#Scuola Superiore Meridionale
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lospeakerscorner · 2 months ago
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La cultura deve tutto al Meridione
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personal-reporter · 2 years ago
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Un carro dell’antica Pompei arriva a Roma
Il carro da parata scoperto nel 2019 a Civita Giuliana, località vicino a Pompei, in una villa suburbana già individuata agli inizi del Novecento e tornata all’attenzione per gli scavi clandestini condotti da tombaroli, è stato restaurato, Questo carro, con un rivestimento in bronzo e le decorazioni in argento, si presentava agli archeologi in ottimo stato di conservazione e dopo quattro anni dalla scoperta è terminato il lavoro, dove le parti mancanti hanno lasciato varie  impronte nella cenere e sono state ricostruite con il calco, in modo che il pubblico possa percepire le sue forme e dimensioni. L’appuntamento per vedere il carro è la mostra L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi, in programma fino  al 30 luglio 2023 al Museo Nazionale Romano di Roma. La storia del carro parte nel 2017 quando la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e il Parco archeologico di Pompei decisero di collaborare per fermare il depredamento del patrimonio archeologico dell’area di Civita Giuliana. Da questa sinergia, che ha visto nel 2019 la nascita di un Protocollo d’intesa per la legalità tra le istituzioni teso al contrasto delle operazioni ì nel territorio vesuviano e dall’attività di scavo, ne è derivata la scoperta di ambienti e reperti di grande valore dal punto di vista storico e scientifico, tra cui il carro cerimonial, con i suoi elementi in ferro, le decorazioni in bronzo e argento con raffigurazioni erotiche, i resti lignei mineralizzati, le impronte degli elementi organici, rinvenuto in condizioni ottime nel porticato antistante alla stalla. Fu subito chiaro questo manufatto era un unicum in Italia non solo per il livello di conservazione, per le singole decorazioni e la struttura del veicolo, ma anche perché non si configurava come un carro da trasporto per i prodotti agricoli o per le attività della vita quotidiana, già attestati sia a Pompei che a Stabia. Il carro è identificabile, secondo gli esperti, come un veicolo usato nel mondo romano dalle élite, per cerimonie e per accompagnare la sposa nella nuova casa Il restauro e l’esposizione non rappresentano solo la restituzione di un reperto eccezionale ai cittadini e agli studiosi, ma anche il coronamento di uno sforzo che ha visto operare insieme Parco archeologico di Pompei, Procura della Repubblica di Torre Annunziata e Carabinieri del TPC,  consapevoli del valore del patrimonio, eredità di un grande passato ma anche opportunità di crescita civile e socioeconomica per il futuro. Inoltre un carro simile era stato ritrovato anni fa in Grecia, nei luoghi dell’antica Tracia, in una tomba appartenuta a una famiglia di alto rango, ma lasciato in sito, mentre questa è invece la prima volta al mondo che questo manufatto viene ricostruito e studiato. La mostra che espone il carro è promossa dal Ministero della cultura italiano e dal Ministero della cultura e dello sport della Grecia, per testimoniare la centralità e l’importanza della collaborazione tra i due Stati. E' curato da Massimo Osanna, Stéphane Verger, Maria Luisa Catoni e Demetrios Athanasoulis, con il sostegno del Parco archeologico di Pompei e la partecipazione della Scuola IMT Alti Studi Lucca e della Scuola Superiore Meridionale. Read the full article
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scienza-magia · 2 years ago
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Dal Pnrr 726 milioni di Euro per i dottorati di ricerca nelle Università
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Università, partono i nuovi bandi per 19mila dottorati di ricerca. Firmati i decreti per l’anno accademico 2023-2024 - L’investimento totale supera i 726 milioni di euro, in parte a valere sui fondi del Pnrr. Prove di second life per i dottori di ricerca. Nella speranza di rafforzare il collegamento, e il trasferimento, tra alta formazione e impresa il ministero dell’Università sta per finanziare - grazie anche ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza - 19mila nuove “borse”, che spaziano dalle transizioni digitali e ambientali all’innovazione in azienda, dalla pubblica amministrazione al patrimonio culturale e alla ricerca scientifica. In nome di una strategia di rilancio complessiva di una figura ancora poco usata nel nostro Paese (uno su mille nella fascia d’età 25-34 anni contro gli 1,5 di media Ue e i 2,1 della Germania, ndr) che ha già visto arrivare uno sgravio ad hoc (la decontribuzione fino a 7.500 euro prevista dall’ultimo Dl Pnrr) e potrà contare a breve su semplificazioni e accordi specifici con il mondo produttivo. Le borse di studio per 726 milioni Torniamo alle 18.770 borse di dottorato che saranno bandite per il prossimo anno accademico, il 2023-2024, da due decreti alla firma del ministro Anna Maria Bernini, che siamo in grado di anticipare. L’investimento totale supera i 726 milioni di euro (in parte a valere sul Pnrr). La maggior parte (13.292 borse) sarà destinata ai dottorati innovativi con le imprese. Così da assicurare alle realtà produttive professionalità altamente qualificate e specializzate. Altre 2.539 borse sono destinate agli ambiti toccati dal Pnrr, i cosiddetti “generici”; 2.140 sono per la Pa, 410 sono per i programmi dedicati alle transizioni digitali e ambientali (altri ambiti “core” del Piano nazionale di ripresa e resilienza), le rimanenti 389 sono destinate alla ricerca per  il patrimonio culturale. Stanziamento di di 60mila euro ciascuna Passando all’ammontare delle borse di ricerca, transizioni digitali e green, ricerca Pnrr, pubblica amministrazione e patrimonio culturale, potranno contare ciascuna su uno stanziamento di 60mila euro. Per i dottorati innovativi l’investimento complessivo è di 30mila euro in cofinanziamento con le imprese private. Le risorse saranno assegnate alle università statali e non statali legalmente riconosciute e agli istituti universitari a ordinamento speciale. Rispetto al bando precedente, gli atenei e gli istituti che potranno attivare i dottorati salgono per il 2023-2024 a 99, grazie all’accreditamento della Scuola superiore meridionale. Per accedere agli stanziamenti le attività dovranno essere avviate entro il 30 dicembre. E le eventuali borse non assegnate potranno essere utilizzate per il ciclo successivo, nell’anno accademico 2024-2025. Sui dottorati di ricerca, come detto, la sfida è appena all’inizio: sui 5mila dottorati innovativi con le imprese finanziati nei mesi scorsi (relativi all’anno accademico 2022/23) sono state assegnate soltanto 1.709 borse (di cui 491 al Mezzogiorno). Ed è per questo che, nel pensare al 2023/24, Bernini ha deciso di accompagnarne il varo con una doppia mossa. Gli esoneri contributivi a favore delle imprese La prima incentiva le aziende a scommettere sul personale altamente specializzato. Con il decreto Pnrr approvato a metà febbraio è stato introdotto infatti un esonero contributivo a favore delle imprese che finanziano l’attivazione di un dottorato innovativo e che assumono a tempo indeterminato - e senza limite d’età - personale in possesso del titolo di dottore di ricerca formatosi con borse Pnrr oppure ricercatori. Questo significa che per le imprese che cofinanziano al 50% le borse di dottorato innovativi è prevista una agevolazione fiscale in relazione alle assunzioni a tempo indeterminato. L’esonero sarà applicato per 24 mesi a partire dal 1° gennaio 2024 e fino al 31 dicembre 2026 nel limite massimo di 7.500 euro a assunzione, con un tetto di due posizioni attivabili per ciascun dottorato finanziato. A definire il “quando” e il “come” sarà un decreto del Mur, da concertare con Lavoro e Mef, nelle prossime settimane. Il secondo step, che si concretizzerà a breve, è un dialogo più stretto con le imprese. Su questo fronte, il Mur ha avviato un’attività di informazione congiunta con le associazioni delle imprese (in primis, la Confindustria), predisponendo una piattaforma dedicata quale strumento che agevoli l’incontro tra offerta (universitaria) e domanda (delle imprese) di ricerca. L’auspicio è che università e aziende possano incrementare le politiche di ricerca comuni e attivare un numero elevato di borse di dottorato. Con calo demografico atenei del Sud a rischio chiusura Read the full article
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ticonsiglio · 2 years ago
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Concorsi Scuola Superiore Meridionale di Napoli per 7 assunzioni
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montagnarde1793 · 2 years ago
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Du nouveau (et du moins nouveau)
J’ai une grande annonce à vous faire, mais je suppose qu’il convient de commencer par expliquer pourquoi j’ai été si peu présente sur tumblr ces derniers mois. En effet, ça a été une époque plutôt mouvementée pour moi et c’est pas près d’arrêter...
Je ne me souviens même pas de la dernière fois que je vous ai mis au courant de ce qui se passe chez moi, du coup je ne sais pas trop par où commencer.
Comme celles et ceux d’entre vous qui me suivez depuis cette époque le savent, j’ai attrapé le Covid en mars 2020, au tout début du premier confinement. J’ai eu par la suite un Covid long qui a continué, par vagues, jusqu’à... il y a quelques jours, quand j’ai été réinfectée. J’ai, pour la première fois, un test positif, et des symptômes un peu différents que la première fois, mais je me sens un peu bête, parce que je savais bien qu’il ne fallait pas manger dans un restaurant bondé, mais je l’ai fait quand même et voilà le résultat. J’espère seulement que ça ne va pas trop aggraver mon Covid long existant...
Sinon, entre deux confinements, j’ai rencontré celui qui est devenu mon fiancé. On s’entendait si bien qu’on a décidé de se confiner ensemble... et à la fin de cette expérience on s’entendait toujours bien, ce qu’on a conclu être plutôt bon signe.
À cette époque, je travaillais comme enseignante contractuelle (d’anglais) à l’UVSQ —heureusement en distanciel, parce que ça aurait été impossible sinon — mais je savais que ce boulot n’avançait pas ma carrière, alors j’ai décidé, quoi qu’il arrive, de faire quelque chose qui le ferait à la rentrée 2021-2022. N’ayant pas trouvé autre chose, j’ai commencé un peu par défaut et à contre-cœur (pour plein de raisons) à préparer l’agrégation en septembre 2021.
En octobre-novembre 2021, j’ai reçu trois nouvelles choquantes, deux mauvaises, une bonne : la première (par ordre chronologique), c’était que mon copain devait se faire opérer pour une tumeur qu’on croyait (heureusement à raison) bénigne mais qui était vraiment mal placée, en bas de son dos, à l’intérieur de sa colonne vertébrale.
La seconde, c’était que, après avoir été en bas du classement par dossier parmi ceux qui avaient été retenus pour un poste de chercheur/se postdoctoral(e) à la Scuola Superiore Meridionale à Naples, ce qui signifiait que mon entretien devait être parfait pour que je décroche le poste... on m’a donné le maximum de points pour l’entretien et j’ai donc été prise.
La troisième et la pire de toutes, c’était que mon père venait d’être diagnostiqué avec un cancer terminal du poumon — nouvelle choquante en soi, mais d’autant plus qu’il n’avait jamais fumé (mais apparemment c’est le cas pour jusqu’à 20% des cancers du poumon).
J’avais pu voir mes parents en 2021, d’abord quand je suis allée chez eux me faire vacciner en mai 2021, dans l’espoir que ça aide avec mon Covid long, ensuite quand ils sont venus à Paris, où ils ont pu faire connaissance avec mon copain. On est allés ensemble à Beaune, qui était malheureusement un peu décevant à l’époque, mais que je retiens quand même comme un bon souvenir car c’est le seul voyage qu’on a pu faire tous ensemble quand mon père était encore (du moins à l’apparence) en bonne santé. J’ai enfin pu rentrer comme à mon ordinaire dans ma famille en août, même si pour l’instant on a empêché mon copain de m’accompagner, parce qu’il n’est pas de nationalité étasunienne. Mais on n’ai jamais pu faire le voyage post-thèse qu’on avait anticipé faire en 2020...
Bref, j’ai passé l’année universitaire 2021-2022 entre Paris, Naples et San Francisco. Mon copain a pu venir enfin aux États-Unis avec moi en décembre 2021, après un séjour plus long que prévu à l’hôpital et ayant gardé quelques séquelles inquiétantes, sans que sa vie ne soit en danger (ce qui est toujours le cas aujourd’hui).
Au début, mon père a pu commencer un traitement ciblé, grâce à une mutation rare, et pendant deux à trois mois, il semblait aller mieux. Il ne fallait pas espérer un miracle, mais on nous disait qu’il pouvait peut-être prolonger sa vie d’une année, voire plus...
À la même époque, je commençais à mener mon premier séminaire doctoral, sur l’histoire des droits naturels à l’époque médiévale et moderne, à Naples...
Et pendant un de mes allers-retours à Paris, mon copain et moi ont décidé de se pacser, le 8 février 2022.
Je suis allée voir mon père pour mon anniversaire en avril de cette année, alors qu’il pouvait encore sortir et marcher un peu, mais après, son état s’est rapidement dégradé.
Mon copain et moi avions discuté l’idée de se marier, à la fois parce qu’on le voulais, mais aussi parce qu’on espérait encore que mon père serait peut-être encore en vie, et mon père nous encourageait dans ces projets. On s’est donc fiancés le 7 mai, au Café des Chats de Paris en échangeant des chocolats chauds (pour des raisons d’égalité, même si ses parents ont finalement insisté pour me donner une bague qui avait appartenu à son arrière-grand-mère algérienne — ils sont vraiment trop sympas, ses parents, et je n’ai pas pu refuser).
Mais mon père était considérablement affaibli. Lors de ma dernière visite, il ne pouvait plus quitter son lit. Il est mort le 5 juillet. Mon fiancé devait encore travailler, mais il est venu me rejoindre chez ma mère quelques jours après. Ça a vraiment été un été éprouvant...
On est de retour à Paris depuis la mi-août, où la vie continue... Je continue à poursuivre ma recherche, je prépare un nouveau séminaire que j’assure avec une collègue sur “l’Âge des Révolutions”, on organise le mariage pour l’année prochaine... Mais encore, avant de mourir, mon père voulait nous donner les moyens d’acheter un appartement. Je sais que sur ce point, je suis vraiment privilégiée — on aura toujours un prêt à payer, mais sans l’aide de mes parents (et un peu des parents de mon fiancé, qui sont pourtant bien moins aisés)...
Mais en tout cas, on achète un appartement, ce qui signifie qu’il faut déménager avec tous nos meubles... et en même temps la propriétaire de mon appartement à Naples s’est trompée sur la date de la fin de mon bail et veut savoir si je veux le libérer en novembre au lieu de janvier. Cela m’arrange en vrai, puisque je ne voulais pas garder un appartement aussi cher aussi longtemps, mais ça veut dire que j’ai un déménagement à Paris en octobre, puis une dizaine de jours début novembre pour trouver un nouvel appartement à Naples, alors que je commence aussi mon nouveau séminaire, avant de repasser en France pour participer à une journée d’études et un colloque, après lesquels je repars en Italie reprendre mon séminaire.
Et avec tout ça, il faut trouver le temps de promouvoir mon nouveau livre puisque, oui, la version livre de ma thèse (qui a, j’ai oublié de le mentionner, remporté le prix de thèse de l’éditeur L’Harmattan), vient enfin de paraître. Genre, aujourd’hui même. Je ferai un autre post à ce propos, mais en attendant...
La version courte :
1) J’ai de nouveau le Covid, alors que je n’avais jamais cessé d’avoir le Covid long
2) J’ai un postdoc à Naples, où j’assure des séminaires doctoraux
3) J’ai perdu mon père à peine neuf mois après qu’il a été diagnostiqué avec un cancer avancé du poumon
4) Je vais me marier
5) Mon fiancé a dû se faire opéré et il a gardé des séquelles
6) On va déménager des deux appartements qu’on occupe actuellement
et enfin 7) Mon livre vient de sortir !
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Il pasticciotto leccese. Ma quando è stato creato? E da chi?
  IL PASTICCIOTTO LECCESE
Prezioso come un lingotto, sua maestà il Pasticciotto
di Raffaele Marullo*
  Il pasticciotto è il simbolo per eccellenza – e non solo culinario – del territorio leccese. Ma quando è stato creato? E da chi?
La prima ricetta scritta di quello che possiamo definire l’antenato del pasticciotto è da attribuire a Bartolomeo Scappi nella sua Opera. L’arte et prudenza d’un maestro cuoco, testo del 1570. Il cuoco associa la crema, a suo dire di provenienza francese, a un involucro da lui definito «cassetta del pasticcio»: egli riprende questa espressione per suggerire una preparazione (sia dolce sia salata) all’interno di una forma che poteva essere di terracotta o di rame stagnato. Stando a questa attestazione, quindi, un “pasticciotto” non sarebbe altro che un vezzeggiativo della parola “pasticcio”. In ogni caso è da sottolineare che, essendo Scappi conosciuto come il «cuoco secreto di papa Pio V», le sue ricette si sono certamente mosse all’interno di ambienti ecclesiastici.
Da Scappi si arriva direttamente alla citazione più antica e precisa del termine “pasticciotto” che si trova in un inventario redatto alla morte del vescovo di Nardò, il monsignore Orazio Fortunato, nel 1707: qui si menzionano «barchiglie di rame da far pasticciotto numero otto».  Ciò rafforza ulteriormente l’idea che sia il nome di questo prodotto sia la ricetta possano essere maturate in un ambiente ecclesiastico.
Ippolito Cavalcanti, nella sua Cucina teorico-pratica (1837), compilando la ricetta salata «Pasticcetti di pasta frolla», scrive: «[…] Potrai fare li tuoi pastiecetti, o tagliati col taglia pasta, o nelle formette, o nelle varchiglie…». Nello stesso volume, sono presenti anche ricette di dolci e torte farcite con crema pasticcera, che riconducono tutte all’idea del pasticciotto, da lui stesso peraltro menzionato nella «Pizza doce co la pasta nfrolla»: «[…] Co la stessa pasta, e co la stessa mbottunatura può fa pure li pasticciotti».
Tuttavia, consultando queste opere antiche possiamo riscontrare delle differenze rispetto alle ricette attuali soprattutto per quanto riguarda il lessico: molti di quei termini che per noi sono di uso comune in passato erano utilizzati in modo diverso.
Nella ricetta di Scappi, l’unico elemento che manca, per essere del tutto assimilabile a quella del pasticciotto, è la descrizione di un’eventuale copertura della «cassetta del pasticcio», una volta riempito, con l’impasto stesso, come invece farà Ippolito Cavalcanti nella ricetta «Pizza doce co la pasta nfrolla», che lui stesso associa al metodo per fare i pasticciotti, dicendo: «ncoppa nce miette l auta pettola de pasta e la farraje cocere». Per “pettola”, termine usato anche da Scappi, si intendeva una piccola porzione di pasta appiattita, un termine che è finito anch’esso per identificare un’altra ricetta tipica salentina, le pìttule.
Un’altra ipotesi riguardo la nascita di questo prodotto può essere legata alle varchiglie alla cosentina che, nel 1300 a Cosenza, venivano prodotte dalle monache Carmelitane scalze.  Alcuni sostengono che questo nome derivi dallo spagnolo barquilla (“cestino”) o dal volgare varca (“barca”), ma gli Aragonesi, in realtà, arrivarono nella regione oltre un secolo più tardi. Le varchiglie erano composte da un involucro esterno costituito da una specie di pasta frolla e ripieno di pasta di mandorla cui si dava la forma di una barchetta; nel complesso sono considerate le antenate dei bocconotti meridionali e anche del nostro fruttone salentino. Il nome, la preparazione e la forma non possono che ricondurre al pasticciotto e proprio il termine “bocconotto” in dialetto salentino viene ancora inteso come variante del pasticciotto.
Oltre che con il generico bocconotto dell’Italia meridionale, il pasticciotto salentino, sia per il nome sia per la ricetta, ha un nesso con quello campano che oltre alla crema pasticcera prevede l’impiego dell’amarena come descritto nella ricetta delle «Bucchinotte d’amarene» di Cavalcanti. Non sappiamo se questo prodotto preesistesse rispetto a quello leccese o se, viceversa, sia stato importato dal Salento, come non sappiamo se il fruttone leccese, che abbiamo ipotizzato derivare dalla varchiglia calabrese, possa derivare anche dalle bucchinotte d’amarene napoletane, di cui esiste una variante più simile ad esso nella penisola sorrentina nella quale viene aggiunta nel ripieno anche la pasta di mandorla.
Quel che è certo è che in passato la consumazione di questi prodotti era limitata alle classi agiate come specifica Pellegrino Artusi nella sua opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891-1910). Tenendo conto degli influssi napoletani nella società leccese del tempo, i pasticciotti menzionati nell’inventario di Nardò forse potevano già contenere l’amarena.
Rispondere esaurientemente alle domande iniziali non è quindi possibile e tutto sommato non è neppure auspicabile perché, come spesso accade, è la trasmissione dei saperi, la registrazione, gli intrecci e le contaminazioni che hanno dato vita a quelle tradizioni poi considerate “locali”, a volte anche in maniera campanilistica, e che invece sono già figlie di tanti luoghi e tante storie.
  Raffaele Marullo, di Nardò, è diplomato presso la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, Corso Superiore di Pasticceria, di Colorno (Parma), fondata da Gualtiero Marchesi
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Al nastro di partenza la Scuola Superiore Meridionale
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Al nastro di partenza la Scuola Superiore Meridionale: è pronta ad accogliere i suoi primi 40 Allievi dopo l’autonomia acquisita il 2 aprile 2022. Pubblicato il primo bando come Istituto di Istruzione Universitaria di Alta Formazione Dottorale ad Ordinamento Speciale. Scuola Superiore Meridionale, cos'è? È on line, infatti, il bando riservato a studentesse e studenti, con meno di 21 anni, che si iscrivono alle lauree triennali presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, e a studentesse e studenti, con meno di 25 anni, che si iscrivono alle lauree magistrali presso lo stesso Ateneo. Per proporre le candidature c’è tempo fino al 29 agosto 2022.Per partecipare al concorso per l’ammissione al primo anno delle lauree triennali e delle lauree a ciclo unico bisogna aver conseguito il diploma di secondo grado con una valutazione non inferiore a 85/100. Per l’ammissione al IV anno (il primo della laurea magistrale) il candidato deve aver conseguito (o conseguirà entro il 31 ottobre prossimo) un titolo di laurea triennale con una valutazione non inferiore a 105/110. Formare talenti? La Scuola Superiore Meridionale, nata per assicurare una più equa distribuzione delle Scuole Superiori nel territorio nazionale allo scopo di scoprire e formare talenti, ha sede a Napoli, è unica nel Mezzogiorno e ha il compito di concorrere al generale progresso del sistema universitario e di promuovere la collaborazione con le altre Scuole e con le Università, italiane e internazionali. Si articola in due strutture accademiche interdisciplinari: l’area interdisciplinare umanistico-giuridica e l’area interdisciplinare scientifico-tecnologica.“La contaminazione delle idee e lo sviluppo delle competenze sono gli obiettivi principali e insieme il valore aggiunto della Scuola - spiega il professore Arturo De Vivo, membro del comitato ordinatore e responsabile della Scuola Superiore Meridionale -. Gli Allievi Ordinari potranno coltivare il proprio talento seguendo un percorso formativo che integra la qualità e il livello della preparazione universitaria attraverso insegnamenti, seminari, lettorati di lingue straniere, esercitazioni di laboratorio e periodi di studio, stage e tirocini presso istituzioni nazionali e internazionali”. Borse di studio A tutti gli Allievi Ordinari, indipendentemente dal reddito, è corrisposta una borsa di studio e sono rimborsate le tasse universitarie che gli studenti versano all’Università di Napoli Federico II. Garantiti, inoltre, vitto e alloggio, proprio con lo scopo di favorire, anche attraverso l’esperienza collegiale, la collaborazione e l’aggregazione tra gli iscritti a diverse discipline.La Scuola Superiore Meridionale coltiva l’eccellenza organizzando anche corsi di dottorato di ricerca di alto profilo internazionale, della durata di quattro anni, che uniscono ricerca pura e ricerca applicata in collaborazione con le scuole universitarie federate o con altre università. Scuola Superiore Meridionale: le aree dottorali Dieci le aree dottorali: Archeologia e culture del mediterraneo antico. Ricerca storica, conservazione, fruizione del patrimonio; Clinical and Translational Oncology; Cosmology, space science & space technology; Genomic and experimental medicine; Global history and governance; Law and organizational studies for people with disabilities; Mathematical and physical sciences for advanced materials and technologies; Modeling and engineering risk and complexity; Molecular sciences for earth and space; Testi, tradizioni e culture del libro. Studi italiani e romanzi. Anche a tutti i dottorandi viene corrisposta una borsa di studio indipendentemente dal reddito. Iscriversi alla Scuola Superiore Meridionale consente di arricchire a formazione dei  giovani talenti che si candidano per essere eccellenze nel mondo della ricerca e del lavoro. Read the full article
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lospeakerscorner · 6 months ago
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Inaugurata la SSM
134 studenti da tutta Italia a San Marcellino per la settimana di orientamento della SSM | Scuola Superiore Meridionale CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – Ha preso il via la settimana di orientamento della SSM | Scuola Superiore Meridionale.  Nella cinquecentesca chiesa del complesso dei Santi Marcellino e Festo sono iniziate le giornate tematiche di studio e vita comunitaria per 134 studenti…
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lucadonofrio · 4 years ago
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SSM - Scuola Superiore Meridionale
La Scuola Superiore Meridionale di Napoli è un luogo dedicato all’alta formazione in cui i migliori studenti di tutto il mondo hanno il tempo, lo spazio e gli strumenti per contribuire all’avanzamento della conoscenza attraverso la ricerca. Per SSM abbiamo realizzato una campagna social a lungo termine per proporsi come luogo di eccellenza per l’Alta Formazione, anche al di fuori del contesto geografico a cui la Scuola Superiore appartiene.
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freedomtripitaly · 5 years ago
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San Giorgio di Valpolicella, o Ingannapoltron, si trova nel comune di Sant’Ambrogio, ai piedi del Monte Solane: posto su di un cucuzzolo e stretto intorno alla pieve, è realizzato con la stessa pietra su cui poggia, immerso nei vigneti e gli olivi. Accanto alle sue cave, regala una vista incantevole che abbraccia il Lago di Garda a Verona, dalla Valpolicella alla Pianura Padana. La continuità tra le case e il suo promontorio sono qualcosa di davvero emozionante: non esiste confine tra abitato e natura, c’è un proseguo visivo fin da quando, in tempi antichissimi, aveva funzione di naturale fortezza che si raggiunge solo dopo un cammino lungo e faticoso, nonostante appaia, di primo acchito, molto vicino. Pieve di San Giorgio di Valpolicella, Ph. Flavio Vallenari (iStock) La storia del nome Ingannapoltron Dalla visione ottica distorta sulla distanza del borgo, deriva il nome Ingannapoltron, che significa “inganna il pigro”: questo toponimo sembra risalire al Medioevo, quando la scherzosa parola “poltron” fu aggiunta al toponimo “San Giorgio in Ganna”. Un attributo che alcuni studiosi fanno risalire a “ganne”, nome pre-romano pertinente alle Alpi orientali, che significherebbe semplicemente “mucchio di pietre” o “località rocciosa e pietrosa”. Il paese è infatti legato, fin dalle sue origini, a un’intensa attività di estrazione e lavorazione di marmo pregiato. I luoghi da vedere del borgo La Pieve di San Giorgio di Valpolicella risale al VII-VIII secolo, rimanendo così uno dei luoghi di culto più antichi di tutto il territorio del veronese. L’edificio è composto da tre navate e due absidi contrapposte, ricostruito agli inizi del XII secolo, come si evince dagli innesti romanici. Attraverso una piccola porta aperta nella fiancata meridionale della chiesa si esce nel chiostro, un piccolo gioiello architettonico che si illumina di rosso al tramonto. Dal chiostro si accede all’area archeologica dove sono visibili alcuni edifici dell’età del Ferro; a fianco della Chiesa si trova il Museo-Antiquarium, che raccoglie tutti i reperti della preistoria, dell’età del bronzo e del ferro e dell’età romana trovati nel paese e nei suoi dintorni. Ha una sala dedicata ai fossili custoditi negli strati della pietra sedimentaria su cui San Giorgio stesso sorge. San Giorgio Valpolicella, Ph. massimofusaro (iStock) Le Marogne sono ciò che rende ancora più caratteristica la collina veronese: si tratta dei terrazzamenti realizzati con muretti a secco che preservano il terreno dall’erosione delle acque e sui quali nasce il Valpolicella. Nei suoi dintorni ci sono anche numerose cave di pietra e di marmo Rosso Verona, detto di S.Ambrogio. Da visitare, anche se in disuso, le cave descuerte. Durante la vostra passeggiata non potete proprio esimervi dal visitare la deliziosa via Crucis dei Lapicidi: accanto al cimitero, gli allievi della Scuola d’Arte hanno scolpito una via crucis speciale. Le 14 stazioni sono rappresentate da libri aperti in pietra: da un lato è scolpita la passione di Cristo, dall’altro la passione degli scalpellini e dei marmisti del comune che hanno dovuto emigrare in cerca di lavoro. Piaceri e sapori del borgo I piatti ispirati alla tradizione sono molteplici e variegati: tra questi ci sono la minestra di fave, le tagliatelle in brodo coi fegatini, la pasta e fagioli, i bigoli con le sarde, la selvaggina cotta in diversi modi, la soppressa veronese e il formaggio Monte Veronese della Lessinia. Tra i dolci spiccano la gradela, focaccia dolce, e il nadalin, un dolce tipico alle mandorle. La presenza di ulivi e vigneti porta alla produzione di olio extra vergine di oliva e dei vini DOC e DOCG della denominazione Valpolicella: Amarone e Recioto, Valpolicella, Valpolicella Superiore e Ripasso; se capitate qui d’estate, sorseggiate un ottimo calice accompagnato dalle buonissime ciliegie appena colte. Le vigne del Valpolicella, Ph. Bruno_il_segretario (iStock) https://ift.tt/2pvEZDY San Giorgio di Valpolicella, il borgo veronese immerso nelle vigne San Giorgio di Valpolicella, o Ingannapoltron, si trova nel comune di Sant’Ambrogio, ai piedi del Monte Solane: posto su di un cucuzzolo e stretto intorno alla pieve, è realizzato con la stessa pietra su cui poggia, immerso nei vigneti e gli olivi. Accanto alle sue cave, regala una vista incantevole che abbraccia il Lago di Garda a Verona, dalla Valpolicella alla Pianura Padana. La continuità tra le case e il suo promontorio sono qualcosa di davvero emozionante: non esiste confine tra abitato e natura, c’è un proseguo visivo fin da quando, in tempi antichissimi, aveva funzione di naturale fortezza che si raggiunge solo dopo un cammino lungo e faticoso, nonostante appaia, di primo acchito, molto vicino. Pieve di San Giorgio di Valpolicella, Ph. Flavio Vallenari (iStock) La storia del nome Ingannapoltron Dalla visione ottica distorta sulla distanza del borgo, deriva il nome Ingannapoltron, che significa “inganna il pigro”: questo toponimo sembra risalire al Medioevo, quando la scherzosa parola “poltron” fu aggiunta al toponimo “San Giorgio in Ganna”. Un attributo che alcuni studiosi fanno risalire a “ganne”, nome pre-romano pertinente alle Alpi orientali, che significherebbe semplicemente “mucchio di pietre” o “località rocciosa e pietrosa”. Il paese è infatti legato, fin dalle sue origini, a un’intensa attività di estrazione e lavorazione di marmo pregiato. I luoghi da vedere del borgo La Pieve di San Giorgio di Valpolicella risale al VII-VIII secolo, rimanendo così uno dei luoghi di culto più antichi di tutto il territorio del veronese. L’edificio è composto da tre navate e due absidi contrapposte, ricostruito agli inizi del XII secolo, come si evince dagli innesti romanici. Attraverso una piccola porta aperta nella fiancata meridionale della chiesa si esce nel chiostro, un piccolo gioiello architettonico che si illumina di rosso al tramonto. Dal chiostro si accede all’area archeologica dove sono visibili alcuni edifici dell’età del Ferro; a fianco della Chiesa si trova il Museo-Antiquarium, che raccoglie tutti i reperti della preistoria, dell’età del bronzo e del ferro e dell’età romana trovati nel paese e nei suoi dintorni. Ha una sala dedicata ai fossili custoditi negli strati della pietra sedimentaria su cui San Giorgio stesso sorge. San Giorgio Valpolicella, Ph. massimofusaro (iStock) Le Marogne sono ciò che rende ancora più caratteristica la collina veronese: si tratta dei terrazzamenti realizzati con muretti a secco che preservano il terreno dall’erosione delle acque e sui quali nasce il Valpolicella. Nei suoi dintorni ci sono anche numerose cave di pietra e di marmo Rosso Verona, detto di S.Ambrogio. Da visitare, anche se in disuso, le cave descuerte. Durante la vostra passeggiata non potete proprio esimervi dal visitare la deliziosa via Crucis dei Lapicidi: accanto al cimitero, gli allievi della Scuola d’Arte hanno scolpito una via crucis speciale. Le 14 stazioni sono rappresentate da libri aperti in pietra: da un lato è scolpita la passione di Cristo, dall’altro la passione degli scalpellini e dei marmisti del comune che hanno dovuto emigrare in cerca di lavoro. Piaceri e sapori del borgo I piatti ispirati alla tradizione sono molteplici e variegati: tra questi ci sono la minestra di fave, le tagliatelle in brodo coi fegatini, la pasta e fagioli, i bigoli con le sarde, la selvaggina cotta in diversi modi, la soppressa veronese e il formaggio Monte Veronese della Lessinia. Tra i dolci spiccano la gradela, focaccia dolce, e il nadalin, un dolce tipico alle mandorle. La presenza di ulivi e vigneti porta alla produzione di olio extra vergine di oliva e dei vini DOC e DOCG della denominazione Valpolicella: Amarone e Recioto, Valpolicella, Valpolicella Superiore e Ripasso; se capitate qui d’estate, sorseggiate un ottimo calice accompagnato dalle buonissime ciliegie appena colte. Le vigne del Valpolicella, Ph. Bruno_il_segretario (iStock) San Giorgio di Valpolicella, si trova nel Comune di Sant’Ambrogio: posto su un cucuzzolo e stretto intorno alla pieve, è ricco di profumi e sapori.
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sciscianonotizie · 6 years ago
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ILMONITO Gianfranco Di Sarno ( M5S) : Nomina nel comitato ordinatore della Scuola Superiore Meridionale del prof. Antonio Giordano . http://dlvr.it/R34V0R http://dlvr.it/R34V0R
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Nuovo post su https://is.gd/ce8lDz
Nell’epopea degli “ppoppiti”, la ricerca dell’identità salentina,
Giorgio Cretì
  Poppiti (Il Rosone, 1996) è un romanzo moderno che ha sapore d’antico.
Ne è autore Giorgio Cretì (1933-2003), scrittore salentino, nato a Ortelle, in provincia di Lecce, ma trasferitosi presto a Pavia. Autore di vari racconti pubblicati su “Il Rosone”, la rivista dei pugliesi di Milano, e su altri periodici, Cretì, membro dell’Associazione Stampa Agroalimentare, ha dedicato i propri interessi di studio prevalentemente al settore della gastronomia e della cucina, dando alle stampe pregevoli testi come: Erbe e malerbe in cucina (Sipiel, 1987), il Glossario dei termini gastronomici, compresi i vocaboli dialettali, stranieri e gergali, annesso al volume I grandi menu della tradizione gastronomica italiana (Idea Libri, 1998), Il Peperoncino (Idea Libri, 1999), La Cucina del Sud (Capone Editore, 2000), A tavola con don Camillo e Peppone (Idea Libri, 2000), La Cucina del Salento (Capone, 2002), ed altri.
Il romanzo narra una storia d’amore che si volge nella campagna salentina, a Masseria Capriglia, fra Santa Cesarea Terme e Vignacastrisi, dove vivono i protagonisti del racconto, Poppiti appunto (o, nelle varianti Ppoppiti, con rafforzamento della lettera iniziale, o ancora Ppoppeti).
Varie le etimologie di questo termine gergale, ma la più accreditata è quella che lo fa risalire al latino post oppidum, ossia “fuori dalle mura del borgo”, ad indicare nell’antica Roma coloro che abitavano fuori dalle mura fortificate della città, dunque i contadini.
Questo termine è passato ad indicare la gente del Salento e in particolare dell’area più meridionale, ovvero di un territorio caratterizzato fino a cinquant’anni da un paesaggio prevalentemente agricolo e dominato dalla civiltà contadina.
ph Giorgio Cretì
  La storia si svolge all’inizio del secolo Novecento e gli umili contadini del racconto sono Ia e Pasquale, il quale è chiamato alla guerra di Libia del 1911 ed è così costretto a lasciare soli la moglie ed il bimbo appena nato. L’assenza di Pasquale si protrae a lungo perché in guerra egli viene fatto prigioniero. Quando ritorna nel Salento, con grandi progetti per la sua famiglia, Pasquale non trova però la situazione ideale che aveva immaginato ma anzi incombe sulla Masseria Capriglia una grave tragedia.
Del romanzo è stato tratto un adattamento teatrale dalla compagnia “Ora in scena”, per i testi della scrittrice Raffaella Verdesca e la regia dello studioso Paolo Rausa. La rappresentazione teatrale è stata portata in vari teatri e contesti culturali a partire dal 2013 con un discreto apprezzamento di critica e di pubblico. In particolare, fra il maggio ed il giugno del 2014, ad Ortelle, città natale dello scrittore, nell’ambito della manifestazione “Omaggio a Giorgio Cretì”, venne allestita in Piazza San Giorgio, la mostra di pittura Ortelle. Paesaggi Personaggi … con gli occhi (e il cuore) di Carlo Casciaro e Antonio Chiarello, presso Palazzo Rizzelli. Ortelle commemorava così un suo figlio illustre, con una serie di incontri e conferenze e con la messa in scena dello spettacolo teatrale, a cura di Raffaella Verdesca e Paolo Rausa. Le parole del romanzo di un cultore di storia patria si intrecciavano ai colori e alle immagini di due artisti del pennello, anch’essi ortellesi. La mostra pittorica di Casciaro e Chiarello ha portato alla pubblicazione di un catalogo dallo stesso titolo della mostra, con doppia speculare copertina, realizzato con il patrocinio del Comune di Ortelle, dell’Università del Salento, del CUIS e della Fondazione Terra D’Otranto.
Sulla copertina, in una banda marrone nella parte superiore, si trova scritto: “Per un antico (pòppitu) eroe. Omaggio a Giorgio Cretì”. Nella parte centrale, la foto di un bellissimo antico portale del centro storico di Ortelle. All’interno del volumetto, Casciaro e Chiarello si dividono equamente gli spazi: da un lato le opere dell’uno e dal lato opposto quelle dell’altro, realizzando una sorta di residenza artistica o casa dell’arte su carta. Il catalogo è introdotto da una bellissima poesia di Agostino Casciaro, dedicata proprio ad Ortelle e da una Presentazione della critica d’arte Marina Pizzarelli.
uno dei dipinti di Carlo Casciaro
Quindi troviamo i volti di Carlo Casciaro, fra i quali il primo è proprio quello dello Pòppitu Cretì, in un acrilico su tela del 2014; poi quello di Agostino Casciaro, tecnica mista 2014, e quello del pittore Giuseppe Casciaro (1861-1941), ch’è forse la maggior gloria ortellese, pittore di scuola napoletana, del quale Carlo è pronipote. Inoltre, l’opera Ortelle, acrilico su tela 2012, con una citazione di Franco Arminio; Capriglia, acrilico su tela 2014, con una citazione dal romanzo di Cretì; Largo Casciaro, acrilico su tela 2013, e infine una scheda biografica di Carlo Casciaro. Di Carlo ho già avuto modo di scrivere che dalla fotografia alla pittura, egli comunica attraverso la sua arte totale. (Paolo Vincenti, L’arte di Carlo Casciaro in “Il Galatino”, 14 giugno 2013).
Laureato all’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha vissuto a lungo a Milano prima di ritornare nel borgo avito e qui ripiantare radici. L’oggetto privilegiato della sua pittura è il paesaggio salentino. Il suo è un naturalismo che richiama quello dei più grandi maestri, come Vincenzo Ciardo. È un paesaggismo delicato, fuori dal convenzionale, dal naif. Nelle sue tele, dai vivaci colori, in cui vengono quasi sezionati i reticolati urbani dei nostri paesini, più spesso le aree della socialità come le piazze, gli slarghi, le corti, si ammirano animali quali pecore, buoi, galline, gazze, convivere in perfetta armonia con oggetti e persone, in un’epoca ormai lontana, fatta di ristrettezze e di fatica, quella della civiltà contadina del passato. Il segno colore di Casciaro dà ai suoi paesaggi un’immagine di gioia temperata, di una serenità appena percepita, cioè non un idillio a tutto tondo, tanto che il cielo incombente sulle scene di vita quotidiana sembra minaccioso e il sole non si mostra quasi mai.
Nel microcosmo di una piccola e fresca cantina nella quale ha ricavato il suo studio, oggi Carlo fotografa vecchi e vecchine, parenti, amici, personaggi schietti e spontanei di quella galleria di tipi umani che offre la sua comunità, li immortala nei suoi ritratti a matita e pastello e li appende con le mollette a dei fili stesi nella cantina a suggellare arte e vita, sogno e contingenza. Una delle sue ultime realizzazioni infatti è Volti della Puteca Disegni-Foto-Eventi, Minervino Ortelle Lecce 2016 (Zages Poggiardo, 2017).
Mutando verso del catalogo, si ripetono la poesia di Agostino Casciaro e la Presentazione di Pizzarelli, e poi troviamo le opere di Antonio Chiarello. Fra i versi di Antonio Verri e Vittorio Bodini, sette acquerelli con una piantina turistica di Ortelle, cartoline e vedute panoramiche della città di San Vito e di Santa Marina e una Vecchia porta + vetrofania, L’uscio dell’orto (…e lucean le stelle), tecnica mista del 2011. Quindi, la scheda biografica di Antonio Chiarello. Anche di Antonio, fra le altre cose, ebbi a scrivere che egli, laureato all’Accademia di Belle Arti di Lecce, utilizza, per le sue Pittoriche visioni del Salento, le tecniche più svariate con una certa predilezione per l’acquerello. (Paolo Vincenti, Da Sant’Antonio ad Antonio Chiarello in “Il Paese Nuovo”, 18 giugno 2011).
Nel 2005 Chiarello ha realizzato per la prima volta la mostra devozionale “San’Antonio giglio giocondo…”, con “tredici carte devozionali” dedicate al suo santo onomastico ed ha portato questo progetto- ex voto in giro per la provincia di Lecce in tutti i paesi dove vi sia il protettorato o almeno una devozione per il santo. Visceralmente legato alla patria salentina, Chiarello ne ha dipinto le grotte, i millenari monumenti, gli alberi, i suoi borghi incantati, le bellezze di Castro e di Porto Badisco, di Santa Cesarea e di Otranto, di Muro Leccese, di Poggiardo e di tutta la costa adriatica leucadense.
Autore anche di svariate realizzazioni grafiche e di manifesti, nella sua avventura umana ed artistica, ha interagito con amici quali Antonio Verri, Pasquale Pitardi, Donato Valli, Antonio Errico, Fernando Bevilacqua, Rina Durante. All’epopea degli ppoppiti, Chiarello e Casciaro confessano di sentirsi intimamente vicini per cultura, formazione e scelta sentimentale.
Ecco allora, nell’ideale ricerca di un’identità salentina, la pittura dei due artisti poppiti salentini intrecciarsi, in fertile connubio, con la scrittura di uno poppitu di ritorno quale Giorgio Cretì.
Nell’epopea degli “ppoppiti”, la ricerca dell’identità salentina, in Identità Salentina 2020, Salento Quale identità quale futuro? Contributi e testimonianze per la cultura e il governo del territorio, Italia Nostra sezione Sud Salento, a cura di Marcello Seclì, Collepasso, Tip. Aluisi, 2021
Su Giorgio Cretì vedi:
Giorgio Cretì – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
L’omaggio di Ortelle a Giorgio Cretì con la presentazione del volume antologico delle opere – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
 Giorgio Cretì come uno sciamano – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
Storia di guerra e passione nel Salento rurale – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
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hellogiuseppemerolafan · 6 years ago
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Manovra: Pisa ha vinto, non ci sarà una seconda università Normale a Napoli  La Scuola superiore meridionale sarà istituita dall’Università degli Studi di Napoli Federico II e non avrà il marchio della “Normale” di Pisa.
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paoloxl · 8 years ago
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Da 24 ore il dibattito politico mainstream è infiammato dall’approvazione alla camera della riforma del codice penale relativa alla legittima difesa. La centralità della discussione dipende da una serie di fattori: prima di tutto la più vasta importanza che, nello spazio pubblico, sta guadagnando il tema della sicurezza, declinata costantemente insieme al vero perno dell’attuale scenario politico, ossia la questione migrazioni. Volendo indicare due fattori-sintomi di questo quadro: il pacchetto sicurezza consegnato da Minniti sul tavolo operativo del Governo Gentiloni e la kermesse leghista del 25 aprile che, con un’acrobatica torsione semantica, ha deciso di celebrare la festa della liberazione dal nazifascismo come festa della liberazione – tout court – dallo “straniero” (confondendo, nella fretta, prima e seconda guerra mondiale, dato che uno degli slogan proposti da Salvini veniva diritto da Il piave mormorava). La legittima difesa (anzi, nella «difesa sempre legittima») dei cittadini contro chi minaccia l’incolumità loro e della loro proprietà (aggressori sempre stranieri, va da sé, oppure con l’accento marcatamente meridionale) è stata individuata come uno degli antidoti allo stato di pericolo permanente cui il paese sarebbe sottoposto dai flussi migratori.
Tutto questo ha prodotto un susseguirsi di prese di posizione più o meno scomposte, dopo il passaggio della riforma alla Camera, amplificate e rimbalzate dall’indiretto libero del popolo della rete.
La mia sensazione, a un giorno da questa canea, è che nessuno si sia preso la briga di leggere il testo della riforma: altrimenti – ma su questo tornerò tra un attimo – non si spiegherebbe una tale messe di commenti furibondi ad un testo che, sostanzialmente, non ha alcun effetto giuridico apprezzabile.
Ma veniamo alla riforma (bisognerebbe aprire una parentesi, poi, sul fatto che praticamente nessun quotidiano nazionale si prenda la briga di mettere in calce alle proprie considerazioni, sempre preziosissime, il testo crudo degli emendamenti normativi di cui si sta discutendo).
La riforma vorrebbe intervenire sugli articoli 52 e 59 del codice penale. Il primo, specificamente dedicato alla legittima difesa, recita:
«Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.
Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità:
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione»
Il secondo, relativo alle circostanze di reato non conosciute o erroneamente supposte, che recita:
«Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente, anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.»
La modifica dell’articolo 52 considera legittima la difesa, nei casi di violazione di domicilio, se essa si configura come:
«1.la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte (eviterei di commentare la bizzarria linguistica di rendere l’espressione latina noctis tempore con ‹‹tempo di notte›› e non con ‹‹nottetempo›› oppure, come la comunità di parlanti italiani ha unanimemente deciso di fare direi da un po’ di tempo, ‹‹di notte››).
2.la reazione a seguito dell'introduzione nel domicilio con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno.»
La modifica dell’articolo 59 specifica che – nei casi di legittima difesa domiciliare – è sempre esclusa la colpa se sussiste la simultanea presenza di due condizioni:
«1.se l'errore è conseguenza di un grave turbamento psichico causato dalla persona contro cui è diretta la reazione;
2.se detta reazione avviene in situazioni che comportano un pericolo attuale per la vita, per l'integrità fisica o per la libertà personale o sessuale.»
A costo di essere pedante, questo era il modo in cui ogni ragionamento doveva essere impostato. Non bisogna essere dei luminari del diritto penale per rendersi conto che questa riforma non solo non è efficace, ma non è nemmeno efficiente. Il problema non è tanto che essa non risolve i problemi di cui discute, ma che – semmai – non incide in nessun modo sullo status quo giuridico-penale.
A dirlo non è solo un fazioso commentatore dei centri sociali, ma anche il presidente emerito della corte costituzionale Cesare Mirabelli, membro del consiglio superiore di Banca d’Italia, non proprio una toga rossa eversiva. Basta leggere il testo del codice e quello degli emendamenti per capire che essi si limitano a segnalare alcuni casi di specie che erano già implicitamente contenuti nella formulazione di partenza (che, del resto, porta il nome di Alfredo Rocco, Ministro di Grazie e Giustizia del governo Mussolini, un altro insospettabile di andarci morbido contro chiunque minacciasse la proprietà privata).
Più semplicemente gli emendamenti prescrivono quanto già era prescritto. Essi pescano nel calderone delle circostanze attenuanti cui fa riferimento il codice penale e ne elencano qualcuna. Dal momento che sulle attenuanti decide il giudice (come si preme di ricordarci Il Giornale, convinto di aver scoperto il raggiro), non c’è alcun bisogno di un (così breve) elenco. Se si volessero segnalare tutti i casi, le circostanze, le curiosità del destino che possono concorrere a modificare la valutazione di un atto (fino ad escluderne la colpevolezza), ci sarebbe bisogno di un codice di migliaia di pagine, senza per questo venire a capo di nulla.
Esiste la nozione di attenuanti generiche ed esiste la sinderesi del giudice perché non esiste un Codice Totale, all’interno del quale ogni caso particolare è previsto nelle sue più infinitesimali caratteristiche: se esistesse non avremmo bisogno di giudici, perché un elaboratore elettronico di dati potrebbe fare più velocemente e meglio il loro lavoro. Questo è quanto: questa legge non fa nient’altro. Non autorizza a «sparare alla cieca di notte», non perché lo vieti, ma perché «sparare di notte» era già un comportamento eventualmente capace di configurare una difesa legittima, stante le circostanze in cui questo comportamento accade, di cui l’agente dà conto e di cui il giudice decide.
Non bisogna essere dei luminari e, in effetti, se ne sono accorti persino dai banchi della Lega e del 5 Stelle, che urlano alla legge truffa e alla propaganda renziana. E, duole dirlo, ne hanno ben donde.
Veniamo infatti al vero problema. All’inizio di quest’articolo ho detto che la riforma non ha alcun effetto giuridico. Questo non vuol dire che non abbia alcun effetto politico.
In sé la riforma è un evento linguistico: essa produce la realtà di cui parla. La ‹‹legittima difesa domiciliare notturna›› non è una realtà che preesiste questa riforma, essendo piuttosto invece immersa nel continuum di possibilità nelle quali si muove la discrezione del giudice. Questa specificazione – inutile dal punto di vista legale – permette invece al Partito Democratico di poter dire «abbiamo riformato la legittima difesa». L’entourage di Renzi, d’altronde, si interroga da diversi mesi su come recuperare quel bacino di elettorato che – a loro giudizio – si incarna nei voti contrari alla riforma costituzionale di dicembre. Un voto che viene evidentemente individuato (ce lo dicono atti come questi) nel serbatoio del 5 Stelle e della Lega Nord, sul quale va lanciata un’OPA a partire dall’apertura su temi appannaggio delle ‹‹destre populiste›› (i fan del 5 Stelle che non fossero tra quanti si sono ravveduti nell’ultim’ora mi perdoneranno la semplificazione) ossia – segnatamente – sicurezza e immigrazione.
Questa riforma non serve a nient’altro che a dire che una riforma esiste.
Perché dedicarci del tempo, dunque? Perché la mia sensazione è che riforme di questo tipo siano indicatori di una specifica strategia comunicativa e politica (meglio: comunicativa, dunque politica) che appartiene al renzismo e che sta facendo scuola. Questa configura una sorta di populismo di centro, parte politica apparentemente paradossale, non fosse che, in Francia, essa si candida a vincere le elezioni presidenziali.
Che fare, dunque? Il rischio di chi ambisce ad individuare uno spazio di ricomposizione sociale e politica in basso a sinistra è quello di assumere, più o meno consapevolmente, l’ordine del discorso populista. Ossia: se Renzi dice «finalmente ora potete uccidere», noi diciamo «è sbagliato uccidere». Ma in realtà – lo sa Renzi e lo sappiamo anche noi – la materialità della legge dice tutt’altro (anzi, a ben vedere, non dice assolutamente nulla). Può essere una scelta tattica, certo: stare all’interno dello spazio populista e provare a prenderne gli enunciati ed invertirne il segno, ma giocando sullo stesso piano irrazionale-emotivo sul quale si muove l’avversario.
Un’alternativa potrebbe essere, saltuariamente, provare ad essere intelligenti e ricondurre l’analisi politica ad un regime consequenziale di senso, in cui i passaggi che producono il significato – ancorché precari, modificabili, mobili – siano chiariti.
Il salotto berciante in cui ognuno dice la sua opinione, il discorso pubblico patemizzante, non mi sembra abbia per noi un’efficacia nemmeno blandamente tattica: non abbiamo gli strumenti e, dunque, la pervasività dell’avversario per giocare (unicamente) su quel terreno.
Ci si potrebbe fidare dell’idea che le persone (tutti noi in quanto persone) abbiano l’intelligenza di capire la verità effettuale delle cose quando viene loro spiegata, senza per forza scegliere la scorciatoia emozionale, l’ossificazione dell’argomentazione per chiedere, piuttosto, un’adesione viscerale e non cognitiva al messaggio.
L’alternativa, in soldoni, è giocare a chi la spara più grossa, cosa che non mi pare porti tanto lontano.
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lospeakerscorner · 3 years ago
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Parte la la Scuola Superiore Meridionale
Parte la la Scuola Superiore Meridionale
Un’area interdisciplinare umanistico-giuridica e una scientifico-tecnologica: parte la Scuola Superiore Meridionale CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – Al nastro di partenza la Scuola Superiore Meridionale: è pronta ad accogliere i suoi primi 40 Allievi dopo l’autonomia acquisita il 2 aprile 2022. Pubblicato il primo bando come Istituto di Istruzione Uiversitaria di Alta Formazione Dottorale ad…
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