#La vittima silenziosa
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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“La vittima silenziosa” di Caroline Mitchell: Il peso dei segreti e l’ombra del passato. Recensione di Alessandria today
Un thriller psicologico che esplora colpa, verità e relazioni spezzate
Un thriller psicologico che esplora colpa, verità e relazioni spezzate Con il romanzo “La vittima silenziosa”, Caroline Mitchell ci regala un’opera avvincente e oscura, in cui il passato non smette mai di influenzare il presente. La storia di Emma, una moglie e madre apparentemente perfetta, è una discesa nei meandri della psiche umana e nella fragilità delle relazioni. Questo thriller combina…
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abr · 2 months ago
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L'attacco al patriarcato nella società meno patriarcale di tutti i tempi a livelli fin imbarazzanti (cfr. gabinetti, spettacoli, pubblicità, cul-turame etc.), usa come arma contundente la GENERALIZZAZIONE STRUMENTALE di un fattaccio molto brutto.
Fattaccio che DEVE MOBILITARCI TUTTI; banalmente invece, per chi ancora creda nelle responsabilità individuali e familiari: ah se solo papi&frati della povera vittima innocente fossero stati patriarcali davvero.
Se solo le avessero proibito di frequentare quel problematico e/o lo avessero minacciato di mettergli le mani sul muso (a lui non a lei: la lingua è precisa, l'ignoranza no, per cui meglio precisare) ; beh lei sarebbe salva, se solo fossero stati sufficientemente PATRIARCALI prima invece di chiagnoni poi (prendersela con l'avv. difensore per aver difeso un reo confesso! Ma dove siamo retrocessi?).
E accusare tutti, la colpa è dellomobianko, mettiti il rossetto, solididarizza. Con Giulia tutta la vita poveretta, con voi strumentali no. Fankala, la mia civiltà crede nelle responsabilità INDIVIDUALI, collettivisti rivolgersi ai vostri amici del maghreb.
La brutta notizia per le checche isteriche e i perdenti sinistri è che tutto questo sta provocando un fenomeno, fateci caso se parlate con la gente invece che star sui social: la maggioranza silenziosa per definizione tace ma sta accumulando consapevolezza e sta crescendo.
Chiedimi ancora ti prego se domani in ufficio metterò il segno del rossetto.
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vividiste · 9 months ago
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R I P😪🥀
Franco Di Mare vittima delle guerre e dell'uranio impoverito
Nell'esprimere il cordoglio di Pace Terra Dignità sentiamo il dovere di ricordare che Franco Di Mare è una vittima di guerra. Ci ha lasciato in un libro la sua testimonianza. Da inviato di guerra ha respirato la fibra di amianto sprigionata dalle polveri degli edifici distrutti durante i bombardamenti o il pulviscolo prodotto dai proiettili all’uranio impoverito.
Franco Di Mare è uno dei tanti civili e militari che sono morti e che stanno morendo a causa delle conseguenze dell'uso di proiettili con uranio impoverito nelle guerre degli ultimi decenni. Come noi pacifisti abbiamo sempre denunciato l’uso del metallo pesante da parte di Stati Uniti, Regno Unito e Nato - in trent’anni di guerre illegali - ma definite “umanitarie” - ha causato una strage silenziosa e prolungata in tutti i territori bombardati con queste armi. Dai Balcani, all’Iraq passando per l’Afghanistan le patologie tumorali sono aumentate a dismisura come conseguenza diretta dell’esposizione all’uranio impoverito rilasciato dalle munizioni. In Italia, ad ammalarsi gravemente e a morire per l’esposizione al metallo pesante sono gli stessi soldati dell’esercito usati come carne da cannone nelle missioni di “pace” all’estero e a cui ancora oggi il ministero della Difesa, nonostante oltre trecento cause risarcitorie perse, continua a negare verità e giustizia. Al momento parliamo di più di 8000 militari italiani ammalati e di 563 deceduti a causa dell’uranio impoverito.
La Nato, chiamata in causa dall’Alta Corte di Belgrado per le conseguenze devastanti dei bombardamenti all’uranio impoverito effettuati nel 1999, ha risposto al tribunale esigendo l’immunità. La Nato non solo ha rivendicato l’immunità per un ecocidio e per ciò che si configura come un crimine di guerra ma ha intimato al governo serbo di intervenire presso l’Alta Corte di Belgrado per chiudere ogni procedimento a suo carico. Questa è la democrazia di cui si millanta l’”esportazione”.
Dal 2019 anche la Russia ha deciso di dotarsi di questo tipo di armi giustificandosi col fatto che non sono state vietate da nessuna convenzione internazionale e soprattutto sono impiegate da tempo dalla NATO.
La Gran Bretagna ha rifornito l’Ucraina di proiettili all’uranio impoverito e si stanno avvelenando l’aria, i terreni e i polmoni di tante nuove vittime. Anche Israele ha in dotazione ordigni all’uranio impoverito.
Porteremo nel Parlamento europeo la lotta per la messa al bando definitiva di queste armi, per la verità e giustizia per le vittime civili e militari dell’uranio impoverito e per il cessate il fuoco in Ucraina e a Gaza.
Maurizio Acerbo, Pace Terra Dignità
#paceterradignita
#uranioimpoverito #FrancoDiMare
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Fonte fb
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ingombrantipiccoliniente · 8 months ago
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L’apatia del tuo sguardo me la sento incollata addosso come l’umidità di questi giorni tutti uguali. Incontrarti ieri sera al supermercato mi ha fatto rimbombare dentro quell’intimità invadente, come chi non riesce a dirsi ciao dopo essersi lavato i denti insieme una vita intera. Starti accanto è sembrato una vita intera. Gli schiamazzi dei bambini nel cortile affianco mi cullano in una mattina infinita in cui continuo a vederti chiudere la porta. Finisco un calcolo poi ti chiamo, è il valzer di pensieri che mi balla dietro gli occhi da quando non ti vedo. Da quanto non ti vedo cantare in macchina? Me lo chiedo mentre vorrei tenermi stretta alle emozioni ma, come sulle montagne russe, non trovo appigli. L’altra sera mi ha detto, tutta sprezzante, che nulla cambia se non cambio nulla. Mi è rimasto un sapore acre in bocca, come chi ha paura ma non lo sa dire. Ho paura e non lo so dire. In mezzo al traffico di questa mattina mi ha assalito la convinzione che rimarrò sola per sempre. Mi fa paura che forse mi vada bene così. Mi guardo intorno, non riesco a capire se la persona che sto diventando si avvicini ai sogni che ho. Ieri mattina mi sono imbattuta nei suoi successi e il cuore ha tremato un po’. Mi sta bene una vita senza successi? Non mi sta bene una vita in cui non riesco ad essere sinceramente felice dei successi altrui. Starti lontano sembra una vita intera. Prima cercavo di contare gli anni che ho passato in questo ufficio, sulla punta delle dita, però, mi rimanevano solo le volte che ti ho deluso. Mi sono delusa senza sosta, come chi mette a soqquadro la vita e non trova più i cassetti dove ha nascosto i sogni. Quanto ti ho lasciato andare quando la vita mi è sfuggita dalle mani? Nelle mani mi rimangono una manciata di convinzioni ingarbugliate e qualche progetto disinnescato. Inciampo nell’attesa di quella risposta, mentre mi domando se mi terrorizzi più un semaforo verde o uno stop. Gli stop servono per ripartire, sento ancora il tuo fiato caldo mentre lo sussurri piano. Mi serve solo un piano per imparare a respirare nella tempesta, come chi cerca l’occhio in mezzo al ciclone. Non ho fame. Starti accanto sembra una vita fa. Ho sete di successi ma ancora busso prima di entrare. Mi guarda con sdegno prima di dirmi che nessuno mi aprirà la porta e mi inviterà gentilmente a partecipare, ché siamo squali e ci sbraniamo a vicenda. Siamo umani, anche quando lo dimentichi. Vorrei che mi avesse riempito il cuore invece che la bocca. Starti lontano è sembrato una vita fa. Vorrei trovarmi a dirtelo nel reparto ortofrutticolo di una domenica pomeriggio svogliata. Invece mi circondo di persone a cui non interessa se sto in piedi, figuriamoci se sto bene. Chissà se bene davvero lo sei mai stato. Vorrei saperti ancora bambino, mica guarito, solo consapevole, solo presente, quasi sereno. Per curarti ci vorrebbe tuo padre, lo pensa ma non sa verbalizzarlo senza diventare carnefice. La carneficina di questo rapporto è stata silenziosa ma reiterata, moderata ma costante, circoscritta ma centrata. Cerco di incollare tutti questi rimasugli di vita mentre mangio male o non mangio affatto. Ho la bocca piena di fallimenti. Mi chiamo vittima ma con gli occhi appannati non saprei distinguermi dal colpevole. Chiedimi se voglio restare. Freno le mani molto prima dell’impatto con i tuoi mattini, non voglio farti diventare un danno collaterale. Chissà se non sa vedermi o se, semplicemente, non sono. La settimana scorsa mi sono guardata e ho costruito occhi nuovi, idee nuove, abitudini nuove. A te vorrei raccontarmi, farti parte dello spazio che mi compone, ma faccio ancora a pugni con la necessità di essere vista, troppo diversa dalla voglia che tu mi guardi. Se mi avesse chiamato ieri, mi sarei ancorata alla vita che conosco nascondendomi dietro la finestra per guardarti vivere ancora. Ancorata ad una indefinita mancanza non saprò mai trovare una cura per le nuvole. Ma le nuvole vanno e vengono, mica passano e non tornano.
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principessa-6 · 11 months ago
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Sono un cavallo da corrida.
Mi hanno tagliato le corde vocali per non sentirmi nitrire dal dolore. Ho gli occhi bendati per non farmi arretrare dalla paura.
Ho la vaselina nelle narici perché altrimenti percepirei l’odore del sangue, cotone nelle orecchie per non sentire i muggiti del toro.
Rischio la mia vita per un sadico divertimento.
Sono un’altra vittima dimenticata e silenziosa di un orrenda tradizione che si chiama corrida.
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“Talmente ‘occupabile’ che posso morire di fame”. La storia di Giulia, abbandonata dalla riforma del governo Meloni: niente lavoro, niente corsi, niente risposte
Siamo alle solite: migliaia di persone ridotte in stato di povertà, senza alcun sostegno e con il rischio concreto di finire per strada o diventare criminali per sopravvivere, MA NESSUNO AD ASSEDIARE I RESPONSABILI POLITICI SOTTO CASA!!!
Sarà il cattolicesimo e il suo "beati gli ultimi che saranno i primi" ("perché moriranno prima" l'hanno sottinteso ma è inevitabile che sia così!), sarà perché non c'è una sponda politica che non sia complice (visto che o ci guadagnano, come le ONG e le Onlus, o puntano ad incarichi e vitalizi e non vogliono esporsi contro chi glieli può dare), sarà l'abitudine ad implorare (pregare) che qualcuno dall'alto faccia qualcosa (lo Stato o la Divina provvidenza), sarà che prima della rabbia subentra la depressione, sarà che spostarsi fino a Roma ha un costo che chi è senza lavoro non può permettersi e chi ce l'ha provvisorio non può assentarsi per non perderlo, saranno tutte queste cose messe insieme ma il risultato è che nessuno assalta la Bastiglia e impicca il re!
I micro partiti di opposizione fanno le loro belle riunioncine con quattro gatti, giusto per fare vedere sui social che esistono, invece di riunire il disagio sociale e portarlo in piazza, sotto le sedi delle TV, sotto i palazzi del governo locale o centrale, sotto casa dei politici a tenerli svegli tutte le notti...
Ci si lamenta, sui social, sui giornali, in televisione e nessuno che lanci un appuntamento per riunire quella maggioranza silenziosa che a buon diritto possiamo chiamare proletariato. Anzi, con la crisi delle nascite, neanche più la prole si possiede, è rimasta solo la disperazione!
Eppure vediamo i vari Matteo Brandi, Marco Rizzo, Francesco Toscano e... basta, perché Gianni Alemanno ha un seguito inferiore ad un condominio, li vediamo, dicevo, parlare parlare parlare parlarsi addosso e non concludere nulla che non sia autoreferenziale.
Intanto, la Caritas raccoglie l'ottoXmille facendo spot televisivi sfruttando la massa dei disperati che affolla le sue mense, mentre il Papa invita all'accoglienza di altri disperati...
Chi non si ribella è complice e non ha il diritto di piangere, questa è la realtà che andrebbe accettata!
La scelta è sempre nostra, fra essere il boia o la vittima, come hanno spiegato i francesi 250 anni fa a chi voleva dargli le brioches...
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avvocatoreale · 2 years ago
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Anche a Giugno la scelta del libro, per la recensione letteraria del mese, è una garanzia: “Cena di Classe”, di Piero d’Ettorre e Alessandro Perissinotto
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Un’accoppiata vincente per un’opera da mettere in valigia e da leggere nelle prossime vacanze estive. Ce ne dà conto Sara Bonhgieri in questa recensione.
di Sara Boringhieri
“CENA DI CLASSE” di Piero d’Ettorre e Alessandro Perissinotto
 22 febbraio 2018, una mattina che all'avvocato Giacomo Meroni pare simile a tante altre, fredda e limpida, connotata dai rituali di sempre: la colazione con sua moglie Rossana, la quotidianità e il bacio prima che lei e la sua sedia a rotelle spariscano nel taxi che le porta a scuola. E quel bacio che racchiude due sapori: l'amaro per non aver ancora individuato il pirata della strada che ha investito Rossana l'11 settembre 2001, e il piccante di una donna che non ha perso la voglia di insegnare, di essere felice e di sciare.
Ma quella non è una mattina come tante, perché, dopo aver attraversato in bicicletta una Torino silenziosa e magica, Giacomo trova ad aspettarlo in studio una signora garbata e afflitta. Suo figlio, Riccardo Corbini, un ingegnere sulla cinquantina, è appena stato arrestato con un'accusa pesantissima: lo stupro e l'assassinio di una compagna di liceo durante una cena di classe nel lontano 1984.
Le indagini per il delitto si sono trascinate stancamente per un tempo interminabile, poi, come spesso accade nei cold case, all'improvviso è apparsa una nuova prova, quella che, secondo il PM, inchioda il cliente di Giacomo.
Ma Corbini è un colpevole al quale garantire un giusto processo o un innocente che deve essere salvato dall'errore giudiziario? Giacomo sa che il compito dell'avvocato non è stabilire la verità; eppure, per lui, scoprirla fa la differenza. Per questo si impegna in un'indagine difensiva che finirà per coinvolgere tutti i compagni di classe della vittima e dell'imputato, riportando a galla odi, amori e rancori mai sopiti.
“Cena di classe” è un romanzo giudiziario scritto a quattro mani da Alessandro Perissinotto, scrittore e professore di storytelling all’Università di Torino e Piero d’Ettorre, avvocato penalista torinese, e costituisce il primo volume di una serie che vedrà protagonista l’avvocato Meroni.
I due autori nella vita sono amici di lunga data e insieme danno vita ad un personaggio nuovo, un professionista che si trova ad affrontare un caso delicatissimo e a sviscerare norme e procedure per conseguire una difesa impeccabile: insieme all’avvocato Meroni prende così vita un viaggio nei meandri di Torino e della Giustizia, che accompagna i lettori attraverso gli eventi narrati.
Si tratta di un’opera scorrevole, con un ritmo incalzante che invoglia a voltare una pagina dopo l’altra per continuare la lettura e scoprire l’evolversi della trama. I personaggi sono ben delineati e chi legge viene attratto dalle loro personalità e dalle loro vicende, personali e non.
Riuscirà l’avvocato Meroni a difendere il suo assistito provandone l’innocenza e a ottenere così una sentenza favorevole? O Giacomo Corbini risulterà colpevole e si vedrà costretto ad affrontare la pena inflitta? Riuscirà l’avvocato Meroni a individuare il pirata della strada che ha investito sua moglie e a far luce su quanto successo?
Un ulteriore valore aggiunto è costituito dalla presentazione “a due voci” del libro ideata e interpretata dagli autori che, oltre ad un romanzo ben costruito, hanno saputo creare degli incontri vivaci e capaci di incuriosire ulteriormente i lettori. Insomma, Piero d’Ettorre e Alessandro Perissinotto si completano e creano armonia tra le due anime del romanzo: quella giuridica e quella letteraria.
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crossroad1960 · 2 years ago
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Quando Lucia #Annunziata accettava i metodi invasivi della politica che oggi denuncia. Una vecchia storia ancora molto attuale.
Era il settembre del 2016 e con
@marcocanestrari
avevamo lanciato un crowdfunding per realizzare un libro inchiesta sul Movimento cinque stelle.
Il Corriere della Sera e La Stampa avevano pubblicato la prima anticipazione di Supernova; tra le primissime redazioni televisive che ci contattano per un’intervista c’è quella di “In Mezz’ora”, la trasmissione di Lucia Annunziata su Rai3. È chiaro che il racconto dei due più stretti ex-collaboratori di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo sia una notizia. Veniamo invitati per la domenica successiva. Poi rimandati di un paio di settimane. Infine la redazione ci scrive entusiasta: “a meno di notizie clamorose, domenica 2 ottobre siete in onda”.
Succede però qualcosa. La redazione prima temporeggia, poi ci fa sapere che il nostro invito è stato messo “in stand by”. Qualcuno aveva chiaramente fatto intendere che la nostra presenza avrebbe comportato delle conseguenze.
Contattiamo la redazione di In Mezz’ora di nuovo il 17 dicembre: “Ciao, quando finirà l’embargo sul nostro lavoro?”. Risposta: “Lasciamo perdere”.
L’embargo è durato quasi due anni ed è stato rotto solo da due emittenti: TgCom24 e La7.
La Rai, a parte @giancarloloquenzi, non si è mai più fatta viva, ma molti dei giornalisti di quell’azienda erano in contatto con noi, eravamo utili per fornire notizie e ricostruzioni ma da lontano.
Ci siamo tolti la soddisfazione di finire sulle maggiori testate nazionali ed internazionali, Supernova è stato presentato a Roma alla sede della Stampa Estera. Ma la Rai ci è stata sempre preclusa.
Alla fine il nostro lavoro ha pagato e non ci siamo mai sognati di strillare contro il giornalismo “asservito ai potenti”.
In quel caso Lucia Annunziata è stata vittima, silenziosa, di un atto di bullismo politico. Oggi che la Rai ancora una volta viene asservita alle logiche di spartizione sorprende che proprio lei lasci l’azienda in segno di protesta.
Vittima certo ma anche un po’ carnefice. (Nicola Biondo)
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Ucraina, Greenpeace diffonde la mappa dei danni ambientali della guerra
 A pochi giorni dall’anniversario del conflitto in Ucraina, Greenpeace e la Ong ucraina Ecoaction pubblicano oggi una “Mappa dei danni ambientali” causati dalla guerra e per denunciare i gravissimi impatti sugli ecosistemi.    Le due organizzazioni chiedono inoltre al governo di Kiev e alla Commissione Europea di istituire un fondo per il ripristino dell’ambiente, vittima silenziosa della…
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apsny-news · 2 years ago
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Ucraina, Greenpeace diffonde la mappa dei danni ambientali della guerra - Mondo
 A pochi giorni dall’anniversario del conflitto in Ucraina, Greenpeace e la Ong ucraina Ecoaction pubblicano oggi una “Mappa dei danni ambientali” causati dalla guerra e per denunciare i gravissimi impatti sugli ecosistemi.    Le due organizzazioni chiedono inoltre al governo di Kiev e alla Commissione Europea di istituire un fondo per il ripristino dell’ambiente, vittima silenziosa della…
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corallorosso · 3 years ago
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PER TENERE IL PASSO DEI NAZISTI GLI INGLESI CREARONO “L’ISOLA DI ANTRACE”: L’ISOLA DI GRUINARD DIVENNE UN LABORATORIO A CIELO APERTO DOVE SPERIMENTARE ARMI BATTERIOLOGICHE SUL SUOLO E SUGLI ANIMALI La dura costa scozzese non è tanto lontana. C’è un braccio d’acqua a separare la terraferma, la Scozia appunto, dall’isola di Gruinard. Il nome dell’isola però si è perduto nel corso dei decenni, dato che oggi quei due chilometri quadrati sono meglio conosciuti “Anthrax island”, l’isola dell’antrace. Vittima silenziosa della natura per mano dell’atto più innaturale possibile all’uomo, la guerra. Siamo nel pieno della Seconda guerra mondiale, è il 1942. Le sorti della guerra stanno cambiando radicalmente nell’anno che vedrà gli Alleati trionfare ad El Alamein, a Stalingrado, nelle Midway. Ma al governo di Sua Maestà giunge voce che la ricerca bellica nazista sta facendo grandi passi in avanti; pare infatti che in Germania si stiano sperimentando persino armi batteriologiche. Un campanello d’allarme per i britannici, che decidono di passare al “contrattacco”, sperimentando a loro volta agenti batteriologici da utilizzare in ambito bellico. A tale fine venne individuato come luogo ideale per i test l’isola di Gruinard. Questo isolotto era disabitato sin dagli anni Venti. Questo, insieme alla posizione relativamente isolata, convinse i britannici che sarebbe stato il posto ideale per testare le armi all’antrace elaborate dai ricercatori dell’esercito. Sull’isola vennero quindi importate e lasciate libere 60 pecore, facendo in seguito esplodere una serie di bombe all’antrace, appunto. Nel giro di 3 giorni le pecore iniziarono ad ammalarsi e a morire. Pochi giorni dopo erano tutte morte: vennero effettuati brevi analisi sul posto - sul suolo e sui resti degli animali - mentre altre vennero rispedite sulla terraferma per esami più approfonditi. Qualche animale, morendo, cadde in acqua, e il corpo venne trascinato verso la terraferma dove contaminò ovini di proprietà degli allevatori della zona: cospicui risarcimenti e rassicurazioni garantirono il silenzio e pochi problemi al governo. Gruinard, nel frattempo, era diventata un’isola fantasma. Pur essendo già disabitata, adesso non era possibile neanche avventurarsi per una scampagnata. L’isola era inaccessibile. L’antrace e la morte erano i soli abitanti autorizzati. La situazione rimase immutata per mezzo secolo finché, nel 1990, il governo diede il via a una bonifica da mezzo milione di sterline. E oggi, anche se ufficialmente “sicura”, quasi nessuno osa mettere piede sull’Isola di Antrace. Quei due chilometri quadrati rimangono lì ad osservare da lontano la Scozia. Uno sguardo muto che ricorda tutto il male che la guerra è in grado di fare al mondo. Cannibali e Re Cronache Ribelli
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ilarywilson · 4 years ago
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Sembra aver smesso di provare a scegliere chi essere fra la ninfetta scappata dai boschi con le ruote delle sue gonne fiorate, le calze a fantasia e le scarpette di vernice, e la ex settimina appena evasa dalla torre Grifondoro con le magiconverse rosse sdrucite, i jeans alla caviglia e le maxi felpe di John a sfiorarle le ginocchia. She can be both. La lunga chioma alla camomilla è caduta vittima di un taglio netto che aveva giurato irreversibile - streghe, loro drammi e dove trovarli - ma ormai le onde scarmigliate le sfiorano nuovamente le spalle. La tintinnante miriade di braccialetti ai polsi non è cambiata, l'hanno fatto l'irragionevole ottimismo degli occhi chiari e l'incauta baldanza con cui in passato ha sfidato le proprie vertigini.
Come le migliori camomille da giardino ha dimostrato una resilienza esagerata e provato a se stessa che Diffidenza e Wilson possono anche coesistere. Con buona grazia delle ceneri della Graveyard, che tanto ha fatto per inculcarle il concetto. Sebbene abbia scelto di vivere assecondando l'innato istinto alla cura, l'estro artistico le impedisce di levare silenziosamente le gonne after a good job. Capriccioso side effect dell'aver imparato a riconoscersi una certa qual dose di fantasticità. Pestare i piedi e scaraventare oggetti dall'altra parte della stanza, at you, resterà sempre nel suo stile; ma anche l'esagerata dolcezza di certi sorrisi o quella manina tesa after the worst thing you ever did. Ha una bussola morale che nessuno farebbe bene a calpestarle ancora, ma una pragmaticità e un senso di lealtà che spesso la tradiscono.
A tenerla in equilibrio sono le montagne di Rob, l'animo festaiolo di Vì, la guida di Phibelle, le mani delle sue Settimine. Il CB le è rimasto nelle ossa, ma sono le mille lune di Anne a darle ancora gli incubi migliori. Si tiene a distanza da Ezekiel, annusa ancora Mr Tregowan di nascosto e importuna Than since ever. Alicia è sarcasmo per i suoi denti, Kat una sorella, Adam un prato su cui camminare scalzi e Rachel un'alleanza silenziosa in un baule di verità scomode. Un Hit Giant s'è da poco conquistato i suoi servigi di scudiera e Sami l'indiscussa complicità delle anime del Quarto. Sebastian è lo spettro di una casa che ha scelto di abbandonare e Nihe una valigia di vuoti che ha preferito non colmare. A scombinare tutto, un luna park pieno di giostre di cui continua a sbagliare il nome ✿ H.
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bibliotecasanvalentino · 4 years ago
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera e gli autori prescelti sono: “Stoner" di John Edward Williams.
Ci sono letture che si faticano a terminare ed è il caso (nel mio caso) del romanzo "Stoner" di John Williams: ho davvero fatto fatica a finirlo semplicemente perché non avevo alcuna intenzione di concludere la lettura: la mia attenzione mi ha imposto di andare piano, di procedere con calma, per gustarne ogni parola. Ho sentito talmente tanto parlare di questo romanzo e ho letto così tante opinioni diverse (anche opposte!) a riguardo da voler quasi desistere dalla sua lettura. Ma, alla fine, la curiosità ha avuto il sopravvento e, dunque, anche la sottoscritta è caduta nella "rete" di William Stoner! Una vera e propria malia, è stato come cadere vittima di un sortilegio, perché ne sono rimasta davvero incantata; un qualcosa di inspiegabile che ti lega ad una narrazione in apparenza piana, lineare. Una storia tanto semplice quanto semplice e naturale può risultare il comune (finanche un po' noioso e piatto) scorrere d'una vita assolutamente priva di accento o moti memorabili. Eppure, l'autore è riuscito a vincere ogni mia resistenza, scavandomi nel petto una voragine di sensazioni diverse. E ho cercato di dare una spiegazione a tutto questo... Però - mi sono anche detta - com'è possibile definire razionalmente l'emozione? L'onda del trasporto emotivo che ti spoglia e pone innanzi i personaggi nelle loro fragilità e debolezze? Nei loro sogni gloriosi e cadute? Oppure, ancora, te li fa sfilare inerti nelle scelte errate e nel soccombere davanti ad un reale desolato o avanzare con affanno verso il traguardo? Ebbene, il romanzo di John Williams mi ha spiazzato: il protagonista, il professor Stoner, poi, mi ha completamente e inesorabilmente rapita. Col suo accogliere gli eventi, spesso subirli e scendere a compromessi con colleghi, amicizie e affetti; con la sua aria talvolta dimessa ma pure animata dal guizzo di un'intelligenza brillante, sebbene tenuta quasi sempre rigorosamente a bada, col suo porsi, infine, un passo indietro rispetto agli altri, accettandone il giudizio e rinunciando forse alla prima vera occasione di felicità di nome Katherine. Ma il tutto - e qui vi ho trovato tutta la grandezza del personaggio - con una dignità e un temperamento che ho fatto davvero fatica a non amare o sentire vicino! Qualcuno ha definito questo romanzo un "miracolo letterario" che narra in modo affettuoso e compassionevole una vita semplice e silenziosa. Una vita che da poco interessante, se esaminata con cura e rispetto, può diventare straordinaria. E tale risultato è ottenuto (anche) grazie ad una scrittura pacata, sensibile e incredibilmente chiara, pur trattando temi ostici (la guerra, le perdite, le disillusioni), pur imbattendosi nel terreno accidentato dei sentimenti e della loro espressione (l'amore e il rapporto con i genitori, la tenerezza filiale, l'autodistruttività di certi comportamenti, il matrimonio e il tradimento). In estrema sintesi, io ho trovato tutta la narrazione pervasa dall'amore e dal tentativo di dare risposta a quegli interrogativi talmente apodittici da farti perdere il sonno... Perché viviamo? Cosa dà valore ad una vita? Che significa amare?
Qualche cenno sull’autore John Williams…  Nato in una famiglia di modeste condizioni economiche, si iscrisse all'Università di Denver solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale alla quale aveva preso parte in qualità di sergente delle United States Army Air Forces in India e in Birmania dal 1942 al 1945. Si dedicò agli studi e a Denver ricevette il Bachelor of Arts nel 1949 e il Master of Arts nel 1950. Durante la sua permanenza all'Università di Denver pubblicò i suoi primi due libri: il romanzo Nothing But the Night (1948) e la raccolta di poesie The Broken Landscape (1949). Nel 1950 Williams si iscrisse all'Università del Missouri, dove nel 1954 ottenne un dottorato di ricerca in Letteratura inglese. Nel 1960 pubblicò il suo secondo romanzo Butcher's Crossing, nel quale descrisse la vita di frontiera nel Kansas attorno al 1870; due anni dopo pubblicò la sua seconda raccolta poetica (The Necessary Lie). Il terzo romanzo di Williams, Stoner, la storia romanzata di un professore universitario di inglese, fu pubblicato dalla Viking Press nel 1965, mentre il suo quarto romanzo, Augustus (Viking, 1972), una rappresentazione dei tempi violenti di Augusto, pubblicato nel 1972, vinse il National Book Award nel 1973 ex aequo con Chimera di John Barth. Un quinto romanzo, intitolato The Sleep of Reason (Il sonno della ragione), rimase incompiuto a causa della sua morte.La recensione è a cura di Rita Pagliara.
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gloriabourne · 5 years ago
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The one with the reunion in Naples
Non poteva negare di essere più felice di quanto lo fosse stato negli ultimi mesi.
Non poteva negarlo semplicemente perché gli si leggeva in faccia.
Non era solo il fatto di tornare finalmente a esibirsi su un palco. C'era molto di più e ormai Ermal sapeva perfettamente che chiunque se ne sarebbe accorto.
E non gli importava.
Era felice. Assurdamente felice. E non c'era niente di male nell'essere felice a causa di qualcuno, quindi non aveva intenzione di nasconderlo.
Il suo rapporto con Fabrizio lo aveva sempre reso felice.
Confuso, ma felice.
Non c'era mai stato nulla di definito tra loro, nessuna etichetta, nessun nomignolo sdolcinato. Non c'era stato niente, a parte i baci scambiati di nascosto e le notti passate insieme sotto le lenzuola.
Non avrebbero potuto sopportare una relazione con il peso di doversi nascondere e la distanza che tra loro era sempre troppo grande.
Così, fin dalla prima notte insieme trascorsa a Sanremo, avevano preso quel rapporto con leggerezza, godendosi gli attimi insieme e non pretendendo mai niente di più.
Ecco perché Ermal era cos�� felice.
Perché anche prendendo il rapporto con leggerezza, aveva finito per innamorarsi. E non si può non essere felici quando si ha la possibilità di passare del tempo con l'uomo di cui si è innamorati.
La porta del camerino si spalancò mentre Ermal era davanti allo specchio a sistemarsi i capelli, ormai troppo lunghi e indomabili.
Il più giovane sollevò lo sguardo nello specchio vedendo Fabrizio che lo guardava attraverso il riflesso.
Aspettò che chiudesse la porta e lo fissò attraverso lo specchio mentre percorreva i pochi passi che li separavano, fino ad arrivare dietro di lui.
Nell'istante in cui Fabrizio gli circondò i fianchi con un braccio e appoggiò il mento sulla sua spalla, Ermal esalò un sospiro sollevato e si abbandonò completamente nel suo abbraccio.
"Mi sei mancato" mormorò Fabrizio contro il suo orecchio.
"Anche tu, Bizio. Ma ora siamo insieme."
"Già, ma per quanto? Un paio d'ore, e poi?"
Il tono di Fabrizio sembrava stanco, quasi scocciato. Ermal non lo aveva mai sentito così e per un attimo ebbe paura che quello fosse solo l'inizio di un discorso più grande, di una discussione in cui Fabrizio gli diceva quanto fosse insoddisfatto del loro rapporto e in cui gli spiegava per quale motivo fosse meglio per entrambi dare un taglio a ogni cosa.
Ebbe appena il tempo di pensarlo, che Fabrizio disse: "Non so se ce la faccio ancora in questo modo."
"Che vuoi dire?" chiese Ermal ancora tra le sue braccia, osservando il più grande attraverso il loro riflesso.
"Pensi che potremmo mai avere qualcosa di più? Qualcosa di un po' più stabile di qualche serata a un programma televisivo o qualche weekend uno a casa dell'altro?"
"È quello che vuoi?" disse Ermal con voce tremante.
Non era quello che si aspettava.
Tra i due era sempre sembrato lui quello più coinvolto in quella specie di relazione. Fabrizio sembrava semplicemente assecondare i suoi bisogni.
Ma quella confessione faceva intendere tutt'altro.
Fabrizio annuì con un cenno, poi nascose il viso nel collo di Ermal, preoccupato per come avrebbe reagito.
Ermal lo osservò per un attimo attraverso lo specchio.
Sembrava così piccolo e impaurito di fronte a quella confessione così grande.
Gli strinse la mano - ancora stretta sui suoi fianchi - e senza alcun dubbio nella voce disse: "E allora troveremo il modo di farla funzionare."
  La conversazione con Fabrizio aveva contribuito a rendere Ermal più felice di quanto lo fosse appena arrivato a Napoli. Cosa difficile da credere, visto che era euforico praticamente da quando aveva aperto gli occhi quella mattina.
Si sentiva finalmente bene, soprattutto perché sapeva che non sarebbe stata una sensazione temporanea, destinata a svanire al termine di quella serata.
Avevano deciso di provare ad avere di più, di impegnarsi per fare andare bene le cose ed Ermal era certo che ci sarebbero riusciti.
Uscì dal camerino con il cellulare in mano, pronto a metterlo in modalità silenziosa prima di salire sul palco.
Fabrizio era un po' più avanti, stava facendo un video piazzato davanti alla porta del bagno. Ermal sorrise ricordando quante volte si erano trovati in situazioni simili nel periodo dell'Eurovision: entrambi con il cellulare in mano, pronti a scattare una foto o a registrare un video insieme.
Cliccò velocemente sull'icona di Instagram sul suo cellulare e avviò una storia, mentre raggiungeva Fabrizio.
"Bizio, levati dal bagno delle donne. Dai, che non è rispettoso" disse spingendo il più grande lungo il corridoio.
Poi, completamente vittima di tutta la felicità che stava provando, esclamò: "Ho trovato Bizio!"
Era felice come un ragazzino innamorato, come un bambino la mattina di Natale. E vedere sé stesso così felice riflesso in quello schermo gli fece capire davvero quanto dovesse essere grato a Fabrizio per tutta quella felicità.
"Sei consapevole di cosa stiamo provocando, vero?" disse Fabrizio camminando lungo il corridoio, i telefoni ormai rimessi in tasca e un sorrisetto stampato in faccia.
Ermal annuì sorridendo.
Certo che ne era consapevole. Sapeva perfettamente cosa provocava ogni minima interazione tra lui e Fabrizio.
C'era stato un periodo in cui quasi era stato infastidito dalle reazioni dei fan. Era stato il periodo in cui le cose tra lui e Fabrizio avevano iniziato a prendere una piega diversa, il periodo in cui Ermal si era reso conto che la notte trascorsa insieme a Sanremo non era stata solo una casualità, un momento di debolezza passeggero. E rendendosi conto che qualunque cosa ci fosse stata tra loro continuava a esserci, aveva iniziato ad avere paura delle reazioni degli altri, arrivando a reagire male ogni volta che qualcuno parlava di lui e Fabrizio insieme.
Aveva avuto bisogno di un po' di tempo per riuscire e farsi scivolare addosso ogni cosa e, anzi, arrivare al punto di essere contento di condividere parte della sua felicità sui social.
Era per quello che qualche giorno prima non si era fatto scrupoli a commentare la foto di Fabrizio con il soprannome che solo lui usava, seguito da un cuore giallo e uno blu. Ed era per quello che non si era fatto scrupoli a registrare quelle storie insieme su Instagram.
"Non sembra che te ne importi. È una novità" lo prese in giro Fabrizio.
Ma effettivamente era davvero una novità che Ermal fosse così indifferente alle reazioni che sicuramente avrebbe causato tra i loro fan.
"In realtà, credo di aver capito che se noi siamo felici, i nostri fan saranno felici per noi. Quindi onestamente mi fa piacere far vedere quanto mi rendi felice" confessò Ermal.
Poi si fermò in mezzo al corridoio e, prendendo il cellulare, disse: "Anzi, vieni qua che facciamo una foto."
Fabrizio si avvicinò a lui mettendosi in posa, così vicino a Ermal da sentire il suo respiro tra i capelli e il battito del suo cuore, che sembrava volergli uscire dal petto.
C'era qualcosa di diverso quella sera. Era come se finalmente avessero imparato a vivere il loro rapporto con naturalezza, fregandosene di tutto il resto.
"Se ci scrivi sotto che hai rincontrato tuo fratello dopo tanto tempo, questa notte ti faccio dormire sul pavimento" scherzò Fabrizio, mentre vedeva Ermal digitare velocemente qualcosa.
"Sei tu che hai iniziato a chiamarmi fratello. Io mi sono solo adeguato" rispose. Poi voltò il telefono verso Fabrizio facendogli leggere la didascalia dell'immagine e disse: "Va bene?"
Fabrizio sorrise alla vista del suo soprannome seguito da un cuore rosso e annuì.
Andava più che bene ed era fin troppo, considerato quanto si fossero nascosti fino a quel momento.
"La metto anche su Twitter. Lì però ci aggiungo anche un finalmente prima del tuo nome. Su Twitter sono più esigenti" disse Ermal scherzando.
Fabrizio si perse a guardarlo mentre fissava concentrato lo schermo del suo cellulare.
Aveva sempre pensato che Ermal fosse bello, in ogni momento e in ogni circostanza, anche alle 3 del mattino e con i capelli arruffati. Ma Ermal felice era decisamente la sua versione preferita.
Illuminava ogni cosa con il suo sorriso e sapere di essere causa di quella felicità lo faceva stare bene.
"Cosa canti questa sera?" chiese appena Ermal smise di prestare attenzione al telefono.
"Mi avevano chiesto di cantare Amara terra mia ma ho preferito scegliere qualcos'altro" rispose Ermal.
Fabrizio lo guardò stupito. Ermal solitamente non perdeva mai l'occasione di cantare la canzone di Modugno che gli aveva portato fortuna alla serata delle cover del festival del 2017.
"Non guardarmi così, tanto non te lo dico cosa canto. Lo vedrai."
"Non sarò qui quando canterai" gli ricordò Fabrizio.
In effetti secondo la scaletta Fabrizio avrebbe cantato a inizio serata e quindi lui ed Ermal avevano concordato di vedersi direttamente più tardi in albergo, dove Fabrizio lo avrebbe aspettato.
"In camera c'è il televisore. Accendi su Rai 1 e mi vedi" rispose Ermal con un'alzata di spalle.
La performance di quella sera era troppo importante, troppo personale per svelargli la sorpresa prima del tempo.
"Posso dirti solo una cosa" disse notando lo sguardo fintamente offeso di Fabrizio.
"Cosa?"
"Ricordati sempre che sei il mio punto fermo."
  Fabrizio non aveva capito cosa volesse dire la frase di Ermal.
O meglio, aveva capito il significato - era piuttosto ovvio - ma non aveva capito per quale motivo Ermal glielo avesse detto in quel momento.
Aveva anche provato a chiederglielo, ma Ermal aveva scosso la testa e aveva risposto: "Dopo capirai."
Ed effettivamente, quando il dopo era arrivato, aveva capito.
Ermal aveva cantato Almeno tu nell'universo e Fabrizio aveva seguito tutta l'esibizione sul televisore della loro camera d'albergo.
Gli si era stretto lo stomaco a vederlo così preso da quella canzone, così immerso in quelle parole. Gli si era bloccato il respiro quando alla fine della performance aveva visto i suoi occhi lucidi.
E il suo cuore aveva saltato un battito quando, sentendolo parlare con Bianca, aveva capito che per tutto il tempo Ermal aveva cantato per lui.
Aveva parlato di punti fermi, e finalmente Fabrizio aveva capito il perché di quella frase.
Era il suo punto fermo. Era il suo “almeno tu nell'universo”.
Afferrò il cellulare e cercò il numero di Ermal, avviando immediatamente la chiamata.
Ormai l'esibizione era finita, doveva essere sicuramente in camerino.
Il telefono suonò a vuoto per un po' prima che Fabrizio decidesse di riattaccare e inviargli un messaggio.
 Appena puoi chiamami. E muoviti a raggiungermi.
 Non vedeva l'ora di parlargli, di vederlo, di dirgli che ogni cosa di quella canzone la sentiva anche lui.
Che sarebbe sempre stato il punto fermo di Ermal, così come Ermal lo era per lui.
Passarono quasi venti minuti - durante i quali Fabrizio aveva quasi fatto un solco sul pavimento camminando avanti e indietro - quando finalmente Ermal lo richiamò.
"Ehi, finalmente!" disse Fabrizio rispondendo.
Ermal, dall'altra parte, sospirò. "Scusa. Riprendermi ha richiesto più tempo del previsto."
La sua voce era flebile e spezzata, aveva pianto.
"Che è successo?"
"È successo che ho deciso di cantare una delle più belle canzoni al mondo. E non mi sono accontentato di cantarla. L'ho interpretata, perché la sentivo talmente mia che non potevo cantarla e basta. Ed è stato troppo" spiegò Ermal.
"Hai pianto."
Non era una domanda. Conosceva Ermal troppo bene, non aveva bisogno di chiederglielo.
"Un po'."
Fabrizio rimase per un po' in silenzio, cercando di mettere in ordine i pensieri che gli vorticavano in testa.
Sentì Ermal ispirare rumorosamente, cercando di calmarsi dopo la crisi di pianto di qualche minuto prima.
Quando lo sentì finalmente più rilassato, si decise a dire: "Hai parlato di punti fermi prima di salire sul palco."
"Non volevo dirti che canzone avrei cantato, ma volevo che al momento dell'esibizione capissi che era per te."
"L'ho capito. Ma penso che ci sia molto di più dietro."
Ermal sorrise e annuì. "In effetti c'è."
C'erano un sacco di cose dietro quella canzone che Ermal non aveva mai tirato fuori e che ora invece sentiva di dover fare.
"Allora vieni in albergo. Non vedo l'ora di parlarne."
  Quando Fabrizio andò ad aprire la porta della camera e si trovò di fronte Ermal, non gli lasciò nemmeno il tempo di entrare.
Lo abbracciò sulla soglia, senza preoccuparsi che qualcuno potesse vederli.
Lo strinse a sé come non aveva mai fatto prima e sentì Ermal affondare il viso nel suo collo e respirare a fondo.
"Stai bene?" chiese in un sussurro, mentre erano ancora stretti l'uno all'altro.
"Sì, sto bene" rispose Ermal. Poi si scostò da lui e finalmente entrò in camera.
Si sfilò la giacca e la abbandonò sul bordo del letto, poi si passò una mano tra i capelli con un gesto svogliato.
Era stanco. Anzi, esausto.
Tutta la tensione accumulata nei giorni passati finalmente era scemata, lasciando solo una grande sensazione di stanchezza.
"Era una richiesta?" chiese Fabrizio all'improvviso, incapace di trattenersi ancora.
Doveva sapere cosa c'era davvero dietro quella canzone, quale fosse il vero significato che Ermal aveva scelto di attribuire alla sua esibizione di poco prima.
Ermal si voltò verso di lui comprendendo subito di cosa stesse parlando. "In parte. Una richiesta e forse qualche dubbio."
"Che vuoi dire?"
"In quella canzone c'ero io che ti chiedevo di essere il mio punto fermo, di restare con me nonostante tutto e tutti. E poi c'ero io che mi domandavo se sarò in grado di essere lo stesso per te."
Aveva scelto quella canzone perché la sentiva sua, in tutto e per tutto.
Ma quella sera, dopo che lui e Fabrizio avevano finalmente deciso di fare un passo avanti, se la sentiva cucita addosso più del solito.
Sentiva improvvisamente il bisogno di avere delle certezze, di chiedere a Fabrizio di stargli accanto davvero, di non abbandonarlo mai.
E allo stesso tempo si sentiva divorato dai dubbi, perché non era certo di poter dare a Fabrizio ciò che lui invece avrebbe preteso.
Ma Fabrizio, ancor una volta, era pronto a dissipare ogni dubbio è paura.
Raggiunse Ermal e gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo.
Solo quando fu certo che gli occhi di Ermal - seppur leggermente lucidi e offuscati - fossero puntati sui suoi, disse: "Sei il mio punto fermo da quando ti ho conosciuto. Quello che c'è tra noi è il mio punto fermo. Noi siamo un punto fermo."
Ermal chiuse per un attimo le palpebre, costringendo una lacrima che fino a quel momento era rimasta intrappolata tra le sue ciglia a scendere lungo la sua guancia.
Fabrizio la asciugò via con il pollice, prima di aggiungere: "Sarò il tuo punto fermo fino a quando mi vorrai."
"Sempre, Bizio."
Il più grande lo guardò per un attimo, indeciso se rispondere con una battuta sul fatto che fosse improbabile riuscire a sopportarsi per sempre, oppure se dirgli semplicemente che era disposto a regalargli ogni minuto della sua vita.
Sotto lo sguardo lucido di Ermal, però, la risposta possibile poteva essere una sola.
"Allora sempre, Ermal."
"Come abbiamo fatto ad andare avanti così fino a oggi? A credere che ci sarebbe bastato vederci ogni tanto e avere un rapporto senza impegno?"
Fabrizio scosse la testa. Non aveva davvero idea di come avessero fatto.
Si amavano. Era palese ormai.
Quindi anche lui non poteva che chiedersi come avessero fatto a mantenere un rapporto simile per oltre due anni.
Inspiegabilmente ce l'avevano fatta, ma a un certo punto era diventato insostenibile.
Sarebbero crollati da lì a poco, ecco perché Fabrizio quel giorno aveva ceduto.
E vista la reazione di Ermal, era felice di averlo fatto. Se non altro avrebbero provato a portare avanti una relazione normale, ben diversa da ciò che avevano avuto fino a quel momento.
"Comunque, a prescindere dalla crisi che ti ha provocato quella canzone, hai cantato benissimo questa sera" disse Fabrizio dopo qualche attimo, cercando di alleggerire la tensione.
"Sì?"
Fabrizio annuì. "Perfetto. Non che avessi dei dubbi al riguardo..."
"Temevo di combinare un disastro, di rovinare una delle canzoni più belle che siano mai state scritte" confessò Ermal.
Ora che l'esibizione era passata e aveva confessato a Fabrizio le sue paure, si sentiva molto meglio.
Si era tolto un peso che lo tormentava da giorni e finalmente sentiva di poter respirare di nuovo.
"Sei stato bravissimo. Mia Martini sarebbe orgogliosa di te" disse Fabrizio con un sorriso.
Ermal sorrise a sua volta prima di buttarsi di nuovo tra le sue braccia.
Sarebbe stato difficile addormentarsi quella sera, con tutte quelle emozioni che ancora gli scorrevano dentro, ma con Fabrizio accanto non sarebbe stato un problema.
Finalmente si sentiva bene e nemmeno la prospettiva di una notte insonne sembrava spaventarlo.
Tutto era finalmente al posto giusto.
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Quando le arti si incontrano: cinema, poesia, pittura, ovvero Tonino Guerra
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Piano piano ti prende quella lentezza di gesti quasi da uomo primitivo e siedi su lunghe e semplici panchine artigianali e ti pieghi a toccare l’erba magari per accarezzare una margherita.
 In autunno, il rumore di una foglia che cade è assordante perché con lei precipita un anno.
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L’amore per la natura, per le cose semplici, per il ritmo di una vita a misura d’uomo in cui hai e gusti il tempo per accorgerti di quello che di buono (e c’è, eccome!) ci circonda, l’esperienza del campo di internamento in Germania dove fu rinchiuso nel 1944 come antifascista, questi sono solo alcuni dei temi della ricerca di Tonino Guerra, ricerca che si esprime a livello creativo su diversi piani, da quello più noto di sceneggiatore (lavorò a qualcosa come 120 pellicole), a quello di scrittore (poesie, soprattutto in dialetto romagnolo, racconti e romanzi), a quello di pittore. Il 16 marzo ricorre il centenario della nascita di questo grande artista, di cui non possiamo certo esaurire la multiforme attività, ma vogliamo sia ricordare la sua partecipazione a grandi capolavori del nostro cinema, sia accennare a opere magari meno conosciute, ma sicuramente interessanti.
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Per esempio, assai fortunati sono coloro che non hanno ancora visto La decima vittima di Elio Petri (che per la sceneggiatura si è avvalso della collaborazione non solo di Tonino Guerra, ma anche di Ennio Flaiano), tratto dal racconto The Seventh Victim dello scrittore di fantascienza Robert Sheckley. Film satirico, originale, preveggente; ambientato a New York e a Roma, anticipa in pieno la moda dei reality, con in più l’effetto sadico della caccia all’uomo e la pop art di Lichtenstein e Warhol sullo sfondo. Autentico capolavoro, ingiustamente dimenticato, con Ursula Andress, di una bellezza mozzafiato, Elsa Martinelli, bruna e minuta, che non sfigura al fianco della bionda virago, Salvo Randone con dentatura d’acciaio e un Marcello Mastroianni in versione bionda, bello e bravo in qualsiasi foggia. Film intelligente, profetico, ricco di colpi di scena e di sensualità. Che dire di più? Una colonna sonora ai massimi livelli composta dal maestro Piero Piccioni e cantata da Mina.
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Con Petri Tonino Guerra ha collaborato anche per la sceneggiatura di L’assassino, bellissimo noir con un Mastroianni inedito nella parte di un uomo ambiguo, meschino, opportunista, e perciò potenzialmente sospetto, coinvolto in un delitto passionale, e ne I giorni contati, intensa vicenda esistenziale recitata da un Salvo Randone da Oscar, ma bravissimi anche Paolo Ferrari e Vittorio Caprioli.
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Il volumetto Arrivano le donne  ricorda l’urlo straziante di Ciccio Ingrassia abbarbicato alla pianta che invoca inesausto: “Voglio una donnaaa...”: esilarante scena di Amarcord, scritto dalla insuperabile coppia Fellini-Guerra. “Si tratta di una serie di piccoli racconti sulle donne che Tonino Guerra ha incontrato e conosciuto durante la sua lunga vita. Un ritratto dolce, amaro e intenso dell’anima silenziosa delle donne che ci circondano. Sono sempre state le donne nella storia a mandare avanti famiglia e società, perché come dice lo stesso poeta: la donna si nutre di sacrifici, l’uomo di desideri”. Nell’immaginario collettivo di quegli anni, e in particolare nel mondo romagnolo, ma soprattutto nella inesauribile fantasia felliniana la donna era un mito, un’ossessione, una panacea.
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Più lunga fu la collaborazione con Michelangelo Antonioni, che gli fruttò anche la nomination all’Oscar per Blow up: sceneggiò L’avventura, La notte (uno dei film preferiti da Stanley Kubrick), L’eclisse, Deserto rosso, Zabriskie Point, Al di là delle nuvole, Eros.
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Per Damiano Damiani Guerra curò lo script di La noia, tratto da Moravia, film interessante con una Catherine Spaak al culmine della carriera, sensuale e provocante, e Bette Davis nel ruolo della madre del protagonista. Ingiusta la stroncatura di Mereghetti per un’opera tuttora godibile e stimolante. 
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Per Vittorio De Sica Tonino Guerra collaborò alla sceneggiatura di Matrimonio all’italiana, da Filumena Marturano di Eduardo De Filippo. Che dire ancora di questo capolavoro assoluto? Solo due cose: vi consigliamo di guardare anche la versione cinematografica e/o teatrale con protagonista lo stesso Eduardo. Come seconda suggestione, la scena in cui la Loren racconta la verità all’ignaro Mastroianni, e buttandogli in faccia la banconota da cento lire recita: “I figli non si pagano” sortisce sempre lo stesso effetto di pelle d’oca…
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Con Mario Monicelli lavorò a Casanova ’70, Il male oscuro (da Giuseppe Berto), Caro Michele (da Natalia Ginzburg, sceneggiato insieme a Suso Cecchi D’Amico e magistralmente interpretato da Mariangela Melato).
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Ma l’esordio artistico di Tonino Guerra (laureatosi in Pedagogia nel 1946 all’Università di Urbino) è un libro di poesie in dialetto dal titolo I scarabócc con la prefazione di Carlo Bo. Ve ne proponiamo un breve saggio:
I pidriul ad saida                               Gl’imbuti di seta
E un dè la mi muraia                        E un giorno il mio muro l’era pina                                           era pieno ad pidriul ad saida                           d’imbuti di seta che fa i ragn.                                    che fanno i ragni.
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Poesia delicata e sempre legata alla natura, così come i quadri, le varie istallazioni artistiche, le stampe per teli e stoffe, con una predilezione particolare per le farfalle. Una figura di artista poliedrico, versatile, ricco di umanità che traspare da tutte le sue opere.
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skrabbyblog · 5 years ago
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03.02.2020
Il problema è che quando hai troppa poca autostima, non è semplicemente colpa delle tue paranoie, ma degli altri, principalmente. Perché quelle paranoie non si insinuano nella tua testa da un giorno all'altro. È qualcuno che le ha fatte nascere, e poi le ha alimentate. Da bambini non si pensa all'aspetto fisico, al carattere di una persona, ai suoi sentimenti. Non si percepisce minimamente l'esistenza di queste cose. Vedi le persone per come sono, e non ti senti in diritto di giudicare negativamente nessuno. Poi si arriva a un certo punto, verso i 9/10 anni, quando ci si avvia verso l'adolescenza, durante la quale improvvisamente si aprono gli occhi, e si cominciano a vedere gli altri con occhi diversi, con occhio critico. Poi, da persona a persona, ovviamente c'è chi continua la sua vita come ha sempre fatto, senza dar fastidio a nessuno. E c'è che invece deve per forza commentare, esagerando forse anche di proposito. Ed è allora che un giorno, le tue amichette ti guardano, e per la prima volta dopo anni di conoscenza, dalla nascita quasi, una di loro ti fa: 《Ma sei anoressica?》.
Tu rimani a guardarla, senza capire. Non sai nemmeno tu che significa, ma già percepisci che si tratta di qualcosa di negativo, e anche accusatorio. 《No.》 rispondi automaticamente, ma non sei sicura nemmeno tu di ciò che stai dicendo, perché potresti anche essere anoressica, ma non sai cosa voglia dire, e anche se fosse, perché dirlo ora?
A quella bambina si aggiungono altre due, che continuano 《Si, è vero! Sei anoressica!》. E così parte un simpatico coro di "sei anoressica! sei anoressica!" Mentre tu cerchi di ricacciare indietro queste accuse che non comprendi, ma senza riuscirci, e vieni sommersa.
Passano gli anni, e passa anche il ricordo di quell'episodio. Come se non fosse nulla di importante. E forse davvero non lo era.
Arrivi alle medie, conosci nuova gente, ti innamori la prima volta. Tutto scorre normalmente. Quando un giorno, una tua amica viene a dirti che una tua compagna di classe, che sinceramente non ti stava nemmeno tanto simpatica, ma con la quale cercavi comunque di andare daccordo senza litigare, ti parla dietro le spalle dicendo che sei "un'handicappata". Tu ci ridi pure su, e pensi "ma sta stronza!", tanto, non è nulla di significativo, un altro episodio isolato.
Poi durante le ore di educazione fisica c'è sempre quel ragazzetto che ti prendeva di mira anche alle elementari per ogni sbaglio che facevi. Quando non prendevi la palla, vai con le urla e gli insulti. Quando capivi male le regole di un gioco (negata per lo sport dalla nascita), vai di insulti di nuovo.
E allora comincia a nascere dentro di te una vocetta stupida, che però non puoi spegnere, che ti dice ogni volta "ecco, ora se non prendi la palla, quello ricomincia a gridarti addosso" "ecco, adesso ci stai mettendo troppo tempo ad andare a riprendere la palla, ti stanno guardando tutti, adesso qualcuno si lamenta" "ecco, lei è così brava a giocare, perché io sono così rincoglionita?" "ecco, adesso ti viene da piangere, stai già piangendo, lo stanno vedendo tutti, adesso penseranno che sei stupida".
Un giorno, state giocando al gioco della bottiglia durante un'ora di supplenza, tocca ad un ragazzo. Obbligo o verità? Verità. Chi è più bella, Silvia o *tizia*? *tizia*. E tu stai li con un sorriso imbarazzato, non sai se prenderla a ridere o no. "Dovresti prenderla a ridere, cioè, è quasi tuo cugino questo qua, che ti importa che pensa sia più bella un'altra ragazza e non tu? Ma non lo penserà solo lui, lo pensano tutti che sei brutta. Lo pensa anche lui, quel ragazzino del quale sei innamorata, anche lui sta ridendo con gli altri, pensa che sei brutta. Fai schifo, non piaci a nessuno. Nessuno si è sentito di smentire, quindi sei brutta davvero". Tu stai li con un mezzo sorriso, rossa, guardi in basso, e vorresti sprofondare dalla vergogna e dall'imbarazzo. Vorresti essere da un'altra parte.
Poi un giorno litighi con la tua migliore amica. Partono insulti da entrambe le parti, si, anche dalla tua parte, perché ti sei rotta di subire sempre, e per una volta vuoi cacciare tutte le cose tenute dentro per troppo tempo. Ma a un certo punto ti viene detto 《Col carattere di merda che hai ti ritroverai senza amici》. Pensi che sia una grande cazzata, ma non ne sei così sicura.
Arrivi alle superiori, e pare tutto nella norma anche qui. Ci sono alcune ragazze che non ti sono simpatiche, ma tu fai finta di niente. Anzi, no. Perché devo stare sempre zitta? Se non vogliono passarmi i compiti di matematica? A me servono, e ste stronze non vogliono darmeli. Allora iniziamo a litigare sulla chat del gruppo. Non so nemmeno come difendermi, contro 8 persone. 《Muori》 《Vaffanculo, Silvia, non rompere il cazzo》 《Eh, ma che è, non ti si può dire niente!》 《Non fare la vittima, dai su》.
Anche quando non litigate, provi a inserirti nel gruppo, fare amicizia, sembrare simpatica. Sembrare, perché magari non lo sei davvero. Forse sei veramente stupida. Ma nemmeno così funziona. 《Ma che cazzo vuoi?》 《Oh, ma sempre a rompe le palle stai?》.
Cambi scuola. La nuova classe sembra decisamente migliore. Tu sei decisa assolutamente a non commentare più nulla, a non arrabbiarti. Perché è sempre colpa tua se si litiga. E tutto fila liscio infatti.
Poi 2 anni dopo, un giorno, sei con le tue nuove amiche a chiacchierare, e si passa non si sa come a parlare di peso, di IMC, sovrappeso, sottopeso, eccetera. Fai il test con le altre ragazze, e esce che sei gravemente sottopeso. 《Eh, ma infatti sei anoressica》. Eccola. È tornata quella parola. Questa volta lo sai che significa, e non ti piace per niente. Perché, come quella volta di tanti anni prima, non è vero che lo sei. Ma continuano a dirtelo, perché? Solo perché sei un pò più magra delle altre. Solo perché non hai quasi per niente seno. Solo perché hai il sedere un pò schiacciato. Solo perchè hai le gambe un pò magre.
《Nooo, Silvia, sto vestito non ti sta bene secondo me》
《Ma mangi?》
E così via. Ricominciamo da capo.
Un giorno, le tue amiche tu fanno scoprire una nuova app, Twitter, e ti ci iscrivi. Ma per qualche motivo strano, loro non vogliono farti sapere quali sono i loro profili. "Ecco, lo vedi? Ti odiano anche loro. Forse ti parlano anche male alle tue spalle."
Un'altro giorno, sei costretta a portare lo zaino con le rotelle perché sulla schiena appena operata non puoi. E questo zaino sul marciapiede con le pietre fa tanto rumore. E tutti si girano a guardarti. Tutti ti guardano, qualcuna ride anche. Qualcuna lo chiama "il trolley". Anche le tue amiche ti dicono 《A Sì, certo che sto zaino fa casino》. Ma che, è colpa mia? "Sembri stupida, stupida e handicappata".
Tutti sembrano guardare te, e prenderti in giro, tutti ti giudicano senza che tu lo sappia. "Ecco, adesso entri in corriera per ultima, e rimani in piedi, tutti pensano che sei una sfigata, perché non sai nemmeno prenderti un posto. Ti guardano tutti e ti giudicano"
E stai lì, da sola in piedi come un palo, in corriera, e seduta lì di fianco c'è una ragazza, anche più piccola di te. La conosci appena di vista. Con la coda dell'occhio la vedi chattare con qualcuno su whatsapp. A un certo punto la vedi aprire la fotocamera interna, scattarti una foto di nascosto, e mandarla a qualcuno sulla chat. Non arrivi subito a capire cosa sia successo, ma quando te ne rendi conto non hai comunque la forza di dire niente. Forse hai visto male. No, hai visto benissimo, ma che puoi farci? Anche chi non ti conosce ti prende per il culo, è vero allora che tutti mi guardano e mi vedono stupida. E brutta, anche.
Inizia un giorno così, a salirti l'ansia. Un pò anche per la scuola, si, ma non solo. Non sai nemmeno tu per cosa sia. Ti senti inutile. Anche alcuni professori tu fanno sentire stupida e insignificante. Ti fanno sentire una nullità.
Finisce la scuola, finisce la maturità. Libertà. Adesso si che si vive. Posso anche uscire con le mie amiche e andarci a divertire. Peccato siano sparite tutte dopo gli esami. Non visualizzano i tuoi messaggi. Escono senza di te. Come se tu non esistessi. E piano piano inizi a sentirti sola, sempre più sola e fuori dal mondo. "Non hai amici, tutti ti odiano, aveva ragione *tizia* a dirti che hai un carattere di merda e ti ritroverai sola, e infatti è successo".
Un giorno, scopri che il ragazzo del quale sei innamorata fin dalle medie, non ti ricambia più. E ti senti stupida, e inutile, e brutta.
Un giorno, un ragazzo di nome Marco ti scrive, e per la prima volta non ti senti più brutta, stupida o inesistente. Ti senti apprezzata, desiderata, bella. Te lo dice anche lui 《per me sei bellissima》 e tu sei al settimo cielo.
Per una volta pensi anche tu che quella vocetta è stupida davvero, e decidi di non ascoltarla, di fidarti di qualcuno che sa usare bene le parole. Fin troppo bene.
《Sei troppo taciturna per me, Silvia, siamo troppo diversi》.
《Non mi sei mancata così tanto durante queste vacanze》
Eccola che torna.
"Sei brutta, non ti trova bella davvero. Gli fai schifo. Gli facevi schifo pure prima ma forse gli sembrava brutto dirtelo subito. Non piaci a nessuno, sei un cesso. Sei stupida e troppo silenziosa, sembri una mummia. Non parli mai, non sai mai che dire, sembri proprio scema. Non sai nemmeno tenerti un ragazzo, figurati, non gli sei mancata per niente, aveva di meglio da fare piuttosto che stare a pensare a te. Eccolo, si è già trovato un'altra ragazza. Sei anche facilmente rimpiazzabile. Sei convinta di essere diversa, e infatti lo sei,ma non per questo sei speciale. Non sei nessuno, ne per lui, ne per gli altri. Tutti si dimenticano della tua esistenza, non vali niente. Niente.
E così via. Sempre più forte. Fino a quando non ti ritrovi a piangere nella tua camera da sola, a 20 anni. Piangere silenziosamente, trattendendo i singhiozzi, ma non le lacrime, per non farti sentire.
E per quanto tu possa pensare che la bellezza non è tutto, che troverai altri amici, altri ragazzi, che devi amarti per quello che sei, non ci riesci. E torna sempre quella stupida vocetta malefica, che ti sbatte in faccia la realtà.
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