiello molto prezioso di cui Susan si è inconsapevolmente appropriata.
Ma cosa succede quando Roberta, tanto diversa da lei di carattere ma alquanto simile fisicamente, decide di personificare Susan, viene accidentalmente scambiata per lei, e prende una botta in testa che le fa perdere la memoria? Se siete curiosi di saperlo, guardate questa esilarante commedia, una delle performance ben riuscite sul grande schermo di Madonna,
Voto: 8
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Day 5 e 6 - La scomparsa di Eleanor Rigby Lei / Lui (2013 / 2014)
Questi due film raccontano la medesima vicenda dal punto di vista della protagonista femminile e della sua controparte maschile e l’aspetto più interessante è che non seguono un preciso ordine temporale. Prima è uscito il film “Lei”, ma è possibile vedere prima “Lui” e comprendere e apprezzare comunque la vicenda. Successivamente è uscita anche la versione “Loro” che non ho ancora visto ma che sicuramente non mi perderò per chiudere il cerchio.
La storia è apparentemente semplice e si sofferma sull’allontanamento di una coppia sposata dopo la perdita prematura del loro primo e unico figlio.
Nei due film è descritto come ognuno di loro affronta il lutto e parte dal momento in cui Eleanor, la mamma e moglie, tenta il suicido lanciandosi dal ponte di Brooklyn, perché incapace di affrontare il dolore. Sceglierà quindi di tornare a vivere dai suoi genitori, di riprendere gli studi e, grazie anche all’aiuto della sua insegnante - una magistrale come sempre Viola Davis - capirà cosa vuole fare ora della sua vita.
Lui, invece, è più concreto - del resto è l’uomo e il suo compito è proteggere la sua amata - ma crolla perché non riesce a stare vicino e a consolare la donna che ama e, nel frattempo, si vede costretto a chiudere il suo ristorante e ad ammettere il fallimento a un padre che, invece, ha ottenuto grandi successi lavorativi dal suo ristorante,
Eleanor e Connor sono due anime perse che hanno paura a ritrovarsi per non dover affrontare di nuovo il dolore che hanno subito insieme. Ma si sa, il destino a volte, riesce ad avere la meglio.
Voto: 7.5
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Day 7: 90 minuti a New York (2014)
E chiudiamo questa insolita rassegna di film ambientati a New York con una tragicommedia che ha come protagonista il compianto Robin Williams. Lui interpreta Henry, un avvocato e padre di famiglia che a causa di un recente lutto è diventato un uomo polemico, sempre arrabbiato e insofferente verso il genere umano.
A causa di un perenne mal di testa si reca in ospedale. Tuttavia, al posto del suo medico, di ritrova una giovane collega, particolarmente stressata e inconsolabile che, perdendo la pazienza a causa del difficile modo di fare del suo paziente, gli comunica accidentalmente che ha un’aneurisma al cervello e gli restano solo 90 minuti di vita.
Henry è consapevole che la prognosi di avere un’aspettativa di vita di poco più di un’ora è assurda, ma ciò lo porta a mettere in discussione il suo atteggiamento e i suoi affetti. “La cosa più importante che abbiamo è la nostra famiglia” gli dice uno dei clienti del suo studio legale, e Henry realizza che a causa del suo comportamento ha perso la sua e forse è troppo tardi per riconquistarla.
Nel frattempo la giovane dottoressa cerca di rimediare al suo errore rincorrendo Henry per la città, con l’obiettivo di portarlo subito in ospedale. Ma questa ora e mezza regalerà molti spunti di riflessione anche a lei, facendole capire cosa non va nella sua vita e che deve assolutamente cambiare.
Un po’ di ride, un po’ si piange e soprattutto si riflette su quanto è importante non farsi sopraffare dal dolore e dalla rabbia perché il risultato a cui può portare è perdere ciò che veramente conta.
Voto: 7.5
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Chiudo cosi questa parantesi americana, e penso che tornerò in Europa per la prossima settimana, magari nel nostro Bel Paese. Spero di avervi regalato qualche suggerimento per film da vedere o, semplicemente, di avervi fatti venire voglia di visitare New York (spero molto presto).
Buona serata
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[…] Il Wall Street Journal, un po’ perfidamente, definisce il suo stile manageriale come «delegare la maggior parte delle decisioni importanti e seguire al tempo stesso le proprie passioni personali». L’idea che Dorsey presti poca attenzione alle sue aziende lo perseguita fin dai primi anni di Twitter. Il social network fu fondato nel 2006 da quattro persone: Dorsey, Noah Glass, Biz Stone ed Evan Williams. Dorsey, che dei quattro non era il programmatore più dotato ma aveva la personalità più carismatica, fu nominato CEO, e fu lui a inviare il primo tweet della storia.
Nel giro di pochi anni, però, i suoi colleghi cominciarono a essere scontenti perché Dorsey non era concentrato a sufficienza sulla startup. I primi anni di Twitter furono molto turbolenti: il social cresceva a ritmo esponenziale ma aveva seri problemi tecnici, che lo rendevano inutilizzabile per lungo tempo. Gli utenti veterani ancora ricordano la «Fail Whale», cioè il disegno della balena bianca che appariva come schermata di errore quando Twitter era offline.
In queste circostanze, Dorsey aveva continuato seguire i propri interessi personali e anzi li aveva estesi, approfittando della celebrità di Twitter per frequentare personaggi famosi e locali alla moda, almeno secondo Hatching Twitter, un libro sui primi anni di Twitter pubblicato dal giornalista Nick Bilton, che allora lavorava al New York Times (adesso è corrispondente speciale di Vanity Fair). Dorsey trascorreva molto tempo a fare “hot yoga”, un tipo di yoga che si fa in condizioni di forte umidità, e si era iscritto a corsi di disegno e di sartoria, perché uno dei suoi sogni era diventare designer di moda. Secondo Bilton, a un certo punto Evan Williams, che era il più serio e motivato dei fondatori (aveva già fondato Blogger, la piattaforma per blog poi comprata da Google, e successivamente, dopo Twitter, avrebbe fondato Medium), disse a Dorsey: «Puoi essere un sarto o puoi essere il CEO di Twitter, ma non puoi essere entrambi». Poco dopo, nell’ottobre del 2008, Dorsey fu costretto a dimettersi e Williams prese il suo posto. Dorsey rimase comunque membro del consiglio di amministrazione.
Nel 2010 Dorsey fondò Square, una startup di pagamenti digitali di notevole successo, e nel 2015 fu nominato nuovamente CEO di Twitter, dopo che sia Evan Williams sia il suo successore, Dick Costolo, avevano avuto risultati insoddisfacenti. Dorsey fu nominato CEO ad interim a luglio del 2015 e confermato definitivamente a ottobre dello stesso anno. A oggi, è l’unico dei grandi imprenditori della Silicon Valley – con l’eccezione di Elon Musk – a essere contemporaneamente CEO di due importanti aziende: Twitter e Square.
Essere il capo di due multinazionali dal valore di qualche decina di miliardi di dollari ciascuna (Twitter vale circa 40 miliardi, Square circa 75), con migliaia di dipendenti e centinaia di milioni di utenti è già un lavoro piuttosto complesso, ma Dorsey è sempre riuscito a mantenere uno stile di vita poco stressante. Nel 2018 fu molto commentato il suo ritiro di meditazione di 10 giorni in Myanmar, tutto documentato su Twitter. L’anno scorso annunciò che avrebbe trascorso sei mesi in Africa per conoscere meglio il continente, ma poi rinunciò. Nel 2019, in un’intervista a un podcast di benessere, Dorsey disse che medita due volte al giorno, per un totale di due ore (anche se a volte, disse, non ha abbastanza tempo), e che sia al mattino sia alla sera ha un complesso e lungo rituale di saune e bagni ghiacciati. Inoltre, pratica il digiuno intermittente: fa soltanto un pasto al giorno e nel fine settimana sperimenta il digiuno completo. Queste abitudini, hanno detto persone vicine a Dorsey, cambiano spesso, per cui potrebbero non essere più le stesse del 2019.
In ogni caso, i racconti dello stile imprenditoriale poco concentrato di Dorsey sono comuni e diffusi. In un profilo recente su Vanity Fair (scritto ancora da Nick Bilton) i dipendenti di Twitter si lamentano che Dorsey sarebbe troppo preso da Square, mentre i dipendenti di Square si lamentano che sarebbe troppo concentrato su Twitter. Al Wall Street Journal, i dirigenti di entrambe le aziende hanno detto che Dorsey delega la maggioranza delle decisioni più importanti ai suoi sottoposti, e che le tante assenze del capo hanno rallentato in maniera controproducente l’adozione di nuovi prodotti e strategie. La ragione per cui Twitter ci ha messo così tanto ad aumentare il numero dei caratteri per tweet da 140 a 280 (è successo due anni fa, nell’autunno del 2018) è che Dorsey ha impiegato ben due anni a prendere una decisione, anche se i suoi ingegneri avevano già tutto pronto.
Questi aneddoti hanno fatto di Dorsey un’icona del movimento wellness (il New York Times ha scritto che il fondatore di Twitter è «il Gwyneth Paltrow della Silicon Valley») ma hanno anche sollevato molti dubbi sulla sua capacità di gestire due aziende importanti allo stesso tempo. I risultati di Square sono buoni, anche perché il settore dei pagamenti digitali è in forte crescita da molti anni: dal 2015, anno del suo debutto in borsa, il titolo dell’azienda ha moltiplicato il suo valore di 14 volte.
Le performance di Twitter, invece, sono più chiaroscure. Da quando Dorsey è tornato CEO, nel 2015, il valore delle azioni del social network è aumentato di circa il 70 per cento. È un buon risultato ottenuto in cinque anni, ma Twitter fa parte del listino Nasdaq che, come ha scritto l’Economist, è cresciuto del 400 per cento in dieci anni. Al netto delle performance finanziarie, inoltre, Twitter ha alcuni problemi strutturali che Dorsey non è riuscito a risolvere, primo fra tutti la crescita anemica del numero degli utenti. Facebook è passato da 1,4 miliardi di utenti attivi mensilmente nel 2015 a 2,7 miliardi oggi. Twitter è passato da 308 milioni nel 2015 a 321 milioni all’inizio del 2019. Il dato si ferma a un anno e mezzo fa perché l’aumento degli utenti era così insoddisfacente che Twitter ha smesso di rendere pubblici i numeri e ha cominciato, invece, a citare gli utenti attivi quotidianamente, che oggi sono 187 milioni. Twitter, che se paragonato a Facebook è un social network molto piccolo, è in gran parte mantenuto rilevante dal fatto che politici come Donald Trump l’hanno scelto come veicolo principale delle loro comunicazioni. […]
I problemi di leadership di Dorsey sono diventati molto pericolosi per lui quando, a marzo di quest’anno, il fondo d’investimenti Elliott Management, guidato dal miliardario Paul Singer, molto famoso per il modo spietato con cui gestisce gli affari, ha cominciato a comprare molte azioni di Twitter (per un valore di circa un miliardo di dollari) e, acquisendo di importanza nella società, ha cominciato a spingere per la rimozione di Dorsey dando come motivazione proprio il fatto che è impossibile essere CEO efficienti di due aziende complesse come Square e Twitter. Dorsey ha dapprima rinunciato al suo semestre in Africa, quindi dopo una lunga contrattazione è riuscito a mantenere il posto, a patto di far entrare rappresentanti di Singer nel consiglio di amministrazione.
Nei mesi della pandemia da coronavirus, Dorsey è rimasto uno degli imprenditori tecnologici più interessanti: ha donato un miliardo di dollari in beneficenza ed è stato il primo ad annunciare che i dipendenti di Twitter che hanno cominciato a lavorare da casa a causa del lockdown potranno continuare a farlo indefinitamente. Da tempo Dorsey teorizzava che il luogo di lavoro dovrebbe essere decentralizzato. Lui stesso non possiede un computer e lavora soltanto con lo smartphone, perché così si concentra meglio.
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ANTONIO BERARDI PRIMAVERA 2019 PRONTO ALL'USURA Alta Moda Mondial @Pinterest @fashionguru327 @GIANewYork ULTIMI SPETTACOLI * STAGIONE * DESIGNER PRIMAVERA PER L'USURA 2019 Antonio Berardi MILANO, 24 SETTEMBRE 2018 di NICOLE PHELPS Parte 3 La cosa unica di questa collezione era il suo aspetto più leggero e rilassato. Era intenzionale, disse Berardi. Le pre-stagioni sono le sue collezioni più grandi; qui voleva qualcosa di più intimo. Quindi, piuttosto che usare il vero pizzo, lo stampò e lo fece esplodere, e ricamò parti di una semplice tunica con perle piane di madreperla. I bottoni in popeline con maniche regolabili sono stati tagliati a forma di Ts: facili. Detto questo, l'ingegnosità di Berardi non ha mancato di stupire. Un abito speciale tagliato su un cerchio richiedeva un sorprendente 50 metri di tessuto, ma rimaneva sorprendentemente leggero. Antonio Berardi Stilista inglese www.londonfashionweek.com/image_library/ Antonio Berardi è uno stilista britannico di origini siciliane, noto soprattutto per i suoi abiti. Attualmente mostra la sua collezione alla settimana della moda di Londra, ma in passato ha esposto a Milano e Parigi. Wikipedia Nato: 1968 (52 anni), Grantham, Regno Unito Istruzione: Central Saint Martins (1990–1993) Etichetta / e: Antonio Berardi, Extè Premi: Harper's Bazaar e Dress of the Year © 2020 Condé Nast. All rights reserved. *Italian et Americaine Haute Couture et Coiffure is a GIANewYork / Global Influencer Agency New York affiliate. @fashionguru327 @ItalianetAmeri1 @t.o.mblack @GIANewYork @olney_fashions_ @Pinterestbusiness @globalinfluenceragency fashionguru327.com Pinterest.com vogue.com vogue.co.uk behance.net globalinfluenceragency.com paypal.me/fashionguru327 parisiangentleman.co.uk modaoperandi.com #Italianetamericainehautecoutureetcoiffure #fashionguru327 #entrepreneur #linkedin #smallbusiness #contentmarketing #vogue #condénast #vintagephotography #tumblr #instagram #socialmediamarketing #blog #OlneyFashions #globalinfluenceragency #antonioberardiofficial https://www.instagram.com/fashionguru327/ (at The White House . Kommetjie .) https://www.instagram.com/p/B9evOjmH_ax/?igshid=161bw1el5z4af
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Il meglio della settimana della moda nuziale di New York - Romona Keveza Primavera 2019
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Mercedes Benz Fashion Week Russia 2019: il futuro della moda russa
Mercedes Benz Fashion Week Russia 2019
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Ciò che colpisce della settimana della moda moscovita è la quantità di ragazze e ragazzi invitati agli show. Fatto alquanto sorprendente se comparato al pubblico degli show di New York, Londra, Parigi e Milano. Infatti, la moda in Russia è un sistema giovane con professionisti tra i 20 e i 40 anni che parlano a un pubblico di coetanei: Aizel Trudel aveva 25 anni quando ha fondato a Mosca il primo concept store multimarca oggi riferimento online della moda e del lusso nei paesi di lingua russa. E sulla cover del primo numero di Vogue Business Russia le fanno compagnia altre tre giovani donne a rappresentare il presente e il futuro della moda russa: Olga Karput star dello street fashion e fondatrice del concept store Kuznetsky Most 20, Natasha Goldenberg fashion icon e volto tra i più influenti dello street style, Hatulia Avsadjanashvili art director e buyer dei negozi Babochka di San Pietroburgo. Nei loro negozi talenti emergenti e designer russi convivono con marchi del lusso e dello streetwear internazionale.
Sarà anche per questa forte connessione tra talento e retail che i 117 designer russi che hanno sfilato all’edizione P/E 2020 della Mercedes Benz Fashion Week di Mosca hanno presentato collezioni interessanti, rappresentative di questo momento storico, con citazioni e riferimenti al mondo dell’arte, della musica e della cultura visiva.
I giovani talenti nativi digitali – tra loro le donne sono la maggioranza – sono impegnati nella definizione di un’idea di bellezza omnicomprensiva e contemporanea e nella ricerca di un nuovo metodo di fare, produrre e vivere la moda strettamente connesso con i fenomeni culturali ed estetici diffusi dai social. A loro la fashion week moscovita dedica Futurum Moscow, uno stage sul quale raccontarsi ai 60 mila visitatori e ai 150 giornalisti provenienti da tutto il mondo. Una visibilità importante che non sarebbe possibile nelle settimane di New York, Londra, Milano e Parigi dove i loro show verrebbero oscurati da quelli dei grandi nomi.
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10 OTT 2019 11:00ARRIGO CIPRIANI SI CUCINA MONSIGNOR ZUPPI: "IL TORTELLINO DI POLLO PER FAVORIRE L’ACCOGLIENZA DEI MUSULMANI? LE RELIGIONI NON HANNO MOTIVAZIONI SUINE'' – IL RE DELL’HARRY’S BAR: GLI CHEF IN TV? ''DITTATORI NARCISI, TUTTO È CAMBIATO CON MASTERCHEF, UN PROGRAMMA INVENTATO DA GORDON RAMSAY, UNO CHEF CHE HA VISTO FALLIRE MOLTI SUOI RISTORANTI” – MONTALE "MANGIAVA MALISSIMO" E WOODY ALLEN, AL TAVOLO, DA SOLO. UNA SERA SI È ALZATO, E'ANDATO VERSO UNA DONNA E..."
Maurizio Caverzan per la Verità
Bettoliere. Si definisce così, Arrigo Cipriani, con quel grado di attenuazione che è proprio dei grandi. Nonostante le 87 primavere vanta una forma invidiabile: lucidità, schiettezza, carisma. Messaggia su WhatsApp, prende voli intercontinentali, guida sportivamente una Mercedes Amg.
Eppure ha già deciso la frase per la lapide: «Sto da Dio». L’ultimo libro, il tredicesimo, scritto con Edoardo Pittalis del Gazzettino e il figlio, Gian Nicola, intitolato Tutti gli chef sono in tv… e noi andiamo in trattoria (Biblioteca dei Leoni) è un programma di vita. L’appuntamento è all’Harry’s Bar, la famosa «stanza» 4 metri e mezzo per nove, in Calle Vallaresso, San Marco (Venezia): «Se prende la linea uno, ferma proprio davanti».
In cravatta e doppiopetto, mi guida a uno dei tavoli rotondi circondati da poltroncine in legno e cuoio. «Nel 2001 questo locale è stato promosso monumento nazionale dal ministero dei Beni culturali come testimonianza del Novecento italiano. L’ha fondato mio padre Giuseppe nel 1931, io sono nato l’anno dopo e lo dirigo da 65 anni. Nel 1960 abbiamo aperto una sala al primo piano, ora abbiamo 80 dipendenti, di cui 15 cuochi». Quand’era barman all’hotel Europa, papà Cipriani prestò diecimila lire a un giovane cliente americano perché potesse pagare il conto e tornare a casa. Due anni dopo, quel cliente ritornò in Italia per restituire il dovuto e, con l’aggiunta di 30.000 lire, aprire un bar in società.
Si chiamava Harry Pickering e quella stanza era un magazzino di cordami. Nacque così l’impero odierno: 27 attività in diversi continenti, tremila dipendenti, 300 milioni di fatturato, cinque ristoranti a New York, altri a Los Angeles, Miami, Città del Messico, Montecarlo, Ibiza, Londra, Hong Kong, Dubai, più la coltivazione intensiva del carciofo violetto all’isola di Torcello… «Vede gli arredi? Le proporzioni tra la persona seduta e il soffitto, il legno e il marmo, le luci e l’acustica: è tutto studiato. Zero imposizioni: lo scopo è la semplicità».
Una semplicità complessa.
«Nei miei libri la chiamo proprio così».
Merito di qualche architetto?
«Non ho molta stima degli architetti. È il nostro stile, qui il cliente deve stare meglio che a casa».
Perché non le piace il fatto che gli chef vadano in televisione?
«Perché mettono in scena qualcosa che va contro la libertà. Sono dei narcisi che impongono uno spettacolo al quale il cliente deve assistere come un devoto. Invece, dev’essere il principe: se non c’è lui possiamo andare tutti a spasso».
Senza i clienti si chiude.
«Il lusso sono le persone. Questi chef non seguono la cucina italiana. Siamo un Paese ricco di tradizioni nella letteratura, nell’arte, nell’architettura. La cucina nasce da qui. L’anima dell’uomo si trasmette attraverso la cultura. La cucina è cultura. Se va alla Pinacoteca di Brera, sotto i quadri di Giovanni Bellini e di Vittore Carpaccio trova la storia del nostro cocktail e del nostro piatto di carne affettata ispirati alla loro pittura. Ma non l’ho voluto io».
Che cos’è il narcisismo degli chef?
«Il ristorante si identifica con loro, invece per me è un insieme di componenti. Lo chef conta, ma se diventa il tutto finisce per imporre il suo ego. Qualche giorno fa mi è capitato di assistere a una scena in un importante ristorante. Un cliente voleva del formaggio; “No, l’ho già messo io”, ha replicato lo chef. “Mi scusi, vorrei del formaggio”, ha ribadito il cliente. Alla fine, quello l’ha fatto aggiungere manifestando tutto il suo disprezzo. Il cliente dev’essere un allievo obbediente».
Nei menu le descrizioni dei piatti devono essere decodificate.
«Vede? Il cliente è un allievo a scuola».
Come sintetizzerebbe le qualità dell’Harry’s Bar?
«Assenza di imposizioni. Accoglienza nella cucina e nel servizio. Per questo preferisco le trattorie, che sono il posto dove si conservano le tradizioni e l’accoglienza dell’oste. Vede i nostri bicchieri? Noi non abbiamo calici. Per bere si compie un gesto semplice, non si fa ginnastica».
Uno dei suoi ultimi libri s’intitola Elogio dell’accoglienza. Cosa pensa del «tortellino dell’accoglienza» inventato dall’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Maria Zuppi, che ha proposto di sostituire il ripieno di maiale con quello di pollo per facilitare la devozione dei musulmani a San Petronio, patrono cittadino?
«Mi sembra una grande stupidaggine, un segno lampante di quanto poco i cattolici, specialmente certe gerarchie, capiscano le altre fedi monoteistiche. Mi sembra anche una manifestazione supponente. Non è la diversa visione gastronomica che concorre a dividere i fedeli. Qualche giorno fa, ho visitato il nostro ristorante di Ryiad dove mi piacerebbe invitare monsignor Zuppi perché possa capire che l’accoglienza è un valore immateriale, difficile da comprendere solo da chi pensa che le differenze religiose abbiano motivazioni… suine».
Gli chef sono tutti uomini, ma le ricette le hanno inventate le nonne e le hanno tramandate le mamme. La cucina della tradizione è femminista?
«Gli chef sono uomini perché è un lavoro pesante, bisogna sollevare le pentole, ci sono 50 gradi… La cucina della tradizione è nata prima dell’invenzione del frigorifero, quando i cibi venivano affumicati, salati e conservati nelle cantine. In cucina comandavano le donne e si mangiavano la trippa, il fegato alla veneziana, il baccalà, lo spezzatino. Era un modo di mangiare legato ai bisogni primari del dopoguerra».
Invece la nouvelle cuisine viene dalla cultura dell’immagine?
«Dalla rivoluzione del Sessantotto che ha fatto morire la tradizione. In America quella rivoluzione è finita subito, qui l’abbiamo ancora in casa».
Nel libro scrive che «dalle cucine degli anni Settanta sono usciti molti pittori e scultori, ma pochissimi cuochi».
«Se guarda con attenzione un piatto della nouvelle cuisine si accorgerà che la forma è talmente curata da sembrare un piatto morto. Non a caso si parla di impiattamento: pietanze che sembrano sculture. Infatti, non propongono mai un piatto caldo perché è difficile da comporre e può creare problemi estetici».
I critici gastronomici sbagliano a penalizzare la cucina tradizionale o la ricerca fa crescere l’industria del cibo?
«La maggior parte dei critici gastronomici segue la moda. Chi propone una vera cucina tradizionale non è interessato a stare sui giornali, ma ad avere clienti che tornino per la qualità del menu».
L’innovazione non serve?
«L’innovazione è far bene la tradizione. Ci sono talmente tanti dettagli che il gusto è sempre migliorabile, perfezionabile. Adesso tutti adoperano la curcuma e le spezie e non si capisce che cosa c’entrino con noi».
Cosa favorisce l’invasione della telecucina?
«L’audience e il mercato. Tutto è cambiato con Masterchef, un programma che viene registrato in una settimana, inventato da Gordon Ramsay, uno chef che ha visto fallire molti suoi ristoranti».
Perché ce l’ha con i francesi e chiama «guida dei copertoni francesi» la Guida Michelin?
«Qualche anno fa, un mio cliente, il ministro della Cultura francese Rennaud Donnedieu de Vabres mi invitò a una cena al ministero, c’erano 200 persone. A un certo punto si alzò: “Questa cena è in onore di Arrigo Cipriani”. I francesi sono grandi intenditori di cibo e di vini, non ce l’ho con loro. Ma mi chiedo perché noi italiani dobbiamo copiarne la cucina. E anche perché dobbiamo copiare gli americani nella robotizzazione del servizio».
Robotizzazione del servizio?
«Se telefona all’Excelsior si sente rispondere: “Grazie per aver chiamato l’Excelsior, sono Francesco, in che cosa posso esserle utile?”. Un robot, un disco. Le persone dicono: “Buongiorno, come sta?”».
Perché ce l’ha con le guide?
«Perché vogliono teleguidare i clienti. Lei va in un locale perché lo dice la guida o perché glielo consiglia un amico?».
Perché i suoi locali non sono stellati?
«Perché non voglio entrare in una classifica lontana dalla cucina italiana. La stessa cosa vale per quella dell’Espresso o del Gambero rosso. L’unica classifica che mi interessa è quella stilata dai miei clienti».
Non è un po’ drastico dire «se volete mangiare bene spegnete la tv»?
«Trovo che molti di questi programmi siano fatti da dilettanti che s’improvvisano cuochi. Io sono qui da 65 anni, i piatti della nostra cucina li so fare, ma li lascio cucinare ai nostri cuochi che sono più bravi».
Negli anni Cinquanta e Sessanta la tv ha insegnato a mangiare.
«C’era uno come Mario Soldati, con la sua cultura e la sua genuinità».
Chi potrebbe essere il Soldati di oggi?
«Forse uno come Philippe Daverio, un critico d’arte, non gastronomico».
È merito della tv il boom degli istituti alberghieri?
«Certo, ma è un’ondata che sta rallentando, tanti ragazzi si cancellano. Ogni anno paghiamo tre borse di studio perché altrettanti studenti possano fare degli stage nei nostri ristoranti. C’è stato un boom enorme d’iscrizioni, poi è iniziata la ritirata. Si comincia a capire che è una vita faticosa e che spesso si ha un’idea romanzata della vita dei cuochi».
È anche per questo che molti tra i più famosi cadono in depressione e si suicidano?
«Anche. Molti hanno successo, ma non hanno cultura e mancano dei fondamenti. Qualcuno si accorge che è tutta una grande finzione».
Parlando di cultura, Ernest Hemingway frequentava la vostra locanda di Torcello e l’Harry’s Bar, meta di scrittori e artisti non solo durante la Mostra del cinema. Mi regala un aneddoto?
«L’altro giorno c’era Jeff Bezos, è un continuo via vai. Montale era una persona straordinaria che mangiava malissimo. A un certo punto si era affezionato, ma voleva un tavolo nascosto. Un altro così è Woody Allen, mangia incurvato, da solo. Una sera si è alzato e si è diretto verso la signora di un tavolo vicino: “Per cortesia, signora, può smetterla di fissarmi?”. Poi è tornato a sedersi».
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Oliviero Toscani, “Più di 50 anni di magnifici fallimenti”
di Cristina Sartorello
-- “Più di 50 anni di magnifici fallimenti” è il titolo dell’esposizione al MAR di Ravenna del fotografo Oliviero Toscani, a cura di Nicolas Ballario, che presenta quasi 150 fotografie di cui 100 immagini fotografie di piccolo formato, che ripercorrono la carriera di Toscani. Completano e integrano il percorso espositivo due corpi di lavoro che si sviluppano lateralmente: il “Progetto Razza Umana” con 25 fotografie a colori di grande formato ed ottima stampa e il “Focus newyorchese”, con immagini precedenti, anche in bianco e nero.
Per la prima volta troviamo in un museo italiano, fino al 30 giugno, una mostra che ripercorre la carriera del grande fotografo con le sue controverse fotografie, che mettono in scena la potenza creativa e la carriera di Oliviero Toscani attraverso le sue immagini più note.
© Oliviero Toscani, particolare della mostra con il curatore Nicolas Ballario - ph©Cristina Sartorello
Toscani mediante la fotografia ha fatto discutere il mondo su temi come il razzismo, la pena di morte, l’AIDS e la guerra; tra i lavori in mostra il famoso bacio tra un prete ed una suora del 1991, i tre cuori White/Black/Yellow del 1996, No-Anorexia del 2007 e decine di altri.
Sono esposti anche i lavori realizzati per il mondo della moda, che Oliviero Toscani ha contribuito a cambiare radicalmente: dalle celebri fotografie di Donna Jordan fino a quelle di Monica Bellucci, oltre ai ritratti di Mick Jagger, Lou Reed, Carmelo Bene, Federico Fellini e i più grandi protagonisti della cultura dagli anni '70 in poi.
Toscani nasce a Milano nel 1942 ed è figlio d’arte: infatti il padre Fedele, è stato il primo fotoreporter del Corriere della Sera. Sono proprio il padre, la sorella e il cognato Aldo Ballo (il più affermato fotografo del design milanese) a spingerlo a studiare in una grande scuola a Zurigo, la Kunstgewerbeschule, con Johannes Itten come preside, il maestro del colore della Bauhaus, e con alcuni dei più importanti grafici e fotografi del mondo come insegnanti. dove impara la teoria del colore, la tecnica e la composizione.
Di questo periodo sono gli emozionanti scatti che un Toscani, appena ventunenne, realizza a Don Lorenzo Milani, nella sua scuola di Barbiana, poi gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones, e quelli delle contestazioni studentesche. Toscani immortala quei momenti con la sua macchina fotografica e non si lascia sfuggire gli eventi salienti che contraddistinguono la sua generazione.
È in prima linea al concerto del Velodromo Vigorelli di Milano per fotografare i Beatles in occasione della loro unica tournée italiana. Baffi alla Gengis Khan, stivaletti della beat generation e ovviamente capelli lunghi, Toscani ci mette poco ad affermarsi e a diventare uno dei fotografi più richiesti dalle riviste di tutto il mondo.
Agli inizi degli anni ’70 decide di trasferirsi a New York e non va a vivere in un posto qualunque ma al Chelsea Hotel, intorno alle cui stanze ruota tutta la cultura underground della grande mela. È lì che abitano o avrebbero abitato Bob Dylan e Leonard Cohen, Iggy Pop e Sam Shepard, Tom Waits e Robert Mapplethorpe, passando le serate al Max Kansas City o al Club 57 e fotografa Mick Jagger, Joe Cocker, Alice Cooper, Lou Reed, Patti Smith allora sconosciuta.
© Oliviero Toscani, Tre delle foto in mostra – ph.Cristina Sartorello
Nel 1973 fotografa in primissimo piano il fondoschiena della modella Donna Jordan che indossa i jeans della marca Jesus con il motto “Chi mi ama mi segua”. Il manifesto fa il giro del mondo e le polemiche infuriano come mai prima era successo intorno a una pubblicità ed è proprio Pier Paolo Pasolini sulla prima pagina del Corriere ad ammonire tutti quei facili moralismi.
Gli anni ‘70 sono quelli che lo vedono come forza creativa dietro i più grandi giornali e marchi di tutto il mondo: Vogue, Harpe’s Bazaar, GQ, Elle, poi Missoni, Valentino, Armani, Esprit, Prenatal, Chanel e soprattutto Elio Fiorucci, il vero innovatore della moda a livello mondiale, con il quale Toscani stringe una forte collaborazione ed amicizia.
Nel 1982 avviene invece l’incontro che cambia il mondo della comunicazione: in quanto Toscani inizia a realizzare le campagne per Benetton, dando vita a una serie ormai radicata nell’immaginario di tutti. Viene inventato il marchio “United Colors Of Benetton”, quel rettangolino verde che sarà posto sulle fotografie che scuoteranno le coscienze del mondo e sulle etichette delle magliette che abbiamo indossato tutti ed io andavo fiera della bambina che faceva la lingua al mondo.
© Oliviero Toscani, Particolare della mostra - ph.Cristina Sartorello
Toscani ribalta il senso delle fotografie di moda e con le campagne Benetton parla di razzismo, fame nel mondo, AIDS, religione, guerra, violenza, sesso, pena di morte, attirando su di sé pesantissime accuse, cioè di sfruttare i problemi del mondo per fare la pubblicità ai maglioni, invece è l’esatto contrario in quanto Toscani usa il mezzo pubblicitario per parlare dei problemi del mondo.
I suoi “scandali via advertising” continuano con le sue fotografie sulla regolamentazione delle unioni gay, creando una grande campagna che mostra una coppia di omossessuali in atteggiamenti affettuosi su un divano o spingere un passeggino; nel 2007 invece scuote violentemente il fashion system, facendo trovare pronta proprio per la settimana della moda di Milano una campagna con la fotografia durissima di una ragazza anoressica che peserà trenta kg, completamente nuda, esposta con un solo manifesto a Milano, a mostrare i segni distruttivi della malattia che le case di abbigliamento invece sfruttano.
Nel 2018 torna a dirigere FABRICA, il centro di ricerca sulla comunicazione fondato insieme a Luciano Benetton quasi 30 anni prima. In mostra c’è anche il primissimo piano di un uomo di etnia africana con due occhi di colore diverso tra loro, fotografia con la quale Toscani lanciò il centro di ricerca e fece una campagna per la Fao.
© Oliviero Toscani ,Due delle foto in mostra – ph.Cristina Sartorello
Dal 2007 Toscani ha dato vita al progetto “Razza Umana”, con il quale ha girato mezzo mondo ritraendo persone nelle piazze e nelle strade, mettendo in piedi uno studio itinerante, scegliendo le fotografie digitali tra decine di migliaia di scatti.
Achille Bonito Oliva descrive così il senso di questo grande progetto: “Nella Razza Umana, una galleria infinita di ritratti di varia e anonima umanità, la fotografia non è casuale e istantanea, non è il risultato di un raddoppiamento elementare, bensì di una messa in posa che complica e rende ambigua la realtà di cui parte. In definitiva la Razza Umana è frutto di un soggetto collettivo, lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze”.
In mostra saranno visibili anche tre testimonianze video: il documentario No-Anorexia, girato in occasione dell’uscita della campagna nel 2008; il video WART, una fortissima sequenza di immagini che racconta il nesso tra guerra e arte, tra bellezza e tragedia; uno speciale della serie “fotografi” di SkyArteHD realizzato interamente sulla figura di Oliviero Toscani.
© Oliviero Toscani
Entrando al MAR uno non guarda la mostra ma si sente guardato dalle persone ritratte della Razza Umana, che sono illuminate negli scatti da diversi punti focali, per dare spessore al viso completo o solo agli occhi, con un risalto diverso per il colore della pelle.
Sono fotografie che ti colpiscono perché vorresti sapere di chi sono questi volti espressivi e sono davvero buone immagini, quindi la mostra è fatta molto bene, esposta con grande attenzione ed il curatore Nicolas Ballario lavora con Oliviero Toscani da tredici anni; il fotografo non voleva fare questa esposizione e neppure in un museo perché preferisce posti particolari, in quanto le mostre si fanno dopo che uno è morto.
Io non mi fermo al personaggio Toscani, guardo il fotografo e tutte le sue fotografie esposte a Ravenna, alle sue idee innovative per non dire geniali, per cui la creatività che non è da tutti desta invidia e malversazione e non esistono solo foto dissacranti ma anche la collaborazione con la Croce Rossa Italiana, con l’Istituto Superiore della Sanità, con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ed i progetti di Fabrica che permettono a tanti giovani artisti di farsi conoscere, avere una supervisione e la possibilità di esporre.
Toscani sa fare bene il suo lavoro ed i suoi scatti parlano da soli ed è quello che dovrebbe essere sempre, invece siamo invasi da tanta fotografia spazzatura, inconsistente, senza spessore, anche nella pubblicità.
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OLIVIERO TOSCANI, PIÙ DI 50 ANNI DI MAGNIFICI FALLIMENTI
dal 14 Aprile al 30 Giugno 2019
MAR - Museo d'Arte della città di Ravenna, via di Roma, 13 RA Tel. +39 0544 482477 - Tel. +39 0544 482356 - fax 39 0544 482450 - [email protected]
Orari: martedì - sabato 9-18, domenica e festivi 11-19 - chiuso il lunedì
Aperture festive: 11-19 (Pasqua, lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno)
Aperture speciali: 9-21 (10, 17, 24, 31 maggio - 7, 14, 21, 28 giugno La biglietteria chiude un’ora prima
Biglietto: mostre e collezioni del MAR: intero € 6, ridotto e gruppi € 5
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New York Fashion Week Front Row: le star alle sfilate
È ufficialmente iniziata la New York Fashion Week: dal 6 al 12 settembre si svolgeranno nella Grande Mela le sfilate dedicate alle Collezioni Primavera Estate 2019. Non a caso, Manhattan è già in fermento. Star, celebrity, modelle e It-girl internazionali sono già volate in città per assistere agli show più esclusivi, invitate personalmente dai designer statunitensi più importanti, a sedere nei prestigiosi front row. Ma quali sono i grandi nomi della moda che hanno avuto accesso alle prime file delle sfilate newyorkesi in calendario?
Nel parterre di Tom Ford – che anche questa stagione ha inaugurato la Settimana della Moda con uno show strepitoso – sedevano la top model brasiliana Adriana Lima, Suki Waterhouse, Abbey Lee Kershaw, l’attore Tom Hanks con la moglie Rita Wilson, le cantanti Hailee Steinfeld e Cardi B.
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Jennifer Lopez: 10 cose che non sai sull’attrice
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/jennifer-lopez-10-cose-che-non-sai-sullattrice/
Jennifer Lopez: 10 cose che non sai sull’attrice
Jennifer Lopez: 10 cose che non sai sull’attrice
Jennifer Lopez: 10 cose che non sai sull’attrice
Celebre attrice e cantante, Jennifer Lopez è tra le più influenti personalità di origine ispanica, con all’attivo numerose collaborazioni importanti sia in ambito musicale che cinematografico. Nominata più volte come donna più bella del mondo, la Lopez ha sempre saputo come cavalcare la cresta dell’onda, riproponendosi continuamente in nuove vesti e trovando continuamente il favore del pubblico e della critica.
Ecco 10 cose che non sai di Jennifer Lopez.
Jennifer Lopez film
1. Si è affermata come attrice. La carriera cinematografica della Lopez ha inizio nel 1986 con il film My Little Girl. Successivamente ottiene ruoli di rilievo in film come Jack (1996), Anaconda (1997), e Out of Sight (1998), ottenendo una buona popolarità con il film Prima o poi mi sposo (2001). Da quel momento ha poi preso parte a celebri film come Jersey Girl (2004), Shall We Dance? (2004), Quel mostro di suocera (2005), Bordertown (2006), Piacere, sono un po’ incinta (2010), Che cosa aspettarsi quando si aspetta (2012), Il ragazzo della porta accanto (2015), Ricomincio da me (2018) e Le ragazze di Wall Street (2019).
2. Ha recitato anche in televisione. Negli anni l’attrice è più volte apparsa in alcune serie TV di successo come In Living Color (1991-1993), Second Chances (1993-1994), Will & Grace (2004), How I Met Your Mother (2010) e in Shades of Blue (2016-2019), dove ricopriva il ruolo della protagonista.
3. Ha lavorato come doppiatrice. La Lopez si è distinta anche come doppiatrice, prestando la sua voce a film d’animazione come Z la formica (1998), L’era glaciale 4 – Continenti alla deriva (2012), Home – A casa (2015) e L’era glaciale – In rotta di collisione (2016).
Jennifer Lopez Instagram
4. Ha un profilo molto seguito. L’attrice è presente sul social network Instagram con un proprio account personale, seguito da 104 milioni di persone. Il suo è infatti uno degli account Instagram più seguiti in assoluto. All’interno di questo l’attrice è solita condividere fotografie scattate in momenti di svago, ma anche immagini promozionali dei suoi progetti da interprete o cantante, e anche numerosi scatti per riviste di moda.
Jennifer Lopez figli
5. Ha due figli. L’attrice ha dato alla luce due gemelli, nati nel febbraio del 2008, e avuti all’interno del matrimonio con il cantante Marc Anthony, sposato nel 2004 e da cui divorzia nel 2014. Nonostante sia stata sposata tre volte, e abbiamo avuto diverse importanti relazioni sentimentale, la Lopez ha avuto figli solo con Anthony.
Jennifer Lopez canzoni
6. Ha pubblicato album di grande successo. Celebre anche come cantante pop, la Lopez ha negli anni pubblicato 8 album discografici, vincendo grazie a questi premi prestigiosi e ritrovandosi più volte presente in ottime posizioni all’interno della classifica Billboard 200, riguardante gli album musicali più venduti negli Stati Uniti. Nella sua carriera ha venduto circa 80 milioni di dischi.
7. Detiene un particolare record. La Lopez è stata la prima a rilasciare un film (Prima o poi mi sposo) e un album (J.Lo) nel giro di una sola settimana, portandoli entrambi al numero 1 delle classifiche musicali e cinematografiche.
Jennifer Lopez fisico
8. È apprezzata per il suo fisico. Nonostante la non più giovane età, la Lopez sembra non invecchiare mai, sfoggiando sempre una forma smagliante. Costantemente in attività tra cinema e musica, la Lopez ha sempre mantenuto un fisico statuario, sfoggiato nelle numerose collaborazioni con importanti stilisti come Valentino o Donatella Versace.
Jennifer Lopez 2019
9. Sarà protagonista di un nuovo film. Nel 2019 arriva in sala il nuovo film dell’attrice, intitolato Le ragazze di Wall Street, dove la Lopez interpreta la spogliarellista Ramona Vega. Per il suo ruolo l’attrice ha ricevuto ottime lodi da parte della critica, e sono in molti a pronosticare una sua nomination ai prossimi premi Oscar.
Jennifer Lopez età e altezza
10. Jennifer Lopez è nata a New York, Stati Uniti, il 24 luglio 1969. L’altezza complessiva dell’attrice è di 164 centimetri.
Fonte: IMDb
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Jennifer Lopez: 10 cose che non sai sull’attrice
Celebre attrice e cantante, Jennifer Lopez è tra le più influenti personalità di origine ispanica, con all’attivo numerose collaborazioni importanti sia in ambito musicale che cinematografico. Nominata più volte come donna più bella del mondo, la Lopez ha sempre saputo come cavalcare la cresta dell’onda, riproponendosi continuamente in nuove vesti e trovando continuamente il favore […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Gianmaria Cataldo
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Matthew Williamson è un designer britannico di moda pluripremiato, lifestyle e interior noto per il suo uso di design audaci, colorati, accuratamente costruiti, intricati motivi e disegni ispirati alla natura e ai viaggi. Laureato presso il prestigioso Central Saint Martins College, Matthew Williamson ha mostrato la sua acclamata collezione di passerelle di debutto “Electric Angels” nel 1997. Negli ultimi anni, il DNA del design di Matthew si è tradotto perfettamente in interior design.
Matthew, apertamente omosessuale, si è laureato alla Central Saint Martins nel giugno 1994 in Fashion and Print Design. Ha lavorato a vari progetti freelance tra cui costumi di danza per la compagnia Wayne McGregor, per la casa di moda italiana Marni, alla Monsoon e da Georgina von Ertzdorf.
Ha fondato una società di partnership con Joseph Velosa nel settembre 1996. La società aveva sede in un appartamento sulla Gray’s Inn Road, Londra. Alla fine dello stesso anno l’etichetta è stata venduta a Browns London e Barneys New York.
Matthew ha mostrato la sua acclamata collezione di debutto, “Electric Angels“, alla settimana della moda di Londra nel settembre 1997, con il suo omonimo marchio. La mostra di debutto di solo quattordici look dai colori vivaci indossati da modelle come Kate Moss, Helena Christensen e Jade Jagger ha avuto un enorme impatto sul mondo della moda, in mostra un assaggio di ciò che doveva venire negli anni a seguire.
Matthew ha ricevuto due nomination successive come Designer of the Year at the British Fashion Awards, 1999 e 2000.
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La società ha celebrato il suo 5° anniversario con una serie di fotografie scattate da Rankin con celebrità come Gwyneth Paltrow, Kirsten Dunst e Kelis. Queste fotografie sono state poi esposte in uno spazio di galleria convertito nella zona ovest di Londra nel settembre 2002.
Nel giugno 2003 la società ha collaborato con la Rug Company su una gamma di 4 tappeti utilizzando stampe delle collezioni prêt-à-porter. Fino ad oggi le collezioni sono vendute presso prestigiosi rivenditori di tutto il mondo.
A partire dal settembre 2003, la società ha iniziato a collaborare con la Coca-Cola per applicare le stampe di Matthew Williamson sulle iconiche bottiglie di vetro. La prima bottiglia “Parrot Print” è stata così accolta con successo che la collaborazione è stata estesa per includere altre tre stampe che sono state lanciate in concomitanza con l’apertura del primo flagship store dell’azienda.La società ha aperto il suo primo flagship store a 28 Bruton Street, Mayfair, Londra, nell’aprile 2004.
L’arrivo di Williamson al n. 28 di Bruton St è come un uccello del paradiso che svolazza in una strada londinese di mattoni e malta. – Suzy Menkes in The International Herald Tribune
Nel marzo 2005, a Matthew è stato assegnato il premio Moët and Chandon Fashion Tribute. Alla cerimonia di premiazione hanno partecipato, tra gli altri, Sienna Miller, Keira Knightley, Jade Jagger e Helena Christensen, hanno presentato una passerella della collezione di archivi dell’azienda.Nel 2005 ha lanciato la sua gamma di profumi. Nell’ottobre dello stesso anno, Matthew è stato nominato direttore creativo della casa di moda italiana, Emilio Pucci. Matthew ha diviso il suo tempo tra il Regno Unito e l’Italia durante questo periodo, creando le collezioni di abbigliamento femminile per le aziende Matthew Williamson e Pucci. Matthew ha lavorato in Emilio Pucci per 3 anni.
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Nel marzo 2007, Matthew è stato invitato dal London Design Museum a curare una mostra, che è stata inaugurata nell’ottobre 2007. Ha caratterizzato i momenti salienti della sua carriera decennale.
Nel settembre 2007 la compagnia ha festeggiato il suo decimo anniversario tornando alla London Fashion Week dopo 5 anni alla New York Fashion Week. Lo spettacolo presentava anche un’esibizione a sorpresa di Prince che all’epoca era in tournée a Londra.
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Matthew è stato insignito del Red Carpet Designer of the Year Award ai British Fashion Awards nel novembre 2008.
Nel febbraio 2009, la società ha aperto il suo primo flagship store internazionale a 415 West 14th Street, New York. A ciò è seguita l’apertura di un terzo flagship store a giugno, situato nel Mall of Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.
Nell’aprile 2009, la società ha collaborato con H&M a una collezione estiva che comprendeva prêt-à-porter e accessori per uomo e donna ed è stata venduta dai negozi H&M in tutto il mondo per un periodo limitato. La collezione è stata accompagnata da una campagna pubblicitaria scattata da Sølve Sundsbø con la modella Daria Werbowy.
Nell’autunno 2010, un libro omonimo è stato pubblicato da Rizzoli. Il libro è scritto da Colin McDowell. Una mostra fotografica di accompagnamento ha segnato il lancio del libro.
La società ha collaborato con Bulgari su una gamma di borse per la stagione primavera/estate 2011 che saranno vendute nei negozi Bulgari e Matthew Williamson in tutto il mondo.Matthew è stato il primo designer a presentare alla Tate Modern di Londra per la sua collezione primavera/estate 2012. Lo spettacolo è stato aperto da Dree Hemingway e chiuso da Anja Rubik.
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La duchessa di Cambridge ha indossato un passaggio su misura dalla collezione Pre Fall 2012 per assistere alla premiere britannica di African Cats in aiuto di Tusk. Ricamato con perline gialle e turchesi su polsini e colletto, il cambio in crepe è diventato uno stile distintivo per il marchio.
Nel 2012 il marchio ha celebrato il suo 15° anniversario con un video, interpretato da Sienna Miller, Poppy Delevingne e Andrea Riseborough. Diretto da Tell No One, il film, intitolato XV, è stato girato ad Aynhoe Park nell’Oxfordshire e presenta otto ballerine del Royal Ballet, coreografate dall’acclamato Wayne McGregor. In coincidenza con il lancio del film, Matthew ha creato una collezione in edizione limitata in collaborazione con Swarovski. La collezione era disponibile per l’acquisto esclusivamente su Net-a-Porter.com.
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Matthew ha lanciato la sua prima collezione di tessuti per arredamento e carte da parati per Osborne & Little nel 2013. Le collezioni annuali sono disponibili in tutto il mondo attraverso Osborne & Little showroom e rivenditori.
Nel 2015, Matthew è stato incaricato di progettare la suite nuziale della dimora signorile del 17° secolo Aynhoe Park nell’Oxfordshire.
Nello stesso anno, Matthew fu incaricato dall’iconico hotel Blakes di progettare il loro cortile estivo. Ha collaborato con l’artista Rebecca Louise Law, trasformando lo spazio con oggetti d’arredamento e tessuti della sua gamma Osborne & Little. Da allora ha ridisegnato il cortile per formare un’oasi permanente e lussureggiante presso l’hotel a South Kensington, Londra.
Nel novembre 2016, Matthew ha ospitato una cena con Gwyneth Paltrow in occasione del suo albero di Natale appositamente curato, commissionato dall’associazione benefica Kids Company. L’albero di 6 metri ed è stato decorato con palline da artisti, designer e attori tra cui Mary J Blige, Tom Dixon e Zaha Hadid.
La prima gamma di mobili su misura di Matthew è stata lanciata nel 2016, creata in collaborazione con Duresta, produttore di divani con sede a Nottingham. Nel marzo 2017, Matthew ha lanciato la gamma negli Stati Uniti presso ABC Carpet & Home a New York. Hanno creato una suite che ha incapsulato l’estetica di Matthew, utilizzando una tavolozza arcobaleno e dettagli per incuriosire l’occhio. A Matthew si sono uniti Sienna Miller, Lauryn Hill e gli amici di New York per lanciare la collezione.
Negli ultimi anni, il DNA del design di Matthew si è tradotto perfettamente in arredamento degli interni. Per l’estate 2017, è stato incaricato di progettare gli interni del Nama Bar di Deià, a Maiorca. Il 2018 ha visto il lancio di Suite 67 a Belmond La Residencia.
Il 2019 Matthew è presente come giudice ospite negli Interior Design Masters della BBC. Ad aprile, Matthew ha collaborato con la designer Christine Leja.
Il brand ha messo in mostra un design insolito, dettagli intricati e reperti distintivi. Una collezione di articoli per la tavola, che verrà lanciata a Maison & Objet.
aggiornato al 22 ottobre 2019
Autore: Lynda Di Natale Fonte: matthewwilliamson.com, wikipedia.org, web
Matthlew Williamson #matthleweilliamson #williamson #creatoredellostile creatoredellamoda #perfettamentechic #felicementechic #lynda Matthew Williamson è un designer britannico di moda pluripremiato, lifestyle e interior noto per il suo uso di design audaci, colorati, accuratamente costruiti, intricati motivi e disegni ispirati alla natura e ai viaggi.
#ABC Carpet & Home#African Cats#Andrea Riseborough#Anja Rubik#Aynhoe Park#Barneys New York#Browns London#Bulgari#Christine Leja#Coca-Cola#Colin McDowell#Daria Werbowy#Dree Hemingway#Duchessa di Cambridge#Duresta#Electric Angels#Emilio Pucci#Georgina von Ertzdorf#Gray&039;s Inn Road#Gwyneth Paltrow#H&M#Helena Christensen#hotel a South Kensington#hotel Blakes#Interior Design Masters#Jade Jagger#Joseph Velosa#Kate Moss#Kids Company#La Residencia
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Dion Lee
È l’incontro-scontro tra lingerie e casualwear a dare vita alla nuova collezione autunno/inverno di Dion Lee.
Lo stilista australiano lascia sfilare donne e uomini avvalendosi di pieghe e trasparenze per dare la sua personale interpretazione dell’outfit.
Dove il reggiseno sbuca fuori dai blazer e dai longdress, dove l’organza e la rete non agiscono da protagonisti ma col solo obiettivo di dare spazio libero alle forme ed alla fisicità, attraverso microgeometrie sistemate a mò di origami.
Ecco quindi entrare in scena spacchi, trafori a nido d’ape, intagli e fazzoletti, utilizzati per dare un look vedo-non vedo agli abiti da sera, ai tailleur pantalone da giorno, alla gonna in New Look destrutturato e al top.
Utilizzando la tecnica dell’effetto ottico, l’intimo viene quindi proposto in combinazione con capi utilizzabili 24/7 e look associati a diverse occasioni d’uso del daywear, come lavoro e tempo libero.
Ma lo stilista australiano non si ferma solo all’esposizione di ciò che è naturalmente sotto. I capi total look ad esempio, sono composti da pants in velluto imbottito e capispalla in morbida fur.
E poi gonne in seta e abiti midi in lattice, che hanno l’obiettivo di esplorare tutto lo spettro dell’underwear e dello sleepwear.
Dion Lee ridisegna e propone a New York il suo modo di vestire, sfruttando colore, luce, movimento e tridimensionalità.
Merito anche di pieghe, applicazioni come cinture e bretelle, tessuti lucidi, double-face e matelassé e cannoli su pelle e maglia.
E poi ancora zip lunghissime e cuciture a vista, ma anche accessori come i bottoni in metallo, che prendono spunto dai ganci di bra e reggicalze.
Le linee dritte però non devono ingannare, perché la collezione del giovane designer ha tutta l’aria di voler accarezzare le forme e veicolare sensualità.
Anche tramite asimmetrie e coste oppure stoffe delicate e leggere, ma non trasparenti, che sanno offrire panneggiamenti tutti naturali. Persino quando a sfilare sono lana e panno, la parola d’ordine è sofficità.
Per questa ragione, la tavolozza è super-semplice, giocata sui toni neutri e basici. Le poche variazioni come cemento, blu notte, vermiglio e salvia aiutano immediatamente a rievocare l’universo in cui Dion Lee ci vuole portare.
#Dion Lee#New York Fashion Week 2018#NYFW2018#MBFWNY2018#knitwear#Mercedes-Benz Fashion Week New York 2018#menswear#menscollection#Settimana della Moda di New York 2018#A/I 2018-2019#A/W 2018-2019#autumn/winter 2018-2019#ready-to-wear#mesh#fall/winter 2018-2019#F/W 2018-2019#prêt-à-porter#RTW2018-2019
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London Fashion Week, primo defilé della fashion icon Alexa Chung
London Fashion Week, primo defilé della fashion icon Alexa Chung
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Si è conclusa la settimana della moda di New York, mentre fino al 18 settembre la città di Londra ritorna protagonista con circa 120 eventi, tra sfilate, presentazioni ed happenings dedicati alle nuove collezioni primavera-estate 2019. Questa edizione della Week si presenta come una delle più interessanti delle ultime stagioni. Sono in programma come-back e debutti attesissimi, come…
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New York Fashion Week: i look curvy-friendly
Escada
Oscar de la Renta
Proenza Schouler
Tom Ford
Ulla Johnson
Adeam
Tadashi Shoji
John Elliott
Jeremy Scott
Tory Burch
Matthew Adams Dolan
Pamella Roland
Christian Cowan
Longchamp
Cushnie
Eckhaus Latta
Dion Lee
milly
R13
Monse
Self-Portrait
Hellessy
Kate Spade New York
Badgley Mischka
Area
Brandon Maxwell
Prabal Gurung
Brock Collection
Carolina Herrera
Rodarte
Christian Siriano
Boss
tibi
Sies Marjan
Escada
Oscar de la Renta
Proenza Schouler
Tom Ford
Ulla Johnson
Adeam
Tadashi Shoji
John Elliott
Jeremy Scott
Tory Burch
Matthew Adams Dolan
Pamella Roland
Christian Cowan
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Cushnie
Eckhaus Latta
Dion Lee
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R13
Monse
Self-Portrait
Hellessy
Kate Spade New York
Badgley Mischka
Area
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Prabal Gurung
Brock Collection
Carolina Herrera
Rodarte
Christian Siriano
Boss
tibi
Sies Marjan
I consigli di Vogue.it per la prossima stagione primavera-estate 2019. I look curvy-friendly più glamour selezionati per voi dalle passerelle della NYFW (6-12 Settembre 2018).
Le scelte per la S/S 2019 pensate per le donne curvy, viste in passerella durante la settimana della moda a New York City.
Sfogliate la gallery per scoprire i look curvy-friendly per la prossima Spring/Summer 2019, selezionati da noi di Vogue.it direttamente dalle passerelle della New York Fashion Week.
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Cosa aspettarsi dalla settimana della moda di Milano SS20 DI ANDERS CHRISTIAN MADSEN 17 settembre 2019 Parte 1 A seguito di una stagione che ha visto cambiamenti di programma a New York e Londra, la settimana della moda di Milano fa il suo debutto in una line-up rielaborata che allunga saldamente gli spettacoli della città per cinque giorni. Il programma è strategicamente pieno zeppo dei più grandi marchi che l'Italia ha da offrire, garantendo che tutti gli occhi siano costantemente tenuti su Milano, mantenendo il pubblico interurbano a portata di mano sui social media. Per quanto riguarda la programmazione, il cambiamento più notevole vede Prada aprire gli spettacoli di Milano mercoledì 18 settembre, mentre Gucci ora chiude la settimana domenica 22 settembre. Tutti gli occhi sono puntati su Silvia Venturini Fendi mentre mette in scena il suo primo spettacolo pronto per Fendi dopo la morte di Karl Lagerfeld a febbraio. L'erede 58enne Fendi, che incontrò per la prima volta Lagerfeld all'età di cinque anni e gli fu chiesto di unirsi a lui in casa nel 1992, presentò il suo primo spettacolo di haute couture progettato da solo per Fendi a luglio - per ottenere recensioni entusiastiche. Karl Lagerfeld e Silvia Venturini Fendi, 2016. Peter Pilotto si trasferisce a Milano dopo una piccola vita sulla pista britannica. Lo spettacolo, presentato mercoledì 18 settembre, rappresenta un nuovo capitolo per il marchio londinese progettato da Peter Pilotto e Christopher de Vos. Milan Fashion Week SS20: What To Expect | British Vogue @fashionguru327 @olney_fashions_ @pinterest @FashionUnitesNations fashionguru327.com Pinterest.com vogue.co.uk vogue.com #fashionunitesnations #fashionguru327 #italianetamericainehautecoutureetcoiffure #wear4trend #designerbrand #capequarter #olneyfashions #blackweddingdressisthenewwhite #blackweddingdress #backtoblack #ultimateexpressionofluxury #condénast #prewashed #dapperdan #turnheads #custombespoke #iconicstyle #preowned #ralphlauren #instagrambusiness #oscars #abstractart #facebook #photowomanpixel #Vogue #vogue https://www.instagram.com/fashionguru327/ (at Blue Waters Cafe at Imhoff Farm) https://www.instagram.com/p/B47SXhJAjqk/?igshid=1lpyx5womccis
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