#Non sono morti gli dèi
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queerographies · 2 years ago
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[Non sono morti gli dèi][Konstantinos Kavafis]
Un modo assolutamente rispettoso di leggere Kavafis, ma anche nuovo, profondamente illuminante, rivelatore di significati che forse finora erano sfuggiti a molti.
Kavafis aveva l’abitudine di selezionare con estrema cura i componimenti che considerava validi; li conservava in ordine cronologico e vi ritornava continuamente. Solo la morte del poeta pose fine all’incessante lavoro di rifinitura sui versi, cristallizzandoli nella forma in cui possiamo oggi leggerli ed esponendoli, così, alle possibilità della traduzione in altre lingue. Trasportate in culture…
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iannozzigiuseppe · 2 years ago
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Non sono morti gli dèi - Traduzione, introduzione e note di Aldo Setaioli - Graphe.it Edizioni
Non sono morti gli dèi Konstantinos Kavafis Kavafis e l’eredità dell’Ellenismo Antologia poetica con testo greco a fronte Traduzione, introduzione e note di Aldo Setaioli Graphe.it Edizioni Un modo assolutamente rispettoso di leggere Kavafis, ma anche nuovo, profondamente illuminante, rivelatore di significati che forse finora erano sfuggiti a molti. Kavafis aveva l’abitudine di selezionare con…
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oubliettemagazine · 2 years ago
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Non sono morti gli dèi di Costantino Kavafis: sincretismo ed ellenismo
“Per aver noi spezzato i simulacri loro, per averli scacciati dai loro templi, non morirono affatto, per ciò, gli dèi” ‒ Kavafis Non sono morti gli dèi di Konstantinos Kavafis Ho sempre amato la Grecità per la chiarezza dei principi di Bellezza, Bontà e Verità di cui è stata portatrice: Ellade è sinonimo di sfumature, di sfaccettature, di policromie, di differenze e di rimandi; di epoche, di…
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amicidomenicani · 2 years ago
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Quesito Buonasera padre Angelo, le vorrei chiedere due cose: - che cosa significa che nostro Signore è il Dio vivente? - che cosa è il sigillo del Dio vivente? Cordiali saluti E di nuovo tanti auguri di buone feste  Risposta del sacerdote Carissimo, 1. nella Sacra Scrittura talvolta Dio viene presentato con l'aggettivo di vivente. Come nel caso della risposta che San Pietro ha dato a Gesù quando gli ha detto: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). 2. Qui San Pietro riconosce Gesù come il Messia (Cristo infatti significa Messia). Un Messia che non è semplicemente un grande uomo ma è il Figlio di Dio. Da notare l'articolo "il" Figlio di Dio. Con questo si vuole dire che non si tratta di un figlio adottivo qualunque, ma del Figlio unico di Dio, della medesima natura divina, la seconda persona della Santissima Trinità. Lo riconosce pertanto come Figlio di Dio nel medesimo modo in cui l'avevano inteso gli ebrei che, proprio per questo, lo accusavano dicendo: “Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per una bestemmia, perché tu, che sei uomo, ti fai Dio" (Gv 10,33). 3. San Pietro proclama Gesù "Figlio del Dio vivente”. San Tommaso commenta: “Dice vivente per escludere l'errore dei pagani che dicevano dèi certi uomini morti, come Giove...  come si legge in Sap 13,2: “Così pure alcuni dicevano dèi gli elementi e le altre cose morte, come la terra, il fuoco ecc….. Ma bisogna sapere che quando si dice Dio vivente, e uomo vivente, dell'uomo lo si dice per la partecipazione della vita, di Dio invece perché è la sorgente della vita, come si legge nel salmo 35,10: “È in te la sorgente della vita" e anche in Giovanni 14,6: “Io sono la via la verità e la vita"” (Commento a Matteo 16,16). 4. Si parla del sigillo del Dio vivente nell’Apocalisse: “E vidi salire dall'oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente” (Ap 7,2). Il biblista Alfred Wikenhauser commenta: “Dobbiamo rappresentarci questo sigillo che l'angelo tiene in mano come un anello sul tipo di quelli che portavano i signori orientali.  Impresso su un oggetto o solo un uomo, fosse egli uno schiavo o un adoratore di una divinità, il sigillo equivaleva a una prestazione di appartenenza. L'impressione del sigillo, dunque, vuole indicare che gli eletti sono proprietà di Dio, posti sotto la sua efficace protezione. A questo sigillo di Dio si contrappone la cicatrice che gli adoratori della bestia portano sulla fronte e sulla mano destra (Ap 13,16). L'impressione del sigillo ha un precedente in Ezechiele 9,1 dove si legge che gli angeli sterminatori devono per ordine di Dio risparmiare gli uomini pii, sulla fronte dei quali è stato scritto da un angelo il segno della lettera t (tau).  Il sigillo divino non vuole però proteggere i fedeli dai mali fisici, perché in tal caso sarebbe stato impresso già prima che avesse inizio all'apertura del libro; esso non intende nemmeno essere una difesa dalle persecuzioni e del martirio: infatti le tribolazioni che si annunciano faranno altri martiri…  L'impressione del sigillo non può nemmeno avere lo scopo di preservare i cristiani dalla caduta. Ad essi, dunque, non sarà risparmiata la prova della fede; solo, ricevono la promessa che Cristo chiamerà il vittorioso a prendere parte alla sua gloria celeste. Il sigillo così apposto dunque significa solo che, quando le forze umane verranno meno, Dio darà ai suoi servi fedeli un'energia soprannaturale perché perseverino sino alla morte; esso varrà in pari tempo a preservarli dal giudizio punitivo che colpirà i malvagi” (L'Apocalisse di Giovanni, pp. 97-98).   Con l'augurio che anche tu possa ricevere il sigillo del Dio vivente e che possa fruire di quell’energia soprannaturale che ti dà forza per riuscire vittorioso in ogni tribolazione, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.  Padre Angelo
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eachofthemismyhorcrux · 4 years ago
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“Circe, dice, andrà tutto bene.
Non sono le parole di un oracolo né di un profeta. Sono parole che potresti dire a un bambino. L'ho sentito che le diceva alle nostre figlie, nel cullarle per farle riaddormentare dopo un incubo, nel medicare le loro piccole ferite, nel placare qualsiasi loro tormento. Sotto le dita, la sua pelle mi è familiare quanto la mia. Ascolto il suo respiro, tiepido sull'aria notturna, e in qualche modo mi conforta. Lui non intende dire che non fa male. Non intende dire che non siamo spaventati. Solo questo: che siamo qui. È questo che vuol dire nuotare nella corrente, camminare sulla terra e sentirne il tocco sotto i piedi. È questo che significa essere vivi.
Lassù le costellazioni ruotano e tramontano. La mia natura divina sfolgora in me come gli ultimi raggi di sole prima di tuffarsi nel mare. Un tempo pensavo che gli dèi fossero opposti alla morte, ma adesso vedo che sono più morti che altro, poiché sono immutabili, e non possono trattenere nulla nelle mani.
Per tutta la vita mi sono spinta avanti, e adesso eccomi qui. Di un mortale ho la voce, che io abbia tutto il resto.
Sollevo alle labbra la ciotola piena fino all'orlo e bevo.”
— Madeline Miller, Circe
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Una poesia dedicata alla notte di Halloween scritta e pubblicata da Lovecraft nel 1926.
Ad accompagnarla l'illustrazione originale di Virgil Finlay.
"Hallowe'en in periferia"
Nel livido chiarore della luna
si levano spettrali i campanili,
gli alberi si ricoprono d'argento,
sui comignoli volano i vampiri.
Guarda: le arpie del cielo profondo
batton le ali, e ridono osservando.
Su quel morto villaggio nella notte
non brillò mai il sole del tramonto:
è emerso dalle tenebre del tempo,
là dove scorron fiumi di follìa
lungo abissi di sogno senza fondo.
Un vento freddo striscia fra i covoni
sui campi rischiarati dalla luce
di quella luna pallida e lontana,
ed attorno alle lapidi s'avvinghia
nel cimitero dove i ghoul ricercano
l'orrida preda per la loro fame.
Neppure il soffio degli strani Dèi
del mutamento giunti dal passato
a reclamare ciò che gli appartenne
può rendere quest'ora meno immota:
una forza spettrale copre tutto,
diffonde il sonno dal suo seggio antico
e libera l'ignoto senza fine.
Si distende di nuovo quella valle
su cui brillaron lune senza tempo,
ebbri danzano i morti sotto i raggi,
sorgendo dalle fauci del sepolcro
per sommuovere il mondo col terrore.
Le cose che il mattino aspro rivela,
l'orrore e la miseria desolata
di campi isteriliti irti di sassi
s'aggiungeranno un giorno a tutto il resto
tramando con le ombre maledette.
S'innalzi pure il gemito dei lèmuri,
lebbrose guglie giungan fino al cielo...
non cambia nulla: ché l'antico e il nuovo
insieme son ravvolti nelle pieghe
del comune destino: morte e orrore.
I Segugi del Tempo sono pronti
le carni d'entrambi a dilaniare.
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@ioragazzodaparete
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in-the-uncertain-hour · 4 years ago
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Forse ricorderete, dicevo, quando un monaco intimò a un sacerdote azteco di distruggere le statuette degli dèi e il sacerdote azteco rispose i nostri dèi sono già morti, o quando il famoso critico cinematografico Roger Ebert appena prima di morire scrisse un bigliettino e il bigliettino diceva this is all an elaborate hoax. Poi quando alla fine de Il potere e la gloria il prete dell’acquavite viene giustiziato, e in fondo non c’è altro che bere e fallire nell’essere santi. Dicevo, sono profonde le ferite del misticismo. Prima dell’esecuzione si lascia il segno alla pagina del libro. Oh, basta! Certo ricorderete quanto è stretto lo spazio della tenerezza, come la capsula spaziale di Laika, e che sensazione triste sia vederlo divorare dall’avanzamento progressivo di una spiaggia di sale. Che poi le parole che non si possono più dire sono altrettanti sensi di colpa e anche coprendo tutti gli specchi di casa e scegliendo di non girarti mai più sai comunque che sono lì dietro la porta identica che si chiude ad ogni mezzanotte. Non fare parole né fiori non dire mezzanotte né torna presto E comunque quando mi hai detto, ho trovato un farmaco per la mia depressione, pensavo fosse una metafora. Ma no. Chissà se siamo al punto in cui si accetta che siamo diventati diversi. L’orrore che si chiama crescere. Oppure tu che hai tagliato la corda e lasciato l’altra te cadere nell’abisso mentre scalavi la montagnola del formicaio. Che poi davvero, sei l’unica me che abbia mai avuto, adesso dove sono i miei poveri resti fra la ghiaia dell’eternità. Davvero buona fortuna.
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strawberry8fields · 5 years ago
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ORFEO:  È andata così. Salivamo il sentiero tra il bosco delle ombre.  [...]S’intravvedeva sulle foglie il barlume del cielo. Mi sentivo alle spalle il fruscìo del suo passo. Ma io ero ancora laggiù e avevo addosso quel freddo. Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò ch’è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta sarebbe finita. Ciò ch’è stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi “Sia finita” e mi voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. Sentii soltanto un cigolìo, come d’un topo che si salva.
BACCA: Strane parole, Orfeo. Quasi non posso crederci. [...] Molte di noi ti seguono perché ti sanno innamorato e infelice. Eri tanto innamorato che – solo tra gli uomini – hai varcato le porte del nulla. No, non ci credo, Orfeo. Non è stata tua colpa se il destino ti ha tradito.
ORFEO: Che c’entra il destino. Il mio destino non tradisce. Ridicolo che dopo quel viaggio, dopo aver visto in faccia il nulla, io mi voltassi per errore o per capriccio.
BACCA: Qui si dice che fu per amore.
ORFEO: Non si ama chi è morto.
BACCA: Eppure hai pianto per monti e colline – l’hai cercata e chiamata – sei disceso nell’Ade. Questo cos’era?
ORFEO: Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L’ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto.  [...] Ho capito che i morti non sono più nulla.
BACCA: Il dolore ti ha stravolto, Orfeo. Chi non rivorrebbe il passato? Euridice era quasi rinata.
ORFEO: Per poi morire un’altra volta, Bacca. Per portarsi nel sangue l’orrore dell’Ade e tremare con me giorno e notte. Tu non sai cos’è il nulla.
BACCA: E così tu che cantando avevi riavuto il passato, l’hai respinto e distrutto. No, non ci posso credere.
ORFEO: Capiscimi, Bacca. Fu un vero passato soltanto nel canto. L’Ade vide se stesso soltanto ascoltandomi. Già salendo il sentiero quel passato svaniva, si faceva ricordo, sapeva di morte. Quando mi giunse il primo barlume di cielo, trasalii come un ragazzo, felice e incredulo, trasalii per me solo, per il mondo dei vivi. La stagione che avevo cercato era là in quel barlume. Non m’importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, fu il canto e il mattino. E mi voltai.
BACCA: Come hai potuto rassegnarti, Orfeo? Chi ti ha visto al ritorno facevi paura. Euridice era stata per te un’esistenza.
ORFEO: Sciocchezze. Euridice morendo divenne altra cosa. Quell’Orfeo che discese nell’Ade, non era più sposo né vedovo. Il mio pianto d’allora fu come i pianti che si fanno da ragazzo e si sorride a ricordarli. La stagione è passata. Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo.
BACCA: Molte di noi ti vengon dietro perché credevano a questo tuo pianto. Tu ci hai dunque ingannate?
ORFEO: O Bacca, Bacca, non vuoi proprio capire? Il mio destino non tradisce. Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo.
[...]
ORFEO: Visto dal lato della vita tutto è bello. Ma credi a chi è stato tra i morti… Non vale la pena. […] Ma che cosa sia un uomo è ben difficile dirlo. Neanche tu, Bacca, lo sai.
[...]
ORFEO: Ma non vi ho trovate. Volevo tutt’altro. Che tornando alla luce ho trovato. 
BACCA: Un tempo cantavi Euridice sui monti…
ORFEO: Il tempo passa, Bacca. Ci sono i monti, non c’è più Euridice. Queste cose hanno un nome, e si chiamano uomo. Invocare gli dèi della festa qui non serve.
ORFEO: Tutto fa un uomo, nella vita. Tutto crede, nei giorni. Crede perfino che il suo sangue scorra alle volte in vene altrui. O che quello che è stato si possa disfare. Crede di rompere il destino con l’ebbrezza. Tutto questo lo so e non è nulla.
BACCA: Non sai che farti della morte, Orfeo, e il tuo pensiero è solo morte. Ci fu un tempo che la festa ci rendeva immortali.
ORFEO: E voi godetela la festa. Tutto è lecito a chi non sa ancora. È necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno. L’orgia del mio destino è finita nell’Ade, finita cantando secondo i miei modi la vita e la morte.
BACCA: E che vuol dire che un destino non tradisce?
ORFEO: Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun dio può toccarlo.
BACCA: Può darsi, Orfeo. Ma noi non cerchiamo nessuna Euridice. Com’è dunque che scendiamo all’inferno anche noi?
ORFEO: Tutte le volte che s’invoca un dio si conosce la morte. E si scende nell’Ade a strappare qualcosa, a violare un destino. Non si vince la notte, e si perde la luce. Ci si dibatte come ossessi.
BACCA: Dici cose cattive… Dunque hai perso la luce anche tu?
ORFEO: Ero quasi perduto, e cantavo. Comprendendo ho trovato me stesso.
BACCA: Vale la pena di trovarsi in questo modo? C’è una strada più semplice d’ignoranza e di gioia. Il dio è come un signore tra la vita e la morte. Ci si abbandona alla sua ebbrezza […]. Si rinasce ogni volta, e ci si sveglia come te nel giorno.
ORFEO: Non parlare di giorno, di risveglio. Pochi uomini sanno.  […] “
Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò,  Orfeo, L’inconsolabile
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iannozzigiuseppe · 2 years ago
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Non sono morti gli dèi - Traduzione, introduzione e note di Aldo Setaioli - Graphe.it Edizioni
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diceriadelluntore · 5 years ago
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Se abbiamo spaccato le loro statue, se li abbiamo cacciati dai loro templi, non per questo sono morti gli dèi.
Kostantinos Kavafis
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gregor-samsung · 5 years ago
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Si possono replicare eventi epidemici come la peste del XIV secolo in Europa, l’influenza cosiddetta «spagnola» o il piú recente virus H1N1? La peste nera (1347-53) uccise un terzo della popolazione del vecchio continente (tra cui la Laura di Petrarca), ma, appunto, non arrivò alla metà degli abitanti, né li sterminò. Del resto nessun virus ha come obiettivo quello di distruggere la specie ospite, altrimenti non sopravvivrebbe. Si diffuse, però, proprio in concomitanza con un incremento significativo della popolazione continentale (che raggiunse i cento milioni), dopo deforestazioni e bonifiche di vasta portata e successivamente a un periodo di gran freddo e carestie. Forse partí dall’Asia, dove le pulci videro morire a milioni i loro ospiti preferiti, i ratti (sconfitti dal freddo e dalla fame), e furono costrette ad attaccare gli umani. In ogni caso anche la peste nera colpí una popolazione numerosa e indebolita. La pandemia di influenza spagnola (1918-20) fu ancora piú grave e uccise venti milioni di uomini, donne e bambini. Forse fu portata in Europa da soldati americani arrivati per combattere la guerra. Di certo ebbe un tasso di mortalità elevatissimo: in alcune comunità fino al settanta per cento. Con un tasso superiore al cinquanta per cento avrebbe potuto sterminare gli uomini? Sarebbe potuta essere un «collo di bottiglia»? Non possiamo saperlo, fatto è che non lo fu e che, in seguito, furono utilizzati nuovi medicinali e nessun’altra pandemia si mostrò cosí virulenta. Almeno fino alla variante A H1N1, che, comunque, portò alcune vittime solo in Messico e di cui si persero presto le tracce. Ieri come oggi, l’influenza è la piú persistente minaccia per i sapiens, visto anche che le società sono piú interconnesse che in passato. L’influenza è stata l’arma di distruzione di massa piú micidiale del XX secolo. E lo potrebbe essere ancora. Non c’è bisogno di aggiungere che le pandemie, vere o presunte, sono tutte suscettibili di essere usate strumentalmente in quanto chiari segni dell’ira degli dèi. E come tali sono state effettivamente utilizzate (basta ricordare I promessi sposi). In tempi piú recenti il caso della polmonite Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) è particolarmente emblematico, perché la paura del coronavirus responsabile dell’infezione fece temere qualcosa di simile al vaiolo, nonostante i numeri e i dati fossero, invece, molto diversi. La Sars fu individuata per la prima volta in Cina nel 2002, ma divenne paura globale di pandemia quando interessò le isole britanniche, dove si registrarono sei casi su sessanta milioni di abitanti, una percentuale irrilevante. La mortalità per la Sars è di circa il sette per cento nei Paesi ricchi (fino al quindici per cento in quelli piú disagiati), dunque lontanissima dalle altre pandemie appena riassunte, eppure la paura fu, per alcuni anni, vicina a diventare panico. Altre malattie, potenzialmente piú devastanti, invece, continuano a non inquietarci. L’Oms ha stimato circa 461 morti per Sars in sei mesi. Nello stesso lasso di tempo ci sono stati due milioni di morti per infezioni respiratorie di altra natura, un milione e mezzo per l’Hiv, un milione per dissenterie e ancora 372 000 casi di morbillo. Ma di queste epidemie non si riscontra alcuna significativa forma di timore. Come la febbre del Nilo occidentale, che diventa paura solo quando interessa alcuni viaggiatori occidentali di ritorno dall’Africa. Il panico mondiale lo creiamo noi, solo perché, nelle nostre convinzioni, il mondo intero corrisponde al nostro mondo ricco, del resto possiamo anche non preoccuparci.
Mario Tozzi, Paure fuori luogo. Perché temiamo le catastrofi sbagliate, Einaudi (collana Passaggi), 2017; pp. 56-58.
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ad-ovest-della-luna · 5 years ago
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In quest’ora della sera da questo punto del mondo Io ringraziare desidero il divino labirinto delle cause e degli effetti per la diversità delle creature che popolano questo universo singolare ringraziare desidero per l’amore, che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità per il pane e per il sale per il mistero della rosa che prodiga colore e non lo vede per l’arte dell’amicizia per l’ultima giornata di Socrate per il linguaggio, che può simulare la sapienza io ringraziare desidero per il coraggio e la felicità degli altri per la patria sentita nei gelsomini e per lo splendore del fuoco che nessun umano può guardare senza uno stupore antico e per il mare che è il più vicino e il più dolce fra tutti gli Dèi Io ringraziare desidero perché sono tornate le lucciole e per noi per quando siamo ardenti e leggeri per quando siamo allegri e grati per la bellezza delle parole natura astratta di Dio per la lettura, la scrittura che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo per la quiete della casa per i bambini che sono nostre divinità domestiche per l’anima, perché se scende dal suo gradino la terra muore per il fatto di avere una sorella ringraziare desidero per tutti quelli che sono piccoli, limpidi e liberi per l’antica arte del teatro, quando ancora raduna i vivi e li nutre per l’intelligenza d’amore per il vino e il suo colore per l’ozio con la sua attesa di niente per la bellezza tanto antica e tanto nuova. Io ringraziare desidero per le facce del mondo che sono varie e alcune sono adorabili per quando la notte si dorme abbracciati per quando siamo attenti e innamorati per l’attenzione che è la preghiera spontanea dell’anima per i nostri maestri immensi per chi nei secoli ha ragionato in noi per tutte le biblioteche del mondo per quello stare bene fra gli altri che leggono per il bene dell’amicizia quando si dicono cose stupide e care per tutti i baci d’amore per l’amore che rende impavidi per la contentezza, l’entusiasmo, l’ebrezza per i morti nostri che fanno della morte un luogo abitato. Ringraziare desidero perché su questa terra esiste la musica per la mano destra e la mano sinistra e il loro intimo accordo per chi è indifferente alla notorietà per i cani, per i gatti esseri fraterni carichi di mistero per i fiori e la segreta vittoria che celebrano per il silenzio e i suoi molti doni per il silenzio che forse è la lezione più grande per il sole, nostro antenato. Io ringraziare desidero per Borges per Whitman e Francesco d’Assisi per Hopkins, per Herbert perché scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e cambia secondo gli uomini e non arriverà mai all’ultimo verso. Ringraziare desidero per i minuti che precedono il sonno, per gli intimi doni che non enumero per il sonno e la morte quei due tesori occulti. E infine ringraziare desidero per la gran potenza d’antico amor per l’amor che se move il sole e l’altre stelle. E muove tutto in noi.
Mariangela Gualtieri, Ringraziare desidero.
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ypsilonzeta1 · 5 years ago
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Ringraziare voglio
In quest’ora della sera
da questo punto del mondo
Ringraziare desidero il divino
labirinto delle cause e degli effetti
per la diversità delle creature
che compongono questo universo singolare
ringraziare desidero
per l’amore, che ci fa vedere gli altri
come li vede la divinità
per il pane e per il sale
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede
per l’arte dell’amicizia
per l’ultima giornata di Socrate
per il linguaggio, che può simulare la sapienza
io ringraziare desidero
per il coraggio e la felicità degli altri
per la patria sentita nei gelsomini
e per lo splendore del fuoco
che nessun umano può guardare
senza uno stupore antico
e per il mare
che è il più vicino e il più dolce
fra tutti gli Dèi
ringraziare desidero
perché sono tornate le lucciole
e per noi
per quando siamo ardenti e leggeri
per quando siamo allegri e grati
per la bellezza delle parole
natura astratta di Dio
per la scrittura e la lettura
che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo
per la quiete della casa
per i bambini che sono
nostre divinità domestiche
per l’anima, perché se scende dal suo gradino
la terra muore
per il fatto di avere una sorella
ringraziare desidero per tutti quelli
che sono piccoli, limpidi e liberi
per l’antica arte del teatro, quando
ancora raduna i vivi e li nutre
per l’intelligenza d’amore
per il vino e il suo colore
per l’ozio con la sua attesa di niente
per la bellezza tanto antica e tanto nuova
io ringraziare desidero per le facce del mondo
che sono varie e molte sono adorabili
per quando la notte
si dorme abbracciati
per quando siamo attenti e innamorati
per l’attenzione
che è la preghiera spontanea dell’anima
per tutte le biblioteche del mondo
per quello stare bene fra gli altri che leggono
per i nostri maestri immensi
per chi nei secoli ha ragionato in noi
per il bene dell’amicizia
quando si dicono cose stupide e care
per tutti i baci d’amore
per l’amore che rende impavidi
per la contentezza, l’entusiasmo, l’ebbrezza
per i morti nostri
che fanno della morte un luogo abitato.
Ringraziare desidero
perché su questa terra esiste la musica
per la mano destra e la mano sinistra
e il loro intimo accordo
per chi è indifferente alla notorietà
per i cani, per i gatti
esseri fraterni carichi di mistero
per i fiori
e la segreta vittoria che celebrano
per il silenzio e i suoi molti doni
per il silenzio che forse è la lezione più grande
per il sole, nostro antenato.
Io ringraziare desidero
per Borges
per Whitman e Francesco d’Assisi
per Hopkins, per Herbert
perché scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini.
Ringraziare desidero
per i minuti che precedono il sonno,
per gli intimi doni che non enumero
per il sonno e la morte
quei due tesori occulti.
E infine ringraziare desideo
per la gran potenza d’antico amor
per l’amor che se move il sole e l’altre stelle.
E muove tutto in noi.
 (la meravigliosa Poesia di Mariangela Gualtieri)
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bastoncin0 · 5 years ago
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Altissimo ti lodo tra gli dèi, O Eros.
(Altissimo ti lodo tra gli dèi, o Eros.)
Sulla riviera, deturpata, a relitto di nave o acutissimo e fitte di dolore. Un giovane celeste, con la pelle candida e il mento a spigolo. Gambe da celebrare, glabre, come il volto da fanciullo che si beffa del vecchio. Con le membra dolcissime di una vergine, ciò che in lui traspare, ciò che in lui sfigura. Un corpo esile di chi fugge nelle pieghe della notte, in acuti strilli. S’avvicina ai fiori, da essi trae l’essenza e suo unico profumo. Un giorno, forse, venduto insieme agli schiavi bambini romani; un giorno, forse, perso tra un locale e l’altro, oppure in strada con i morti che camminano quando il sole sgretola poco a poco la terra. Insieme a quelle creature che hanno fatto dell’amore, la sofferenza tremenda e la malattia atroce che logora. Eppure nel cogliere il fiore si è spesso attratti dalla beltà, dalle gambe glabre e dal volto fanciullo. Che poi fugge, come il resto. Si ha difficoltà ad immaginare quel bel volto di ragazzo, quel bel carisma innocente, quella massa corporea liscia e che si beffa e sputa sul marcio, diventare sempre di più l’essiccare e il putrefarsi di qualcosa di ignobile perfino agli dèi. (Altissimo ti lodo tra gli dèi, o Eros)
Quindi, morire con dignità. C’è chi utilizza rudi metodi contadini, chi è raffinato tra le dita un coltello argentato. E il sangue cola e l’anno è giunto e il tempo scorre. Sulla riviera, tutti quei bei volti intrinsechi di rimproveri dalla vita. Ed Eros, beffante di loro, il e bello tra le anime violentate, con il dente aguzzo si morde il labbro e da esso scorre un sangue divino. Con l’amore delle fanciulle e il dolore sotto i piedi. Un delitto passionale. Ed Eros, per sempre fanciullo, beffante di tutti loro. Quella volta che ha visto il primo fiore di bellezza giacere con membra altrui. E tutti quei complessi orgiastici dionisiaci che lo hanno fortificato dentro. E tutto quel seme sperduto nelle valli sperdute, e nel deserto con la sabbia, e con la pelle candida. Un tempo il nord era rosso di fulmini.
(Giovinezza dove accorri? Dove fuggi?
Lontana e non mi avrai più, e più mi troverai)
Muore il tenero Adone e che faremo delle sue ceneri? Che ardono nella notte le stelle lucentissime in suo onore. In onore di tutti questi schiavi voluttuosi e queste statue di marmo pentelico e questi corpi da dèi, queste menti da mortali, questa sanguinosa corsa contro la vecchiaia. Che muoiano tutti come il tenero Adone, così da essere ricordati in nome dell’Eros che brucia e tramuta in stella. Che il Sonno prenda diletto di tutti questi sguardi luminosi in questi corpi ellenici e anche contemporanei e quegli schiavi venduti per pochi soldi ai patrizi e poi violentati come cani e per quei ragazzi che per sempre hanno lottato contro quelle pestilenze terribili, quelle croste sulla pelle che ti tramutano in alligatore e quelle finte squame per farti ridere mentre sfiorisci. Per tutte le volte che l’Eros, o Eros, è stato un passatempo forbito, per quando l’hanno usato per ottenere, per tutte quelle povere vittime di pathos che illude. Per loro, muore il tenero Adone, quasi in sacrificio per le vittime dopo di lui, nel riso del figlio della Dea Madre.
Altissimo ti lodo affinchè tra gli dèi possano risuonare queste parole marcie. Altissimo ti lodo affinchè nessuno dopo di me debba farlo. Altissimo, tra il canto delle pernici e dei passeri, nel frangente di tempo che rimane ad un vecchio saggio, in uno specchio di tempo che mi ritrae sempre più grasso e sofferente, mangiato dalla malattia, consumato dalla scarlattina, rossa come la tua bocca che sopraggiunse la mia quella domenica mattina in sacrestia. E le mie mani che si vergognavano come quelle di schiavi che non fanno il proprio dovere. Il loro dovere. Però ero ancora un fiore di bellezza ardita e l’Eros pungeva tra le mie dita e forse le bucava, ma nessuno vide il sangue e nessuno vide gli aculei e nessuno vide il degrado e la putridità. A lungo mi batterei per cause come questa, ma le mie parole non sono altro che fruscii di vento in questa marea dove cammini, Altissimo tra gli dèi, perché io ti lodo, o Eros.
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ilquadernodelgiallo · 5 years ago
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Un buon rancore è una musa decorosa. [...] È vero; ho detto che la formica è un onesto animale, che non si insinua a rubare le offerte agli dèi, e sopravvive all'inverno; forse avevo torto: ma credo che questo appunto mi interessava: sopravviveva all'inverno. E poi era così anonima, addirittura senza colore, senza rumore, senza idee, eccetto quell'unica: sopravvivere all'inverno. Se penso alla mia vita, mi sembra di aver avuto solo quel problema: un altro inverno; un calore un po' vile, un cibo sordido, contatti ruvidi, parole notturne, da uccellacci; ma sopravvivere, sopravvivere. (Fedro) _________________________ Ad ogni modo, quando penso a quel criminale, a quel torturatore della moglie, non potevo non pensare che da ragazzo poteva essere stato un diligente ed ubbidiente fanciullo, ossequioso, e capace di una qualche rozza forma di amore. Vede, la cosa interessante - mi esprimo un po' approssimativamente - è che Quilp è malvagio esattamente come un bambino, che abbia perso solo le qualità minuscole, diciamo la fragilità, la tenerezza, il sonno improvviso e imbronciato... Non è delinquente perché ha cessato di essere fanciullo, ma perché la naturale delinquenza della mezza età si è alleata all'orrore che abita una testa di fanciullo. [...] Io amavo i bambini logori e morti [...]. Io volevo ucciderli simbolicamente, come volevo retroattivamente uccidere Charles, il bambino genio che lavorava a far lucido da scarpe; non volevo che vivesse, quella mostruosità di dolore. E fu così che cominciai ad odiare i grandi, gli adulti, sempre con l'ottica del fanciullo, e del fanciullo morituro, noti bene. [...] la piaga può diventare una menzogna, e la menzogna offre la grazia della piaga a tutti i lettori abbastanza ingenui; ma la piaga continua a esigere menzogne, anno dopo anno, per tutta una vita; e uno le copre di morti, di omicidi, di suicidi, di agonie, di deliri; questo si chiama il successo. [...] Incidentalmente, fu questo accanimento della piaga a produrre il mirabile pus della falsità, del melodramma, che mi insinuò il gusto di quello che taluni hanno chiamato il 'comico'. Fu un travestimento stupendo, come mandare a spasso un lebbroso con il suo solito campanello, ché gli altri si scostino, ma farlo durante il carnevale, quando tutti hanno dei campanelli esattamente uguali... (Dickens) _________________________ A. Il suo volto è stato inciso nella roccia, nelle pietre dure. B. Sì, infinite volte. Quel volto che forse lei ha visto, ma in cui appena mi riconoscevo: di profilo e di faccia, secco, gentile, fragile; sapevano di disegnare il profilo di un morituro. Un corpo affiliato, perché potessi passare tra le porte, le belve, gli scoscendimenti del nostro al di là; un'anima lama, coltello. (Tutankhamon) _________________________ Due amanti favolosi sono eterni, ma non conoscono la straziante delizia della terrestre paura di perdersi; un destino è fatto di sangue di odori di animali di sterco; ma una trama di favola è fatta di gesti e di parole, non c'è perdita, né smarrimento, né sgomento della morte, c'è solo la grazia della perfetta recitazione. (Harun Al-Rashid)
Giorgio Manganelli, Le interviste impossibili [la prima metà]
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corrupted-diamond · 6 years ago
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Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare
e il silenzio della città quando si placa
e il silenzio di un uomo e di una vergine
e il silenzio con cui soltanto la musica trova linguaggio.
Il silenzio dei boschi
prima che sorga il vento di primavera
e il silenzio dei malati quando girano gli occhi per la stanza,
e chiedo per le cose profonde a che serve il linguaggio.
Un animale nei campi geme una o due volte
quando la morte coglie i suoi piccoli;
noi siamo senza voce di fronte alla realtà.
Noi non sappiamo parlare.
Un ragazzo curioso domanda a un vecchio soldato
seduto davanti la drogheria
Come hai perduto la gamba?
e il vecchio soldato è colpito di silenzio e poi gli dice
Me l’ha mangiata un orso.
E il ragazzo stupisce,
mentre il vecchio soldato, muto,
rivive come in sogno
le vampe dei fucili
il tuono del cannone
le grida dei colpiti a morte
e sè stesso disteso al suolo
i chirurghi dell’ospedale
i ferri
i lunghi giorni di letto.
Ma se sapesse descrivere ogni cosa sarebbe un artista,
ma se fosse un artista
vi sarebbero ferite più profonde
che non saprebbe descrivere.
C’è il silenzio di un grande odio
e il silenzio di un grande amore
e il silenzio di una profonda pace dell’anima
e il silenzio di un’amicizia avvelenata.
C’è il silenzio di una crisi spirituale
attraverso la quale l’anima, sottilmente tormentata,
giunge con visioni inesprimibili
in un regno di vita più alta,
e il silenzio degli dèi che si capiscono senza parlare.
C’è il silenzio della sconfitta
c’è il silenzio di coloro che sono ingiustamente puniti
e il silenzio del morente, la cui mano stringe subitamente la vostra.
C’è il silenzio tra padre e figlio,
quando il padre non sa spiegare la sua vita, sebbene in tal modo
non trovi giustizia.
C’è il silenzio che interviene fra il marito e la moglie
c’è il silenzio dei falliti
e il vasto silenzio che copre le nazioni disfatte e i condottieri vinti.
C’è il silenzio di Lincoln, che pensa alla povertà della sua giovinezza
e il silenzio di Napoleone dopo Waterloo
e il silenzio di Giovanna d’Arco
che dice tra le fiamme
Gesù benedetto
rivelando in due parole ogni dolore, ogni speranza.
C’è il silenzio dei vecchi,
troppo carichi di saggezza
perché la lingua possa esprimerla
in parole intelligibili
a coloro che non hanno vissuto la grande parabola della vita.
E c’è il silenzio dei morti.
Se noi che siamo vivi non sappiamo parlare di profonde esperienze,
perché vi stupite che i morti non vi parlino della morte?
Quando li avremo raggiunti
il loro silenzio avrà spiegazione.
Edgar Lee Masters
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