#Lluís Pasqual
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GIUSEPPE VERDI'S DON CARLO AT LA SCALA, DECEMBER 30, 2023
It feels somewhat inappropriate (or bad; or both) to turn into a stubborn remonstrance machine in front of a season opener—when everyone tends to be excited, nervous but high-spirited, positively curious, and wildly enthusiastic. Alas, I don’t think I can sweeten this pill that much; be prepared to endure a long series of mostly disapproving (not to mention monotonous) observations, or skip the whole of it and be back for the next one: either option is perfectly OK with me. Now that the warning bit is done, I’ll say this operatic experience was hurt by two major problems. The first one—it can be fully depicted by a two-word sweeping assessment: wrong language. (Stripping an opera of its original language—a practice that was pretty common in the perilous old days—has been a no-no for a long time. In other words, as a general rule, nobody’s translating Carmen, Lohengrin, Pelléas et Mélisande, or Jenůfa anymore. Yet for some reason, Giuseppe Verdi’s Don Carlos—first performed at l’Opéra [Salle Le Peletier] in 1867—is still considered fair game to this day. That’s what happened here: never mind Don Carlos, enter Don Carlo. It sort of puzzles me, ‘cause it’s truly like swinging the ax from The Shining and tearing a hole in your own boat immediately before the start of a rowing race you want to win).
The second problem has to be the theatrical numbness of the production created by Lluís Pasqual (with Daniel Bianco, Franca Squarciapino, Pascal Mérat as set/costume/light designers). A rigid display of generic, uninterrupted emphasis? That sounds accurate to me. Whatever the storyline would come up with (in fact: within the court of Philip II of Spain, a large-scale tangle of fierce power struggles, frustrated love, thirst for dignity and freedom, family plots, [more than] a touch of sadism, etc.)… Now what… Got it: whatever questions/themes/possibilities the narrative would come up with, the answer was always going to be the same: somebody standing right under the proscenium arch, accompanying his/her/their voice with stereotyped, exaggerated gestures—and nothing else. This kind of approach ended up placing a veil of apathy over this entire Don Carlo: a thick blanket that the orchestra conducted by Riccardo Chailly wasn’t quite able to lift. Their rendition of the score was a little on the automatic/impersonal side. It just didn’t seem to click with the peculiar qualities that separate Don Carlos from the rest of Verdi’s work.
I’m thinking of the slow-burning nocturnal atmosphere; the penchant for ambiguous psychologies; the unhurried investigation/exploration of theoretical issues (whereas actual events are regularly upstaged, or out of the picture altogether). The relatively flat outcome of the King’s famed insomnia-ridden soliloquy («Ella giammai m’amò! No! Quel cor chiuso m’è» [Act III]) would be a good example of this missed connection. On the other hand, the Quartet from the same act («Ah! Sii maledetto, sospetto fatale,» sung by the King, the Princess Eboli, Rodrigo and Elisabetta) was a spectacular highlight: an aerial exercise in sacred music between Georg Friedrich Händel and Richard Strauss. While all the actors/singers were hindered by the widespread stiffness I’ve tried to describe, I’d say Maria José Siri’s Elisabetta—in love with Don Carlo, but married to his old father, the King—was successful in portraying a transition, almost a metamorphosis. She starts out as a victim. She winds up as a victim, as well: but a completely different one (grown-up; wise in the least welcome way you could imagine). And it all materialized through her singing style. (I’m not sure this qualifies as a fun fact, but the first Marquis of Posa and the first Princess Eboli [Jean-Baptiste Faure and Pauline Guéymard-Lauters] went on to feature, one year minus two days later, same venue, in the world première of Ambroise Thomas’s Hamlet as Hamlet himself and Gertrude).
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La Prima alla Scala: 13 minuti di applausi per il Don Carlo di Verdi
AGI – Drammatico e romantico, una storia di potere e di amore, senza lieto fine. E’ il Don Carlo di Giuseppe Verdi, firmato da Lluís Pasqual, diretto dal maestro Riccardo Chailly, l’opera più complessa e tormentata del compositore, che stasera ha segnato l’avvio della stagione del Teatro alla Scala di Milano, salutata dal pubblico con 13 di applausi. Soprattutto per le due cantanti: Anna…
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Scala, the gallery shouted: "Long live anti-fascist Italy"
Final result of La Scala's Don Carlo: thirteen minutes of applause, mixed with a few boos for Riccardo Chailly and many boos for director Lluís Pasqual. A hot Don, in short. The evening opened with a speech by the superintendent Dominique Meyer announcing the known fact, that is, that UNESCO has just declared Italian opera singing an intangible heritage of humanity, but we know that the…
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Scala: il 7 dicembre 2023 Prima con Don Carlo, cast stellare e mega produzione
(Adnkronos) - La Stagione 2023/2024 del Teatro alla Scala si apre giovedì 7 dicembre, alle ore 18, con Don Carlo di Giuseppe Verdi nella versione approntata dal compositore per la Scala nel 1884. Come ogni anno lo spettacolo sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura e trasmesso in diretta televisiva su Rai1 e radiofonica su Radio3. La prima della Scala La Prima sarà preceduta domenica 3 dicembre dall'Anteprima per gli Under30 e seguita fino al 2 gennaio da 7 rappresentazioni tutte esaurite. L'opera, che ha inaugurato la Stagione nel 1868, 1878, 1912, 1926, 1968, 1977, 1992 e 2008, sarà diretta dal direttore musicale Riccardo Chailly sul podio dell'Orchestra del Teatro alla Scala con un cast che schiera Francesco Meli come Don Carlo, Anna Netrebko come Elisabetta di Valois, Michele Pertusi come Filippo II, Elīna Garanča come Principessa d’Eboli, Luca Salsi come Marchese di Posa e Ain Anger come Grande Inquisitore. Protagonista di non minore rilievo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi. Le scene sono di Daniel Bianco, i costumi di Franca Squarciapino, le luci di Pascal Mérat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejón. Per il maestro Riccardo Chailly, Don Carlo è il compimento di una riflessione sul potere estesa su tre inaugurazioni di Stagione, dopo Macbeth di Verdi nel 2021 e Boris Godunov nel 2022. Come scrive Michele Girardi, vi è una relazione evidente «tra le tematiche trattate nel Boris Godunov di Musorgskij e nel Don Carlos di Verdi, cioè le logiche spietate dei detentori di un potere assoluto che disintegra l'aspirazione alla felicità individuale e collettiva degli oppressi». Ma si tratta anche di un ritorno al Verdi della maturità dopo le tre inaugurazioni dedicate all’evoluzione delle opere giovanili con Giovanna d’Arco nel 2015, Attila nel 2018 e Macbeth nel 2021 (Chailly peraltro ha proposto anche Aida in forma di concerto nel 2020, dopo averla diretta nell’allestimento di Zeffirelli il 7 dicembre 2006). Un "nuovo" Don Carlo Nel suo nuovo approccio a Don Carlo, che aveva diretto ad Amsterdam nel 2010 in un bell’allestimento di Willy Decker, il maestro Chailly torna con la memoria alle edizioni dirette da Claudio Abbado nel 1968 e 1977, di cui aveva seguito le prove, ma fa riferimento anche allo studio diretto dei manoscritti messigli a disposizione da Ricordi. Come nell’edizione di Abbado, si ascolterà l’introduzione al monologo di Filippo affidato alla fila dei violoncelli secondo partitura e non al violoncello solo come spesso avviene. Con i complessi scaligeri Riccardo Chailly ha recentemente diretto la scena di Filippo con Ildar Abdrazakov nella serata "…a riveder le stelle" del 7 dicembre 2020, l’aria di Elisabetta in concerto con Anna Netrebko e il coro del II atto in disco e in tournée. Don Carlo torna al Teatro alla Scala per la prima Una grande produzione che rispecchia la doppia natura di dramma storico e manifesto romantico dell’originale schilleriano mettendo in luce gli straordinari artisti e artigiani che operano nei laboratori del Teatro. Un impianto scenico unico si trasforma senza interrompere lo svolgimento dell’azione nei diversi spazi previsti dal libretto grazie alla spettacolare alternanza di colossali elementi scenografici. Verdi propone i temi a lui cari della libertà dei sentimenti, della difficile relazione tra padri e figli e della liberazione dei popoli oppressi sullo sfondo del conflitto tra il potere temporale e quello religioso. Per rendere l’atmosfera sospesa tra ambiente ecclesiastico e secolare il regista Lluís Pasqual e lo scenografo Daniel Bianco hanno fatto riferimento all’uso dell’alabastro nelle finestre degli edifici religiosi ma anche civili e in particolare alla grande finestra della Collegiata di Santa María La Mayor nella città spagnola di Toro. Una grande torre di alabastro è inquadrata in un sistema di cancellate che anch’esse ricorrono nell’architettura religiosa quanto in quella civile. La scena permette di ritagliare nei grandi spazi del palcoscenico i numerosi momenti di intimità e di isolamento che punteggiano la tragedia. Dietro le quinte dello spettacolo Don Carlo ci porta dietro le quinte dello spettacolo del potere: anche l’autodafé, cerimonia abbagliante e macabra di autorappresentazione dell’assolutismo, non troppo diversa dai meccanismi della propaganda di oggi, è mostrata soprattutto nel momento della preparazione e solo pochi minuti sono riservati alla 'festa' nella sua magniloquente esteriorità. Qui campeggia un colossale retablo dorato e finemente istoriato. Questi spazi sono animati dal pittoricismo dei costumi di Franca Squarciapino, che riprendono l’abbigliamento rappresentato nella ritrattistica del tempo ma lo alleggeriscono nella scelta dei materiali, garantendo facilità di movimento e una certa romantica vitalità ai personaggi. L'impianto è documentato ma non necessariamente filologico: pur collocati nella loro epoca, i protagonisti rappresentano emozioni e caratteristiche umane presenti in ogni tempo. Il colore prevalente è il nero, non inteso come espressione di mortificazione o di lutto ma come esibizione di potere e ricchezza: nel ‘500 velluti e broccati neri erano tra le stoffe di maggior pregio. La prima assoluta La prima assoluta di Don Carlos ha luogo all’Opéra di Parigi (che aveva allora sede nella Salle le Péletier che sarebbe stata distrutta da un incendio nel 1873) l’11 marzo 1867. È la terza opera scritta da Verdi per la Francia dopo Jérusalem (riscrittura del 1847 dei Lombardi alla prima Crociata) e Les Vêpres Siciliennes (1855). Il libretto francese di Joseph Méry e Camille du Locle è tratto dalla tragedia di Friedrich Schiller Don Karlos, Infant von Spanien andata in scena ad Amburgo nel 1787. L’opera, commissionata in occasione della seconda Esposizione Universale di Parigi (il direttore dell’Opéra, Jules Perrin, aveva proposto Don Carlos oppure Cleopatra dal Giulio Cesare di Shakespeare; Verdi aveva pensato a Re Lear ma soprattutto a El zapatero y el Rey di Zorilla prima di risolvere per Schiller), era in cinque atti con balletto secondo l’uso della “grande boutique” e proclamava i valori della libertà personale e politica contro l’oppressione dell’assolutismo religioso e statuale. Angelo Mariani dirige Don Carlo La prima italiana segue di pochi mesi quella parigina: Angelo Mariani dirige Don Carlo, con libretto tradotto in italiano da Achille de Lauzières, a Bologna il 27 ottobre, protagonista Teresa Stolz. La Stolz è Elisabetta anche nella prima dell’opera al Teatro alla Scala, diretta da Alberto Mazzucato il 25 marzo 1868: si eseguono i cinque atti in lingua italiana con il balletto. La stessa versione in cinque atti e ballabili inaugurerà la Stagione scaligera il 26 dicembre 1868, sul podio Eugenio Terziani, e il 26 dicembre 1878, direttore Franco Faccio. Nel frattempo, per la prima al Teatro di San Carlo di Napoli nel 1872 Verdi aveva modificato il duetto tra Filippo II e il Marchese di Posa e scorciato il duetto finale tra Carlo ed Elisabetta. Il lavoro di rimaneggiamento riprende e si intensifica insieme a Du Locle per la versione francese di Vienna nel 1882 (“a Vienna – scrive Verdi – i portinai chiudono la porta principale delle case le opere lunghe si amputano ferocemente dal momento che mi si dovevano amputare le gambe ho preferito affilare e adoperare io stesso il coltello”) e si conclude per la produzione in lingua italiana del 1884 al Teatro alla Scala. I tagli di Verdi Qui Verdi opera non solo una serie di tagli, ma un ripensamento profondo della struttura e in certo modo della natura stessa dell’opera: sopprime l’intero primo atto (ovvero l’antefatto che narra lo sbocciare della passione tra Carlo ed Elisabetta nella foresta di Fontainebleau); riscrive i duetti Carlo-Rodrigo e Filippo-Rodrigo dell’atto secondo; sostituisce l’inizio dell’atto terzo con un preludio e sopprime il successivo balletto; riscrive gran parte della scena Filippo-Elisabetta dell’atto quarto col successivo Quartetto; abbrevia il finale quarto, a partire dalla morte di Rodrigo; riscrive e abbrevia la conclusione dell’atto quinto. Ne emerge un dramma nuovo, più sintetico e agile, in cui il fattore politico e la figura di Filippo II prevalgono su quello psicologico/sentimentale e sui personaggi di Carlo ed Elisabetta. Nata da necessità pratiche, la revisione finisce per rispecchiare la propensione di Verdi alla stringatezza drammatica: “i tagli – scrive – non guastano il dramma musicale, anzi accorciandolo lo rendono più vivo”. Storia e fascino, cos'è il Don Carlo rappresentato alla futura prima della Scala? Nel 1886 Verdi approva, pur senza esservi intervenuto personalmente, una nuova versione proposta a Modena, che ripristina il primo atto secondo l’edizione Ricordi facendolo seguire dagli altri quattro come ridisegnati nell’edizione scaligera del 1884. La prima dell’opera al Piermarini risale al marzo 1868, seguita dalle prime due inaugurazioni di stagione nel dicembre dello stesso 1868 e dieci anni più tardi e quindi dalla prima assoluta della versione in quattro atti nel 1884. Nei decenni successivi Don Carlo appare nei cartelloni con scarsa frequenza: Tullio Serafin dirige l’edizione in quattro atti nel 1912, Arturo Toscanini nel 1926 e 1928 sceglie i cinque atti. In seguito sceglieranno i quattro atti Fernando Previtali (1947), Antonino Votto (1952 e 1954 con Maria Callas come Elisabetta), Gabriele Santini nel 1960 e 1963. Il Don Carlo alla Scala di Milano Don Carlo torna a inaugurare la Stagione nel 1968, sempre in quattro atti, con la direzione di Claudio Abbado e la regia di Jean-Pierre Ponnelle. Il cast comprende Rita Orlandi Malaspina (poi anche Raina Kabaivanska, già presente insieme a Leyla Gencer nel 1963), Bruno Prevedi, Fiorenza Cossotto, Piero Cappuccilli e Nicolai Ghiaurov. Lo spettacolo sarà ripreso nel 1970 con importanti novità nel cast, tra cui Plácido Domingo e Shirley Verrett. Per la Stagione del Bicentenario del 1978, che si snoda senza soluzione di continuità dal 7 dicembre 1977 al 1979, Abbado propone la versione in cinque atti in una storica produzione di Luca Ronconi con le scene di Damiano Damiani e due cast straordinari: Mirella Freni e Margaret Price come Elisabetta, José Carreras e Plácido Domingo come Don Carlo, Nicolai Ghiaurov e Evgeni Nesterenko come Filippo II, Piero Cappuccilli e Renato Bruson come Posa, Elena Obrazstova come Eboli. La passione abbadiana per l’opera si arricchisce di un ulteriore capitolo con l’incisione per Deutsche Grammophon con i complessi scaligeri dell’originale francese in cinque atti, completa in appendice delle parti soppresse da Verdi tra cui il “ballo della Peregrina”. Nel cast Plácido Domingo, Katia Ricciarelli, Ruggero Raimondi, Nicolai Ghiaurov, Lucia Valentini Terrani e Leo Nucci. I grandi direttori d'orchestra È Riccardo Muti nel 1992 a riportare Don Carlo al 7 , nella versione in quattro atti sfarzosamente portata in scena da Franco Zeffirelli con Luciano Pavarotti, Daniela Dessì, Samuel Ramey, Luciana D’Intino e Paolo Coni. Nel 2008 Daniele Gatti dirige la prima Anteprima Under30 il 4 dicembre e quindi inaugura la Stagione con una versione integrale delle versioni in 5 e 4 atti in italiano a cura di Ursula Günther, inclusiva degli inediti. La regia è di Stéphane Braunschweig, cantano Stuart Neill, Fiorenza Cedolins, Ferruccio Furlanetto, Dolora Zajick, Dalibor Jenis e Anatoli Kotscherga. Lo spettacolo viene ripreso nel 2013 con Fabio Luisi sul podio ma gli atti diventano quattro; in palcoscenico Fabio Sartori, Martina Serafin, René Pape, Ekaterina Gubanova, Massimo Cavalletti e Štefan Kocán. Ancora in cinque atti in italiano l’ultima apparizione scaligera del titolo, nel 2017 nell’allestimento salisburghese di Peter Stein con Myung-Whun Chung e il debutto di Francesco Meli come Don Carlo al Piermarini insieme a Krassimira Stoyanova, Ferruccio Furlanetto, Ekaterina Semenchuk, Simone Piazzola e Orlin Anastassov. [email protected] (Web Info) Read the full article
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Michael Sheen in Le Livre de Spencer (1994), directed by Lluís Pasquale at the Théâtre de l'Odéon (Paris, France)
He played Édouard II's lover.
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Teatro, sexualidad y juego de máscaras
Dyskolo edita El Público, obra teatral de Federico García Lorca
Enric Llopis. Rebelión
Una obra de teatro compleja, escrita en 1930 entre Nueva York y La Habana, en la que el autor introduce ideas del surrealismo (caballos blancos que hacen de público, tocan trompetas y hablan con el director de la pieza teatral), aborda la homosexualidad, el deseo, escenifica un juego de máscaras con figuras de pámpanos y cascabeles, un centurión, estudiantes, el pastor bobo y trajes de arlequín. Una obra en la que el autor se centra en el Teatro, en los papeles que representan el público y el dramaturgo, la realidad y la ficción, y en la que también están presentes los clásicos (Romeo y Julieta, de Shakespeare; la influencia de Seis personajes en busca de autor, de Pirandello, o las sugerencias freudianas).
Son algunos de los trazos con que Dyskolo presenta El Público, de Federico García Lorca; la editorial sin ánimo de lucro publicó la obra en octubre de 2018, casi dos años después de editar Poeta en Nueva York, coetánea de la anterior. Lorca le hace decir al director y protagonista, sentado y vestido de chaqué, en el primer pasaje de este drama en cinco cuadros: “¡Mi teatro será siempre al aire libre! Pero yo he perdido toda mi fortuna. Si no, yo envenenaría el aire libre”; también en uno de los parágrafos más reproducidos: “¡Hay que destruir el teatro o vivir en el teatro! No vale silbar desde las ventanas”. O “¿Qué hago con el público? ¿Qué hago con el público si quito las barandas al puente? Vendría la máscara a devorarme”.
A la transcripción completa del manuscrito no se tuvo acceso hasta 1976. Una de las singularidades de la obra -escrita en su mayor parte en un hotel de Cuba- es que el estreno internacional se produjo una década después, el 10 de diciembre de 1986 en el Nuevo Teatro Fossati de Milán, con la dirección de Lluís Pascual (también director del Centro Dramático Nacional) y Alfredo Alcón en el papel de director de escena (Federico García Lorca fue ejecutado 50 años antes en la carretera de Víznar a Alfacar –en la provincia de Granada- por orden de las autoridades franquistas). “El Público entusiasmó en su estreno mundial”, tituló el enviado especial de La Vanguardia Juan Anton Benach. En enero de 1987 la representación tuvo lugar en el Teatro María Guerrero de Madrid. “Nunca creí que El Público supusiera una obra homosexual, sino una tragedia del amor como acto incompleto o imposible; como un fracaso de la totalidad amorosa sexual, como aparece constantemente en su teatro de símbolos heterosexuales, sea La Casa de Bernarda Alba, Yerma o Bodas de sangre”, escribió el periodista Eduardo Haro Tecglen en la crítica teatral del diario El País; el escritor señaló como elemento medular del texto “la angustia entre lo real y lo fingido, tomada por la metáfora del teatro”.
Otro periodista, Lorenzo López Sancho, optó por un titular de línea gruesa en el ABC: “El Público, el provocador y escandaloso poema lorquiano, se presentó ayer en Madrid”; en la representación de Lluís Pasqual, el crítico del ABC observó “una revulsiva declaración de autenticidad humana y un juego de ocultamientos”. Además López Sancho subrayaba los puntos de conexión con Poeta en Nueva York y la ruptura que suponía El Público con el teatro que estaba representándose en Europa en los años 30; para este rompimiento, Nueva York se revelaba como una plaza central. No menos pródigo en calificativos fue el director Giorgio Strehler en la víspera del estreno de Milán, según publicó el Corriere della Sera y reprodujo el periódico monárquico: “Una gran metáfora del teatro y del eros y un delirio de la fantasía en el umbral de la guerra civil”.
El Teatro de La Abadía de Madrid acogió en 2015, durante un mes, la pieza de Lorca, con la dirección escénica de Àlex Rigola. En la presentación ante los medios informativos, el exdirector de la sección teatral de la Bienal de Venecia destacó un diálogo entre dos de los cinco estudiantes que aparecen en El Público: “¿Y si yo quiero enamorarme de un cocodrilo?/Te enamoras; ¿Y si quiero enamorarme de ti?/Te enamoras también, yo te dejo”. Rigola reprodujo asimismo las palabras de Lorca en una conferencia sobre Poeta en Nueva York: “Yo no vengo hoy para entretener a ustedes (…). Más bien he venido a luchar. A luchar cuerpo a cuerpo con una masa tranquila. Y yo necesito defenderme de este enorme dragón que tengo delante, que me puede comer con sus trescientos bostezos de sus trescientas cabezas defraudadas”. Es la relación entre el autor y su público.
El exdirector del Teatre Lliure de Barcelona señaló que la obra de Lorca fue también, en cierto modo, una crítica al público convencional y burgués, compartida con las vanguardias europeas de la época. En España, entre las representaciones más comerciales y de éxito estaban las de los hermanos Quintero y Jacinto Benavente, aunque aires renovadores –como la influencia surrealista- dejaban entreverse en piezas teatrales como El otro, de Unamuno (estreno en 1932), Lo invisible, de Azorín (1928); Los medios seres, de Ramón Gómez de la Serna (1929) y Un sueño de la razón, de Cipriano Rivas Cherif (1929); Àlex Rigola destaca asimismo a los escenógrafos Manuel Fontanals y Siegfrid Bürmann, y subraya que Federico García Lorca ya se había acercado a las nuevas tendencias y distanciado del teatro realista en El maleficio de la mariposa, El paseo de Buster Keaton o El amor de don Perlimplín con Belisa en su jardín.
Rigola resume El Público en dos tramas; una que toma el amor homosexual -y reivindica el amor como esencia- para trascender los límites de lo establecido; y otra que denomina artístico-social y que atraviesa toda la obra lorquiana: un teatro al gusto burgués y de la taquilla (teatro al aire libre), frente a otro que compromete íntimamente a su autor (teatro bajo la arena). La posición del autor de Romancero gitano puede leerse en la parte final de la obra, en un diálogo entre el director y el prestidigitador (otro de los personajes), en el que el primero afirma: “Y demostrar que si Romeo y Julieta agonizan y mueren para despertar sonriendo cuando cae el telón, mis personajes, en cambio, queman la corona y mueren de verdad en presencia de los espectadores”; a continuación el prestidigitador interpela con mirada fija al director: “¿Qué se puede esperar de una gente que inaugura el teatro bajo la arena? Si abriera usted esa puerta se llenaría esto de mastines, de locos, de lluvias, de hojas monstruosas, de ratas de alcantarilla”. A lo que el director responde, antes de empezar a llorar y que entre precipitadamente el criado: “Es rompiendo todas las puertas el único modo que tiene el drama de justificarse, viendo por sus propios ojos que la ley es un muro que se disuelve en la más pequeña gota de sangre”.
La profesora de Literatura Española en la UNED, María Clementa Millán, analiza el contexto literario y los contenidos en el artículo “‘El Público, de García Lorca: obra de hoy”, publicado en la revista Cuadernos Hispanoamericanos (1986). Señala precedentes del Siglo de Oro –como el auto sacramental El gran teatro del mundo (1655), de Calderón- en los que el autor hace uso del teatro para escenificar sus inquietudes. Asimismo El Público podría considerarse uno de los enlaces entre el teatro de vanguardia español anterior a la guerra de 1936 y el vanguardista de los años 60 y 70 (en estas últimas décadas destacaron autores como Manuel Martínez Mediero -también escritor de obras adscritas al realismo social- Ángel García Pintado y José Ruibal, autor de El Hombre y la mosca).
El Público pertenece a ese elenco de dramas que integran los problemas del espíritu, el mundo de las ideas y el inconsciente; a ese contexto, obras anteriores a 1929, corresponden La Esfinge y La Soledad, de Unamuno; Tic-Tac, de Claudio de la Torre, o Sinrazón, de Ignacio Sánchez Mejías. Además de la renovación temática, María Clementa Millán subraya –en El Público- las innovaciones formales de García Lorca para el “intrincado mundo que quiere representar (…); en el cuadro quinto de la obra coexisten tres ambientes y acciones distintas, aunque simultáneas”.
El público
Federico García Lorca
Edición 1.0. octubre 2018
epub: 369 Kb. / mobi: 417 Kb. / pdf: 67 pág.
Página del libro para descargar: http://www.dyskolo.cc/cat%C3%A1logo/lib047/
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TEMPO INDICATIVO PRESENTE
Laboratorio teatrale a cura di Giulio Costa
VENERDI' 18 MARZO dalle 14 alle 20
SABATO 19 MARZO dalle 10 alle 20
DOMENICA 20 MARZO dalle 10 alle 14
Qui e ora: a partire da questa indicazione si sviluppa un workshop durante il quale verrà chiesto ai partecipanti un lavoro di improvvisazione legato a ciò che accade nel momento presente; l’obiettivo è quello di soffermarsi su quello stato che non vive di fredde decisioni che precedono l’interpretazione, ma di quella verità che provoca l’azione. Nel corso del laboratorio, i partecipanti avranno modo di sperimentare i ruoli del teatro (attore, regista, drammaturgo, spettatore), costruendo scene, interpretando personaggi, vivendo relazioni immaginarie, affinché possano esplorare le proprie potenzialità espressive, comprendere meglio se stessi e gli altri, e ampliare la gamma di possibilità del presente.
Giulio Costa regista teatrale, laureato in Architettura, specializzato con la “Scuola di perfezionamento per registi e attori” di Luca Ronconi e con il corso di regia “Proyecto BAT” di Lluís Pasqual. Dal 1999 ha lavorato come scenografo, attore, drammaturgo, pedagogo teatrale, assistente alla regia di Giorgio Gallione, Lorenzo Mariani, Lucio Dalla. Ha scritto e diretto numerosi spettacoli, alcuni dei quali hanno vinto premi di rilevanza nazionale. Dal 2014 è Direttore Artistico del Teatro Ferrara Off.
L'evento si svolgerà nel rispetto delle normative Covid-19.
Ai partecipanti sarà richiesto il green pass o l'esito del tampone negativo.
PARTECIPAZIONE LIMITATA
Per info e prenotazioni3319048569
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Le collectif Femmes et Culture refuse que le directeur du double théâtre barcelonais "Théâtre Gratuit" resigne pour 2 ans, étant donné qu'il serait connu pour son despotisme, en particulier avec les femmes.
Basile Pesso, FreeLand, 11 juillet 2 018, 1e diffusion ce jour-là (Fb)
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"El colectivo Dones i Cultura, formado por más de 800 profesionales culturales, han exigido este miércoles la dimisión de Lluís Pasqual como director del Teatre Lliure de Barcelona después de que una de las actrices de la compañía del espacio reprochara su "despotismo" a la hora de trabajar, especialmente con las mujeres.
Según ha informado este miércoles el colectivo en un comunicado, las críticas sobre su trato vejatorio hacia sus trabajadoras y trabajadores son "sistemáticas" y han sido una constante en los espacios de trabajo y encuentro del propio colectivo."
Article de La Vanguardia : “El colectivo Dones i Cultura pide la dimisión de Lluís Pasqual como director del Teatre Lliure“
#basile pesso#contenu original#sujets de société#espagne#théâtre#barcelone#vie espagnole#écrivains sur tumblr#journalistes indépendants sur tumblr#yes we are magazine
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DOÑA FRANCISQUITA AL LICEU
Si Lluís Pasqual pretenia fer digerible el text de Federico Romero i Guillermo Fernández-Shaw, prescindint-ne i substituir-lo per un de collita pròpia, no ho ha aconseguit, perquè els pràcticament monòlegs que ha de dir l’actor Gonzalo de Castro són molt més difícils de digerir que l’original i molt més superflus i prescindibles que el text original basat en La discreta enamorada de Lope.
Si el text és buit i teatralment innecessari, l’acció escènica voreja l'estrèpit més escandalós en el primer acte, que resulta d’un avorriment massacrant. Molt millor hagués estat una versió de concert. L’espai escènic estret pensat pel Teatro de la Zarzuela no ajuda gaire, ni tampoc el disseny de llums pla i un vestuari tediós. Deixar-ho tot en mans de la música i les veus té molts riscs sobretot si al capdavant de l’orquestra no tens un director amb caràcter capaç de fer aixecar el vol a la bellíssima partitura, amb delicadesa, finor, ritme, tremp i personalitat. L’orquestra del Liceu que ha millorat una miqueta de res en el segon i tercer acte, ha sonat vulgar, descompensada, desequilibrada i esmorteïda. Óliver Díaz amb un intent fallit de totes totes, per atorgar a la partitura d’una injustificable sonoritat cambrística, ha fet trencar en mil i una engrunes la bellesa d’una partitura gloriosa. Lamentable
Vocalment el cast tenia un llast insalvable amb la Beltrana d’Ana Ibarra, una soprano passada a mezzo que continua sent una soprano amb la veu malmesa i que no compte amb el registre greu necessari per imposar caràcter, però sobretot no estava dirigida ni a l’escenari, ni des del fossar, amb el temperament passional que el rol necessita.
Celso Albelo el dia que deixi d’imitar descaradament a Kraus, fins i tot quan aquest ja mostrava signes d’esgotament i emprava excessivament el so cranial, serà més interessant, perquè la línia i la veu són acceptables i tenen interès, però la manca de personalitat del tenor, fa que acabem escoltant una copia dolenta del tenor que es pretén imitar. Albelo fa coses precioses i altres vulgars, però té un agut i sobreagut esclatant que agrada molt al públic, jo amb això no en tinc prou. El “por el humo” ha estat correcte però pretenia ser distingit com el model. No és el cantant que podria ser i això només depèn d’ell, perquè les facultats les té totes.
María José Moreno ja havia cantat el rol en el segon repartiment de la darrera producció i ara ha esdevingut justament, la protagonista. La veu a vegades ja no sona tan rodona com abans, però és innegable que controla, domina i supera les dificultats tècniques del rol amb escreix.
Alejandro del Cerro és un excel·lent Cardona i Miguel Sola un Don Matías una mica opac en la seva breu i bellíssima intervenció en l’escena del ball.
María José Suárez és una Doña Francisca anecdòtica en la nova versió i Isaac Galán un correcte Lorenzo Pérez.
La intervenció de la insigne Lucero Tena intervenint amb les seves mestrívoles castanyoles en el famós fandango, trenca tota la lògica teatral i la feble acció escènica ho pateix.
El cor en moments de feblesa alarmant ha fet una lluïda intervenció en el famós cor dels romàtics, quelcom que no fa oblidar els molts moments que denota un desgast lamentable que fa temps que s’hagués hagut de resoldre.
El magnífic cos de ball no apareix referenciat en el programa de sala. Lamentable!
Una tercera reposició d’aquest títol en els darrers 40 anys com a quasi únic exponent del gènere en les temporades liceistes, és un error, havent com hi ha tants títols imprescindibles per poder fer i fer-ho amb una producció tan galdosa és inexplicable.
Els responsables del bunyol escènic no han sortit a saludar, Pasqual ni tan sols ha vingut i ha deixat en mans d’un assistent la responsabilitat del bunyol, però aquests temen l’esbroncada no s’han dignat a sortir a saludar al final. A Barcelona no ha passat com a Madrid on s’interrompia la representació cada nit amb protestes airades dels guardians de les essències sarsuelístiques, però de ben segur si arriben a sortir a saludar l’equip responsable, la bronca hagués estat monumental. Ha rebut protestes el director musical, que també les mereixia i fins i tot una aïllada a Ana Ibarra, potser injusta.
Scheppelman va voler apuntar-se un previsible èxit programant un títol que en unes altres circumstàncies hagués omplert de gom a gom el teatre, però es nota que no en te ni idea del gènere i no va apostar a cavall guanyador, tenint tants títols per escollir i tantes produccions del Teatro de la Zarzuela mereixedores de ser conegudes a Barcelona.
Passem pàgina perquè en cada reposició que han fet d’aquest títol en les darreres tres, hem anat a pitjor, que no insisteixin més, si us plau.
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This isn’t including his theatrical roles, which i don’t have time to go through all of them. But
Le Livre de Spencer (1994), directed by Lluís Pasquale where he played He played Edouard II’s lover.
Michael Sheen’s queer characters
Gallowglass (1993) - Joe who has an unhealthy obsessive relationship with his savior
Wilde (1997) - Robbie Ross, Oscar Wilde’s lover
Bright Young Things (2003) - Miles Maitland, a perfect example of a gay man in the 30s
Kenneth Williams: Fantabulosa! (2006) - Kenneth Williams, a real person and a comedy actor with “barely consummated homosexual dalliances”
Ancient Rome: The Rise and Fall of an Empire (2006) - emperor Nero, this is ancient Rome and that says it all
7 Days in Hell (2015) - Caspian Wint, a talk show host who thirsted a young tennis player
Nocturnal Animals (2016) - Carlos, a gay man who married a woman
Good Omens (2019) - Aziraphale, an angel who is (mutually) in love with the demon Crowley
P.S. I’m also not quite sure about Castor from Tron: Legacy (2010), but he was a computer program, so… who knows.
All these gifs were created by me, please don’t steal/repost them.
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#Tv #AndaluciaTv #20:25h #LunaGrande #JuanJoséPonce #2017 En 1933, Federico García Lorca emprende su segunda aventura americana, tras el viaje a Nueva York de 1929 (Lunas de Nueva York). Argentina y Uruguay le aguardan para coronarlo como uno de los mejores dramaturgos de todos los tiempos. Allí vive la edad dorada del tango, conoce a Carlos Gardel y Jorge Luis Borges, y forja una amistad inquebrantable con el futuro Premio Nobel Pablo Neruda. Luna grande. Un tango por García Lorca recoge la poderosa influencia del genial autor granadino en Buenos Aires y Montevideo con la ayuda de expertos, personajes anónimos y reconocidos nombres de la cultura como Lluís Pasqual, Juan Echanove, Verónica Forqué, Silvia Pérez Cruz, Paula Ortiz, Asier Etxeandia, Santiago Roncagliolo y Antonio de la Torre. Esta es la historia de cómo Federico García Lorca conquistó “un pueblo inmenso para su teatro”. https://www.instagram.com/p/B0TZ1zzISbU/?igshid=11mvinlx7n7cg
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“Mi futuro es el belcanto”
[El tenor sevillano Francisco Fernández-Rueda. La foto es de José Ángel García]
El tenor sevillano Francisco Fernández-Rueda empieza su año más monteverdiano poniendo voz a un nuevo CD de tonos humanos del 'Manuscrito Guerra' con Manuel Vilas
La Biblioteca de la Universidad de Santiago de Compostela custodia un importante manuscrito que recoge un centenar de tonos humanos copiados por José Miguel de Guerra (1646-1722), copista de la Real Capilla de Carlos II desde 1677 hasta poco después de 1680. Por el Manuscrito Guerra se interesó hace unos años el arpista gallego Manuel Vilas, que ha afrontado su grabación integral para el sello Naxos. De los seis volúmenes programados (todos ya registrados) acaba de aparecer el cuarto, en el que el tenor Francisco Fernández-Rueda (Estepa, 1982) comparte protagonismo con la soprano compostelana Mercedes Hernández y el propio Vilas en el arpa. El volumen se completa con dos piezas que no cupieron en su día en el disco anterior y que canta la cubana Yetzabel Fernández Arias.
"Es una grabación de 2011", comenta el tenor sevillano. "Cinco años son muchos para un cantante joven como yo. Pero Manuel me pasó la grabación antes de la publicación y me gustó mucho. Él es muy dinámico en el tratamiento de esta música, y la grabación es magnífica. Estoy muy contento con este trabajo".
-¿Qué le parece la música?
-Muy bonita. En el manuscrito hay sólo dos tonos a dúo, que se han grabado en este volumen, y los canto junto a Mercedes Hernández. En el resto de piezas nos alternamos, ocho para cada uno. Son piezas estróficas para las que resulta fundamental tanto la declamación del texto como la búsqueda de colores variados. Pero Manuel cuida eso mucho. Es muy consciente del texto y acomoda su sonido a la frase de forma extraordinaria. Es un estudioso y un enamorado profundo de este repertorio. Yo lo había trabajado un poco, pero él logró transmitirme el amor que siente por esta música.
-En sus años sevillanos hizo también música del XVII español.
-Sí, pero la mayor parte era música religiosa. Tengo muy buenos recuerdos de aquellos tiempos. Empecé tocando el clarinete en Estepa, pero mis padres cantaban en un coro, y yo los acompañaba muchas veces. Música de Victoria, Guerrero, Bach... Y eso te cala. Cuando tenía 10 u 11 años Alonso Salas montó un coro de voces blancas en el pueblo. Estuvimos dos veranos montando piezas de Monteverdi, Guerrero... Después, ya en Sevilla, conseguí entrar en el grupo de Alonso, no sin insistirle antes mucho, y luego en el Coro Barroco de Andalucía. En mi prueba de acceso canté un dúo de Lasso con Carlos Mena, y aquello fue para mí increíble. Aprendí muchísimo con Lluís Vilamajó y con Lambert Climent, con quien acabé estudiando en la Esmuc.
-¿Entró en contacto en Barcelona con otra música?
-Allí conocí al pianista Francisco Poyato, que hace mucho lied, y me descubrió un universo diferente. Empecé a cantar La bella molinera, lieder de Schumann... Me fui dando cuenta de que había mucho mundo más allá del Barroco. Y todo fue rapidísimo, porque yo venía de la nada. No había hecho ni el Profesional de canto. Todo era un descubrimiento continuo. Justo acabando en la Esmuc, me fui a estudiar a París con Raphaël Sikorski durante un par de años.
-¿Y cómo evolucionó su voz?
-Muchísimo. Lambert me dijo que en tres años había tenido una progresión de seis. El canto se ha convertido en mi pasión, y estudiando me pico constantemente conmigo mismo. Me grabo mucho, porque el canto lo tienes que escuchar desde fuera, y me corrijo continuamente. La musicalidad ha sido siempre mi arma. Pero al principio todo era muy engolado, todo me salía de muy atrás, y poco a poco he ido sacando la voz fuera. Sigo trabajando con Carlos Chausson, mi maestro, que me dice que sigo cambiando, que no dejo de evolucionar. En cierta forma creo que es el empeño que le pongo.
-¿Qué supuso formar parte de Le Jardin des Voix de William Christie?
-Un espaldarazo, un trampolín. Fue entrar en el circuito de los grandes nombres del Barroco. El año que yo formé parte del proyecto estaba asociado a la recuperación del Atys de Lully en la histórica producción de Jean-Marie Villégier para la Opéra Comique. A los cantantes jóvenes nos asignaron roles pequeños y doblaje de otros roles. Cantar con Christie en la Opéra Comique, en la Ópera de Burdeos, en la Cité de la Musique, en el Auditorio Nacional de Madrid o en Nueva York fue increíble. Creo que fueron 24 funciones. Estaba como en una nube.
-¿Cuál es ahora su repertorio básico?
-Hago mucho Barroco. Pero me voy adentrando en el universo del Clasicismo. He hecho ya un Don Ottavio en Alemania, y mi evolución me conduce hacia el siglo XIX. Mi futuro es el belcanto. Carlos Chausson me dijo desde el primer día que tengo que ir por ahí. Dice que el centro de mi voz es poderoso y debo apostar por un repertorio de más peso. Yo empecé a cantar con Christie de haute-contre, el típico tenorino francés, pero con el tiempo el propio Christie me puso a cantar de taille, que es como ellos llaman al tenor central. En el Barroco me hacen cantar roles muy centrales, baritonales incluso. Chausson me está guiando. Es muy meticuloso, muy trabajador de la técnica. Me dice que le parece bien que siga cantando mucho barroco, pero tengo que ir encaminando mi carrera hacia Don Ottavio, Tamino, Ferrando, y luego Don Pasquale, Edgardo de Lucia, Romeo de Gounod, incluso Werther, y con más edad roles del joven Verdi. Esa es la línea de nuestro trabajo. Y me siento muy bien y muy cómodo en ella.
-Pero 2017 es año Monteverdi y, si no me equivoco, va a participar en un gran proyecto con John Eliot Gardiner.
-Sí, es una gira larguísima, que empezamos a preparar a mitad de marzo y que dura hasta noviembre. Se hacen las tres óperas de Monteverdi en muchos espacios emblemáticos, el Palau de la Música de Barcelona, la Philharmonie de París, el Festival de Berlín, la Fenice de Venecia, el Festival de Salzburgo, Nueva York, Chicago... Hago el Pastor I en L'Orfeo, que es un rol muy importante; y en Il ritorno d'Ulisse in patria canto el papel de Eumete y además hago de cover de Furio Zanasi, que canta el Ulises. Gardiner va a grabar esta ópera, que es la única de las tres que no tiene en disco, y me siento muy afortunado por formar parte de ese elenco.
-No le va a quedar tiempo para mucho más.
-Para casi nada. Aunque con Jean-Christophe Spinosi haré también a finales de año L'incoronazzione di Poppea en el Liceo y en el Arriaga. Mucho Monteverdi.
-¿Por qué apenas canta en Sevilla?
-Pues no tengo una explicación. Es cierto que yo vivo en Barcelona desde hace años y que mi agencia es italiana. Pero la gente se sorprende cuando le digo que nunca he colaborado con la Orquesta Barroca de Sevilla. Si se diera la oportunidad me encantaría poder cantar con ella o en el Maestranza. Me siento muy de esta tierra y vendría con muchísimo gusto.
[Diario de Sevilla. 22-01-2017]
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Biography author the truth about pompeii
Jacinto Antón
Graduated in journalism and also in acting from the Barcelona Theater Institute, he worked for a time at the Teatre Lliure as an assistant director to Lluís Pasqual
https://elpais.com/diario/2004/12/12/eps/1102836421_850215.html
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#annalizaran moría el 11 de enero de 2013. #actricesespañolas de teatro, cine y televisión. Estudió arte dramático en el Centre d'Estudis Experimentals de Barcelona y fue una de los primeros miembros de #comediants . En 1974 se estableció en París para estudiar con el mimo Jacques Lecoq y al volver, en 1976, comenzó a trabajar en el Teatre Lliure, del cual era fundadora junto a un grupo de directores, actores y técnicos. Fue el teatro en el cual Lizaran se inició como actriz profesional, en Camí de nit, y también dónde trabajó más a lo largo de su carrera. Trabajó ahí hasta finales de los años 1970. Para la televisión autonómica catalana #tv3 , hizo el cortometraje La avenida del desastre, que se emitía después del espacio (curso de catalán) Digui, digui.... A mediados de los años 90 participado en varias películas como Tacones lejanos, de Pedro Almodóvar, o Actrices, de Ventura Pons. También dirigió Arsénico y encaje antiguo para televisión en 1996. En teatro, es reconocida como "La Gran Dama Del Teatre Català". Puede mencionarse su interpretación en la versión catalana de Agosto (Condado de Osage) (2010). En 2012, tuvo que abandonar los ensayos de La Bête cuando le diagnosticaron cáncer. Murió el 23 de enero de 2013 en el Hospital Clínic de Barcelona a los 68 años. En 2014, Lluís Pasqual y Irene Bordoy presentaron Anna Lizaran, un libro en homenaje a la actriz. En 2018 el Ayuntamiento de Barcelona le puso su nombre a una plaza. La plaza Anna Lizaran está situada en la confluencia de las calles Ribes, Sicília y Ali Bei, en el barrio del Fort-Pienc; fue elegida por votación vecinal entre mujeres que no fueran ni “santas” ni “nobles" #lagrandamadelteatrecatalá #annalizarán #actricescatalanas (en Getafe, Madrid) https://www.instagram.com/p/B7Lidn9izDi/?igshid=kelginoxppkw
#annalizaran#actricesespañolas#comediants#tv3#lagrandamadelteatrecatalá#annalizarán#actricescatalanas
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Credoinunsolodio / Temporada Alta
Dopo la rappresentazione del 2015 al Teatre Lliure per la regia di Lluís Pasqual, l’edizione 2019 di Temporada Alta replica in terra catalana Credoinunsolodio di Stefano Massini in un allestimento dedicato all’artista catalana Cristina Cervià scomparsa nel marzo di quest’anno. (more…)
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#Lorenza di Calogero#Mercè Pons#Meritxell Yanes#Míriam Iscla#Rosa Maria Sardà#Sol Picó#Staging Europa#Stefano Massini#Susanna Barranco#Temporada Alta#Virginie Despentes
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Carme Riera recibe el Premi Atlàntida del Gremi d'Editors en Barcelona
... de Catalunya, un galardón que con anterioridad recogieron personajes como Václav Havel, Jordi Savall, Joan Manuel Serrat o Lluís Pasqual. via Cant https://ift.tt/2LFxVgh
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