#Racconto trasgressivo
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Storia di Carla
Sequel di
"Un sogno che sembrava troppo reale"
Capitolo 1 - Parte quinta
STRALCI
QUALCHE MERDINA CHE MI SEGUE SOTTO UN PROFILO FALSO(perchè il suo gliel'ho bloccato), ha fatto una segnalazione per le foto che avevo accompagnato ai testi, pertanto mi sono vista mio malgrado togliere le immagini. Quanta meschinità....
....omissis...
Il tocco delle sue dita sulla mia carne mi procuravano scosse continue di elettricità. Dovetti mordermi le labbra per non far trasparire la mia eccitazione, la testa mi cominciava a girare, le gambe erano molli.
...omissis...
Le accarezzai il viso, collo, spalle, schiena e giù fino ai glutei, lì le mie mani si fermarono e glielo strinsi, ansimava e tremava. Eravamo avvinghiate una all’altra, il mio seno contro il suo. Le mie mani risalirono dai glutei al suo seno, le circondai i fianchi, esplorando ogni angolo del suo corpo. Le presi la mano e me la feci scivolare tra le cosce. Volevo che mi toccasse, e che m’infilasse un dito dentro e che si accorgesse di quanto fossi bagnata.
...omissis...
2Essere profanata li, era il segno della sua totale sottomissione.
...omissis...
Sapere che il suo godimento dipendeva da me mi eccitava e mi dava una sensazione di potere. Mi bastò poggiarle un mano sulla passera per farla venire.
...omissis....
P.S.
D’ora in poi pubblicherò solo stralci del mio racconto, perché la maggior parte delle persone non è abituata a leggere, ma si accontenta di guardare le immagini, o al massimo leggere piccole frasette in modalità spot. Stiamo assistendo a una desertificazione dell’animo umano, gli esperti parlano di analfabetismo di ritorno. Ovviamente non tutti sono così, pertanto chi vorrà avere la versione integrale dei vari capitoli che seguiranno, dovranno chiedermelo in privato. Riconosco altresì che i temi trattati non sono di facile accoglimento, anche se i racconti non sono monotematici ma spaziano nelle varie costellazioni dell’eros. In privato le cose vano diversamente, alcuni per discrezione non vogliono apparire in pubblico e pertanto preferiscono ricevere i racconti in forma privata.
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Libri in festa!
Niente di meglio che ritrovare i vecchi amici durante le feste: vi proponiamo perciò le recenti imprese delle ‘serie’ più amate.
Una settimana in giallo: la nuova antologia di Sellerio, assemblata dai più noti affiliati della casa editrice siciliana. Una settimana è il termine massimo a disposizione dei protagonisti per risolvere il loro caso.
Vecchie conoscenze è proprio il titolo adatto per indicare l’ultima inchiesta di Rocco Schiavone, il vicequestore creato dalla penna di Antonio Manzini. Il passato torna a turbare il sonno del funzionario più trasgressivo e sboccato della procura, mentre l’inchiesta per omicidio lo porta a occuparsi, trasversalmente, nientemeno che di Leonardo da Vinci. Gli ingredienti per invogliare i palati dei nostri lettori ci sono tutti.
Un altro caso anche per Marco Malvaldi: in Bolle di sapone i cari inossidabili vecchietti del BarLume sono ancora in lockdown, ma la loro curiosità non avverte il passare degli anni e li stimola a occuparsi di omicidi nonostante i limiti imposti dal ‘contatto a distanza’. Ma chi risolverà l’enigma, anche questa volta? Malvaldi riesce a farci sorridere persino in tempo di pandemia.
In Reo confesso di Valerio Varesi il commissario Soneri (ricordiamo ancora la magnifica serie Rai Nebbie e delitti con un Luca Barbareschi perfettamente nella parte) si muove a Parma, città d’elezione del suo creatore, dove indaga su un delitto che ha già un colpevole: un caso troppo semplice per ingannare il fiuto dell’esperto commissario. Ecco le parole dell’autore: “Mi restava un’ultima ibridazione, una necessità personale e romanzesca: introdurre nel giallo l’inquietudine e gli stati d’animo tipici degli autori noir francesi: Izzo e Manchette, Malet e naturalmente il padre di tutti, Simenon. Mi ci voleva cioè un personaggio adatto a farsi osservare intimamente, ma con pudore”.
Siamo ancora in Toscana con La casa di tolleranza. Tre avventure del commissario Bordelli di Marco Vichi, che qui, però, fa un passo indietro nel tempo e ci racconta di quando Franco Bordelli era ancora vice, andava in bicicletta ed esistevano le case ‘chiuse’, ambienti quanto mai favorevoli a crimini e malavita. Un cane lupo delle SS, una prostituta che lavora a maglia, una passeggiata al cimitero sono argomenti che non possono lasciare indifferenti gli estimatori di questo ombroso personaggio, amante delle periferie, che annovera fra i suoi amici ladri e ricettatori. L’ultimo racconto, poi, è ambientato proprio a Natale!
Alessia Gazzola con La ragazza del collegio ci offre una nuova avventura di Alice Allevi, intraprendente specializzanda in medicina legale, interpretata nella fortunata serie Tv L’allieva da Alessandra Mastronardi.
L’ultimo romanzo di Fabio Stassi si intitola Mastro Geppetto: “Un padre alla ricerca del figlio. Un falegname e il suo burattino. Un piccolo gioiello di creatività e ispirazione letteraria”.
Per restare in tema di festività, vi proponiamo Fiaba di Natale di Simona Baldelli, storia che ci riguarda personalmente perché racconta l’impresa, accurata quanto pericolosa, di un funambolo che vuole attraversare a grande altezza la distanza che separa il tetto della biblioteca dal campanile della chiesa. Perfetto per i sognatori.
Allettante e non convenzionale il giallo di Roberto Alajmo Io non ci volevo venire: un detective involontario, di tipo diametralmente opposto ai cliché dell’investigatore stile Marlowe. Giovà, goffo, improbabile, inadeguato all’incarico che gli è stato affidato, muove a Partanna (nome quanto mai evocativo di una borgata di Palermo) i passi necessari per ritrovare una bella ragazza scomparsa. Uno stile divertente e ironico con venature dialettali per “un giallo comico e tagliente che ritrae il cuore ambivalente di una città”.
Un titolo oltremodo accattivante (semel in anno licet insanire!) per Giuseppina Torregrossa: Morte accidentale di un amministratore di condominio; in questo caso, però, l’amministratore in questione è un condomino in pensione che ha deciso di occuparsi di persona della gestione dello stabile, particolarmente malandato, in cui risiede. Ma allora perché questa morte improvvisa? Un ispettore, Mario Fagioli, che di soprannome fa ‘il Gladiatore’ non potrà che scoprire la verità.
Gita in barchetta di Andrea Vitali è ambientato a Bellano nel 1963: un intrecciarsi di storie e personaggi, con le loro piccolezze, avidità, ambizioni e illusioni, la cui esistenza si specchia nelle acque del lago e assurge a dimensione epica.
Grazie al terzo romanzo (dopo Nero di mare e Stagione di cenere) della serie del paparazzo Franco Zanna, Il codice della vendetta di Pasquale Ruju è entrato nella cinquina dei finalisti al Premio Scerbanenco. “Il ritorno di Franco Zanna in una Sardegna troppo carica di misteri”: furti milionari e delitti efferati nell’esclusiva Costa Smeralda, ma soprattutto l’incontro casuale con l’uomo che gli ha rovinato l’esistenza (per la serie la vendetta è un piatto che va mangiato freddo…).
La vincitrice del Premio appena consegnato (nonché candidata allo Strega) è Antonella Lattanzi: “Liberamente ispirato a un episodio di cronaca avvenuto a Bari nel palazzo dove l’autrice è cresciuta, Questo giorno che incombe è un romanzo unico, bellissimo e prismatico, capace di accogliere suggestioni che vanno da Kafka a King, da Polanski a Dostoevskij, di attraversare più generi, dal thriller alla storia d’amore, di riflettere sulla maternità e le sue angosce, di parlare del male e del dubbio, e capace di riscrivere, tra realtà e finzione, una storia vera”.
Il romanzo Come delfini tra pescecani. Un’indagine per i Cinque di Monteverde di François Morlupi si è aggiudicato il Premio dei lettori al miglior romanzo Noir per essere stato il più votato. “Demolendo con sarcasmo graffiante lo stereotipo del poliziotto supereroe, Morlupi ha saputo dare un volto credibile a chi per mestiere affronta il crimine, alternando intuizioni fulminee a epiche figuracce. Una ventata fresca nel panorama giallo italiano”.
I lettori che hanno amato Chi ha ucciso Sarah? (appena ripubblicato in un’edizione riveduta dall’autore) e i folgoranti, spietati racconti di Dieci, non si lasceranno sfuggire Solo la pioggia, l’ultimo lavoro del talentuoso Andrej Longo: ripescando le tradizionali unità di luogo e di tempo di aristotelica memoria, il narratore chiude i personaggi in una stanza e in undici ore, sotto il fragore della pioggia incessante, li costringe a ripercorrere i drammi delle loro esistenze.
Concludiamo con due classici (Perché leggere i classici? Per imparare a conoscere l’animo umano, che non cambia mai) di Honoré de Balzac appena ripubblicati. Pierrette: “Storia crudele dell’orfana Pierrette, povera, bella e d’animo nobile. I cugini che la ospitano … la tormentano fino allo stremo, per gelosia, per invidia, per meschinità … Cinismo, sarcasmo, fino alla comicità, propri della denuncia realistica; e una indagine psicologica sul desiderio e l’invidia che non risparmia nemmeno i buoni”. Wann-Clore. Jane la pallida: scritto a soli 26 anni e mai pubblicato in Italia “se non in forma edulcorata e introvabile dagli anni Trenta del Novecento, proposto adesso in una nuova traduzione” a cura di Mariolina Bertini, e presente nel nostro Sistema bibliotecario. Ispirato a un dramma giovanile di Goethe, narra la storia di un giovane ufficiale innamorato di due donne. Sullo sfondo delle guerre napoleoniche, amori romantici e dramma, intrighi e travestimenti: un feuilleton praticamente perfetto. “Balzac non incluse Wann-Chlore nella Commedia umana … Era troppo prossimo, con le sue eroine angeliche e con le inquietanti apparizioni del traditore Salvati, al mondo fantastico del romanzo gotico, che non poteva trovar posto nella sua fedele raffigurazione della civiltà contemporanea. Ma proprio l’atmosfera così peculiare di quest’opera giovanile lontana dal realismo la rende oggi per noi particolarmente attraente e suggestiva”.
#honore de balzac#antonio manzini#rocco schiavone#marco malvaldi#barlume#valeriovaresi#marcovichi#alessia gazzola#fabiostassi#simonabaldelli#Roberto Alajmo#giuseppinatorregrossa#andrea vitali#pasqualeruju#premioscerbanenco#antonellalattanzi#francoismorlupi#andrejlongo
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Sul perché e sul come ci si arrivi è stato per anni argomento di studio e dibattito, chi ha superato questa esperienza descrive il proprio percorso, chi l'ha portata avanti fino alle estreme conseguenze il più delle volte non ne aveva mai parlato. Vizio terribile, trasgressione, astrazione dalla noia o dai problemi o più spesso passaggio trasgressivo che poi prende la mano. "Posso smettere quando voglio" nella convinzione degli adolescenti e giovani adulti di tanti anni fa, oggi dei maturi disperati ed esasperati da questa società competitiva, molto più povera di valori, oltre che di danari e lavoro. Degrado delle case popolari e dei quartieri periferici della metropoli che emargina, ma esperienza comune a molti adolescenti e giovani uomini della classe media e delle fasce più ricche, di figli del proletariato, dei colletti bianchi, dei dirigenti e degli imprenditori, ma anche di amministratori e politici. Esperienza molto trasversale anche se, obiettivamente, con diversa entità di penetrazione. Più basso il livello economico e più alta la percentuale di coinvolgimento. Così almeno nella mia esperienza personale. Oggi giorno questo tipo di droga mi pare tornare come una delle tante, ma con rinnovata prepotenza, senza clamore, un evento tragico da addetto ai lavori. Non vivo più alle case popolari o in quartieri degradati e quindi non ho più il polso, almeno emotivo, del fenomeno: non ne conosco l'esatta incidenza e penetrazione sociale; ma leggo che sta tornando, forse proprio perché economicamente più attraente o per chissà quale altro motivo sociologico o economico. O per stupidità. I nostri ragazzi e i giovani adulti non ne conoscono l'antico vissuto e dramma se non per alcuni films o per qualche raro documentario. I loro genitori, quelli sopravvissuti, non ne raccontano, anche se qualche amico di infanzia li ha lasciati all'alba di una vita. Non raccontano forse per dolore, come chi, come mio nonno, non parlava dell'esperienza in guerra, la Seconda Guerra Mondiale. A Lui ho dovuto "estrarre" di malavoglia spezzoni di quell'esperienza e non ho mai capito se fosse dolore o vergogna. Forse solo riservatezza, rispetto del ricordo. Ma perché non trasmetterlo? Allo stesso modo i miei conoscenti, sopravvissuti diretti o indiretti all'eroina, non ne parlano, quasi anche a se stessi, come fosse un marchio infamante: ti raccontano i cortei e le sassaiole del '68 e del '77, delle sprangate date e ricevute, del movimento studentesco, dei collettivi universitari e delle occupazioni, dei centri sociali e dell'attivismo politico, ma dell'immenso mondo dell'eroina tacciono. Tacciono delle proprie positività sierologiche, ad essa legate, non raccontano l'euforia degli inizi, l'innamoramento, del successivo disagio fisico e mentale, di quello sociale, delle pene patite e di quelle fatte patire, dei furti, delle menzogne, del recupero e delle comunità terapeutiche, del metadone e della vergogna. Non parlano del proprio percorso impresso a fuoco nell'anima. Che li "segnerebbe" agli occhi della società. Ma non racconta anche chi è stato solo lambito, accarezzato, perché successo ad un caro amico o ad un conoscente. Non ne parla anche se ne ha raccolto il racconto, lo sfogo, o solo il vomito. La prima volta è un misto di coraggio, spavalderia, paura e smarrimento. C'è l'euforia della trasgressione, del sentirsi più grandi, dell'accettazione in un gruppo di eletti, ma c'è anche la paura di quello che viene detto sugli aspetti negativi: l'overdose (cazzo non toccherà proprio a me!), la dipendenza (col cazzo, io provo e poi smetto, non sono di certo un coglione!), la sieropositività (stop: ma che cazzo ne sa un adolescente di case popolari negli anni '70?!?). E' successo nel locale sottoscala limitrofo al locale pattume, immersi in una puzza incredibile. Questo era il posto che pensavamo fosse sconosciuto, proprio per il fetore che emanava. Invece era a tutti un luogo ben conosciuto: bastava osservare nell'angolo più oscuro alcuni stracci, alcune siringhe, bucce di limone putride e un vecchio cucchiaino. Non ricordo perché giunsi a quel sottoscala, quali fossero i motivi, ma questo era il nostro cortile e ci si viveva: un ragazzo più grande inizia al rito, si crede di condividere il suo essere adulto, mentre lui pensa unicamente ad un nuovo cliente. Non c'è etica, del resto lui si deve pure bucare. Quel giorno, con vergogna, c'erano le siringhe acquistate in farmacia, quella lontana dal cortile, una cordaccia per il braccio, un mezzo limone, un accendino e un cucchiaino, del servizio di ogni giorno, finito nelle tasche dei jeans al termine di una veloce colazione. Una mattina di lezioni al liceo, di autobus, senza essere lì, ma già nel puzzolente sottoscala. Niente pranzo. Lentamente le ore che separavano dall'età adulta, la paura di essere scoperti. All'ora stabilita ero l'ultimo ad entrare nel putrido locale, una luce di lumino e tre figure, il grande e gli atri due iniziati. Tremavo, ma non dissi una parola. Polvere bianca, gocce di limone, accendino a scaldare il cucchiaino. Polvere presto liquido, era buio, pronte quattro "spade". Il grande a gestire ed insegnare i passaggi fondamentali, che io già ben conoscevo: da qualche mesi frequentavo il grande, grande estimatore, grande consumatore: il primo a morire di overdose. Volevo tirarmi indietro ma era ormai tardi, non potevo lasciarli soli, non più ormai. Il braccio destro addormentato ed il grande a picchiettarlo, male per via della cordaccia, male dentro per la paura, per l'angoscia. Un fitta e all'improvviso calore, tanto calore. Dopo qualche istante non mi importava più di niente, del braccio che non avevo più, del grande che era scomparso e con lui gli altri. Non c'era più la puzza. Un esplosione di colori attorno a me che fluttuavo senza pensieri e senza emozioni. Dal caldo un tepore diffuso, benessere, suoni ovattati, musica. Istanti, minuti, ore. Non ero più io, non ero lì, ma non saprei dire dove fossi, solo una sensazione di benessere mai provato prima. E tanti colori, musica, lontana e dolce. Poi un buco nero. Ho vomitato tutta la notte e non ricordo come mi sia trovato in casa, non ricordo nulla dopo il buco nero, non ricordo se poi le ho prese dato che mi era stata attribuita una bronza. Meglio così. Per giorni il ricordo di colori e musica mi hanno accompagnato dolcemente, tutto è passato come niente fosse a casa, ma per un bel po' non sono riuscito a concentrarmi, rapito da quel ricordo. Ancora oggi a ripensarlo provo serenità e piacere come il ricordo di un'amante particolarmente capace a cui hai voluto un gran bene e che ora, serenamente, non c'è più. Non tornai mai più nel sottoscala fetido soprattutto perché vi morì, quel giorno, il grande: noi pagammo e lui si riservò la grossa parte di quella dose. A noi un sogno psichedelico, a lui il viaggio più lungo che si possa fare, quello dell'eternità, senza ritorno. Posso smettere quando voglio. Per me è stato così, naturale. Mi è sempre bastato il ricordo di colori e musica. Ai miei compagni no, loro "volevano" il viaggio eterno. E lo ebbero, ma dopo molta sofferenza. E non solo per loro. Di quel giorno sono l'unico testimone rimasto. Soddisfatto. Una delle mie "caselline spuntate" senza rimpianto.
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Camden Town
Camden Town, affascinante zona di Londra famosa nel mondo per il suo forte carattere alternativo e particolare, carattere che la rende sicuramente una delle mete da visitare in occasione di un soggiorno nella capitale del Regno Unito. In questo articolo vi porterò alla scoperta di questa stravagante zona londinese, attraverso il racconto della sua storia, curiosità e ovviamente una piccola galleria fotografica!
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Camden Town, comunemente chiamata Camden, si trova nella zona settentrionale di Londra, conosciuta principalmente per il suo forte carattere alternativo-trasgressivo e per il suo pittoresco mercato, quasi sempre affollato da turisti, studenti e persone residenti nel quartiere. Si tratta di un quartiere relativamente recente, nato nella vecchia Londra solamente nel 1790, quando il Conte di Camden decise di creare nelle sue terre in disuso, un punto di sosta sulla strada per Hampstead. La zona era conosciuta in passato come area “poco affidabile” dovuta alla presenza di gente appartenente alla malavita, immigrati irlandesi, asiatici e dei territori del sud. Tuttavia questi aspetti non hanno fermato l’interesse di alcuni personaggi di fama del panorama inglese quali, ad esempio, Charles Dickens e George Orwell, noti per essere molto legati a Camden e per averci vissuto parecchi anni della loro vita. Dickens e Orwell furono in qualche modo i precursori del rilancio del quartiere, tanto che negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, questo fantastico luogo, pieno di arte e cultura, divenne l’agorà di studenti anticonformisti e di famosi artisti, ad esempio il grande Charlie Chaplin aveva iniziato la sua carriera sul palco del Camden Hyppodrome, oggi club Koko. Oltre alla sua storia, Camden è conosciuta principalmente per i suoi mercati, dove passeggiando per le vie del quartiere, si possono respirare aromi e profumi provenienti da ogni parte del mondo. I mercati di Camden seguono la storia del quartiere e sono relativamente recenti, fatta eccezione dell’Inverness Street Market, un piccolo mercato ortofrutticolo che serve principalmente i locali della zona. Il mercato più importante è senza dubbio il Camden Lock Market, formato nel 1973 e attualmente circondato da una miriade di “mercatini” satellite quali il Buck Street Market, Stables Market e il Camden Canal Market.
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Questi mercati, è inutile dirlo, sono una delle principali attrazioni di Londra, specialmente durante il weekend, mercati dove è possibile acquistare a prezzi assolutamente accessibili ogni tipo di forma di abbigliamento, da capi tradizionali fino ad arrivare a creazioni ad alto grado di alternatività. Oltre che all'abbigliamento si possono trovare libri, cibo, arredamento, antiquariato e una marea di oggetti davvero bizzarri, tra i quali anche forme di oggettistica illegale quali lecca lecca al gusto di cannabis e popper (sostanze stupefacenti con proprietà altamente tossiche assimilabili per inalazione, molto diffuse soprattutto tra i più giovani). Il costante miglioramento della zona e il continuo aumento di turisti ha destato l'interesse da parte di alcuni colossi mondiali appartenenti al campo della musica (ha aperto un mega Virgin Store), dell’hôtellerie (l’Holiday Inn ha aperto in pieno centro quartiere), e della ristorazione (numerose catene di fast food hanno aperto i propri punti vendita).
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Vi consiglio assolutamente una visita a Camden Town è un quartiere vivo, cosmopolita e pieno di energia, ricco di storia e di cultura. Purtroppo il turismo sfrenato ha snaturato in parte la sua essenza originaria, ma i colori e i sapori che si possono gustare sono ancora vivi nel quartiere e sono sicuramente unici al mondo!
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FLUSSI POTENZIALI, RIVISTA D’ENTROPIA
È uscito il numero unico 2020 di "Flussi Potenziali, Rivista d'entropia" a cura di Antonio Limoncelli. Contiene racconti, liriche, un editoriale, tutto all'insegna del trasgressivo. Ci ho partecipato con un breve racconto fantascientifico: "Flash". Nell'articolo informazioni e il racconto.
https://www.giornalepop.it/flussi-potenziali-di-limoncelli/
#flussipotenziali #rivistadentropia #antoniolimoncelli #rivista #erotico #trasgressivo #sperimentale #fantascienza #arte #fotografia #giornalepop #flash #racconto #teacblanc
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[Cattiva][Myriam Gurba]
Poliziesco, memoir, e storia di fantasmi, Cattiva è il racconto autobiografico di una studentessa universitaria nell’America degli anni Novanta vittima di un maniaco sessuale seriale. [Cattiva][Myriam Gurba]
L’uomo ha già aggredito molte altre donne, stuprando e uccidendo una di loro, la messicana Sophia Torres. Ossessionata dallo spettro di Sophia, Myriam Gurba ripercorre in queste pagine sconvolgenti la sua storia: l’infanzia allegra e scansonata scissa tra cultura messicana e americana, il rapporto magico con la nonna-totem Abuelita, quello trasgressivo con le compagne di college a Berkeley,…
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#2019#Cattiva#Chiara Brovelli#Fandango libri#fiction#gay#gaylit#LGBT#LGBTQ#libri gay#Mean#Myriam Gurba#USA
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GENOVA – Teatro della Tosse – Dal 24 al 27 gennaio, ore 20.30 (domenica ore 18.30)
MILANO – Teatro Litta – Dal 5 al 10 febbraio, ore 20.30 (domenica 16.30)
ANDY WARHOL SUPERSTAR
Testo e regia Laura Sicignano
scene e luci Emanuele Conte Con Irene Serini
Produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse / Teatro cargo
Dal 24 al 27 gennaio, ore 20.30 (domenica ore 18.30) al Teatro della Tosse lo spettacolo Andy Warhol Superstar testo e regia Laura Sicignano con IRENE SERINI prodotto da Teatro della Tosse / Teatro Cargo.
Lo spettacolo sarà poi in scena a Milano al Teatro Litta dal 5 al 10 febbraio, ore 20.30 (domenica 16.30)
A trent’anni esatti dalla scomparsa del grande artista americano, il Teatro della Tosse dedica uno spettacolo ad Andy Warhol (Pittsurgh, 1928 – New York, 1987).
Con lui si apre l’epoca dell’arte contemporanea, così come la intendiamo oggi. Se nel calendario della musica pop c’è un ante e un post Beatles, l’unico fenomeno culturale e mediatico degli anni Sessanta in grado di rivaleggiare con Warhol, allo stesso modo in quello dell’arte dobbiamo parlare di un “Before Andy” e di un “After Andy”. Soprattutto, Andy Warhol è stato capace di intuire e anticipare i profondi cambiamenti che la società contemporanea avrebbe attraversato a partire dall’era pop, da quando cioè l’opera d’arte comincia a relazionarsi quotidianamente con la società dei massmedia, delle merci e del consumo. Nella Factory, a New York, non solo si producevano dipinti e serigrafie: si cambiava la storia del costume, si faceva cinema, musica rock, editoria, si attraversavano nuovi linguaggi in una costante ricerca d’avanguardia.
Lo spettacolo indaga la biografia intima di Andy a confronto con quella pubblica: la sua curiosità per tutto ciò che era trasgressivo ed estremo e la sua fede cattolica, il rapporto con la madre, con gli USA, con i soldi e il potere, con il sesso e la castità. La sua vita è una fiaba sinistra in cui un bambino povero è trasformato in un principe delle tenebre che soccombe alla solitudine e alla tristezza, in mezzo ad una folla stravagante di cortigiani pazzi. Oppure Andy fu uno straordinario self made man capace di costruirsi un’immagine pubblica in grado di vendere milioni di dollari? Alcuni critici hanno detto che sono il nulla in persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza. Poi mi sono reso conto che la stessa esistenza non è nulla, e mi sono sentito meglio. Being good in business in the most fascinating kind of art.
NOTE DI REGIA
Di Laura Sicignano
ANDY WARHOL SUPERSTAR
vita, opere e immortalità di un mostro americano
Iniziamo dalla morte. AW, dopo una vita eccezionale, morì per una banale malattia a 58 anni. Alla sua morte lasciò 612 time capsules, ovvero 612 scatole di cartone sigillate con la disposizione che fossero aperte 30 anni dopo. Aveva iniziato a confezionare queste scatole poco dopo aver subito un attentato quasi mortale da parte della femminista lesbica Valerie Solanas, che gli sparò al petto in nome del proprio manifesto per l’eliminazione del maschio. Andy sopravvisse all’attentato. Le scatole contenevano oggetti della sua quotidianità, un percorso misterioso della memoria, un diario di cose inutili, in un ossessivo accumulo di oggetti senza graduatoria. Come lo erano gli oggetti da lui ritratti, appartenenti per lo più alla sua infanzia piccolo borghese, di bambino malaticcio e iperprotetto da una madre stravagante, arrivata dal paesino di Mikova, dal secolo precedente, dalla Storia, per rincorrere il sogno americano. Il legame con le sue radici slave viene reciso drasticamente da AW che aderì in pieno al costume USA, diventandone un esponente emblematico.
Consumo, denaro, trasgressione, moda, morte sono le linee che attraversano il nostro spettacolo.
“Tutto ciò che faccio ha a che vedere con la morte”.
Dopo un esordio come grafico pubblicitario, la sua opera diviene ben presto popolare. Ma ciò che fa di Andrew Warola Andy Warhol è la costruzione della sua personale icona: se stesso come opera d’arte. A partire dalla trasformazione del suo aspetto di ragazzo brufoloso e calvo in una maschera iconica inconfondibile.
“Quella stravagante checca proletaria tutta pelle ed ossa con la sua parrucca d’argento”.
Facevano parte di lui ed erano al tempo stesso sue opere le “Superstar”, ovvero i personaggi spesso votati all’autodistruzione, che popolavano le pazze feste alla Factory: Edie, la fragile ereditiera anoressica, morta suicida nell’indifferenza dell’adorato Andy. Freddi Herdko, gettatosi dalla finestra durante una sua performance. Brigid, l’amica di sempre, che lo perseguitava con ossessive telefonate di inutili ciance, per entrambi un modo per riempire il vuoto dell’affollata solitudine delle loro vite. Gerard Malanga, il fedele amante e assistente, che gli regalò idee e aiuto, senza chiedere nulla. Nico, la teutonica venere, glaciale icona dei Velvet Underground, da lui scoperti e prodotti, in un intreccio tra droga, glamour, sadomasochismo, sperimentazione artistica.
Queste e altre comparse popolano lo spettacolo, come palloncini d’argento destinati all’effimero.
“In futuro ciascuno sarà famoso per quindici minuti”.
Nessuno interpreta nessuno. L’attrice si immerge in un ludico anti-racconto, dove la musica elettronica, creata a partire dalla sua stessa voce, dai rumori di scena e da un’unica canzone (Sunday Morning dei Velvet Underground) dialoga con la recitazione; lo spazio scenico viene smontato in forme e colori come un’opera d’arte contemporanea e infine distrutto; il video e le luci citano, senza riprodurlo, il mondo di AW, creando fluttuanti, lisergiche atmosfere. Tutto si impasta, rimanda, gioca, crea cortocircuiti di senso, non rappresenta mai. Al tempo stesso, nulla di quel che viene detto è falso o inventato: davvero una signora sparò ai quadri di AW e lui li ribattezzò, per rivenderli a prezzo maggiorato. Davvero Valerie Solanas sparò a AW. Davvero sua madre disse. “Io sono Andy Warhol”. Eccetera. E’ tutto vero. Ma cosa è vero?
“E senza dubbio il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere”.
Negli Anni Sessanta AW, con ironico nichilismo, tratta del rapporto tra arte e mercato, della società dello spettacolo, precorre il protagonismo a tutti i costi, la supremazia dell’immagine, la colonizzazione culturale dell’Impero Americano e la sua decadenza.
“Fare tanti soldi è la miglior forma d’arte”.
Gioca con leggerezza e intelligenza con l’arte come prodotto commerciale e ripetibile in serie e con l’idea che la rappresentazione del reale si confonda con la realtà.
AW fa esplodere l’Io, il Senso, il Senso dell’Arte in milioni di frammenti, display luminosi, schermi televisivi, Polaroid e lustrini.
Questo spettacolo non vuole, non può, rappresentare AW o la sua opera, ma si ispira liberamente ad entrambi in forma non narrativa, ma libera, non logica, ma analogica, come una serie di quadri di un’esposizione POP. Le scene sono titolate come alcune sue opere. Si procede in disordine poetico. Dalla morte alla madre, anch’essa chiusa in una scatola time capsule.
AW nello spettacolo è infantile e violento, amorale più che immorale, un buffone e un genio. Per noi non muore, ma si rende immortale e iconico, self made man, prototipo americano riproducibile all’infinito, che ascende in apoteosi, ma senza Grazia. Superstar, ma come Jesus Christ, quello del musical, avendo gettato via il Sacro e la profondità.
“Non c’è niente da dire su di me. Non sto dicendo niente in questo momento. Se volete sapere tutto su Andy Warhol, vi basta guardare la superficie: dei miei quadri, dei miei film e della mia persona. Dietro non c’è niente”.
Davide Bressanin
Ufficio stampa
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ANDY WARHOL SUPERSTAR a Genova e Milano GENOVA – Teatro della Tosse - Dal 24 al 27 gennaio, ore 20.30 (domenica ore 18.30) …
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AMOUAGE • IMITATION WOMAN - IMITATION MAN - Eau de Parfum - Novità 2018 -
Amouage imita la New York anni '70. Tra trasgressione, sottoculture e sperimentazioni artistiche. New York negli anni '70 è il cuore pulsante di una rivoluzione socio culturale. Al rigore strutturale di Manhattan si contrappone la piccola enclave del quartiere di Greenwich Village, nella cui ”ribelle” planimetria risuona la presenza di espressioni culturali/artistiche sperimentali, impetuose, estrose e, per molti aspetti, di provocazione inedita. Negli anni '60 ’70, il Village è il centro nevralgico di un intenso scambio culturale, molti gli artisti che qui hanno mosso i primi passi, lo scrittore Jack Kerouac, Lou Reed, Andy Wharol, Bob Dylan e altri celebrati ancora oggi come icone pop. Un nuovo panorama creativo e innovativo, lontano dai paludamenti della metropoli al cui interno i complessi meccanismi socio-culturali americani si dipanano vorticosamente. Strade e locali diventano il punto di ritrovo, luogo di ricerca e identità, territori da esplorare e ghettizzare. La Grande Mela offre tutto, svaghi e libertà sfrenata, le notti folli e trasgressive dei mirabolanti megaparty a tema dello Studio 54, ambiente cult estremo di una Manhattan animata dai nuovi fenomeni della comunicazione, dove la regola è "to see and to be seen". Frequentato assiduamente dal gotha della società, amato da artisti come Capote, Warhol, Basquiat, Haring, qui Diana Ross, David Bowie, Grace Jones, Madonna erano le attrazioni immancabili, memorabili gli ingressi di Bianca Jagger modella carismatica, che per festeggiare il suo trentesimo compleanno si presentò in pista in sella ad un cavallo bianco. Notti dal ritmo incessante, immerse nel frastuono della musica elettronica, luci psichedeliche, deliri di stravaganza e disinibizione nei look, tra colpi di scena e scandali ci si concedeva senza ritegno ai vizi, in un roulette autodistruttiva alla ricerca di una libertà senza condizionamenti e restrizioni. Quando Jay McInerney descrive la vita nella metropoli in Le mille luci di New York, traccia il profilo di un paradiso di perdizione, un miraggio di lusso, eccessi, violenza, musica e libertà sessuale, destinato ad alimentare l'immaginazione di molte generazioni.E mentre Time Square si illumina di tecnologici billboards virtuali, nelle periferie il degrado avanza, alle mille luci colorate si contrappongono altrettante ombre. Un’epoca apparentemente dorata, oscillante tra la prospettiva di poter fare tutto e l’autodistruzione, alla quale oggi guardiamo con nostalgia e trasognata lucidità, un passato recente già divenuto retaggio di un mito.
Amouage con le nuove fragranze Imitation, si inserisce in questo spaccato di memoria attraverso la narrazione di Christopher Chong, direttore creativo della Maison, che apre il suo diario personale per offrirci le emozioni di un fanciullo appena giunto a New York. L'impatto emozionale che la grande metropoli offre ai suoi occhi e ai sensi tutti è folgorante, l'impressionante girandola multiculturale che si spalanca all'orizzonte, il fascino dei colori delle luci al neon di insegne perennemente accese, i tombini fumanti di una città che non può fermare la sua corsa, l'arte della strada, aggrappata ai muri, dentro graffiti pungenti, eloquenti di spavalderia, passione, contestazione, la percezione che l'aria sia satura di creatività, sperimentazione, riscatto esistenziale, un crogiuolo di culture dal quale tutti possono attingere per plasmare la propria personale visione di arte e vita.La New York anni '70 è tutto e il contrario di tutto, è il chiaroscuro sociale, è il colore vibrante, fluorescente che non smette di pulsare nell'immaginario di un bambino che lo ha già trasformato in un arcobaleno del futuro.
“Imitation è un racconto personale del modo in cui un momento e un’esperienza possono alterare la percezione del mondo in età infantile. La voce narrante è la mia e il tema centrale sono le mie prime esperienze. Imitation è nata da un ricordo di me bambino, negli anni ‘70, quando per la prima volta a New York ho visto la neve. Guardo questa esperienza come attraverso una palla di vetro, esploro una città carica di tensione e spaesamento. Mentre cammino nel Lower East Side, con i suoi colori forti, gli odori penetranti e l’amalgama di culture latine e asiatiche, scopro una comunità artistica che vive ai margini della società durante un’epoca iconica”. Christopher Chong
Imitation è la trasposizione di una visione, arte e vita che si intrecciano imitandosi, in uno spazio sconfinato tra sogno e realtà, passato e futuro. Come in un gioco di specchi dove l'immagine è riflessa all'infinito Imitation Woman rimanda i bagliori di una strobosfera, evoca le atmosfere psichedeliche del mitico Studio 54, leggendaria discoteca in cui ha preso forma uno stile di vita provocatorio e trasgressivo. La fragranza si appropria di una simbologia pop, accende immediatamente le vibrazioni aromatiche floreali di rosa, ylang-ylang, fiori d'arancio e gelsomino. Come in un bouquet multietnico variegato da combinazioni infinite, il jus emette lievi sentori metallici, cromati, il fascio di luce delle aldeidi penetra le note stimolanti di bocciolo di ribes nero e liquirizia riportando al sex appeal abbagliante ed ambiguo di notti frenetiche sulla pista da ballo, dove i corpi abbigliati in lurex, paillettes e vinile rispondevano al ritmo parossistico della disco music. É una festa che non termina, che saprà farsi nostalgia, scolpita dalle note profonde e persistenti di patchouli, legno di sandalo e incenso.
Parla di libertà ed eccessi Imitation Man, cedro e spezie infondono all'incipit un desiderio di scoperta dei misteri metropolitani. Rosa turca, giaggiolo e violetta spalmano nel cuore l'eccitazione della novità, la gioia della partecipazione al rito del piacere. L'atmosfera densa, trasgressiva, creativa, filtra dalle note finali tenaci e fortemente espressive di cuoio, vetiver, mirra e patchouli.
Le fragranze sono racchiuse nei flaconi signature in cristallo e riprendono i colori dinamici fluo dei neon, sormontati dal tappo impreziosito con un cristallo Swarovsky. Il pack esterno blu notte svela un decor astratto del flacone in tonalità metallizzate, in omaggio al movimento artistico creato da Warhol.
Disponibili nel formato Eau de Parfum 50 e 100 ml. Nelle profumerie concessionarie esclusive, nelle boutique Amouage di Roma Piazza del Parlamento 31, Milano Via Fiori Chiari 7 e nella boutique online goldoclock.com
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Those years. Apotheosis of excess. Mutation in metropolitan subculture. New York in ‘70s is the crossroad of the world. Land of dreams come true. Get lost in a place of corrosive enchantment, in the era of momentous social cultural transformations. New horizon in art experimentations, street art graffiti, fluo neon lights, Studio54 domination, trasgressive expressions in fashion and lifestyle. All’s fair, all’s quick, all’s possible, all’s of all shines endlessly. Art and life imitate each other. And all these seen through the eyes of a child walking on his dreams. Open wide your gaze and all you senses to embrace this passionate olfactory journey into pop art era. ©thebeautycove
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Di fronte alla morte ci vuole l’irriverenza di Giorgio Chinaglia, il campione che mi ha salvato la vita
Mi guardo alle specchio e mi riconosco. Riconosco il mio doppio, in quello stesso specchio della camera da letto che è rimasto al suo posto: dietro le spalle un’ombra che si fa luce, una maglia bianco-celeste, di lana, morbida e scivolosa, con uno scudetto a triangolo sul lato destro. Le fotografie alle pareti sono impolverate, chiuse dentro una cornice dorata. È domenica, durante l’ora delle partite di campionato, che una volta si ascoltavano alla radio nella trasmissione “Tutto il calcio minuto per minuto”, con Enrico Ameri e Sandro Ciotti che si rimpallavano la linea per descrivere minuziosamente le azioni di gioco.
Il metaracconto pretende una spiegazione onnicomprensiva dell’esistenza, partendo dalla propria. Ci provo.
Sono diventato uno scrittore a tredici anni, nel 1983, quando venni colpito da un sarcoma di Ewing al bacino. Nacque tutto lì, all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, in via Pupilli, nella collina fuori Porta San Mamolo, dove mi curarono per quasi due anni al primo piano di quello che fu il convento di San Michele in Bosco prima di essere acquistato dal famoso chirurgo Francesco Rizzoli che trasformò il complesso in un ospedale. Morirono gran parte di coloro che soffrivano del mio stesso male. Io, inaspettatamente, ce l’ho fatta. Si sono registrati due soli casi, fino agli anni Novanta, di guarigione clinica da un sarcoma al bacino. Uno dei due guariti sono io.
Beckenbauer, Pelé e Giorgio Chinaglia all’epoca dei New York Cosmos. In 234 partite Chinaglia segna 231 reti.
Una malattia altamente mortale, sconfitta, mi ha “permeato” in modo disuguale. Ciò che all’inizio innescava il silenzio per un meccanismo difensivo, di disagio colpevole, si è tramutato pian piano nell’urgenza di dire, di raccontare: è nata così la docu-novel Il talento della malattia (Avagliano 2012), un romanzo singolare specie per la sua struttura (il cui seguito, sempre pubblicato da Avagliano, nel 2016, è intitolato L’età bianca).
Non credo di aver scritto una storia del tutto personale, né ho finto, per cui i miei romanzi non sono autobiografici né fiction. Molti malati mi hanno cercato confidandomi di essersi ritrovati specie nel racconto dell’ospedalizzazione, nella paura di morire. In fondo La montagna incantata di Thomas Mann ci dimostra che “l’interesse per la malattia e la morte è l’altra espressione dell’interesse per la vita”.
Vengo al mio male di allora. La psicologia moderna è convinta che il paziente possa esorcizzare il suo stato psichico mediante la cosiddetta “motivazione antagonista”. Il sogno infantile equivale ad un diversivo, al divertimento: per questo i bambini avrebbero una più alta percentuale di guarigione dai tumori.
La mia motivazione era rappresentata dal mio idolo, un calciatore: Giorgio Chinaglia, il bizzoso centravanti della Lazio campione d’Italia nel 1974 e presidente nel 1983. Un personaggio in controtendenza, amato quanto odiato dal pubblico sportivo. Volevo conoscerlo, e il desiderio spingeva a far mio lo slogan dei tifosi della Lazio che lo magnificavano: “Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia”. Chinaglia: un idolo, un amuleto, un portafortuna, un Cristo laico. L’attaccante ingobbito, bisonte, sgraziato, ma indomabile. Un cavallo di pura razza.
Cosa lega un ragazzino malato ad un guerriero dello sport, alla stessa cronaca delle sfide sul campo di calcio? Posso dire che la malattia non si fronteggia con la sola speranza di guarire. Né con la commozione, che è un sentimento di tenerezza per se stessi. Meno che mai con la rabbia. La malattia va semplicemente ignorata. Lo so, è un compito davvero improbo. La mia reazione salvifica contro il “vuoto pneumatico” consisteva nel pensiero di un simbolo di forza. Un famoso giocatore di calcio è diventato il viatico per far fronte ai luoghi di reclusione e separatezza dalla vita, gli ospedali. Il campione come simbolo di vittoria, uno spazio di leggerezza e antitesi al sarcoma.
La letteratura vive anche nel calcio. Sapevo che il numero 9 della Lazio era andato nello spogliatoi della Roma a dire che li aspettava fuori, in campo. Long John, dalla marca di whisky che beveva, segnava ed esultava sotto la curva occupata dai fanatici della squadra avversaria. Mostrava una gamba all’uscita degli spogliatoi, per irridere la folla. Faceva le corna a chi lo insultava. Finì la carriera negli Stati Uniti, nei Cosmos di New York del grande Edson Arantes do Nascimento, detto Pelé, dove lo pagavano a peso d’oro.
Giorgio Chinaglia era già un “compagno insostituibile” di giochi nell’infanzia, incarnato fantasiosamente come soggetto di fedeltà al quale appellarsi nella solitudine. La compartecipazione con le vicende sportive prende origine da una risonanza puramente emotiva e da un meccanismo di immedesimazione con il campione preferito. Il mito calcistico (il “basso epico”, per dirla con Jorge Borges) garantiva quella “felicità bambina” che è diventata anche il modo migliore per affrontare il sarcoma di Ewing.
Il talento della malattia non è solamente un’opera letteraria, ma una testimonianza impudicamente, energicamente affermata e ribadita con lo sguardo fanciullo di una volta. Parafrasando Ernest Hemingway, si potrebbe dire: “Avere un cuore da bambino non è una vergogna. È un onore. Un uomo deve comportarsi da uomo. Deve sempre combattere. Ma non gli si deve dire come un rimprovero che ha conservato un cuore da bambino, un’onestà da bambino, una freschezza e una nobiltà da bambino”.
Di fronte alla morte ci vuole l’irriverenza. Ci vuole un gesto pari a quello di Giorgio Chinaglia che sparava alle lampadine durante i ritiri con il suo Winchester, il fucile a leva, una carabina con la canna. Ci vuole la sfrontatezza di chi manda a fare in culo l’allenatore della nazionale italiana ai campionati del mondo del 1974 in Germania, e lo hanno visto in mondovisione.
Mi dissero che con ogni probabilità sarei guarito, proprio la settimana che la Lazio, a Pisa, si salvò dalla retrocessione e Chinaglia corse ad abbracciare idealmente i suoi fedelissimi supporters. Allo stadio c’erano 20.000 persone venute da Roma. Era il 13 maggio del 1984. Ricordo principalmente questo, del mio male. Cioè il corollario, l’appendice.
A Giorgio Chinaglia dico grazie. L’ho conosciuto personalmente e mi ha abbracciato, mentre stavo male. Il motto “Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia” lo urlavo da un letto d’ospedale, mentre intorno vedevo ragazzini amputati alle gambe o alle braccia. Il mio voleva essere un grido di riluttanza alla morte, di opposizione. Per questo non credo alla resistenza ideologica nella storia, ma alla resistenza biologica di ogni singolo uomo. Il romanzo segue le mie vicende e quelle del giocatore diventato presidente della Lazio per una breve parentesi, nel 1983. Prevale una specie di connubio che è durato qualche anno, con Chinaglia. Lo racconto senza infingimenti. Avevo qualcosa da scrivere, non più da sussurrare sottovoce. Qualcosa che non potevo più trattenere.
*
La morte la si può guardare a distanza, non in tempo reale. L’ho fatto dopo trent’anni. Adesso è la malinconia, paradossalmente, che mi tiene agganciato alla storia del mio male e dell’incredibile guarigione. Sì, la malinconia. In un certo senso è come se fossi rimasto un adolescente. Ma l’adolescenza, solo l’adolescenza, è un’età eterna. Uno scrittore non può diventare mai un adulto fino in fondo, perché sarebbe banale nel suo conformismo. L’adolescente, invece, è sempre fiero, invulnerabile, trasgressivo.
Ho vissuto una vicenda agghiacciante durante l’ospedalizzazione durata due anni. Non solo perché mi diedero tre mesi di vita (oggi ho quasi cinquant’anni e sto bene), ma anche perché sono stato ricoverato per lungo tempo in una specie di lager camuffato in reparto, un “altrove” infernale dove i bambini che erano con me sono morti asciugati dal male, annientati brutalmente. Uno, in particolare, morì sotto i miei occhi, mentre la madre, incredula, delirava.
“A quale santo ti sei raccomandato?”, mi chiese dieci anni dopo, nel 1993, Mario Campanacci, il grandissimo oncologo e ortopedico di origini parmensi.
Mario Campanacci (1932-1999), un luminare della medicina.
Fu chiamato a Dallas quando al figlio di Ted Kennedy venne diagnosticato un osteosarcoma al ginocchio. Il ragazzo “figlio della Grande Mela” si salvò, ma gli amputarono la gamba. Campanacci ha eseguito la revisione di migliaia di casi di tumori muscolo-scheletrici trattati fin dai primi anni del 1900 presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli, maturando una profonda conoscenza diagnostica e clinica. Negli anni successivi ha intuito l’importanza di un approccio multidisciplinare ai sarcomi e fu uno dei pionieri al mondo del trattamento combinato e della chirurgia conservativa per i sarcomi primitivi dell’osso.
“Ti abbiamo restituito al mondo, vai”, aggiunse Campanacci nel guardarmi spiritato. Se gli avessi detto di Chinaglia mi avrebbe preso per un pazzo. Quell’anno fu trafugata la mia cartella clinica e visionata nei maggiori congressi mondiali di ortopedia. Appena due anni fa, ancora una volta, a Madrid.
Cosa ha potuto decidere la mia quasi esclusiva guarigione? Il caso? La medicina? Un miracolo? La bravura di Mario Campanacci che mi tenne in sala operatoria dieci ore? La motivazione impressa da Giorgio Chinaglia? Non lo so ancora, non lo sa nessuno.
Ho assimilato una terminologia scientifica, dopo anni di studi, per fare un’indagine sulla cura del sarcoma di Ewing al bacino e annotarne accuratamente. Oggi guarisce il 25% dei malati, ed è ancora una roulette russa.
Che altro dire dopo tanti anni? Sono preso da un sentimento romantico di appartenenza all’infanzia, che per me è stata dolce, e all’adolescenza, dolorosa ma paradossalmente affascinante in seguito al “talento della malattia”. Ho pensato spesso che il mio osservatorio sia quello di un sopravvissuto, di un reduce. Allontanandomi definitivamente dalla stagione della malattia, è cresciuto in me l’amore per il calcio che non c’è più, quello in bianco e nero. Massimo Raffaeli, un critico fondamentale per la mia formazione, lo dice spesso che l’affezione per il calcio non isterico e non televisivo, nasce per qualcosa di cui si è privati. Provo la stesso sentimento, specie ora che Giorgio Chinaglia è morto e che rimane un’icona pre-moderna contro la tecnologia al servizio dello sport. Una specie di divinità, dice il direttore del Tg5 Clemente Mimun, lazialissimo e chinagliano. Sento spesso i figli di Giorgione che vivono a Boston e il capitano di quella Lazio scudettata, Pino Wilson.
Li hanno definiti maneschi e fascisti. Eppure hanno scritto una delle pagine più belle del calcio italiano. La Lazio guidata da Tommaso Maestrelli, l’allenatore buono, vinse il campionato di calcio 1973-’74. Due anni prima militava in serie B. Era appunto la Lazio di Chinaglia e Wilson: l’uno un ragazzone bizzoso, figlio di emigranti, l’altro colto e raffinato. Siccome non sopportavano chi parlasse lombardo, l’allenatore aveva diviso lo spogliatoio in due. Di qua i chinagliani, di là Martini e Re Cecconi, “quelli del nord”. Durante le partitelle infrasettimanali volavano spintoni, schiaffi, calci e i fondi di bottiglia. La domenica, però, quel mucchio selvaggio era un blocco unito, granitico. Quelle narrazioni mi eccitavano, mi tenevano vivo, mi incitavano a non mollare. Se non ci fosse stato, forse, sarei morto. Oggi è un personaggio leggendario, è letteratura non solo sportiva.
Giorgio Chinaglia voleva vedermi nel 2012, ma non poteva rientrare in Italia perché sotto processo per un tentativo maldestro di scalata alla società laziale. L’ultima volta che lo sentii mi disse: “Non sono io ad aver giocato con Pelé. È lui che ha giocato con me”. Ridemmo di gusto.
Alessandro Moscè
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La farfalla
La mia prima volta
Capitolo secondo - Parte seconda
Quando uscii dal bagno, indossavo ancora la lingerie, una canotta bianca velata, un perizoma bianco semitrasparente abbinato, calze fino a metà gamba e una tuta lunga trasparente di pizzo. Il tutto s’intonava con il mio corpo abbronzato. Appena il nostro ospite mi vide mi lanciò uno sguardo di pura lussuria, ma non reagì, si fermò per diversi istanti a osservarmi, notai il suo rigonfiamento in crescita. Lo guardai dritto negli occhi e con un ghigno diabolico gli dissi: “Scusami non ho sentito la porta”. Mi sono voltata lentamente senza mai mostrare imbarazzo e sono tornata in bagno facendo cenno a mio marito di seguirmi. Lo fissai dritto negli occhi e gli chiesi che cosa stesse succedendo. Mi ragguagliò sugli eventi appena trascorsi. Gli dissi che ero molto imbarazzata per il mio stato. Mio marito disse che c’erano due possibilità: una era quella che lo avrebbe invitato ad andarsene e l’altra era quella di continuare il gioco iniziato sulla pista da ballo.
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L’idea di continuare quel gioco di provocazione mi alettò molto. Quello sguardo sul viso di mio marito mi diede un livello di eccitazione completamente nuovo che non avevo mai sperimentato prima d’allora. Sapevo che era molto eccitato. I miei ormoni stavano correndo e non ero sicura di cosa stava pensando veramente. Ero sicura che anche l'alcol che avevo consumato avesse avuto la sua parte. Gli sorrisi e lo baciai e senza dire altro aprii la porta e andai nella stanza, mi scusai per il mio stato. Mi sedetti sul letto e per provocarlo, accavallavo spesso le gambe durante la conversazione, i miei capezzoli duri mi stavano tradendo e mostravano la mia crescente eccitazione. Lui mi fissava sfacciatamente e anche da seduto potevo scorgere il suo rigonfiamento gonfiarsi, entrambi ci lanciavo occhiate furtive . Nella stanza c’era una tensione fortissima. Mio marito venne a sedersi al mio fianco, la conversazione divenne sempre più irregolare perché tutte le nostre menti non riuscivano a concentrarsi su alcun argomento per molto tempo.
La conversazione scivolò su allusioni sessuali e questo aumentò ulteriormente il livello di tensione. Non ne potevo più, avevo raggiunto il limite di sopportazione della mia eccitazione e chiesi a voce alta:
"È proprio vero che gli uomini neri hanno cazzi più grandi degli altri uomini?"
Lui e mio marito si misero a ridere, e mi rispose prontamente:
“Beh, potrebbe esserci un modo molto semplice per rispondere a questa domanda”. La stanza era diventata improvvisamente molto silenziosa.
Gli chiesi “come?”
E Lui: "Bene, tuo marito ed io siamo vicini per dimensioni, altezza, peso, potremmo fare paragoni."
Mio marito prese la palla al balzo e disse "Okay, perché no?"
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Si alzò per primo e si abbassò i pantaloni e i boxer, esponendo il suo cazzo da 15 cm, quasi completamente eretto. L’altro si alzo e ci voltò le spalle mentre si toglieva i pantaloni. Fissavo ogni suo movimento, i miei capezzoli spuntavano attraverso il materiale sottile della mia canotta, lasciò cadere le mutande e quando si voltò, non potrei trattenere un esclamazione di grandissimo stupore. Il suo cazzo era gigantesco, poteva misurare tranquillamente 20 cm, lo fissavo esterrefatta a bocca aperta, mentre lui se lo accarezzò un paio di volte e questo non faceva che fargli aumentare le dimensioni . Guardai mio marito e gli chiesi se potessi toccarlo, sapevamo che ora ci stavamo muovendo in un territorio diverso da quello che avevamo immaginato, avevamo raggiunto il punto di non ritorno. Era quello cui avevamo promesso di arrivarci. Questa era la prima volta che lo facevo con un estraneo e alla presenza di mio marito. Non lo avevo pianificato, ma questo mi stava facendo impazzire, stavo toccando il cazzo nudo del nostro nuovo amico. All'inizio ero molto timida, allungai la mano e cominciai a sentire lentamente questo immenso cazzo. Incredibilmente ha risposto al mio tocco e ha continuato a diventare ancora più duro e lungo mentre la mia mano viaggiava dalla sua testa gigantesca alle sue palle palpando, esaminando, accarezzando delicatamente questo enorme cazzo. Una mano da sola non bastava, quindi di tanto in tanto le usavo entrambe per accarezzarlo finché alla fine smise di crescere . Ero completamente affascinata mentre continuavo ad accarezzarlo. Alla fine finalmente guardai mio marito con uno sguardo pieno di lussuria, avevo il fuoco negli occhi e un sorriso malvagio. Mi rispose con sorriso lascivo, non disse nulla e si accomodò su una sedia nell'angolo. Era l'approvazione di cui avevo bisogno.
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Mi sono avvicinata e ho iniziato a baciare il cazzo di questo dio greco. Provai ad aprire la bocca per succhiarlo ma riuscii a malapena a superare il glande. Passai a toccarlo e a leccarlo per tutta la lunghezza, specialmente la parte inferiore e l'enorme glande. Mi stavo scatenando adesso, e lui innegabilmente si stava godendo il mio lavoro di bocca. Stavo percependo il suo godimento, che non faceva altro che farmi gemere, gemiti che uscivano dalle mie labbra mentre continuavo a usare selvaggiamente la bocca per lubrificare il suo cazzo. Dopo qualche minuto mi sdraiai sul letto e gli chiesi:
“Per favore, fottimi con quello, ma per favore non farmi male”.
Lanciai un'occhiata veloce a mio marito per vedere come avrebbe reagito a quella mia richiesta. Immaginai che si sarebbe fatto solo una sega, non diede nessun segno di protesta. L’altro finì velocemente di spogliarsi e s’inginocchiò sul pavimento tra le mie gambe e mi tolse il perizoma. Le sue mani poi mi accarezzarono e la sua bocca baciò le mie gambe ricoperte di nylon fino a raggiungere la pelle e la mia figa bionda delineata e abbronzata. Mi aveva portata in completa lussuria sfrenata quando iniziò a baciarmi dolcemente e lentamente a leccarmela fino a farmi dire delle cose oscene miste a languidi mugoli di piacere . Mentre mi baciava la figa il più possibile, le sue grandi mani continuavano ad allungarsi e cominciavano a massaggiarmi le tette attraverso il tessuto trasparente della canotta. Era quello che avevo sempre preferito, avere le tette e la figa stimolate allo stesso tempo.
"Oh, sì, stringi più forte e gioca con i miei capezzoli".
Presto gemetti forte ed ebbi il mio primo orgasmo "OHHHHHH, mio Dio".
Non smise di leccarmi la figa e di giocare con i miei capezzoli, gemevo in modo incontrollabile.
Adesso lo supplicavo ad alta voce
“Oh, Dio….Per favore, SCOPAMI adesso……. voglio sentire quel cazzo dentro di me”.
Lui si alzò e con il sedere sul bordo del letto, mi allargò le gambe, si mise in piedi e disse in tono molto controllato
"Se vuoi che ti SCOPI, dovrai inserirlo".
Mio marito si stava masturbando mentre assisteva alla mia scopata con un altro. Si era avverato quello che lui voleva. Mi alzò le gambe in aria sopra le sue spalle, mi allungai frettolosamente e afferrai quel cazzo enorme, guidandolo con impazienza verso la mia figa febbricitante. Non avrei mai potuto immaginare che mi sarei potuta trovare in questa situazione prima di allora, stavo implorando, guidando e gridando per il cazzo di questo sconosciuto, alla presenza di mio marito che mi contemplava. Ho guidato il suo glande verso le mie grandi labbra, massaggiandolo con i miei succhi generosi. Lo guardavo direttamente negli occhi pieni di lussuria, mentre il suo enorme cazzo scivolò tutto dentro di me.
Urlai: “Per favore, non farmi male…”
Lui entrò lentamente , forse per un centimetro. Gemetti in segno di apprezzamento. Avanti e indietro diversi colpi, i centimetri divennero 5. Gemetti più forte
"Ohhhhh sì,... di più...".
Lui continuò a muoversi avanti e indietro molto lentamente, un po' più in profondità ad ogni colpo. Amavo ogni penetrazione e gemevo ogni volta. Diventavo sempre più esigente mi ero trasformata in una donna selvaggia, una grandissima troia godereccia. Lui diceva gentilmente rallentava i suoi colpi e calmava i suoi movimenti e mi stuzzicava la passione. Alla fine entrò in tutta la sua lunghezza, lo fissavo dritto negli occhi mentre gli dicevo quanto fosse bello.
…“Ohhhh, mio Dio, il tuo cazzo è così GRANDE”…. “Ooooooh, sì. .. .. . è così bello."... “Ohhh..SÌSSSS… che bel colpo….. Che bel colpo…. ohhhh”…. “Per favore… oh, per favore… dai…. io….di più”.. ….“Ohhhhh, sìiiiiii…. . sento il tuo cazzo in profondità " ero nella più pura estasi sessuale.
Mi continuava a scopare lentamente e interrottamente. Ho avuto almeno due o tre orgasmi maggiori e almeno altrettanti più piccoli, urlando …….“Ohhh, Dio, è proprio è davvero fantastico…” Lo supplicavo di non smettere. Di nuovo mise le mie gambe sulle sue spalle, fece scivolare di nuovo il cazzo dentro e ricominciò lentamente entrando sempre di più. Stavo impazzendo, il ritmo è diventato costantemente sempre più veloce. Non riuscivo più a pronunciare parole: solo gemiti, grugniti e sussulti in cerca d'aria poiché i miei orgasmi ora non sembrano mai fermarsi o svanire. I miei occhi rotearono all'indietro. Alla fine, arrivò con una forte spinta e un forte grugnito, lui ebbe un enorme orgasmo, urla incontrollate e gli ho afferrato il culo e ho tenuto il suo bacino stretto al mio ventre mentre lui mi riempiva. Pensavo che l'intera ala del resort ci avrebbero sentito! Crollammo e ci riposammo per alcuni minuti, respiravo affannosamente, dovevo andarmi a pulire perché colava dappertutto. Mentre ero in bagno, imbarazzatissimo balbettò qualcosa e chiese congedo, si vestì rapidamente e uscì . Quando uscii dal bagno, chiesi dove fosse e perché se ne fosse andato, con un tono un po' deluso. Mio marito mi ha spiegato che era molto imbarazzante per ciò che era successo. Ci siamo sdraiati sul letto, mi ha baciata e mi ha detto mi amava e che tutto fu incredibilmente erotico, gli ho chiesto se gli fosse piaciuto. Non rispose, allora mi abbassai e ho cominciato ad accarezzargli il cazzo fino a che arrivasse alla massima durezza. Lo ringraziai per avermi permesso di sperimentare quello che lui aveva sempre voluto che accadesse e io con ritrosia avevo sempre rifiutato. Gli porsi le mie scuse. “È stato un sesso davvero fantastico, ma ora voglio davvero sentirmi amata. Voglio sentirmi come una moglie amata, voglio sentirti dentro di me, adesso" Quando entrò, gemetti, avvolsi le gambe e le braccia attorno al suo corpo, lo tenni stretto a me, fondendomi l'una nell'altro mentre facevamo l'amore. Dopo qualche minuto, sorprendentemente per me considerando quello che avevo appena vissuto, sono venuta di nuovo, forte, innescando la mia esplosione. È stato il miglior sesso che abbiamo mai fatto! Ci siamo svegliati la mattina dopo, nella stessa posizione intrecciata. Entrambi con il sorriso migliore di sempre.
Ormai eravamo entrati in una nuova dimensione.
FINE
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La farfalla
Capitolo primo
Non so se vi sia mai capitato di riflettere su quanto vi sia accaduto e notare come gli eventi siano legati da un sottile fil rouge, e allora vi siete chiesti: “Allora esiste un destino?”. Certo si arriva a questo dopo che gli eventi sono accaduti, ossia in un a-aposteriori. Al contrario all’inizio, gli eventi sembrano slegati e pensiamo che tutto sia avvenuto per opera del “Caso”.
Vi racconto come un bruco si ritrovò a trasformarsi in una farfalla.
Non è stato un caso ma era già destinata a diventarla.
Tutto ebbe inizio una sera che mi portai a casa del lavoro, dovevo fare una relazione su come trovare il segmento per un lancio di un prodotto commerciale. Lasciai il dossier sulla scrivania e mi precipitai a farmi una doccia. Mio marito era ai fornelli e mi stava preparando una cena delle sue. Un uomo favoloso molto attento a tutte le pratiche domestiche, quasi impossibile da trovare. Dopo che ho finito la doccia e indossato un mio pigiamone, andando in cucina, lo vidi che stava seduto a leggere il mio fascicolo. In particolare lo trovai a leggere un foglio dove avevo appuntato una tipologia di uomini.
Avevo scritto che esistevano sette categorie di maschi:
1- ALFA: leader nati maschi con piena consapevolezza fin dalla nascita di essere superiori e di dover essere obbediti e rispettati... potere maschile al suo apice... un'autorità naturale su tutte le altre categorie... fanno quello che vogliono, quando e come vogliono... è ovviamente piuttosto raro!
2- BETA: maschi forti capaci di essere leader per la maggior parte del tempo e a cui piace guidare ma si sentono gregari di un uomo alfa nell'intento di guidare gli inferiori. A loro piace umiliare le categorie inferiori
3- GAMMA: La categoria più comune. Una personalità forte a cui piace comandare ma anche sottomettersi, soprattutto con altri gamma....
4- DELTA: generalmente mancano di mascolinità... Amano sottomettersi a categorie superiori e ai loro pari per brevi periodi di reciproco piacere....
5- EPSILON: A loro piacciono i lunghi periodi di sottomissione... Si identificano come puttane. Sono spesso sottoposti a umiliazioni da parte dei superiori......
6- ZETA: gli schiavi. A loro piace essere ridotti in schiavitù. Sono ancora nella società ma sempre più schiavi di altri uomini...
7- OMEGA: oggetti in forma umana. Senza diritti né privilegi. Nessuna dimostrazione di volontà o indipendenza... Tutto deve essere autorizzato …
Appena sorpreso divenne rosso in viso, mi era sembrato un bambino sorpreso a mettere la mano nel barattolo della marmellata. Allora per rompere la tensione, scherzando gli ho detto.
“ A te non so dove collocarti tra le ultime tre categorie”.
Non rispose, chiuse il fascicolo, liberò il tavolo, si tolse il grembiule, apparecchiò in modo perfetto la tavola, e portò i piatti già con le pietanze. Non so’ perché tutto questo mi mise addosso una sorta di eccitazione. Lo vedevo sotto un’alta prospettiva, mi sa che avevo aperto il vaso di Pandora.
Per tutta la durata della cena mille pensieri affollavano la mia mente, lo avevo solo provocato mettendolo nelle ultime posizioni della scala comportamento degli uomini. Mi aspettavo che reagisse, invece? Che cosa ero andata a toccare. Finito di mangiare, una volta sparecchiato ci andammo a sdraiare su divano per vedere qualche film alla tele. Lui scelse di vedere ���La chiave” di Tinto Brass. Un film che quando uscì fece scalpore, eravamo più giovani e la visione innescò una tempesta ormonale a entrambi, ci furono scintille, un sesso infuocato. Da allora ne passò di acqua sotto i ponti, tutto quel fervore si andò man mano scemando. Purtroppo la routine è la tomba dell’amore. La visione del film fu una mezza delusione, era come aver mangiato una minestra riscaldata. Lo stato di tensione non mi era ancora passato, anzi era aumentato.
La domanda persistente era: Che cosa nascondeva quel silenzio alla mia provocazione?
Una volta che siamo andati a letto mio marito, mi ha chiesto:
Hai mai pensato di fare sesso con un altro uomo?
Gli ho risposto di botto:
“Sai che ti amo e ti sono stata sempre fedele". "Non posso credere che tu me lo chieda”.
In realtà non avevo mai pensato di fare sesso con un altro uomo, nonostante gli approcci e le opportunità che il mio lavoro di organizzatrice di conferenze offriva, dato che ero spesso lontana da casa e c'era una notevole quantità di perfetti sconosciuti che soggiornavano nel mio stesso albergo.
Mi chiese subito scusa vedendomi furiosa, molto arrabbiata e confusa ancora di più di prima.
“Che cosa stava succedendo?"
Rimasi in silenzio e sentivo il suo respiro, era ancora sveglio.
A un certo punto mi abbracciò da dietro unendo i nostri corpi. Ero felice di sentirlo dietro di me. Non è mai bello finire la giornata con una nota amara. Mi baciò lentamente il collo e sentii la sua mano afferrarmi il seno, mentre l’altra scorreva lungo tutto il mio corpo proseguendo lungo le mie cosce. Potevo sentire l'inconfondibile contrazione del suo cazzo mentre s’irrigidiva contro il mio sedere. Adesso anche il mio respiro cominciava ad accelerare. La sua mano ha iniziato a esplorare tra le mie gambe e le ho aperte per permettergli di toccarmi la figa. Con tanta delicatezza passò il dito tra le labbra, trovando la mia umidità e usandolo per stuzzicare il mio clitoride. Il formicolio elettrico mi percorse tutto il corpo e mi sciolsi tra le sue braccia forti.
A un tratto si fermò e mi disse che era in uno stato confusionale fin dalla mattina, perché aveva sognato che scopavo con un altro, mentre ero via per una conferenza e poi tornavo a casa e gli raccontavo tutto. Appena sveglio si ritrovò con un’erezione portentosa come quella che aveva ora.
Potevo sentire il calore del suo cazzo in crescita mentre iniziava a esplorare tra le mie gambe da dietro.
"Non eri geloso e arrabbiato?" ho chiesto.
Rispose: “Sì, all'inizio quando mi sono svegliato, ho sentito entrambe le cose". Poi ho capito che era solo un sogno ed ero così eccitato che dovevo averti proprio lì e in quel momento. Era come una fantasia cattiva.
Sono rimasta scioccata. Mio marito era eccitato pensando che avessi scopato un altro uomo! Ormai il suo cazzo era completamente rigido e me lo stava massaggiando lungo la figa da dietro, quindi ho inarcato la schiena per facilitargli il compito. Nel frattempo il suo dito continuava a stuzzicare il mio clitoride e ora ero eccitato quanto lui.
"Ci stai pensando di nuovo?" ho chiesto.
Lui: “Sì, non riesco a togliermelo dalla testa". "Per favore, non arrabbiarti”.
Proprio in quel momento il suo cazzo trovò la mia figa e me lo spinse dentro di qualche centimetro. Sembrava il paradiso ed ero così eccitata che non potevo essere arrabbiata.
Io di rimando “ Non c’è nulla di male nell’avere fantasie sporche”.
Le sue spinte stavano diventando più lunghe e ora mi stava penetrando più profondamente. Il suo cazzo era fantastico e con il suo dito che continuava a stuzzicare il mio clitoride, mi stava portando rapidamente all'orgasmo. La mia mente cominciò a vagare verso alcuni degli uomini che mi avevano fatto delle proposte alle conferenze. In qualche modo stavo cercando di immaginare quale sarebbe stato nella fantasia di mio marito.
Ero ancora confusa ma molto eccitata ed ho iniziato a stare al gioco.
Gemetti mentre le spinte diventavano sempre più veloci. Ormai la mia figa era così bagnata e stavo per venire. Il suo cazzo era durissimo, me l’ha spinto dentro per tutta la sua lunghezza ed io sono impazzita, gemendo e avendo il miglior orgasmo che riesco a ricordare da anni. Mi ha fatto venire abbondantemente e prima di lui. L'ho adorato!
Ero sorpresa dal fatto di queste chiacchiere sporche avessero eccitato anche me. Gli ho detto che mi piaceva fantasticare di essere scopata da un altro uomo.
Lui: “ Voglio che scopi tutti gli uomini che vuoi". "Voglio che mi porti a casa il loro seme nella tua figa calda".
Non potevo crederci! Era davvero preso da questa cosa ed ero ancora più sbalordita dal fatto che non m’importasse per niente.
Gli risposi: "Lo farò!". "Ti porterò a casa una figa sporca e piena di sperma cosi potrai aggiungere il tuo seme a quello di lui”.
Mi ha fatto rotolare sulla pancia e mi ha messo in ginocchio in modo da potermi prendere adeguatamente da dietro. Mi sono sentita infilzare da una spada rovente, ho sentito lo spasmo del suo cazzo ed è stato sufficiente per mandare al limite anche me, la mia mente era piena d’immagini di strani cazzi che si scaricavano nella mia figa.
Mi sono accasciata sul letto, ansimando. Con mia sorpresa, mi ha girato, spingendo le mie ginocchia verso l'alto e aprendo le mie gambe, la sua faccia si è tuffata immediatamente tra le mie gambe.
La mia figa stava già formicolando, quindi la sensazione della sua lingua e della sua bocca che mi succhiavano mi ha mandato subito in visibilio, e nuovi orgasmi hanno iniziato a scorrere a ondate, quasi dolorosi ma erano così belli. Mio marito non mi aveva mai fatto una cosa del genere ed ho capito che anche quello doveva far parte della sua fantasia.
Ormai anch'io ero completamente immersa nella fantasia ormai persa gli dissi:
"Assaggi la sua venuta?"
"Mmmmm", fu tutto ciò che riuscì a rispondere mentre mi lambiva con la lingua le grandi labbra, mandandomi di nuovo oltre il limite.
Alla fine, ho dovuto respingerlo perché la figa si era fatta troppo sensibile. Con mia sorpresa si è immediatamente alzato sopra di me e il suo cazzo era di nuovo duro e mi ha sfiorato l'apertura.
"Ti voglio ancora", è tutto ciò che ha detto, mentre mi chiudeva in un bacio ed io assaporavo i miei succhi e la sua venuta combinati. È entrato di nuovo in me e ho emesso un gemito lungo e lento.
Il suo ritmo ora era più lento e mi guardava amorevolmente negli occhi.
“Grazie per non esserti arrabbiata sentendo la mia fantasia”.
Come potevo? Faceva piacere anche per me!
"Grazie per non esserti arrabbiato perché ho scopato un altro uomo!"
Lui: “Non mi arrabbierò nemmeno se lo farai!"
Io: "Allora lo farò se ti darà piacere ”, non so cosa me lo fece dire ma in quel momento lo pensavo davvero.
“Gemette e mi venne dentro”.
Esausti e ansimanti, giacevamo l'uno nelle braccia dell'altro, senza dire una parola. Era stato tutto così intenso e inaspettato. Alla fine mio marito disse:
"Suppongo che sia stato bello portare le fantasie nella stanza da letto?"
Ed io ho aggiunto, "Se pensi di farcela, un giorno potremmo anche trasformare alcune fantasie in realtà".
Ce la farò mi disse e mi strinse tra le sue braccia. Quella notte dormimmo profondamente.
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La farfalla
La mia prima volta
Capitolo 2 - Parte prima
Io e mio marito avevamo programmato una bellissima vacanza in un resort di lusso, all-inclusive, molto riservato e non tanto grande, non accoglieva non più di venti posti, esclusi bambini e animali. La nostra intenzione era quella che volevamo darci alla pazza gioia, volevamo festeggiare il nostro anniversario. La prima settimana passò in fretta, tanto sesso e molto rilassamento, passavo il tempo a fare shopping, a giocare a tennis, a leggere libri o semplicemente mi sdraiavo sulla spiaggia ad abbronzarmi; mentre mio marito giocava a golf o pescava. Mi piaceva attirare l’attenzione di chi mi fosse intorno, riuscivo a percepire nei loro sguardi qualcosa di libidinoso, lo ammetto sono molto civettuola e un tantino narcisista. Poi sono fortunata ad avere un marito che non è per niente geloso e si diverte a lasciarmi flirtare liberamente, ben conscio che non lo lascerei mai. Mi sentivo inebriata. L’organizzazione aveva predisposto una serata di metà vacanza. Quella mattina, non abbiamo fatto l’amore per tenerci tonici per la serata. Per la serata indossai un vestito rosso, molto sexy, che faceva notare tutte le mie curve. Sotto il vestito ho indossato della lingerie molto raffinata. Questo fa andare in estasi mio marito e lo tiene sempre in uno stato di allerta. Il tutto mi rendeva molto euforica e in uno stato di eccitazione. A cena dissi a mio marito che avevo in serbo delle sorprese. Questo aveva avuto l’effetto di far aumentare l’attesa, che è il preludio di un piacere superiore. La cena fu ottima. I camerieri, e in generale tutti i maschi non mi mollavano i loro occhi di dosso. Mio marito ne godeva. Dopo cena decidemmo di andare al club del nostro resort. Quando siamo arrivati, la sala era quasi deserta, abbiamo approfittato dello spazio della pista da ballo e ci siamo concessi qualche ballo. Ogni tanto sfioravo con il mio inguine al suo per assicurarmi che fosse in tiro. Iniziai ad entrare nella parte che mi ero prefissata e sussurrai a mio marito di massaggiarmi la schiena e il sedere. Sentivo la sua eccitazione crescere mentre mi limitavo a sorridere, notavo che molti ci stavano osservando. Ben presto il posto si stava affollato.
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Tutti cercavano di prendere un tavolo e ormai erano tutti occupati. Ho notato un uomo di colore alto e di bell'aspetto in piedi vicino a noi, mi stava mangiando con gli occhi. Ho chiesto a mio marito se avesse piacere a condividere il nostro spazio con lui. Subito accettò. Mio marito gli fece cenno di sedersi sulla sedia libera. Ci ha ringraziato e ha chiesto al cameriere di portare una bottiglia di vino e tre bicchieri. Abbiamo avuto delle belle conversazioni e ci siamo davvero trovati bene. Abbiamo appreso che veniva dall'Inghilterra e soggiornava nello stesso resort. Era un venditore di vino che cercava di avviare in zona una attività commerciale, ma recentemente aveva divorziato dopo un breve matrimonio e si godeva moltissimo i viaggi che il suo lavoro comportava. Continuai a ballare sotto gli sguardi allupati dei molti e questo non faceva altro che aumentare la mia eccitazione, anche perché mio marito era compiaciuto dalla situazione. Ad farmi andare il visibilio erano gli sguardi del nostro ospite che si posavano su di me. Il nostro ospite era molto ambito da alcune donne che sfacciatamente gli chiedevano di ballare e questo m’infastidiva parecchio, ero coinvolta in una sorta di rivalità femminile per la sua attenzione. Una situazione per me inedita, probabilmente non ero lucida, ma stavo reagendo secondo l’istinto di competizione. Mio marito si stava godendo la situazione. Ho aumentato il mio grado di civetteria nella conversazione e il mio comportamento e i miei sorrisi diventavano sempre più sensuali. Cercavo in tutti i modi di marcare il territorio e lo invitavo spesso a ballare, il gioco con le altre contendenti si faceva duro. Diventavo sempre più provocante in modo da eclissare le altre donne in lizza. Mio marito gongolava nel vedere la gara per questo pollo ruspante. L’eccitazione di mio marito era alle stelle. Tutto stava diventando molto voluttuoso. Approfittando che mio marito fosse andato in bagno, mi strinsi al mio ospite e senti che anche lui si era fatto più audace. Ero eccitatissima, ormai senza ritegno mi strusciavo più sfacciatamente durante i balli, incurante dalla presenza di mio marito. Quando finii l’ultimo ballo infuocato, tornai al tavolo e sussurrai a mio marito che ero pronta a tornare nella nostra stanza. Abbiamo comunicato al nostro ospite che la serata per noi era terminata e lo ringraziammo per la splendida serata che ci aveva fatto passare. Si capiva che era deluso dal fatto che noi ci fossimo ritirati e pensò che forse fosse meglio che anche per lui abbandonasse il club, poiché la mattina seguente doveva andar via per adempiere alle sue commissioni. Ci siamo scambiati i numeri delle camere per organizzare la colazione dell’indomani.
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Tornando in camera abbiamo parlato della nostra serata e di quanto fosse stata divertente. Mio marito forse sotto l’effetto dell’alcol mi disse che avevo rovinato la serata a tutte le donne single che sbavavano per lui. Gli detti un bacio di fuoco. Continuò dicendomi che aveva notato un grosso rigonfiamento nei suoi pantaloni che dimostrava che gli era piaciuto ballare con me. Sorrisi maliziosamente perché anch’io mi ero divertita. Confermai a mio marito che i balli mi avevano eccitata da morire. Lo potevo sentire distintamente il suo cazzo che premeva contro di me. Sentivo qualcosa di molto duro. Mio marito mi chiese se il mio atteggiamento non fosse solo provocatorio, ma che provavo proprio piacere nello strofinarmi a lui. Arrossii, ero molto imbarazzata perché avesse notato tutto. Sembravo una bambina sorpresa con le mani nel barattolo dei biscotti. Per smorzare il mio imbarazzo mi disse con voce esaudente che non era arrabbiato.
Per alleggerire la tensione mi disse: ”- - - - forse vende anche dei salami e ne ha messo uno anche lì per attirare le donne...” aggiunse interrompendo la conversazione seria.
Entrambi abbiamo riso ad alta voce “Beh, sai cosa dicono, gli uomini neri hanno i cazzi più grandi degli altri uomini e non hanno bisogno di un salame” disse continuando a prendermi in giro e ridendo.
Io di rimando "Che cosa? ? ? . Dove hai mai sentito qualcosa del genere?….Non è proprio possibile, vero? ? …. Oh, probabilmente non sei veramente serio - Mi stai ancora prendendo in giro adesso... ... non è vero?" ero molto sorpresa per la sua battuta.
Dopo diversi momenti di silenzio mentre continuavamo il nostro cammino verso la nostra stanza, continuavo a pensarci sopra. Ha solo fatto un sorrisetto e una risatina e ha alzato le spalle. Quando raggiungemmo la nostra stanza, ancora pensando alla nostra notte, improvvisamente sbottai facendomi prendere da mille rimorsi per come mi fossi comportata. Mio marito ridacchiava mentre mi assicurava che non fossi una troia e che tutto sarebbe andato tutto bene se lo avessimo visto in giro. Tornati in camera, andai in bagno. Bussarono alla porta. Mio marito andò ad aprire, rimase di stucco nel vedere il nostro nuovo amico lì con un'altra bottiglia di vino. Si è scusato per la tardiva intrusione ma sentiva di volerci fare un regalo per domani, questa era una delle migliori bottiglie di vino della sua azienda e ce ne faceva dono per essere stati così gentile con uno sconosciuto e avergli permesso di unirsi a noi quando il locale era così affollato. Disse che la maggior parte delle persone nel mondo non sono così generose e stasera si è davvero divertito moltissimo. Voleva solo lasciarci la bottiglia prima di tornare nella sua stanza per la notte. Mio marito conoscendo il mio stato di eccitazione e immaginando quanto fossi infatuata di lui pensò bene di farmi una sorpresa, lo invitò a restare.
Continua...
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Storia di Carla
Sequel di
"Un sogno che sembrava troppo reale"
Capitolo 1 - Parte quarta
La vidi scendere dal letto, camminare con molta leggiadria sulle punte dei piedi, glutei rotondi e sodi che ondeggiavano armonicamente. Un vero bocciolo di ragazza, gioventù che esprimeva la freschezza della primavera. Iniziavo a sentire qualcosa per lei, ma dovevo stare attenta a non farmene accorgere. Ritornò a letto, si sdraiò, era contentissima di aver ricevuto un dono, sembrava una bambina, mi guardò con quegli occhi di cerbiatta, voleva un mio assenso per aprirlo. Quanta tenerezza che mi fece, mi stavo commuovendo. Cercai di assumere un tono sostenuto e le ordinai di farlo. Lo aprì di fretta, quasi disintegrò la scatola, era una ragazza selvaggia in tutto. Dovevo educarla, era allo stesso tempo selvaggia e tenera, gli opposti in lei si fondevano. Questa creatura mi affascinava moltissimo. Mi gustai lo stupore che ebbe nel vedere il contenuto del pacco. Estrasse per prima il collare, all’interno avevo fatto incidere il mio nome. Due lacrime solcarono le sue gote, arrossì. Poi estrasse un plug anale con coda posticcia, era emozionatissima. E infine estrasse l’ultimo pezzo: Uno stapOn, un po’ particolare, non c’era il solito pene di gomma che riproduceva l’organo maschile, ma c’era la riproduzione molta fedele del sesso canino, anche nel colore, un bel rosso vermiglio. Non riuscì a trattenere le lacrime di gioia e si fiondò su di me con un’agilità che mi fece rimanere di stucco. Mi abbracciò con forza e mi baciò sulla bocca, tanto da togliermi il fiato. La strinsi a me e l’accarezzai. Mi chiese se potevamo provare subito quei gadget, non era in sé. Per prima cosa lubrificai bene il plug, e il suo ano, glielo appoggiai, e con una leggera pressione e con molta delicatezza lo spinsi dentro. Quando entrò gemette di piacere. Non era molto grande, poiché avevo supposto che il suo ano doveva essere piccolo, e sicuramente vergine. Come una bambina iniziò a giocarci, oscillava con il sedere per simulare una scodinzolata. Questo movimento fece aumentare la mia eccitazione. Iniziavo di nuovo a colare. Poi venne il turno del collare. Gli dissi che questo collare non doveva mai toglierselo quando eravamo in casa. Era il simbolo della sua appartenenza a me, gli ricordai che lei era solo mia.
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Nel metterglielo i nostri capezzoli si toccarono. Sentii una scossa elettrica lungo la schiena, anche lei non ne fu immune, la vidi tremare, sulla sua pelle comparvero i segni della pelle d’oca. Lo scambio silenzioso dei nostri sguardi ci creò una forte eccitazione, i nostri corpi si cercarono e si ritrovarono. I nostri corpi si svelavano lentamente, lo scintillio della luce sulla pelle nuda, le ombre delicate che disegnavano forme e curve. È un gioco visivo dove l'attesa è parte del piacere, ogni dettaglio, L'odore che sprigionava catturò la mia libidine. Volevo assaporarla ovunque. Le sussurrai parole sporchissime all’orecchio e percepii il rossore sulle sue guance, so che era lusingata da tanta voglia e brama che provavo per lei. Iniziai ad accarezzarla in modo impercettibile, le dita scivolano dolcemente. Il contatto della mia pelle contro la sua diventò una forma di comunicazione non verbale che interessava i nostri corpi e le nostre menti, la baciai e le morsi le labbra, sussultò, gemette per il dolore e per il piacere, ogni sensazione diventava un'avventura. Ci siamo odorate a vicenda come due cagne affamate, i nostri profumi rendevano intensi ogni momento, tutti i sensi partecipavano a questa sinfonia d’ amore, un preludio a momenti di grande estasi. Il nostro abbraccio fu una celebrazione dei nostri corpi e delle nostre capacità di sentire, di vibrare, di aprirsi al piacere. I nostri corpi s’incontrano senza un piano, aveva un ardente desiderio ad essere sorpresa. La baciai languidamente e afferrai il vibratore che avevo portato con me. Si abbandonò completamente lasciandosi guidare. Le mie provocazioni le procurano scosse interne, terremoti ormonali che sublimavano il suo piacere fino a farla divenire folle. Sentii sulla sua pelle le vibrazioni del giocattolo che veniva indirizzato sulle zone sensibili. La sua pelle diventava più sensibile ai mie baci, ai miei piccoli morsi e alla mia lingua. Il piacere si rinnova in mille forme diverse, il respiro aumentò d’intensità, gemette, era fuori controllo, intrecciammo le gambe, i nostri monti di venere si toccarono, premetti con forza perché avevo tanta voglia di lei. Il giocattolo lo feci scivolare dentro di lei per penetrarla, avevo tanta voglia entrare dentro di lei con tutta me stessa, il cuore che mi batte a mille. Le bacio le labbra, le guance, le orecchie, il collo, giù lungo la pancia, e m’inginocchio. si lascia scappare un dei gridolini di piacere, guidò la mia testa fra le sue gambe, inarcando la schiena. Baciò senza sosta ogni centimetro del suo corpo. Le mie labbra s’impossessarono del suo clitoride che sporgeva leggermente. Tirai fuori la lingua e con le dita allargai le grandi labbra. Lei inarcò ancora di più la schiena ed io affondai la testa e la lingua. Le mia dita erano dentro di lei con un movimento rapidissimo, di penetrazione e di rotazione. Sentii le sue pareti interne contrarsi con movimenti rapidissimi, e lei continuò a gemere, senza riuscire a fermarsi. Bevetti tutto quello che il suo orgasmo mi offriva, fino all’ultima goccia.
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