#Musica ed Arte contro le guerre
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mariobadino · 8 months ago
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Tre occasioni di poesia civile
Giovedì 21 marzo, a Mesagne (Brindisi), in piazza IV Novembre, avverrà l’inaugurazione della Biblioteca Comunale «Ugo Granafei» o, per meglio dire, la sua riapertura nella sede storica, appena restaurata. Per l’occasione, alle ore 19.30 reciterò le poesie insieme a Gionata Atzori, Andrea Bitonto e Cristina Carlà, ma il microfono sarà aperto anche alla cittadinanza, perché si tratta di…
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m2024a · 8 months ago
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/03/chi-e-vittoria-di-savoia-figlia-di.html Chi è Vittoria di Savoia, figlia di Emanuele Filiberto ed erede senza trono Dopo la scomparsa di Vittorio Emanuele, mancato a 86 anni a inizio febbraio 2024, la dinastia dei Savoia punta sempre di più sulla nipote Vittoria. Stiamo parlando della primogenita di Emanuele Filiberto e Clotilde Courau, che hanno anche una figlia più piccola, Luisa. Le due sorelle sono molto legate tra loro. A designare Vittoria di Savoia erede del casato è stato proprio suo nonno nel 2020, quando ha abolito la legge salica che, per il trono, dava la precedenza ai maschi della famiglia reale. Chiaramente dal 1946 la monarchia non esiste più in Italia e quindi si parla di un trono in realtà assente, come ha sottolineato la stessa Vittoria di Savoia alla rivista spagnola ‘Yo dona’ che le ha dedicato il servizio di copertina. Corona Quando è stato chiesto alla principessa, pronipote dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, se pensa che potrà mai tornare la Corona nello Stivale, lei – come ha già fatto in passato suo padre Emanuele Filiberto – ha negato qualsiasi possibilità. “Certo che no”, ha risposto Vittoria di Savoia. Il padre ha fatto sapere che formalmente abdicherà in favore della figlia. Dunque, quando toccherà a Vittoria prendere in mano, anche ufficialmente, le redini del casato, la principessa dovrà impegnarsi sempre di più nelle attività di beneficenza – che l’hanno vista in prima linea, in tempi recenti, in un viaggio umanitario con la Croce Rossa, con cui è giunta ai confini dell’Ucraina, per portare aiuti alle popolazioni colpite dalla guerra – e, in generale, nella rappresentanza della dinastia sabauda. I Savoia La famiglia reale dei Savoia ha avuto un breve regno nella Penisola mediterranea, durato solo dal 1861 al 1946. Poco più di ottant’anni segnati da due guerre mondiali e dall'ascesa e il declino del fascismo, e tre re: - Vittorio Emanuele II - Vittorio Emanuele III - Umberto II Si ricorda spesso anche la figura di Maria José, che è nata come principessa del Belgio e poi è diventata consorte di Umberto di Savoia, una donna forte e colta, ostile al regime fascista e contro la Germania nazista. Lei e Umberto, oltre a Vittorio Emanuele, nonno di Vittoria, hanno avuto due figlie, Maria Gabriella e Maria Pia. Arte, recitazione e moda Attualmente la giovane – nome completo, Vittoria Cristina Adelaide Chiara Maria di Savoia – nata nel dicembre 2003, sta studiando a Parigi arte e imprenditoria. In precedenza ha vissuto anche in Inghilterra. Nella capitale francese, inoltre, Vittoria segue lezioni di recitazione, un percorso che la avvicina alla madre, Clotilde Courau, attrice. Tra i suoi sogni, oltre a dedicarsi a questa passione facendola diventare un vero e proprio mestiere, c’è quello di aprire una propria galleria d’arte. Vittoria è anche un’icona di stile e, tra passerelle e ospitate, frequenta assiduamente le sfilate internazionali. Ha già fatto la modella per diverse maison. Generazione Z Nell’intervista a ‘Yo dona’ Vittoria ha parlato anche della sua generazione, i cosiddetti Zeta, i ragazzi nati tra il 1996 e il 2010. La principessa di casa Savoia ha detto che vuole credere che lei e i suoi coetanei Z siano forti e che lavoreranno tutti insieme per la creazione di un mondo migliore. Come tutti i giovani di oggi, anche Vittoria di Savoia usa e conosce i social, dove riscuote molti consensi. Secondo lei le piattaforme digitali interattive sono strumenti di creatività e di espressione di sé, tuttavia occorre stare attenti a non farsi influenzare troppo, cercando di rimanere autentici. Di sé, inoltre, Vittoria ha detto di aver necessità di imparare e sperimentare sempre cose nuove, è molto curiosa, ama ascoltare musica e ballare. Apprezza molto la lealtà, non sopporta l’arroganza. L’Italia Anche se è nata e cresciuta in Svizzera e continua a trascorrere molto tempo oltralpe, Vittoria di Savoia continua a mantenere un legame speciale con l’Italia, che considera casa al pari degli altri posti dove ha vissuto per anni. Lo ha sottolineato anche nell’intervista a ‘Yo dona’. La sua famiglia ha una dimora in Umbria. A legarla al nostro Paese sono anche la cultura, l’arte, la gastronomia. Inoltre il suo affetto per l’Italia deriva anche da importanti prime volte: “Lì ho imparato a camminare. Sempre lì ho nuotato da sola per la prima volta”.
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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900: un secolo di trasformazioni, conflitti e progresso
Il 900 è stato un secolo di profonde trasformazioni, contraddizioni e cambiamenti senza precedenti in tutti gli aspetti della vita umana. Conosciuto anche come "il secolo breve" per la sua durata relativamente breve ma densa di eventi epocali, questo periodo ha ridefinito la politica, la cultura, la tecnologia e la società in modi che continuano a influenzare il mondo contemporaneo. 900: il secolo delle guerre mondiali e di conflitti globali Il XX secolo è stato contrassegnato da due delle guerre più devastanti della storia umana: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. La Prima Guerra Mondiale (1914-1918) ha segnato l'inizio del secolo con una devastazione su scala globale, portando alla caduta degli imperi e a profonde trasformazioni politiche in Europa e in tutto il mondo. La Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) ha causato perdite umane e distruzioni ancora più grandi, culminando nell'uso delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Questi conflitti hanno avuto un impatto duraturo sulle relazioni internazionali e sulla coscienza globale. Il secolo scorso ha visto anche l'ascesa e il crollo di uno dei più grandi imperi del mondo, l'Unione Sovietica. La Rivoluzione Russa del 1917 ha portato al potere i bolscevichi, che hanno instaurato un regime comunista guidato da figure come Lenin e Stalin. L'Unione Sovietica ha giocato un ruolo cruciale nella sconfitta dell'Asse durante la Seconda Guerra Mondiale, ma è rimasta un regime totalitario e repressivo. Alla fine, nel 1991, l'Unione Sovietica è collassata, portando a profonde trasformazioni politiche ed economiche nell'Europa orientale e in Russia. Dal movimento per i diritti civili alla rivoluzione digitale Negli Stati Uniti, il XX secolo è stato testimone di cambiamenti significativi nel campo dei diritti civili. Il movimento per i diritti civili ha lottato contro la segregazione razziale e per l'uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini americani. Figure come Martin Luther King Jr. hanno svolto un ruolo centrale nel promuovere il cambiamento attraverso la non violenza e la protesta pacifica. La lotta per i diritti civili ha portato ad importanti conquiste legislative, come il Civil Rights Act del 1964, che ha vietato la discriminazione razziale. Il 900 è stato anche un secolo di rapida innovazione tecnologica. Dall'invenzione dell'aereo ai progressi nella medicina, dalla diffusione della televisione alla rivoluzione digitale, il secolo ha visto cambiamenti straordinari nella vita quotidiana delle persone. L'avvento del computer e dell'Internet ha aperto nuove possibilità di comunicazione, lavoro e intrattenimento, trasformando radicalmente la società e l'economia. Arte, cultura e scienza Il secolo scorso ha assistito a un'ampia gamma di movimenti culturali e artistici che hanno sfidato le convenzioni dell'epoca. Il cubismo e il surrealismo hanno rivoluzionato l'arte visiva, mentre il movimento del cinema d'autore ha portato al riconoscimento del cinema come forma d'arte. La musica ha visto l'emergere del rock 'n' roll, dell'hip-hop e di molti altri generi musicali innovativi. La letteratura ha prodotto opere influenti come "Ulisse" di James Joyce e "Cent'anni di solitudine" di Gabriel García Márquez. Nel campo scientifico e medico, non sono mancate scoperte rivoluzionarie. L'identificazione del DNA da parte di James Watson e Francis Crick nel 1953 ha aperto la strada alla genetica molecolare e alla biotecnologia. Nel 1969, l'umanità ha raggiunto la Luna, segnando un passo epocale nell'esplorazione spaziale. Nel settore medico, l'uso di antibiotici e la scoperta dei vaccini hanno contribuito a combattere le malattie infettive. In copertina foto di WikiImages da Pixabay Read the full article
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libero-de-mente · 4 years ago
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Storia di una Goccia di Pioggia
di Fabio Violi 
Fraus: “Mi chiamo Fraus; coloro che della lingua latina hanno un vago ricordo, avranno già tradotto il mio nome in “Inganno”; semplice scherzo del destino.
Non ho la più pallida idea di quale sia lo scopo della mia vita. Non so fare niente di specifico. Non ho ambizioni. Sono solo un’ombra che vaga di notte. Ogni tanto, per sentirmi vivo, invento e racconto storie. Storie amare, nere...inganni.
 Non ho un pubblico; le racconto al vento sperando che porti in giro la mia voce...(Pausa) Eccolo, lo sento. E’ venuto per me; posso iniziare il mio racconto. Questa storia è un nonsenso, un gioco dell’illusione e un abbraccio di fantasia, così come è senza senso l’acqua scevra dal colore, il fiore privo di odore, la vita senza motivo e la morte senza poesia.
Un giorno, una piccola goccia di pioggia, desiderosa di veder quel mondo che aveva sempre intravisto dall’alto della nuvola che le faceva da padrona, decise di staccarsi per poter finalmente esplorare quel globo pieno di magia. Forza, un po’ di coraggio e via! Ed ecco che la piccola goccia, staccatasi dalla soffice nuvola, sfruttando il soffio di Eolo, si mise a percorrere la distanza tra cielo e terra.
Quanta strada da fare e quante cose da vedere. Già, quante cose! Un susseguirsi d'immagini e un rincorrersi di suoni e parole.
La piccola goccia si imbeveva avidamente di tutto questo, consapevole che la sua folle discesa sarebbe stata senza ritorno. E allora, quante cose.
Due ragazzi che combattevano contro l’angoscia del giorno. Come fare per trovare quella chiave magica che avrebbe aperto le porte di un Paradiso infernale? La piccola goccia guardava incuriosita.
Non capiva perché due ragazzi stessero lì, chiusi dentro una stanza, appoggiati a una parete sudicia, guardando il vuoto e tenendo in mano un laccio e una siringa dall’ago lucido e appuntito pronto a distruggere corpi con un’anima già stuprata dal perbenismo di chi punta il dito e condanna.
Ma più in là, la piccola goccia vide un fuoco. Le parve strano. Faceva caldo; perché mai un fuoco? Guardando meglio vide una “stella filante” senza colore. 
Una stella filante di quindici anni, che combatteva contro il disprezzo di chi, cinque minuti prima, ne aveva amato le fattezze. Attorno a lei, macchine e uomini senza volto e senza cuore.
E allora, la piccola goccia si voltò dall’altra parte. Voleva vedere e ascoltare qualcosa di bello. Ed ecco della musica. Della stupenda musica. Si, c’erano dei ragazzi che suonavano in una piazza. Una chitarra, un piccolo tamburo, un flauto e tanta allegria. Che bellezza, pensò la piccola goccia.
Ma la musica s’interruppe. La goccia vide delle macchine con una luce blu sul tetto. Da queste macchine scesero delle persone. Si avvicinarono ai ragazzi, mossero le braccia e i ragazzi festanti lasciarono la piazza. La goccia non capì.
Nessuno le aveva detto che per suonare, fare arte e regalare un po’ d’allegria, occorrevano autorizzazioni, permessi e soldi, tanti soldi. E non sapeva neanche che quella gente, con caschi e manganelli, pronta a caricare e calpestare, agiva in nome e nel bene della collettività.
La piccola goccia cominciava a esser stanca. La sua soffice nuvola era, ormai, lontana; mentre lei, piccola goccia, scendeva sempre più giù, fino alla fine.
Vide una casa, anzi no, una villa. Vide un signore sorridente, gioioso, che giocava con un bambino. Che bella scena! Quell’uomo sembrava Peter Pan. 
Osservò meglio. Gli occhi di quell’uomo erano rossi come il fuoco dell’Inferno. Il suo sorriso malefico e libidinoso. Le sue mani, come artigli, tiravano a sé il bambino. Non era Peter Pan. Era un demonio! Il bambino non rideva, piangeva e gridava dal dolore. Era un gioco brutto. Solo il ricco demone si divertiva.
La piccola goccia anche questa volta non capì. Non capì perché quel bambino, piangente, fosse senza vestiti e perché quel demone violentasse i suoi sogni e le sue speranze.
Basta, basta! La piccola goccia non ce la faceva più. Possibile che questo mondo fosse così brutto? Guardò il suo cielo.
Uno stormo di aironi neri la salutò. La piccola goccia continuò la sua discesa. E vide guerre, indifferenza, odio razziale e altro.
Vide il mare, dove sarebbe andata a morire. Ma prima di far questo...un gesto! Vide una mano che ne stringeva un’altra. Vide un segno d’amicizia, piccolo, anonimo.
Sogno o realtà? Non lo seppe mai. Andò a infrangersi nel mare azzurro, così come, prima di lei, avevano fatto tutte le altre gocce.!
Questa favola, altro non è che la conseguenza di un’osservazione, di un modo di guardare, giudicare e vivere sotto l’ombra di un’ala pessimista.
Fortunato chi, sotto la scusa di un pensiero ottimista, chiude gli occhi...e non vede. (Pausa riflessiva).
Mi chiamo Fraus, “inganno”. Canto storie al vento”.
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paoloxl · 6 years ago
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Sono una militante antifascista dai tempi delle scuole medie (all’epoca ci si politicizzava presto erano gli anni in cui i fascisti mettevano le bombe nelle piazze e sui treni, nelle banche e, a Trieste, persino nelle scuole elementari della minoranza slovena - e qui fortunatamente senza vittime). Ho sempre visto la Resistenza ed i militanti di essa come dei modelli cui tendere, per il coraggio e la forza che avevano dimostrato schierandosi dalla parte “sbagliata” per chi stava loro intorno ma “giusta” in senso assoluto. Uno dei primi libri a segnare la mia crescita politica nell’adolescenza è stato “Senza tregua” di Giovanni Pesce, la cui colonna sonora erano “Un biglietto del tram degli Stormy six”, e “la Gap” di Dario Fo, che ne condividevano le vicende e i contenuti.
A Trieste la Resistenza era anche internazionalista, partigiani italiani e sloveni che avevano combattuto assieme, e la memoria di questa epopea è stata trasmessa negli anni dalle canzoni del Coro Partigiano Triestino Pinko Tomažič. In più di quarant’anni di lotta politiche i punti fermi che mai mi hanno abbandonato sono stati la contrarietà alle guerre, la solidarietà internazionale, l’antifascismo ed il rispetto della memoria della Resistenza.
A metà degli anni ‘90, dopo la “caduta” del muro di Berlino e la dissoluzione della Jugoslavia scattò l’offensiva contro la Resistenza, offensiva che (prima di scagliarsi contro la Resistenza italiana, vedi i libri di Pansa) iniziò con un attacco ai militanti che operarono al confine orientale, con la montatura del “processo per le foibe”, partito da denunce di una sorta di task-force che comprendeva leghisti con un passato nel neofascismo filogolpista come il sedicente ricercatore storico Marco Pirina, indicato come consulente dall’avvocato piduista Augusto Sinagra che si attivò, assieme ad esponenti delle associazioni degli esuli e dell’ormai disciolto MSI per denunciare una serie di comandanti partigiani (italiani sloveni e croati), accusati in base a prove inesistenti di avere commesso una serie di nefandezze ed addirittura un “genocidio” (come pretese il PM che condusse l’inchiesta, il simpatizzante di Alleanza Nazionale Giuseppe Pititto). Fu in quel momento che decisi di mettermi a studiare le “foibe”, perché trovavo inaccettabile che compagni partigiani, ormai di una certa età, dovessero finire sotto giudizio (ma soprattutto trattati come “mostri in prima pagina” da una certa stampa) per fatti non avvenuti, almeno non nei termini di cui parlava l’accusa di Pititto.
Il primo atto d’accusa contro questa montatura fu “Operazione foibe a Trieste”, pubblicato nel 1997, che valse a me e alla casa editrice una richiesta di danni milionaria (350 dell’epoca) da parte del giudice Pititto (il Tribunale civile poi gli diede torto, ma per poter continuare a richiederci il risarcimento Pititto rinunciò a continuare la causa che aveva iniziato, ed alla quale sembrava tenere tanto; comunque anche il “processo per le foibe” si concluse con un nulla di fatto, grazie soprattutto al lavoro di ricostruzione storica che conducemmo come consulenti della difesa), e mi valse inoltre una serie di querele (tutte archiviate) e, dulcis in fundo, anche qualche minaccia di morte ed intimidazioni varie.
Per la difesa dei partigiani accusati di essere degli “infoibatori” si costituì un gruppo di persone (tra cui cito Alessandra Kersevan e Sandi Volk, in quanto sotto tiro in questi giorni per la conferenza di Parma su cui tornerò più avanti), gruppo cui anni dopo Kersevan volle dare il nome di “Resistenza storica”, perché il nostro lavoro era, ed è tuttora, quello di fare ricerca storica resistendo alle manipolazioni ed agli stravolgimenti di coloro che usano la storia a scopi politici, per denigrare l’antifascismo e riabilitare la zona grigia se non addirittura il nazifascismo. Abbiamo lavorato per anni, consultando archivi, leggendo testi, intervistando testimoni, confrontandoci tra noi ed il lavoro che abbiamo fatto è visionabile online nella pagina http://www.diecifebbraio.info/ e nel catalogo della collana Resistenza Storica della Kappa Vu http://shop.kappavu.it/categoria-prodotto/storia-it-it-it/resistenza-storica/.
Su questi argomenti, dopo “Operazione foibe a Trieste”, nel 2005 ho pubblicato “Operazione foibe tra storia e mito” e nel 2019 “Operazione Plutone. Le inchieste sulle foibe triestine”. Nel frattempo, nel 2013 ho pubblicato uno studio sull’Ispettorato Speciale di PS “La Banda Collotti. Storia di un corpo di repressione al confine orientale”. Ho anche dato alle stampe, in autoproduzione, una serie di dossier dedicati alla storia del confine orientale a cavallo della Seconda guerra mondiale (tra i molti segnalo “La foiba di Basovizza”; “Il caso Norma Cossetto”, “In difesa di Ivan Motika” e “Dossier Maria Pasquinelli” sulle foibe istriane; ed ancora, sulla Resistenza locale “Partigiani di Guardiella” e “Le due resistenze di Trieste”; “Alla ricerca di Nemo”, sul lavoro dei servizi italiani e britannici e “Le violenze per Trieste italiana”, sul dopoguerra a Trieste) quasi tutti disponibili nella pagina http://www.diecifebbraio.info/.
Mi sono dilungata su tutto questo per una serie di motivi. Il primo è che sono francamente stufa di essere tacciata come incompetente da gente che non ha né arte né parte per valutare la mia preparazione storica; il secondo è che sono stufa che il mio lavoro non venga riconosciuto neppure in alcune sedi culturali para-istituzionali, come nell’ultimo “vademecum” sul Giorno del Ricordo pubblicato a cura dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, nel quale non solo non si tengono nel minimo conto le mie ricerche ma i miei libri non compaiono neppure in bibliografia.
La cosa più grave, però è stata per me leggere il comunicato della presidente dell’Anpi Carla Nespolo, che si è “dissociata” dall’iniziativa sul Giorno del Ricordo che avrà luogo a Parma il 10 febbraio prossimo. E’ dal 2006 che il Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica (con l’appoggio dell’Anpi e dell’Anppia) organizza per questa ricorrenza un evento ricco di interventi storici e culturali, filmati, musica, sempre con relatori di spessore. Quest’anno tutto ciò non va più bene: i soliti vigilantes della storia, quelli che “la storia deve essere di regime”, quindi ha diritto di parola solo chi si adegua, hanno lanciato l’ennesima polemica contro l’iniziativa, accusando i relatori e gli organizzatori di fare “negazionismo” delle foibe, in base al programma che riporto:
CONFERENZA di Sandi Volk, storico, “I morti delle foibe riconosciuti dalla legge: 354, quasi tutti delle forze armate dell’Italia fascista” LETTURA DI TESTIMONIANZE di antifascisti e partigiani VIDEO “La foiba di Basovizza: un falso storico” di Alessandra Kersevan, storica e editrice VIDEO “Norma Cossetto: un caso tutt’altro che chiaro” di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica
In risposta ai feroci attacchi di stampo squadristico, Carla Nespolo, lungi dall’esprimere la solidarietà dell’associazione nazionale agli antifascisti messi alla berlina, ha invece inviato un comunicato nel quale afferma che “la frase sulla pagina Facebook dell’ANPI di Rovigo (ne abbiamo parlato qui https://www.facebook.com/notes/la-nuova-alabarda/cosa-c%C3%A8-di-sbagliato-nel-post-apparso-sulla-pagina-fb-dellanpi-di-rovigo/857888964381671/che n.d.r.) e l’iniziativa di Parma non sono condivisibili e offrono uno straordinario pretesto di polemica a chi è più amico di Casapound che dell’Anpi”.
Cosa non c’è di condivisibile nell’iniziativa di Parma, presidente Nespolo? Ha letto gli studi precisi, approfonditi, circostanziati di Sandi Volk, che ha raccolto quanti più dati possibile sulle persone che sono state “premiate” ai sensi della legge sul Ricordo, dimostrando che la maggior parte dei “premiati” erano combattenti fascisti, collaborazionisti del Reich? (qui il risultato delle ricerche di Volk: http://www.diecifebbraio.info/elenco-dei-premiati-per-il-giorno-del-ricordo/questo ). Ha letto quanto abbiamo scritto (ormai sono vent’anni) sulla “foiba” di Basovizza, che E’ UN FALSO STORICO, in quanto non vi è alcuna prova che vi si siano svolte esecuzioni di massa da parte degli Jugoslavi, ma in compenso vi è sufficiente documentazione (da noi pubblicata) che dimostra che il pozzo è stato svuotato più volte e si sono trovati resti umani per un totale di 10/15 persone, alcuni dei quali in divisa tedesca? (è tutto spiegato qui: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/la-foiba-di-basovizza-5/letto ). Ha letto il mio studio sul caso Norma Cossetto (può anche visionare il video, si trova su Youtube), nel quale dimostro non solo che le cosiddette testimonianze (anonime) non sono attendibili ma che anche la sorella ed il cugino di Norma hanno dichiarato in più volte cose diverse e contraddittorie tra loro? (il dossier è scaricabile qui:http://www.diecifebbraio.info/2012/01/il-caso-norma-cossetto/).
L’iniziativa di Parma, scrive la presidente Nespolo, offre pretesto per le polemiche. E noi non vogliamo polemiche, ovviamente. Per non dare adito a polemiche, accettiamo che ci si dica che i partigiani erano tutti criminali, che ammazzavano rubavano e violentavano civili; che quando c’era LVI i treni andavano in orario e se abbiamo le pensioni e la tredicesima è per merito del fascismo. Accettiamo che il ministro Selfini chiuda i porti e faccia il braccio di ferro con l’Europa usando vite umane come ostaggi sequestrati su una nave per settimane: mica vogliamo fare polemiche, vero?
Ma non hanno forse scatenato polemiche gli antifascisti, quando si sono messi contro il regime di Mussolini? quando hanno continuato a pubblicare i propri giornali, fino a finire in galera? e non era polemico, Gramsci, nel suo insistere nello scrivere contro il fascismo? e Matteotti, nel suo intervento alla Camera, l’ultimo prima di essere assassinato, quante polemiche avrà scatenato? e non parliamo delle polemiche contro i partigiani armati, cui si addebitavano le responsabilità delle rappresaglie dopo le azioni armate (vedi via Rasella e le Fosse Ardeatine): altro che polemiche, hanno suscitato i partigiani durante la Resistenza. Si fossero conformati a quello che voleva il regime, non ci sarebbero state polemiche, vero Presidente Nespolo?
Ma noi non ci conformiamo. Siamo stanchi di veder offendere la lotta di liberazione ed i suoi militanti, che hanno sacrificato le proprie vite per un mondo libero. Siamo stanchi di essere discriminati, offesi, calunniati, minacciati, per le cose che scriviamo. Ma è la mancanza di solidarietà da parte di chi dovrebbe, in teoria, stare dalla nostra parte, che è la parte della verità e della giustizia, dell’antifascismo e della democrazia, quello che più ci fa star male. Non ce l’aspettavamo davvero, questa censura da parte dell’Anpi nazionale, ma ne prendiamo atto. Noi continueremo la nostra lotta di resistenza storica e culturale, non vogliamo finire in quella “zona grigia” che mette sullo stesso piano i crimini nazifascisti e le azioni partigiane e che sembra la nuova frontiera dell’Anpi nazionale, preoccupata di fronte alle “polemiche” scatenate dalla ricerca storica e non dallo squadrismo che vuole impedire agli antifascisti di parlare.
Poi ciascuno si prenderà le proprie responsabilità. Noi restiamo qui.
LETTERA AI COMPAGNI E ALLE COMPAGNE DELL’ANPI
Claudia Cernigoi, 6 febbraio 2019.
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...il talento narrativo di Herman Hesse in questo libro è immenso...scritto tra le due guerre mondiali ma piu' che mai attuale in un periodo come quello di oggi caratterizzato dalla perdita di valori e da un mondo in preda alla follia...Un viaggio nell'interiorità, nella nevrosi post moderna. Un trattato sull'apparenza della realtà e sulla necessità di viverla scovando l'inatteso e ascoltando ciò che sembra muto ma non lo è. Profondi messaggi sull'idea di arte, musica e teatro, nonché sull' amore ed i rapporti con le donne. Ne “Il lupo della steppa” comprendiamo quindi che la vita ha innumerevoli sfaccettature, che pur perseguendo azioni nobili e pensieri colti bisogna anche lasciarsi andare e che il distacco da certe realtà ritenute banali può portare alla solitudine. Tutti concetti appassionanti sui quali riflettere... GLI IMMORTALI Continuamente a noi l’ansia vitale Dalle terrene valli sale e sale, ansia selvaggia, ebbrezza in mille voci, fumo sanguigno di banchetti atroci, spasmodici piaceri senza fine, mani usuraie, supplici assassine. L’umano sciame in cupidigia e noia, un lezzo afoso e fracido vapora e, spirando il suo ardore e la sua foia, se stesso inghiotte e rece e ridivora e cova guerre ed arti, e d’illusioni adorna il lupanare tutto brace, e gozzoviglia e fornica vorace nel vivido piacer dei baracconi, mondo infantil che per ognun dall’onda sorge ed ognun nel fango risprofonda. Ma noi per contro c’incontrammo al gelo Dell’etere dagli astri folgorato; non l’ore, non i giorni ci fan velo: siam uomo? Donna? Vecchio o neonato? Le vostre angosce, le ansie ed i peccati, dell’assassin le sensuali ebbrezze, noi contempliamo dalle nostre altezze come soli rotanti e illimitati. Muti approviamo il fremer della vita, muti assistendo delle stelle al giuoco beviamo l’aura fredda ed infinita e siamo affini del celeste fuoco." (H.Hesse) #libridisecondamano #ravenna #booklovers ##instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #hermannhesse (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/CTjGSeaIVu4/?utm_medium=tumblr
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freedomtripitaly · 5 years ago
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La Bosnia Erzegovina è situata nel sud-est dell’Europa ed è famosa per i suoi paesini medievali, i fiumi, i lagni e le Alpi Dinariche. Non certo meta del turismo di massa non è un paese che attrae i viaggiatori anche se in realtà, dalla campagna alla sua capitale Sarajevo, è ricca di bellissimi paesaggi, natura incontaminata, bei palazzi, storia ed arte. Sarajevo: la storia di ieri e la realtà di oggi Sarajevo è una città multireligiosa, multietnica e culturale; un viaggio in questa città regala emozioni forti e contrastanti. Città caratterizzata da tante culture che con i propri luoghi di culto e le proprie convinzioni vivono fianco a fianco le une alle altre nel rispetto reciproco. Sarajevo ha tanti volti, tante espressioni, ferite ancora aperte che esaltano ancora di più le bellezze che offre al turista. Sarajevo vi lascia il segno. Sorge nella vallata tra le alpi Dinariche, attraversata dal fiume Miljacka si contraddistingue dalla fattura architettonica del suo centro: un anfiteatro naturale sotto il cielo. Camminando tra le sue stradine con le tipiche case in pietra a tetti spioventi si incontrano subito i segni del suo passato: le Rose di Sarajevo. Le Rose di Sarajevo, chiamate così per rendere meno doloroso il motivo della loro presenza, sono le cavità causate dai colpi di mortaio durante gli anni dell’assedio, 1992-1995; sono colorate di rosso, il colore del sangue, e sono lì a ricordare a tutti il periodo atroce vissuto dalla Bosnia-Erzegovina. Ma prima di addentrarsi nel cuore di Sarajevo vale la pena vederla dall’alto salendo sulle Mura del Bastione Giallo o dalla Torre Avaz, l’unico grattacielo della città che regala un panorama mozzafiato. Il centro storico di Sarajevo è ricco di cose da vedere facilmente visitabili anche a piedi percorrendo l’infinità di stradine strette. Il cuore di Sarajevo si chiama Bascarsija ed era il luogo dove si teneva il mercato settimanale, da qui il nome: “bas-carsi” che in turco significa “mercato principale”. La main street, pedonale, è Ferhadija piena di negozi, caffè, ristoranti, locali di ogni tipo dove ci si può fermare per pranzare o cenare, per bere un tè o sorseggiare il famoso caffè turco oggi facente parte del Patrimonio dell’umanità dall’Unesco come bene immateriale. La sua piazza centrale è arricchita dalla Fontana Sebilj in stile moresco realizzata dall’architetto ceco Alexander Wittek, fontana che compare in quasi tutte le fotografie, cartoline e souvenir in vendita nei vari negozietti. Bascarsija è fantastica in ogni momento dell’anno e soprattutto durante il tramonto quando la luce del sole la colora di giallo ocra e prende vita grazie al canto dei muezzin. Le religioni, le Mosche, le chiese ed i musei di Sarajevo Sarajevo è ricca di moschee, chiese e musei tutti da visitare: scopri quali sono i più belli e quali non perdere. Moschee di Sarajevo La moschea più famosa e degna di nota la troviamo nel quartiere turco di Bascarsija ed è la Grande Moschea Dell’Imperatore. Costruita nel 1457 è la prima moschea costruita dopo la conquista ottomana della Bosnia. È la moschea più bella del periodo ottomano dei Balcani e venne realizzata in onore del sovrano Solimano I. È una moschea molto grande con una sola grande cupola e, grazie al rispetto che i musulmani del luogo hanno per la fede altrui, l’accesso ai turisti è consentito, basta avere un abbigliamento idoneo. Al suo interno si trovano decorazioni restaurate di recente e soffermarsi ad ammirare un’arte diversa da quella prettamente cristiano-europea fa capire un po’ più a fondo l’anima di questo popolo. Da non perdere, all’esterno, il cimitero costruito nel parco adiacente alla moschea. Dopo le guerre molti parchi vennero utilizzati per le sepolture e questo è quello più famoso di Sarajevo. Qui sono seppelliti sceicchi, mufti, personaggi famosi di Sarajevo, visir, mullah e dipendenti della moschea. Spiccano le tombe degli illustri che sono caratterizzate dalla presenza di un vistoso turbante in pietra. Anche la Bascarsija Mosque merita d’essere visitata essendo la seconda per importanza di Sarajevo e dell’intera Bosnia-Erzegovina. In Bosnia-Erzegovina coesistono due religioni: quella cristiana e l’islamismo. Vivono in armonia, nel rispetto reciproco grazie anche alla presenza di chiese sia ortodosse che cristiane. Le chiese di Sarajevo Da visitare assolutamente è la Cattedrale del Cuore di Cristo in pieno centro storico dedicata alla natività di Gesù, decorata con icone e rifinita in broccato d’oro ed oggi sede dell’arcidiocesi cattolica di Vrhbosna. Edificata tra il 1884 ed il 1899 venne in parte ricostruita dopo l’assedio; la facciata è spettacolare con i suoi mattoni che rivestono le due alte torri campanarie gemelle ed il portale centrale con il grande rosone. L’interno è maestoso grazie alla presenza dell’organo a 22 registri illuminato dalla luce che entra dalle cinque finestre in vetro artistico dell’abside. Ogni mattina si celebra una funzione religiosa e la musica sacra dei 22 registri dell’organo accoglie chiunque voglia ascoltare la funzione, cristiano o non. Uscendo dalla Cattedrale ci si imbatte sulla già citata Rosa di Sarajevo accanto alla quale la statua di Giovanni Paolo II fu realizzata per ricordare la messa che celebrò in occasione della visita in questa meravigliosa capitale europea. I musei di Sarajevo Consigliatissima è la visita al Museo del Massacro di Srebrenica-Galerija 11/07/95. Si chiama proprio così con la data inserita nel nome perché serve a ricordare sempre, ogni ora, ogni giorno ogni mese ed anno una della giornate più terribili e cruente della storia di tutta l’umanità: il Massacro di Srebrenica. Vennero uccise 8372 persone senza distinzione tra uomini, donne, anziani e bambini ma il museo non è un’esposizione infinita ed interminabile di immagini terrificanti ma è un racconto che commuove e che smuove e muove le coscienze. Le foto artistiche di Tarik Samarah esposte nel Museo vengono spiegate ed illustrate dall’audioguida e toccano il profondo dell’animo umano. Stampate in bianco e nero, volutamente, mostrano il confine tra la vita e la morte, il punto esatto in cui non esistono più le leggi umane, gli ideali, il rispetto, la pietà. Le foto delle fosse comuni, i racconti di chi ha partecipato alla riesumazione dei corpi e le interviste sono l’unico mezzo per credere che, grazie al ricordo, genocidi di questa entità non verranno mai più perpetrati. L’intento della mostra è quindi quello di portare il visitatore ad essere testimone di ciò che ha nulla di umano e non solo di essere un semplice osservatore. Altri monumenti di Sarajevo Indimenticabile da visitare è il Tunnel Spasa, chiamato anche Tunnel della Salvezza costruito dai bosniaci tra il 1992 ed il 1995 durante l’assedio. Il Tunnel collega due città libere: Dobrinja e Butmir e permetteva ai civili di salvarsi e di far arrivare cibo ed aiuti. Nelle teche che si incontrano nelle sale prime di arrivare al tunnel sono custodite le divise ed il plastico che rappresenta perfettamente l’intero tunnel lungo circa 800 metri. Oggi purtroppo solo 25 metri possono essere percorsi ma l’altezza, 1,60 metri, e la larghezza, 1 metro, sono rimaste intatte. Percorrendo i 25 metri rimasti si scatenano emozioni che non sono paragonabili a quelle che si generano visitando altri luoghi della memoria: non solo dolore ma anche la speranza di coloro che avevano la possibilità di raggiungere la salvezza. Non meno rilevante è la Biblioteca Nazionale ed Universitaria della Bosnia-Erzegovina dove purtroppo, tra il 25 ed il 26 luglio 1992, un grosso incendio distrusse gran parte del patrimonio culturale: manoscritti, incunaboli e documenti del medioevo vennero distrutti in pochi secondi. Grazie al coraggio di alcuni cittadini, che misero in pericolo le loro vite buttandosi nel fuoco, un decimo del patrimonio fu salvato. La facciata della Biblioteca in stile neo-moresco venne distrutta quasi completamente e solo nel 2014, dopo essere stato ricostruito seguendo i progetti originali, il palazzo venne ristrutturato e la Biblioteca riaperta. Oggi ospita eventi, concerti, rassegne culturali e soprattutto la mostra permanente sulla storia di Sarajevo. Il Ponte Latino di Sarajevo è stato il luogo dove Gavrilo Princip, studente serbo-bosniaco, uccise il 28 giugno 1914 l’Arciduca Francesco Ferdinando senza saper che questo atto omicida avrebbe fatto scoppiare la Seconda Guerra Mondiale. Per molti anni venne chiamato Ponte Princip ma poi tornò al suo nome originale: Ponte Latino. Il nome deriva dai discorsi in latino dei monaci cattolici che lo percorrevano per andare nei monasteri. Da qualsiasi punto di Sarajevo è possibile ammirare il Ponte che attraversa il fiume Milijacka ed è costruito in gesso con quattro arcate e tre pilastri. È il Ponte più antico di Sarajevo, distrutto e ricostruito più volte nel corso dei secoli. Visibile da ogni punto di Sarajevo, il ponte ottomano attraversa il fiume Miljacka ed è costruito in pietra e gesso con quattro arcate e ben tre robusti pilastri. Tra i ponti della città è il più antico sebbene sia stato più volte distrutto e ricostruito. Il Mercato di Sarajevo: Pijaca Markale Il Pijaca Markale è famosissimo in tutta la Bosnia-Erzegovina e sicuramente luogo di incontro e di shopping anche per i turisti. Il Mercato Pijaca è situato nel cuore del quartiere turco. Ad un lato del mercato è presente un muro rosso con una pietra incisa dove si possono leggere tutti i nomi di coloro che morirono negli attentati contro i civili. I bombardamenti nella piazza del Pijaca Markale furono due: nel ’94 dove vennero uccise 68 civili e nel 95 dove i morti furono 43. Oggi il mercato è un luogo tranquillo dove si può fare shopping in assoluta serenità e sicurezza. Nell’aria le voci, il profumo del Burek, la frutta con i suoi colori, le spezie, formaggi, salumi, dolci tipici turchi, abiti, sciarpe, scarpe e tutto ciò che questa terra offre. Cosa fare a Sarajevo: la pista da bob Sarajevo nel 1984 venne scelta come sede delle Olimpiadi Invernali. Questa fu la vera svolta per il turismo e l’economia della Bosnia: per la prima volta una città sovietica ospitava un evento di questo calibro e, con la costruzione della pista da bob nel 1984, iniziò la curva ascendente della sua economia ed il suo turismo che però durò pochi anni, fino al 1992 quando la guerra ed i suoi bombardamenti distrussero quanto era stato costruito con orgoglio, passione ed amore. A distanza di 35 anni ciò che rimane sono scheletri che i bombardamenti non sono riusciti a radere a terra. La pista da bob, costruita sul Monte Trebevic, è oggi un simbolo: il Monte Trebevic fu disseminato di mine ed i tre chilometri della pista fatta di curve paraboliche e rettilinei furono usati come postazioni delle artiglierie. da quelle curve i serbo-bosniaci bombardavano la città! Dopo la guerra gli abitanti di Sarajevo hanno cercato di abbellire la pista ormai distrutta con murales ma fortunatamente oggi è il sito più visitato soprattutto da coloro che hanno da sempre seguito i giochi olimpici in tutto il mondo. A pochi passi dalla pista si vede ancora ciò che è rimasto dell’Hotel che ospitava spettatori ed atleti e sul Monte Igman sono ancora visibili i due trampolini per il salto con gli sci: la bella fiaba finita male dei serbi. Cosa vedere in Bosnia-Erzegovina oltre a Sarajevo La Bosnia è ricca di luoghi storici e naturali da visitare; situata nel cuore dei Balcani è scrigno di paesaggi mozzafiato, villaggi e piccole città che nulla hanno da invidiare alle famose località europee. Offre ai suoi visitatori una natura rigogliosa e lussureggiante ed è la meta ideale per vacanze sportive ed avventurose. Mostar Piccola città diventata negli anni un centro estremamente turistico, Mostar è una tappa imperdibile e soprattutto la tappa strategica sulla strada dalla Croazia a Sarajevo. Mostar è famosissima per il suo bellissimo ponte distrutto nel 1993 e per il dedalo di viuzze in pietra chiara in puro stile erzegovino. Resta però una città depressa dove i segni della guerra sono più profondi che a Sarajevo e dove la dignità dei suoi abitanti ricorda al turista il dramma del suo passato. Blagaj È un eremo a pochi chilometri da Mostar da sempre importantissimo centro spirituale della Bosnia dell’Islam mistico. L’eremo di Blagaj è incastonato tra l’altissima parete di roccia scura ed il fiume ed ha sicuramente un suo profondo fascino anche se, purtroppo, circondato ormai da bancarelle che vendono souvenir, parcheggiatori abusivi e frotte di studenti turchi in gita scolastica. Pocitelj Tra il più affascinante dei paesini erzegovini: costruito interamente in pietra è abbarbicato sul fianco del colle ed offre bagni turchi, un paio di belle moschee e una lunghissima cinta di mura fortificate che abbracciano una fortezza diroccata. Il tutto avvolto da una natura incontaminata che non può non affascinare qualsiasi turista. Cascate di Kravice Offrono al turista un paesaggio fiabesco con la loro impetuosità e la loro forza. Racchiuse da una natura selvaggia ed incontaminata sono sicuramente un luogo da non perdere. Non meno scenografico il fiume nel quale le acque si tuffano, compagno silenzioso di una indimenticabile passeggiata per raggiungere Mala Kravica. La Bosnia offre quindi una natura rigogliosa e lussureggiante, offre una città, Sarajevo, ricca di arte, cultura, storia e dolore. I panorami sono di straordinaria bellezza: le gite e le escursioni a piedi sono da mozzafiato, gli sport praticabili vanno dalla mountain bike con i sentieri ed i percorsi indimenticabili, il quod bike, rafting e canoa. La Bosnia ed il suo cuore duro riescono a regalare emozioni difficili da dimenticare. https://ift.tt/39OhJTb Cosa vedere in Bosnia Erzegovina: guida completa La Bosnia Erzegovina è situata nel sud-est dell’Europa ed è famosa per i suoi paesini medievali, i fiumi, i lagni e le Alpi Dinariche. Non certo meta del turismo di massa non è un paese che attrae i viaggiatori anche se in realtà, dalla campagna alla sua capitale Sarajevo, è ricca di bellissimi paesaggi, natura incontaminata, bei palazzi, storia ed arte. Sarajevo: la storia di ieri e la realtà di oggi Sarajevo è una città multireligiosa, multietnica e culturale; un viaggio in questa città regala emozioni forti e contrastanti. Città caratterizzata da tante culture che con i propri luoghi di culto e le proprie convinzioni vivono fianco a fianco le une alle altre nel rispetto reciproco. Sarajevo ha tanti volti, tante espressioni, ferite ancora aperte che esaltano ancora di più le bellezze che offre al turista. Sarajevo vi lascia il segno. Sorge nella vallata tra le alpi Dinariche, attraversata dal fiume Miljacka si contraddistingue dalla fattura architettonica del suo centro: un anfiteatro naturale sotto il cielo. Camminando tra le sue stradine con le tipiche case in pietra a tetti spioventi si incontrano subito i segni del suo passato: le Rose di Sarajevo. Le Rose di Sarajevo, chiamate così per rendere meno doloroso il motivo della loro presenza, sono le cavità causate dai colpi di mortaio durante gli anni dell’assedio, 1992-1995; sono colorate di rosso, il colore del sangue, e sono lì a ricordare a tutti il periodo atroce vissuto dalla Bosnia-Erzegovina. Ma prima di addentrarsi nel cuore di Sarajevo vale la pena vederla dall’alto salendo sulle Mura del Bastione Giallo o dalla Torre Avaz, l’unico grattacielo della città che regala un panorama mozzafiato. Il centro storico di Sarajevo è ricco di cose da vedere facilmente visitabili anche a piedi percorrendo l’infinità di stradine strette. Il cuore di Sarajevo si chiama Bascarsija ed era il luogo dove si teneva il mercato settimanale, da qui il nome: “bas-carsi” che in turco significa “mercato principale”. La main street, pedonale, è Ferhadija piena di negozi, caffè, ristoranti, locali di ogni tipo dove ci si può fermare per pranzare o cenare, per bere un tè o sorseggiare il famoso caffè turco oggi facente parte del Patrimonio dell’umanità dall’Unesco come bene immateriale. La sua piazza centrale è arricchita dalla Fontana Sebilj in stile moresco realizzata dall’architetto ceco Alexander Wittek, fontana che compare in quasi tutte le fotografie, cartoline e souvenir in vendita nei vari negozietti. Bascarsija è fantastica in ogni momento dell’anno e soprattutto durante il tramonto quando la luce del sole la colora di giallo ocra e prende vita grazie al canto dei muezzin. Le religioni, le Mosche, le chiese ed i musei di Sarajevo Sarajevo è ricca di moschee, chiese e musei tutti da visitare: scopri quali sono i più belli e quali non perdere. Moschee di Sarajevo La moschea più famosa e degna di nota la troviamo nel quartiere turco di Bascarsija ed è la Grande Moschea Dell’Imperatore. Costruita nel 1457 è la prima moschea costruita dopo la conquista ottomana della Bosnia. È la moschea più bella del periodo ottomano dei Balcani e venne realizzata in onore del sovrano Solimano I. È una moschea molto grande con una sola grande cupola e, grazie al rispetto che i musulmani del luogo hanno per la fede altrui, l’accesso ai turisti è consentito, basta avere un abbigliamento idoneo. Al suo interno si trovano decorazioni restaurate di recente e soffermarsi ad ammirare un’arte diversa da quella prettamente cristiano-europea fa capire un po’ più a fondo l’anima di questo popolo. Da non perdere, all’esterno, il cimitero costruito nel parco adiacente alla moschea. Dopo le guerre molti parchi vennero utilizzati per le sepolture e questo è quello più famoso di Sarajevo. Qui sono seppelliti sceicchi, mufti, personaggi famosi di Sarajevo, visir, mullah e dipendenti della moschea. Spiccano le tombe degli illustri che sono caratterizzate dalla presenza di un vistoso turbante in pietra. Anche la Bascarsija Mosque merita d’essere visitata essendo la seconda per importanza di Sarajevo e dell’intera Bosnia-Erzegovina. In Bosnia-Erzegovina coesistono due religioni: quella cristiana e l’islamismo. Vivono in armonia, nel rispetto reciproco grazie anche alla presenza di chiese sia ortodosse che cristiane. Le chiese di Sarajevo Da visitare assolutamente è la Cattedrale del Cuore di Cristo in pieno centro storico dedicata alla natività di Gesù, decorata con icone e rifinita in broccato d’oro ed oggi sede dell’arcidiocesi cattolica di Vrhbosna. Edificata tra il 1884 ed il 1899 venne in parte ricostruita dopo l’assedio; la facciata è spettacolare con i suoi mattoni che rivestono le due alte torri campanarie gemelle ed il portale centrale con il grande rosone. L’interno è maestoso grazie alla presenza dell’organo a 22 registri illuminato dalla luce che entra dalle cinque finestre in vetro artistico dell’abside. Ogni mattina si celebra una funzione religiosa e la musica sacra dei 22 registri dell’organo accoglie chiunque voglia ascoltare la funzione, cristiano o non. Uscendo dalla Cattedrale ci si imbatte sulla già citata Rosa di Sarajevo accanto alla quale la statua di Giovanni Paolo II fu realizzata per ricordare la messa che celebrò in occasione della visita in questa meravigliosa capitale europea. I musei di Sarajevo Consigliatissima è la visita al Museo del Massacro di Srebrenica-Galerija 11/07/95. Si chiama proprio così con la data inserita nel nome perché serve a ricordare sempre, ogni ora, ogni giorno ogni mese ed anno una della giornate più terribili e cruente della storia di tutta l’umanità: il Massacro di Srebrenica. Vennero uccise 8372 persone senza distinzione tra uomini, donne, anziani e bambini ma il museo non è un’esposizione infinita ed interminabile di immagini terrificanti ma è un racconto che commuove e che smuove e muove le coscienze. Le foto artistiche di Tarik Samarah esposte nel Museo vengono spiegate ed illustrate dall’audioguida e toccano il profondo dell’animo umano. Stampate in bianco e nero, volutamente, mostrano il confine tra la vita e la morte, il punto esatto in cui non esistono più le leggi umane, gli ideali, il rispetto, la pietà. Le foto delle fosse comuni, i racconti di chi ha partecipato alla riesumazione dei corpi e le interviste sono l’unico mezzo per credere che, grazie al ricordo, genocidi di questa entità non verranno mai più perpetrati. L’intento della mostra è quindi quello di portare il visitatore ad essere testimone di ciò che ha nulla di umano e non solo di essere un semplice osservatore. Altri monumenti di Sarajevo Indimenticabile da visitare è il Tunnel Spasa, chiamato anche Tunnel della Salvezza costruito dai bosniaci tra il 1992 ed il 1995 durante l’assedio. Il Tunnel collega due città libere: Dobrinja e Butmir e permetteva ai civili di salvarsi e di far arrivare cibo ed aiuti. Nelle teche che si incontrano nelle sale prime di arrivare al tunnel sono custodite le divise ed il plastico che rappresenta perfettamente l’intero tunnel lungo circa 800 metri. Oggi purtroppo solo 25 metri possono essere percorsi ma l’altezza, 1,60 metri, e la larghezza, 1 metro, sono rimaste intatte. Percorrendo i 25 metri rimasti si scatenano emozioni che non sono paragonabili a quelle che si generano visitando altri luoghi della memoria: non solo dolore ma anche la speranza di coloro che avevano la possibilità di raggiungere la salvezza. Non meno rilevante è la Biblioteca Nazionale ed Universitaria della Bosnia-Erzegovina dove purtroppo, tra il 25 ed il 26 luglio 1992, un grosso incendio distrusse gran parte del patrimonio culturale: manoscritti, incunaboli e documenti del medioevo vennero distrutti in pochi secondi. Grazie al coraggio di alcuni cittadini, che misero in pericolo le loro vite buttandosi nel fuoco, un decimo del patrimonio fu salvato. La facciata della Biblioteca in stile neo-moresco venne distrutta quasi completamente e solo nel 2014, dopo essere stato ricostruito seguendo i progetti originali, il palazzo venne ristrutturato e la Biblioteca riaperta. Oggi ospita eventi, concerti, rassegne culturali e soprattutto la mostra permanente sulla storia di Sarajevo. Il Ponte Latino di Sarajevo è stato il luogo dove Gavrilo Princip, studente serbo-bosniaco, uccise il 28 giugno 1914 l’Arciduca Francesco Ferdinando senza saper che questo atto omicida avrebbe fatto scoppiare la Seconda Guerra Mondiale. Per molti anni venne chiamato Ponte Princip ma poi tornò al suo nome originale: Ponte Latino. Il nome deriva dai discorsi in latino dei monaci cattolici che lo percorrevano per andare nei monasteri. Da qualsiasi punto di Sarajevo è possibile ammirare il Ponte che attraversa il fiume Milijacka ed è costruito in gesso con quattro arcate e tre pilastri. È il Ponte più antico di Sarajevo, distrutto e ricostruito più volte nel corso dei secoli. Visibile da ogni punto di Sarajevo, il ponte ottomano attraversa il fiume Miljacka ed è costruito in pietra e gesso con quattro arcate e ben tre robusti pilastri. Tra i ponti della città è il più antico sebbene sia stato più volte distrutto e ricostruito. Il Mercato di Sarajevo: Pijaca Markale Il Pijaca Markale è famosissimo in tutta la Bosnia-Erzegovina e sicuramente luogo di incontro e di shopping anche per i turisti. Il Mercato Pijaca è situato nel cuore del quartiere turco. Ad un lato del mercato è presente un muro rosso con una pietra incisa dove si possono leggere tutti i nomi di coloro che morirono negli attentati contro i civili. I bombardamenti nella piazza del Pijaca Markale furono due: nel ’94 dove vennero uccise 68 civili e nel 95 dove i morti furono 43. Oggi il mercato è un luogo tranquillo dove si può fare shopping in assoluta serenità e sicurezza. Nell’aria le voci, il profumo del Burek, la frutta con i suoi colori, le spezie, formaggi, salumi, dolci tipici turchi, abiti, sciarpe, scarpe e tutto ciò che questa terra offre. Cosa fare a Sarajevo: la pista da bob Sarajevo nel 1984 venne scelta come sede delle Olimpiadi Invernali. Questa fu la vera svolta per il turismo e l’economia della Bosnia: per la prima volta una città sovietica ospitava un evento di questo calibro e, con la costruzione della pista da bob nel 1984, iniziò la curva ascendente della sua economia ed il suo turismo che però durò pochi anni, fino al 1992 quando la guerra ed i suoi bombardamenti distrussero quanto era stato costruito con orgoglio, passione ed amore. A distanza di 35 anni ciò che rimane sono scheletri che i bombardamenti non sono riusciti a radere a terra. La pista da bob, costruita sul Monte Trebevic, è oggi un simbolo: il Monte Trebevic fu disseminato di mine ed i tre chilometri della pista fatta di curve paraboliche e rettilinei furono usati come postazioni delle artiglierie. da quelle curve i serbo-bosniaci bombardavano la città! Dopo la guerra gli abitanti di Sarajevo hanno cercato di abbellire la pista ormai distrutta con murales ma fortunatamente oggi è il sito più visitato soprattutto da coloro che hanno da sempre seguito i giochi olimpici in tutto il mondo. A pochi passi dalla pista si vede ancora ciò che è rimasto dell’Hotel che ospitava spettatori ed atleti e sul Monte Igman sono ancora visibili i due trampolini per il salto con gli sci: la bella fiaba finita male dei serbi. Cosa vedere in Bosnia-Erzegovina oltre a Sarajevo La Bosnia è ricca di luoghi storici e naturali da visitare; situata nel cuore dei Balcani è scrigno di paesaggi mozzafiato, villaggi e piccole città che nulla hanno da invidiare alle famose località europee. Offre ai suoi visitatori una natura rigogliosa e lussureggiante ed è la meta ideale per vacanze sportive ed avventurose. Mostar Piccola città diventata negli anni un centro estremamente turistico, Mostar è una tappa imperdibile e soprattutto la tappa strategica sulla strada dalla Croazia a Sarajevo. Mostar è famosissima per il suo bellissimo ponte distrutto nel 1993 e per il dedalo di viuzze in pietra chiara in puro stile erzegovino. Resta però una città depressa dove i segni della guerra sono più profondi che a Sarajevo e dove la dignità dei suoi abitanti ricorda al turista il dramma del suo passato. Blagaj È un eremo a pochi chilometri da Mostar da sempre importantissimo centro spirituale della Bosnia dell’Islam mistico. L’eremo di Blagaj è incastonato tra l’altissima parete di roccia scura ed il fiume ed ha sicuramente un suo profondo fascino anche se, purtroppo, circondato ormai da bancarelle che vendono souvenir, parcheggiatori abusivi e frotte di studenti turchi in gita scolastica. Pocitelj Tra il più affascinante dei paesini erzegovini: costruito interamente in pietra è abbarbicato sul fianco del colle ed offre bagni turchi, un paio di belle moschee e una lunghissima cinta di mura fortificate che abbracciano una fortezza diroccata. Il tutto avvolto da una natura incontaminata che non può non affascinare qualsiasi turista. Cascate di Kravice Offrono al turista un paesaggio fiabesco con la loro impetuosità e la loro forza. Racchiuse da una natura selvaggia ed incontaminata sono sicuramente un luogo da non perdere. Non meno scenografico il fiume nel quale le acque si tuffano, compagno silenzioso di una indimenticabile passeggiata per raggiungere Mala Kravica. La Bosnia offre quindi una natura rigogliosa e lussureggiante, offre una città, Sarajevo, ricca di arte, cultura, storia e dolore. I panorami sono di straordinaria bellezza: le gite e le escursioni a piedi sono da mozzafiato, gli sport praticabili vanno dalla mountain bike con i sentieri ed i percorsi indimenticabili, il quod bike, rafting e canoa. La Bosnia ed il suo cuore duro riescono a regalare emozioni difficili da dimenticare. La Bosnia, grazie al suo ricco patrimonio culturale e naturalistico, a cominciare dalla città di Sarajevo, è l’ideale per un viaggio culturale.
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eventiarmonici · 7 years ago
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Theopa, l’espressionismo surreale della società consumista
Pasquale Di Matteo, in arte THEOPA, è un creativo che cerca di trasmettere i risvolti dell’evoluzione sociale attraverso la sua espressività, raccontando le ingiustizie sempre più profonde create dall’evoluzione del progresso.
di Pasquale Di Matteo
Sono sempre stato attirato dall’arte, fin dalle scuole medie, quando composi la mia prima melodia con il flauto e cominciai a intuire che con la matita avevo qualche chance di evidenziare su un foglio ciò che vedevo.
Poi, a vent’anni vinsi un concorso per cantautori ed ebbi un contratto discografico con una piccola etichetta di Pistoia.
Fu allora che cominciai a scoprire i paesaggi magnifici della Toscana e dell’Umbria, a conoscere persone diverse, a sentire storie che trascendevano dalla mia quotidianità, dalla normalità di un ragazzo di provincia a cui le nebbie della Pianura Padana calzavano strette.
Mi resi conto del fatto che la nostra società sia un acquario, dove i pesci grandi si cibano di quelli più piccoli, in cui se sei uno degli ultimi o difendi chi sta ai margini, finisci per diventare cibo per chi cerca, invece, di emergere.
I miei testi si sono fatti sempre più prepotenti contro la società consumista, sempre più contrari alle élite e, forse anche per questo, la mia musica è diventata meno commerciale, perciò poco spendibile in un mercato discografico di divi da canzonette da pianobar e di du, du du, da, da da…
Non ho mai smesso di suonare e di comporre, perché l’arte si differenzia dal mestiere proprio perché la prima non necessita di un profitto per schizzare via dalla pelle e manifestarsi, ma ho anche cominciato un percorso che mi ha sempre più avvicinato al mondo figurativo, un mondo in cui la mia anima sentiva come proprio tutto quello spazio di colori ed emozioni.
Ho cominciato a immortalare immagini di donne, disegnandole a matite colorate e pastelli, privilegiando il mondo femminile proprio perché il sesso debole è considerato la parte più umana della società, quella più indifesa, ma anche il lato più riflessivo e carico di buoni propositi.
In un secondo momento, la mia espressività ha preteso spazi più ampi, in modo da declinare temi ancora più profondi, attraverso pennellate di acrilico sulla tela, come in “L’INGANNO DEL PROGRESSO”, in cui la donna rappresenta il lato indifeso della società, in balia dei media e della tecnologia, ma anche di oggetti costosi che stuzzicano i desideri con i loro luccichii ammalianti.
L’Inganno del Progresso, 2018. Acrilico su tela 90×65
Eppure, sia la tecnologia, sia gli oggetti costosi, sono destinati a deperire con il tempo, rivelandosi ben al di sotto del valore che siamo soliti attribuire al denaro e a ciò che necessita di molti soldi per diventare di nostra proprietà.
Tuttavia, la televisione rotta è anche la manifestazione di un tempo in cui le masse vengono indottrinate da questo strumento, che, in fondo, è il più grande potere di cui dispongono le élite, infatti sempre più preoccupate dai Social, perché non possono controllarli come avviene, invece, con le TV.
Una TV che ci riempie le giornate con scene catturate da un mondo che, in realtà, non esiste, un mondo fatto di futili problemi di indici delle borse, di dati ISTAT e di problemi occupazionali, ma che solo marginalmente ci permette di osservare che i due terzi del pianeta sono teatri di guerre, spesso violente e apocalittiche, come quella in Siria, per esempio.
Grovigli Umani, 2018. Acrilico su tela 80×60
Guerre di cui le élite non possono permettere racconti approfonditi, perché altrimenti si scoprirebbe che molti eroi della finanza occidentale fanno quattrini vendendo armi alle fazioni in lotta, spesso a entrambi, dimostrando una bassezza che sfiora il nulla più assoluto, al di sotto delle belve.
In “GROVIGLI UMANI”, le macerie si mescolano al materiale schizzato via dalle bombe, miscelando sangue, cemento, fuoco e volti umani, perché, in fondo, nelle guerre le persone diventano cose, oggetti, materiale che si scioglie, che si distrugge, che si sbriciola tra le schegge delle armi del progresso, dove un uomo, una donna e persino i bambini non sono altro che figure prive di corpo e di materia, lontane anni luce dai nostri miseri problemi.
D’altronde, noi siamo imbambolati, probabilmente impauriti di perdere quel poco che abbiamo, anche quando rasenta lo zero, preoccupati di inseguire quelli che valutiamo essere eroi solo perché guidano un’auto più costosa della nostra, si permettono vini pregiati e indossano abiti firmati.
E dimentichiamo che, nella maggior parte dei casi, questi eroi sono i protagonisti di gesti eclatanti quando vengono messi alle strette, quando per diversi motivi perdono tutto.
Le cronache di questi ultimi anni, infatti, ci hanno dimostrato che, durante la crisi economica, si sono registrati casi di suicidio più tra industriali di successo finiti sul lastrico che tra dipendenti senza lavoro, benché la logica portasse a credere il contrario.
Il fatto è che, per chi ha il vuoto dentro, il soldo è come una droga, senza la quale manca persino l’aria, soprattutto perché ti incancrenisce i sentimenti, fino ad arrivare a giudicare gli altri secondo il gonfiore del portafogli.
Identità senza Spessore, 2018. Acrilico su tela 90×65
E quando il proprio si sgonfia, ecco che tali eroi sono portati a credere che tutti li valutino come essi hanno sempre giudicato il mondo che li circondava, perciò, dall’alto del loro ridicolo spessore culturale, riempito solo dagli abiti e dalla maschera del personaggio che interpretavano, decidono di farla finita, non avendo altro e non essendo altro.
In “IDENTITA’ SENZA SPESSORE”, due figure di genere non specificatamente definito si inseguono, la prima con la mente focalizzata sui desideri del lusso e della mondanità offerta da una vita da “eroi”, dal denaro, da una barca; indietro, invece, il manichino senza volto, una cosa che non è persona e che, forse, prova invidia per chi lo precede.
Ma, in un mondo in cui tutti cercano di indossare la migliore maschera sul mercato per potersi sentire qualcuno, dove tutti recitano un ruolo, sperando di far carriera, fino a vestire i panni del protagonista, è probabile che il manichino sia alla fine l’unico capace di restare se stesso, in un mondo occidentale in cui prosperano le identità prive di spessore.
Quindi, il manichino, pur non essendo umano, risulta più persona di chi lo precede.
Tutto a causa di una società in cui se non hai uno stipendio risulti un difetto sociale, a prescindere dal motivo, in cui persino i sentimenti vengono messi in secondo piano rispetto alla produzione, facendo credere alle masse belanti che chi non produce ricchezza meriti di restare ai margini, dimenticandosi di specificare che la ricchezza, ovviamente, riguarda solo le élite ai posti di comando.
Tra le Nebbie dell’Amore, 2018. Acrilico su tela 90×65
In “TRA LE NEBBIE DELL’AMORE”, infatti, la donna sorride, innamorata, ma l’amore è comunque una condizione di sfavore nella competizione sul posto di lavoro, quindi si vive spesso avvolti dalle nebbie, disorientati tra l’inseguire le masse e gli eroi della società consumista, uniformandosi agli stereotipi sbattuti in faccia dalla televisione, o scegliere le strade dei valori di un tempo, dell’amore e della famiglia, sempre più vilipesi dalle imperanti regole del progresso e del turbo capitalismo.
Il mio lavoro di questi mesi è focalizzato su questi temi e confido di ultimare il discorso a breve, quando sarò pronto a presentare una mostra su tali tematiche, magari invitando anche altri artisti che volessero contribuire con la loro arte a dare ancora più enfasi a questo messaggio.
Per informazioni e per collaborazioni: [email protected] , oppure, [email protected]
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THEOPA, L’ESPRESSIONISMO SURREALE DELLA SOCIETA’ CONSUMISTA Theopa, l’espressionismo surreale della società consumista Pasquale Di Matteo, in arte THEOPA, è un creativo che cerca di trasmettere i risvolti dell’evoluzione sociale attraverso la sua espressività, raccontando le ingiustizie sempre più profonde create dall’evoluzione del progresso.
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salentipico-blog · 7 years ago
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Lo Stato Sociale e Baustelle saranno gli ospiti principali della quarta edizione del So What Festival che sabato 12 e domenica 13 agosto si terrà nel Piazzale dell’ex Convento degli Agostiniani di Melpignano, in provincia di Lecce. Il So What è un festival di musica indipendente, crocevia di culture ed emozioni. È una grande festa che ospita artisti distanti da schemi mainstream e un’opportunità per artisti emergenti. Nel corso delle prime tre edizioni ha accolto, tra gli altri,Alessandro Mannarino, Post Csi, Uochi Toki, The Skatalites, 99 Posse, Panda Dub, Assalti Frontali, Iseo & DodoSound, Dj Gruff, Almamegretta.
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Il festival prenderà il via sabato 12 agosto (15 euro + 2 dp – biglietti disponibili nel circuito BookingShow) con Lo Stato Sociale. La band, a due anni di distanza dal precedente “L’Italia peggiore”, torna con “Amore, lavoro e altri miti da sfatare” prodotto da Garrincha Dischi in licenza per Universal Music Italia. “Il disco parla di noi e di quello che ci succede attorno”, spiega la band bolognese formata da Alberto Cazzola, Francesco Draicchio, Ludovico Guenzi, Alberto Guidetti ed Enrico Roberto. In apertura Maffei, nuovo progetto del brindisino Marco Maffei che incarna la figura del moderno cantastorie a cavallo tra la realtà cittadine, i social network, le ex fidanzate, i bicchieri di troppo e le mille sigarette; la cantautrice Cristiana Verardo, con i brani del suo disco d’esordio “La mia voce”; La Municipàl, progetto di pop d’autore dei fratelli Carmine e Isabella Tundo che, dopo alcuni singoli prodotti e lanciati sulla rete, hanno prodotto il cd “Le nostre Guerre Perdute”.
Domenica 13 agosto (ingresso 25 euro + 3 dp – biglietti disponibili nel circuito BookingShow) atteso concerto dei Baustelle per l’unica data estiva in Puglia. La band composta da Francesco Bianconi (voce, chitarre, tastiere), Claudio Brasini (chitarre) e Rachele Bastreghi (voce, tastiere, percussioni) sarà affiancata sul palco da Ettore Bianconi (elettronica e tastiere), Sebastiano De Gennaro (percussioni), Alessandro Maiorino (basso), Diego Palazzo (tastiere) e Andrea Faccioli (chitarre). “L’amore e la violenza” è il settimo album firmato dai Baustelle, uscito a gennaio 2017 per Warner Music Italia. Prima della band toscana spazio a La Scapigliatura, progetto dei fratelli cremonesi Jacopo e Niccolò Bodini, autori dell’omonimo album vincitore della Targa Tenco 2015 come Migliore Opera Prima. In apertura i salentini Noon, un progetto che, ispirandosi  a  gruppi  come Radiohead, Sigur  Ròs, Daughter, Kula  Shaker,  cerca  di  proporre  le  sonorità rarefatte  e  le rilassanti  caratteristiche  della  musica  nordeuropea,  dando  loro  una  veste  nuova  filtrata  dalla tradizione musicale italiana.
Il Festival avrà anche due “anteprime“. Domenica 30 luglio nell’Ex Tabacchificio di Melpignano presentazione e proiezione di Mingong di Davide Crudetti, reporter per varie testate giornalistiche. Il film nasce dal viaggio realizzato in Cinanel 2015 nell’ambito del progetto FuoriRotta. Il film è un viaggio alla ricerca dei milioni di cinesi che dalle campagne dell’interno si riversano nelle megalopoli costiere. Dalla megalopoli di Guangzhou, tredici milioni di abitanti, fino al villaggio di Dimen, alla ricerca di chi lascia genitori e figli e parte per la città. Venerdì 4 agosto nelle acque tra Castro Marina e Santa Cesarea Terme, una barca di 24 metri ospiterà un aperitivo musicale per 60 persone. Una ricompensa speciale per chi ha deciso di sostenere la campagna di CrowdFunding del Festival.
Il So What Festival, un festival a zero barriere architettoniche (consigliato anche dall’associazione Luca Coscioni) che prosegue il suo impegno contro la costruzione del gasdotto Tap, è organizzato dall’Associazione culturale Altatensione con il patrocinio del Comune di Melpignano in collaborazione con Coolclub, TTevents, Molly Arts e Sud Est Indipendente.
Inizio concerti ore 21.30 Area Concerti – Largo ex Convento degli Agostiniani, Melpignano (Le) Prevendite circuito BookingShow
Info [email protected] www.facebook.com/sowhatfest
“Lo Stato Sociale” “Baustelle” per il So What Festival a Melpignano Lo Stato Sociale e Baustelle saranno gli ospiti principali della quarta edizione del So What Festival che sabato 12 e domenica 13 agosto si terrà nel Piazzale dell'ex Convento degli Agostiniani di Melpignano, in provincia di Lecce.
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pangeanews · 5 years ago
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“L’ultima pagina si scrive in ginocchio”: Francesco Biamonti, tra Corto Maltese e Pascal
Nel sistema mistico, egli è l’occhio di Dio che si chiude, stagiona tra le ciglia del divino che si ritira in sé, tzimtzum diceva Isacco Luria, la contrazione, l’Uno che riflette se stesso, che si mangia, forse, dando al creato folgore di eccedenza, di illusione. “La lingua è un oggetto sacro che riflette anche la riflessione su se stessi, più che sulle cose”, diceva. Bisogna andare lassù, a San Biagio della Cima, raspare la luce in scaglie, salina, dove Nostra Signora dei Dolori si onora agitando i rami d’ulivo, lingue d’argento che inneggiano all’uomo primordiale, angelo e lucertola, per capire la Cabbala – tutto ciò che è ora è per l’eternità – e l’opera di Francesco Biamonti.
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Fu uno – l’altro era Alessandro Spina – con cui desiderai parlare: ma la Liguria è una cicatrice sul fianco della tigre originaria, impone solidità, schiettezza, silenzio. Biamonti parlava a gesti, accennava a verità risapute – ma ormai dimenticate – roso dalla malinconia per le vite anteriori – sembrava aver vissuto Pangea, e le sue pupille rispondevano con evidenza di quarzo. La storia di Biamonti è incardinata lì, in quei borghi rudi, sopra il mare, in vertigine verticale, roccaforti costruite con prestigio marmoreo da trapezista, al confine con la Francia, alieni al fervore turistico, radicati alla terra, fino a farne idolo. Parla di passeur la sua opera: di quelli che non sono di qui né di là, allevati al confine, in perpetuo espatrio – soprattutto, adatti a sconfinare nel regno dei morti. E il mare, quando lo si varca, per lite tellurica, è il limbo azzurro, un lembo di gloria, fatica alla resurrezione. Ecco: l’opera di Biamonti mi pareva una sintesi tra Corto Maltese e Pascal; fosse americano, per quel suo istinto al territorio, anticonformista, l’avrebbero ricoperto di Pulitzer – e lui li avrebbe rifiutati, uno a uno, severo, come la notte in quel gorgo di Liguria, chiodata di stelle e vipere che chiacchierano.
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Con un libro, Attesa sul mare, Biamonti fu eletto nella cinquina del Campiello: c’entrava nulla, lui, tra gli altri, Alberto Arbasino (era lì con Fratelli d’Italia), Giuseppe Pontiggia, Margaret Mazzantini. Per la cronaca, la vittoria assoluta andò a Tabucchi, con Sostiene Pereira. Aveva esordito, pluricinquantenne – avida classe 1928, sul confine di due guerre –, dieci anni prima, con L’angelo di Avrigue. Italo Calvino, che l’aveva scoperto, parlava di “voce grave e pausata, con una naturale propensione per i toni lirici e sospesi” e le “parole vere e insolite e precise”. Era la storia, quella, di gente sconfinata, la cui solitudine, appunto, non è abominio ma tono angelico: e le donne appaiono, con nomi babilonesi, feroci e divinizzate, come evocazioni d’astro. “Una luce radente spianava il mare e lo sollevava nelle insenature; anche al largo esso si alzava sino a cozzare contro il cielo. Un altro mare, d’ombra, scendeva dalle catene montuose… La mente è imprevedibile, e stasera era alle terre che s’abbarbicava il suo sogno… La fredda sera si prolungava su una sorta di terra-grembo”. Giovane mai inquadrato, Biamonti, di vagabondaggi spagnoli, francesi; fu per un pezzo bibliotecario all’Aprosiana, Ventimiglia – e questo mi ricorda l’altro scrittore-bibliotecario italiano, Piero Meldini. Ammaccato di pudore, come chi sa che non si invecchia guardando le cose. “Frequentava i caffè e i locali della Riviera meno affollati, dove raccoglieva storie di varia umanità, contrassegnate dalla paura, dall’indolenza, da un’indefinibile angoscia: brandelli di vita vissuta che poi ricuciva nei suoi romanzi attraverso impasti cromatici e bagni di luce che rivelano in lui una non comune conoscenza pittorica, corroborata dall’amicizia e dalla frequentazione di Ennio Morlotti e di altri artisti non meno qualificati”, scrive di lui Francesco Improta in un sito che gli è dedicato, ma è fermo al 2015, come un rifugio roso dall’edera.
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Pezzi di fuoco che si possono afferrare – quando scoprii Biamonti (per un tratto ho frequentato Bordighera), lo leggevo centellinando le pagine, come si svolge un rito e delle parole bisogna ambire al sentore ferreo. Tentarono di farne un autore di culto – di fatto, pare un Cormac McCarthy di Liguria – senza riuscirsi. Biamonti non ammette altra liturgia che il disincanto: i suoi libri, pochi e straordinari, in catalogo Einaudi, non sono più ristampati dal 2014 (Le parole la notte, in origine 1998, l’ultimo romanzo di una vita spentasi nel 2001), che è come dire dannare all’oblio uno scrittore. La raccolta Scritti e parlati, introdotta da Sergio Givone (Einaudi, 2008) risulta esaurita, alla faccia dell’enfasi (“Oltre trent’anni di scrittura – e d’idee, di pensieri, di emozioni – raccolti in un libro-ritratto”), ed è un peccato. Lì Biamonti parla dei suoi grandi, della “musica da sfacelo” di Céline, “mendicante fuori del tempo” – in un articolo pubblicato su il Giornale, il 17 novembre 1991 – della fratellanza con Julien Gracq, di Paul Valéry, “il più oscuro e limpido dei poeti”, dell’“arte scheggiata” di René Char, di Faulkner (“Faulkner diceva che ogni pagina è un disastro, e che più bella è la pagina più grande è il disastro. Per me scrivere è un disastro luminoso”). “Nella vita c’è sempre una mutilazione”, scrive in una Breve nota autobiografica; in un testo sulla scrittura, del 1994, “Si scrive dal fondo di una prigione ideale, a cui si affacciano rari volti amici. Scrivere non è un colloquio, ma un soliloquio. Le ultime pagine di un testo di fantasia si scrivono quasi in ginocchio”. Tra stare in ginocchio e mutilazione, i libri di Biamonti, breviario del mondo avverso, un valico.
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“Uscirono dal monastero. Il sentiero scricchiolava senza svegliare il bosco che dormiva. L’isola era attraversata da un’aria pura. Sabèl camminava lentamente e s’era lasciata distanziare. Pensava al teschio sulla sabbia nella cappella, ai muri spogli del monastero, al cielo che continuava il mare. Sentiva una nostalgia che andava al di là degli uomini”. Vento largo (1991) è libro di un centinaio di pagine, fragile come un riflesso di luce su un vetro colorato. Qui ci si chiede quanta nostalgia abbia Dio del Giardino e di quel legame fulgido con l’uomo prima di essere uomo.
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“Aspettarono un racconto invano, seduti assurdamente per terra. E tornarono indietro, delusi di non aver avuto il coraggio di proseguire e affrontare il buio”. Le storie si raccolgono dalla terra, afferrando il lembo del buio: Biamonti come una tela di Nicolas De Staël, di allucinata nitidezza, sulla soglia del segreto. Pare perfino ovvio che ci si dimentichi di Biamonti, scrittore per rari, che diceva, con la stellata dedizione di un dio di pietra, “Mi piace non dire niente; io sono da cancellare; la mia vita non conta nulla; i miei natali non hanno importanza; il mio paese è insignificante”. Una tortura di negazioni fa un regno. Bianco su bianco è la materia verbale di Biamonti: quello che resta è la visione ultima. Lampeggia, è salina, un dio avvolto in spirale, al crocevia della prossima alba. (d.b.)
  L'articolo “L’ultima pagina si scrive in ginocchio”: Francesco Biamonti, tra Corto Maltese e Pascal proviene da Pangea.
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