#Lo sguardo di santa Lucia
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[Lo sguardo di santa Lucia][Umberto Cinquini]
La storia di Lucia trasmette un potente messaggio d'amore in un villaggio bloccato da dogmi. Crescendo, Lucia sfida le convenzioni, portando una rivoluzione nel cuore della comunità, mentre la statua di Santa Lucia rimane muta e distante.
L’amore contro ogni dogma: la storia di Lucia che scuote un intero paese Titolo: Lo sguardo di santa LuciaScritto da: Umberto CinquiniEdito da: Pav EdizioniAnno: 2024Pagine: 164ISBN: 9791259738912 La trama di Lo sguardo di santa Lucia di Umberto Cinquini In un villaggio collinare della Versilia, la vita di Gastone Pacelli scorre senza emozioni. Tutto il suo mondo ruota intorno alla chiesa dove…
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Il 13 dicembre, Santa Lucia protettrice della vista e degli occhi ha illuminato un fotogramma di uno dei film di Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia rivelando un incanto del caso. O meglio, ha affinato lo sguardo di Alessandro Zagatti che, guardando la clip del giorno dell'Almanacco (la posto nel primo commento), ha colto il veloce passaggio di una coppia sotto al Portico dei Servi di Bologna, durante una Fiera di Santa Lucia di metà anni Sessanta. Ci ha scritto: "Ma il ragazzo al minuto 1:14 è per caso un giovanissimo Francesco Guccini?" E ci è apparsa così davanti agli occhi la concretizzazione di un atto poetico: il cineamatore Oreste Baldi riprende, nel 1965, per caso, Francesco Guccini giovanissimo, prima di diventare famoso, a braccetto con la fidanzata di allora che diverrà la prima moglie. Lui con l'eskimo, lei col paletò. Un istante che diverrà col tempo un ricordo e poi avrà la potenza di trasformarsi in un verso (come dovrebbe accadere per i migliori versi, secondo quanto dice - con pazienza poetica - Rilke).
Ricordi fui con te a Santa Lucia Al portico dei Servi per Natale Credevo che Bologna fosse mia Ballammo insieme all'anno o a Carnevale. [Eskimo, 1978]
Elena Pirazzoli su Facebook
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Lo sguardo del viandante: la mostra fotografica di Baldini alla Libreria Brunelleschi dell'Opera di Santa Maria del Fiore
Inaugura domani venerdì 21 giugno la mostra fotografica ‘Lucia Baldini. Lo sguardo del viandante’ curata da Vincenzo Circosta e Giuseppe Giari, allestita nella Libreria Brunelleschi dell’Opera di Santa Maria del Fiore. La fotografa Lucia Baldini che da anni è impegnata in una ricerca sull’onirico, si confronta con i monumenti della Cattedrale di Firenze, offrendo scatti poetici. In mostra è…

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Mercoledì 13 e venerdì 15 dicembre 2023 Mariangela Ciulo - in arte Mare’ - pittrice, scultrice, designer, installatrice - esporrà i suoi lavori a Sacrofano, rispettivamente nella Chiesa di San Giovanni Battista e in quella di San Biagio. La mostra, patrocinata dal Comune di Sacrofano, è ad ingresso libero. Mariangela Ciulo, in arte Mare’, artista siciliana di Valguarnera Caropepe (EN), opera a Roma dal 1999. Vive e lavora nel borgo medievale di Sacrofano, paese a nord di Roma. Qui la pittrice, scultrice, designer, installatrice, esporrà i suoi lavori mercoledì 13 dicembre nella Chiesa di San Giovanni Battista, e venerdì 15 in quella di San Biagio. La mostra, ad ingresso libero, è patrocinata dal Comune di Sacrofano. Ha voglia di raccontare e di raccontarsi Mariangela Ciulo e lo fa scegliendo con cura le sue parole. Ogni gesto racchiude una storia, ogni sguardo è una intenzione, una visione sul mondo, una riflessione sulle relazioni umane, sulla poetica delle emozioni. Tutto parte dagli occhi, specchio dell’anima, strumento di conoscenza e punto di incontro tra materia e spirito. Non a caso la sua mostra inaugura nel giorno di Santa Lucia, protettrice dei non vedenti, nel luogo in cui ha scelto di vivere, per promuovere il territorio e per sugellare un legame prezioso che parte da lontano. «Installerò un'opera nei toni del grano, devozione alle messi contadine, con le quali mia madre mi ha nutrito. A testimonianza che la luce è vita, e ritorna. Il grano cotto, 'a cucìa, si consuma in Sicilia e con questo mia madre mi ha cresciuta nei giorni della sua amata Santa Lucia», racconta l’artista. La forza del nutrimento dello spirito per i giorni di poca luce che la vita osserva. Come i suoi lavori, intensi, evocativi. Due i toni scelti. Come l’alternanza del tempo, fra presenza e essenza. Nella antica Chiesa San Giovanni Battista, nel borgo medievale, l’artista propone una istallazione che dialogherà con l’affresco seicentesco dell’abside, completamente restaurato, raffigurante la “Vergine Assunta” tra gli angeli, e un’opera laterale. In quella di San Biagio, invece, sarà presente la decodificazione astratta della Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, proprio dove è presente San Giovanni Battista bambino. Ancora fodere di materassi di canapa dell’Aeronautica Militare del 1953, sui quali si sviluppa il dipinto come paesaggio o elemento vivente. Devozione al nutrimento contadino e all’acqua che è vita. Mariangela Ciulo si definisce «una donna e madre. Un pittore». L’arte, secondo Mare’: Pane. Cosa rappresenta “La Notte di Santa Lucia”? È un'opera che incarna la componente frugale dell'essenziale. La differenza della mimica nello scatto dello sguardo. La mia viltà mai giunta nell'aggetto dell'atto fotogrammato dal tempo. La beltà di quello sguardo è determinata dall'ascissa del nostro luogo. A chi parlano le tue opere e quale il messaggio? La poetica del vivere comune nella briciola delle stanze poco esposte alla cioccolata pasquale di un meritevole desco, a testimonianza che non tutto fu perduto. È nella capacità di vuoto che misuriamo noi stessi. Progetti futuri? Socchiudere la bocca e annusare pulviscolo foriero di avvento.
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Antica Celebrazione di Sant'Agata a Catania: Tra Devoti e Storia Millenaria

All'arrivo di agosto, nell'animo dei cittadini di Catania, non si fermano soltanto i pensieri sulle vacanze estive e il consueto ferragosto, ma si accende l'attesa per un evento di grande rilevanza che non può passare inosservato. Si tratta della festa di Sant'Agata del 17 agosto, comunemente nota come Sant'Agata d'estate. Dopo i sontuosi festeggiamenti di febbraio, in cui la patrona della città viene venerata in maniera intensa, devoti, fedeli e persino turisti, spesso ignari di questa ricorrenza, avranno l'opportunità di rinnovare il loro legame con Agata durante questa giornata. Ma quali sono le radici di questa celebrazione? Perché viene festeggiata? Di seguito, le spiegazioni e le motivazioni che stanno dietro a questo evento millenario. La Celebrazione di Sant'Agata il 17 agosto: Significato e Origini Per immergerci nel passato e scoprire le origini della celebrazione di Sant'Agata che si svolge il 17 agosto, è necessario compiere un viaggio nella storia. Il punto di partenza ci riporta all'anno 1040, quando il generale bizantino Giorgio Maniace, durante la sua campagna in Sicilia, depredò le reliquie di Sant'Agata, patrona di Catania, portandole a Costantinopoli insieme a quelle di Santa Lucia. Tuttavia, 86 anni dopo, precisamente il 17 agosto del 1126, due ex soldati dell'esercito bizantino, noti come Gisliberto e Goselmo, entrambi devoti alla Santa secondo una leggenda, riportarono a Catania le spoglie di Agata, precedentemente trafugate da Costantinopoli. Durante il viaggio di ritorno, una tappa presso le coste di Gallipoli diede luogo a un gesto di riconoscenza da parte di Goselmo verso la sua terra d'origine e l'ospitalità ricevuta: donò una delle due mammelle di Sant'Agata, un oggetto che è ancor oggi conservato nel duomo della cittadina pugliese. Nel frattempo, le restanti reliquie sono distribuite tra il busto reliquiario realizzato da Giovanni Di Bartolo e lo scrigno argenteo. Documenti storici raccontano che Gisliberto e Goselmo avessero suddiviso il corpo di Sant'Agata in varie parti, allo scopo di agevolare il trasporto, occultando le reliquie all'interno delle faretre al posto delle frecce. Presso la chiesa di Sant'Agata al Carcere, è possibile ammirare una parte della cassa utilizzata per riportare le reliquie a Catania da Costantinopoli. All'arrivo delle reliquie nella notte del 17 agosto, i cittadini furono svegliati dal suono gioioso delle campane, e spontaneamente iniziarono i festeggiamenti. È per questo motivo che il 17 agosto è considerato il giorno della prima celebrazione agatina nella storia, rappresentando così la più antica festa nel tempo. Gisliberto e Goselmo consegnarono le reliquie al vescovo di Catania Maurizio, presso il Castello di Aci, l'odierna Aci Castello. Nel corso di quest'anno, si commemora l'897° anniversario del ritorno delle reliquie di Sant'Agata da Costantinopoli in patria. Festeggiamenti di Sant'Agata il 17 agosto: Tradizioni e Rituale Pur essendo festeggiata in una forma più contenuta rispetto a febbraio, la celebrazione estiva di Sant'Agata rappresenta un momento di grande attesa. Numerosi devoti e fedeli partecipano alla processione. Il culmine dei festeggiamenti avviene il 17 agosto, il giorno in cui i cittadini catanesi possono nuovamente rivolgere lo sguardo ad Agata. Le celebrazioni prendono il via dalla mattina con la Santa Messa alle 7:30. Subito dopo, verso le 8 del mattino, si apre il sacello, esponendo il busto reliquiario sull'altare insieme alle reliquie, precedentemente rimosse dallo scrigno in cui sono custodite. Successivamente, la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dall'arcivescovo è in programma per le 19. Alle 20:30, il busto reliquiario e lo scrigno lasceranno la cattedrale, dando inizio alla processione che seguirà un percorso inverso rispetto a quello del 16 agosto. Il tragitto comprenderà le seguenti tappe: piazza Duomo, Porta Uzeda, via Dusmet, via Porticello, piazza San Placido, via Vittorio Emanuele, piazza Duomo. Evoluzione Storica della Festa di Sant'Agata il 17 agosto Nonostante appaia già come una celebrazione più modesta rispetto a febbraio, l'evento del 17 agosto, con il percorso attuale che attraversa le strade nei dintorni di piazza Duomo, un tempo era ancora più breve. In passato, si limitava a una breve processione attorno a piazza dell'Elefante, lo stesso percorso che caratterizza il giorno dell'ottava di Sant'Agata, il 12 febbraio. Recentemente, si è verificato un cambiamento riguardo alla partecipazione delle candelore. Se la candelora di monsignor Ventimiglia è stata sempre un punto fermo nelle celebrazioni, nelle ultime edizioni pre-COVID, come nel 2019, si sono unite alle celebrazioni anche le candele dei fiorai, dei fruttivendoli, dei pizzicagnoli e del Villaggio Sant'Agata. È ancora da vedere se parteciperanno anche quest'anno. Curiosità sulla Celebrazione di Sant'Agata il 17 agosto Facendo ancora un salto temporale al 1126, si ipotizza, anche se con incertezza, che il sacco bianco, l'abito indossato dai devoti durante le festività, possa essere collegato al fatto che i cittadini scesero in strada in camicia da notte all'arrivo delle reliquie di Sant'Agata. Tuttavia, si tratta di un'elaborazione successiva al 1126. Riguardo alla durata dei festeggiamenti, l'edizione del 2000 è stata speciale. In occasione dell'Anno del Giubileo, il busto reliquiario di Sant'Agata e lo scrigno sono stati esposti sul sagrato della Cattedrale durante la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dall'arcivescovo Luigi Bommarito. In questa occasione, la processione è stata allungata. Il busto reliquiario e lo scrigno sono stati portati a spalla da piazza Duomo lungo via Etnea fino a piazza Stesicoro, per poi ritornare indietro attraverso la stessa piazza, questa volta passando davanti all'anfiteatro romano e alla chiesa di San Biagio. Questa scelta non è stata un'innovazione assoluta, poiché lo stesso itinerario è stato seguito nel febbraio del 1991, in una celebrazione più breve a causa della Guerra del Golfo. L'appuntamento, quindi, è fissato dopo il ferragosto, per partecipare a questa significativa commemorazione e rivedere Sant'Agata, nell'attesa di febbraio 2024. Read the full article
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Ti manca una compagna di avventure, questo è certo. Per un brevissimo tempo hai pensato di averla trovata. Ti piaceva il suo sguardo da ninfa birichina, la buffa risata piena e soddisfatta, quelle piccole rughe di espressione sulle guancia. Il neo sulla fronte, un punto identificativo di cui non potevi fare a meno. Ti piaceva davvero. E forse per un attimo ancora più breve tu sei piaciuto a lei.
Poi si sono mescolate le carte, le lingue, i pensieri, cose non dette o dette troppo. Desideri divergenti e opposti. Insomma non ha funzionato. Probabilmente non avrebbe mai dovuto funzionare, perché troppi uguali o allo stesso tempo troppo diversi, soprattutto nelle proprie instabilità. É finito qualcosa che non è mai iniziato o forse era tutto solo nella tua testa. Ma quella ventata di freschezza ci voleva, ti ha ridato vita, ottimismo. Uno sguardo diverso sul mondo.
Lo sai che ti manca ancora un pochino. Ogni tanto ci pensi. Metti su quei due, tre brani che ti legano nostalgicamente a lei. Il ricordo degli sguardi, dei silenzi e dello sfiorarsi con malcelato imbarazzo.
Però è andata, doveva andare così. Inutile piangere sul latte versato, inutile crearsi un tormento che non ha più ragione di esistere. Ti resta il ricordo, bello e quel pizzico giusto di nostalgia, legato ad un occhio di Santa Lucia, prezioso più di qualsiasi gemma tu potessi regalare.
Ma quel che più ti resta é la voglia di andare avanti, senza guardarsi indietro con rammarico e dispiacere.
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Chi Di Laser Colpisce D’Amore Perisce
“Ok sono Milena e LO SO che mi avete chiesto kose e con calma ce la famo ma stasera è Halloween quindi ricapitotilolando (si l’ho scritto apposta come una cretina) la cosa è questa: sono stata al laser game con dei miei amici e abbiamo giocato in “night zombie mode” e mi sono divertita un sacco e niente mi è salita la teen au so... spero ve la godrete!
(Also ho pure vinto quindi mi hanno regalato una partita omaggio seeeee sono felicissma perché io non vinco mai niente ashjssjjwjw)
Here we go!
Andare al Laser Game non era mai stata una delle priorità assolute di Ermal
Per la verità, nemmeno festeggiare Halloween lo era, così come non era nemmeno strettamente necessario presentarsi alle feste
Questo quantomeno secondo lui perché, per la verità, a quella opinione si opponeva fortemente quella totalmente contraria del suo amico e coinquilino Francesco, festaiolo di natura che amava particolarmente qualsiasi posto in cui ci fossero gente, musica e alcool e che riteneva un affronto personale non essere invitato-cosa che comunque la gente si premurava di non fare perché, come usava dire lui “No Gabba, No party” e tutti ormai sembravano credere in quel detto
Il punto era che,non per suo volere, si era ritrovato ad una festa di Halloween organizzata al Laser Game
E che figo, direte voi
E che palle, dice invece lui, ad alta voce proprio
“Che palle, Francesco”
L’ennesima lamentela, insomma, che gli sfugge dalla bocca mentre la macchina accosta al posto designato
“Dai Ermal non rompere il cazzo” gli dice invece l’altro, eccitato come un bambino a cui hanno detto che quell'anno Santa Lucia, Natale, Pasqua e il compleanno arrivano tutti nello stesso giorno
Si volta pure a guardarlo, sorridendogli a trentadue denti con il suo costume che somiglia semplicemente a un poncio di plastica in cui ha infilato la testa
“Che cosa dovresti essere?” gli aveva chiesto a casa, inarcando un sopracciglio, ottenendo una sconsolata occhiata da parte sua mentre si poneva vicino alla sua ragazza che invece si era infilata una maglietta con dipinto sopra a mano alcune linee e si metteva ad indicarli come a mostrare il collegamento tra i loro costumi “Capito ora?”
Ermal del canto suo ancora non capiva esattamente come Francesco avesse una ragazza E un ragazzo. Non nel senso che non capiva le relazioni poliamorose, nel senso che non capiva proprio come Francesco fosse riuscito a farsi amare da due persone per bene come Marco e Anna contemporaneamente
Per cui, aveva scosso la testa “No. Cosa dovreste essere, dei pezzi di un museo d’arte contemporanea?” aveva domandato, ironico
“Ermal. Amico mio. Proprio tu manchi così tanto di fantasia?” aveva ribadito Francesco, quasi offeso da quell'affronto “Siamo un preservativo bucato e un test di gravidanza, naturalmente! E Marco farà il bebè. Gli abbiamo comprato un bavaglino” aveva affermato, entusiasta
Ermal non aveva nemmeno avuto la forza di commentare mentre, inorridito, si tirava su per andare a buttarsi dalla finestra
“E tu da cosa sei vestito?” aveva chiesto Francesco, osservando criticamente i suoi skinny jeans neri e la giacca di pelle nera che aveva indosso, sotto la quale non c’era altro che una maglia nera degli AC/DC
“Da sto cazzo” aveva replicato lui, spegnendo la sigaretta nel posacenere e chinandosi ad allacciarsi le all star rigorosamente nere
“Eddai Ermal” aveva ribattuto Francesco “ti devi vestire da qualcosa anche tu!”
“Ma non vedi? Sono vestito. Fingi che sia uno dei tipi di Grease se proprio ti turba l’idea che sia me stesso e non...beh, no, un preservativo bucato potresti comunque essere tu” aveva replicato con un sorrisino
Francesco, al solito, non si era offeso. Maledizione.
“Sembri un cadavere” aveva detto Anna allegramente, indicando le sue occhiaie che non scomparivano dal 15′-18′ e il suo colorito smunto da universitario che non vede la luce del sole dal paleolitico
Ermal aveva scrollato le spalle “Sempre meglio che essere incinta” aveva ribatutto ironicamente
“Il nostro è un costume di coppia, ma che ne sai tu” aveva precisato Francesco e, al contrario suo, la cosa l’aveva pizzicato nell’orgoglio più di quanto fosse disposto ad ammettere
Ok che non aveva una relazione da, beh, mesi, ma non era questo il punto.
Lui studiava, non aveva tempo per una persona, figuriamoci per due.
Non come Francesco, che l’università non sapeva nemmeno dove fosse di casa ma conosceva le case di tutti e ogni locale
Ermal, per la verità, si era pure opposto con tutte le sue forze a farsi trascinare alla festa, ma Francesco non aveva davvero voluto sentir ragioni per cui eccoli lì, finalmente, stipati dentro una stanzetta mentre uno dei ragazzi che lavora in cassa gli spiega come giocare
Guardandosi intorno, si è accorto di conoscere più o meno tutti i presenti: ci sono Francesco, Marco, Andrea, Anna, Dino, Gent, Eleni e Annalisa. Gli unici che non conosce sono quei tre nell'angolino,una ragazza e due ragazzi, che non ha mai visto in vita sua.
Lei è carina, alta e slanciata, dai capelli mossi e castani e il viso sottile e sorridente. E’ seduta vicino ad Annalisa e le due parlottano per cui intuisce che siano amiche. Per quanto riguarda i ragazzi, uno dei due non è particolarmente degno di nota mentre l’altro...eh
L’altro è, in una parole, un figo.
Non può’ negare che sia davvero, beh, bello. Se ne sta appoggiato al muro, le braccia tatuate e decisamente solide incrociate al petto,la leggera barba che gli adorna il viso stanco che però è aperto in un sorriso leggero. Ha le occhiaie e le lentiggini e due occhi dalle ciglia anche fin troppo lunghe per un ragazzo. Come lui, è vestito semplicemente con una maglia scura e dei jeans e la cosa lo fa sospirare di sollievo.
Non riesce a non fissargli le labbra sottili e appena screpolate mentre quello se le umetta appena, ma distoglie lo sguardo non appena si accorge che lo sta fissando
Che figure di merda
Intanto il tipo gli ha spiegato tutto: avranno delle pettorine con delle luci a cui saranno attaccati i fucili. Bisogna mirare alle luci per colpire gli avversari. Una volta che si è stati colpiti, si rimane per qualche istante incapaci di essere colpiti di nuovo o di colpire l’avversario. All’interno dell’arena di gioco, posta su due livelli, ci saranno delle gemme che danno dei bonus come l’invisibilità, ovvero lo spegnimento delle luci sulle pettorine per un tempo limitato. Chi colpisce più persone accumula più punti e vince
Semplice e lineare, come un videogioco insomma
Dato che esistono varie modalità di gioco e loro hanno due partite, finiscono a provare prima quella a squadra
Ermal finisce insieme a Marco, Francesco, Anna, Gent e Annalisa. Loro, ovviamente, contro agli altri.
La partita è... divertente
Per quanto Ermal si sforzi di non ammetterlo, non è poi così male
Certo, deve correre avanti e indietro e la sua squadra risulta abbastanza uno schifo tanto che perdono e solo lui si classifica tra i primi quattro, ma sì, è più divertente del previsto
Si rende anche subito conto di aver fatto bene a vestirsi di nero: le luci dell’arena fanno risaltare i colori chiari e infatti è facilissimo trovare Marco dato lo stupido bavaglino che indossa
Durante la stessa viene colpito una volta dal ragazzo misterioso e, per ripicca, si impegna a colpirlo quante più volte può, causando in lui una risata all’ennesimo colpo
“Regazzì, tu sempre tra le palle stai, ao” gli dice, scomparendo poi da qualche parte dopo essergli passato accanto scompigliandogli i capelli
Ah. Ok.
Ma chi gli ha dato il permesso? E sopratutto, come si permette di andarsene senza farlo ancora. Infame.
Comunque, i venti minuti scorrono più veloci del previsto e prima che se ne rendano conto devono tornare a riporre le pettorine
Durante i loro venti minuti di pausa in cui riprendono fiato e un’altra squadra di ragazzi gioca, riesce a farsi presentare gli sconosciuti.
Alessandra, Claudio, Fabrizio.
Così glieli indica Annalisa, partendo dalla sua amica e finendo con il romano-chiaramente, dato l’accento-che sta catturando la sua attenzione da prima
“So Fabbbbrizio” ripete lui, stringendogli la mano con un sorriso che lo fa arrossire e ringrazia il calore provocato dalla corsa, altrimenti si noterebbe troppo
“Ermal” rimanda, mordicchiandosi poi il labbro quando l’altro si passa una mano tra i corti capelli castani giù scompigliato
“M’hai dato del filo da torcere eh regazzì” ride Fabrizio-anzi no, Fabbbbrizio, con quattro b-cosa a cui Ermal replica con uno sbuffo e un sorrisino
“Niente di personale” ribatte, passandosi una mano tra i ricci “Eri un avversario, dopotutto”
Fabrizio, del canto suo, gli sorride e basta, studiandolo da capo a piedi
Anche lui ha notato subito quel ragazzo sconosciuto che, con quei ricci scuri, gli occhi neri e la pelle pallida ha già conquistato la sua attenzione
Dopotutto Ermal è bello
E, ha detta dei suoi amici, anche single
Per cui, non si sente minimamente in colpa a provarci.
“Ma certo” ribatte, ripassandoselo di nuovo con lo sguardo e scompigliandogli i ricci di nuovo “non me la prendo mica” soffia, avvicinandosi appena a lui
Lui che arrossice appena e si lecca le labbra e lo guarda e ok, bene, sono sulla stessa linea d’onda
“Mi piace la tua maglietta” dice poi, indicandola, sfiorandola appena con la punta delle dita “Hai buoni gusti in fatto di musica. Dopo dovremmo parlarne, se ti va”
Ermal sta per ribattere che sì, certo che gli va, ma non ci riesce.
Non fanno in tempo a dirsi altro perché vengono richiamati e gli viene spiegata la modalità della prossima partita, che faranno in modalità zombie e al buio
La cosa funzionerà così: non ci saranno luci nell’arena, se non le loro pettorine. Tutte le pettorine saranno verdi all’inizio della partita tranne una, che sarà quella dello zombie e sarà rossa. Ogni volta che lo zombie colpisce qualcuno, questo diventerà a sua volta uno zombie. L’ultimo a rimanere con la pettorina verde riceverà duecento punti e diventerà lo zombie 0, mentre in automatico tutte le altre pettorine torneranno verdi e si ricomincerà da capo.
Ok, Ermal doveva ammetterlo: la cosa era parecchio una figata
Oltretutto, la partita precedente gli aveva dato l’occasione di studiarsi i punti ciechi dell’arena per cui, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a rimanere sempre l’ultimo sopravvissuto e a trasformarsi in zombie, ricevendo così i 200 punti e tendendo imboscate agli altri
E sì, perché Ermal non sa prendere i giochi solo come giochi quindi si è elaborato tutta una strategia
Anche perché vuole vincere
E le cose vanno benissimo, infatti.
Vanno esattamente come ha programmato e usando la gemma dell’invisibilità passati quindici minuti è in testa alle classifiche
Se ne sta lì, nascosto in un punto cieco in attesa di rimanere l’ultimo sopravvissuto quando, dal nulla, sbuca uno zombie
Non fa in tempo ad alzare il fucile per sparargli che quello, però, alza le mani
“Aspetta te prego me stanno tutti addosso lasciami respirà te giuro che nun te trasformo”
Ah. Fabrizio.
Abbassa piano il fucile, diffidente, guardandolo.
Sembra davvero stravolto, con i capelli tutti scompigliati e il viso che, per quanto puo’ vedere nella luce rossastra, è paonazzo
“Te giuro” mormora “So l’unico zombie in giro e non riesco a colpire nessuno perché me sparano tutti contro” ansima, guardandolo “lasciami riprendere e non ti sparo” dice, posandosi la mano sul fianco “mannaggia so vecchio pe’ ste cose” ride
Ermal, a quel punto, cede. Ok, se lo lascia rimanere un sopravvissuto va bene
“Ok” dice “ma vieni più qua, o ti vedranno. Questo è il mio punto cieco, non farmi scoprire” mormora piano, schiacciandosi contro l’angolo della stretta rientranza per fargli spazio. Tra le pettorine e i loro corpi, occupano tutto quello disponibile e non sono che a pochi centimetri l’un dall’altro
Si osservano, diffidenti
Ermal continua a tenere in mano il fucile, mentre Fabrizio l’ha abbandonato al proprio fianco
“Cinque minuti all’uscita dall’arena” annuncia una voce metallica agli autoparlanti “Ci sono undici sopravvissuti”
Quindi Fabrizio non ha mentito: è lui l’unico zombie
Ermal lo osserva, critico.
Condividere lo spazio vitale con qualcuno non è uno dei suoi forti, se poi questo qualcuno è uno sconosciuto parecchio bello ancora meno
Incredibilmente, così sfatto sembra ancora più bello di prima
“Senti” mormora piano Ermal, per non farsi scoprire. Sopra e attorno a loro sente le voci e i passi degli altri che camminano, in cerca dello zombie “Spara a uno di loro restando nascosto qui. Così si fanno fuori a vicenda. Possiamo continuare a colpirli senza farci scoprire. Io non colpisco te, tu non colpisci me. Così alla fine rimango solo io, mi prendo i duecento punti, la partita finisce e ho vinto. E tu nel mentre recuperi qualche punto e non finisci ultimo. Non sapranno cosa li ha colpiti, credimi. Se stiamo attenti non ci troveranno e ci guadagniamo entrambi. Che dici?” gli propone, guardandolo
Fabrizio, del canto suo, lo osserva quasi stranito, inarcando le sopracciglia
“Cazzo ma sei un piccolo demonietto tu. Comunque nun so messo così male, so tipo terzo ao!” ridacchia, cosa che fa arrossire Ermal che, per non darlo a vedere, alza il naso all’insù
“Abbiamo un accordo o no?” chiede, allungando la mano verso di lui
Mano che lui, dopo un secondo, stringe con un ghigno
“Ce sto”
Le cose vanno tutte come nel previsto. Circa un paio di minuti dopo Fabrizio riesce a colpire qualcuno e da quel momento in poi il numero dei sopravvissuti inizia drasticamente a calare.
E loro, dal loro piccolo nascondiglio, sparano a chiunque passi di lì. Per la verità, Fabrizio riesce a trasformare almeno cinque persone in zombie ed Ermal, soddisfatto della cosa, li colpisce mentre si allontanano, confusi da chi li abbia colpiti, guadagnando punti
E poi, succede
“Un minuto all’uscita dall’arena. Un sopravvissuto. Ripulire. Diamo inizio all’invasione” annuncia la voce mentre la pettorina di Ermal diventa rossa e quella di Fabrizio torna verde
“Ottimo lavoro!” dice Ermal entusiasta.
Sono entrambi sudati e sfatti, ma hanno decisamente fatto un buon lavoro, sì
E poi, lo sguardo gli casca sul lettore digitale del fucile di Fabrizio ed è li che si accorge che la sua strategia ha funzionato anche fin troppo bene
Secondo. E solo di pochi punti indietro a lui
Se lo colpisse, vincerebbe.
E Fabrizio se ne accorge perché, seguendo il suo sguardo, nota i due schermi vicini e i punti segnati sull’uno e sull’altro.
E’ un attimo: si guardano e di colpo sono con le spalle premute ai due angoli della parete, che si puntano i fucili contro
“Allora” mormora Ermal, piano “Niente cazzate. E’ mia la vittoria. Avevamo un accordo”
“Lo so” è quel che dice Fabrizio, guardandolo “Facciamo così: giù le armi, che dici?”
Ed Ermal vorrebbe anche dire di sì ma, si sa, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, no?
“Ascolta” riprende Fabrizio, abbassando lentamente il fucile “Sarebbe inutile darsi addosso ora, no?” mormora, sporgendosi appena verso di lui e che cazzo sta facendo? Sono già vicini, anche fin troppo “Abbiamo un accordo e Dato che abbiamo circa trenta secondi li potremmo impiegare...meglio” dice, arricciando le labbra in un ghigno leggero che Ermal non riesce a decifrare, ma che gli fa fermare il cuore per un istante.
Anche perché, per l’appunto, lo spazio vitale che condividono è davvero insufficiente per due persone e loro sono tutti stretti e schiacciati, a sperarli solo le pettorine e qualche centimetro
Deglutisce, guardando Fabrizio avvicinarsi ancora a lui e non riesce a non fissare lo sguardo sulle sue labbra
In fondo, è tutta la sera che lo punta e non ha dubbi sul fatto che l’altro se ne sia accorto dato che a sua volta ci aveva provato e nemmeno tanto sottilmente, invitandolo pure a parlare di musica
Per cui sì, fanculo, perché non approfittarne?
Dopotutto, chissà quando resteranno soli altrimenti dato che ora ci sarà la festa vera e propria e ad Ermal non piace pomciare davanti agli altri, nemmeno un po’
Non è nemmeno sicuro che l’altro poi lo farebbe o che le cose avrebbero effettivamente un finale più lieto per cui si, fanculo meglio approfittarne.
Perciò, abbassa in automatico il fucile, leccandosi le labbra mentre Fabrizio gli posa piano due dita sotto al mento per fargli alzare il viso
“Si bello regazzì” gli mormora, sorridendogli
E si avvicina e i loro nasi si stanno sfiorando e lui socchiude gli occhi e-
La sua pettorina lampeggia, il pew leggero di sottofondo che precede solo di un istante la voce metallica che dice “Fine della partita. Uscire dall’arena”
E abbassando lo sguardo inorridito, trova conferma ai suoi sospetti: secondo.
La punta del fucile di Fabrizio è ancora puntata contro la sua pettorina e lui è secondo
Secondo perché Fabrizio gli ha sparato a tradimento, facendogli credere di volerlo baciare
Arrossisce fin sulla punta delle orecchie, scostandosi da lui di scatto
“MA SEI UN INFAME!” sbotta, offeso-anche se non davvero, dai, se l’è giocata bene lo deve ammettere-mentre si dirige verso l’uscita, l’altro che gli va dietro ridacchiando
“Sei proprio un burino... sleale... infame...e senza onore” borbotta mentre si leva la pettorina e la ripone nello spazio apposito, causando in Fabrizio, che l’ha seguito e ora è accanto a lui, un eccesso di risa
“Ma sentilo” replica, divertito, passandogli una mano tra i ricci, gesto che Ermal scansa senza troppa convinzione
“Niente di personale” continua Fabrizio “Eri un avversario, dopotutto. Non ti sarai mica offeso” chiede, cosa che gli fa spalancare la bocca in una smorfia di sconvolto e divertito stupore
“Ma vedi questo!” ribatte, dirigendosi verso il bancone per ritirare la scheda dei punti “non solo mi rubi la vittoria, ma pure le frasi!”
E Fabrizio ride, ride e gli pizzica il fianco, cosa che lo fa sussultare e arrossire
Alla fine, ad entrambi viene regalata una partita omaggio dato che sono i primi due classificati, ma la sconfitta brucia ad Ermal più di ogni altra cosa
Quasi più della ferita nell’orgoglio
Perché andiamo, quanto è stato stupido a farsi fregare così?
Anche se, onestamente, chi non si sarebbe distratto davanti a Fabrizio skst
E nonostante tutto, non riesce a non avercela con Fabrizio
Per cui, mentre sono fuori dal posto a fumare prima di partire alla volta del locale in cui dovranno concludere i festeggiamenti, si tira su dal muro dove è appoggiato, accanto a Fabrizio, schiacciando la sigaretta sotto la scarpa prima di voltarsi a guardarlo
Non si sono parlati dopo il ritiro dei premi perché Fabrizio è stato preso da parte dai suoi amici ed Ermal è stato assalito da Francesco che ha debitamente pensato di prenderlo per il culo per aver perso di così poco, sfottendolo con frasi tipo “che c’è, stavi sbavando sopra a Fabrizio?”
Si sono ritrovati solo lì fuori e hanno fumato in silenzio senza guardarsi, ma ora Ermal rompe quella stabilità pacifica che si è creata
“Senti, signor imbroglione” lo apostrofa, guadagnandosi un sorriso da parte sua “Mi dai tu un passaggio fino al locale della festa?
Fabrizio, del canto suo, si tira su a sua volta, anche se Ermal non arretra e si ritrovano così vicini, come prima, senza nemmeno le pettorine a creare un po’ di spazio
Si fissano, guardandosi negli occhi, studiandosi, leccandosi le labbra
“Hai paura delle moto?” chiede Fabrizio, gettando la sigaretta a terra e soffiando il fumo di sbieco, lontano dalla sua faccia
Stupidamente, lo attraversa il pensiero che anche Fabrizio potrebbe venire dritto da una cosa tipo Grease
E chi cazzo dovrebbe essere lui, Sandy?
Ridicolo
“No” replica Ermal, sorridendo a sua volta, tirandosi appena su la giacca
Ora anche Fabrizio ne indossa una, sempre nera e sempre di pelle
E cazzo, se non gli sta da dio
“Allora” sorride lui, pestando la cicca “ti do un passaggio io, si” conferma
Esattamente cinque minuti dopo, Ermal si ritrova sulla moto, con il casco e le braccia strette attorno alla vita di Fabrizio
“Ci vediamo alla festa” dice agli altri lui, mettendo in moto
Inutile dire che al locale non ci sono mai arrivati
Però, una cosa Ermal di certo l’ha imparato: a volte le feste di Halloween al Laser Game non sono una priorità, ma non sono nemmeno così una palla come pensava
E, a volte, ti rimediano anche una sana scopata e un ragazzo
THE END Per cui niente, volevo mettere questa cosina per Halloween
Fatemi sapere cosa ne pensate!
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Grottammare Alta, un viaggio tra terra e mare

Grottammare Alta, un viaggio tra terra e mare
Tra le località più fotografate delle Marche c'è il borgo di Grottammare Alta che regala uno splendido panorama sul mare dagli intensi contrasti cromatici tra il blu dell'Adriatico e il bruno del cotto che ne compone il borgo.La posizione cruciale per il controllo dei confini la rese protagonista di una lunga serie di attacchi, ingerenze e alcune frane che ne cambiarono lentamente l'aspetto. Lo sperone roccioso su cui si aggrappa era, in passato, molto più vicino al mare e gli abati di Farfa, che nelle vicinanze avevano eretto la corte di San Martino al Tesino, lo scelsero per farne una fortificazione di guardia. Gli abati, protetti da papi e da bolle imperiali per tutto il XII secolo, furono costretti a cedere la loro Grottammare a Fermo nei primi anni del Duecento anche se i fermani riuscirono ad arginare con fatica i tanti nemici che aspiravano alla sua conquista.Un annus orribilis fu il 1451 quando una grossa frana ne distrusse le mura e buona parte delle abitazioni lasciando la popolazione esposta alle numerose scorrerie di pirati che si muovevano nell'Adriatico fino alla conquista degli ottomani nel 1525. Quando Fermo riuscì a recuperare Grottammare iniziò la ricostruzione delle mura, ma la crescita della città fu sostenuta soprattutto dall'intenso impegno di papa Sisto V che qui nacque nel 1521 con il nome di Felice Peretti e promosse opere assistenziali e culturali, nuovi scambi commerciali, la costruzione di palazzi e chiese di grande valore artistico.Alla fine del Settecento una nuova frana cambiò l'aspetto di Grottammare, questa volta non toccò alle mura che rimasero intatte, ma al porto che venne completamente interrato modellando una nuova zona pianeggiante dove si sviluppò un elegante borgo sulla costa frequentato fin dall'Ottocento da raffinati visitatori, alcuni anche prestigiosi come Franz Liszt, che hanno fatto nascere preziose ville liberty attorniate da ameni giardini con le palme, fino a divenire una della località balneari più frequentate dai turisti di oggi.Il nostro tour vi propone un giro partendo da Piazza Peretti con la famosa loggia panoramica che è ormai un must di tutti i social. Sono chiamate anche "Logge dell'Arancio" perché la tradizione racconta di un albero di arancio piantato al centro della piazza proprio da Sisto V. In realtà la coltivazione degli agrumi in questo fazzoletto di terra non rappresentava un'eccezione, ma una vera regola di lunga tradizione. Per visualizzare a tutto schermo fare doppio click all'interno del Virtual Tour. Dalle logge si accede al Museo il Tarpato che raccoglie le opere di Giacomo Pomili detto il Tarpato (Grottammare 1925 - 1997), un pittore autodidatta che potrebbe essere ascritto tra gli artisti naif e folk, pazzi e instabili, ma che ha realizzato una sua visione del mondo svincolato da qualsiasi logica creando oniriche visioni e pezzi di sogni dai colori potenti. Subito relegato tra le fila degli artisti locali che ritraggono il solo paese di provincia, Pomili è oggi sempre più apprezzato dai critici e dal pubblico per l'immediatezza con cui ha saputo leggere e tradurre in immagini l'anima della sua terra.







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Ode a Luca Barbarossa, poco “urlato” e poco “gossiparo”. Perciò, bravissimo. Riflessioni intorno a un concerto
Avevo sei anni e vivevo felicemente a Venezia quando un ragazzo con una cascata di ricci in testa e una faccia simpatica esordiva in televisione con una canzone che mi aveva “colpito”. Per musicalità e perché diceva una parolaccia: “puttana”. Aveva 20 anni e quando sei piccolo uno di 20 anni è “tipo un uomo”. Solo crescendo ho capito che “vent‘anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più”.
Lui si chiamava come il mio migliore amico e siccome una delle cose belle di quando si è ancora bambini è il fatto di avere un migliore amico, sentendo quel ragazzo che cantava una canzone sulla città in cui è nata mia sorella Elena (Roma), mi sembrava di avere due migliori amici.
Lui – il cantautore – si chiama Luca Barbarossa e domenica 18 marzo si è fermato al teatro Novelli di Rimini per fare un concerto. Anzi, un gran bel concerto.
Più o meno a inizio anno, appena saputa la notizia che Willie Sintucci, il vulcanico organizzatore riminese di eventi (tra le sue perle, qualche anno fa, l’aver portato Lou Reed a mangiare al ristorante il “Lurido” di Borgo San Giuliano), lo aveva “preso”, mi si sono aperte un po’ di “finestre”.
Qualche anno fa, al MEI di Faenza, mi sono trovato a discutere con una persona sulle diverse “scuole romane” di cantautorato. Lei sosteneva che ce ne fossero solamente due, quella degli anni Settanta di De Gregori e di Venditti, e poi quella degli anni Novanta, quella di Silvestri, Fabi e Gazzè. Oggi non so se ce ne sia una quarta (quella di Mannarino?), ma è fuori dubbio che tra queste due “canoniche” ce ne sia una, forse apocrifa, iniziata negli anni Ottanta e che ha visto, seppure poeticamente diversi, due interessanti interpreti: Eros Ramazzotti e Luca Barbarossa. Che possono piacere come no, ma che comunque hanno scritto perlomeno qualche pagina di storia musicale.
Il mio primo incontro con Barbarossa è avvenuto circa 15 anni fa, a Forlì, quando un club bellissimo Corso Garibaldi 82 (credo sia chiamasse così) lo ospitò. Ora: adoro intervistare gli artisti. Tra le domande che non manco mai, ce n’è una: “Che canzone avrebbe voluto scrivere tra quelle che non ha scritto?”. Durante il concerto forlivese, disse prima di eseguirla, di amare molto La leva calcistica della classe ‘68 di Francesco De Gregori (che tra l’altro non ho mai intervistato perché quando si esibì con Lucio Dalla a Cesena nel 2010, in occasione del tour “Work in progress”, disse che avrebbe voluto comporre Com’è profondo il mare perché la trovava “drammatica, profonda e sincera” mentre Dalla all’amico avrebbe voluto prendere Santa Lucia).
Cappello lungo e a punta tipo “Cyrano”, ma doveroso per spiegare – non che a qualcuno importi – il perché sia andato a vedere Barbarossa a Rimini, artista elegante e di nicchia, quasi timido, poco “urlato” e poco “gossipparo” e quindi “umile”, nel senso più nobile del termine (tutti talenti che appartenevano anche all’ottimo Gian Maria Testa).
Concerto in due atti senza intervallo – del resto siamo a teatro e il teatro vuole le sue regole: pochi schiamazzi, vestiti bene e non da zingari (non siamo né a fare lo struscio sul corso il sabato pomeriggio né in qualche centro sociale a pogare e fumare cannoni), qualche goccia di profumo dietro la nuca e sui polsi – per un viaggio che parte dal presente (in suo nuovo album, il suo primo concept album, Roma è de tutti) e poi fa le capriole di Pulcinella e torna all’indietro, alle origini. Si parte con “Passame er sale” e segue più o meno la scaletta del cd: “Comme stai”, “La dieta”, “La pennica”, la bellissima “Via da Roma” scritta da Luigi Magni, “Tutti fenomeni”, “La mota”. Il secondo atto è una cavalcata negli anni Ottanta: “Roma spogliata”, “Via Margutta”, “Come dentro un film”, “L’amore rubato”, “Yuppies”, “Portami a ballare”. Nei bis, tra gli applausi e il dono di oggetti sul palco – rose rosse, peluche, sacchetti di carta colorati ed elegantemente confezionati (ché pure Luca, sul palco, era ben confezionato nel suo vestito e giacca neri e un fisico asciutto) – accompagnati con lo sguardo in parte preoccupato e in parte stupito di una delle maschere del teatro, Giuseppe Righini (che è anche un ottimo cantautore), si accendono le luci. Il pubblico ha il proprio sorriso stampato sulla faccia, e se lo porta a casa, prezioso come una goccia di pioggia quando una donna ti lascia.
“Passame er sale”. Ma con calma: non che io soffra di pressione alta, ma per questa sera mi sono bastate le canzoni.
Alessandro Carli
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Don Rodrigo, al cospetto di Dio
di Melissa Cosenza
Il diavolo l'aveva in corpo e andò su e giù, spronando il cavallo, finché ebbe fiato.
Quale che sia il divario tra demoni e santi, di certo esso si restringe in punto di morte, soprattutto se l'empio, inchiodato al legno di un funesto presagio, avanza in un corpo a brandelli, costretto al peso della pìetas, elargita da occhi che un tempo lo temevano.
Si trascinava così Don Rodrigo, scontando il calvario della peste. Lo sguardo di Cristoforo, quel dannato frate, tradiva compassione. Oh, Dio... Compassione per lui, che trascorse ogni singolo giorno di vita a pretendere rispetto.
Dov'era dunque il rispetto e dove l'onore? Il mondo stava cambiando, portando con sé tutto quello per cui si era battuto, facendosi largo tra le schiere di noiosi aristocratici e popolani incolti.
Mentre si inerpicava su per l'altura, in groppa a un cavallo ormai esausto, i suoi occhi si chiusero e, per un istante, la memoria lo riportò ai saloni del suo castello, a giorni di fasto e opulenza. Prima i saloni, poi la sala del convito, il frastuono di posate, piatti e voci sovrapposte, stridule. Furono davvero giorni felici? Una risposta a dir poco leggera e priva di fondamento potrebbe giungere da uno di quei paesanotti portati a misurare il mondo sul metro di ciò che la Provvidenza, o forse il potere di Don Rodrigo, gli avevano negato. A quei paesanotti la bicocca di Don Rodrigo mostrava un felice lustro, malvagio ma lieto, per chi sguazzava al suo interno. Sprezzante dunque la risposta di un popolano che, tuttavia, in cuor suo, avrebbe ben volentieri adagiato il corpo sul morbido talamo del signorotto.
Furono davvero giorni felici? Don Rodrigo, ormai in punto di morte, non ne era più così convinto. Dietro il portone del suo palazzotto, dietro le carcasse degli avvoltoi, inchiodate ai battenti, era vissuto respirando la paura di chi lo serviva, ma chi lo aveva amato, chi ebbe mai il coraggio di affrontarlo?
Simili questioni si insinuarono lentamente in lui a partire dal crepuscolo di un dì ormai lontano, quello in cui il conte Attilio, il suo ardito cugino, lanciò, quasi per gioco, un'insolita sfida. Non avrebbe dovuto prendersi il lavoro o gli averi dei suoi popolani ma anche i sospiri di una giovane donna, Lucia Mondella.
Una sfida dunque, destinata a divenire il suo tarlo. Poteva mai esistere una qualsiasi cosa che non potesse far sua o semplicemente prendere, senza chiedere?
Se mai una simile cosa fosse esistita, se non l'avesse presa per sé, cosa avrebbe mai pensato di lui quella massa di carne e sudore chiamata gente?
La sua stirpe impiegò anni, intere generazioni, a costruire quel potere, a vivere per esso, a venerarlo. Quel fardello era giunto fino a lui, senza che lo chiedesse, e non poté né volle sottrarsi al suo destino. Fu così che quella sfida trasformò Lucia, una giovane acerba ma di straordinaria bellezza, in un trofeo da ottenere come tanti altri, in una semplice cosa, da far piegare al proprio volere o cancellar da vista e comune memoria.
Tutto iniziò così, per poi cambiare, ma questa parte della storia appartiene solo a Don Rodrigo e, mentre si trascinava su per l'altura, in quegli ultimi istanti di vita, non poté raccontarla a nessuno, se non forse al suo cavallo.
Tutto cambiò nel momento stesso in cui l'Innominato condusse Lucia alla bicocca.
La giovane possedeva qualcosa di insolito e non era la sua ingenuità, né la paura, bensì uno sguardo curioso, misto a uno spirito di ricerca indomito che, seppur sepolto sotto il peso di un'intera giovinezza vissuta tra luoghi comuni e superstizioni, continuava in lei a bruciare, come brace sotto la cenere, come la brace dei suoi stessi occhi scuri. Quegli occhi lo accusarono e condannarono sin dal primo istante in cui si incrociarono ai suoi, ma Don Rodrigo non sapeva chiedere, né aspettare; si avvicinò così a Lucia, balzando su di lei e strappandole un bacio. Un bacio, sì, o almeno credette che lo fosse, fino a quando non conobbe il sapore del bacio che porterà con sé, serbato tra i segreti di un moribondo.
«La supplico, si allontani, in nome di Dio».
«Dio, dov'è Dio, mia giovane Lucia? Lei forse lo sa?».
«È persino in lei, persino nel fondo buio del suo cuore».
Don Rodrigo rispose con una risata simile a un ghigno sguaiato, mostruoso, presagio di quanto quelle poche parole stessero per incrinare le sue certezze.
Qualcosa accadde e non seppe mai definire che fu a fremergli nel petto, che fu a rigargli il viso di quello strano sudore, ogni volta che la vedeva.
Eppure qualcosa accadde, al punto da portarlo a una domanda insolita.
«Le farò un dono, mia giovane Lucia, qualcosa che non concedo a molti. Scelga pure la sala che vorrà visitare e quella sarà sua».
La risposta lo sconvolse, coprendolo di uno stupore insolito. Quella giovane popolana, incapace di leggere, o fors'anche di sfogliare un libro nel giusto verso, pronunciò un'insolita richiesta.
«Mi conduca nella biblioteca, se non oso chieder troppo. Non ne ho mai visto una, eppure dicono che lì sia racchiuso il sapere del mondo e della nostra Santa Chiesa, con i suoi sacri testi».
Don Rodrigo quasi non ricordava di avere una biblioteca. Suo padre, un uomo alquanto diverso da lui, vi trascorreva diverse ore del giorno, a scrivere ordinanze e doveri dei suoi sottoposti.
Aperti i battenti in legno della biblioteca, la polvere avvolse Don Rodrigo, ma Lucia non ne apparve turbata.
«Mi legga qualcosa».
«Non mi sovviene innanzi alcuna Bibbia o storia di Santi, ma forse questo potrebbe interessarle...».
Fu così che Don Rodrigo iniziò a leggere i versi del Petrarca, inconsapevole di come il poeta descrivesse lo stesso sentimento che gli si agitava in petto e che Laura e Lucia divenivano entrambe sublimi ai suoi occhi.
«Son versi di trecent'anni fa, ma a lei non credo dispiacciano...».
E così lesse, con la voce incerta di chi non è solito farlo:
Far potess’io vendetta di colei che guardando et parlando mi distrugge, et per più doglia poi s’asconde et fugge, celando li occhi a me sì dolci et rei.
Così li afflicti et stanchi spirti mei a poco a poco consumando sugge, e ‘n sul cor quasi fiero leon rugge la notte allor quand’io posar devrei.
Quando sollevò gli occhi dal libro, vide il respiro di Lucia farsi veloce, i suoi seni muoversi, e le sue piccole dita bianche posarsi vicino alle sue tozze mani, sulle pagine del libro, a sfiorarne la rilegatura.
«Strani versi, che forse non si addicono a una donna, ma da un uomo come lei cos'altro aspettarsi?».
«Strani versi, giovane Lucia, eppure scritti per una donna. Sa che solo una donna può generar simili affanni. Oh... Ne è stupita? Lo ero anch'io, finché lei non si insinuò qui, simile a un demone».
«Un demone, e lo dice proprio lei, che afferra ogni cosa, terrorizzando?».
«Dunque, è forse lei terrorizzata?».
Lo disse con quel tono di sfida misto a tremore, incerto, per la prima volta. Avvenne tutto così, in un solo istante, l'istante in cui lei diede, senza che le venisse chiesto, né imposto. Fu quello l'istante in cui le loro labbra si serrarono, poi tutto svanì. Fu come se lei venisse presa da un tremito, un pentimento, e iniziò a correre verso l'esterno e lui, che avrebbe potuto fermarla, rimase lì, immobile.
Il potere inizia a sciogliersi così, lentamente, come fredda neve. Don Rodrigo si sentiva inerme e neppure urlò quando seppe che i suoi uomini, con le vesti e i palati impregnati di vino, non fermarono Lucia.
L'avrebbe ritrovata, presa, e strappata a quelle inutili nozze con un giovinotto che non ne avrebbe neppure compreso palpiti e tremiti.
Si trovò dunque a far ciò per cui era nato, per l'ennesima volta. Si trovò a dare ordini, precisi, perentori. Questo matrimonio? Non s'ha da fare, né domani, né mai.
Qui la storia si tinge di strani colori, ancora una volta, ed è una storia che nessuno conosce. È così comodo credere ai tremori di un umile prete, innanzi alle minacce dei Bravi, che, in breve tempo, di bocca in bocca, l'intero paese si trovò a ciarlare di quel Don Abbondio come d'un vaso di terracotta tra tanti vasi di ferro.
Il marchio della codardia non turbò il prete, e non perché a turbarlo fossero le minacce, bensì per i pensieri che celava dietro la falsa codardia.
È così agevole pensare che il prete volesse celebrar le nozze, che a nessuno venne mai l'insano dubbio che in fondo provasse un malato piacere, nel vedere Lucia ancora nubile, poiché gli era più semplice, da nubile, renderla protagonista delle sue più perverse fantasie.
Dunque chi è malvagio, o perverso? Dov'è il demone e dove il santo?
Don Rodrigo, che il destino del suo casato portò al comando, credette al fine di agire per liberar la giovane, per sottrarla agli incolti popolani, ma chi mai avrebbe creduto alla sua versione, chi l'avrebbe accolta?
Di certo non la Santa Chiesa o quel Padre Cristoforo che tutto sapeva.
Cristoforo, le cui parole si insinuarono tra le ombre notturne, a levargli il sonno, neppure sapeva di cosa parlasse, quando intimò, con fare minaccioso quell'orrendo dire: «Verrà un giorno...».
Don Rodrigo, pronto ormai a incontrar la morte, sapeva che il giorno era giunto, ma non era al fin così sicuro di essere colpevole, non al cospetto di Dio.
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(Cristina Siccardi) Mentre il mondo combatte contro il Coronavirus del 2020 (Covid-19), dove l’Italia è il terzo Paese al mondo per numero di contagi, in questi giorni si è celebrato un centenario di grande importanza, silenziato dalla Chiesa e dai media, ma molto sentito da tutti quei prelati, sacerdoti, monaci, monache e fedeli rimasti cattolici e, quindi, seriamente devoti alla Madonna di Fatima. Il 20 febbraio 1920 moriva, infatti, a dieci anni, santa Giacinta Marto a causa della pandemia del virus della Spagnola (influenza H1N1), come suo fratello Francesco. Fra il 1918 e il 1920 la pandemia causata da quel virus contagiò circa 500 milioni di persone, inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico, provocando il decesso di 50-100 milioni di individui (dal tre al cinque per cento della popolazione mondiale dell’epoca), più vittime della peste nera del XIV secolo. Ma veniamo a Giacinta. Uno dei suoi divertimenti preferiti, insieme a Francesco e alla cugina Lucia, era quello di gridare ad alta voce, dall’alto dei monti, seduta sulla roccia. Il nome che più echeggiava era quello della Madonna. A volte proprio lei, «quella a cui la Vergine Santissima ha comunicato maggior abbondanza di grazie e maggior conoscenza di Dio e della virtù», come scriverà suor Luciados Santos, recitava tutta l’Ave Maria, pronunciando la parola seguente soltanto quando l’eco riproduceva per intero quella precedente. Tale innocentissima preghiera di bambina, quasi surreale, dove il soprannaturale si sovrapponeva al naturale, riecheggia nelle nostre coscienze quando veniamo a sapere che proprio lei sacrificò la sua vita per i «poveri peccatori», per la Chiesa e per il Papa.
L’unica pubblicazione degna di nota, uscita in questi giorni per rendere omaggio alla piccola e grandissima bimba del Portogallo, è stato il libro di Padre Serafino Tognetti, dal semplice titolo Giacinta (Etabeta, pp.134, € 12,00). L’autore le ha dedicato una biografia non solo perché si tratta di un anniversario che non può e non deve essere trascurato, ma perché ella rappresenta quella militanza di cui oggi la Chiesa ha assoluto bisogno. Un giorno ha detto il monaco dei Figli di Dio, primo superiore della Comunità dopo la scomparsa di Don Divo Barsotti, che abbiamo bisogno dello sguardo di Giacinta, quello dei lottatori, di coloro che sanno che la vittoria sul male costa sudore e sangue. E il mondo ha paura del suo sguardo severo: sono occhi che parlano di Dio e della Sua Grazia, degli uomini e dei loro peccati.
Giacinta, che era stata, fino al momento delle apparizioni dell’Angelo del Portogallo (1916) e quelle di Nostra Signora di Fatima, una bambina solare, allegra, spensierata, che amava cantare e ballare, si trasforma e diventa, come stanno a dimostrare sia le testimonianze che le fotografie che la ritraggono, serissima e con pupille che trafiggono come lame lucenti. «“Mentre Giacinta sembrava preoccupata nell’unico pensiero di convertire i peccatori e salvare le anime dall’Inferno, Francesco sembrava che pensasse solo a consolare Gesù e la Madonna, che aveva contemplato molto tristi” [dalle Memorie di suor Lucia, ndr]. Entrambi si piazzano sotto la croce, guardano Gesù crocifisso, ma Giacinta tiene un piede anche sulla porta dell’Inferno, perché ciò che vide il 13 luglio del ‘17 fu impresso in lei con ferro rovente, ed ella non potrà mai dimenticare quell’agghiacciante visione. […] Giacinta, ne siamo sicuri, è un’anima che ottiene. La sua preghiera è accolta proprio per la sua sincerità totale, assoluta, senza macchia. Se questa fu la sua potenza mediatrice sulla terra, lo sarà probabilmente anche adesso in Cielo» (pp. 22).
Il profilo che Lucia tratteggia della cuginetta è straordinario: è il ritratto dei puri di cuore. Giacinta era insaziabile nella pratica del sacrificio e delle mortificazioni. Agli inizi del mese di luglio del 1919, entrò in ospedale, contagiata dalla Spagnola. Sua madre le chiese che cosa desiderasse e la piccola chiese la presenza di Lucia. La visita fu tutto un parlare delle sofferenze offerte per i peccatori al fine di allontanarli dall’Inferno, ma anche per il Sommo Pontefice. Scrive nelle Memorie suor Lucia: «Tu rimani qua per dire che Dio vuole istituire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Quando ce ne sarà l’occasione, non ti nascondere. Di’ a tutti che Dio ci concede le grazie per mezzo del Cuore Immacolato di Maria; che le domandino a Lei, che il Cuore di Gesù vuole che vicino a Lui, sia venerato il Cuore Immacolato di Maria. Chiediamo la pace al Cuore Immacolato di Maria; Dio la mise nelle mani di Lei. S’io potessi mettere nel cuore di tutti, il fuoco che mi brucia qui nel petto e mi fa amare tanto il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria!». Nelle sue manifestazioni Giacinta cammina sempre sul crinale della vita eterna, con l’abisso della dannazione che si spalanca sotto i suoi piedi: ella ragiona come il vero cattolico medievale, ovvero trascendendo il mondo con il suo benessere materiale, perseguendo soltanto la via del Cielo, per questo ella sopportava tante sofferenze e tante ingiustizie (comprese le drammatiche vessazioni di tutti coloro che non credevano ai pastorelli di Fatima).
«Se sapessero…» ripeteva sempre, pensando agli uomini dei tempi moderni. Sapessero che cosa? «Che gli atti di questa vita terrena hanno una valenza eterna. Questo è il grande problema dell’uomo di oggi: non sapendo più che cosa sta a fare al mondo, cerca affannosamente il senso delle cose, senza mai trovarlo» (p. 97). Diceva ancora Giacinta che le persone non pensano alla morte di Gesù. Don Divo Barsotti, dal canto suo, affermava che «“Gesù è diventato un pretesto per parlare d’altro”. Si inizia a parlare del Cristo, si finisce col parlare di politica» (ibidem). La Passione di Cristo è una passione per i figli del Padre e in ogni uomo c’è il prezzo del sangue divino, c’è la nobiltà della Santa Croce. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dall’ultima apparizione di Fatima del 13 ottobre 1917 al dies natalis di Giacinta trascorsero 28 mesi: è in questo tempo che si santificò, spogliandosi totalmente di se stessa per servire umilmente Gesù, per consolarLo, per farLo contento con i mezzi che la Madre di Dio aveva rivelato alla Cova d’Iria: la preghiera, il Santo Rosario, la rinuncia, il sacrificio. Invero, la penitenza è l’unico mezzo per assurgere a Cristo Signore, ben lo sanno i Santi. Giacinta morì completamente povera e sola nell’ospedale di Lisbona, e non ebbe neppure la consolazione di ricevere la santa Comunione, perché le venne negata.
La fede di Giacinta è quella dei Santi di Dio, non quella da salotto. È una fede virile, forte, che non fa sconti a se stessi ed è coraggiosa, va all’arma bianca: da soli contro il nemico, il demonio e le sue tentazioni, quelle che portano al peccato. La guerra terribile non è contro il mondo, ma è contro se stessi e chi vince quella guerra si fa partecipe della Redenzione dell’Unico Salvatore.
L’internazionale Carnevale di Venezia è stato abolito in questo Anno Domini 2020 per limitare i contagi dal Coronavirus e la Quaresima, quest’anno, inizia con la quarantena di molti. Approfittiamo di questo tempo di castighi e di misericordia per ascoltare e mettere in pratica, finalmente, gli insegnamenti della Madonna di Fatima, che santa Giacinta prese alla lettera sine glossa.
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Antica Celebrazione di Sant'Agata a Catania: Tra Devoti e Storia Millenaria

All'arrivo di agosto, nell'animo dei cittadini di Catania, non si fermano soltanto i pensieri sulle vacanze estive e il consueto ferragosto, ma si accende l'attesa per un evento di grande rilevanza che non può passare inosservato. Si tratta della festa di Sant'Agata del 17 agosto, comunemente nota come Sant'Agata d'estate. Dopo i sontuosi festeggiamenti di febbraio, in cui la patrona della città viene venerata in maniera intensa, devoti, fedeli e persino turisti, spesso ignari di questa ricorrenza, avranno l'opportunità di rinnovare il loro legame con Agata durante questa giornata. Ma quali sono le radici di questa celebrazione? Perché viene festeggiata? Di seguito, le spiegazioni e le motivazioni che stanno dietro a questo evento millenario. La Celebrazione di Sant'Agata il 17 agosto: Significato e Origini Per immergerci nel passato e scoprire le origini della celebrazione di Sant'Agata che si svolge il 17 agosto, è necessario compiere un viaggio nella storia. Il punto di partenza ci riporta all'anno 1040, quando il generale bizantino Giorgio Maniace, durante la sua campagna in Sicilia, depredò le reliquie di Sant'Agata, patrona di Catania, portandole a Costantinopoli insieme a quelle di Santa Lucia. Tuttavia, 86 anni dopo, precisamente il 17 agosto del 1126, due ex soldati dell'esercito bizantino, noti come Gisliberto e Goselmo, entrambi devoti alla Santa secondo una leggenda, riportarono a Catania le spoglie di Agata, precedentemente trafugate da Costantinopoli. Durante il viaggio di ritorno, una tappa presso le coste di Gallipoli diede luogo a un gesto di riconoscenza da parte di Goselmo verso la sua terra d'origine e l'ospitalità ricevuta: donò una delle due mammelle di Sant'Agata, un oggetto che è ancor oggi conservato nel duomo della cittadina pugliese. Nel frattempo, le restanti reliquie sono distribuite tra il busto reliquiario realizzato da Giovanni Di Bartolo e lo scrigno argenteo. Documenti storici raccontano che Gisliberto e Goselmo avessero suddiviso il corpo di Sant'Agata in varie parti, allo scopo di agevolare il trasporto, occultando le reliquie all'interno delle faretre al posto delle frecce. Presso la chiesa di Sant'Agata al Carcere, è possibile ammirare una parte della cassa utilizzata per riportare le reliquie a Catania da Costantinopoli. All'arrivo delle reliquie nella notte del 17 agosto, i cittadini furono svegliati dal suono gioioso delle campane, e spontaneamente iniziarono i festeggiamenti. È per questo motivo che il 17 agosto è considerato il giorno della prima celebrazione agatina nella storia, rappresentando così la più antica festa nel tempo. Gisliberto e Goselmo consegnarono le reliquie al vescovo di Catania Maurizio, presso il Castello di Aci, l'odierna Aci Castello. Nel corso di quest'anno, si commemora l'897° anniversario del ritorno delle reliquie di Sant'Agata da Costantinopoli in patria. Festeggiamenti di Sant'Agata il 17 agosto: Tradizioni e Rituale Pur essendo festeggiata in una forma più contenuta rispetto a febbraio, la celebrazione estiva di Sant'Agata rappresenta un momento di grande attesa. Numerosi devoti e fedeli partecipano alla processione. Il culmine dei festeggiamenti avviene il 17 agosto, il giorno in cui i cittadini catanesi possono nuovamente rivolgere lo sguardo ad Agata. Le celebrazioni prendono il via dalla mattina con la Santa Messa alle 7:30. Subito dopo, verso le 8 del mattino, si apre il sacello, esponendo il busto reliquiario sull'altare insieme alle reliquie, precedentemente rimosse dallo scrigno in cui sono custodite. Successivamente, la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dall'arcivescovo è in programma per le 19. Alle 20:30, il busto reliquiario e lo scrigno lasceranno la cattedrale, dando inizio alla processione che seguirà un percorso inverso rispetto a quello del 16 agosto. Il tragitto comprenderà le seguenti tappe: piazza Duomo, Porta Uzeda, via Dusmet, via Porticello, piazza San Placido, via Vittorio Emanuele, piazza Duomo. Evoluzione Storica della Festa di Sant'Agata il 17 agosto Nonostante appaia già come una celebrazione più modesta rispetto a febbraio, l'evento del 17 agosto, con il percorso attuale che attraversa le strade nei dintorni di piazza Duomo, un tempo era ancora più breve. In passato, si limitava a una breve processione attorno a piazza dell'Elefante, lo stesso percorso che caratterizza il giorno dell'ottava di Sant'Agata, il 12 febbraio. Recentemente, si è verificato un cambiamento riguardo alla partecipazione delle candelore. Se la candelora di monsignor Ventimiglia è stata sempre un punto fermo nelle celebrazioni, nelle ultime edizioni pre-COVID, come nel 2019, si sono unite alle celebrazioni anche le candele dei fiorai, dei fruttivendoli, dei pizzicagnoli e del Villaggio Sant'Agata. È ancora da vedere se parteciperanno anche quest'anno. Curiosità sulla Celebrazione di Sant'Agata il 17 agosto Facendo ancora un salto temporale al 1126, si ipotizza, anche se con incertezza, che il sacco bianco, l'abito indossato dai devoti durante le festività, possa essere collegato al fatto che i cittadini scesero in strada in camicia da notte all'arrivo delle reliquie di Sant'Agata. Tuttavia, si tratta di un'elaborazione successiva al 1126. Riguardo alla durata dei festeggiamenti, l'edizione del 2000 è stata speciale. In occasione dell'Anno del Giubileo, il busto reliquiario di Sant'Agata e lo scrigno sono stati esposti sul sagrato della Cattedrale durante la Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dall'arcivescovo Luigi Bommarito. In questa occasione, la processione è stata allungata. Il busto reliquiario e lo scrigno sono stati portati a spalla da piazza Duomo lungo via Etnea fino a piazza Stesicoro, per poi ritornare indietro attraverso la stessa piazza, questa volta passando davanti all'anfiteatro romano e alla chiesa di San Biagio. Questa scelta non è stata un'innovazione assoluta, poiché lo stesso itinerario è stato seguito nel febbraio del 1991, in una celebrazione più breve a causa della Guerra del Golfo. L'appuntamento, quindi, è fissato dopo il ferragosto, per partecipare a questa significativa commemorazione e rivedere Sant'Agata, nell'attesa di febbraio 2024. Read the full article
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Il 13 dicembre Santa lucia Gli ho detto addio e sono Andato via Il 13 dicembre Amore mio Forse ho sbagliato tutto Non ero io Quante macchie di petrolio Sull'asfalto di città Quanti cuori da coniglio Ma il leone dove sta Ma c'è vuoto senza il sole Occhi senza verità Un amore per amore C'è qualcuno che ce l'ha A mare di persone Gli ho aperto il cuore Mi han dato quattro soldi E niente amore Sul letto dei rimpianti Io ti ho lasciato Per stare in mezzo a un mondo Che è sbagliato Il bracciante taglia il grano Poi il pane non ce l'ha L'operaio fa le scarpe E avanti mai non va Il soldato fa la guerra È il motivo non lo sa La bandiera della terra Un colore non ce l'ha Ma vale più lo sguardo Degli occhi tuoi Di tutte le illusioni Che ho avuto mai La gente sta in equilibrio Sul mondo che cade sempre giù Sempre giù Sempre giù Il bracciante taglia il grano Poi il pane non ce l'ha L'operaio fa le scarpe E avanti mai non va Il soldato fa la guerra È il motivo non lo sa La bandiera della terra Un colore non ce l'ha Un colore non ce l'ha Il 13 dicembre Santa lucia È il giorno più importante Che ci sia Quel giorno di dicembre Io ho capito Che un uomo senza amore E già finito Quante macchie di petrolio Sull'asfalto di città Quanti facce da coniglio Ma il leone dove sta Ma c'è vuoto senza sole Occhi senza verità Un amore per amore C'è qualcuno che ce l'ha Na na na na na na na na. (Vito Pallavicini) #sanremo #sanremo21 #sanremo71 #sanremo1971 #festivaldisanremo Brano: 13, Storia d'oggi Immagine: Minatori nella neve - Vincent Van Gogh - 1882 https://www.instagram.com/p/B7qEoV-I8SY/?igshid=82fvfsnjfdci
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Le cose nuove
Datemi vi prego cose nuove…
Da noi (da ognuno di noi!) viene il cambiamento,
se un cambiamento è necessario
o un futuro libero, libero da soggezioni e dogane per liberare l’uomo, l’ognuno di noi
soggetto, regale soggetto, nella fragilità del non sapere
che non è omologarsi, somigliare, scimmiottare…
Non fate ripetizione, l’ossessione del carattere, la fatalità del ripetersi
il gioco sempre uguale delle parti…
Fate, se potete, per piccoli passi…
Al passato c’è l’esperienza, onoriamola…
non lasciamoci all’improvvisazione…
al “si può tutto”….
Tentiamo il passo lì dove non è mai stato
e se è necessario facciamo rinuncia…
Ascoltiamo soltanto! Guardiamo, soltanto
Stiamo! Chè non sappiamo più farlo…
**
Stiamo, soltanto, oltre ogni dover fare fare,
quando è necessario fare.
Quando il fare è sorgivo, cosa dello stupore.
Quella, la poesia, carezza la schiena
piano sussurra, fa canto, inanella parole
le lega… Poi sta a noi l’impasto
far frolla, cuocere il senso…
Nelle mani la sapienza
dietro ogni cosa presenti, quanta memoria accumulata
in ogni piccolo gesto, in ogni costruzione
poi si ritraggono e riposano, nell’attesa.
Il lavoro, il lavoro necessario
è nelle cose “piccole”.
Pulire una strada, aver cura d’una aiuola
tenere bello il bello, la cosa pubblica
è il compito moderno.
Far manutenzione, tenere vivo ciò che è vivo!
Ed ecco che uno spazzino è più importante di un avvocato, di un onorevole
un giardiniere può quanto un medico, un cantoniere è risorsa vitale
e il nuovo sarebbe in ciò che abbiamo già…
e quanto lavoro c’è da fare, quanto…
tanto che tutti saremmo chiamati a sbigar cause, a curare aiuole, e strade
e case abbandonate, e scuole, e argini di fiumi…
Tutto ciò che crolla e fa pericolo nell’ordinario della cronaca
Di un Mondo che non sa più essere Mondo.
**
Forse non hai occhi, la città governata
non ti appartiene se non hai sguardo. Anche nella piega
c’è la vita. In fondo dove credi nessuno guardi
c’è!
**
Adesso rimango fermo
faccio mira allo sputo e scelgo le facce.
adesso che i pensieri “sbuffano”
nell’inconsolato desiderio del “nuovo”.
C’era attesa, ma impossibile è uno sguardo aperto, nel sorriso.
Se guardo non trovo alleanze di occhi
stessa quiete o intesa, stesso vibrare di cultura.
Inconciliabili mete in scontro abitano questa stanza
falsa la cortesia al tavolo. Tutto falso.
Faccio silenzio, silenzio, fermo l’ascolto
che non viene canto.
Solo il ripetersi d’un gracchiare
fa smorfia alla parola:
autoreferenzialità dell’uno, del due, delle parti…
Creste di galli senza un chicchirichì capace di svegliare alcuno.
Creste senza alba, senza giorno.
Tutto è consumato!
Che il tavolo si rompa!
Che s’apra il pavimento e inghiotta parole e parlanti…
Non ce n’è bisogno… alcun bisogno… di loro
della loro “erudizione”
meglio le mani, solo le mani
solo natura, solo allo sguardo il fare.
Li abita il dono, li sollecita
nel desolato, nel non contemplato
nell’assenza della bellezza.
Solo nature insieme, nel minimo di un fiore, nel fiorire.
A P.P.P.
Due angeli a governare, ali tenere, sottili
di un volo leggero e veloce.
Un altro, inerpicato, imbianca
carezza di calce un muro.
Nella piazzetta la pioggia taglia
l’andatura piegata di una vecchia
rallenta l’urgenza del mondo.
Nessuno osa parola.
San Leonardo ha una piccola chiesa con fiori di plastica e tovaglia da cucina
e Santa Lucia alluminio, a far confine con la strada.
E’ così qui, niente è nobile
niente è artificioso. Spontaneo sì, un po’ folle.
La macchina porta via ferraglie, carica carica del Tempo
e i pozzi crescono illusi ormai di farci bere prima d’affrontar le scale
una architettura antica, utile a chissà quale identità.
Non sappiamo più cos'è stato… Non sappiamo più!
Se, se tu potessi scorgerci adesso
sapere che aspettiamo…
Questo silenzio ubriaca, non trova voci e senso.
Se, se tu, sapiente
custode col tuo allarme
questa vena d’acqua faresti di nuovo viva
e bere potremmo
Dissetarci.
Che miracoli tu! Riempi!
Torna… Non puoi? Torna…
Prepotente, feroce, rinasci (…)
basti tu, col tuo profumo (…), a farci puri
nella nostra nuova rabbia a puntellare lo scrostato intonaco
dell’ edificio sognato e mai venuto.
“Qualcosa (già sai! l’avevi detto!) è venuto
ha fatto allargare l’abisso tra corpo e storia, ci ha indebolito,
inaridito, ha riaperto le ferite…”
e tarda a trovar fiore il seme della Passione…
By Mauro Marino
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Arancini misti di Santa Lucia
Arancini misti di Santa Lucia
Per Santa Lucia come tradizione, ho pensato di preparare degli arancini, magari non i classici ma misti, farciti con ragù di carne, zucca e provola e zucca e gamberi. Facili da preparare e molto sfiziosi.
Volete provarli? Questa è la mia versione.
Ho usato il riso originario di Riso Vignola
Da sempre coltivano riso biologico, andate a dare uno sguardo sul loro sito, ne troverete una vasta varietà.
Per gli arancini di carne, seguite questa ricetta cliccando sul Link ARANCINI DI CARNE
Per gli arancini di zucca e provola silana;
300 grammi circa di riso originario Riso Vignola
Del brodo
Un pezzo di zucca
Della provola Silana
Mezza cipolla
2 bustina di zafferano
Parmigiano quanto basta
Extravergine d’oliva
Un pezzo di burro
Pepe
3 versione che potete fare se vi piace
Zucca
gamberetti freschi
Cipolla
Per l’impanatura
farina di granito Di semola i qb
acqua qb
uova
Procedimento
Bollire il riso nel brodo salato e in una bustina di zafferano. scolarlo, condirlo con del formaggio grattugiato, e altre 2 bustine di zafferano, un mestolo con pochissimo brodo e 20 grammi di burro, amalgamare bene tutto e lasciare raffreddare.
Tagliare a pezzi piccola la zucca e la cipolla, In una padella versate dell’olio, lasciate appassire la cipolla, unite la zucca e cuocete fino a quando non si sarà cotta, lasciatela raffreddare e poi unitela alla provola e aggiustate di pepe.
A parte prepariamo la pastella o pastedda in siciliano, per l’impanatura;
In una ciotola, rompere le uova, aggiungere la farina, io uso quella di granito, del brodo quanto basta per ottenere una pastella densa ma non troppo.
Appena sarà tutto pronto e freddo, dobbiamo bagnarci le mani , mettiamo del riso abbondante in una mano, pressiamolo leggermente contro il palmo creando un incavo al centro, riempiamo la cavità con un cucchiaio di zucca asciutta e dei pezzetti di formaggio, chiudiamo tutto con del riso e diamo la forma di un’arancia.
Ora passiamo l’arancino nella pastella e poi nel pane grattato, friggiamolo in abbondante olio bollente e poi serviamolo caldo.
La versione del ripieno con i gamberi si fa semplicemente, cuocendo allo stesso modo la zucca, sfumandola però con del vino bianco, uniamo i gamberetti sgusciati e lasciamo raffreddare tutto, il procedimento è lo stesso.
Potete fare queste 3 versioni per Santa Lucia, sono facili da fare e sfiziosi.
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I simulacri lignei delle sante martiri e vergini, venerate nelle città di Latiano, Torre Santa Susanna ed Erchie
Busto reliquiario di Santa Lucia
di Domenico Ble
Il momento principale che riunisce ogni comunità cittadina è senza ombra di dubbio quello della festa patronale. Si tratta di un’occasione di grande coinvolgimento, gli abitanti di ogni comunità cittadina si sentono protagonisti e responsabili della buona riuscita del momento festoso.
Da molti anni, diverse feste patronali pugliesi sono divenute note, anche a livello nazionale, per delle peculiarità folcloristiche ed artigianali. Fra tutte le feste spicca, ad esempio, quella in onore di santa Domenica a Scorrano in provincia di Lecce, divenuta tappa di curiosi e turisti per le famose luminarie.
È importante sottolineare che il cuore di ogni festa patronale è la processione religiosa ossia il momento in cui il simulacro, raffigurante il santo protettore, viene portato in spalla per le vie del paese. L’arte torna ad essere oggetto dominante perché i simulacri, in argento, lignei o in cartapesta, sono veri capolavori dell’arte scultorea.
In questo saggio mi occuperò della devozione nei confronti di tre sante vergini e martiri, omaggiate in tre differenti comunità locali: santa Margherita d’Antiochia a Latiano, santa Susanna a Torre Santa Susanna e santa Lucia a Erchie.
Prima di proseguire nell’analisi dei simulacri, è doveroso accennare alla situazione dell’arte, nel Seicento e Settecento, nel Salento.
Nei territori della grande provincia di Terra d’Otranto, terra di confine rivolta ad Oriente, crocevia di grandi traffici commerciali e di scambi culturali, vi fu in questo periodo in ambito artistico, dal punto di vista pittorico, scultoreo e architettonico, una fusione di molteplici stili, ancora oggi osservabili sulle facciate dei monumenti e nei particolari delle opere mobili.
I contatti artistici non mancarono soprattutto con Napoli, capitale del regno e centro artistico principale del bacino mediterraneo. La committenza presente in Terra d’Otranto e nell’intera Puglia, composta principalmente dai feudatari, dal clero diocesano, dagli ordini sacri e dalle Università, commissionava alle botteghe presenti nella capitale e in provincia la realizzazione di tele, statue, manufatti di vario genere[1]. Fra le richieste, ovviamente rientravano anche le statue lignee, tra cui quelle raffiguranti i santi protettori a cui erano devoti i committenti. Una domanda ulteriormente accresciutasi alla fine del XVII secolo ad opera soprattutto della committenza ecclesiastica[2].
Busto reliquiario di Santa Susanna
Fra le varie tipologie di statue, erano molto richiesti i busti-reliquiari[3], i quali potevano essere lignei o di argento ed avevano una funzione devozionale, in quanto i fedeli, attraverso l’ausilio dell’immagine, rivolgevano le loro preghiere alla santa o al santo raffigurati. Allo stesso tempo, svolgevano anche la funzione di contenere le reliquie dei santi: erano questi i motivi per cui tali manufatti assumevano un grande valore artistico e religioso[4].
Santa Susanna è patrona dell’omonima città[5]. La devozione del popolo torrese nei confronti della santa martire, è legata a due episodi a cui è attribuita la sua intercessione per la protezione del popolo: il terremoto del 1743 e il colera del 1837[6]. La tradizione lega comunque il culto, in suo onore ad un episodio ambientato in epoca tardo-romana secondo il quale un soldato romano cristiano realizzò un disegno raffigurante la santa vergine e martire romana su una parete all’interno di una torre presente nel territorio. Non vi sono, tuttavia, fonti scritte che certifichino l’accaduto. L’unica certezza è che a mantenere vivo il culto, fu la presenza di un edificio sacro bizantino, situato poco fuori la città e dedicato a santa Susanna. Tale edificio oggi non è più esistente, tuttavia è bene menzionarlo in quanto dalle mura di questo luogo sacro nacque la città[7].
Santa Margherita d’Antiochia (foto di Vincenzo Doria)
Nella chiesa matrice di Torre Santa Susanna, nell’ultima cappella della navata di sinistra, all’interno della teca dell’altare, è conservato il busto-reliquiario ligneo raffigurante la giovane martire romana. In quest’opera la santa è rappresentata con il capo aureolato, rivolto verso l’alto. Con la mano destra tiene la torre, allegoria che ricorda la leggenda da cui deriva il nome della città, e con la mano sinistra la palma del martirio. Indossa un abito in stile seicentesco indorato. Al centro, sul petto, è collocata la piccola teca circolare al cui interno è posta la reliquia.
Nel 1664, in occasione della visita pastorale del vescovo Raffaele Palma,[8] viene riportata la presenza del simulacro all’interno di un armadio collocato nella sagrestia e si fa anche riferimento al colore dorato degli abiti.[9] L’opera potrebbe essere stata realizzata un decennio prima della data in cui la riporta il vescovo nella sua visita pastorale.
Nella vicina città di Erchie sorge il santuario di santa Lucia[10], vergine e martire. Il culto in onore della giovane siracusana ebbe inizio a seguito dello spostamento del corpo da Siracusa a Costantinopoli[11] per volere del generale bizantino Giorgio Maniace. Durante il tragitto, il Maniace e i soldati si fermarono nella foresta oritana, all’interno di una rientranza rocciosa nei pressi del villaggio di Hercle, odierna Erchie. La leggenda vuole che alcuni monaci basiliani che dimoravano lì vicino, visto il corpo della santa siracusana, appena i soldati lasciarono il luogo in cui avevano sostato, decisero di trasformare il posto in luogo di culto e affrescarono le pareti immortalando l’episodio[12]. Ben presto il luogo divenne meta di pellegrinaggio.
A questo luogo è legata un’altra leggenda, quella «della mucca», racconto risalente al XVI secolo. Durante un periodo di grande siccità, si narra, che un vaccaro abitualmente portasse le sue mucche al pascolo proprio vicino alla cappella (grotta). Mentre era nel luogo del pascolo, si accorse dell’allontanamento di una mucca dalla mandria. Questo accade per diversi giorni a seguire, il vaccaro decise di seguire l’animale scoprendo che si allontanava dalla mandria per andare a bere ad una fonte che sgorgava proprio vicino ad un quadro raffigurante santa Lucia. Il popolo di Erchie interpretò questo segno come un prodigio, rinnovò la cappella, collocando il quadro raffigurante la santa sull’altare[13]. Da qui fu poi edificato in epoca moderna l’odierno santuario.
Il simulacro ligneo vede Santa Lucia raffigurata a mezzo busto, con il capo aureolato rivolto verso l’alto. Indossa una semplice veste, con la mano destra regge un vassoio su cui sono poggiati gli occhi, un rimando al martirio ricevuto, mentre con la mano sinistra tiene la palma e un libro. Al centro, sul petto, si trova la piccola edicola in cui è conservata la reliquia.
Alla stessa maniera del busto-reliquiario di santa Susanna, ad esclusione delle mani e del volto, la parte restante è coperta dall’indoratura.
Il simulacro fu realizzato nel 1638, in sostituzione del quadro che era posto sull’altare maggiore e l’indoratura del busto fu effettuata solo dodici anni dopo la realizzazione del simulacro (1650). Questo fu possibile, stando a quanto scrive il Morleo, grazie alla vendita di una chiusura d’olive.[14] L’indoratura del simulacro, caratterizza questa tipologia di statue lignee realizzate per lo più nel XVII e nel XVIII secolo. Questa particolare colorazione veniva adoperata con lo scopo di impreziosire il manufatto, attraverso l’imitazione del metallo[15]. Stando alle fonti, si potrebbe ipotizzare che il simulacro raffigurante santa Lucia sia stato realizzato all’incirca nel primo quarantennio del XVII secolo.
Entrambi i manufatti sono di buona fattura e rievocano per alcuni versi quelli conservati nella chiesa di San Francesco a Manduria, realizzati nell’arco di tempo che va dal 1624 al 1633, e attribuiti a degli intagliatori napoletani[16]. Si potrebbe ipotizzare, che i simulacri di santa Susanna e santa Lucia, siano stati realizzati da autori differenti in quanto la staticità del busto raffigurante santa Susanna è contrapposta alla posa, quasi arcuata verso destra, del simulacro raffigurante santa Lucia. Anche i basamenti sono differenti: quello di santa Lucia è più basso rispetto a quello di santa Susanna che è più massiccio e soprattutto decorato.
A partire dal 1650, nella città di Latiano si venera come patrona Santa Margherita d’Antiochia di Pisidia[17]. Alle origini del culto c’è la famiglia Francone,[18] feudataria di Latiano dal 1511 al 1611[19].
Il nome Margherita ricorreva con grande frequenza all’interno della stessa famiglia e, come riporta lo storico Salvatore Settembrini, a Latiano vi era anche una chiesa intitolata a santa Margherita e posta sotto il patronato dei Francone,[20] i quali affidarono poi l’edificio ai frati domenicani. Agli inizi del Seicento, l’edificio fu demolito e nel 1678 fu edificata al suo posto una nuova chiesa annessa al convento. I frati diedero così un forte impulso alla diffusione del culto in onore della santa.
Nella chiesa madre, all’interno della nicchia posizionata sull’altare di sinistra del transetto, è conservata la statua raffigurante Santa Margherita d’Antiochia tuttora portata in processione ogni 20 di luglio per le vie del paese. Il simulacro vede raffigurata la santa tutta per intero. Questa rivolge lo sguardo verso il cielo, ha il braccio destro in avanti e con la mano sinistra tiene il lembo della veste e la palma. Dal braccio destro pende la catena con la quale tiene legato il diavolo, posizionato in basso ai suoi piedi e raffigurato con dimensioni inferiori e con le fattezze di un arabo. Sempre al braccio destro sono legate delle chiavi, che simboleggiano le chiavi della città di Latiano.
La giovane vergine, schiaccia con il piede sinistro il drago, un rimando figurativo all’animale fantastico che sconfisse in prigione, indossa una veste verde ed è avvolta da un manto rosso. Dietro al capo è posizionata la corona in stile barocco: si tratta di un riferimento alla corona del martirio. L’autore, ancora ignoto, ha raffigurato tutti gli attributi iconografici ad esclusione della croce.
In merito all’anno di realizzazione dell’opera, ipotizzo che possa risalire ai primi dell’Ottocento e questa risulta essere l’ipotesi più valida, in quanto in pieno XIX secolo si assiste in Terra d’Otranto al crescente successo delle statue in cartapesta. Ciò induce a pensare che la realizzazione lignea debba necessariamente essere avvenuta prima dell’affermarsi della cartapesta.[21]
La statua, di grande pregio e raffinatezza, è finemente resa nei minimi particolari, basti osservare il panneggio della veste, le mani, la gestualità e l’espressività del volto, da cui traspare l’emotività. A mio avviso, l’opera è di fattura napoletana, un restauro riporterebbe alla luce le giuste tonalità dei colori.
Come ben sappiamo, il gusto napoletano continuò ad affermarsi in maniera abbondante nel Salento, nel XVIII secolo, a seguito di una crescente richiesta da parte della committenza[22]. Il trionfo della scultura lignea, in area brindisina e tarantina, è confermato dalla presenza di numerose statue lignee, di maestri napoletani. Ad esempio, allo scultore Francesco Del Vecchio, vengono attribuite la Madonna della Fontana, custodita nella chiesa matrice di Francavilla Fontana[23] e l’Immacolata Concezione conservata nella chiesa matrice di Ceglie Messapica.[24] Ai fratelli Gennaro e Michele Trillocco viene attribuita la statua di San Gregorio Magno, conservata nella chiesa della S.S Trinità a Manduria.[25] Giuseppe Picano, realizza l’Immacolata nell’Oratorio del SS. Sacramento di Grottaglie e un’altra Immacolata per la chiesa di San Francesco di Manduria.[26]
Santa Margherita d’Antiochia (Foto di Vincenzo Doria)
[1] d. Pasculli Ferrara, Napoli e la Puglia in Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo, Schena, Fasano 1986, pp. 12-19.
[2] R. Casciaro, Napoli vista da fuori: sculture di età barocca in Terra d’Otranto e oltre in Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, a cura di R. Casciaro e A. Cassiano, De Luca Editori Arte, Roma 2007, p. 57.
[3] p. Leone De Castris, Sculture in legno di primo Seicento in Terra d’Otranto, tra produzione locale e importazioni da Napoli in Sculture di età barocca, cit., p. 23; P. Staffiero, Appunti per lo studio della scultura lignea in Simulacri Sacri. Statue in legno e cartapesta del territorio C.R.S.E.C (a cura di R. Poso), Grafema, Taviano 2000, p. 38.
[4] Dei pregiati esempi di busti reliquiari, validi esemplari non solo per la capitale ma anche per le province, sono quelli conservati nella lipsanoteca della chiesa del Gesù Nuovo di Napoli.
[5] Torre Santa Susanna. Originaria di Roma, la santa visse nel III secolo d.C. Dal punto di vista agiografico è difficile ricostruirne le vicende storiche nonostante le diverse testimonianze presenti. Durante il VI secolo fu composta una passio, in cui si racconta che Susanna era figlia del sacerdote Gabino, cugino dell’imperatore Diocleziano. La giovane fanciulla fu chiesta in sposa per Massimiano, il figlio dell’imperatore. Ella non accettò tale decisione e fu uccisa. (Bibliotheca Sanctorum, Vol. XII, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Città Nuova Editrice, Roma 1969, pp. 78- 79).
[6] Aa. Vv., Santi di casa nostra. La Puglia dei Patroni e delle feste patronali, Schena, Fasano 2000, p. 90.
[7] A. Trinchera, Torre Santa Susanna. Lineamenti Storici, Edizioni del Grifo, Lecce 2005, p. 79; M. Morleo, Torre Santa Susanna. Pagine sparse di storia e arte, Locorotondo, Mesagne 2013, p. 41.
[8] Mons. Raffaele Palma fu vescovo della Diocesi di Oria dal 1650 al 1674.
[9] M. Morleo, Torre Santa Susanna, cit., pp. 201-202.
[10] Santa Lucia, era di Siracusa e visse a cavallo fra III e IV secolo d.C. Nella passio, si racconta che durante un pellegrinaggio al sepolcro della martire Agata a Catania per implorare la guarigione della madre, le apparve la santa che le preannunziò il martirio. Ritornata a Siracusa decise di rinunciare al matrimonio e cominciò a distribuire i suoi beni ai poveri. Fu denunciata in quanto cristiana e dunque le furono afflitte diverse tentazioni affinché rinnegasse la sua fede. Fu torturata e nonostante questo non rinnegò. Alla fine, fu trucidata. (Cfr, Bibliotheca Sanctorum, cit., vol. VIII, pp. 242 – 258.). Jacopo da Varrazze in merito a santa Lucia scrisse: “Lucia deriva da luce. La luce infatti è bella da vedere, dato che come dice Ambrogio, essa è tale che fa risplendere tutte le cose belle. Si diffonde inoltre senza perdere purezza […] Con ciò si intende che la conformità del nome è dovuta al fatto che la beata vergine Lucia brilla della purezza della verginità senza alcuna macchia, infonde la carità senza amore che non sia puro, direttamente si rivolge a Dio, senza mai deviare, e sa seguire fino in fondo la via tracciata dalla volontà divina, senza mai adattarsi nella negligenza…” (J. Da Varrazze, Legenda Aurea, a cura di A. e L. Vitale Brovarone, Einaudi, Torino 1995, p. 34; iconograficamente viene raffigurata con la palma del martirio, la corona in testa e sulla mano mantiene il piatto con sopra gli occhi. Quest’ultimo attributo è per via della leggenda che vuole che alla santa siano stati strappati. Altri simboli associati, anche se con meno frequenza, sono il libro, la lampada, il calice e la spada.
[11] C. V. Morleo, Erchie, dalle origini ad oggi, Italgrafica Edizioni, Oria 1993, p. 165.
[12] Ibidem, 166.
[13] Ibidem, pp. 167-168.
[14] Ibidem, pp. 171-172.
[15] P. Staffiero, Appunti per lo studio, cit., p. 35. Raffaele Casciaro, in merito alla tecnica dell’indoratura, sui busti – reliquiari, ha scritto: “Il persistente successo della scultura dipinta, nonostante gli anatemi delle accademie, si deve indubbiamente all’efficacia devozionale delle statue colorate, che le province continuano a richiedere senza sosta, anche dopo l’estinzione delle dinastie degli scultori napoletani e oltre i limiti temporali della fortuna della cartapesta leccese.” (Cfr. R. Casciaro, Napoli vista da fuori, cit., pp. 49-50).
[16] R. Casciaro-A. Cassiano, Sculture di età barocca, cit., pp. 172-179.
[17] Santa Margherita, o Marina in Oriente, era una giovane di Antiochia di Pisidia, vissuta nel III secolo d.C. Secondo quanto narrato nella passio, Margherita era figlia di un sacerdote pagano e fu cresciuta da una balia cristiana che la educò al cristianesimo. Il padre, appena apprese della fede cristiana della figlia, la cacciò via. Un giorno mentre pascolava il gregge, fu notata dal prefetto Olibrio, che se ne innamorò subito e la reclamò come sposa. Margherita lo rifiutò e consacrò la sua vita alla fede. Il prefetto, la denunciò in quanto cristiana e fu arrestata. Subì diverse torture in prigione, fra cui anche la tentazione del demonio, che secondo la leggenda, gli apparve sotto forma di drago. Mostro che sconfisse con la croce. Le torture non le infliggevano alcun dolore e così le fu tagliato il capo; Bibliotheca Sanctorum, Vol. VIII, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Città Nuova Editrice, Roma 1967, pp. 1150 – 1166. Iconograficamente santa Margherita viene raffigurata con la palma del martirio, la corona sul capo, la croce e il drago.
[18]A. foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, Forni Editore, Sala Bolognese, pp. 97- 98: “Nobile ed antica famiglia napoletana, le cui memorie risalgono al tempo de’ Re Angioini. Essa godette nobiltà in Napoli (al Seggio di Montagna), in Mesagne ed in Lecce, ove probabilmente fu importata sul finire del sec. XIV da Andrea Francone che sposò Antonia Lettere. Possedette questa Casa di Marchesato di Salcito; e, in Terra d’Otranto, i Casali di Castrifrancone e Trepuzzi col feudo di Terenzano e metà del feudo di San Donato, in territorio di Oria, sin dal 1396, tutti portati in dote al sudetto Andrea da sua moglie Antonia Letterem e i Casali di Latiano, Lizzano che Claudio Francone, nel 1592 comprò da Marco Antonio de Raho per ducati 29 mila, e Sava (1633). Oliviero su governatore di Lecce nel 1415. La famiglia Francone imparentò con Lettere, dell’Acaya, dell’Antoglietta, Mosco, Maresgallo, de Noha, Sanseverino, Caracciolo, Dentice, Sanfelice e altri. Arma: D’azzurro, spaccato; nel 71 al leopardo d’oro, armato e lampasato di rosso; nel 2. a tre rose di rosso, 1, 2”;
[19] S. Settembrini, Sindaci, notai e famiglie feudatarie di Latiano, Neografica, Latiano 2002, pp. 149-166.
[20] Ibidem, p. 9.
[21] Sull’introduzione e il successo della statuaria in cartapesta nel Salento, ne parla Giuseppe De Simone: “Il XIX secolo fu il secolo in cui la cartapesta leccese, ormai da tempo acquisita una propria identità, si rafforzò e si diffuse moltissimo […] Fu il secolo dei grandi maestri (capiscuola) attorno ai quali si avvicendarono molti discepoli che, a loro volta, divennero bravi statuari, che alimentarono una tradizione viva sino ai giorni nostri.” (G. De Simone, Tesori di carta. Le raffigurazioni in cartapesta nelle chiese antiche di Lecce, Edizioni del Grifo, Lecce 2002, p. 18).
[22] C. Gelao, La scultura in Puglia dal 1734 al 1799 in La Puglia al tempo dei Borbone. Storia e cultura, a cura di C. Gelao, Mario Adda Editore, Bari 2000, pp. 133-147.
[23] G.G. Borrelli, Madonna col Bambino in Sculture di età barocca, cit., pp. 308-311; E. VALCACCIA, Scultura lignea del Settecento a Napoli. Nuovi spunti e proposte, Nicola Longobardi, Castellammare di Stabia 2018, p. 49.
[24] R. Casciaro, Napoli vista da fuori: sculture di età barocca in Terra d’Otranto e oltre, in Sculture di età barocca, cit., pp. 69-70; E. Valcaccia, Scultura lignea del Settecento, cit., p. 57.
[25] Ibidem, p. 60.
[26] C. Gelao, La scultura in Puglia, cit., p. 146.
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