#Pasto Nudo
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talkativeobserver · 18 hours ago
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I know very well what he is thinking about…
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marcogiovenale · 1 year ago
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21-22 ottobre, roma: finis terrae fest
Quanti immaginari ha l’Antropocene? È questa la domanda che sta al centro dell’edizione 0 di FINIS TERRAE, una non-partenza, un calcolo a somma nulla che tenta di mostrare gli scenari speculativi di cui dobbiamo attrezzarci per elaborare il termine della storia, l’epoca della catastrofe e forse la fine del capitalismo – forse. A farlo con noi e per noi un’orda di autrici e autori, dal cinema e…
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twistedwhitesnow · 5 months ago
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(un)steady hand
R.I.P. & bon appétit
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queerographies · 9 months ago
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[Burroughs. Il virus della parola][Alessandro Gnocchi]
"Burroughs. Il virus della parola" è una biografia romanzata del famoso scrittore della Beat Generation, W.S. Burroughs. Alessandro Gnocchi compone un saggio irriverente e incendiario, descrivendo la vita del vero fantasma fuorilegge della letteratura con
“Burroughs. Il virus della parola”: Una biografia romanzata sulla vita del più rivoluzionario scrittore della Beat Generation Titolo: Burroughs. Il virus della parolaScritto da: Alessandro GnocchiEdito da: Alessandro Polidoro EditoreAnno: 2024Pagine: 152ISBN: 9788885737860 La sinossi di Burroughs. Il virus della parola di Alessandro Gnocchi  Burroughs. Il virus della parola di Alessandro…
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tirar-nos · 2 years ago
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Quisiera poder abrazar a todas las versiones de mi que han habitado en esta piel y pedirle perdón. Quisiera poder abrir las puertas de mi corazón y cortar los nudos de mi garganta.
Me tomaría a mi misma de la mano y saldría a caminar sin rumbo. Tomaría un camino diferente cada día y mientras voy andando recoger piedras para luego lanzarlas al primer río que encuentre frente a mi. Invitar a quien quiera acompañarme a explorar, perros, gatos, vacas, montar un caballo para llegar mas lejos y subir los más grandes cerros.
Me permitiría creerme simio y columpiarme de las ramas de los árboles. Llegar hasta lo más alto y sin miedo a caer, pues confío plenamente en mi, confío en ese árbol y se que si caigo volveré a pararme. Bueno y si no, me recostaría, junto a los grillos, hormigas y abejas. No en un pasto cualquiera, si no un pasto con rocío. Que las gotas de lluvia me ericen la piel y me den escalofríos, ya habrá lana para taparnos, abrazos largos y tazas de té.
Ya no quiero decir que carezco de emociones pues no es así. Abundo en ellas. Y en ellas mismas me ahogo, pues está bien, es parte de proceso y de la vida misma llorar, emocionarse, aprender y volver a comenzar.
Hoy me levante y no soy la misma de ayer, ni la de mañana. Hoy me propuse volver a comenzar. Y mañana así también será.
Catita, si los atardeceres te emocionan dilo. Si en el mar te sientes a salvo, grítalo. Si cuando estás sola ya no sientes miedo, te abrazo. Si sigues escribiendo y ya te sientes segura de compartirlo me gustaría decirte que te amo, que estoy orgullosa y ansiosa por ver lo que lograremos mañana.
¿Donde me llevarás a perdernos hoy? ¿Escalaremos? ¿Aguantaremos la respiración? ¿Suspiraremos de emoción? ¿Correrás a mis brazos cuando me veas en la puerta de entrada? ¿Me curarás si nos hacemos daño en las rodillas? ¿Que tan alto podemos saltar hoy?
¿Quieres ser mi amiga? Podríamos escondernos en el garage y tocar guitarra en vez de hacer la tarea. ¿Mamá aún no nos deja llevar café al colegio? ¿Aun nos molestan? ¿Aún se comen nuestra colación? No importa. ¿Escapémonos? Vine en bici, podríamos ir al bosque. ¿Sabias que ya fumo? ¿Por que tú ya no fumas? ¿Por que te dicen mona? ¿Por que lloras? ¿De que color es nuestra alma? ¿Por que amarilla?
Me gustaría sacar esta canción en guitarra, pero no conozco los acordes, te escucho cantarla muchas veces ¿Me enseñas? A mi también me encanta Coldplay.
¿Sabias que ya no somos 4 amigas? ¿Sabias que una murió? ¿Sabias que quise irme con ella?
Si Catita, hasta el día de hoy a veces queremos acompañarla. Nos destrozo su partida, por muchos años. Casi nos ganó. Eras muy pequeña para entenderlo y la verdad aun no sé cómo explicártelo, pero nunca se fue. Nos viene a visitar siempre. Es más siempre esta con nosotras. Nos juntamos en la radio, en las flores, en el té y en la selva como un mono.
No debes sentir envidia, se que estás cansada, mas no es tu tiempo. Aun no lo es. No te enojes con ella. Ella no quería irse. No es su culpa. No es tu culpa. No te enojes con el universo por no llevarte a ti, yo quería conocerte. Gracias por quedarte.
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Storia Di Musica #290 - Steely Dan, Gaucho, 1980
Devo ammettere che la fine di questo percorso sulle storie musicali alla ricerca del suono perfetto non poteva che fermarsi a questi due. Che in un decennio dove nella musica sono successe infinite cose, gli anni ’70, sono passati tranquilli e inscalfibili a diffondere qualcosa di completamente diverso. E per molti versi inclassificabile. Walter Becker e Donald Fagen sono probabilmente i musicisti più maniacali, quasi in senso patologico, che io conosca nella storia della musica pop occidentale. Siamo davvero ad una sorta di mania di perfezionismo che nasce in un momento preciso. Infatti i loro Steely Dan (dal nome di un dildo meccanico a vapore citato da William Burroughs ne Il Pasto Nudo) all’inizio erano un gruppo, formato dal duo (che sanno fare tutto, ma si dividono tra voci e chitarra) con Denny Dias insieme a Jim Holder alla batteria, Jeff Baxter alla seconda chitarra, e David Palmer. Il loro esordio è già fenomenale: Can’t Buy A Thrill (1972) vola subito nella Top 20 e frutta due canzone mito degli anni ’70 come Do It Again e Reeling The Wheel. Già è presente il mix, a tratti soprannaturale, di stili, un pop venato di jazz, rock, soul, fatto di sovrapposizioni di strumenti, intrecci vocali, perfezione esecutiva a cui sia accompagna una ironia sfacciata nei testi. Con Pretzel Logic, del 1974, un capolavoro, hanno addirittura una hit single, nella perfetta Rikki Don’t Lose That Number (omaggio a Horace Silver, grande jazzista), ma durante il tour che segue Fagen ha un attacco di panico sul palco e decide di non esibirsi più. La decisione successiva è di sciogliere il gruppo, di diventare un duo e per compensare il mancato contatto con il pubblico, quello di scrivere canzoni perfette. Una perfezione esecutiva, compositiva e di registrazione, diventando in questi tre rispettivi campi dei punti di riferimento assoluti. Decidono quindi di chiedere servizi ai più bravi e famosi sessionisti in tutto il mondo, di usare il meglio della tecnologia e di cercare la perfezione sonora. Già con Aja, del 1977, toccano vette assolute, ma i due attraversano un periodaccio. Quando iniziano a pensare al nuovo disco Becker viene investito sotto casa, nell’Upper East Side, e si frattura diverse ossa e passa settimane in ospedale, ma ha voglia di non perdere tempo, tanto che sviluppano le idee del disco e della sua evoluzione via telefono con Fagen (tuttavia non suona in molti brani dell'album). Tra l’altro, la sua fidanzata, Karen Roberta Stanley morirà per complicazioni dell’abuso di stupefacenti, appena finite le registrazioni del nuovo disco. La famiglia della ragazza, accusando Becker di esserne stato l’iniziatore, chiese un risarcimento da milioni di dollari, ma una sentenza di qualche anno più tardi scagionò il musicista. Tutto questo non impedì che per Gaucho, che esce nei negozi di dischi il 21 Novembre del 1980, abbiano fatto ruotare nei soli 7 brani 62 musicisti, tra i più famosi del mondo, tra batteristi, chitarristi, percussionisti, sassofonisti, coristi e ben 11 ingegneri del suono.
Basta dire che fecero provare per ore Bernard Purdie, leggenda vivente del jazz e inventore del Purdie Shuffle (terzine nel tempo tagliato) le sue parti nei brani. Tutti i batteristi, tra i più grandi di sempre (ricordo Steve Gadd, Jeff Porcaro dei Toto, Rick Marotta e altri ancora) passarono ore a provare il tocco che volevano quei due, che non contenti chiesero a Roger Nichols, uno dei più grandi ingegneri del suono americani, di creare una drum machine particolare che li aiutasse: con un investimento di 150 mila dollari (una follia per l’epoca) Nichols portò loro Wendel, che per quanto fosse il massimo di sofisticatezza del tempo, per difficoltà nella programmazione fu usata pochissimo. Ma c’è un particolare simpatico: quando l’album divenne disco di platino, un disco celebrativo fu regalato persino a Wendel in quanto “artefice” del successo. Chi altro poteva chiedere a Mark Knofler, in quei mesi il chitarrista più famoso del mondo per quel pezzo leggendario che fu Sultans Of Swing, di provare ore intere un assolo da 40 secondi per Time Out Of MInd? O chi poteva pensare di passare per 55 tentativi prima di centrare la voluta dissolvenza finale di Babylon Sisters?
Tutte le canzoni sono dei gioielli in un disco che racconta di hipster un po’ in là con gli anni in cerca di divertimento: Babylon Sisters ne è l’essenza, quasi a disegnare un sogno californiano che finisce a bere un kirschwasser from a shell; oppure la famosissima Hey Nineteen (che si dice fosse piaciuta tantissimo a John Belushi che ne voleva fare un soggetto per un film) dove un attempato conquistatore rimane basito che la sua nuova conquista diciannovenne non conosca Aretha Frankiln (Hey Nineteen/ That’s ‘Retha Franklin/ She don’t remember the Queen of Soul/ It’s hard times befallen/ The sole survivors/ She thinks I’m crazy/ But I’m just growing old), in una sorta di incomunicabilità generazionale (No, we got nothin’ common/ No, we can’t dance together/ No, we can’t talk at all) e che finisce in una probabile ritiro tra Cuervo Gold (una famosa marca di tequila), Fine Colombian (che non è cioccolato bianco) e Make tonight a wonderful thing tra il sibillino e una solitaria sconfitta sentimentale. Glamour Profession racconta la vita scintillante di uno spacciatore, raccontata con dovizia di particolari; Gaucho, altro classico, una storia d’amore gay mandata in frantumi da un gigolò che veste i panni bizzarri di un gaucho, un uomo in spangled leather poncho che riesce a distruggere la quiete domestica della coppia entrando dentro la loro preziosa dimora, la leggendaria custerdome (uno dei luoghi steelydaniani per eccellenza, che non ha una traduzione letterale soddisfacente) e fu scritta pensando a Long As You Know You're Living Yours di Keith Jarrett, dal suo disco del 1974, Belonging. Jarrett ottenne il riconoscimento come autore e il relativo pagamento di diritti d’autore (nelle moderne ristampe compare come autore del brano). Time Out Of Mind è probabilmente il racconto di un primo racconto con l’eroina, a inseguire “dragoni” fino a Lhasa. My Rival è la storia intrigante di un tradimento, ma visto attraverso gli occhi di un investigatore privato con l’apparecchio acustico (He’s got a scar across his face/ He wears a hearing aid) sulle tracce di qualcuno da smascherare (Sure, he’s a jolly roger/ Until he answers for his crimes/ Yes, I’ll match him whim for whim now). E l’ultima canzone è un altro colpo da KO: Third World Man è un'accusa niente affatto sottintesa al falso interesse per le questioni sociali dei paesi in via di sviluppo, che ha perfino un verso cantato in italiano da Fagen (è l’era del terzo mondo, scritto con Victor di Suvero, poeta italiano naturalizzato americano) e ha l’ultima pazzia: l’assolo, meraviglioso, di Larry Carlton fu ripescato dalle registrazione di The Royal Scam (del 1976) e ricostruito per quella canzone, tanto che Carlton nemmeno sapeva fosse presente nei crediti del disco. Sulla musica di questi brani, lascio a voi scoprire tutte le meraviglie sonore, di ricercatezza, gli effetti da sentire e risentire, ma molti se ne accorsero presto, perché vinse il Grammy Award del 1981 per la migliore registrazione non classica. Dopo tutto questo, gli Steely Dan si sciolgono. Fanno in tempo a scrivere, a nome solo di Fagen, quell’altro capolavoro che è The Nightfly (1982, con la copertina più bella di tutti i tempi – andatela a vedere) e a ritornare, dopo 21 anni, con Two Against Nature che, come potrebbe raccontare un testo delle loro canzoni perfette, li fa conoscere ad una nuova e giovane generazione, ammaliata da quel tocco incredibile che la leggendaria rivista jazz Downbeat una volta descrisse così: Non c’è nulla che suona così bene come un disco degli Steely Dan.
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empaticamentesblog · 2 years ago
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Scrittura Riparativa: una scelta sana quando si è circondati da persone prive di empatia e con una bassissima capacità di ascolto.
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Continuano a rimproverarmi che non mi sfogo mai, che non chiedo mai aiuto a nessuno, che ogni cosa l'affronto sempre da sola e che a sentir me va sempre tutto bene. E quando mi sento dire queste cose, mi viene da ridere.
A parole sono tutti altruisti e pronti ad aiutare, ma purtroppo nei fatti hanno una bassissima capacità di ascolto, per non parlare della carenza o addirittura assenza di empatia. Sono talmente concentrati su se stessi che spesso ti propongono situazioni senza minimamente pensare che per te sarebbero solo situazioni spiacevoli o comunque problematiche. Poi li fai riflettere e ti senti dire: "hai ragione, non ci avevo pensato".
Ecco perché da piccola mi sfogavo scrivendo, scrivevo solo con la matita affinché poi potessi cancellare e proteggere le mie emozioni.
Poi a 20 anni ho iniziato a creare blog: il mio piccolo mondo nel quale mi sentivo libera di sfogarmi.
Oggi ci fanno anche i corsi a pagamento per un qualcosa che io facevo in maniera spontanea sin da piccola e si chiama: "Scrittura Riparativa".
Preferisco scrivere per sfogarmi, piuttosto che mettere a nudo ciò che ho dentro dandolo in pasto agli squali. Spesso, ma non sempre, sono squali inconsapevoli di esserlo.
Sfogarsi con certe persone equivale solo a farsi compatire senza aver risolto nulla, o peggio ancora: a passare come quella negativa ecc.
Peccato che se fossi stata realmente negativa, sarei morta tanti anni fa... Ma si sa, la gente basta che parla con superficialità per dire che comunica e scambia opinioni.
Com'era? Ah sì: "e vabbè, si fa tanto per parlare".
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420hamlet · 2 years ago
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Salvatge - Elizabeth Calderón (#32)
Recuérdame como una niña pequeña que riega demás a las plantas, porque no sabe como dejar de dar. Recuerdenme corriendo entre los árboles, brincando en los charcos, con mis vestidos cubiertos de lodo.Descalza queriendo sentir el pasto bajo los pies, para conectar con la tierra. En los parques subiendo a todos los columpios esperando que el siguiente me llevara más alto que el anterior para aprender a volar como los pájaros y las mariposas.Con el cabello alborotado y lleno de nudos, con sus ondas rompiendo el viento, haciendo promesas con el meñique, riendo a carcajadas antes de los modales, cuando gritaba poderosamente cada que lo sentía necesario.Recuérdame salvaje, feroz, poderosa, y llena de vida, como cuando era una niña.
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somanyfeelings24 · 2 years ago
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Tengo una bóveda en el pecho que guarda los nudos y el enredo que se me forma en el pecho cuando algo me duele.
En esta bóveda a veces me guardo yo, si me abraza la persona que es mi punto débil, tengo que ponerme bajo llave para que no salgamos a llorar como bebés…
La bóveda quiere explotar todos los días pero claro, le diseñé una salida de emergencia para cuando estuviese sola mucho tiempo…
No quiero que nadie conozca la bóveda, claro.
Ahí hay secretos, aunque es acogedor, tengo los miedos y los dolores más grandes del mundo detrás de las ramas.
Adentro vive una niña, una niña que se acongoja todo el tiempo, que odia un “todo va a estar bien” porque nunca ha estado bien aunque cuando salga ponga el candado y parezca que si.
Juguetea con las flores de espinas de oro, y se tira en el pasto a jugar con todo lo roto que ya hace parte de vasijas llenas de amor…
El baúl no se abre.
La Niña siempre vivirá encerrada.
La mujer de afuera es un nudo, uno que vive en la bóveda.
Ponle llave.
Y vete.
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unamediversa · 8 months ago
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La cosa bella quando invecchi è che ti rendi conto che sono state inventate così tante “regole” e puoi fare qualunque cosa. I poster possono stare ovunque in casa, non solo nella mia stanza. Posso sedermi mentre cucino un pasto o faccio la doccia. Posso preparare la stessa cosa per colazione, pranzo e cena per una settimana di fila. Posso girare per casa a torso nudo. Posso indossare un vestito con i jeans. Il mondo è la mia parola chiave ostrica e posso vivere come mi pare abbracciando piccole cose come questa
The beautiful thing as you get older is that you realize so many “rules” are made up and you can just do whatever. Posters can go anywhere in the house not just my room. I can sit down while cooking a meal or taking a shower. I can make the same thing for breakfast lunch dinner for a week straight. I can roam around the house shirtless. I can wear a dress with jeans. The world is my oyster key word my and I can live as I please embracing little things such as this
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ladedicatoria · 3 months ago
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Para los parques y sus secretos 
Salgo a caminar casi todos los días. Si no puedo hacerlo, mis pensamientos se empiezan a apelmazar, se llenan de nudos, se vuelven demasiado duros o demasiado flexibles. Camino por cualquier parte, sin un rumbo determinado; elijo la calle que más me llama la atención o la que más me gusta y avanzo. Antes, cuando vivía cerca del río, era muy fácil. Un río es un imán, casi siempre terminaba yendo a mirar el agua, los barcos, las islas que depende de la hora son manchas verdes o lilas o grises. Lo hacía sin tener que decidir nada, salía y caminaba y de repente estaba ahí. 
Pero ahora que me mudé y ya no estoy cerca, me llevó bastante más tiempo del que esperaba volver a encontrar una ruta con la que estuviera contenta, o en la que no tuviera que pensar de antemano qué camino seguir. Supongo que es porque nunca antes había vivido frente a un parque. Una calle recta despeja dudas, una va hacia adelante y no se pregunta mucho más. En cambio, el parque Independencia tiene un rosedal, un lago, una montaña, un bosquecito de eucaliptos, una isla con patos dentro del lago, varios puentes, dos canchas de fútbol, tres museos, un hipódromo. Me resultó demasiado. Una lucha de decisiones constantes que no me dejaba bajar la guardia. Lo intenté un par de veces y desistí, me dije a mí misma que lo mejor era caminar por las calles aledañas y tomarlo como una oportunidad para conocer el barrio. 
No estuvo mal, no me quejo, pero descubrí que a su manera, un parque también es un imán. Se siente raro estar tan cerca, orbitando, y a la vez nunca estar adentro. Como si todo el tiempo estuvieras caminando en un embudo, o contra la corriente. Además, con cada persona con la que hablaba y le contaba dónde me había mudado, era igual: abrían los ojos, sonreían, me decían que era un lujo estar tan cerca de ese parque. Y veía a la gente habitándolo, usándolo para encontrarse o evadirse o para cualquier cosa, el parque parecía tener algo especial para darle a todo aquel que quisiera ir, menos a mí. A mí solo me tocaba mirarlos de lejos, con asombro y un poco de envidia. 
Yo solo una vez había tenido una relación así con un parque. Fue con el parque General San Martín, en Mendoza. Lo conocí porque había ido de vacaciones mi novio, pero duramos solo dos días haciendo turismo. Es decir, subiéndonos a combis para hacer excursiones, etc. Hay que tener cierto tipo de convicción y de personalidad para sostener charlas con desconocidos y maravillarse con paisajes durante cinco minutos que rápidamente descubrimos que no
teníamos. La segunda tarde fuimos a andar en bici por unos viñedos y estuvimos a pocos segundos de ver cómo a una adolecente porteña la atropellaba un camión. Se salvó por un grito del guía. Nunca me hubiera imaginado que esas excursiones eran por la ruta. Me dio risa y miedo a la vez, a la adolecente también, después del casi accidente paró a tomar agua y se cayó a una acequia. 
Esa tarde, cuando volvimos al hotel, cancelamos todas las excursiones que ya teníamos compradas. Apenas bajó el sol fuimos a conocer al parque para caminar y despejarnos, y desde ese momento no logramos volver a juntar la voluntad para ser buenos turistas, para conocer, para aprovechar el tiempo al máximo. Todavía teníamos tres días por delante y ningún plan a la vista más que manta, libro, mate, parque. Y fue hermoso. 
Nos pasamos gran parte del viaje ahí, tirados en el pasto, a la sombra de un árbol. Vimos perros nadando en el agua, felices. Vimos fuentes preciosas y nos asombramos cuando supimos que, alguna vez, en vez de agua tuvieron vino. Vimos muchas quinceañeras sacándose fotos, vimos personas remando, aguas danzantes. Cientos de nenes y nenas aprendiendo a andar en bici. Un museo de ciencias naturales, pájaros, árboles enormes, abejas empecinadas en tomar café, señoras comiendo bizcochos. Gente leyendo libros inverosímiles. A un hombre que no se vestía de acuerdo al clima y le pedía cigarrillos a todo el mundo, a un vendedor de algodones de azúcar con pésimo equilibrio. También muchísimas familias en reposeras, caminantes solitarios, deportistas. Compramos sandwiches, helados, galletitas, jugos de frutas recién exprimidas, imanes que decían MENDOZA (así, en mayúsculas). Cuando volvimos, mi mamá se quejó de que no le habíamos sacado ni una foto a una montaña y nos habíamos olvidado de comprar vino. Fue culpa del parque, que nos recibió tan bien, tan acorde a nosotros. 
Así que hace un par de semanas, quizás por el recuerdo de ese hermoso parque, cedí. Empecé a ir a caminar al Independencia. Aunque no me gustaba atravesarlo o salirme de los senderos, daba vueltas por las calles que lo limitan, armando rutas imaginarias. Fui entrando de a poco, como al agua cuando está fría y hay que acostumbrarse. Hasta que unos días atrás, ya bastante tarde, iba caminando por ahí y escuché música. No era de una radio o parlante, era música en vivo. Venía de la cancha de fútbol para no videntes que está cerca del centro del parque, yo estaba a más de una cuadra de distancia pero veía gente y movimiento. 
Para cortar camino me metí entre los eucaliptos, sus troncos blancos y sus cortezas enormes desparramadas por el pasto. Mientras me acercaba, fui barajando opciones: una murga, una juntada de adolescentes de quinto año, una banda. Pero cuando estuve ahí, descubrí que era una especie de ensayo. Había chicas vestidas con faldas largas, que parecían ser parte de un
traje o vestimenta típica boliviana, pero llenas de brillos. Ellas bailaban en ronda, y un grupo de chicos tocaban alrededor. Tenían instrumentos de percusión y también algo que sonaba como una flauta. La coreografía se basaba, me pareció, en armar y desarmar círculos de distintos tamaños, unos dentro de otros, como un engranaje que no servía para ningún otro fin. Solo estaba ahí, hecho de faldas brillantes y saltitos. Era hipnótico. Me quedé más de media hora mirándolos, en mi cabeza eran un elenco de danza contemporánea recién nacido ensayando para su primera presentación un poco experimental. 
Cuando volví a casa, tuve la sensación de haber encontrado una especie de sueño o secreto del parque. De que por fin el Independencia se estaba acostumbrando a mí, al igual que su primo lejano y mendocino. Ya no era simplemente una turista de paso, una recién llegada al barrio. Ahora me conocía lo suficiente como para mostrarme de a poco su cara verdadera. Quizás esta sea otra forma de caminar y no pensar. Me pregunto qué otras cosas tendrá para rebelarme.
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vagabundasinsalario · 4 months ago
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S I N S E N T I D O
Hola, te escribo desde la cúspide del sinsentido de la vida, sentada en la banqueta de la calle Juárez #125, Ocotlán, Jalisco.
Es la madrugada del 1ero de enero y estoy sola, fumando un cigarro sabor fresa. Una parejita sale de una casa, caminan por la calle hacia un vehículo. Él ve a lo lejos, ella mira al cielo. Ella le ve los ojos, ve la casa que está atrás de mí, lo vuelve a ver a él, le toca los brazos.
Ellos se van y yo sigo sentada en la cima de mi desgracia. Yo escuché la mente de esa mujer, decía: "Este es mi año sin ti". Ambas teníamos un nudo en la garganta.
La vida está atiborrada de escenas horribles y asquerosas, pero esas escenas enmarcan la hermosura casi secreta que muy pocos podemos ver.
Estoy en camisón, sucia, sin ropa interior, enferma, débil, mareada y pálida. Salgo de mi casa y veo que en el pasto de la banqueta están colocados descuidadamente un cartón con mierda y una camisa verde. Nadie va a limpiar esto, es una de esas situaciones en las que no hay salida. Pues bien, aprieto la mandíbula y con los ojos a punto de llorar, tomo una bolsa negra en la que he de colocar esas miserias. Pienso que voy a vomitar, pienso en limpiar esto con amor, que todos los hijos son de todas las madres, que la madre de este hijo ha estado lejos de él, que yo recogeré la mierda de su hijo en el nombre de ella y que ojalá cuando yo falte, exista alguien más que vea por mis hijos si ellos lo necesitan. Me embarré de mierda un dedo y me importó una mierda.
La vida se vuelve un bucle, un maldito y vomitivo bucle. Lo mismo, lo mismo, todo es lo mismo.
Soñé que veía una foto en la que aparecías con algunos amigos en una caminata por el cerro. Tú abrazabas por detrás a una mujer joven, morena y delgada. Tú estabas abrazando a esa joven y yo ya sabía que este sería mi año sin ti.
En Juárez #125 ella sabía que este sería su año sin él.
Ambas tenemos un nudo en la garganta.
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jacll0w · 2 months ago
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Jacqueline escuchó en silencio, dejando que las palabras de Gael llenaran el aire, mientras sus pensamientos danzaban entre lo que él decía y lo que no decía. En su mirada había algo de ternura, una especie de reconocimiento hacia esas dudas y confesiones, como si fueran ecos de las suyas propias. Mantuvo su mano firme entrelazada con la de él, notando la calidez que contrastaba con el frío de la noche. Esa conexión silenciosa le daba más valor que cualquier palabra que pudiera ofrecer. Ante su pregunta, dejó que una pequeña sonrisa curvara sus labios, más nostálgica que alegre. "No, mi madre siempre venía por mí. Siempre. A veces con una linterna, otras con un grito que se escuchaba en todo el vecindario. Era imposible que me dejara ahí sola." Hizo una pausa, recordando aquellos momentos. "Aunque la mayoría de las veces me dejaba dormir un rato en el pasto antes de llevarme de vuelta. Como si supiera que necesitaba ese momento conmigo misma."
Sus dedos rozaron suavemente los de Gael mientras hablaba, y su voz se tornó más suave, casi como si le estuviera hablando al cielo en lugar de a él. "Pero incluso entonces, había días en los que no entendía por qué hacía tanto esfuerzo por cuidarme. Me preguntaba si de verdad merecía esa preocupación, esa insistencia en buscarme. Supongo que ahora lo entiendo más. Uno hace lo que puede con lo que tiene." Levantó la vista hacia las estrellas, respirando profundamente. Cuando Gael mencionó la idea de que algo, o alguien, podría haberse arrepentido de crear este mundo, Jacqueline sintió un nudo en el pecho. No era una idea nueva para ella, pero escucharla en voz alta le daba un peso diferente. Sus labios se entreabrieron, como si quisiera responder de inmediato, pero optó por dejar que el silencio los envolviera por unos segundos.
"Creo que es humano buscar un sentido, incluso si no lo hay. A veces siento que... si este mundo es un error, entonces estamos aquí para tratar de arreglarlo, aunque sea un poco." Su voz era pausada, como si cada palabra fuera un paso sobre terreno desconocido. "Pero otras veces pienso que tal vez solo estamos aquí para aprender a vivir con el caos, con la ausencia de respuestas. Porque..." ladeó la cabeza hacia él, encontrando sus ojos. "A veces el sentido no viene del mundo, ni de algo mayor. A veces viene de momentos como este." Tomó el cigarro que él le ofrecía, agradeciendo en silencio el gesto, y dio una calada lenta, dejando que el humo llenara sus pulmones antes de soltarlo en un suspiro. Su mirada volvió a las estrellas mientras hablaba. "No sé si hay un sentido en todo esto, Gael. Pero creo que, mientras estemos aquí, podemos intentar encontrarlo en pequeñas cosas. En las estrellas. En las personas. Incluso en un cigarro compartido." Le devolvió el cigarro, sus dedos rozando los de él una vez más, y dejó que el silencio volviera a llenar el espacio. Pero esta vez, no era un silencio vacío. Era un silencio que llevaba consigo un atisbo de esperanza, por pequeño que fuera, en medio del caos.
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Sus ojos están posados en la figura ajena, en como esta figura ha levantado la vista al cielo con una mirada que Gael no reconoce si se traza melancólica o esperanzada. La mano que sostiene la suya se mantiene entrelazada a sus dedos, brindándole calidez. Recuerda cuando escapaba del agarre de la mano de su madre cuando era chico, eligiendo caminar a la delantera, a veces ignorándola.  Se pregunta si su madre, en esos gestos que no lograban fecundar, se sentía desorientada. Está seguro que ella espera que la llame, teme que no pueda hacerlo nunca más. Que al llegar a Greenville note que solo le queda Safe Haven. Se pregunta nuevamente, como rato atrás, si los extraña en serio o si solo quiere regresar a algo conocido. La incomodidad y la alienación parecen identificarlo como una cédula, trata de concentrarse en la mano que sostiene la suya, trata de volver a la realidad, evitándose pensar en su madre y en Edimburgo, evitando pensar en Leith y el estadio de los Hibs. El cuerpo de Shawn Renfrow desaparece de su mente cuando vuelve nuevamente la vista a las estrellas, habiéndola sacado de las manos enzarzadas. Escucha la anécdota con los ojos en las estrellas, aunque en su mente imagina a Jacqueline echada en el campo, con los grillos haciendo sonar su cántico en noches de verano. Le parece una anécdota dulce, cambio rotundo entre la realidad y la conversación que Gael convirtió en una seguidilla de confesiones y mortecinas ideas y reflexiones. El comentario sobre los problemas que están enfrentando lo devuelve a este mundo, no al cielo inmenso y oscuro, tan negruzco como el tóxico y necesario petróleo.
— ¿Luego tu madre te iba a buscar? —Pregunta, sobre todo poeque ya la ha mencionado. — ¿O dormías toda la noche en el pasto? —Le interesa saberlo, entender como era la relación familiar, la niñez de Jacqueline, cuando todo es más ingenuo.  Gael tuvo una infancia maltrecha, queriendo ser mayor. Probó el alcohol por primera vez en una fiesta de Navidad cuando tenía nueve o diez. Le dió curiosidad y se mareó. No entiende por qué quería crecer tan rápido, supone que su hermano tuvo que ver, pero no puede culparlo. Era su mejor amigo. No se arrepiente de sus hazañas debilitantes e iracundas, pero a veces se pregunta qué clase de persona sería si hubiese vivido más lejos del extremismo. Cree que se salvó de cárceles y cementerios por mera casualidad. Solía estar más frustrado que ahora, y eso que se siente débil, antes estaba más enojado, la violencia y la vida de hooligan como estandarte, pero nunca se sintió genuino. Tiene ganas de jugar con la mano ajena haciendo volteretas con los dedos, deshaciendo un camino del dorso con el índice y el medio como si fuera una persona en un sendero. No lo hace, por supuesto. No lo haría ni por todo el dinero del mundo ni si le prometieran ser aceptado en su gesto entre amistoso, fraternal y desacostumbrado del afecto, casi como un perro abandonado a su suerte en una carretera largo rato atrás, habiendo olvidado cómo se sienten las caricias.
Sonríe ampliamente, burlesco ante su propia dolor, con el comentario sobre las costillas y el tabaco. Cree que le han pasado cosas mucho peores que un par de golpes en las costillas y, más importante, es un adicto total. Es adicto al etílico y al cigarrillo. Una sustancia fue abandonada, por lo que a la segunda acude demasiado. —Algún día lo dejaré. Pero no será en una noche estrellada. —Busca el mechero y le ofrece la primera calada a ella antes de encenderlo. Siempre le ha gustado ver a la gente fumar. Es toxico y horrible, pero le parece estético y emocionante el humo rondando rostros, haciéndolos difuminarse. La ve, esperando que inhale el humo, y luego espera que le llegue el cigarro a él. Todavía sosteniendo su mano, Gael se siente extraño pero no ajeno a la situación, no es como si estuviera viéndola desde afuera, viendo la vida pasar como hojas en la brisa de otoño, secas y pronto pútridas, barridas del camino. La pregunta siguiente le da un vuelco en el corazón, pregunta arcaica que se hizo tantas veces después de la muerte de su hermano. —Quisiera poder decirte palabras de aliento.  O tener una respuesta valiosa respecto a eso. —Hay otra pausa, está vez más larga, en la que Gael accede a algún lugar abisal en su interior, tratando de buscar una opinión sincera, no una atravesada por su propio dolor y su abnegación.
—No estoy seguro de que el mundo tenga un sentido. Creo que hacemos lo que nos sale y a veces es lo mismo que la nada. —Otra reflexión que le saca la voz un par de segundos, como si le abrieran el cuello y luego lo volvieran a coser. —Quizá algo esté ahí y le haya pasado lo mismo: hizo lo que pudo y salió este desastre. A lo mejor nos abandonó. Yo sólo siento que si está ahí, no debe intervenir. A lo mejor se arrepintió de crearnos. —Y de nuevo el silencio. —A lo mejor se sentía solo y ya. —Y luego vio que no eran buena compañia. Un último tramo de silencio desesperanzador se abre paso, aunque al final suelta: —Es complejo—no dirá dificil, siendo demasiado pesimista—, sin embargo, no dudar que hay un sentido cuando ves las estrellas. —A lo mejor por eso no las ve, no acepta un sentido en este mundo porque significaría que la muerte de su hermano seguía una lógica mayor, de deidad.
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unpocodeletras1984 · 10 months ago
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Ejercicio para desahogarme...
Estoy aburrida de todo, ya no le encuentro sentido a los parches ni a los eventos de música que tanto me gustaban, estoy aburrida de todo, a veces si no fumo, no me da hambre, no tengo amigos, y no sé si alguien pueda entenderme, me estoy ahogando, y no entiendo esta mierda, ¿Por qué me siento así? ¿Por qué lloro todas las noches desde que tengo memoria?
Tengo más de 2 mil canciones en el celular, y ya ni siquiera las escucho, sólo está esa sensación de hastío, cada vez paso más tiempo sola, ya ni siquiera me gusta hablar con la gente, y no tengo nadie a quien pueda acudir y tampoco me interesa, pero a veces el nudo en la garganta ya no me deja más, sé que puedo sola, pero para qué vivir así? Sufriendo siempre, hay algo que nunca está bien, estoy sola y eso está bien, pero ya no puedo encontrarle sentido a muchas cosas, nada me emociona ya, nada me mueve, nada me motiva, estoy luchando con tantas cosas, que ya ni siquiera sé si vale la pena, ¿Hay algo que valga realmente la pena? No lo sé.
Sólo estoy muy aburrida, sigo haciendo mis cosas, no queda de otra, igual a nadie le importa mi vida ni lo que hago, pero tampoco tengo el valor para hacer algo en contra de mi vida, solo me estoy muriendo por dentro y cada vez puedo ignorarlo menos.
Estoy aburrida...
Mi cabeza sólo piensa: olvídate de todo, olvídate de todo, pero vivir duele tanto, que no puedo ignorarlo a veces.
Me obligo a hablar con personas, a salir, a trabajar, a ir a la U, pero ya nada de eso me mueve, la gente me aburre, también la música.
Siento que no pertenezco a ningún lado, la gente me ve como una extraña y para mí también lo son, ni siquiera tengo la confianza para hablar de esto con nadie, y no quiero encajar, qué puto asco, pero a veces estaría bien compartir mi mierda con alguien más y llorar en su hombro, pero estoy sola, completamente sola, seguiré aguantando hasta que pueda...
Ya no se trata de motivarme, porque ni siquiera quiero estarlo. Me da igual todo, la gente, el mundo y sus cosas. Todo es tan aburrido, ¿Es esto la vida? La rutinaria imagen de que tengo que hacer algo con mi vida y de no querer, de no saber tampoco cómo.
Escribo todo, es mi forma de decir cómo me siento, de nuevo soy la niña de 6 años que solía llorar por las noches y que no sabía cómo expresarse, y nunca supo cómo porque nunca tuvo con quién, por eso hablo sola todo el tiempo jajajajajja a la gente le parece extraño porque a veces lo hago en voz alta, pero si supieran cuántas veces quise a alguien a mi lado para contarle todo.
De nuevo soy yo, perdóname, Valentina, la vida no ha Sido lo que esperábamos.
El otro día mi mamá dijo que le daba vergüenza JAJSJSJSJ Lo dijo de una forma tan natural, que creerás que ni siquiera pensó que era malo, y cuando volví a preguntarle lo reafirmó, jamás se retractó de ello, para ella no soy una hija normal, me lo ha dicho siempre, ¿Qué esperabas, mami? Toda la vida me hicieron sentir diferente, cuando me rapaste la cabeza y estuve en ese colegio en el que casi me violan, me enviaron a un campamento tú y mi papá, tenía 8 años y los extrañé mucho, quería que hubieran estado conmigo en las noches de frío, en el incómodo pasto durmiendo, o en las mañanas de agua helada con la que nos tocaba bañarnos a las 5 de la mañana en una temperatura de páramo, después de eso, jamas volví a extrañar a nadie, ni siquiera a ti, mami.
Y bueno, sólo lo escribo para que se salga de a poco. Soy linda, soy hermosa, soy independiente y poderosa ❤️
También perdono a todos y me perdono y no dejaré que alguien me haga daño de nuevo.
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macabr00blog · 10 months ago
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-90°-15°980 tot.
Il corpo di una bambina è un tempio, sacrifici di agnelli e grappoli d’uva agli dei. Mio padre mi vende per una coppia di cavalli e un tralcio di vite d’oro.
Sospiro nella notte scura, le pagine tetre della mutazione, mi chiedo cosa ne sarà del futuro. Gli chiederanno cosa ne è stato della figlia, lui risponderà di averla persa di vista. Gli chiederanno del corpo di una bambina, lui risponderà di averla sempre amata. E’ il respiro di mio padre quando sale le scale. E’ svenuto due volte nel pensiero di morire, è morto due volte nel pensiero di svenire, pesa la dose massima in un piccolo bilancino da taschino, è un vecchio intellettualoide consumato dal potere di podestà. La patria, la provincia, la pasta delle sue mani, sua madre che impasta e canta, lei cantava sempre, lui dormiva tra le sue braccia, lui non sa cosa sia una bambina, non sa cosa sia un corpo. Il suo è fatto di macchie rosse che si agglomerano salde. Mi vende per poco, una coppia di cavalli e un tralcio di vite d’oro.
Mi ha persa di vista, quel giorno, mentre camminavo negli spiazzi di campo. La campagna sembrava l’Anatolia, Frigia di pietra scheggiata, chiare beltà del grano, correvo. Mi ha persa di vista dopo avermi venduta, si è consolato in fretta, mio padre. Si è consolato nel ludico gioco delle scommesse, i cavalli li ha fatti slittare all’ippodromo, i loro denti di pregi ora scheggiati dalle briglie. Si è consolato in fretta, mio padre, il tralcio di vite lo ha fatto impegnare e si è comprato quattro dosi. Era felice, mio padre, quando mi ha persa di vista. Io mi ricordo che rideva, seduto sulla sedia in plastica, dorso nudo e sudato, rideva, rideva.
Ho conosciuto numerosi Rapaci dopo l’Aquila. Non mi sono mai fermato. Portavo a spasso il mio corpo che si faceva spesso, la pelle secca dal sole dell’ennesima stagione estiva, i lettini accanto alla piscina che si scontrano con il vento tiepido. E’ un altro giorno, è un altro anno, è un’altra vita. Di quell’Aquila ricordo solo il becco. Ci ha messo poco per avermi addosso. Dovevo essere un tempio, ma sono forse una tomba. Dentro di me il desiderio dei suoi figli, come ogni Dio curioso, come ogni Dio malsano. Lui si pulisce i denti su un fazzoletto, ha finito di banchettare. Io porto vino e doni alle feste, mi travesto da suddito, il mio ruolo di Coppiere tatuato sulle scapole. Prima un raduno, poi un matrimonio, ho incontrato tanti Rapaci dopo l’Aquila, non ho mai voluto che smettesse. Il mio ruolo consacrato, io sono un tempio, no, io sono una tomba, no, io sono un cimitero. Ora, dentro di me, si abbracciano carcasse andate a decomporsi.
Sono passati troppi anni per ricordare.
Cosa ne è stato di quel giorno? Sono diventato un pasto e poi una costellazione. Ero pericoloso d’affetto, ero tradizionalmente devoto, dovevo essere quel tempio. Un tempio dove si banchetta e si commercia. Un tempio per un Dio qualsiasi, un Dio che ama pulirsi le dita. Un tempio distrutto dal tempo, pietra erosa di Frigia che combatte l’estate, bianco e poi ingiallito come le pagine testimoni di una mutazione, ora dal centro si vedono le stelle.
Guarda che meraviglia il creato!
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littlenakedsoul · 11 months ago
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Milésima muerte en realidad paralela
No recordas ese primer abrazo? No entiendo cómo es tan facil olvidar. Y en mi cabeza las escenas se repiten una y otra vez, una película que nunca termina. Del misterio generado a primera vista se comenzó a tensar un hilo, me encontré con la necesidad de encontrarte, y en ese abrazo fundimos el encaje, unimos espíritus. No podías dejar de sonreír, con solo sentirte te miraba. Pensé que morirías de lo rápido que latían nuestros corazones. A propósito hicimos un nudo al lazo que siempre estuvo.
Ella siempre presente, sonrisa perdida en el pasto dorado. Despertaba otra antes que yo, en frecuencias abstractas que jugaban con el tiempo, con el otro mundo.
¿Por qué me desnudaste el alma si te ibas a ir?
Oh el “imperturbablemente” hijo de puta de tu ego, orgulloso, se mataría por nada.
El estúpido error de cálculo, nácar sangriento de tus manos. Huíste, te ganaron tus ganas de matar, asesinaste mi sacro para verlo renacer, esplendor azabache.
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