#MAMMA MIA COME SONO BONI!!
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anna-naray · 10 months ago
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This beautiful person, @isaidmeeh made ✨THESE!!!✨
I'm *scream* speechless and totally in love!! You're amazing my friend and I invite everyone to look at her amazing artworks!! ❤️🔥
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sciatu · 4 years ago
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Siracusa - Ristorante Macallè
Un amore in tre atti unici - Atto terzo
GIUGNO 2021 - CONOSCERSI
Per lei era stata, scusate l’espressione, una giornata di minchia. Al mattino nell’ufficio postale dove lavorava ecco che si presenta una che sembrava una “baraccota” una di quelle che vivono ancora nelle baracche di Messina, a cui la vita ha negato tutto e che affrontano ogni persona con le unghie pronte a graffiare e i denti abituati a strappare il cuore.
“Posso aiutarla?”
Aveva chiesto lei presentendo guai in arrivo
“Grazie no” rispose la belva guardando in cagnesco Concettina, la sua collega. Ti ho già detto nel racconto precedente che quest’ultima aveva una lista di spasimanti che occupava tutta la memoria del telefonino e che identificava i vari soggetti con nomi quali “Vittorio meno di 18” “Enrico più di 24” “Gianni quasi 30” dove il numero non era ovviamente legato all’età dell’individuo ma a particolari caratteristiche anatomiche prettamente maschili. Concettina, che grazie alle sue relazioni ed esperienza conosceva la vita e le figure umane che della vita sono il frutto o i relitti, non esitò e da dietro il bancone dei Pacchi e Raccomandate attaccò immediatamente
“Picchi lei i mia chi boli?”
“Io niente è lei chi non avi boliri nenti i me maritu”
“Mi su tinissi strittu e u sazziassi a so maritu e non vinissi chìù a sconcicari i personi pi beni”
“ A lei si a me maritu u sazziu o menu nun sunnu cosi ca ci ‘nteressanu! Lei pinsassi a fari chiddu chi ci veni megghiu fari stradi stradi e lassassi stari cu teni famigghia”
“È so maritu chi m’avi lassari in paci chi mu trovu sempri a rumpiri chiddu chi mancu iddu avi”
“ Nun mi pari chi nun navi vistu chi ci canusci boni i soi e chiddi i menzu paisi”
“ Cu canusciu o non canusciu, cu rispettu parrannu, su cazzi mei, mi pinsassi a so maritu chi chiuttostu i vidiri u so cuzzaru siccu si spariria, picchì cu jè vecchiu e laidu s’aviria mettiri u cori in paci! ”
A questo punto l’escalation di offese era ormai all’ultimo livello ed il rituale prevedeva che iniziasse la parte violenta dello scambio d’idee, così la parte offesa, cioè la moglie cornuta, partì alla carica per strappare gli occhi alla rivale. Per fortuna però, davanti allo sportello di Concettina vi era una fila di vecchi che dovevano ritirare la pensione; il gregge di capelli bianchi si frappose tra loro due cercando di calmare l’una e l’altra con la paura di perdere il posto in fila e ritardare così il prezioso pagamento della pensione e conseguente pagamento delle bollette arretrate. Lei aveva già chiamato i carabinieri e proprio in quel momento entrò l’appuntato Pino-25-con-gusto che incominciò ad urlare più delle due donne e si portò via la moglie tradita. Vi fu di nuovo calma e Concettina tornò a lavorare in silenzio ricevendo l’approvazione delle vecchie pensionate secondo cui la moglie doveva prendere a bastonate il marito traditore e non una brava ragazza come lei che dava la pensione anche in pezzi da 20 o da 10. Più tardi Simone-non-ne-vale-la-pena prese il posto di Concettina e quest’ultima se ne andò nello sgabuzzino sul retro dell’ufficio a fumare. Lei la raggiunse dopo qualche minuto e vide la sua gran massa di capelli ricci in un angolo, quasi nascosta che fumava guardando per terra.
Tra loro due vi era una forte complicità fin da quando si erano incontrate. Concettina sapeva della violenza che aveva subito da giovane e la rendeva complice di tutte le sue storie in cui trattava gli uomini come giocattoli, forse pensando che questo suo modo di disprezzare gli uomini usandoli, potesse darle un qualche vendicativo piacere.
“tutto bene?”
Le chiese preoccupata.
Concettina sollevò la testa e vedendola sorrise.
“Mariì Tutto bene, non ti preoccupare. Era una scena che quella doveva fare per rispetto a sé stessa.”
Lei la guardò preoccupata.
“Scusa se faccio la mamma, ma non è meglio se lasci stare questa tua collezione di maschietti in calore e ti trovi qualcuno che ti voglia bene veramente?”
Diventò seria
“Mariì, lo so che lo dici perché mi vuoi bene, ma per me va bene cosi”
“Ma alla fine sei sempre sola, nessuno ti dura più di tanto”
Alzo le spalle
“Tutti muoiono soli, nessuno prende mai la tua croce e ne divide il peso – disse di un fiato facendo oscillare i suoi riccioli - l’amore poi è solo un attimo e il sesso è l’unico modo per illudersi che esista qualcosa che ci unisca a qualcuno – restò in silenzio qualche secondo - Gli uomini poi sono i fratelli di Giuda e di San Pietro, tradire per loro è motivo di vanto, perché dovrei fare la santa se chi mi ama pensa solo a se stesso? Io sono così e resterò così: non farò la fine di mia madre maltrattata da suo marito e sfruttata dai suoi figli. Io credo solo all’inferno in cui sono cresciuta, tra botte e litigi e come vita familiare mi è bastata quella – tirò una boccata di fumo che fece uscire lentamente dalle labbra – Allora ero piccola, pensavo che i miei avessero sempre ragione ed avevo paura di tutto. Ora però non ho più paura di niente, faccio quello che voglio e ho capito che sfruttare la mia libertà, è l’unico modo che ho per esistere!”
Simone-non-ne-vale-la-pena apparve sulla porta dicendo che c’era l’appuntato Pino-25-con-gusto che voleva parlare con Concetta. Quest’ultima, buttò subito la sigaretta e si passò il lucidalabbra, che portava nei jeans aderentissimi, mostrando il suo sorriso più seducente. Mariì se ne tornò nel suo ufficetto concentrandosi sulla chiusura di fine mese per non pensare alle parole di Concetta, ed evitando di chiedersi se il suo Giuseppe fosse anche lui fratello di Giuda. Chiuso l’ufficio aveva diverse cose da fare, dall’andare dall’estetista che finalmente riapriva a passare dalla sarta e quindi dal centro commerciale anche lui riaperto di sabato dopo mesi di chiusura per covid. Finalmente si diresse verso il ristorante di Giuseppe che riapriva dopo la triste lunga serrata a causa del virus. Giuseppe aveva aumentato i tavoli fuori dal ristorante ma lei riconobbe subito il suo che aveva nel mezzo, in un piccolo vaso di cristallo, una rosa appena sbocciata. Andò a prendere possesso del suo posto da cui poteva osservare tutti gli altri tavoli, ed aspettò Giuseppe. Arrivò invece il nipote che era il secondo cameriere. La salutò contento e le riempi il bicchiere con in prosecco dell’Etna. Le disse che lo zio era occupato e scomparve a prendere un’ordinazione. Mentre beveva il prosecco vide Giuseppe aggirarsi tra i tavoli poi fermarsi a quello dove era seduta una bionda e mettersi a scherzare con lei mentre le versava l’acqua. Mariì sentì come una fitta nell’anima e l’osservò cercare di essere divertente, sorridere, parlare, cosi come aveva fatto con lei quando l’aveva conosciuto. Aveva ragione Concetta? Era un altro fratello di Giuda? La bionda lo ascoltava quasi indifferente e lui per reazione, cercava invece di interessarla, di farla ridere, perché una donna che ride è sempre più vulnerabile. Osservò la ragazza e la trovò giovane e carina, mentre lei era pure più vecchia di lui. Che futuro avrebbero avuto loro due? In aggiunta, il suo corpo, devastato dalle cicatrici, non sarebbe invecchiato ancora più velocemente? Non si sarebbe stancato di lei prima del dovuto? E se è vero quello che diceva Concetta, che l’amore dura finché dura il sesso, quanti anni avevano davanti a loro? Cinque? Otto? Dieci? E poi? Sarebbe andata anche lei a litigare con l’amante di allora? Era meglio fare come Concetta, vivendo alla giornata, del poco e subito? Ma Mariì dentro di se si diceva che lui non era così come stava vedendo e immaginando ! O forse non lo conosceva veramente perché nessun traditore si palesa per tale! Stava cadendo nella paranoia assoluta. Non sapeva se dovesse andare a prendere a sberle la bionda o prendersi la bottiglia di prosecco e andarsene a casa a piangere sul letto. Se lo ritrovò davanti con un piatto di antipasti misti
“Ciao amore come è andata oggi”
Le chiese tutto serio
“Ah – disse piccata – ti sei finalmente ricordato di me, quale onore…”
E lo guardò severa.
Giuseppe fece finta di niente e si giro a guardare la bionda che osservava fisso il bicchiere vuoto.
“È mia cugina Anto – fece sottovoce – il suo zito l’ha lasciata ieri con un SMS mentre lo aspettava a casa dei suoi per presentarglielo. Non ti dico come si sente…. È apparsa qui e non ha detto una parola. Io lo so che soffre…. Ma cosa le posso dire? Ho impiegato anni a superare quando quell’altra mi ha lasciato e ho trovato pace solo ora con te! Cosa le posso dire per tirarla su? La vita è questa? Pensa alla salute? Qualcuno prima poi lo trovi? A me queste cose mi snervano: vedi qualcuno che annega e non sai come salvarlo”
Lo guardò. Era veramente seccato. Lui per gli altri avrebbe dato l’anima ma quando si trattava di sentimenti si muoveva come un bradipo. Giuseppe Lasciò gli antipasti poi mise a posto il cestino del pane e la bottiglia d’acqua e lei capì che era turbato, che voleva stare con lei perché in lei trovava la sicurezza che gli serviva. Poi qualcuno lo chiamò e lui senza dire o fare scomparve. Lei mangiò lentamente pensando a lui, a come si era comportato e a quello che aveva fatto. Bevve un sorso e guardò la ragazza che fissava il nulla facendo palline di mollica di pane. Ebbe come un flashback e si ricordò che mentre i demoni la usavano sul velluto sporco e attaccaticcio del treno regionale in cui erano, qualcuno aveva aperto la porta che divideva le due carrozze, forse aveva visto, aveva capito, aveva sentito i mugolii con cui gridava aiuto, poi aveva richiuso velocemente la porta ed era scomparso. Non era questo quello che facevano in tanti? Voltarsi dall’altra parte, per non vedere, per non sentire, per stare tranquilli. Forse se qualcuno allora fosse intervenuto prendendo a moffe (sberle) quei tre, la sua vita sarebbe stata completamente diversa. Ripensò alla porta dello scompartimento che si chiudeva mentre diventava tutto buio.
Si alzò con il bicchiere in mano e si diresse verso la bionda. Fece due passi, si fermò e tornò indietro, prese la rosa e andò spedita verso il tavolo di Antonella dove si sedette di fronte a lei che la guardò meravigliata.
“Ciao sono la zita di Giuseppe, tu sei sua cugina Antonella non è vero?”
E dopo aver posato la rosa vicino a lei, allungò la mano per salutarla. Lei la guardò stupita e disorientata, guardandosi intorno per vedere se c’era suo cugino che potesse confermare quell’inaspettata intrusione. Alla fine, allungò la mano e strinse quella che era rimasta ferma e decisa ad aspettare il suo benvenuto.
A Mariì venne il panico? Che cosa aveva fatto? Perché era li?
La porta dello scompartimento si stava chiudendo….
“Non sono il tipo che si fa i fatti degli altri, ma ho capito che stai soffrendo. Una volta ho visto un cane investito per strada e un suo compagno correre tra le macchine e sdraiarsi su di lui per proteggerlo finché qualcuno non fermò la macchina e si occupò del suo compagno ferito. Allora mi sono detta che nessun uomo l’avrebbe fatto. Che a veder qualcuno per strada prima di andare ad aiutarlo si guarda il sesso, il colore, i vestiti, quanti followers ha e poi forse si decide…”
Antonella sorrise
“Per questo sono qui perché se un uomo vede soffrire una donna o scappa, o ne gode o fa finta di niente o resta disorientato e imponente. Giuseppe fa così perché il dolore degli altri lo sente suo e ne rimane prigioniero. È così che mi ha amato ed è per questo che lo amo. Lui, in questo momento non sa cosa dire perché sente che stai soffrendo e la cosa lo disorienta – osservò Giuseppe arrivare al tavolo dove era prima con un piatto di calamari ai ferri, guardò stupito la sedia vuota e si mise a cercarla nei tavoli intorno. Lei alzò una mano per dirgli dov’era e lui si avvio verso di loro sconcertato – Per questo sono venuta. Non perché sono un’esperta di problemi sentimentali ma perché ho sofferto e so cosa vuol dire soffrire da soli. Vivere con dentro l’anima un fuoco che nessuno vede ma che lentamente ti consuma”
Bevve un sorso sorpresa del discorso che aveva fatto. Sorrise a Giuseppe che arrivato al tavolo la guardava stupito
“Amore mi porti anche il vino? Io e Antonella stiamo facendo conoscenza”
Gli disse sorridendo. Lui la guardò e poi osservò lo sguardo incerto di sua cugina
“ Si vado… vado - disse alla fine , poi si voltò verso la cugina – è la mia zita: è una che parla poco ma dice le cose giuste! ”
e si allontanò felice di non dover affrontare il dolore di Antonella.
“Lo vedi… lui capisce quanto soffri e la cosa gli fa male perché ti vuole felice. Ecco, a me è capitato di soffrire moltissimo, di provare vergogna per quello che sentivo. Ma il dolore non è mai una fine, il permanere di una punizione immeritata, ma è uno stimolo, è un principio e l’ho capito quando Giuseppe mi ha chiesto di parlarne. Io gli ho raccontato tutto! Proprio tutto e nel dire, nel mettere una dietro l’altra tutte le lacrime che ho avuto ho capito il mio dolore, ho incominciato a fare due più due e ad avere la somma della mia vita, capire quello che ha senso e quello che era il riflesso di quanto avevo avuto e che non era vita, perché la vita è uno scorrere un continuo fluire cambiando giorno dopo giorno: fermarsi in una situazione passata, in un ricordo, non è vivere. Penso che se ti và, puoi fare lo stesso: rivedere quello che è successo insieme a qualcuno che non ti giudica ma semplicemente ti ascolta e che se può, ti consiglia.”
Antonella guardò davanti a sé il cimitero di palline di mollica che aveva fatto.
“Non c’è nulla da dire. Da che c’era a che non c’è più, senza un perché, una ragione… “
e continuò così a dire a descrivere, a parlare e ogni volta che si fermava, Mariì chiedeva, commentava, spiegava e Antonella riprendeva a fare lo stesso racconto in modo diverso. Giuseppe le osservava parlare in modo fitto e ogni tanto si avvicinava e portava la frutta, un dolcetto, il limoncello, i biscotti, un cioccolatino e loro ancora a parlare a dire ora quasi piangendo ora invece ridendo ora tutte serie, ora una stupita e incredula e l’altra che parlava con fare convincente. Giuseppe vide il ristorante svuotarsi ed incominciò a portare dentro tavoli e sedie, ma loro due restavano a parlarsi come se il tempo non passasse. Alla fine disse loro che per il coprifuoco dovevano andare e Mariì propose di accompagnare Antonella a casa e tutti e tre si avviarono verso la casa della cugina, le due donne avanti a parlare e lui dietro come un cane senza un padrone. Lasciata la cugina, Mariì si strinse a lui e camminarono in silenzio per qualche minuto.
“Allora tutto bene?”
Chiese lui per capire come era andata con la cugina
“Questa mattina avevo la sensazione che l’amore non poteva esistere. Ad inizio serata ne ero convinta. Poi però ho capito che non è così. Se non esiste perché ti fa soffrire? Perché ti fa morire e rinascere? E che cos’è alla fine l’amore?”
Restò in silenzio guardando il selciato
“e sei riuscita a darti una risposta?”
Lei sorrise, si fermò e lo baciò
“Si, l’ho capito con Antonella. L’amore è il domani, l’attesa del nuovo giorno che mi porterà a te. Il passato, il presente, sono la vita subita, la vita che scorre spesso travolgendoti e distruggendoti, ma l’amore è la certezza che domani troverai pace, avrai qualcuno che non scomparirà appena ti volti, dimenticherai il dolore di oggi, potrai creare, dare e avere felicità. Il sesso è adesso, un istante che viviamo e muore lasciandoci felici ma vuoti. Ma tutti abbiamo bisogno di un domani per continuare a vivere ed è questo che l’amore ci dona: sapere che ci sarà in altro domani in cui saremo felici come oggi. È l’assenza di questa certezza che ci umilia e ci fa morire.”
Lui la guardò tutto serio.
“avevo ragione a dire ad Anto che parli poco ma che dici le cose giuste…”
Ripresero a camminare verso il loro domani.
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giovaneanziano · 5 years ago
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Serata numero 3 di Sanremo o, come dice la mia amica, Eurovision Pre-Game. Pronto a fare le 2 anche stasera.
Serata duetti e cover liberamente interpretate. Già piango
- Michele Zarrillo con Fausto Leali che canta Deborah. La geriatria ringrazia
- Junior Cally con i Vito, Vado al Massimo. Junior Cally che spara trap carina, ma i suoi soci manco alla festa campestre di Taio in Val di Non eh
- Amadeus presenta la socia che lo accompagnano: Georgina Rodriguez, la compagna di Ronaldo (REGA EDDAI) che ride veramente male e Amadeus fa il piacione CON LA MAGLIA DELLA JUVE SOTTO REGA MADONNA CHE SIPARIETTO TRISTE. voglio ingoiare delle puntine intinte nella cicuta. Ah la maglia davanti della Juve, dietro di Lukaku. Siringona di aria e via
- Vacanze Romane cantata da Marco Masini con Arisa. Masini fa la pubblicità di qualche Barber Shop, Arisa invece fa la cosplay di Malika Ayane. Poteva andare bene, ma hanno messo sotto una cassa inutile come una forcina nei capelli di Mastro Lindo.
- Giorgina non caga e zittisce Amadeus che voleva salutare Ronaldo. SIIIIUUU
- L'Edera di Riki con Ana Mena. Riki vestito da Jack di Titanic misto a Trinità, quello di Terence Hill, mica come quella di cristiana. Chitarrino alla Get Lucky e cerco solo i Daft Punk che purtroppo, non escono
- E se domani fatta da Raphael Gualazzi con Simona Molinari. Raphael rovinami Mina, I dare you t'ammazzo. Già parte male con il basso che perde il jack e gracchia. Però sta versione da lounge bar non è male, mi sembra di essere tornato negli anni '70
- Spalle al muro di Anastasio e la PFM. LA PFM AAAAAA. Diresti che non c'azzeccano ma si fondono così bene che mamma mia. Ditemi che Spotify la pubblica sta cover perché voglio consumarla malamente. Comunque il riassunto del pezzo è "ok boomer"
- alla prossima referrence calcistica vomito giuro. Ronaldo ha regalato la sua maglia ad Amadeus e leccata di culo PAZZESCA.
- Si può dare di più con Levante, Maria Antonietta e la Michelin. Oh io appena vedo la Michelin penso solo al bar dell'Indiano che profuma di te. Ah e Maria Antonietta non è su dei tacchi, è su dei trampoli da 20 cm buoni se non di più, altrimenti sembrava un podio umano
- La voce del Silenzio di Alberto Urso con la Vanoni. Madonna ma guardate Alberto Urso negli occhi e non ditemi che non vi sentite violati. Vanoni dai cacciaci la bestemmia dai (intanto ha steccato na nota, attendo un vaffanculo dai Ornella). Comunque regalate un metronomo alla Vanoni
- Amadeus presenta n'altra conduttrice albanese perché Sanremo li va: Alketa Vejsiu. Che annuncia Benigni e madonna datele della valeriana. "Grazie Amadeus per aver fatto vincere le donne in sto festival" OK BOOMER. O K B O O M E R.
- TOGLIETE LO SPEED AD ALKETA CHE PARLA PIU VELOCE DI ME MENTRE FACCIO POLEMICA
- Lewis Capaldi. A caso. Che è Boris Johnson venuto dal passato. E Amadeus gli chiede che squadra tifa e lui "Sheffield!" E Amadeus "AH CHELSEA" AMADEUS YOU HAD ONE JOB
- pinguini tattici nucleari che cantano 70 volte che è un Medley di canzoni storiche famose. Son di parte, non posso dire nulla Elio fammi tuo. E sai che hanno di bello? Che son dei bimbi che si divertono. E CANTANO ROLLS ROYCE E DANNO LE MIMOSE A RONALDO CIAO VINTO HANNO.
- Nigiotti e Cristicchi che cantano Ti regalerò una rosa, che è di Cristicchi. Nigiotti non lo sopporto, mi spiace. Gioco a Mario Kart che avevo iniziato con Benigni.
- Giorgina che flexa ballando il tango. Utilità dite voi? La stessa di Benigni.
- Star internazionale 2: Mika. Bravi Boni ma mancano ancora una decina di canzoni e ASPETTO ELETTRA
- la nevicata del 56 di Mia Martini se la becca Giordana Angi con i solis string quartet. Il miglior modo di ricordare Mia Martini è lasciandola in pace, direi basta.
- ancora Tiziano Ferro. Tizi ti si ama, ma basta eh
- Un emozione da poco Le Vibrazioni con i Canova e c'è Peppe VESSICCHIO. Madonna se è fatta bene se ci stanno bene loro a cantare Anna Oxa
- 24 mila baci cantata da Diodato con Nina Zilli. Il vestito di Nilla Pizzi non ha delle spalle ha delle ali che inglobano le braccia. Non so spiegarvi, la forma del vestito è un panbauletto schiacciato dallo Chef Tony.
- Piazza Grande interpretata da Tosca con Silvia Perez Cruz. Fatta metà in italiano e metà spagnolo boh, sembra di mangiare olive e feta su una spiaggia a Santorini. E che c'entra dite voi? Nulla ma per no spuntino delle 1 ho fame. E mancano ancora Pelù, Elettra, Achille e la Pavone come minimo
- ho contato male ne mancano ancora 8 e sono le 1. LE UNA DIOCANE
- la Pavone canta 1950 che sarà l'età in cui era maggiorenne con Amedeo Minghi(e). Ma loro hanno vissuto il Time LARP di Thanos? Perché più li guardo più invecchiano
- ACHILLE LAURO CANTA MIA MARTINI AAAAAAAAA Gli uomini non cambiano. Ah sì c'è anche Annalisa, vabbè chissene ACHILLE VESTITO COME ZIGGIE STARDUST BOWIE E ANCHE L'ENIGMISTA CAZZOMENE DEL RESTO.
- Canzone per te di Bugo e Morgan e Morgan dirige l'orchestra. Sembra tipo quando il locale si svuota e restano gli ultimi due secchi dalla Vecchia Romagna che cantano da soli anche senza musica
- Georgina ha la faccia di me quando smetto alle 14 e alle 13.55 mi mandano in culo al mondo dopo aver portato in giro solo over 140 kg al 5 piano senza ascensore.
- La musica è finita cantata da Irene Grandi con Bobo Rondelli (che è Umberto Smaila magro). Ne infamia ne lode
- Cuore Matto con Piero Pelù e basta. Da solo. Come i pinguini. Madonna ha gli stessi occhi di Maradona dopo aver fatto il gol di mano contro l'Inghilterra. Bella Cuore Matto in chiave rock, bisogna darne atto!
- 1 e mezza e mancano ancora 3 artisti. Elettra con Miss Keta, vi hanno messe in fondo per paura. MERDE
- Se me lo dicevi prima di Paolo Iannacci, Francesco Mandelli e Daniele Moretto. L'intro dell'orchestra era MENOMALE CHE SILVIO C'È. E Mandelli mentre canta Iannacci va a stringere mani in giro. Comunque Paolo è tutto suo padre, lo si sente sul palco
- ELETTRA E MISS KETA PIANGO GIA CANTANO NON SUCCEDERÀ PIÙ DI CLAUDIA MORI. tutto in caps lock per miss keta. Madonna se è la canzone giusta per Elettra! Con un abito a sirena bianco che più la guardo più non ce la vedo. MISS KETA COL COMPLETO NERO CIAO MAMMA CHE SANREMO LIVELLI STELLARI QUASI IL BACIO MAMMA MIA SVENGO QUI. però aspettavo il TWERK
- Gabbani con l'italiano e io penso solo a una cosa AMO FINITO VOGLIO IL LETTO. ah vestito da astronauta col tricolore giusto per accalappiare i vecchi nostalgici e vincere anche sto Sanremo
Chiudo qui son morto ciao, la classifica domani su
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sciatu · 7 years ago
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In Sicilia, per le feste dei morti si donano dolci e regali ai bambini, questo per ricordare loro che l’amore di chi non c’è più, sopravvive loro. Dall’alto, le ossa dei morti, il rame di Napoli, i biscotti di san Martino, i pupi, le piparelle e la frutta martorana.
In Sicily, tduring the days dedicated to the dead people, we are use to give gifts and biscuits  to the children, to remind them that the love of who died survives to them. From the top, the bones of the dead, the copper of Naples, the biscuits of San Martino, the piparelle,, the Martorana fruit.
Lei, Lui e i Biscotti dei morti.
Sabbuccio scappò verso il cancello del cimitero e aggrappandosi alle sbarre di ferro incominciò a farlo oscillare avanti e indietro “ vidi chi ti struppii (ti fai male) ” gli gridò lei severa. “È sempre tostu!” disse sua madre sorridendo. Lui arrancava dietro a lei con un enorme mazzo di fiori. Sebbene fosse metà ottobre faceva caldo e lui era già sudato nel percorrere la piccola salita che dal parcheggio saliva al piccolo cimitero sulla collina, da cui si vedeva , tra gli alberi di limoni e di olivo la striscia azzurra del mare.  Arrivati al cancello Sabbuccio scese e si mise a correre tra le tombe. “veni ca, sta femmu!!” Fece lei ancora più arrabbiata “fa sempre cosi – disse sua madre – lo sai che questo posto lo innervosisce, non essere troppo cattiva con lui” “ E’ tostu e basta, chi nibbusu e nibbusu” poi rivolgendosi a lui disse ad alta voce “ Fa cosi perché questo posto non gli piace” lui fece solo un cenno del capo preso com’era dai suoi pensieri. Neanche a lui piacevano i cimiteri soprattutto ora che vedeva suo padre invecchiare velocemente. Sua madre guardò a lui e poi sottovoce le raccomandò “devi parlargli, lo devi fare ora” “mamma lo so, non insistere” “non sto insistendo, te lo ricordavo e basta” e sorrise serena come sempre faceva quando le parlava. “Mamma ha ragione, devo parlargli. Ma che gli dico?” Si chiese Concettina disorientata. Qualche giorno prima stava tornando al paese dopo aver dato un esame nell’ università del capoluogo con il pullman, e stranamente con lei, al capolinea, era salito anche il padre di lui e ancor più stranamente, partito il pullman il vecchio pasticcere si era alzato da dove era seduto e si era accomodato nel posto accanto al suo. Non è che tra loro due vi fosse una grande intimità, lui sapeva che lei stava con il figlio e lei quando si incontravano lo salutava sempre con rispetto, ma non si erano mai parlati. “Sei stata all’università” chiese “si ho dato un esame. È andato bene per fortuna” “oh brava brava. E quanti te ne mancano?” “Ancora cinque e poi ho finito” “oh brava brava. Allura si quasi nu dutturi” “beh no, io faccio farmacia, non medicina” “ma ne saprai  sempre chiossa i mia, senti leggi ca, dimmi che dice questa carta” le passò una busta intestata con il nome di un famosi cardiologo siciliano “ lei lesse e lo stomaco le si contrasse per quanto c’era scritto . Il dottore che curava il vecchio, raccomandava al dottore del paese di avviare con urgenza le procedure per far entrare il vecchio nella lista di chi doveva subire urgentemente un trapianto di cuore. Alzò gli occhi dal foglio e lo guardò. Il vecchio sorrideva. Avevo lo stesso sorriso di lui; lei capì che sapeva cosa c’era scritto e se glielo aveva fatto leggere era per dirglielo “non su cosi boni” fece lei seria. “Mu magginava. Ma a mio figlio non diciamo niente” e ripreso il foglio lo ripiegò e lo mise in tasca. “ lo sai che lo hanno preso nella scuola di pasticceria a Parma? – chiese facendo una domanda retorica perché la richiesta di iscrizione l’aveva compilata lei, ma lei annui e lui continuò – è na bella scola, è grande e ci sono maestri molto bravi. Se avessi potuto ci sarei andato anch’io, ma ai miei tempi i soldi erano pochi e biniditti Ora però la scuola gliela posso pagare e lui ci vuole andare – le toccò una mano con le sue dita lunghe e scheletriche come a raggiungere una intimità tra loro due per passarle un pensiero importante – Cuncettina: iddu c’avi annari deve andarci per forza a quella scuola! “e la guardò scuotendo in senso affermativo la testa. “Io non mangio ma la scuola gliela pago!! Deve andarci perché è bravo, fa bellissime torte piene di fantasia e molto buone, ma il nostro lavoro non è fare torte, è saper fare mille cose, se no non guadagni. Lui ha la presunzione che sa fare tutto ma non è cosi, senza di me che lo correggo e che conosco il mestiere, sinn’annaria o funnu in un mese!!” Si mise a guardare davanti scuotendo la testa preso da mille pensieri. “ senza di me non saprebbe fare neanche le ossa dei morti o le piparelle, anche se lui si sente un artista - fece muovendo la mano ad arco come se recitasse un dramma – ma il nostro lavoro è sacrificio, sudore, è impegno non è solo fare le torte strane: deve andare a quella scuola! Io di più non posso insegnarli perché non ce la faccio e lui è presuntuoso come a sua madre e pensa di sapere tutto e nun mi scuta (ascolta)!! - si giro verso di lei - tu sei una brava ragazza, lui ti ascolta, senti: lui quasi quasi ci sta ripensando e se sente che non sto bene o tu lo vuoi tenere qui con te, lui pigghia l’occasioni e manna a fanculu tuttu. Tu ci ha diri chi da scola l’avi fari!” E la guardo serio serio. Lei scacciò quel ricordo e s’incamminò tra le tombe fino a quella di sua madre dove lei l’aspettava seduta sopra di essa. “Che bei fiori che hai portato! A me piacciono tanto le gerbere e le rose” lei rispose pensando “le rose te le manda papà, oggi va col camion in Germania e non è potuto venire”  “sono belle“ fece la mamma contenta osservando mentre lui le scartava. Lei parlava sempre a sua madre; dopo qualche settimana che era morta lei l’aveva incominciata a vedere, la sentiva in casa o sentiva che le parlava. “Sabbucciu ietta i ciura vecchi davia” suo fratello raccolse i fiori ormai secchi che c’erano e li portò dall’altra parte del cimitero. Lei cercava di tenerlo impegnato; quando la mamma era morta, suo fratello per quasi un mese non aveva parlato, era stato sempre da parte e la notte voleva dormire con lei se no si faceva la pipi a letto. Lentamente lei riempi il vaso di fiori disponendoli con attenzione. Sua madre guardava felice i fiori. Lei sapeva che dove lei era seduta non c’era nessuno ma sapeva anche che sua madre era li; l’amava troppo per pensare che lei non ci fosse più. Sua madre guardò ancora I fiori e ne sistemò qualcuno che usciva troppo. “ e a lui non me lo presenti?” Lei guardo a lui, che le sorrise, poi rivolta alla foto di sua madre le disse indicandolo “ mamma, questo è Gaetano, il figlio del signor Todaro, nui dui…” ’non riuscì a finire di parlare, incominciò a piangere e per la emozione si coprì il volto con le mani singhiozzando. Quando era piccola aveva sempre immaginato quel momento quando avrebbe presentato a chi più l’aveva amata colui che lei più di tutti amava, ed ora che quel momento tanto desiderato era arrivato, sua madre non c’era più. Sabbuccio appena la vide piangere si strinse a lei nascondendo il volto nel suo grembo e pianse anche lui.
 Lui sapeva che tutti noi abbiamo qualche stanza nell’anima dove non facciamo entrare nessuno, dove chiudiamo qualcosa che riguarda solo noi. Aveva capito che nella stanza di lei c’era sua madre, il suo rapporto con lei, quello che era stata ed era per lei. Lui però li dentro non ci voleva entrare, perché percepiva quella la stanza come piena di dolore e di lacrime, di solitudine e disperazione, un luogo infelice dove lei non lo voleva, che non poteva o sapeva condividere con lui. Alle volte la vedeva muovere le labbra come se parlasse a qualcuno che non c’era, ma invece di chiederle cosa diceva, faceva finta di niente. Alla fine non faceva più caso a quel suo isolarsi per poco nel suo mondo interiore di cui lui non era curioso e non per vigliaccheria, ma perché l’amava per come era, e amarla per lui voleva dire accettarla senza compromessi per come era fatta. Ora le sue lacrime, il suo nascondere il volto tra le mani, era stato solo un attimo in cui la porta di quella stanza oscura che lei aveva dentro di se, si era schiusa lasciando uscire tutto il dolore, la pena che conteneva; lui doveva aiutarla a richiuderla. “Concettina chi fai? No vidi chi fai cianciri puru a to frati? Vieni qua”  e se la strinse insieme a Sabbuccio “tua madre lo sa chi sono e che ti voglio bene non c’è bisogno di piangere dai…” e le asciugò gli occhi con il fazzoletto di carta. Lei si calmò. Asciugò gli occhi a Sabbuccio e gli fece soffiare il naso. “Alla mamma piacevano tanto i fiori” disse solo per tornare alla normalità, all’indifferenza quotidiana con cui accettiamo e dimentichiamo la nostra precarietà e quella di chi amiamo. Stettero ancora un pò, poi baciarono la foto della mamma e se ne andarono. Lui diede una caramella a Sabbuccio che incominciò a succhiarla saltellando tra le tombe. Appena fuori dal cimitero lei si sedette sulla vecchia panchina messa appena fuori dell’ingresso. Lui aveva fretta perché dovevano preparare tutti i dolci che si usavano nel periodo dei morti, suo padre sembrava sempre stanco e non era svelto come una volta, per cui lui doveva fare di più. Osservò lei che si asciugava il naso e gli occhi. Non sopportava che lei piangesse o soffrisse. Si alzò, andò verso la macchina e prese qualcosa. Tornò con in mano un sacchetto di piparelle calde e ne diede qualcuna a Sabbuccio. “Mancia chi sunnu boni” disse al bambino, poi ne porse una a lei sorridendo. Lei rispose con un sorriso e la prese ma non la morsicò. “Hai deciso cosa fare?” Chiese con un tono normale quasi casuale. “No! Non so cosa fare, non ho deciso niente e sono stanco di pensarci” rispose seccato con se stesso sedendosi “ogni volta che decido qualcosa, mi vengono fuori mille motivi contrari” “ma tu, cosa vorresti fare” lui penso un secondo “ io vorrei andare. Poi penso a te, a mio padre che ultimamente sta sempre male… e mi sento un egoista, come se facessi la cosa più comoda per me! E se poi mentre sono li lui muorisse? Non me lo perdonerei mai!” Lei non rispose, morse il biscotto guardando fissa di fronte a sé.” Se tu resti, lui muore prima. Muore di dispiacere. Perché ti ha dato una grande opportunità e tu non l’hai colta. Se vai, avrà un motivo in più per vivere, e quel poco che gli rimane da vivere lo vivrà come se fosse il periodo più importante della sua vita. Ma se vai o se resti non lo devi decidere per lui o per me, ma perché pensi che sia importante per te. Se sei convinto di questo, qualsiasi cosa che sceglierai sarà quella giusta per lui e per me”. Lui incominciò a pensare. A lui andare in quel posto per tre anni da solo faceva paura. Ma sapeva che voleva andarci, perché lui non era bravo come suo nonno o suo padre. Loro dentro la pasticceria c’erano nati, lui c’era arrivato perché non voleva studiare. Solo ora aveva capito che quel lavoro gli piaceva, che era quello che voleva. Per carattere e perché ci teneva, voleva frequentare la scuola, per confrontarsi con gli altri e imparare cose che nessuno lungo la costa sapeva. Ma pensarsi li solo, in una città che non conosceva, in mezzo a tanti più bravi di lui gli faceva paura. Suo padre stava male, ma non si lamentava, anzi ogni giorno diceva che si sentiva un leone, e lui aveva capito che lo diceva per farlo andare a Parma tranquillo. Lei aveva ragione, se fosse rimasto, suo padre si sarebbe fatto morire, lui si mise nei suoi panni e si disse che anche lui avrebbe voluto dare a suo figlio il meglio, anche lui avrebbe voluto essere orgoglioso di suo figlio.. “Eh tu? Tu che dici?” Chiese lui tornando a guardarla. “io dico che io sono noi, io e te. Quello che decidi sarà la cosa giusta per entrambi. Ma tu hai talento ed è un peccato per te stesso non farlo crescere”. Lui la guardò. Non aveva mai pensato che lei, ora, era noi, che la sua vita era unita a quella di lei e che qualsiasi cosa lui decideva, lei ne sarebbe stata coinvolta. Si diede della testa di cazzo perché metteva sempre davanti a tutto se stesso, mentre lei metteva sempre davanti a tutto loro due, il loro amore. La guardò negli occhi, quegli enormi occhi color nutella che gli avevano cambiato la vita. Non doveva scegliere di fare la cosa migliore per sé stesso ma per loro due. Loro due stavano insieme, non avevano i legami che fanno una famiglia ma ne avevano l’amore che è l’essenza stessa di una famiglia. Lui doveva andare, doveva smetterla di fare come da piccolo il bambino viziato che aspettava le coccole, le carezze e le caramelle in regalo quando non voleva andare a scuola: doveva pensare a loro due. Doveva andare: quando incominci a sacrificarti pensando agli altri diventi uomo e per lui era ormai il momento di diventarlo.  “Sabbuccio – gridò al fratello di lei che stava tirando pietre alle ciauli – veni chi minni aiu iri o laboratorio chi haiu cu fari” si alzò scuotendosi le briciole dai pantaloni. “Veni - disse a lei allungando la mani - annamuninni (andiamocene) che si fa tardi ” lei si alzò senza fiatare. Lui prese per mano Sabbuccio e gli chiese” ma tu, se andassi a Parma, mi veni a truvari ?”, “Si veni Cuncetta vegnu puru jo” rispose serio serio il bambino. “ va bhe – fece lui facendo finta di essere seccato – allura facciamo venire anche lei – rivolgendosi a lei le chiese – tu ci vieni a  Parma a trovarmi?” E la guardò negli occhi come la prima volta che l’aveva baciata sulla panchina sul lungo mare. Lei sorrise “ Si me patri ni manna, vegnu” e sorrise con un sorriso ancora più grande. Lui se la strinse al fianco mentre Sabbuccio scappava verso la macchina “u vidi? – le fece sua madre che camminava accanto a loro mentre guardava che sabbuccio non si facesse male -  tutti i cosi venunu o ghianu e comi venunu si cuntanu” (lo vedi tutte le cose si aggiustano e poi come vengono, le affronteremo)
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