#Persona chiusa
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indovinate chi è rimasta chiusa nell’ascensore 15 minuti mentre andava a prendere il pacco del corriere 😃
#tutto ok sto bene l’ho presa a ridere perché boh#poteva succedere a chiunque#MA INVECE È SUCCESSO A ME#e da persona claustrofobica pensavo di reagire peggio#immaginate una matta che urla ai vicini ‘Il corrieeeereeeeee’#e il corriere che si vede arrivare la vicina ‘eh la ragazza è rimasta chiusa nell’ascensore’#comunque vigili del fuoco >>>>>>>>>>#non erano fighi come i miei vigili del fuoco ma va bene lo stessoooooo
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La morale di Let it snow, ancora prima di "non centrare e abbandonare altri fruitori delle piste da sci", è quella di non andare a sciare - o a fare snow - su una pista chiusa, isolata, dove non passa nessuno con una persona che va verso valle, lasciandoti a monte.
#anche perché metti che cadi e ti fai male incima al monte chi cavolo ti trova?#pista chiusa isolata accessibile solo con motoslitte o elicottero e si separano#bah okay io da persona che scia non me la rischierei di base a separarmi#tra l'altro in una località scistica degna di shining eh#givemeanorigami
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e lo facevano nel nome dell’interesse pubblico a “evitare la disinformazione” e “limitare l’anarchia sul web”: “Non è che questi tycoon privati si possono sentire al di sopra delle leggi!”
E fin qui, avremmo a che fare con una tesi politica, una tesi straordinariamente ottusa, ma formalmente rispettabile come tutte le affermazioni politiche.
Solo che poi mi è sovvenuto che su quelle stesse pagine, proprio le stesse, durante la pandemia si giustificava la censura sui social, anche quando era totalmente e manifestamente pretestuosa, e lo facevano nel nome del fatto che “dopo tutto i social sono imprese private, e fanno quello che gli pare; se non ti piace, puoi sempre andartene”.
Questo, per dire, veniva sbattuto in faccia quando veniva chiusa la propria pagina per un mese per aver pubblicato un articolo del British Medical Journal che contrastava la narrazione ufficiale (ogni riferimento a cose e persone riconoscibili è puramente intenzionale).
Dunque finché censura in linea con la narrativa ufficiale è un'impresa privata libera di fare fa quel che gli pare, quando non censura è un'impresa privata che deve essere messa in riga nel nome dell'interesse pubblico.
Ora, la questione che mi si pone è l’eterno dilemma: “Ci sono o ci fanno?” Vedo infatti solo due interpretazioni possibili, che potremmo chiamare, per darci un nome icastico, l’interpretazione alla Carlo Maria Cipolla e l’interpretazione alla Sartre.
La prima interpretazione accetta la possibilità che questa gente, nonostante spesso si tratti di affermati professionisti, giornalisti, persino accademici, molto semplicemente sia così sconfortantemente scema da non vedere la contraddittorietà dei propri criteri.
In effetti una profonda verità del più citato dei libri di Cipolla (peraltro, grande storico) è che “La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.” (II legge fondamentale).
E a questa verità, per sconfiggere la mia incredulità, si affianca la Prima Legge: “Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.”
La seconda interpretazione assume invece che questi soggetti non siano stupidi, ma siano in malafede. Diciamo che è gente così in malafede che persino la loro malafede soffre di malafede.
Questa genia è disposta serenamente a qualunque menzogna, contraddizione, doppio e triplo standard purché ciò si attagli ai propri interessi del momento.
Qui l’onnicomprensività della malafede semplicemente ha abolito le funzioni di verità, viste come orpelli inutili.
Avremmo dunque a che fare con il cinismo utilitaristico più conclamato, dove ogni appello al vero e all’integrità sarebbe sconfitto in partenza dalle esigenze pragmatiche correnti.
C’è, tuttavia, temo una terza interpretazione, che fonde entrambe le precedenti.
A metterci sulla buona strada è ancora una volta Cipolla, questa volta con la Terza Legge: “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita."
Dovremmo fare spazio all’amara possibilità che l’abolizione di ogni criterio di verità, integrità, ragione nel nome di una concezione utilitaristica del vero (“Proclamo come vero ciò che mi serve”), abbia finito per creare le condizioni per la più perfetta stupidità: la stupidità in malafede, che avendo perduto ogni contatto con il vero e il reale non è più nemmeno in grado di percepire il proprio porco interesse.
Questo è il più grande dei pericoli, in cui se non mi inganno stiamo sguazzando: la presenza diffusa di un gran numero di persone disposte a mentire, distorcere, falsificare opportunisticamente, ma senza più nemmeno la capacità di percepire cosa sia nel loro, per quanto meschino, interesse.
Ecco a voi il Male.
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QUESTA È UNA STORIA CHE NON SO COME COMINCIARE A RACCONTARVI
È una storia triste con un finale velato di speranza che però non riesce a diminuire in me la tristezza, visto che è troppo spesso ripetuta ovunque nel solito loop di solitudine e sofferenza.
Non a caso ho deciso di raccontarla solo adesso e a taluni potrà sembrare che io mi voglia agganciare furbescamente al trend 'femminicidio' e con questo post fare virtue signaling.
Tutt'altro, credetemi.
Questa storia parla del coraggio di una ragazzina di 20 anni, l'unica reale protagonista, mentre noi come famiglia, semmai, abbiamo avuto solo il merito di essere al posto giusto al momento giusto.
Ricordate questo: AL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO e poi nella chiusa a questo post capirete.
Anche se dubito fortemente che conosciate lei o siate venuti a sapere della sua storia, per un mio senso di riservatezza cambierò molti particolari, senza però far perdere mai il senso di quanto accaduto.
Mia figlia piccola aveva una compagna di studi con la quale era rimasta in contatto anche dopo la maturità e una sera questa ragazza è venuta a cena a casa nostra, su strana insistenza di nostra figlia perché era già tanto tempo che non si vedevano, tranne qualche messaggio con cui lei la teneva informata sullo stato di salute del fratellino di 7 anni, affetto da una forma aggressiva ma curabile di leucemia.
Avevamo capito che era successo qualcosa e infatti questa ragazza, durante la cena, ci confida che lei, la madre e, soprattutto, il fratellino sono da anni vittime di maltrattamenti psicologici e fisici a opera del padre.
E noi, su insistenza di nostra figlia che è riuscita a convincerla, siamo state le prime e uniche persone alle quali trova finalmente la forza di dirlo, visto che il padre aveva costretto la madre a chiudere i contatti con ogni parente e cerchia di amici.
Erano sole, la madre non lavorava e tutti dipendevano da un unico stipendio, quello del padre, che inoltre decideva quando e quanto potessero uscire di casa.
Una storia di abusi familiari come tante, solo che invece di sentirlo in un telegiornale ce le stava raccontando di persona una ragazzina smilza e che sorrideva triste per l'imbarazzo.
E poi ho visto gli occhi di mia figlia, pieni di rabbia e indignazione ma scintillanti anche di qualcos'altro... speranza, anzi, convinzione che noi potessimo aiutarla.
Con un peso enorme nel cuore, le abbiamo allora parlato tutta la sera, l'abbiamo consolata, consigliata e spronata a fare quello che la madre non aveva più la forza di fare: denunciare ai carabinieri e rivolgersi a un centro antiviolenza.
E mentre lei piangeva lacrime di gioia per aver finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi, le arriva un messaggio wathsapp sul telefono con una foto.
Una foto da suo fratello.
Che si era fotografato il naso.
Rotto e sanguinante.
E il messaggio sotto diceva 'Papà ha picchiato la mamma e poi me. E poi se n'è andato'.
Un bambino di 7 anni con la leucemia che deve andare a fare la chemio due volte a settimana.
A vederlo scritto pare assurdo pure a me, una di quelle brutte sceneggiature per una fiction rai in prima serata ma il fatto era che stava succedendo di fronte ai nostri occhi e non so come io sia riuscito a non prendere una delle mie asce appese al muro per andare schiantarlo in due come un ceppo marcio.
Lei, però, non si scompone più di tanto e ci dice 'Adesso vado. Ci penso io' con un tono che nascondeva stanchezza e abitudine... ma forse anche qualcos'altro di nuovo.
Vent'anni anni e ci pensava lei, quando noi - cinquantenni - eravamo solo riusciti a dire delle belle parole, tutto sommato inutili.
Prende ed esce, con noi che le andiamo dietro urlandole di chiamare subito i carabinieri e cercando di andare assieme ma lei sembra essere molto decisa, finché le luci posteriori della sua macchina non scompaiono nella notte.
Minuti, decine di minuti e poi ore ad aspettare notizie, senza conoscere il suo indirizzo e senza sapere dove mandare qualcuno a controllare.
Poi squilla il telefono. È lei. Ci racconta che quando è arrivata a casa ha subito controllato che non ci fosse la macchina del padre, è entrata e ha chiuso la porta da dentro lasciandoci le chiavi sopra. E quando il padre, ore dopo, ha provato a entrare e, non riuscendoci, ha cominciato a dare in escandescenze, ha chiamato i carabinieri dicendo loro che aveva picchiato la madre e il fratello.
Carabinieri che, ovviamente, lo hanno beccato mentre prendeva a calci la porta di un appartamento con dentro una donna e un bambino sanguinanti per le botte ricevute.
Nonostante tutto, quella notte non siamo riusciti a dormire.
Il giorno dopo mi arriva un audio su whatsapp (le avevo dato il mio numero per emergenza) e per quanto forse avrei potuto postarvelo qua per farvelo ascoltare, preferisco trascrivervelo
'Ciao, sono E. Ti volevo dire che ieri sera siamo stati al pronto soccorso e io ho insisitito con i medici che facessero tutte le foto a mamma e L. e che poi chiamassero la polizia che c'è dentro. L. è stato coraggioso e ha raccontato tutto, poi anche mia mamma ha trovato il coraggio di parlare. Ora stiamo andando al centro antiviolenza di Parma così ci aiutano con gli avvocati e magari ci trovano anche un altro posto dove andare. Io vi volevo ringraziare perché per la prima volta in vita mia mi sono sentita in una famiglia vera che capiva il mio dolore e la mia paura e con voi ho trovato la forza di parlare. Grazie di essere così meravigliosi'
Io ogni tanto ascolto quell'audio e poi le telefono per sapere come va. Lo ascolto perché, vedete, non mi sembrava che avessimo fatto chissà che cosa ma il tono della sua voce diceva tutto il contrario.
E allora mi sono ricordato di quella vecchia storia del ragazzino con la gamba rotta al quale ho fatto compagnia mentre aspettavamo l'elisoccorso e di come i genitori, mesi dopo, mi hanno riconosciuto in mezzo alla folla e mi sono venuti ad abbracciare come se gliel'avessi riattaccata, quando io mi ero limitato solo a rassicurarlo in attesa dei soccorsi.
Però ero al posto giusto al momento giusto.
Quel posto e quel momento, però, che non sono e non accadono mai a caso alla persona che sa cosa sia la sofferenza.
Se questo mondo non vi ha reso cattivi - e se siete arrivati a leggere fin qua non solo non siete cattivi ma anzi molto pazienti - allora avrete capito che il posto giusto al momento giusto è quello in cui siete ora, nello stesso frammento di tempo in cui decidete di spostare gli occhi dal centro del vostro dolore personale alla consapevolezza di quello degli altri.
Come non mi stancherò mai di dire, una mano protesa salva tanto chi la stringe quanto chi la tende.
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ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita: non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà e per questo, bisognerà che tu la perdoni ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale, quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato, il mondo non si ferma aspettando che tu lo ripari forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, cosi quando finalmente la incontriamo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi la miglior specie d'amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti come se fosse stata la miglior conversazione mai avuta" PAULO COELHO
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𝖄𝖆𝖓𝖉𝖊𝖗𝖊 𝕬𝖗𝖙𝖍𝖚𝖗 𝕻𝖊𝖓𝖉𝖗𝖆𝖌𝖔𝖓 𝖝 𝖗𝖊𝖆𝖉𝖊𝖗
𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Four Knights of the Apocalypse
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento Yandere, sangue, rapimento, abuso di potere, ossessione, prigionia, giochi mentali
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 3576
Non credeva fosse possibile cambiare così tanto.
Questo era quello che pensava (nome), chiusa nella sua stanza con Arthur seduto davanti al camino aspettandosi forse una specie di spiegazione da parte sua. Ma ancora era scomparsa per 16 anni, chissà cosa sarà successo e cosa l’avrà cambiato, anche se in realtà non lo voleva davvero saperlo. Non quando ha ritenuto opportuno e di suo diritto, mandare diversi cavalieri a riprenderla con la forza e a portarla da lui.
Si sentiva alquanto inquietata e sospettosa sul modo rapido con cui l’hanno trovata. Solo 1 giorno di ricerche e Camelot era a 1 mese di distanza a piedi, contando che non avrebbero potuto sapere dove era, questo era decisamente sospettoso. Ma l’unica cosa che potevi distinguere oltre al terrore e al disgusto, era la delusione. Lui le aveva sempre detto che l’amore significava in qualche modo lasciare andare le persone affinché fossero felici, almeno prima di partire ti disse questo e forse eri diventata più romantica di quanto lo fossi a suo tempo.
Nessuno sguardo caldo e dolce che racchiude sempre un po’ della sua infantilità, nessuna considerazione allegra sulla crescita che la giovane di Camelot poteva aver dimostrato in 16 anni. Solo quello sguardo pieno di malvagia soddisfazione nel vederla difficoltà ed fuori luogo.
Questo non era decisamente amore.
❝ Dove sei stata in questi 16 anni? ❞La sua voce attraversò le silenziose mura della stanza, provocando un nodo di brividi lungo tutto il corpo di Lady (nome). Cosa poteva dire? Era attualmente imprevedibile. Mentire era rischioso, chissà cosa le avrebbe fatto se l’avesse scoperto e la verità era troppo complessa da spiegare, anche se avvolte (nome) si convinceva che non esisteva una spiegazione. ❝ In giro.❞ Forse lui avrebbe potuto anche rammentare come la sua amata non fosse mai stata una persona che amava le lunghe spiegazioni . Dalla sua espressione sembra ricordarlo ora.
Un sorriso più profondo unito al divertimento gli balló nelle iridi e sulle belle labbra. Distolse comodamente lo sguardo dalla figura tesa come corde di violino, per portarlo sulle fiamme del camino. Una volta , (Nome) avrebbe giurato che il riflesso del focolare nelle sue iridi, avrebbe in qualche modo dovuto portarle una sorta di calore e conforto, ma questo non avvenne. Forse era troppo cresciuta per definirsi ancora una immatura sognatrice, che non avrebbe mai capito la differenza tra affetto e ossessione, ma ora lo era. Lady (Nome) é abbastanza grande da capirlo, e semplicemente il nodo allo stomaco era l’ennesima tra le conferme. Doveva andarsene.
La ragazza si guardò attorno il più discretamente possibile, cercando di non far trapelare intenzioni che non avesse già esposto prima. Niente era davvero passato sotto i suoi occhi, che potesse esserle di aiuto. ❝ Sei molta carina così.❞ Si era distratta, o forse era meglio dormire che si era concentrata troppo; e non aveva notato che ora la stesse guardando. Lo sguardo era cambiato, come decine di volte in quell’ultima ora di imbarazzanti discorsi a senso unico.
In cui dalle labbra sottili di Lady (Nome) uscivano solo brevi frasi per accontentarlo. Era qualcosa di dolce e malinconico, come se si volesse scusare di cosa le aveva fatto, ma non si è lasciata ingannare. (Nome) abbassò lo sguardo verso la veste color cipria e non disse nulla. Prima che lui potesse venirla a vedere di persona, Alla giovane di Camelot era stato fatto un bagno, vestita, ed infine acconciata. Forse questa era una tradizione utilizzata a Camelot, tuttavia lei nata e cresciuta a Camelot e poteva vantarsi di conoscere abbastanza Arthur, almeno così aveva sempre creduto. Era tutto un trucco per metterla a disagio.
Un vestito rivelatore, che la metteva in mostra agli occhi del re, nessun segreto, segno o pensiero poteva essergli nascosto. I capelli acconciati abbastanza stretti da rendere difficile il corretto scorrere del sangue. Il forte profumo di incenso e fiori gelsomino era lo stesso che aveva odorato all’entrata di Arthur. Infine quei pesanti ornamenti legavano come un collare attorno al suo delicato collo, al pari di un animale al guinzaglio.
❝ Grazie… immagino sia opera tua.❞ Era stata scortese? Lo sperava sinceramente . Si è impegnata a mettere tutto il disdegno e il rancore possibile nella sua voce e sperava davvero che lo notasse. O prima o poi l’avrebbe fatto. Ma ancora sembrava velatamente farlo, dato che rise sommessamente alle sue parole. ❝ Perspicace come sempre, (nome). e questa situazione ti deve mettere così alle strette da renderti nervosa.❞ Non mosse un muscolo.
Non era come se lo stesse nascondendo in effetti, ma questo non voleva dire che lui potesse sottolinearlo. Era palese che quella situazione non le piacesse e il fatto che lui l’avesse detto non l’avrebbe dicerto cambiato, ovviamente. ❝ Non mi sembra di averlo mai nascosto.❞ Aveva risposto schietta e scortese, solo dopo un attimo di silenzio. Lui non parlò allora lo hai fatto tu, ma non sembrava turbato dalla tua impertinenza.
❝ Devo dire che sei cambiata molto in questi 16 anni.❞ Aveva premuto di nuovo il dito sulla ferita, forse il Re di Camelot voleva farla sentire in qualche modo in colpa. Non che ci fosse riuscito un granchè, e non avrebbe certo finto il contrario. Aveva continuato a divagare ancora in discorsi sul passato e sul tempo in cui era stata via. A volte erano domande retoriche che avrebbero dovuto farla sentire in colpa ma che non lo hanno fatto e altre volte invece erano innocenti ricordi che lei aveva deciso di dimenticare per tutto il tempo dell’incontro.
Anche se ad un certo punto aveva smesso ascoltarlo in verità, concentrandosi su una via di fuga. La sua presenza di Arthur era quello che più le rendeva difficile farlo, era ovvio non le avrebbe permesso di fuggire così tranquillamente, quindi doveva distrarlo.
Solo allora i suoi occhi caddero sul set da the in ceramica, che era posato su un tavolino in mezzo a loro. Strano, Lady (Nome) non ricordava che fossero mai stati là, e non deve essere da molto. La bevanda ambrata all’interno della tazzina fumava ancora intensamente, quindi era relativamente da poco tempo che è stata versa. Tuttavia non aveva visto nessuno entrare. Un’idea balenò nella sua confusa mente, forse non la migliore delle soluzioni che avrebbe potuto pensare per risolvere un problema, ma rimaneva l’unica idea che le era venuta in mente.
Con lenti movimenti si mossé lentamente e con eleganza, prendendo il manico sottile della tazzina e per poi lanciare il contenuto sul volto del Re. Grugnì piegandosi su se stesso cercando di alleviare almeno in parte il suo bruciore. La ragazza ne approfittó per correre verso la porta di uscita. Voleva andarsene il prima possibile.
(Nome) allungò la mano per afferrare la maniglia che però scomparve. Rimase pietrificata, come era possibile? Merlin non era presente e Arthur gli aveva chiesto di andarsene e di non intervenire in alcun modo. Quindi come era possibile? Cercò di spingere la porta nella vana speranza che si potesse aprire, ma non funziona. Lady (Nome) inizió a colpire ripetutamente il legno della porta con le mani strette in pugni. Era ovvio che non si sarebbe aperta, non aveva mai avuto un grande forza fisica, e solo ora poteva rammaricarsi con te stessa per non aver cambiato la cosa prima. I colpi, man mano che passa il tempo, si trasformarono in graffi. Neppure questo era di aiuto e osava dire fosse anche più doloroso per le sue mani. Le unghie raschiavano insistentemente il legno fino a consumarsi. Era doloroso ma non si é fermata nemmeno quando le sue ginocchia sono crollate a terra e il suo respiro divenne affannoso oscurando a poco a poco la sua vista. Per quanto (Nome) cercarse di tenere aperti gli occhi era tutto inutile. Si sentiva stanca e affannata, quando poi le mani di Arthur fermarono le sue era stato ancora più difficile, non caderci definitivamente. Alla fine lo hai fatto.
❝ Stai tranquilla (nome), passerà molto presto.❞ Non voleva sapere cosa intendesse, e scivolò nell’oscurità.
Quando si svegliò, tutto era al suo posto tranne lei stessa. Il fuoco era ancora acceso e le poltrone erano rimaste lì, non erano state spostate. La porta era ancora chiusa e Arthur non era più lì. Un sospiro di sollievo lasció le labbra della giovane ricercatrice, era ovvio che non fosse un sogno. Tutto questo guardando le mani, prive di qualsiasi segno. Le sue unghie erano perfette, curate e dipinte di un tenue colore rosato. Identiche a come lo erano quando le domestiche le avevano curate per lei dopo il bagno. La porta non portava segni dei suoi graffi che era sicura di aver lasciato e la maniglia c’era. Era frustrante non sapere cosa stesse succedendo.
Questo posto avrebbe dovuto portare un calore famigliare e ricordi felici, ma non lo fece. Arthur avrebbe dovuto scherzarci sopra con dolci e innocenti battute. Questo posto non le ricorda niente di così piacevole come la sua infanzia e Arthur era visibilmente cambiato, in peggio ovviamente.
L’unica cosa positiva, che in questo momento poteva trovare era che Arthur non c’era. Sarebbe stato stupido da parte su non approfittarne per guardare meglio l'ambiente e cercare una via di fuga.
(Nome) ha spostato le coperte che avvolgevano il tuo corpo.
Nonostante il torpore dei sensi e la vestaglia leggera che indossava che non apportava molto calore. Il movimento alzò per l'ennesima volta un forte odore, però questa volta diverso. Sembrava un profumo che avrebbe usato un uomo e che sarebbe rimasto impresso sulla sua amata dopo aver passato del tempo con lui. Solo che in tutto questo, (Nome) non era la sua amata e non voleva passare del tempo con lui.
La giovane di Camelot raccolse velocemente una giacca trovata appoggiata sul bracciolo di una delle poltrone e la indossò. Era sua, lo sapeva eppure quella vestaglia era troppo rivelatrice e trasparente per non provare freddo nonostante il fuoco acceso. Raggiunse una delle grandi finestre coperte da pesanti tende per impedire alla luce di entrare, forse per lasciarla riposare. Guardando attraverso la superficie poteva dire con certezza che sarebbe stato impossibile fuggire da qualsiasi finestra di quella stanza.
Non era al pari di una di quelle principesse rinchiuse su una torre, ma comunque la torre é abbastanza in alto da assicurarti una morte rapida, non appena avrebbe toccato il suolo. Forse l’ennesima misura di sicurezza per impedirle di poter scappare, anche se pensavi fosse improbabile. Dalle fattezze e la grandiosità della stanza (Nome) poteva chiaramente dire che era quella dove Arthur dormiva, rendendo l’altezza casualmente strategica. Se davvero avessero temuto per questo, Merlin avrebbe avuto di sicuro qualche incantesimo per risolvere la cosa.
Scosse il capo, non era davvero tempo per pensieri tanto aggrovigliati. Presto sarebbe tornato alla riscossa con qualche altra conversazione, e lei avrebbe trovato un modo per tirarla a suo vantaggio.
Era dura non trovare un qualsiasi motivo per scagliarsi contro di lui. Per questo aveva iniziato a evitarlo e la cosa era risultata più semplice da quando le era stato permesso di aggirarsi liberamente all’interno dei confini castello. Era quasi divertente, poteva quasi definirlo come un gioco se non fosse che perdere, non significa effettivamente perdere qualcosa, ma avere a che fare con colui che più temeva attualmente.
Questo però non lo ha fermato dal trovarla veramente quando voleva assolutamente vederla.
Quel castello non era normale. Non era un classico con torri e muri antiche. No.
O almeno, questi c’erano, ma non erano nel posto in cui dovrebbero essere. Torri e muro o semplici mattoni separati tra loro erano fermi nello spazio a mezz’aria. Senza fili o pilastri che potessero reggerli. Alberi e piante contorti o spezzati, si dividevano in forme mostruose, altri si alzavano in altezza con rami maestosi. No fiori, no frutti, no foglie. Niente di questi essere sembrava avere vita propria o ancora sembrano non avercela proprio una via.
Camelot era un'ombra assurda e oscura di quello che era stato una volta, e di quello che Lady (Nome) poteva ricordare così teneramente.
Ricorda ancora l’amaro stupore e il disgusto, quando l’ha portato fuori dal castello del re, sospeso su tutto quell’orribile spettacolo. La sua amata città natale sembrava un'accozzaglia di pattume ammassato dove lui governava con orgoglio.
(Nome) ricordò le lacrime che hanno minacciato di uscire e la disperazione mista a disgusto, ma non era arrivata ancora così in basso da concedergli le sue lacrime. Ma gli aveva gridato contro, nessuno ti avrebbe potuta trattenere dall’odiarlo apertamente. Era la cosa ti riusciva meglio in questo periodo è ne andavi fiere. Tutti i cavalieri presenti si erano fermati dalla propria marcia per guardare la favorita del Re di Camelot e temere pietosamente per la sua vita.
Lo aveva preso per il bavaglio e aveva continuato ad interrogarlo su questo.
Non ha detto niente.
Assolutamente niente riguardo a questo. Solo che lei avrebbe prima o poi capito che era anche per il suo bene.
Lady (Nome) decise segretamente a se stessa che lo avrebbe fermato. I loro occhi si scontrarono, mentre se lo sei promise e lui guardava solo con soddisfazione quello spettacolo straziante che ballava e vorticava mele iraconde iridi della sua amata. Conservava ancora quel fuoco che poteva ricordare e Arthur ne fu soddisfatto
(Nome) era sicura che il primo passo fosse capire quale assurda magia o maledizione lo affligge. Non ne sapeva molto di questo genere di cose, nessuno lì era disposto a darle più informazioni di quelle che aveva già. Ricordava amorevolmente che da qualche parte ci fosse una libreria. Almeno una volta c’era, ora non lo sapeva più. Annesso che potesse esserci dentro a quel chaos che era camelot e il suo castello.
Velocemente Lady (Nome) apprese che non sarebbe stato facile muoversi per quei luoghi. Le sale intricate e i corridoi infiniti portano a posti che non ricordava o che semplicemente non c’erano mai stati. Ogni ‘porta’ che attraversava portava a qualche punto diverso del castello e la maggior parte delle volte cambiava ogni giorno. La stessa porta non portava mai allo stesso luogo due volte consecutive.
Questo l’ha destabilizzato. Non sapere quale porta, con il quale una volta avrebbe familiarizzato, l’avrebbe portata nel posto che desiderava e sapeva ci fosse dietro, è in assoluto il modo più destabilizzante di torturarla. Annesso che Arthur la consideri una tortura. Anche gli alberi sono porte, o meglio dire portali, ognuno aveva il proprio incantesimo. Ma (Nome) non era una maga e di conseguenza non possedeva magia.
Solo qualche volta é riuscita a trovare la biblioteca, e il suo orgoglio si sarebbe comunque infranto l'istante successivo in cui Arthur ha sorpassato la stessa porta da cui era entrata ma che sospettava non fosse la stessa da cui era arrivata.
Non ha ricevuto nemmeno la possibilità di aprire un libro, nemmeno una di quelle due volte che era stata lì.
Astutamente, ha cercato un modo di dare un senso a questo posto, segnando su un taccuino quali porte portava in quali luoghi.
Ma era tutto inutile. Ogni giorno cambiava e non c’era un ciclo regolare con cui si sarebbe ripetuta quella sequenza di stanze.
Per questo era qui. Passando scale alla cieca e aprendo porte in vana speranza di un qualcosa. Forse lui poteva comandare anche questo susseguirsi di porte e stanze sempre diverse. Dargli un senso allora sarebbe inutile in ogni caso.
(Nome) incimpò sul tuo vestito ma non cade, è riuscita ad appoggiarsi al muro in tempo. Se si potesse chiamare ancora così ovviamente.
❝ TU non dovresti essere qua. ❞ Il suo viso si alzato alla frase sibilata con stupore. Un qualcuno che assomigliava ad una bambina decisamente graziosa e delicata per un posto come questo, era davanti a te. Voleva pensare che non fosse un posto per lei ma qui niente aveva davvero un senso.
Sembrava conoscerla visto la casualità con cui si è riferita a (Nome), tuttavia era sicura di non conoscerla.
Presupponendo fosse di Camelot era da sedici anni che non ci metteva piede, e lei non sembrava aver più di 10 anni ad occhi. Ma poteva sbagliarsi, é incredibilmente facile farlo in questo luogo. Invece se non fosse stata di Camelot non poteva dire con certezza dove si potessero essere incontrate prima.
❝ Ehm… Ciao piccola… ci conosciamo per caso? ❞ I suoi occhi sembravano stupiti di quanto le parole di (Nome) potessero essere delicate nei suoi confronti. La’ espressione della bambina le diceva questo ma ora come ora (Nome) non era sicura. Aveva un comportamento davvero strano.
❝No…❞ Prese una piccola pausa. Un piccolo respiro. Il tempo sembrava quasi scorrere più lentamente mentre la (colore) aspetta pazientemente che continuasse. ❝ Tu non mi conosci e non ci siamo mai incontrate prima. Ma io ti conosco. ❞ Ci capiva ancora meno ad essere sincera.
❝Non riesco a capire… ❞ Ha allungato una mano, piccola e minuta, adatta alla bambina che era. ❝ Non temere, avevo previsto un nostro incontro… ti spiegherò tutto.❞
Guinevere, questo è il nome della bambina, le ha spiegato tutto sul serio. Ogni cosa. Alcune cose erano vaghe altre decisamente dettagliate.
Da quello che (Nome) poteva supporre con il suo livello di compressione, la bambina poteva essere paragonata ad una qualche sorta veggente, anche se non era proprio così. Kaleidoscope. Si era riferita così in merito alla sua capacità.
Le ha spiegato che aveva previsto che loro si sarebbero incontrate. Non sapeva come, quando e dove ma lo aveva visto. Anche se non aveva mai pensato fosse in questo genere di situazione.
Poi le ha parlato di quello che è successo nei suoi più di 16 anni di lontananza da Camelot. Della guerra santa e del Chaos. Le ha rivelato i piani di Arthur, le ha rassicurato che tutto prima o poi sarebbe finito. Ma non aveva previsto il ritorno della stessa (Nome) - o rapimento -. Le ha spiegato in quale modo questi poteri funzionavano e come li controllava Arthur. Le ha rivelato il motivo per cui lei si trovata qua, e che Lady (Nome) non faceva parte del piano di Arthur. Era solo un capriccio che avrebbe tenuto per sé.
È stato straziante per molti versi ascoltarla e poteva quasi crollare su se stessa. Provò un minimo pietà per Arthur, ma non ha smesso comunque di odiarlo per quello che ha fatto.
❝ Cosa posso fare per fermarlo? ❞ Lady (Nome) giocó inconsciamente con le sue stesse dita, cercando di diminuire la tensione. I suoi occhi grandi la guardavano quasi sorpresa. (Nome) era palesemente impotente, lo sapeva già da sola ed era certa lo sapesse anche Guinevere. ❝ Niente... ❞ Stranamente non riuscì a sentire la delusione da questa affermazione pesare sullo stomaco. Si sentiva come una specie di principessa da salvare, anche se non era una principessa e non si vedeva nemmeno come tale.
❝ … dobbiamo aspettare. Ma ne usciremo di qui.❞ Ha giocato con le sue mani ancora, avvolte prendendo anche l’abito soffice insieme.
❝ E se le cose cambiassero…? ❞ Guinevere sbatté gli occhi con un'espressione accigliata. ❝ Hai detto che il fato non può essere modifica o ci saranno gravi conseguenze… ma se lui riuscisse ad evitare tutte le conseguenze…❞
(Nome) è una persona molto negativa e paranoica per natura, anche se la bambina non lo aveva visto questo, lo ha intuito. Ogni domanda che aveva posto durante la loro chiacchierata era qualcosa di assolutamente catastrofico.
❝ Delle conseguenza ci sono sempre… e lui le affronterà se decidesse di proseguire per questa stra-❞ ❝ Quali conseguenze? ❞
Una voce allegra, quasi al limite del fastidioso arrivó da dietro. Successivamente (Nome) venne avvolta da due braccia, rimase rigida anche quando appoggia il mento sulla spalle e le parlò. Un sussurro basso, ma non troppo, tanto che anche Guinevere lo aveva sentito. ❝La mia signora sta forse complottando contro di me? ❞
Il fianco le mancò o forse lo stava solo trattenendo, come se avesse qualcosa da nascondere. Ma ancora Lady (Nome) non aveva capacità, poteri o abilità straordinarie per poter essere utilizzata per i suoi scopi, era più un capriccio che si era concesso nei suoi piani.
Qualcosa dal passato che non era riuscito ancora ad abbandonare del tutto, nonostante fosse stato lui a permetterle di andarsene in primo luogo.
❝ Avrei qualche possibilità forse? ❞ Era retorica la domanda, con unica risposta. No. Ma lui sembrava quasi divertito. ❝No, mia cara… ❞ disse e poi si allontanò, andando a sedere in una poltrona che non ricordava fosse lì - o forse non c’era mai stata -. Congiunge le mani mentre i suoi gomiti sono appuntati sui bracciolo. ❝ Ma guarda qui… potremmo quasi sembrare una famiglia… ❞ Il primo sguardo fu rivolto a (Nome), con note amorevoli parlò ❝… la madre ❞ si voltò su Guinevere induro lo sguardo. ❝… e la figlia irrispettosa. ❞ Sapeva che le aveva raccontato tutto, non che avesse dubbi. Poi si voltò di nuovo verso la ragazza di cui era ancora innamorato, tornando calmo e rilassato. ❝ O ma giusto! Lei non è nostra figlia… Ma potrebbe essere un buon spunto.❞
Mai! Le guance della (colore) si tinsero e mentre le sue mani strinsero il tessuto già arricciato della gonna. ❝Toglitelo dalla testa, non accadrà mai!❞ Canticchia sommessamente. ❝ Non dare fretta al tempo (nome). C’è un tempo e un luogo per tutto. Quando saremo pronti accadrà senza che nemmeno te ne accorgerai…. ❞ Appoggia il viso al palmo della mano e avrebbe voluto spaccargli la faccia.
❝ …abbiamo tutto il tempo che vuoi. ❞
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La minestra riscaldata
La vita è bella perché è varia, soprattutto perché le esperienze personali, simili per certi versi (simili ma non uguali) incidono diversamente sul singolo, portandolo ad agire o a fare riflessioni diverse, spesso di segno opposto.
Restando nel campo del “di cosa parliamo dí quando parliamo di amore” (di canveriana memoria), un mio contatto fb ha postato la sua seguente considerazione:
Pensavo..... spesso, quando ci si lascia, si tende a tornare dagli ex (confesso che è capitato anche me). Forse perché è più facile, perché se ne conoscono le abitudini, l'odore, perché c'è già intimità.
Si resta, così, nella zona confort che è facile da gestire. Ma se la vecchia storia era già finita, perché rimettersi in situazioni di ristagno emotivo ed affettivo? Forse bisogna spingersi oltre ed aprire la porta a nuove anime che possono accompagnarci per un percorso nuovo di vita.
(R. Z.)
Io resto dell’opinione che tutto vale quando una persona ha chiuso o prova a chiudere definitivamente “i libri” perché altrimenti la storia con un ex saprebbe davvero di minestra riscaldata. Ma quando c’è un’oggettiva difficoltà a chiudere, per motivi di ordine psicologico, affettivo o perché davvero la storia non è chiusa ma si è inceppata su altro, tutto cambia e non si può essere radicali (no alle minestre riscaldate) ma possibilisti (vediamo che aria tira fuori).
E voi che ne pensate? (Lo chiedo soprattutto a te @agirlinamber e a chi si sente di dare una risposta di senso compiuto)
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Ho appena realizzato che non dico "mamma e papà" da tantissimo tempo. Non perché non ci siano più, sono così fortunata da averli ancora su questa terra. Non perché siano separati, hanno deciso di "tenere insieme la famiglia'
Non so spiegarmi il motivo, ma non lo dico più, da diversi anni. Sembra di tornare bambina solo a pensarlo.
"Mamma e papà" , due parole così famigliari e così distanti. Due pilastri crollati tempo fa, la sensazione che avevo da piccola nel chiedere qualcosa.
"Mamma e papà" e un po' mi trema la voce, come se tutto ciò che viene dopo fosse sbagliato, troppo. Ritrovo la superficie dei sentimenti che provavo da bambina, in casa. Ricordo che quella casa era abbastanza grande da poter scappare quando qualcosa andava storto. Abbastanza grande da nascondersi quando non si volevano sentire le urla.
Ricordo "mamma", chiusa nella sua torre, una persona estroversa che ha scelto di infliggersi una vita introversa. Ricordo i sorrisi spenti, le frasi che avrebbe dovuto dire a sé stessa, i miei tentativi di salvarla da quella vita, i suoi sacrifici per farmi stare bene, il mio senso di colpa nel non riuscire ad accontentarla, l'inizio delle bugie.
E ricordo "papà", stanco di rientro dal lavoro, con la testa ancora piena di compiti da eseguire. Me lo ricordo frustato, nervoso, sempre pronto a esplodere. Mi ricordo che cercavo di alleggerirlo, cercavo di pensarci io. Mi ricordo il suo sguardo, quando sembrava che stessi superando il limite, e quel brivido in me, a metà tra "non vorrei" e "non mi piego". Quante lotte ho affrontato contro di lui, quante volte me ne sono pentita, amaramente.
Mamma e papà, papà e mamma, vi ho delusi vero? Vi ho feriti più di quel che una brava figlia dovrebbe fare? Sono stata troppo per voi? Così tanto da non essere riusciti a crearvi un futuro felice?
Se non ci fossi stata quante cicatrici in meno avreste?
Avrei voluto aiutarvi, ma ero piccola, e poi troppo ribelle per capire che eravate solo sovrastati dalla vita. Che perdevate il controllo perché non ne potevate più. Scusate per tutte le volte in cui non l'ho capito, in cui ho visto solo l'animale rabbioso, e non la fame che aveva.
Mi dispiace non essere stata abbastanza pacata, ubbidiente, diligente.
Ma, mamma, papà, perché non mi avete protetta?
So che non dovrei chiedervelo, so che, dopo tutto ciò che è successo, è la domanda sbagliata. Ma perché? Fingevo già così bene da non farvi preoccupare? O eravate convinti che alla fine, in qualche modo, sarei venuta su da sola? Che mi sarei salvata?
Mamma, papà
Scusatemi se sto sprecando questi giorni, queste settimane, mesi. Scusate per il male che ha subito il corpo che avete creato. Scusate per ciò che è successo nella mente di quella che un tempo era la vostra bambina. Non sono riuscita a proteggervi, e nemmeno a proteggermi.
#mamma#papa#madre#padre#infanzia#ricordi#flashback#lampo#casa#urla#autosifficenza#empatia#riscontro#dolore#piangere#bambina#bambino#piccola#piccolo#famiglia#scelte#cresere#amore#vita#lui#citazioni#morte#vivere#amare#soffrire
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E poi ricordati
che la gentilezza
non è mai tempo perso.
Quando incontri una persona gentile
è l’universo che ti ha fatto un regalo.
Una vita senza gentilezza
è una vita vuota
una finestra chiusa
da cui non entra luce
da cui non passa mai
nessuna voce.
Le persone gentili
hanno le tasche piene di sole
fanno strage di sogni e di bellezza
non hanno recinti
e fioriscono ovunque.
Le persone gentili
sanno che è quel dolore
che hai passato e che nascondi
a renderti ricco.
E ti insegnano a mostrarlo
ad averne cura.
ad amarlo.
Le persone gentili le riconosci.
Non violentano i tuoi spazi
non creano mai un senso di urgenza
o di oppressione.
Sanno che ogni vita è diversa
e se hanno possibilità
la accolgono
e in ogni circostanza, la rispettano.
Se tutti praticassimo gentilezza
il mondo sarebbe salvo
e noi con lui.
Le persone gentili
sono anime attente
anime antiche.
I loro occhi abbracciano
le loro voci scaldano come fuochi.
Le persone gentili
sono opere d’arte
e l’arte, purtroppo
la comprendono in pochi.
Andrew Faber
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comunque il momento top della mia giornata resterà stamattina alle 7, quando ero sotto la doccia e stavo pensando ad una persona in particolare, entra mio fratello in bagno, mi guarda (avevo la tendina non totalmente chiusa) e fa “ma perché hai quella faccia schifata mentre fissi il muro? ahahahahah”
io manco me ne ero accorto, ormai penso che cervello, faccia e bocca siano tutti e tre sconnessi tra loro
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La psicologa che mi ha accolta questa mattina è una donnina bassina, magra, capelli scuri medio-lunghi e occhi sgranati leggermente strabici e verdi. Non camminava né saliva le scale, semplicemente volava: la gonna lunga svolazzante assieme al passo molto leggero la rendevano come una fantasma allora l'immagine che mi veniva in mente era quella della moglie pazza chiusa in soffitta del libro Jane Eyre. Entro nella stanza e mi guarda con gli occhi di chi attende che tu gli dica qualcosa. Ricambio il sorriso e le chiedo imbarazzata ed in maniera brusca: "Cosa? Devo parlare io?" e da lì inizia il colloquio. Mi chiede come mai mi sono rivolta al centro, avrei voluto dirle perché mi sentivo disperata ed esasperata dai miei attacchi d'ansia e volevo un aiuto, ma cerco di essere più sobria dicendole dell'incidente come goccia che ha fatto traboccare il vaso e cose così. Con mia grande sorpresa mi dice che è una psicoanalista, segue un lungo silenzio imbarazzato da parte mia dove cercavo di controllare la mia felicità nell'aver trovato finalmente una psicoanalista! Il colloquio prosegue molto meglio di quanto mi aspettassi, le dico una mia supposizione in merito all'identificazione di mia madre con me e percepisco che capisce quello che sto dicendo: finalmente qualcuno che parla la mia lingua, finalmente è un dialogo a due e non un monologo dove ci si deve venire sempre in contro per cercare di capirsi, finalmente una persona che non critica negativamente le mie letture (passate) di psicologia ma le vede come un movimento positivo verso la comprensione di sé o una cosa del genere. Vorrei che fosse uno scambio intelligente ma ammetto di avere il cervello bruciato, le pile scariche, tanta stanchezza addosso e quelle poche energie che riaccumulo dal dormire a lungo le disperdo velocemente in ansie gratuite.
A questa felicità si aggiunge anche la felicità per l'aver visto per la prima volta dal vivo uno scoiattolo.
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LIBERA!
Il titolo non si riferisce a un proclama urlato a squarciagola per qualche lotta politica contro le sopraffazioni ma alla frase urlata dal dottore di turno dei medical drama quando si appresta a usare un defibrillatore su un paziente in arresto cardiaco.
Se non lo aveste ancora intuito, con questo post mi appresterò a raccontarvi quanto siano sbagliati e/o inesatti i medical trope cinematografici a cui tanto siete abituati, così abituati che promettereste denuncia al tribunale del diritto del malato qualora non vi venissero praticate le stesse identiche procedure.
NESSUNO ESTRAE I PROIETTILI
Non è una priorità, non è il proiettile a creare l’eventuale emorragia (cioè... lo ha fatto ma non continua a farlo) quindi tutte le scene in cui la vita dell’appena crivellato dipende dall’estrazione del proiettile SONO UNA STRONZATA. Eventualmente ci si concentra sul tamponamento della ferita applicando una pressione perché il tentativo di rimozione potrebbe peggiorare il sanguinamento, sia perché eseguito in modo maldestro con pinzette per sopracciglia o tenaglia da fabbro sia perché, a volte, il proiettile tiene chiusa la ferita.
Il proiettile è di per sé a bassa carica batterica (è stato sterilizzato dalla deflagrazione della polvere da sparo) quindi può essere rimosso a distanza di ore o giorni (e pure anni).
NESSUNO CAUTERIZZA LE FERITE
Il sanguinamento di un’arteria non lo fermi con un pezzo di ferro arroventato (se proprio tenendoci sopra qualche minuto una fiamma ossidrica) e sanguinamenti venosi li blocchi col tamponamento. Cauterizzare una ferita, a dispetto di quanto si creda, AUMENTA IL RISCHIO DI INFEZIONE perché non solo le ferite non le ‘disinfetti’ col fuoco ma un’ustione è una sede di ingresso di patogeni migliore di un semplice buco o taglio.
NESSUNO RIDUCE LE FRATTURE TIRANDO
O meglio, lo fanno gli ortopedici dopo un Rx e dopo averti somministrato del midazolam o del propofol. Se lo fai per strada a caso, rischi come minimo una lesione di un plesso nervoso o addirittura un’arteria tranciata. E se non sapete come steccare correttamente un arto evitate di farlo e aspettate i soccorsi.
NESSUNO ESTRAE I CORPI ESTRANEI CONFICCATI
e comunque nessuno si fa distrarre da domande stupide prima della rimozione a tradimento.
I corpi estranei conficcati VANNO LASCIATI DOVE SONO perché un pezzo di legno appuntito, una scheggia metallica e persino un coltello stanno già creando un tamponamento su qualsiasi vaso dovesse essere stato reciso e una rimozione maldestra in ambito non operatorio potrebbe creare danni emorragici in uscita che non potrebbero essere trattati in modo professionale.
NESSUNO METTE LACCI EMOSTATICI
perché se non sapete qual è l’origine dell’emorragia (venosa o arteriosa) un laccio emostatico può creare un danno ischemico IMPORTANTISSIMO all’arto, proporzionale ai minuti di applicazione (dopo i canonici tre). Peggio che mai se applicate una cintura o una corda. TAMPONATE E BASTA.
NESSUNO AFFOGATO SPUTA L’ACQUA DOPO ESSERE STATO RIANIMATO
Se sei in arresto cardiaco, la respirazione bocca-a-bocca e il massaggio non servono a far tornare il cuore a pulsare e tu a respirare MA A PRESERVARE IN MODO FORZATO L’OSSIGENAZIONE E IL CIRCOLO in attesa di veri soccorsi attrezzati. Quindi nessuno che sia veramente in arresto cardiaco si rianima in tale modo (se succede era solo svenuto) né tantomeno avrebbe la forza di espellere con un colpo di tosse l’acqua del tratto tracheo-bronchiale. La posizione laterale di sicurezza, invece, ne permette il defluire per gravità.
NESSUNO INIETTA UN FARMACO PIANTANDOTI L’AGO DRITTO NELLA VENA DEL BRACCIO
E soprattutto guardandoti negli occhi mentre lo fa.
Sarebbe quasi impossibile individuare la vena senza palpare e senza stabilizzare le proprie mani sull’avambraccio e se l’ago è perpendicolare alla cute, pochi millimetri prima sei fuori dalla vena e pochi dopo l’hai forata da parte a parte.
Bonus: se pianti un ago nel collo di una persona gli inietti il farmaco in trachea, nell’esofago, nel midollo spinale o anche nella tiroide.
NESSUNO FA LA TRACHEOTOMIA A UNA PERSONA CHE HA SMESSO DI RESPIRARE
La tracheotomia e la tracheostomia (la prima è la manovra, la seconda il foro praticato) servono a bypassare un’ostruzione tra la bocca e la laringe. Si fa col bisturi e un taglio prima verticale sulla cute e poi orizzontale sulla cartilagine cricotiroidea. Se perfori brutalmente con una penna è facile che farai soffocare la persona nel suo stesso sangue perché non è che inserendo una cannuccia l’emorragia si ferma. E devi avere difficoltà respiratorie da corpo estraneo... se hai già smesso di respirare è inutile.
E per concludere, ripetete con me:
NESSUNO INIETTA L’ADRENALINA NEL CUORE
né alcun’altro tipo di farmaco, soprattutto se sei in overdose da oppiacei.
Capito Quentin Tarantino?
(ノಠ益ಠ)ノ彡┻━┻
Grazie dell’attenzione e dell’eventuale gentile reblog medico-divulgativo.
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KARMA & SOFFERENZA
La sofferenza si trova nel corpo astrale, in qualche maniera è programmato che noi entriamo a contatto con questo materiale per poter liberare quel tipo di materiale attraverso situazioni, persone, ostacoli, ecc.
Non ci è permesso di crescere se non lasciamo andare qualcosa, è un doppio lavoro, da un lato si cresce e dall’altro si deve affrontare i propri demoni.
La sofferenza che porta le persone ad avvicinarsi ad un percorso è un’esca dell’anima per iniziare a lavorare su sé stessi.
Tutto ciò che tratteniamo, rabbia, risentimento, sofferenza, forti attaccamenti, in qualche modo dobbiamo guardarli e lasciarli andare, perché questa parte ci tira indietro.
Anche quando blocchiamo le nostre qualità e ciò che siamo, è karma, il mio compito è quello di liberarmi da tutto e liberare ciò che sono, tutto ciò che tratteniamo non permette di fare Anima, non si può evolvere attraverso le emozioni negative, bisogna purificare il centro emozionale.
Si tratta di liberare e trasformare ciò che ho dentro, entrare dentro ciò che c’è, attraversare i demoni.
Il karma lo si trasforma non lamentandoci, ma osservando e accettando. Sono nessuno, corrisponde ad una fase di lavoro interiore, non sono le cose a generare il fastidio, ma è cosa le cose vanno a toccare che ci crea fastidio.
Il segreto è lasciare andare, non combattere, accogliere, qualsiasi cosa può essere utilizzata per imparare qualcosa.
Una ferita non è un problema se le permettiamo di guarire, ogni ferita ha una sua narrazione, quello che noi ci raccontiamo e che non corrisponde alla realtà.
Le ferite più superficiali e banali, creano un buco nel campo energetico, la ferita normale è come un buco nel campo da golf, diverse sono le ferite karmiche, è una specie d’imbuto che va verso il basso, una specie di voragine, e qualsiasi persona che entra nella tua sfera energetica, con me si comporterà come tutti gli altri che sono stati attirati dal buco nero della ferita karmica perché l’energia di sofferenza collegata a quella tematica che ancora non ho lasciato andare.
Anche se non ho fatto niente, in realtà ho fatto, non ho lasciato andare quel modello energetico legato alla sofferenza e tutto questo ha molto a che fare con il terzo chakra. Fare anima comincia dal 4°Chakra in su.
Primo Chakra è collegato al corpo, il secondo chakra è collegato all’eterico, il terzo chakra è collegato all’astrale, il karma, quindi è molto collegata al terzo chakra.
Accettare, accogliere e portare amorevolezza, significa utilizzare quel poco di energia de 4 chakra a cui abbiamo accesso da utilizzare sul terzo per armonizzare le energie del terzo, siccome sentire ci fa sentire dolore, allora ci rifugiamo nella mente per non sentire dolore.
Non esistenza, è una ferita karmica, ci siamo chiusi in noi stessi, la nostra energia è chiusa dentro e l’esterno non riceve le nostre emanazioni. Di solito sono i blocchi che decidono per noi, dobbiamo imparare a decidere in base alla situazione.
La compensazione è l’anticamera dell’addormentamento. Il Karma si occupa d cosa stò trattenendo dentro e che blocca la mia evoluzione.
ROBERTO POTOCNIAK
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Note
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I know it's been ages but ecco qua:
1 - DARK, questa serie mi ha uccisa più volte, Jonas nel ♡
2 - il fatto di essere riuscita a vedere Brividi live con Alessandro e Riccardo a San Siro (anche qui morta e risorta some times)
🚲💎🤍🖤🌃
3 - le mie unghie, io frivola e superficiale magari ma sono state una cosa importante da quando avevo 8 anni (e non so nemmeno perché sinceramente mi sia appassionata dato che in casa mia nessuno se ne interessa). Segue carrellata di foto con unghie alquanto orribili dalle medie ad oggi:
Madonna a riguardarle mi rendo conto di quanto fossero corte le prime mentre io me le immaginavo lunghissime. E ovviamente Ariana Grande anche qui.
4 - la mia famiglia ❤️
5 - i miei amici (perché sinceramente se mi guardo da fuori a volte non capisco come io possa essere simpatica a qualcuno, pur avendo i miei momenti sono una persona super chiusa a primo impatto)
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