#Pirro Scavizzi
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piusppxii · 5 years ago
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Il Vaticano sapeva dell’Olocausto, ma non lo denunciò per svolgere un’azione umanitaria in favore degli ebrei. Pio XII però capì che quella scelta lo avrebbe esposto a critiche.
di Andrea Riccardi (12-05-2020)
Il 10 ottobre 1941, Pio XII ricevette monsignor Angelo Roncalli, proveniente da Istanbul, che annotò: «Mi chiese se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male». La parola “silenzio” è oggi usata dai critici di Pacelli. Egli però già la utilizzava durante la guerra, come scelta consapevole, seppur sofferta. Prima di Roncalli, aveva ricevuto Luciana Frassati, reduce dalla Polonia, la quale gli disse che era visto con ostilità, perché non interveniva a favore dei cattolici polacchi. Il Papa rispose: «La riconoscenza non è di questo mondo». “Delitto del silenzio”: era l’accusa di alcuni ambienti cattolici polacchi per l’assenza di prese di posizione vaticane. Così riferì al Papa, nel novembre 1941, anche il romano don Pirro Scavizzi, che aveva viaggiato in Polonia e Ucraina, occupate dai tedeschi, e aveva visto scene di orrore. Parlò al Papa della pesante persecuzione della Chiesa in Polonia: «Si vorrebbe sentire una presa di posizione ideologica, chiara, pubblica e decisa», riferì. Lo informò anche sulle stragi degli ebrei. Nell’ottobre 1942, di nuovo ricevuto dal Papa, dopo un altro viaggio, calcolava che fossero stati uccisi due milioni di ebrei nell’Est.
Allora il “silenzio” si riferiva prima ai polacchi che agli ebrei. L’espressione esprime la scelta del Papa nella guerra mondiale, un terreno poco vivibile per un cattolicesimo diviso tra Paesi in conflitto. Le notizie affluivano in Vaticano, seppure non sempre facilmente verificabili. Non si può affermare che il Papa non sapesse dei massacri degli ebrei, come talvolta hanno fatto gli apologeti. Così non si può nemmeno dire oggi che sia una scoperta trovare tra le carte vaticane documenti sulle stragi degli ebrei. Già Actes et Documents, tra gli anni Sessanta e Settanta, ne hanno pubblicati parecchi.
L’apertura degli archivi vaticani su Pio XII (a marzo, ma interrotta dopo cinque giorni per il Covid-19) porterà nuovi elementi. Tra quel che è stato possibile vedere, ci sono documenti terribili, come tre foto, in cui si vedono alcuni ebrei nudi prima di un’esecuzione con un aspetto di terrore, poi i soldati tedeschi che seppelliscono cadaveri. Le foto, prese da un testimone in Polonia, sono trasmesse nell’aprile 1943 al nunzio in Svizzera, Bernardini, da Adolf Silberschein, ebreo di Leopoli, poi in Svizzera alla testa di un comitato per gli ebrei: qualcuno che ha lottato a mani nude per salvare vite umane. Le foto sono nel fondo della nunziatura in Svizzera. A differenza dei rapporti sugli ebrei in Romania e Transnistria, non risultano trasmesse dal nunzio e quindi non sono state viste in Vaticano. Sono ugualmente una testimonianza impressionante. Le nuove acquisizioni negli archivi vaticani aggiungeranno ulteriori pagine a una storia che non si finisce di scavare. Questi archivi mostrano come il Vaticano sia stato un osservatorio particolare sulle vicende europee e non sono solo per ricostruire l’attività del Papa.
Papa Pio XII Myron Taylor.
Ci sono momenti della guerra, in cui sono forti le pressioni su Pio XII per un atto pubblico contro i nazisti. Nell’agosto 1942, una figura autorevole come il metropolita greco-cattolico di Leopoli, Szeptycki (aveva all’inizio accolto i nazisti come liberatori dall’oppressiva occupazione sovietica dopo il patto Molotov-Ribbentrop), informò il Vaticano sulle stragi degli ebrei. Poco dopo, si svolse un’offensiva diplomatica americana. Myron Taylor, rappresentante di Roosevelt, accolto con grande attenzione in Vaticano nel settembre 1942, era latore della richiesta d’intervento del Papa per i civili, i prigionieri di guerra, gli ebrei. Ennio Di Nolfo ha pubblicato nel 1978 il rapporto sui crimini nazisti contro gli ebrei consegnato da Taylor in Vaticano (già edito dall’ufficio storico del dipartimento di Stato). Anche gli inglesi, meno influenti in Vaticano, si mossero.
La missione Taylor pose varie questioni: bisognava confermare le notizie americane? Era necessaria una condanna? In un appunto, il minutante monsignor Dell’Acqua sospetta «esagerazione» nelle notizie e uno scopo politico nell’operazione. Il funzionario — così appare da varie note del 1943 — è spesso favorevole alla «prudenza» e poco comprende la drammaticità degli eventi. Del resto c’erano varie sensibilità in Vaticano: il cardinale Canali, filofascista, era per tenersi fuori e non nascondere gli ebrei. Alla fine si decide di rispondere agli americani che la Santa Sede ha avuto notizia di «trattamenti severi contro gli ebrei», ma non può controllarne la fondatezza. Pio XII, nel radiomessaggio natalizio del 1942, condannò — senza fare nomi — la morte o il «progressivo deperimento» di centinaia di migliaia di persone «per ragione di nazionalità o di stirpe». Tittmann, collaboratore di Taylor, gli riferì alcune critiche al suo messaggio perché generico. Il Papa gli rispose che «quando si parlava di atrocità non poteva nominare i nazisti senza menzionare i bolscevichi e questo pensava potesse non essere del tutto gradito agli Alleati». E Tittmann concordò. Da parte sua Pio XII, nel 1941, aveva accreditato la scelta di Roosevelt di allearsi con i sovietici contro i nazisti presso i cattolici americani ostili a questo passo.
Pio XII voleva evitare che la Santa Sede finisse schierata con una delle parti. Sentiva la fragilità della Chiesa nel tenere insieme i cattolici divisi da guerra e propaganda. Temeva per la pressione nazista sui cattolici tedeschi o per i polacchi ostaggio del Terzo Reich. Sceglieva, per preservare la Chiesa come spazio umanitario e d’asilo, per intervenire diplomaticamente, per favorire una pace negoziata (sempre più lontana). Era la filosofia dell’imparzialità attiva sul piano umanitario, già utilizzata nel 1914-18. Allora Benedetto XV, di cui Pacelli era stato collaboratore, affermava amaro e ironico: «La nostra imparzialità ci rende tutti nemici».
Nell’ambiente vaticano c’erano spinte a cambiar linea. Monsignor Respighi, che aveva studiato con Pacelli, auspicava «una parola del Santo Padre forte e solenne a difesa dell’umanità». Monsignor Tardini, stretto collaboratore del Papa, esaminò nel maggio 1942 la possibilità di un atto pubblico in difesa dei cattolici polacchi «per condannare e protestare contro tante ingiustizie». Concluse: era meglio evitare per non essere utilizzati dagli Alleati, mentre il governo tedesco «inasprirebbe ancora la persecuzione contro la Chiesa in Polonia e impedirebbe in tutti i modi che la S. Sede avesse contatti comunque con l’episcopato polacco». Il modello sulla questione polacca è simile a quello applicato poco dopo alle stragi degli ebrei. Si optava per l’azione umanitaria e diplomatica. La persecuzione antisemita era considerata molto grave (in una nota del maggio 1943, si parla di 100.000 ebrei sopravvissuti su 4.500.000 in Polonia), ma era vista come uno degli aspetti del grande male della guerra. Certo, guardando le tre foto terribili emerse dagli archivi vaticani, oggi, si sente come gli strumenti diplomatici fossero inadeguati davanti a un dramma grande e inedito.
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Tre foto inedite di una strage di ebrei compiuta dai tedeschi, ritrovate negli archivi della nunziatura apostolica della Santa Sede in Svizzera.
(fonte: corriere.it)
«La riconoscenza non è di questo mondo» Il Vaticano sapeva dell’Olocausto, ma non lo denunciò per svolgere un’azione umanitaria in favore degli ebrei. Pio XII però capì che quella scelta lo avrebbe esposto a critiche.
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