#Ley Corta
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Incertidumbre para cubrir la ausencia de autoridades judiciales nacionales
A poco menos de un mes del cumplimiento de mandato de los actuales magistrados y la imposibilidad de elegir a las nuevas autoridades mediante voto este mismo año, surgen interrogantes sobre la forma en que se cubrirá esta eventual vacío de poder en los tribunales nacionales de justicia. Mientras, el gobierno exhorta al Tribunal Constitucional Plurinacional (TCP) a emitir una sentencia sobre la…
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#elecciones judiciales#Incertidumbre#Ley Corta#Ley Transitoria#Proyecto de ley#Silvia Salamé#TCP#Tribunal Constitucional Plurinacional#Tribunal Supremo de Justicia#TSJ#Vacío de Poder
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El proceso de preselección de magistrados sigue esperando
El proceso de preselección de candidatos a magistrados de los altos tribunales judiciales del país ya lleva paralizado 54 días y tendrá que seguir esperando, debido a que el Tribunal Constitucional Plurinacional (TCP) recién sorteó hace dos semanas la demanda, a pesar de que el diputado Leonardo Ayala presentó en abril. Según la denominada ley corta se requiere un tiempo de 160 días para todo el…
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#Diputado Ayala#Fallo Final#Gobierno#Justicia#Ley Corta#Magistrados#Proceso de preselección#TCP#Voto Universal
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Si eres la causa el motivo del problema no puedes pretender dar lecciones de vida, simplemente te estas ganando un doble o hasta triple karma que tarde o temprano muy seguramente tendrás que enfrentar...
#lecciones de vida#citas textuales#problemas#karma#frases sinceras#tumblr#realidad#cosas de tumblr#citas cortas#reflexion#citas reflexivas#mis citas#citas en español#textos en español#expresar#pensamientos#analizar#ley de vida#venganza#ira#textos de dolor
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aplace un parcial de una materia BASICA para la que lei TODOOOO me mato? si no?
#ya habia hecho tantos planes encima#para el resto de la semana#tuve un dia muy de mierda y ahora esto. excelente#no se ni como estudiar mejor. porque realmente lei todo y aunque sabia que me quedaron cortas las respuestas me pareció que al cinco seis#llegaba seguro QUE PAJAAAA basta voy a ser artesano en el cente y ganar mas
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Boletín Jurídico 43
Buena semana para todos. Comparto con mi distinguida comunidad un nuevo boletín con información jurídica actualizada. Espero que lo lean y se informen. ÍNDICE Ley Corta de Isapres Ley contra el Sobreendeudamiento Nueva Ley de la Carne Ley de Interoperabilidad de Fichas Clínicas Resumen de Jurisprudencia Corte Suprema, rol 50.952-2022 (hijos tienen preferencia por herencia, fallo de…
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#alimentos#derecho civil#derecho de familia#derecho de la salud#derecho sanitario#derechos y deberes del paciente#ficha clínica#filiación#herencia#isapre#juzgado de familia#ley corta de isapres#ley de la carne#prescripción#recurso de casación#sobreendeudamiento#tribunal de familia
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Exnovios
Fuimos novios que, con el tiempo, tomaron rumbos distintos como barcos en mares diferentes. Aunque nuestras sendas se crucen ocasionalmente, la fuerza de nuestras responsabilidades nos lleva a destinos separados. Podemos celebrar los encuentros pasados, pero aceptamos que la ley de nuestras vidas nos hace extraños. Aunque quizás nos volvamos a encontrar, la transformación inevitable de nuestras experiencias puede hacer que ya no nos reconozcamos. Respetemos nuestra anterior amistad y elevemos nuestros pensamientos hacia la posibilidad de que nuestras vidas, como pequeños tramos, estén contenidas en una órbita de estrellas. Aunque la vida sea corta y nuestra visión limitada, mantengamos el respeto y la sacralidad de nuestra amistad, incluso si en la tierra debemos ser como extraños o incluso enemigos.
#sentimientos#frases cortas#bungou stray dogs#frases largas#notas#frases#citas#frases tristes#recuerdos#escritos#escritos románticos#cosas que escribo#escrituras#frases de la vida#frases en español#notas de noche#notas de vida#notas de amor#amores#te amo#amor#amor propio#novios
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L'ascensore
Sei il mio vicino di pianerottolo, ultrasessantenne molto ben tenuto e anche decisamente attraente. Io sono single, mai stata sposata e lavoro in questa città da tre mesi. Faccio i turni nella sede distaccata di un ente governativo di cui non posso parlare per ragioni di segretezza. Tutto è iniziato un mese fa per caso, quando nell'ascensore del palazzo eravamo in sei.
Io ero in fondo, vicina a te e tu avevi tua moglie e gli altri davanti a te, rivolti verso la porta. M'hai inavvertitamente sfiorato il fianco. Dapprima quindi c’è stato questo contatto puramente casuale. Poi visto che non dicevo nulla, sempre più sfacciatamente e in modo progressivo hai spostato la tua mano, decisa e sicura sul mio culo. Spudorato e incosciente. Uomo vizioso, non hai saputo resistere alla tentazione e al profumo della carne fresca, eh?
E io la nuova arrivata non potevo certo reagire: sarebbe stato uno scandalo. Poi ritrovala un po’ tu un'altra casa in zona lavoro… Allora mi sono limitata a guardarti fisso negli occhi, ad avvampare e diventare viola. Poi come se nulla fosse, un tuo sorriso e: “buona giornata, signorina!” Nei giorni a seguire, se ci trovavamo da soli in ascensore, ormai avendo capito che non avrei opposto resistenza, mi ti buttavi direttamente addosso affamato di me per quei quindici o venti secondi.
E io come una bambola passiva e connivente ti lasciavo fare. Per qualche perversa e a me ben nota ragione ho iniziato a desiderare sempre più quel tuo contatto raro e imprevedibile, quelle tue mani maschili forti che mi si infilavano nella blusa: sul seno, tra le gambe e dentro gli slip. E poi adoravo quell'odore di maschio maturo che restava sui miei vestiti subito dopo.
Ho preso quindi a girare per casa sempre vestita con una gonna corta ma ampia, scarpe e calze autoreggenti: quando sentivo la porta di casa tua far rumore, dallo spioncino controllavo se fossi tu. Allora uscivo direttamente, come se dovessi andare da qualche parte e mi infilavo nell'ascensore con te, per godere di quel breve mio essere tua segreta puttana a metà.
Il giorno in cui hai capito poi che non portavo più gli slip per facilitarti sei diventato pazzo di me! Adesso siamo già andati molto avanti: ogni tanto, se c'è tua moglie ma desideri palpare il mio corpo, con una scusa vieni a casa mia e per un minuto o due mi frughi, mi baci sul collo e m'infili la lingua in bocca. Poi scappi via. Se lei non c'è invece, vengo io da te. Ma il bello è che nel compiere le nostre manovre oscene, non ci diciamo neanche una parola!
Tra noi continuiamo a darci rigorosamente del lei. Comunque non andiamo mai oltre le tue ardite esplorazioni: mi infili le dita ovunque, mi porti all'orgasmo e intanto mi lecchi il collo e le spalle. Col dovuto rispetto formale tra vicini! Ormai mi sbottono sempre la camicia un po’ più e ti offro anche i miei bellissimi seni di trentacinquenne soda. Lecchi e succhi le mie mammelle avido. Indugi con la lingua e le labbra sui capezzoli turgidi.
Mi ricopri di saliva. Poi dopo massimo cinque minuti tutto finisce, io mi ricompongo e tu mi dici: “come va, signorina? Posso offrirle un caffè?” E parliamo tra noi in modo rispettabile di tutto il resto: condominio, lavoro, governo, cose varie. Come se tra i nostri corpi non fosse successo nulla! Oh, uomo d'altri tempi: quanto ti voglio! Desidero ardentemente prendertelo in bocca e farti uscire di testa, da quanto ti farò venire.
Strana sorte, mi tocca. Sarà il destino, il karma o forse la mia natura molto particolare, ma ho sempre preferito gli uomini molto più grandi di me. Da giovane ho perso la verginità con mio zio cinquantenne, il marito della sorella di papà che mi prendeva sempre in giro e mi considerava una bamboccia. O almeno così mi pareva. Sebbene spesso, abbracciandomi affettuosamente, la sua mano si posasse casualmente e spesso sulle mie natiche o sul mio seno, indugiandovi un po’ troppo a lungo.
Ma magicamente, non appena fui diciottenne le sue attenzioni su di me si acuirono, anche se in presenza altrui non lo dava troppo a vedere. Io però me ne accorsi e, disorientata ma finalmente lusingata nel mio essere donna, presi a provocarlo in continuazione. Perché mi piaceva da morire e volevo mi scopasse. Mi vestivo sexy e molto appetibile solo per lui.
Gli sedevo sulle ginocchia o direttamente in grembo, facevo la svampita innocente e scherzando lo toccavo. Ovunque. Mi adagiavo su di lui e potevo sentire la sua erezione. Mi accoccolavo, poi mi giravo e lo baciavo: dalle guance pian piano sono riuscita a conquistargli le labbra. Gli prendevo la mano e me la mettevo sotto la gonna sulla fica nuda oppure dentro i pantajazz tra le natiche: volevo perdesse il controllo e approfondisse, frugandomi i solchi adorati.
Poi, dopo le guance appunto riuscii a mettergli la lingua in bocca, mentre intanto gli toccavo l'uccello ancora nei calzoni. Sino ad allora avevo avuto solo vaghe fantasie, sempre su uomini molto più grandi di me. Per lui invece da tempo provavo un vero e inarrestabile desiderio, un vero scompiglio ormonale. Anche perché odiavo mia zia e volevo renderla cornuta di vero cuore. Sapevo che lo tradiva da anni. Chissà se lui ne era a conoscenza.
Ormai comunque l'avevo puntato. E lo volevo. Vivevamo nella stessa palazzina e quando nessun altro era in casa mia o sua, iniziai a stuzzicarlo intensamente e con assiduità. Per giorni e giorni. Poverino, che torture! Sudava freddo, quando c'ero io. Ma comunque alla fine, quando si decise, andammo in campagna e invece di aprirmi la fica, come prima volta lui mi volle sfondare il culetto.
Erano ovviamente gli ultimi scrupoli di coscienza, prima del suo totale crollo morale. Alla fine, nessun uomo può resistere a una donna giovane e bella che gli si offra. Nessuno. Solo in seguito, dopo quasi due settimane da quella prima volta, abbiamo preso a scopare in modo canonico, di nascosto e regolarmente.
Ma grazie a quella prima esperienza, oggi la cosa che più adoro è prenderlo in culo. Uscivo, giocavo e scherzavo con gli amici della comitiva e ovviamente coi miei cugini, ma appena mi era possibile fottevo col loro padre. Ogni tanto lui aveva dei rimorsi, voleva troncare.
Ma bastava che da seduta lo guardassi innocente col dito in bocca, che mi togliessi le mutandine, allargassi le gambe e gliela facessi vedere che non ragionava più, letteralmente. Di converso, ho sempre inspiegabilmente attratto come una calamita sempre e soltanto uomini molto più grandi di me. Sarà il karma, o il destino...
Mai un coetaneo che mi corteggiasse! Eppure sono tuttora molto più che carina, senza falsa modestia. Ma tornando a noi due, Dio come desidero le tue mani tra le cosce e dappertutto! Quanto desidero sentire la tua lingua passare nel mio solco intimo, tra la fregna umida e il buco del culo.
E il tuo membro dentro di me. Devi deciderti a prendermi, prima o poi, tontolone. Dovrai pur tradire tua moglie: c'è sempre una prima volta. Anche in tarda età. Soprattutto in tarda età, quando i freni inibitori sono ormai logori e di fatto quasi inesistenti. Mi vuoi, questo è palese. Sei in pensione, lei invece ancora insegna. Domani mattina sono libera.
Verrò da te vestita per non fare prigionieri. Mi chinerò a gambe dritte e busto appoggiato sul divano. Non porterò gli slip. Sarò profumatissima, allargherò le gambe in segno di resa d'amore. Solleverò la gonna e offrirò alla tua vista il mio culo ben aperto. Sarò senza reggiseno, sbottonerò la camicetta per lasciare libere alla tua presa le mie mammelle.
Ti dovrà pur venir la voglia di tuffare il naso tra le mie natiche, di leccarmi l'ano, la fica e poi affondare il tuo uccello dentro di me. Dove più ti piacerà. So che sei ancora efficiente, sessualmente potente: quando mi ti butti addosso ti tocco i calzoni all'altezza dell'inguine e sento la tua virilità ben dura. Allora usala, cazzo! Fottimi. Sfondami. Fammi sentire la tua troia. Ma sei scemo? Alla tua età, quando ti ricapita più una storia così…
RDA
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Las Islas Diómedes.
Hay algo excepcionalmente extraño en las dos islas, la Gran Diómedes, ubicada en el extremo oriental de Rusia, y la Diómedes Menor, localizada dentro de las fronteras de los Estados Unidos, que desafía la ley de las zonas horarias. Son islas adyacentes y la distancia entre ellas es de apenas 4 kilómetros, pero hay una diferencia horaria de 21 horas entre ellas.
Se puede caminar entre las dos islas durante el invierno cuando el agua está congelada, pero la gran diferencia horaria puede cambiar los eventos ordinarios de maneras extrañas: cuando es tarde en la isla rusa, también es tarde en la isla estadounidense, pero en la isla rusa es la tarde de hoy y en la isla estadounidense es la tarde de ayer. Si alguien que vive en la isla rusa decide ir «la tarde del lunes 1 de enero» a visitar a un amigo que vive en la isla americana, llegará en «la tarde del domingo 31 de diciembre».
Pero, ¿cuál es la razón de esta enorme diferencia horaria? Debido a la ubicación privilegiada de las dos islas, la Línea Internacional de Fecha (IDL) pasa entre ellas. Se trata de una línea imaginaria que atraviesa el Océano Pacífico y establece la zona horaria en el mundo. La Isla Gran Diómedes está 21 horas por delante de la Isla Diómedes Menor, por lo que la primera pasó a llamarse «Isla de Mañana» y la segunda «Isla de Ayer».
Se puede celebrar dos veces cualquier fecha festiva en una corta distancia.
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Lock me in officer
Autor: multyeverything
TW: Abuso de autoridad, soborno, menciones de uso de sustancias, incumplimiento de la ley, mencion de muert*, abus* y tortur*, uso de insultos y groserías.
Rating: 18+
Sinopsis: Cuando la fuerza de la ley cae desprevenida sobre mí, no hay otra manera más que adaptarse a la situación y buscar la supervivencia a cualquier costo.
Au: Police officer X Criminal female
Emparejando: Choi San X Female reader
Conteo de palabras: 6K
━━━━━━━━━━━━✧❂✧━━━━━━━━━
Todas mis malas decisiones en la vida me han llevado hasta este momento.
El momento donde todo termina.
Con mi rostro siendo fuertemente apretujado contra la cajuela de la patrulla, lloro sin control alguno. Mis quejidos son casi inaudibles por el estruendoso volumen de la sirena y los gritos de las autoridades.
¡Levanta las putas manos y túmbate al suelo!
Suena como una orquesta del mal. Desafinada... dolorosa para los oídos...
Todo esto pudo ser evitable. Me amedentro con ese pensamiento una y otra vez. Todo esto era tan prevenible que la vergüenza y frustración se mezclan con el miedo de mi llanto.
No meterme con las personas equivocadas habría salvado mi pellejo en esta ocasión por lo menos. Todos los inútiles de mis "cómplices", como llamarán a aquellos que también están contra el vehículo policial; ya están soltando la sopa, hablando de sobornos o jurando inocencia con tal de salvarse de la justicia. Soy yo contra el mundo ahora mismo.
A pesar de no oponer resistencia alguna, la fuerza con que presionan mi pecho contra el frío metal es insoportable. Hay poco o nada de oxígeno en mis pulmones y en la piel tengo una sensación de ser quemada ante la bajísima temperatura. Es un día helado a pesar de encontrarnos en verano en la costa. Un pobre vestido de playa no hace mucho por mantenerme cubierta ante las adversidades, me siento más desnuda que nunca ante el convoy de hombres que nos acorralan.
La posibilidad de huir es tan pequeña como inexistente. Dentro del callejón fuera de la casa de playa que habian alquilado, donde nos han pescado, las únicas salidas han sido bloqueadas por más patrullas. Puerta principal, trasera y patio están rodeados. Hombres armados hasta los dientes. La bahía frente a nosotros podría ser la única esperanza ahora, pero correr en sandalias con pesada arena en los pies no juega a mi favor. La distancia no es tan corta para poder zambullirme en las aguas. Además, si existe orden de aprehensión y fuerza física, existe orden de uso de armas de ser necesario. Y no pienso morir ahora mismo. No quiero.
Tras gritarnos el discurso, que bien conocemos, nos comienzan a repartir en vehículos separados. Golpes y bastonazos son repartidos a diestra y siniestra.
No puedo ver el rostro de mi custodio, solo sentir sus enormes y fuertes manos sujetando mis muñecas ya esposadas y como va clavando sus dedos dolorosamente en mi carne. Su agarre despiadado genera un poco de calor en las zonas de contacto.
- Cuidado. - Me empuja a subir a la parte trasera, también enrejada en cada esquina. Las olas a la distancia son apenas visibles con tanta oscuridad, imagino el sonido de su vaivén para tratar de contener el llanto. Buscar algo de calma en todo esto.
No pasa mucho entre que comienza nuestro viaje. O tal vez si, no estoy pensado claramente. Es el golpeteo del camino lo que saca de mi trance.
Vamos en la parte trasera de la caravana de arrestos, ligeramente distanciados del resto por protocolo de la Guardia Nacional. ¿Que cómo lo sé? Es mi deber, aunque nunca lo había vivido en carne propia.
Reúno toda mi fuerza mental para pensar en el futuro. Crear un plan o algo por el estilo. Convencerme que mis cargos son impunables y saldré en libertad en cuanto inicie un juicio. Algo de resignación aminora mi tormento. Pero para eso, necesito una sentencia, necesito que alguien revise el caso. Necesito en primero lugar que alguien me quiera libre... viva por lo menos.
Calma calma calma...
- Probablemente no pases más de tres meses la cárcel. O ni siquiera pases más de unas horas detenida, ¿Pero sabes lo que le hacen a la bonitas como tu en la Procuraduría? - escupe con notable superioridad hacia mi, mi situación. Sabiendo que toda mi vida está a su disposición. Pudiendo hacer su trabajo, matarme aquí, aprovecharse de mí aquí, o dejarme ir. El gran hijo de puta disfruta de mi tormento.
Si lo sé...
- Las de cara bonita siempre son las más peleadas por los que trabajamos ahí... Siempre ponen los gestos más bonitos cuando las tocan. Cuando son compartidas entre varios, a la vez. -
Si mi llanto había cesado ligeramente, sus palabras me hacen romper de nuevo. Pesadas gotas de frustración escurriendo por mi rostro. Algo parecido a una risa se escucha delante, una burla.
El maldito ruido de la radio de comunicaciones me parece insoportable y no hace nada más que disparar mi ansiedad. Parece que todo juega en mi contra para quebrantar mi espíritu.
- Por favor... Yo no tengo nada que ver con lo que ellos hacen. Ayúdeme. - apesar del limitado espacio, puedo moverme para acercarme a la reja entre ambos. Doy unas cuantas suplicas en forma de susurros en su respaldo.
Es por primera vez que capturo su mirada en el retrovisor. Fría y apatica. Sin un solo trazo de compasión. Regreso rápidamente al lugar original. En otras circunstancias habría pensado lo bellos que son sus ojos rasgados o lo amielada que es su voz. Tal vez debajo de la poca visibilidad del retrovisor, se esconde un hombre atractivo. Pero no, ahora solo existe la versión de él que petrifica tal medusa. Sin palabras me hace entender perfectamente que no obtendré eso de su parte.
Piedad...
¿Y yo la merecía siquiera?
A pesar de lidiar con la basura de la sociedad, nunca formé parte de sus actividades delictivas como tal. Jamás sostuve un solo gramo de su producto, o un arma en mi mano, tampoco lo distribuí ni mucho menos lo consumí. Jamás obligué a nadie a volverse adicto a su porquería, ni en las reuniones con demás colegas. Siendo tal fácil inducir la adicción en ellos, pero no. Jamás vacile en mis convicciones.
Me consideraba enormemente superior a todos a ellos en todos los aspectos por eso mismo. Ya que no había hecho ninguna de las anteriores, y más importante, no había atentado con la vida de alguien. Por lo menos no directamente. Solamente me dediqué a hacer mi trabajo y sacar a estos idiotas de la cárcel o darles condenas mucho menores.
Mi reunión el día de hoy con ellos fue exactamente para esto. Reunir todas las declaraciones de mis "clientes" para preparar una estrategia para el siguiente juicio. Así es, soy una de las varias profesionales de las leyes que trabajamos a disposición de los carteles que disputan el territorio. Tampoco llegué aquí por decisión propia, no había más opción que cooperar o morir. Y me he dedicado todos los días de mi vida desde entonces en no morir.
Evidentemente fue una sorpresa para todos los presentes que las fuerzas especiales y policía se presentaran a tomarnos todos cautivos. Nadie esperaba que tras unos meses sin tiroteos o toma de rehenes con finales espeluznantes, consiguieran las ordenes de aprehensión. Un encubierto estoy casi segura.
- ¿Cómo podría ayudarte? ¿Esperas que te deje libre así como así? ¿Qué borre evidencia tuya de haber estado con esa bola de mierdas? -
- Por favor oficial, ayúdeme. No saldré viva de ahí, no sobreviviré una noche siquiera. Si no son los oficiales, serán la gente de dentro del patrón. NO TENGO OPORTUNIDAD. -
- Eres un nombre importante en la investigación, ¿Sabes lo que sería capturar a la maldita zorra que he sacado a todos y cada uno de los criminales buscados? -
- ¡ME VAN A MATAR ANTES DE QUE PUEDA COOPERAR CON USTEDES! -
- Y puede que torturen antes, tienes razón. -
- Oficial le suplico que me ayude, ¡POR FAVOR! -
- ¡Deja de gritar puta madre! No le levantes la voz a la autoridad, muchos menos a quien tiene tu vida en sus manos. -
- Le suplico que me ayude. - lucho por terminar mi sulica, son mis lágrimas las que me ahogan para hablar. Se deslizan fuera de mis ojos y hacia mi boca en enormes cantidades. Berreo tal bebé recién nacido.
- Aunque quisiera, es imposible. Un compañero mío ya te registró en su computador del auto. -
¿Aunque quisiera?
¿Ya existe algo de duda en él?
¿Es esta mi oportunidad?
- Tengo tanto maldito dinero, puedo pagarle a ambos todo el sueldo de un año, solo necesito su ayuda. -
- ¿Crees que dejaré libre a quien puede otorgarme mi insignia y un segurísimo aumento de puesto? Parece que haz olvidado quien eres para ellos. Eres la gran hija de puta que ha sacado sin cargos a los altos casillas del cartel. Por ti existe la guerra del narcotráfico. No hay dinero que puedas darme que supere el entregarte yo mismo a la justicia. -
- No habrá justicia, estaré muerta antes de poder dar una declaración. Si no son los infiltrados, serán los pervertidos de tu equipo. -
- ¿No eres la mejor abogada? Convencelos de no hacerlo, o mejor... ofrecerles pagarles un año de su sueldo. Tal vez acepten tu soborno. Hmmm ahora que lo pienso, un cargo más para ti... Soborno. -
- Tenga piedad, soy una mujer en la garras de la policía y el narcotráfico. No tengo opciones. Nunca las tuve. No quiero morir, mucho menos ir tras las rejas... le daré la cantidad que me pida. Por más exorbitante que sea. Solo ayúdeme. -
- ¿Eres sorda? No es tu dinero lo que quiero zorra. -
- Si no es dinero lo que quiere, dígame. Haré lo que sea le daré lo que sea. -
- No tomes a la ligera tus palabras, ¿Tienes idea de lo que estás ofreciéndome? -
- Sí. Juro ante dios que haré lo que sea. -
Toma la radio instalada en su cabina de controles. Presiona el botón lateral varias veces y espera respuesta. El corazón me late y se detiene con cada vez que su dedo hace presión en el aparato.
- Adelante, compañero Choi. -
- Adelante Ramirez, hay un error. La rata nos dio mal la información. -
- ¿A que te refieres? Choi. -
- La presente, no es la abogada. Es una prostituta. -
- ¿Estas seguro? -
- Completamente, tengo aquí sus credenciales. -
- ¿Alguien más lo sabe? -
- No, todos son rangos menores, no saben por quien venimos. -
- Suéltala, dale algo de dinero para que se calle, o haz con ella lo que quieras. Yo me encargo de los otros pendejos. - voltea tras terminar de hablar el dichoso Ramirez. Susurra "grita, YA" apenas audible por el andar del vehículo. Casi únicamente moviendo los labios. Y es eso lo que hago, desgarro mis cuerdas vocales en el grito más estrepitoso de mi existencia, saco de manera vocal todos los sentimientos de horror que estoy viviendo. Más que una indicación, es un permiso para externar lo que tanto he contenido.
- Copiado, ¿Debo regresar con ustedes al cuartel? -
- No, ni siquiera notarán que no estás. Yo les diré el incidente con la puta de ser necesario. Vete a casa despues de dejar la patrulla. -
Para esto último, estoy casi terminando de expulsar cada partícula de oxígeno de mis pulmones. Grito y pataleo a sus espaldas para ya que me encuentro desinhibida. Siento miedo de escuchar su respuesta tan natural y sin remordimiento o preocupación ante un error tan garrafal, o la opción desconocida de deshacerse del cabo suelto.
Ha tomado otro camino. Llegamos en un santiamén a lo que parece una estación vieja y abandonada; pero la gran variedad de patrullas indica lo contrario. Estaciona antes de la reja, en el punto ciego de la cámara de seguridad, baja del vehículo y da la vuelta hasta llegar al lado. Por fin retira las jodidas esposas.
- Iré a dejar la patrulla. Tu me esperarás justo fuera del estacionamiento, aquí. Si intentas hacer algo, juro que te reviento los sesos. Entregaré tu cadáver a los peritos y seguiré ganando. Piensa en tu bien. -
Asiento frenéticamente y sin control. Con la misma fuerza que me lanzó dentro de la patrulla, me jala de la muñeca para que salga de ella. Es policía, supongo debe tener un cuerpo fuerte, no atlético tal vez, pero seguramente fortalecido. No pude recorrerlo ni un solo milímetro cuando luchaba por soltarme y ahora me arrastra tal muñeca de trapo. Sin duda podría aplastar mis huesos manualmente si me atrapase, pero no puedo evitar pensar en huir ahora mismo. Al fin me ha dejado sola aquí, donde puedo correr hacia cualquier dirección y con suerte escapar. Tampoco puedo evitar pensar en pedirle al patrón que lo 'despache' si tengo la oportunidad de irme. Son muchas mis ganas de escapar pero nulos mis movimientos. Estoy congelada (literal y figurativamente) en el sitio hasta que lo veo acercarse. Una gran camioneta Ford es nuestro nuevo medio de transporte; diría que acorde a lo poco que conozco de él: Grande, imponente, fuerte, de color negro ligeramente percudido en las salpicaderas de las llantas. Evidentemente no me abre la puerta ni espera a que me ponga el cinturón cuando ya ha pisado el acelerador. 0 a 100 es un promesa cumplida por la marca del monstruo con motor que nos transporta. Apaga la radio portatil en su cinturón y retira para guardar en la guantera.
Conduce sin cruzar palabras conmigo. No me toca ni me mira cuando comienza el recorrido. Agradezco ello para tranquilizarme lo más posible. Sin sus comentarios amenazadores o destinos terribles. Por fin algo de paz en todo este infierno. Cierro los ojos para concentrarme en mi respiración y así calmar mi acelerado corazón; que estaba a nada de rendirse a la taquicardia extensa desde el arresto. Ni un motor de una tonelada o la terrible conducción del oficial perturban mi paz momentánea. Todo ese movimiento es amortiguado por los comodísimos asientos... o el agotamiento. Lo que debería tomar menos de un minuto se convierte en tiempo incalculable.
Mi confusión es notoria cuando me despierta para avisar la llegada. Que tenga los ojos lagañosos e hinchados son prueba de que estaba dormida profundamente. No tengo la menor idea de nuestra ubicación o la hora. Tampoco si todo lo ocurrido ha sido producto de mi imaginación o una pesadilla del peor tipo... De las realistas.
Como sea, el no espera a que entre en conciencia, una vez más hace una demostración de sus capacidades físicas al levantarme en hombros como costal de papas y llevarnos al interior de su casa (??). No luce muy hogareño o cálido el lugar al que entramos. Carece de todo tipo de fotografías o cuadros a excepción de un diploma por la conclusión de los estudios básicos que cuelga encima de la mesita para las llaves. Curiosamente al lado de un espejo, único en su tipo aquí al parecer.
- Puedo ofrecerte dos maneras para que puedas salir de aquí sana y salva. No me apetece matarte el día de hoy especialmente. - dice mientras me deja caer en el sofá - No me supliques más, que no hay otras opciones. ¿Entiendes? -
- Si. -
- No te escuché. -
- Si señor, entiendo. - existe un atisbo de logro y autosuficiencia en su mirada. También una ligera sonrisa de lado se asoma en su semblante de acero.
- Bien. Me darás todos los nombres de tus infiltrados en la guardia, algo que los relacione y tu laptop con todos tus archivos. Iremos a juicio bajo mi protección y entrarás al programa de testigo protegido. Si tienes algo de información útil para no extraditar a las cucarachas del cartel, también la necesitaré. -
Su petición me deja muda. Todo lo que me pide está fuera de mi control y acceso. Vaya que ni yo conozco todo de lo que me está hablando. Son áreas que no nos dejan conocer por situaciones como ésta.
- Señor... yo no puedo darle lo que me pide. Es que... yo no sé sus nombres. -
- Dije que no quería matarte, más no que no quería lastimarte. Comienza a hablar hija de... - levanta su puño preparado para impactar, en consecuencia me achico en la esquina del sofá para protegerme.
- No es como piensa. Si esto hubiera pasado hace dos semanas, no le miento, habría dado hasta el nombre de su perro. Pero los soplones del patrón fueron "despachados". Habían desertado de su servicio, iban a quedarse con ustedes, llevaban mucho tiempo incomunicados y eso solo significa una cosa. Traición y deserción. Se los "echaron" ya, a ellos y la cuadrilla entera donde venían. -
- ¿Tienes pruebas para respaldarlo que valgan la pena?-
- Tengo los videos de... eso. Admiten ser ratas. Si... -
- No es suficiente. Necesito mensajes, llamadas, líneas. No esto. -
- Es lo que tengo, en mi computadora no tengo mucho, tómela. Pero no encontrará nada que sea suficiente, solo algunas declaraciones que se terminan contradiciendo entre sí, tal vez nombres de los halcones que espían las rutas de las patrullas. Yo no soy parte de ellos, solo soy la estúpida a la que llaman cuando necesitan sacar a alguien. Ni siquiera es magia mía, es el poder de las conexiones y el dinero. La DEA ya está coludida en ciertos estados.-
- ¿Sabes quienes son? -
- Algunos apellidos y otros apodos solamente. -
- Me cuesta creer que digas toda la verdad. ¿Sabes que te consideran en el tercer eslabón debajo del patrón? Es tan decepcionante esto. No puedo armar un caso. -
- Esta bien, esta bien. Tal vez haya cosas que este olvidando, por dios, me estoy muriendo de miedo oficial. Solo necesito tiempo. -
- ¿Algunas horas en prisión preventiva ayudarán? -
- ¡POR DIOS ESPERE! LLÉVESE MI TELÉFONO E INTERCEPTE EL NUMERO DEL PATRÓN MIENTRAS TANTO. -
- No me vengas con esa leyenda por favor, muchos lengua suelta nos han prometido la misma cosa. -
- Pero ninguno les dio el numero real, el personal. -
- ¿Por qué debería creerte a ti? De entre tantos que he conocido. Es bien sabido que siempre cambia de número telefónico por lo menos cada 3 meses para no ser detectado. Números de México, EEUU, Canada, incluso del maldito Salvador. -
- Lo hace, están en lo correcto. Para hablar con los vendedores de puntos o para planes de venta. Pero deben saber que el cartel lo formó con amigos y compadres, nunca ha cambiado su número para ellos, son creencias de criminales de las primeras generaciones. -
- ¿Por qué tendrías ese tu? Si se supone dices la verdad, no eres ninguna allegada a él. -
- No lo sé, supongo que me llamó por accidente o no sé dio cuenta. Pero es lo más cercano a él que he estado. Es lo único con que podrían saber su ubicación cuando sale de su pueblo, siempre está rodeado de guardias. Es imposible acercarse a él, la única vez que estuve en su presencia fue cuando me reclutó. -
Lo recuerdo tan claro como el agua. Era apenas una egresada de la facultad. Derecho penal, quería ayudar a la gente del pueblo donde crecí a hacerse propietarios de las tierras que trabajaron toda su vida. Hacerse de lo que era suyo por derecho y no de las grandes empresas que destruían el medio ambiente donde vivíamos. Era alguien tan llena de vida y veracidad... diferente a quién me convertí. Una tarde una van negra me levantó de la calle de camino a casa, dentro unos encapuchados me amenazaban con armas y navajas, cubrieron mi cabeza con una toalla y encima una bolsa de plástico negra para que no viera nada. Estuve así por todo el tiempo que me tuvieron cautiva hasta que Don Alberto me dijo que trabajaría para él cuando me necesitara o terminaría como ellos, y procedió a vaciar una calibre 50 a un puñado de desconocidos. Justo al lado mío, haciendo que perdiera la audición unos buenos días. También ocasionando un trauma que jamás podría olvidar. Los videos de sus allegados y las cosas que eran capaces de hacer no tardaron en llegar a mis manos, VHS con sinfín de atrocidades llegaban a la puerta de mi casa como si del periódico se tratara.
- ¿Es lo mejor que tienes? -
- Si. -
- Sigue sin ser suficiente. -
- Le juro que es lo único que tengo. Por favor. -
- No es suficiente por el momento... pero puedes serme de gran ayuda. Puedes trabajar para mi, darme toda la información que valga la pena. TODO, TODO lo que esos pequeños ojos negros y esas orejas capten, incluso, toda la información que consigas de cualquier forma. -
- No puedo hacerlo sola, ¿No escuchó lo que dije? Son unos despiadados a la primera sospecha, y ya dudarán de mi por el hecho de haber escapado del arresto. -
- Eres una mujer... yo soy un hombre. No es difícil de creer que me hayas sobornado con algo más que dinero. -
- Aun así, necesito algo de protección. Respaldo ante cualquier situación. Sino, encontrarán mis restos cualquier de estos días. -
- Puedo ayudarte, pero debes saber que soy impaciente. No doy nada sin recibir a cambio. -
- Haré lo mejor que pueda, pero no puedo prometer que será rápido. -
- Te diré un secreto, ya existe una redada para encerrar a algunos de tus 'clientes' - escupe con notable desprecio - Así que habrá grandes cambios para ti y tu negocio. No me preocuparía por falta de material, solo dame el correcto, el que pocos conocen y tiene gran peso. -
- Lo haré señor, pero necesito su palabra. Protéjame. -
- Puedo protegerte a ti y solo a ti, no me vengas con que eres madre o tienes una familia... -
- No, no me queda nadie más en este mundo. Solo le pido seguridad para mi, nadie más. - calla tras revelación
- Bien, es un trato. -
- Es un trato señor. -
Arrebata mi mano de debajo de mi pierna para forzar un apretón. No pierde contacto visual en todo este proceso.
La venta de mi alma al diablo una vez más...
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Collage
Dalle tue labbra, la sigaretta è caduta. La breve traccia, ti unisce a lei. E lei è un viso Dentro una bolla, un profilo morbido Tutto intento a te. Chissà chi guardava, sul giornale, quell'attrice, Che nome aveva la sua felicità O se sola, si curvava sullo specchio Su se stessa, come ogni mattina Quando solo i gatti lo sapevano e lo sanno. Molte cose avvengono Senza che nessuno le veda e le dica E di queste cose, infine, è fatta la vita. Nel tuo collage, che sembra un quadro di Chagall, Tu sei risibile con quel corpo piccino Un poco goffo sotto la grande testa. Lei è una statua, che danza e che rotea La corta gonna sulle gambe snelle. La bella donna, dall'espressione stupita, È come presa dal vortice di te. Non ha capelli né cervello per soffrire: Soltanto un viso, per farsi ammirare E con lo sguardo illude che le ciglia Siano cortine di una grande tenerezza. Ma le donne sono un popolo nemico, Che tu le batta, le usi, le ricordi, Restano libere dal pensiero di te, Sono la dea che ti guarda come straccio Senza vita che il suo cane le riporta.
Pure, su questa danza tragica Io rido come immagino abbia sorriso tu. E il motivo è che c'è una nostra parte Superiore, che ci guarda dall'alto E non ci fa essere immersi nelle cose Come a volte, ci sembra, a soffocare.
Saremo liberi dal male della vita, Cadranno i chiodi dalla croce dove stiamo, Completeremo la nostra passeggiata Sulla collina più alta, senz'affanno.
Spiegazione: ho scritto di getto questa pagina del mio diario dopo aver visto, nella sezione fotografica della biografia di Cesare Pavese, "Il vizio assurdo" di Davide Lajolo, quello che lo stesso definisce "un fotomontaggio". Esso fu ritrovato, alla morte dell'Autore, fra le sue carte. Nella mia pagina, lo definisco un "collage". Esso è costituito da ritagli di giornale, che compongono l'immagine di una coppia che danza: l'uomo ha il volto di Pavese. Sulle due figure, all'altezza del grembo, è incollato un titolo di stampa, "La luna e i falò".
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Fu mia sorella a dire ad Emanuele che quel giorno facevo il compleanno. “Ecco, fu il mio commento, tua madre non si fa mai i fatti suoi, e così ora che compio oggi 60 anni non è più un segreto!”
Lei gli aveva detto di assicurarsi che lo festeggiassi….e di portarmi fuori.
E, sessant’anni o meno, non chiedevo di meglio.
Quando mi vide Emanuele non cercò nemmeno di nascondere quanto colpo avessi fatto su di lui. Trucco, scollatura, la gonna corta, sapevo di essere sexy.
Erano passati alcuni giorni da quella sera in cui avevamo fumato insieme. Non riuscivo a non pensare a zia Margherita e alle sue gambe e alle sue labbra sulle mie e alla sua lingua che accarezzava la mia bocca….mi chiedevo cosa fosse stato sogno provocato dal fumo e e cosa realtà …ma la realtà era che mi segano freneticamente ogni notte ormai.
Mia madre mi telefonò per dirmi che era il compleanno di zia e che per ricambiare la sua gentilezza doveva portarla fuori a festeggiare, visto che era sempre da sola.
Quando glielo dissi, zia mi parve contenta.
Ma non ero preparato quando la vidi, pronta per uscire. Era fantastica. I capelli, il rossetto, le tette strizzate, e poi praticamente in minigonna e le gambe in calze scure velatissime. Ai piedi tacchi altissimi che la facevano alta quanto me….
Ero molto orgogliosa di uscire per festeggiare il compleanno con mio nipote. Ed ero anche molto compiaciuta di come mi aveva fissato quando mi aveva vista pronta per uscire.
Entrai nel ristorante, mettendogli il braccio sotto il suo. Sguardi di uomini e donne che mi seguivano, ammirati gli uni, invidiose le altre. Ma quello che mi interessava era mio nipote, seduto lì accanto a me al tavolino così stretto che era impossibile che le ginocchia non si sfiorassero. E quando lui cercò di ritrarsi, fui io stessa a mettergli una mano sulla coscia e riportarla a contatto della mia.
Al ritorno, nel taxi, continuai a tenere le gambe a contatto con le sue. Le mani si sfiorarono, poi le dita si intrecciarono. Gli carezzai dolcemente la nuca ringraziandolo per la serata. “Una serata così bella erano anni che non la vivevo, tesoro!”
Fui agitato tutto il tempo. Zia era ancora più allegra del solito. Si mise a braccetto con me quando entrammo nel locale, e durante la cena diverse volte sentii le sue ginocchia contro le mie. Anche in taxi, tornando a casa, stava seduta vicinissima a me e a un certo punto non so come ci tenevamo per mano e lei mi accarezzava dietro la testa….Arrivati a casa, la principale mia preoccupazione era diventata nascondere l’erezione che era aumentata tutta la sera…..
Entrati a casa, gli dissi che l’unica cosa che mi mancava era ballare un po’ con lui. Lo mandai a mettere della musica mentre versavo per entrambi ancora del vino.
Cominciammo a ballare avvinghiati. Con i tacchi alti, potevo guardarlo dritto negli occhi. Gli misi le mani sul culo e senza più remore lo attirai a me. “zia…” mormorò.
Con una mano gli afferrai e strinsi la patta. Era durissimo, come sapevo che lo avrei trovato. “zia…” esclamò di nuovo, stavolta allarmato. Ma la mia lingua era già nella sua bocca..e non poté dire altro.
Ballando non sapevo che fare, ma lei mi strinse fortissimo. Poi sentii la sua mano che mi stringeva il cazzo attraverso i pantaloni. Mai avevo provato una cosa del genere…provai a dire qualcosa, ma sentii la sua lingua che entrava con forza nella mia bocca….e da lì fu la nebbia nel cervello…..
Tenendolo per mano lo portai nella mia camera. Lo spogliai, nudo. Spinto sul letto, accarezzai il suo corpo e poi cominciai a baciargli e leccargli il pene. Emanuele si lasciava fare. Usavo la punta della lingua per stuzzicargli il glande, mentre con le unghie accarezzavo il pene. Gli accarezzai i testicoli e poi spinsi la carezza più giù, tra le sue natiche, finché non venne come una fontana.
Mi ritrovai nudo sul suo letto con lei che mi guardava. Si impossessò del mio cazzo e se lo mise in bocca. Succhiava, leccava, mordicchiava e io non avevo mai provato niente di simile. Sentivo la sua mano che stringeva le palle, poi …..e dita, su…alla base del cazzo, poi ….dentro….uno due dita….urlai…..
Ansimante, mi lasciai guardare mentre mi spogliavo. Non avevo alcuna vergogna a mostrargli il mio corpo da sessantenne, ora che vedevo il suo pene tornare rapidamente eretto. “Vuoi che tenga le calze?” gli chiesi mentre mi sdraiavo accanto a lui.
Fece sì con il capo e cominciò a baciarmi il seno. Mi rovesciai sulla schiena ed Emanuele venne sopra di me. Volevo sentire il suo cazzo dentro di me. Ma prima c’era un’altra cosa che non provavo da tempo….
“Vieni tra le mie cosce, amore, e leccamela….” gli dissi, sollevando le gambe sulle sue spalle e attirando il suo viso in mezzo alle gambe “fammi urlare di piacere…” gli dissi. Sapevo che il mio splendido nipote, a differenza degli altri amanti di una notte, non mi avrebbe deluso.
(3/fine)
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"No puedes cruzar el mar simplemente mirando al agua"
Rabindranath Tagore
Fue un poeta, dramaturgo, músico y filósofo del movimiento Brahmo Samaj, un movimiento social y religioso fundado en el siglo XIX y que significa literalmente, la sociedad de los devotos de Dios verdadero. Nació en Calcuta India, en mayo de 1816. Se le considera el más prestigioso escritor indio de comienzos del siglo XX.
Fue el menor de 14 hermanos, de niño vivió rodeado de una atmósfera de publicaciones de revistas literarias y de representaciones musicales y de teatro. Su hermano era un respetado poeta y filósofo y otro de ellos fue el primer miembro de una etnia india admitido en el servicio civil indio, que anteriormente estaba formado solo por blancos.
En 1878, Tagore viajó a Brighton Inglaterra, en donde estudió en un colegio privado, y posteriormente en el University College de Londres, misma que dejaría al cabo de un año.
A lo largo de su vida, Tagore mantuvo múltiples contactos con otros intelectuales de la época, en donde destacan, Albert Einstein, Robert Frost, Mahatma Gandhi, Bernard Shaw y H.G.Wells entre otros.
La poesía dominó la reputación literaria de Tagore, aunque también escribió novelas, ensayos e historias cortas, se suman casi un centenar de libros y compuso numerosas canciones. De la prosa de Tagore, sus obras de mas consideración son sus cuentos cortos, y se le atribuye la introducción de este género en la literatura bengalí,
A partir de 1912, recibió numerosas invitaciones para pronunciar conferencias en occidente y en 1913, obtuvo el premio Nobel de Literatura. Gracias a ello, ganó gran popularidad, convirtiéndose en una celebridad de Oriente de las que muy pocos conocían y escuchaban en Occidente. Dos años después de recibir el premio Nobel, el rey Jorge V lo nombró caballero, titulo al que renunció tras la matanza de Amritsar en 1919, cuando las tropas británicas mataron a 400 manifestantes indios.
Durante la primera guerra mundial, definió su postura política como pacifista exenta de nacionalismo.
En sus últimos años, se dedicó casi por completo a la administración de su centro de estudios, y en Agosto de 1941, muere a la edad de 63 años en Shantiniketan, a unos 160 kilómetros de Calcuta. Esta escuela fundada por Tagore se convirtió más tarde en la Universidad Visva Bharati en 1951 por una ley del paramento.
Fuentes buscabiografias.com, Wikipedia, biografiasyvida.com y lasociedadbiografica.com
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Dolce & Gabbana camicia in jersey Manica corta. Per lei, camicia in musseline trasparente Prada
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Na escuridão das ruas, um rosto se desdobra, Dentes aguçados, sorriso que devora. É o grito do abismo, voraz, insaciável, Nas entranhas da cidade, feroz, incontestável.
No olhar, um vácuo, a fome que não sacia, Entre becos sujos, a lei da anarquia. Ninguém para ouvir, exceto o eco das paredes, Onde cada som é um punhal, cada passo, você perece.
Vem da sombra, respiração de asfalto, Pulsações de um coração vazio, um salto. A face do marginal, pintura de dor e luta, No retrato do desespero, a alma se enxuta.
Os dentes que reluzem, relíquias de uma batalha, Cada um uma história, uma vida que se entalha. Um sorriso que é gume, corta a própria carne, Nas ruas sem nome, onde a sorte é um qualquer.
Paulo de Brito
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You Are My Quarter Mile | Dom x Brian (Fast and Furious) [ESP]
[Fan-Fiction basado en la OTP entre Dominic Toretto y Brian O'Conner (Fast and Furious) Con gasolina en sus venas y viviendo la vida en la carretera al margen de la ley, la vida de Dominic Toretto dará un volantazo para cambiar por completo con la llegada de Brian O'Conner. En cuanto el corazón entra en juego, no hay posible freno de mano al alma.
Capítulo 3 - He owns you now
El sol de la mañana calentaba el asfalto frente al taller de Dominic Toretto, donde los motores rugían y el olor a aceite quemado y gasolina flotaba en el aire. Brian llegó conduciendo una vieja furgoneta, el motor ronroneando suavemente, con un remolque enganchado detrás. Había pasado una semana desde la última vez que se vieron, una semana tensa tras los acontecimientos de aquella noche en que las líneas entre el deber y la lealtad comenzaron a desdibujarse. Esta vez, Brian traía algo especial, aunque a primera vista no lo pareciera.
En el remolque, un coche destartalado se balanceaba ligeramente con los baches del camino. Estaba abollado por todos lados, cubierto de suciedad, sin cristales, con manchas de grasa y gasolina impregnando su chasis. Bajo la capa de polvo, el color rojo intentaba relucir tímidamente, como un recuerdo de tiempos mejores. El vehículo parecía más un caso perdido que una promesa, pero Brian llevaba una sonrisa pintada en el rostro, irradiando una confianza casi irritante.
Al detenerse frente al taller, el equipo comenzó a acercarse con curiosidad y diversión mal disimulada. Dominic salió del interior tras haber estado discutiendo con Mia sobre unas facturas, con su habitual camiseta de tirantes blanca manchada de aceite de motor y un chándal militar desgastado, limpiándose las manos con un trapo que arrojó a un lado sin mucha ceremonia. Su mirada, severa y penetrante, no tardó en dirigirse hacia Brian, ignorando por completo el coche en el remolque.
—Cojonudo... —murmuró Dominic mientras Brian bajaba del asiento del conductor de un saltito. Con una mezcla de incredulidad y sorna, le preguntó—: ¿Qué coño es eso? ¿Qué traes ahí?
La sonrisa de Brian se amplió. Sus ojos azules, aún más vivos bajo el bronceado de su piel, relucían con una mezcla de orgullo y desafío. Dominic no pudo evitar fijarse en las cicatrices frescas que se asomaban bajo las mangas cortas de su camiseta. Brian se veía destrozado y, a la vez, extrañamente feliz, como si hubiese regresado de una pelea con el trofeo en la mano.
—Es tu coche. —Brian extendió sus manos hacia el coche magullado. Dom estalló en una carcajada melodiosa.
Una carcajada grave y sonora que resonó por todo el taller. Johnny, que había salido detrás de él, se acercó al coche y le dio un par de golpes secos en el capó, que tembló bajo sus manos como si estuviera a punto de desmoronarse como si arena fuese.
—¿Mi coche? Te dije un coche de diez segundos, precioso, no de diez minutos.
—Este cruza la línea de meta empujándolo. —Letty masculló, provocando la risa de Mia.
—No la cruza ni remolcándolo —añadió Dominic, aunque sus ojos seguían fijos en Brian, con una mezcla de reproche y curiosidad.
Brian alzó las cejas, todavía sonriendo, como si estuviera disfrutando de la incredulidad de los demás.
—¿No confías en mí?
Brian casi parecía ofendido, pero su perlada sonrisa desenfadaba cualquier idea.
—Oh, confío en ti, —respondió Dominic, cruzándose de brazos—. Pero esto no es una chatarrería, es un taller.
—Muy bien. Abrid el capó —ordenó Brian, moviéndose hacia el remolque para liberar las sujeciones.
—¿Qué abramos el capó? —Johnny frunció el ceño, pero no pudo resistirse a la curiosidad.
—Abridlo y después me decís.
Con esfuerzo, bajaron el coche del remolque y lo llevaron al interior del taller. Bajo la luz de las lámparas, el vehículo lucía aún peor, pero Brian no parecía preocupado. Señaló el capó, insistiendo. Cuando lo abrieron, un murmullo de sorpresa recorrió al grupo. Bajo el polvo y la suciedad, relucía un motor JZ-2 perfectamente conservado, un tesoro enterrado en un ataúd oxidado.
—Joder... —susurró Johnny, limpiando con el trapo algunas partes del motor para revelar los grabados técnicos. Dominic observaba en silencio. —Motor JZ—2... Joder...
—¿Y bien? —preguntó Brian, con una sonrisa triunfante, dirigiendo su mirada directamente a Dominic.
—Retiro lo dicho. —Dominic asintió, haciendo una mueca con sus belfos.
—¿Sabes qué? Destrozará a todos los demás después de invertir en el unos 15.000 dólares, o incluso más si tenemos que importar urgentemente piezas. —Dijo Johnny, echando al hombro un trapo.
—Lo pondremos en la cuenta que tengo con Harry —dijo Dom—. Necesitamos que vuelvas a competir y ganes algo de dinero, Brian. —Su voz se suavizó ligeramente, aunque su mirada no perdió intensidad—. Hay un desafío en la guerra de carreras del desierto. Este coche estará listo para entonces.
Le sonrió de una manera especial, confidente. Mia, que observaba la escena, sonrió bajo su carpeta comprendiendo lo que suponía para Dom aquella mirada silenciosa.
Brian asintió, sintiendo una mezcla de orgullo y gratitud que trató de ocultar tras su sonrisa despreocupada. Dominic se acercó, quedando a escasos centímetros de él, su presencia imponente.
—Hagamos una cosa. —Dominic se detuvo cerca del cuerpo de Brian, girándose hacia él para enfrentar la mirada del rebelde piloto. Brian sintió orgullo al sentirle cerca, al tener su aprobación, al tener su atención puesta en él—. Cuando no trabajes para Harry, trabajarás para mi. Si no encuentras herramientas adecuadas en este taller, Señor de Arizona... Es que no tienes ni idea de coches.
Brian sostuvo su mirada, sin retroceder, y asintió. Había algo en la intensidad de Dominic que lo hacía sentir vivo, como si estuviera en la carrera más peligrosa de su vida. Cuando Dominic se alejó, dejando un silencio cargado a su paso, fue Mia quien se acercó. Con una sonrisa cómplice, le susurró al oído:
—Ya le perteneces.
El taller bullía de actividad. Entre risas y discusiones técnicas, todos colaboraban para trasladar las piezas necesarias hacia la zona de trabajo donde el coche destartalado se convertiría en un digno contendiente de las carreras. El motor, los amortiguadores, los frenos y hasta los más pequeños componentes pasaron de mano en mano, mientras las herramientas resonaban como una orquesta caótica, acompañada del inconfundible aroma a grasa y metal caliente.
Brian, tras asegurarse de que todo estaba en su lugar, se dirigió al pequeño despacho de Johnny, una especie de santuario de tecnología en medio del rugir de los motores. El espacio estaba abarrotado de monitores, cables y piezas electrónicas desparramadas sobre la mesa. Un póster desgastado de una clásica carrera de Fórmula 1 colgaba en la pared, junto a un tablón lleno de diagramas y notas garabateadas.
Johnny, que ya había encendido su ordenador, sonrió al ver entrar a Brian. En silencio, este sacó un pequeño CD del bolsillo de su chaqueta y lo insertó en la bandeja del ordenador. La pantalla cobró vida con gráficos y modelos en 3D del coche, como si estuvieran viendo al destartalado vehículo renacer ante sus ojos.
—¿Qué te parece esto? —preguntó Johnny, pulsando una tecla con entusiasmo. La imagen del coche giró lentamente en la pantalla, mostrando las modificaciones que tenía en mente—. Amortiguadores regulables. Nos ahorrarán un kilo. —Sonrió, orgulloso de su precisión técnica—. Y nos darán mejor tracción para asegurar la victoria.
Brian se inclinó hacia la pantalla una vez se sentó en una pequeña mesa de madera que había detrás de Johnny, observando los detalles con interés. Johnny navegó por varios esquemas, señalando componentes clave y sus mejoras propuestas.
—Bien, este es el diseño básico del coche —explicó, mientras una imagen más simple del vehículo aparecía en pantalla. Pulsó otra tecla, y la imagen cambió, mostrando una versión mucho más estilizada y aerodinámica—. Y este es el diseño que podría tener una vez acabado. Los colores se pueden cambiar.
Brian dejó escapar un leve silbido, impresionado por el nivel de detalle y la visión creativa de Johnny.
—Deberías ir a una universidad especializada.—Dijo impresionado, mirándole.
Johnny se echó a reír, inclinándose hacia atrás en su silla giratoria como si la idea fuera un chiste recurrente.
Sí, debería... —admitió, con una sonrisa nostálgica que rápidamente se tornó pensativa—. Pero tengo ese... ¿cómo se llama? Déficit de atención...
—¿El TDAH? —preguntó Brian, arqueando una ceja.
—¡Eso! —exclamó Johnny, riendo levemente—. Esa jodida cosa. Siempre me ha jodido la concentración. Mira, yo era bueno en mates, sobre todo en álgebra. Podía resolver cualquier cosa que me pusieran delante. Pero todo lo demás... lo suspendía. Historia, inglés, incluso ciencias. Dejé los estudios cuando tenía, no sé... quince o dieciséis.
Hizo una pausa, mirando la pantalla del ordenador como si estuviera viendo algo más allá de los gráficos. Sus dedos tamborilearon sobre la mesa en un ritmo involuntario.
—Yo qué sé... Los motores tienen algo que me tranquiliza. —Susurró, más para sí mismo que para Brian—. ¿Sabes? Es como si todo encajara. Cuando miro un motor, no hay caos, no hay ruido. Es matemática pura. Cada pieza tiene un lugar, un propósito. Me gusta eso.
Brian lo observó con atención, percibiendo la pasión genuina en las palabras de Johnny. Había algo en esa confesión que le resultaba familiar, algo que resonaba con su propia relación con los coches y las carreras.
—Sí, lo entiendo —dijo finalmente—. Es como estar en una carrera. Todo es claro. Nada importa más que el siguiente segundo.
Johnny asintió, sonriendo. Luego, volvió su atención al ordenador, moviendo el ratón para hacer ajustes en el diseño.
—Bueno, genio, —dijo Brian después de un momento, levantándose del sitio acomodado y dándole un par de palmadas en los hombros—, dime qué necesitas para que esto deje de ser solo un dibujo bonito y se convierta en una realidad.
...
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There is no dark side of the Moon.
It's all dark, really.
...
C’era da aspettarselo che avrebbero organizzato un ricevimento per accogliere l’ultima arrivata, la detentrice del marchio della luna, Victor sapeva bene che tutta quella bella facciata aveva lo scopo di assicurarsi che quel marchio non esulasse dalla “famiglia”, come amavano definirsi molti dei marchiati. Lui era nato libero da quelle catene e non sarebbe stato costretto a generare figli, sorte diversa sarebbe capitata a Rey – soprattutto a lei – che portava su di sé un marchio estremamente raro, probabilmente le famiglie marchiate avrebbero fatto a gara per fare avanti uno dei propri maschi affinché Rey potesse scegliere proprio il loro figlio.
La sala esterna era illuminata dal chiarore di una luna calante e dalle luci bianche e argentee con le quali erano state allestite le colonne di marmo. Tutta quella struttura rasentava sfarzo e antichità e i marchiati che l’affollavano, indossavano i loro abiti più belli.
Victor era arrivato lì con entrambi i genitori, detentori di un marchio che, però, non aveva contaminato anche lui, come sempre erano gentili, pacati. Persino distanti o, almeno, questa era l’impressione che aveva sempre avuto Victor di loro… in fondo, probabilmente dovevano anche vergognarsi un po’ di aver generato un figlio senza alcun potere.
Il giovane Draven indossava un abito elegante ma niente di troppo complicato: pantaloni dal taglio dritto, scuri, una giacca corta altrettanto scura e una camicia chiara. Al collo aveva deliberatamente scelto di non indossare cravatta o cravattino e con le mani piantate nelle tasche dei pantaloni si guardava intorno, cercando con lo sguardo qualcuno che non lo avrebbe annoiato sull’immediato. Per l’occasione i capelli abbastanza cresciuti stavano raccolti in una coda bassa.
Forse doveva apparire un po' spaesato. Senza le sue lame addosso, proprio non gli riusciva di sentirsi a proprio agio.
@rey-themoon
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