#Monsignor Eros Monti
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tremaghi · 1 month ago
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Un libro dedicato al Domenichino del Sacro Monte di Varese. La presentazione e il suo ricordo in Basilica di San Vittore
Penso di non sbagliarmi nel pensare che il libro “DOMENICHINO del Sacro Monte di Varese“, scritto dall’amica Carla Tocchetti ed edito da Pietro Macchine Editore, sia stato concepito la sera del 10 aprile 2024 quando nella magnifica e gremita Chiesetta dell’Immacolata Concezione, che precede il Viale delle Cappelle del Sacro Monte di Varese, si è tenuto l’evento “Riscopriamo il Domenichino” a cura…
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sciatu · 5 years ago
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SAVOCA - FESTA DI SANTA LUCIA
SICILIA  ESOTERIA - L’ABBAZIA DI THELEMA
Il sole era ormai sceso fin dietro le cime dei monti e le ombre stavano calando sulla festa di Santa Lucia a Savoca. Affrettai il passo perché non avevo molto tempo. La Moglie, che seguiva la festa con mia figlia e il suo fidanzato, era andata verso la chiesa collocata sulla salita che portava ai ruderi del castello normanno. Era la stessa chiesa che era apparsa nel film il Padrino insieme all’improbabile Bar Vitiello posto all’incrocio delle strade che dal mare salivano fino a Savoca. Io stavo andando dalla parte opposta, verso il convento dei Cappuccini e arrivatovi bussai alla porta. Una finestrella si aprì dopo quasi un minuto che aspettavo. “Cu jè” fecero due occhi da furetto che occuparono in diagonale la finestrella “Devo vedere Padre Francesco “ “Nu c’è – rispose velocemente la voce – sinni iju” Io presi la lettera che portavo nel borsello e gli mostrai il timbro che il mio amico Don Nino aveva fatto qualche giorno prima con il suo anello da monsignore “Devo parlargli – insistetti – due minuti” aggiunsi per farmi perdonare quella intrusione in un giorno di festa d’agosto. I due occhi guardarono il sigillo e sentii lo scatto metallico di una serratura “Trasissi” dissero velocemente i due occhi diventarono, aperta la porta, la schiena di un piccolo frate che si muoveva velocemente verso l’interno del convento. Passammo quasi di corsa una grande stanza e quindi ci incamminammo in un lungo corridoio alla cui fine salimmo delle ripide scale per arrivare di fronte ad una porta di legno scuro che il piccolo frate apri con una grande chiave. Di nuovo a passo accelerato entrò in un corridoio buio dove la poca luce del tramonto arrivava a stento dalle finestre socchiuse. Improvvisamente il piccolo frate entrò in una piccola stanza dalle pareti scure. Su un lato vi era un crocifisso con una piccola candela che lo illuminava alla base e dalla parte opposta una porta non più grande del frate. Lui si avvicinò e presa una delle tante chiave che gli pendevano dal cordone l’aprì. “Trasissi” ripeté mettendosi di lato con l’evidente intenzione di non entrare Fu allora che mi accorsi che sugli stipiti della porta che stavo per attraversare e sulla porta stessa erano appesi numerosi crocifissi di legno e rosari come ex voto lasciati all’ingresso di un santuario. O forse erano lì per tenere il più lontano possibile il Male. Entrai con qualche esitazione e vidi che vi era una specie di cappelletta con un piccolo altare, un inginocchiatoio e diverse candele collocate sul lato opposto dell’inginocchiatoio. Guardai dietro di me il piccolo frate che invece era rimasto dove era. Lui mi fece un cenno con il capo di proseguire verso una porta che dava sul lato opposto e risolutamente chiuse la porta dietro cui era dando diverse mandate di catenaccio. Mi avvicinai alla porta e l’aprii. Avevo di fronte un lungo corridoio dove le finestre sembravano ricavate dagli spalti di un castello coperte di pesanti lastre di vetro. In fondo al corridoio vidi un frate che passeggiava con in mano un libro. Mi incamminai verso di lui e notai che in mano non aveva un libro o un breviario ma un fumetto di Mister No. Era un frate alto e magro, con il volto scavato e due occhi neri sotto un paio di sopracciglia cespugliose e nere che contrastavano con la barba grigia. Tra lunghe dita da pianista stringeva il fumetto che osservava quasi lo studiasse. Mi avvicinai esitando a causa del fumetto e solo quando gli fui vicino lui si accorse di me. Mi guardò sorpreso ed io chiesi tutto di un fiato “Buonasera padre, sono un amico di monsignore don Nino, cercavo fra Francesco ….” Lui mi guardò girando di lato il volto e socchiudendo gli occhi quasi a cercare di capire chi e cosa fossi veramente. “Sono io” disse sibillinamente, Finalmente avevo di fronte il grande Esorcista dell’Arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela.
Qualche mese prima della mia salita a Savoca, in una RSA dove era ricoverato il nostro amico Beppe, avevo ritrovato anche lui in visita il mio amico Nino, che chiamavamo monsignore fin da quando aveva dato i voti senza immaginare che sarebbe diventato veramente un personaggio importante tra gli alti prelati di Messina. Quando le infermiere vennero a prendere Beppe per un esame, restammo a parlare. Ad un certo punto mi ricordai della richiesta di @malefica67 sulla Sicilia Esoterica e decisi di parlarne con lui. Quando gli accennai all’esoterismo lui mi guardò sconcertato “Ma tu sei il cantore della ricotta nei cannoli, il vate della pasta alla norma cu ti potta nta sti rotoli scassi?” “Mi ricordo di tutti gli scongiuri, dei riti per cacciare il malocchio che si faceva al paese – gli risposi - Sono cose che riguardano in un modo o nell’altro la nostra cultura, anche se abbiamo paura a parlarne perché è il nostro lato nascosto” “ma sono cose folcloristiche da lasciare stare” “la paura del male non può essere solo folclore, qualcosa in cui riassumiamo quello che non conosciamo o capiamo: parlarne può aiutarci a capire. Poi non penso che il diavolo sia li a pensare a noi” “Perché tu sai cosa pensa il diavolo?” “No, ma….” Lui fece un sorriso triste e amareggiato. Beppe tornò dagli esami che doveva fare e parlammo con lui delle solite cose. Finito il tempo delle visite, mi avviai con Nino verso l’uscita. Arrivammo di fronte alla stanza dove stavano le infermiere e mi chiese di fermarci. Si rivolse alle infermiere cercando un pezzo di carta ed una penna. Pensai che si stesse prendendo un appunto per il giorno dopo visto che era sempre preso con la Caritas e la diocesi. Lui piegò il foglio su cui aveva scritto poche righe, gli diede una forma di busta, la sigillò con un pezzo di  cerotto, poi bagnando il suo anello in un batuffolo di cotone imbevuto di mercurio-cromo lo pigiò contro un lato della busta. “Appena puoi – mi disse serio – vai al convento dei Cappuccini di Savoca. Cerca padre Francesco. Ti diranno che non c’è, allora tu mostra questo foglio e ti faranno entrare” Curioso guardai il foglio tra le mie mani non capendo “Perché devo vedere padre Francesco?” “Tu non sai cosa pensa il diavolo, padre Francesco ti può aiutare a capire: lui è l’ esorcista della diocesi: il diavolo, lo ha visto più di una volta.” “Ma io non so…” feci esitante con l’impressione che avevo involontariamente infranto il sigillo del vaso di Pandora. Nino mi guardò sorridendo “Una tua amica ti chiede una cosa e tu ti avventuri in una storia più grande di te! Non sei curioso di sapere perché tutto questo accade? O è questione di congiunzione astrale o è questione del male che tenta e seduce! Non puoi esitare: nel momento in cui tu chiedi del diavolo, lui diventa curioso di te ed incomincia a seguirti! Devi capire ed essere pronto!” Pensai alla sensazione che avevo avuto quando avevo lasciato a Madam Effie al cimitero di Messina, La sensazione che qualcuno mi seguisse anche se per strada mi vedevo solo. Uscimmo dall’ospedale e ci salutammo. Per strada sentii un brivido lungo la schiena. Aveva ragione Nino! Perché mi ero avventurato in queste cose? io ero uno da stupide rime e sciocchi versi: chi mi stava portando su un'altra strada? Decisi di lasciare stare. Lasciai il foglio di carta di Nino nel borsello per un sacco di tempo e quando incontrai di nuovo Nino non affrontai l’argomento, ne lui chiese dettagli. Il fidanzato di mia figlia, un ragazzone alto e biondo, la venne a trovare. Per onore di ospitalità lo portavamo in giro per fargli conoscere ed apprezzare la Sicilia. Fu La Moglie a proporre di salire a Savoca. Non so da dove le era venuta l’idea. Qualcuno dal parrucchiere le aveva parlato della festa di Savoca, quella dove c’era una bambina che rappresentava Santa Lucia, dei soldati romani, un diavolo saltellante che voleva uccidere Santa Lucia e tutto nel mezzo delle rovine normanne e dei luoghi dove si era girato il film Padrino. La Moglie, visto i tanti commenti delle sue amiche dal parrucchiere, aveva deciso che dovevamo andare a vedere la festa ed eravamo saliti nel piccolo paesino. Ad un certo punto della festa mi ero ritrovato solo e, scorgendo il cartello che indicava la direzione del convento, decisi improvvisamente di andare dai Cappuccini, convinto che, non essendo molto distante dal luogo dove la purezza della bambina difendeva l’umanità dal diavolo, non poteva succedere niente di strano.
Quando padre Francesco finì di leggere le poche righe che Nino aveva scritto dissi con una certa esitazione “ Ecco, … don Nino mi ha detto che lei ha visto il diavolo” chiesi esitante a Fra Francesco che aveva messo il foglio scritto da Nino nel mezzo del fumetto a segnare dove era arrivato a leggere. Lui sorrise. Chiuse il fumetto e si sedette su un parapetto dell’ultima finestra del corridoio. “Sicuro molte volte. Come l’avrà visto anche lei!” “In che senso?” “Lei non ha mai visto qualcuno vestito bene, che le diceva che lei è migliore di altri, che se lo ascoltava l’avrebbe fatto diventare una persona importante, che gli altri volevano defraudarlo dei suoi santi diritti e che bastava mettere una croce su una scheda, o inginocchiarsi ad adorarlo, o pagare un pizzo, o fare quello che lui diceva, per riprendere il suo legittimo posto al di sopra di tutti, perché lei è simile a Dio, ha un diritto che gli altri non  hanno, è migliore, viene prima di tutti gli altri, perché gli altri sono dei diversi, degli straccioni che rubano, uccidono, stuprano, mentre lei a tutto questo e a tutti è superiore, è al di fuori delle regole ordinarie. Non ha mai incontrato nessuno che le parlava così? Come il serpente parlò ad Eva, o il diavolo a Gesù nelle tentazioni del deserto” Non so perché ma in testa mi apparvero diversi politici e qualche conoscente a cui bisognava baciare le mani per avere un favore… “Ma… forse….” “La realtà è che noi abbiamo un idea del male che è iconografica, ma non sappiamo riparametrarlo ai tempi odierni e Lui questo lo sa e astutamente ne approfitta.” “Ecco ma, qui … in Sicilia…. mi sembra difficile che possa avere seguito… con tutta la fede, le feste religiose, tutte le chiese che ci sono….” Padre Francesco sorrise scuotendo la testa. “Lei lo sa che quando in Europa i templari furono scomunicati e imprigionati come eretici, i templari siciliani semplicemente scomparvero. Da che c’erano a che non c’erano più. Eppure le loro chiese erano ovunque: sul piano di Agrimusco, nelle grandi città, nei porti. Dove erano finiti?” Mi guardò sorridendo e continuò “Si erano semplicemente trasformati. In Sicilia è semplice trasformarsi, diventare dei camaleonti e mimetizzarsi con la società siciliana, così conformista e tradizionale. Pensi alla massoneria che all’arrivò di Garibaldi lo accolse con grandi onori anche se fino a quel momento non appariva perché nascosta nei salotti dei gattopardi di allora, pensi alla mafia, pensi al potere politico che dalla mafia è usato. Nessuno, sa, nessuno vede e nel momento che nessuno sa e vede, il male diventa padrone. Lei sa bene che in Sicilia vi sono apparenze che servono solo a nascondere il reale e che danno potere al Male” “Si ma ….” stavo per ribattere. Lui mi fece cenno di tacere e guardò la porta da cui ero venuto per qualche secondo come a vedere delle cose che io non scorgevo ma che erano li, dietro la porta. Dopo qualche secondo si girò verso di me come se nulla di quanto aveva scorto fosse importante. “Lei ha mai sentito parlare dell’Abbazia di Thelema, la chiesa satanica di Cefalù?” Sbattei gli occhi sorpreso dalla domanda e feci cenno di no. “Ha mai sentito parlare di Aleister Crowley che si autodefiniva, come scritto nell’ Apocalisse, la Bestia-666?” “Mi ricordo che ho letto questo nome in qualche testo di una canzone di Ozzy Osbourne o di David Bowie, e credo che qualcuno dei Led Zeppelin ne fosse ossessionato mi sembra” Padre Francesco sorrise “Lo vede? Vengono dagli Stati Uniti satanisti e ammiratori di Crowley a vedere o a studiare i resti dell’abbazia, ma qui in Sicilia nessuno ne parla, nessuno la ricorda, vede come è facile in Sicilia che tutto accada senza che nessuno sappia, ed è questo su cui il Male gioca, perché nel pensare solo alle cose nostre, a noi stessi, si tradisce il primo comandamento di Gesù: amatevi l’un altro come io ho amato voi…” “Ma questo Crowley chi era?” Padre Francesco socchiuse gli occhi e alzò le spalle “Un poeta? Un esperto in tarocchi e astrologia? L’adepto di una setta segreta che celebrava riti innominabili? Il fondatore di una nuova religione che gli fu rivelata da un angelo in Egitto – non so perché ma appena il padre nominò l’Egitto mi ricordai di quello che Madama Effie aveva detto sul conte Cagliostro e un brivido mi salì lungo la schiena – sono molte le cose che Mr. Crowley era. Forse fu il primo hippy fondatore di una comune dove ognuno poteva fare quello che voleva e vivere la sua sessualità in modo libero, durante riti di adorazione dell’innominabile che probabilmente finivano in orge dove il sesso era usato e abusato. Ma Mr Crowley era prima di tutto un ateo che credeva nella sua religione magica, nella divinazione, non credo che per lui il Male fosse diverso da Dio” “E nessuno se ne accorgeva di questa abbazia ?” “Alla fine si venne a sapere cosa succedeva dentro le sue mura, forse perché qualche persona locale vi partecipò e ne descrisse gli svolgimenti. Il vescovo protestò con Mussolini e questi fece mandare via gli inquilini, Mr. Crowley, le sue sacerdotesse e gli altri membri della setta o della comune. La stella a cinque punte sul pavimento del loro luogo di culto venne nascosta sotto piastrelle nuove e ricoperti di calce gli affreschi dove uomini e donne nude danzavano accoppiandosi liberamente” pensai qualche secondo “Lei è stato in quella abbazia?” “Si, su invito del vescovo sono andato ad esorcizzare gli affreschi quando sono stati ripuliti e sono riapparsi” “e ha sentito la presenza del demonio” Padre Francesco sorrise “C’è un'altra Abbazia, dedicata al male, quella costruita da un ministro dello scacchiere inglese nel 1700. Lì ho percepito chiaramente il male in tutte le sue forme più terribili, dopo tutto, scavando nelle sue fondamenta furono trovati, nascosti alla rinfusa, scheletri di giovani donne e di bambini, i poveri avanzi di riti ben peggiori di quelli dell’abbazia di Thelema. Ma in quest’ultima, non ho avuto la stessa sensazione. “ Si fermò ad osservare la porta da dove ero venuto restando qualche secondo in silenzio “Qualcuno l’ha seguita….” Si alzò e si dispose verso la porta come a dover fronteggiare qualcuno. Si toccò il crocifisso che gli pendeva al collo. “C’è una porta alle mie spalle – mi disse lentamente – esca di là, troverà una scala a chiocciola che porta giù a pianterreno e poi una porta che fa uscire sulla strada. Se ne vada subito” Avevo già abbastanza paura per non seguire le indicazioni del padre le cui mani tenevano il crocifisso e le cui nocche stavano diventando bianche dalla forza con cui lo stringeva. Lui non mi osservava più ma con gli occhi fissi sulla porta incominciò lentamente a recitare: “Exsurgat Deus et dissipentur inimici ejus: et fugiant qui oderunt eum a facie ejus. Sicut deficit fumus, deficiant: sicut fluit cera a facie ignis, sic pereant peccatores a facie Dei….” Io spinsi la porta a cui mi ero aggrappato, ma questa non si aprì; solo dopo qualche secondo capii che dovevo almeno abbassare la maniglia per aprirla così feci e dalla forza con cui la spinsi, quasi caddi sopra un pianerottolo da dove partiva una stretta scala a chiocciola che incominciai velocemente a discendere dicendomi che non mi sarei più occupato ne di diavoli ne di altre stronzate e che Nino aveva ragione a dire che non erano cazzi miei tutte quelle cose di maghi e demoni. Arrivai al piano sottostante con la testa che mi girava per tutti i giri che avevo fatto sulla scala. In fondo alla scala cercai di capire dove andare ma non sapevo in che direzione muovermi. “Di qua – mi fece una voce nel buio – veni cà” Era il frate con gli occhi da furetto appoggiato ad una porta di cui teneva la maniglia. Andai verso di lui ondeggiando. Lui mi prese per un braccio e senza troppi riguardi mi spinse fuori dalla porta che aveva socchiuso. “Vatinni, curri, curri…” Mi disse con forza e quasi spaventato. Ero finito diversi metri più avanti l’entrata del monastero. Non esitai, mi misi a camminare velocemente verso la confusione che vedevo qualche centinaio di metri più in alto, passato il cinematografico bar Vitielli. Appena entrai nella folla mi girai indietro ma ovviamente non vidi nessuno. Mi inoltrai tra la folla ancora spaventato per capire cosa fare finché non sentii la voce della Moglie “Cà, veni cà … semu cà” Vidi la moglie in mezzo alla folla dall’altra parte della strada e l’attraversai senza badare alla processione dei figuranti che in quel momento arrivava. Mi trovai di fronte il diavolo vestito di rosso con il suo forcone a forma di gancio con cui tirava verso l’inferno le anime. Si avvicinò gridando brandendo il forcone quasi a volermi prendere. Feci un salto e arrivai accanto alla moglie che rideva per la scena “Ce l’ha con te – disse indicando il diavolo che ancora mi minacciava - chissà che cattiveria ha scritto su di lui….” “Io? no! chi dici mai……” feci asciugandomi la fronte. “Forse è meglio lasciare stare - mi dicevo - è meglio tornare a parlare di cannoli e di paste alla crema, queste cose delle sette sataniche e del diavolo non sono cose per  me” Pensai spaventato “Ragiuni hai…” mi disse una voce dietro di me. Mi girai di colpo per vedere chi avesse parlato sentendo i miei pensieri, ma ….  non c’era nessuno.
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iltrombadore · 4 years ago
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1964, Paolo VI in India e l’inviato Antonello Trombadori: “Il Papa mi ha detto: abbiamo molti dialoghi da fare”
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(Nel dicembre del 1964 Papa Paolo VI fece un viaggio in India, dove si svolgeva il Congresso Eucaristico. Mio padre Antonello lo seguì come inviato de l’Unità, allora diretto da Mario Alicata. Palmiro Togliatti era scomparso da qualche mese e nel PCI si apriva una stagione di lotta politica che ebbe tra le varie poste in gioco anche il rapporto con il mondo cattolico per le prospettive aperte dal Concilio Vaticano II. Accadde così che un breve ma eloquente accenno del Pontefice rivolto all’ inviato de l’Unità divenne sintomatico colpo giornalistico che occupò la prima pagina suscitando col titolo una notevole eco: “Il Papa mi ha detto: abbiamo molti dialoghi da fare”. Se la vita della Chiesa si rivolgeva alle ansie del mondo contemporaneo,  l’ invito al dialogo segnava l’ attenzione a quanto maturava nel mondo comunista in termini di riforma e revisione. Ricordo bene che all’epoca –avevo diciannove anni- non seppi nemmeno cogliere l’ importanza politica e la portata morale di quanto accadeva. Chiuso nelle mie certezze marxiste ero un chierichetto dell’ ortodossia ideologica. Col tempo, grazie a Dio, ho rivisto completamente quell’ ottuso modo di pensare.Riproduco volentieri l’articolo di Antonello Trombadori e il titolo che vi appose de l’Unità.)
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Primo servizio di Antonello Trombadori sul viaggio di Paolo VI
“IL PAPA MI HA DETTO: ABBIAMO MOLTI DIALOGHI DA FARE”
Una breve conversazione tra Paolo VI e l’inviato speciale dell’Unità si è svolta a bordo del ”Nanga Parbat” tra Beirut e Bombay
Bombay,2 dicembre 1964-Alle 21, 20 ora italiana, a diecimila metri di altezza, sulla parte settentrionale dell’Oceano Indiano, esattamente sul Mar d’Arabia nel punto dove finiscono le acque territoriali pakistane e cominciano quelle della Repubblica Indiana, Paolo VI è passato davanti al mio posto nella classe turistica del Boeing 707 che ci ha trasportati a Bombay. Mi sono levato in piedi e gli ho detto: ‘Antonello Trombadori del giornale l’Unità’. Il Papa ha avuto un attimo di sorpresa. Io ho subito soggiunto:’ Buon viaggio da parte dei nostri lettori’. Paolo VI ha immediatamente ribattuto: ’Auguri, auguri’. Poi, dopo un fugacissimo silenzio, ha proseguito: ‘Auguri, avremo tanti bei dialoghi da fare’ .Ha poi seguitato il suo cammino verso la coda dell’apparecchio soffermandosi a salutare altri passeggeri e in particolare due suore missionarie che fanno ritorno nell’Assam, dove la maggiore di esse risiede da 36 anni.
Un giornalista americano, non appena il Papa si è ritirato nella sua cabina, ha avuto un rapido colloquio con mons. Samorè, segretario per gli affari straordinari della Segreteria di Stato. Gli ha chiesto: “questo viaggio del Papa, vuole aprire un dialogo anche con altre religioni; anche con chi non crede, con i comunisti ?”. Monsignor Samorè ha risposto: “con tutti, purché vi sia buona volontà”. Poco prima tra il corrispondente della NBC Irving Levine e il Pontefice aveva avuto luogo questo scambio di frasi: ”Perché intraprendere questo viaggio ?”.Paolo VI:” Ci vorrebbe troppo tempo per rispondere. Spero di incontrare molti fedeli e altri uomini. Spero che il viaggio contribuisca alla pace e risulti una testimonianza di buona volontà”.
E certo più di una testimonianza di buona volontà ha richiesto la enorme folla venuta a salutarlo all’aeroporto di Bombay e lungo i circa trenta chilometri che lo separano dal luogo dove si svolge il Congresso Eucaristico. Cattolici, certo; ma anche induisti, buddisti, musulmani e uomini senza religione precisa, presumibilmente venuti a vedere che panni veste e che cosa promette il Capo della Chiesa Cattolica.
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E non c’è dubbio che assieme al Pontefice quella folla che non ha mai smesso di gridare, di interrogare con gli occhi profondi e di ridere di cuore protendendo le mani verso le macchine del Pontefice e del seguito, ha anche inteso accomunare nello stesso saluto uomini di altro colore e di altre nazionalità in una spontanea testimonianza di amicizia e di pace. L’aereo che ha portato Paolo VI in India si è alzato da Fiumicino alle 4,30. Dal mio taccuino traggo questi appunti sul viaggio fra Roma e Beirut. Sono le 8,10 ora italiana. Da circa un’ ora l’aereo pontifico della Air India che tra sporta Paolo VI a una quota pari a quella di una della più alte vette dell’Himalaya, di cui porta il nome, “Nanga Parbat”, e sul cui muso, diciamo alla altezza della tempia sinistra, è stato dipinto lo stemma vaticano accanto alla bandiera indiana, ha lasciato Roma sotto una pioggia fitta e battente Stiamo ora sorvolando l’ultimo lembo di terra italiana si distinguono piccolissimi i lumi di qualche villaggio calabrese- Melissa, Stromboli, Isola Capo Rizzuto - l’ area della grande miseria è già cominciata. Il sole dell’alba ci viene incontro dalla Grecia sbucando di sotto lo strato spesso di nuvole che copre i monti del Peloponneso. Paolo VII, che nessuno finora  è riuscito a vedere, riposa nella parte della cabina di prima classe che è stata compostamente trasformata in una piccola e comoda alcova. I due cardinali invece (si tratta di Cicognani e di Tisserant) posso  indovinarli di spalle dal mio posto di classe turistica sonnecchianti e abbandonati con la testa all’indietro sulle poltrone; dall’altra parte della cabina di prima classe a loro riservata insieme a qualche altro importante prelato distinguo la chioma pepe e sale ben pettinata del prefetto delle cerimonie, mons. Dante, quello stesso che tante volte i telespettatori hanno potuto vedere accanto al Pontefice per suggerirgli questo o quel movimento del cerimoniale; un filo di fumo sale azzurrino  da dietro la sua spalliera, monsignor Dante preferisce evidentemente tenersi desto per ogni evenienza.
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Non siamo soltanto giornalisti sul “Nanga Parbat”. C’è anche il sindaco di Venezia, Favaretto Fisca, che corregge tra uno sbalzo e l’altro dell’aereo il testo del saluto che porterà al Congresso Eucaristico di Bombay; ci sono le due suore missionarie che fanno ritorno nell’Assam dopo aver partecipato in Italia alla elezione della madre badessa del loro ordine; vi sono altri sacerdoti cattolici e vi è un agricoltore trevigiano dalla faccia angelica e non nemica del buon vino, che accompagna in una sorta di viaggio turistico religioso la giovane figlia al Congresso eucaristico. Le hostess abbigliate in elegantissimi e alquanto plastici sari a strisce marrone, verde marcio e argento, hanno un gran daffare. Non si sono fermate un momento dal decollo in poi. Il primo faticoso lavoro è stato quello di restituire ai rispettivi proprietari macchine fotografiche. Cineprese, macchine da scrivere, borse e valigette che erano state ritirate prima di varcare il posto di polizia; poi è cominciata la distribuzione delle cartelle messe a disposizione dei giornalisti da parte della compagnia di navigazione. In una di queste cartelle vi è un testo inglese nel quale i dirigenti dell’ Air India fanno un personale apprezzamento dello storico significato del viaggio del Pontefice nel loro paese e a bordo di un loro aereo. Gli stessi concetti sono stati in parte ripetuti all’altoparlante dalla hostess Ursula Stocker, una gentile svizzera cattolica di ventitré anni che ha detto in italiano lentamente ma senza emozione: “L’Air India oltre che il suo benvenuto porge a Sua Santità l’augurio di un comodo e piacevole viaggio. Grazie”.
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Se è vero che questo viaggio è destinato a passare alla storia, non c’è dubbio che le prie eroine della sua cronaca sono queste quattro hostess. Della prima vi ho già detto il nome. Vi presento ora le altre tre: Cintya Kyte, smilza dai capelli scuri, nata a Bombay ventisei anni fa, diplomata in economia all’università di Karnatak; ama Roma e Londra, suona il piano ed è campionessa di ping pong. Collleen Biladzava, nata in un villaggio presso Bombay, ventun anni, prima di entrare nella Air India ha frequentato il convento di Gesù e Maria. Shirley Kennedy, ventotto anni, mannequin, buona atleta, vittoriosa in numerose gare. Infine Kalini Shahani, ventun anni, snella e elegante, nata a Karachi, protestante. Ho tratto queste notizie dal registro di bordo.
Alle sette in punto Paolo VI, interamente vestito di bianco, ha fatto la sua apparizione sulla soglia della porta che divide la sua alcova dalla zona riservata ai prelati del seguito, e si è spinto, tra  lampi di flash e mani protese a toccare le sue, fino alla soglia della classe turistica, sbarbato, risposato, sorridente. Ha fatto i suoi complimenti al sindaco di Venezia ricordando che dalla Serenissima mosse a suo tempo verso l’Oriente Marco Polo; ha anche inaugurato il carnet di un industriale milanese invitato al suo seguito con la seguente frase latina:” Ambulate in dilectione”. Voleva poi percorrere tutto il lungo corridoio del “Nanga Parbat” , ma monsignor cerimoniere visto l’affollamento lo ha dolcemente spinto all’indietro. Le due madri missionarie che erano rimaste disciplinatamente al loro posto hanno perduto l’occasione di baciargli la mano e di raccontargli dei morti di fame, dei lebbrosi e degli appestati dell’ Assam. Sono le sette e un quarto (sempre ora italiana) e il Libano è sotto di noi. Dopo un quarto d’ora il Boeing 707 ha toccato con delicato e autorevole colpo di cloche  del comandante Shirudkar la pista di Beirut; gli ultimi minuti di volo a bassa quota li abbiamo fatti quasi in riva al mare, tra cespugli fitti di tamerici dai quali sbucavano come formiche soldati armati di ogni tipo. Alcuni di essi hanno salutato agitando le braccia.
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Paolo VI è apparso sulla vetta della scala di prima classe con un gran mantello rosso scarlatto, è sceso agilmente a terra e subito è stato circondato da sacerdoti vestiti di rosso e di nero con grandi barbe e volti bruni di libanesi e di siriani. Si è fatto incontro il cardinale Taupouni, piccolo e segaligno, con due occhi vivi e neri come il carbone che si sono appuntati in quelli grigi del Pontefice, prima che  questi si avviasse a passo rapido e con il braccio alzato in segno di saluto verso il picchetto d’onore schierato in armi.
A fianco di Paolo VI si è posto il presidente della repubblica libanese. Tutto lo spazio disponibile per il pubblico sugli spalti dell’aeroporto era gremito di suore e di preti cattolici di rito maronita e di rito melchita. Il Papa ha riscosso i loro fervidissimi battimani ogni vota che fermandosi a benedire le bandiere issate sulla baionetta dei capi plotone, alzava il braccio e  l o spingeva  oltre i soldati. Tra i prelati libanesi ho osservato attentamente Massimo IV, il patriarca cattolico di rito melchita. E’ un uomo duro, fermo, tarchiato, fiero sotto la sua piccola cappa nera che gli cala fin quasi sui mustacchi. E’ nota la sua funzione di punta nel Concilio in rivendicazione della priorità dei riti e delle comunità cattoliche orientali da lui considerate originarie. E’ nota anche la sua ferma posizione in difesa dell’uso delle lingue nazionali, soprattutto il greco, l’aramaico, e nel suo caso il francese, per lo svolgimento dei riti sacri. Ma è ancora più nota la sua rivendicazione della funzione dei patriarchi in rapporto a quella dei cardinali. Il Papa, nel suo saluto di risposta alla allocuzione del Presidente della Repubblica libanese ha ricordato per nome soltanto il cardinale Taupoumi.+Mentre Paolo Vi parlava ho avuto la sorpresa di vedermi accanto un giornalista svizzero della nostra comitiva improvvisamente trasformatosi in Cavaliere del Santo Sepolcro. Un gran mantello bianco con la croce greca rossa, un berrettone di velluto nero alla Raffaello, impettito e militarmente corretto egli testimoniava così la presenza del suo Ordine al seguito del Pontefice. Gli si è avvicinato un giovane sacerdote, di quelli che hanno posto in prima classe, e mi pare proprio che gli abbia fatto un cicchettone.
Paolo VI ha donato quarantamila dollari per i poveri del Libano: ventimila nelle mani del Presidente della Repubblica, ventimila nelle mani del Nunzio apostolico a Beirut. Poi abbiamo ripreso il volo e alle dieci e trenta (ora italiana) ci è stata servita la colazione. Sul frontespizio del menù figura una incisione della chiesa indiana di Nostra Signora Pullaparame, forse uno dei più antichi templi della cristianità. Si narra che sia stato fondato dall’incredulo apostata Tommaso, evangelizzatore dell’India nel 52 d.C.
Antonello Trombadori
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