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#La curiosità esistenziale
klimt7 · 6 months
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C'è la vita che viviamo, e poi ai lati ci sono spazi immensi, nei quali non mettiamo mai piede.
Perché?
Perché ci costringiamo a rinchiuderci nello spazio angusto e breve delle nostre abitudini mentali e della nostra pigrizia intellettiva?
Perché non preferiamo fare un passo da parte, rompere il sentiero battuto, cambiare direzione e prospettiva? Perché non vogliamo mai lasciare il gregge?
Io lo faccio fin da bambino, allenato e spronato dai nonni materni che ho avuto.
Uscire sotto la luna, nel giardino-cortile dei nonni. È così che ho sfidato fantasmi e incubi notturni. Quelli stessi che si affollavano nei miei sogni inquieti. E così ho iniziato a farlo nonostante la paura del buio, per sfidare il mio stesso panico, il disorientamento che ti da l'oscurità, il cuore in gola per i rumori sospetti al di lá della siepe.
E crescendo mi sono ritrovato sul terreno dei margini, dei bordi, con l'intenzione di sfidare i limiti, con pensieri insoliti e ribelli.
Il mio approccio alla poesia ha sempre avuto questa qualità rischiosa. Il rischio di non essere compresi.
Perchè dentro di me, abitava il desiderio di un’esperienza diretta, personale, tattile, quotidiana e travolgente.
Perché mi importava cosa arrivava e di come si sentiva la mia pelle. Di persona.
Era il desiderio di scoprire terre incolte, angoli sparsi, limiti e contorni, come se stessi accarezzando il mondo e, attraverso questo atto, ricrearlo daccapo!
Mi ha sempre attanagliato la curiosità, il bisogno di stare attento e di sperimentare in prima persona, evitando nozioni teoriche e astratte. Mi sono concesso il privilegio di scoprire l'universo come lo guardassi per la prima volta.
Occhi innocenti e mente da esploratore!
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micro961 · 5 months
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Mazma Rill - L’album “Lost in Space”
Il nuovo album dell’alternative rock band è finalmente fuori sugli stores digitali e a breve anche in vinile in Limited Edition
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“Lost in Space” è il nuovo e attesissimo album dell’eclettica e poliedrica alternative rock band dei Mazma Rill, sui principali stores digitali e in vinile in Limited Edition. L’album è stato anticipato da ben tre singoli riportando plausi da pubblico e critica. Importanti i riconoscimenti ricevuti in questo ultimo anno di attesa e le molteplici pubblicazioni sulle maggiori testate nazionali di settore e non ne sono una piacevole conferma, come l’anteprima nazionale del videoclip di “Blow A Kiss” su Sky Tg24. A seguire il tormentone “No One” che mirava già ad una ricerca stilistica e a una rivoluzione sonora ben anticipata dalla struggente ballad, che contribuiva a far capire che le vecchie spoglie non erano state rinnegate, ma bensì evolute e lavorate con estrema cura e passione. Per poi concludere il lancio con l’omonimo singolo “Lost in Space” che sanciva il legame con una rivoluzione personale e musicale, solide basi per il proprio futuro artistico. Potente la magia di una band quando in pieno old style, crea con devozione e rispetto nelle centinaia di ore in sala prove e studi di registrazione a conferma di una ricercata e raggiunta professionalità. Gli arrangiamenti curati maniacalmente nel dettaglio, i mix di generi volti ad esplorare nuovi confini sonori e le tematiche nei testi, ancora più introspettivi ma contemporanei, premiano “Lost in Space” come il miglior lavoro discografico dei Mazma Rill che vantano oltre dieci anni di carriera, tra pubblicazioni e palchi in giro per l’Italia. Menzione d’onore anche per l’esperienza positiva nei riscontri, oltrepassando l’oceano per finire in magazine e radio americane che attendono ora questo nuovo album con estrema curiosità. L’album è stato registrato interamente presso lo storico Busker (Ligabue, Zucchero, Nomadi, Stadio, Nek, Ivano Fossati, Vinicio Capossela, Negrita, Modena City Ramblers e molti altri) sotto l’esperta direzione di Fabio Ferraboschi.
Ascolta l’album
“Lost in Space riflette l’incertezza che stiamo vivendo in questo periodo storico. L’avvicendarsi di pandemie, guerre e cambiamenti climatici ci ha reso vulnerabili e, metaforicamente parlando, ci fa sentire smarriti come persi nello spazio proiettandoci nell’incertezza del futuro, nella fragilità della propria condizione sociale e in uno stato di insicurezza esistenziale.” Mazma Rill
Track By Track
Facebook: https://www.facebook.com/mazmarill
Instagram: https://www.instagram.com/mazmarill/
YouTube: https://www.youtube.com/@mazmarill
Web Site: https://www.mazmarill.it/
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bibliotecasanvalentino · 10 months
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: NN Editore
Buona lettura a tutti!
ℚ𝕌𝔸𝕃ℂ𝕆𝕊𝔸 ℕ𝔼𝕃𝕃𝔸 ℕ𝔼𝔹𝔹𝕀𝔸 – ℝ𝕠𝕓𝕖𝕣𝕥𝕠 ℂ𝕒𝕞𝕦𝕣𝕣𝕚
«Ho scritto un libro che parlava di come ci si possa sentire in gabbia di fronte all'infinito, ora, nei racconti che ho iniziato, sento che c’è qualcosa di diverso, qualcosa che non capisco. Voglio scoprire dove mi sta portando, ascoltare ciò che mi sta chiamando.»
Può il confine tra finzione e realtà diventare sempre più labile tanto da consentire ad uno scrittore di incontrare e guardare negli occhi i propri personaggi? Questo è ciò che accade in “Qualcosa nella nebbia”, di Roberto Camurri, un romanzo in cui l’autore prova a descrivere il malessere esistenziale che può sottendere al processo creativo.
Il lettore si trova di fronte ad un vero e proprio metaromanzo, poiché il protagonista è lo scrittore Roberto alle prese con la stesura della sua nuova opera, una raccolta di racconti incentrati sulle vicende di Andrea detto Jack, Alice e Giuseppe che vivono nel comune di Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia.
Andrea è un giovane uomo consumato dalla vita; da bambino è stato vittima di bullismo e, una volta cresciuto, ha sviluppato una dipendenza da alcol e droghe. Un evento del passato lo ha segnato inesorabilmente: l’arrivo di una strana famiglia nella casa accanto alla propria, che sarà vittima di un’immane tragedia. Andrea ha un’unica amica alla quale è molto legato, Alice.
Alice è la sola ad andare via da Fabbrico per inseguire sogni di fama e fortuna. È diventata una star televisiva da reality show, ma non può fare a meno di tornare al paese d’origine. È anche il personaggio più complesso e sfaccettato: vuole rinnegare le proprie radici, ma non riesce a stare lontana da Fabbrico per troppo tempo. Cerca l’amore, ma si butta via lasciandosi coinvolgere in storie con uomini sbagliati che la umiliano e la maltrattano.
Giuseppe è un tipo piuttosto introverso. È il grande amore di Alice, ma il loro è un rapporto fatto di assenza e grandi silenzi. Il legame col padre alcolizzato è stato fonte di grande sofferenza e lo ha portato a chiudersi in se stesso a tal punto da diventare estraneo a ciò che lo circonda.
Lo scrittore Roberto, che tira le fila delle varie vicende, è un uomo profondamente irrisolto e insoddisfatto e questo lo spinge a provare molta rabbia nei confronti della moglie, donna solida, accogliente e pragmatica, e della figlioletta. Attraverso la scrittura Roberto attiva un processo di catarsi che gli consentirà non solo di annullare la distanza tra sé e i personaggi da lui creati, ma anche di ricordare un evento tragico del suo passato nascosto nei recessi più profondi della memoria.
La Fabbrico descritta da Camurri non è reale, piuttosto è cupa, fosca, sotterranea poiché riproduce i moti dell’anima dello scrittore e dei suoi personaggi. È il luogo in cui si creano rapporti, si stringono amicizie, ma anche quello dove avvengono fatti di sangue e in questo romanzo, di violenza sia fisica che psicologica, ce n’è davvero tanta. La scrittura è estremamente intima e scava nell'anima dei protagonisti mettendone a nudo gli stati d’animo, i sentimenti e le debolezze.
Leggendo questo libro è impossibile non provare un profondo senso di malessere e di straniamento, simile a quello derivante dalla visione di un film di David Lynch. Allo stesso tempo, non si può non restarne invischiati: il senso di fascinazione che le vicende e i personaggi esercitano sul lettore non lasciano scampo.
Infine c’è la nebbia che nasconde luoghi, oggetti, persone e quel qualcosa di cui tutti noi, in fin dei conti, siamo alla ricerca.
COSA MI È PIACIUTO
Ho amato molto l’elemento metanarrativo del romanzo e il modo in cui il protagonista cerca di entrare nel libro che sta scrivendo. Inoltre ho apprezzato il colpo di scena finale.
COSA NON MI È PIACIUTO
L’estrema violenza e la volgarità del linguaggio in alcune delle situazioni narrate.
L’AUTORE
Roberto Camurri è nato nel 1982, undici giorni dopo la finale dei Mondiali a Madrid. Vive a Parma ma è di Fabbrico, un paese triste e magnifico che esiste davvero. È sposato con Francesca e hanno una figlia. Lavora con i matti e crede ci sia un motivo, ma non vuole sapere quale. Il suo libro d’esordio, “A misura d’uomo” (NNE 2018), ha vinto il Premio Pop e il Premio Procida ed è stato tradotto in Olanda, Spagna e Catalogna. Il suo secondo romanzo, “Il nome della madre”, è stato tradotto in Olanda e Germania. “Qualcosa nella nebbia” è il suo terzo romanzo.
LA CASA EDITRICE
NN Editore ha avuto inizio il 19 marzo 2015, quando sono usciti in libreria “Benedizione” di Kent Haruf e “Sembrava una felicità” di Jenny Offill. Fin dal nome - NN sta per nomen nescio, nome sconosciuto, come nella carta d’identità degli "orfani" di padre – la casa editrice ha voluto dare risalto al tema della ricerca d’identità nel mondo contemporaneo, insieme alla qualità della scrittura e all'empatia suscitata nei lettori dalla voce degli scrittori al di là dei generi e della nazionalità degli autori. Il catalogo di NN non ha collane, ma si sviluppa in Stagioni, Trilogie e Serie. Ogni stagione illumina un tema specifico legato alla ricerca d’identità, come il peso di ruoli e relazioni, l’eredità del passato, gli alleati e i nemici nella ricerca del proprio posto nel mondo. In questo modo, i libri sono legati tra loro da invisibili fili rossi, a costituire nel loro insieme un ideale percorso di lettura.
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kon-igi · 3 years
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Ciao dottore permettimi una piccola curiosità per calibrare la mia bussola. Chi sono le persone più intelligenti che hai conosciuto e soprattutto che tipo d’intelligenza possiedono?
Intanto ti ringrazio della domanda - che in questo periodo mi serve per tirare alcune somme e focalizzarmi sulle mie priorità - e poi colgo l’occasione per scusarmi con tutti quelli che aspettano una mia risposta a un loro ask... pazienza ché forse ho il bandolo e a breve finirò di riavvolgere la matassa.
La persona più intelligente che io conosca è un mio vecchio pluritrentennale amico che per comodità e privacy chiamaremo Er Canaro.
E sai perché posso permettermi di dare questo giudizio su di lui?
Perché lo conosco da più di trent’anni e ho avuto modo di vedere e vivere la sua interazione con il mondo e le persone. 
Io posso dirti che Alberto Angela è interessante, che Burioni è esperto, che Neil deGrasse Tyson è geniale e che Guccini è un poeta ma alla fine io non so nulla di loro e della loro ‘intelligenza’...
Intelligenza, per me, è capacità di codificare ciò che succede attorno e saper leggere un disegno di cui è possibile seguire le linee fin dalla penna del disegnatore fino al progetto finale.
Per ciò che mi riguarda, in questo preciso istante potrei prendere il kukri che ho sotto la scrivania e cavarmi entrambi gli occhi, tanto poco m’importa dell’apparenza fisica della maschera delle persone, il principale e più diffuso modo di valutare se una persona sia considerata interessante e degna o meno di essere conosciuta e frequentata.
Intelligenza Emotiva, per rispondere alla seconda parte della tua domanda... la capacità di comprendere e interlacciare in modo funzionale le proprie emozioni con quelle delle persone attorno.
E dall’Intelligenza Emotiva a quella Esistenziale, che delinea la capacità riflessiva di comprendere e ragionare su argomenti come la coscienza umana, il modo della natura e i moti dell’universo.
Ieri sono stato paralizzato per 30 minuti alla Brico perché avevano i piastroni da giardino di una misura diversa da quella prevista e sono andato via senza perché non sono stato capace di capire come tagliarli e quanti prenderne; guardo le specifiche di un trapano a batteria e nonostante tutti i vostri sforzi educativi non distinguo Watt, Volts e Ampere; non ce la faccio a capire la differenza tra Camera e Senato, piango tutte le volte che devo estrapolare il 20% di ritenuta d’acconto e quando vado a votare mi devo scrivere il candidato sul palmo della mano sennò mi confondo e metto la croce sui Savoia.
Però se c’è da discutere sulla Vita, L’Universo e Tutto Quanto, tenetemi la birra... anzi, prendetene una anche voi e sediamoci a parlare.
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girulicchio · 3 years
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Evoluzione di un personaggio (autoritratto)
All'età di circa due anni sarò stato un bambino normale. Parlavo, camminavo, scoprivo cose con una certa curiosità. Poco dopo, diciamo all'asilo, ho iniziato a sviluppare una propensione all'apprendimento poco sopra la media. E lì nacque il dramma: mia madre iniziò ad elogiarmi come fossi stato un bambino prodigio. Altro che Leopardi, Manzoni, Leonardo. Tutti spanne sotto il sottoscritto. Disegnavo - sempre a suo dire - con pieno controllo di prospettive, ombre e sfumature. Leggevo articoli di giornale e li commentavo con fare critico e arguto. Scrivevo poesie, probabilmente prima ancora di sapere cosa fossero. C'è da apprezzare, visto il contesto, che non mi abbia definito anche una promessa dello sport. E soprattutto mia madre non mi ha mai permesso di farne, incutendomi terrore, come se l'attività motoria potesse essere una guerra contro un'esercito piuttosto che una sana sfida tra bambini in quello che essenzialmente sarebbe stato un gioco come un altro. Del resto, sono stato goffo e impacciato fin da piccolo e solo oggi mi chiedo se sia causa o effetto delle scelte non mie.
Ma parliamo anche di quando ho iniziato ad acquisire coscienza. All'età di sei anni, quando finalmente era finito lo strazio delle recite di fine anno, ho iniziato a trovare la mia dimensione. Ho fatto progressi rapidi nella lettura e nella scrittura e ho provato il piacere di scrivere quello che penso per le prime volte - stavolta per davvero. Ho iniziato a scrivere di me e da allora non ho mai smesso.  Credo che si sia sempre letto molto egocentrismo nelle mie parole, ma ho fatto di tutto per costruire sempre immagini tanto belle da nascondere il resto. Sono passato dall’amore spassionato per i dettagli, per le figure retoriche, per testi vuoti in termini di contenuto, ma ricchi di immagini, a satira tagliente, sarcasmo pungente e altri modi repellenti che, invece, sottolineassero con incredibile antipatia quanto mi sentissi al di sopra del resto del mondo.  Ecco, quello è stato il periodo dell’adolescenza, come si può intuire. 
Con l’età adulta, ho messo da parte gli orpelli e le presunzioni e ho finalmente risposto alla domanda esistenziale: perché scrivo? Prima scrivevo perché pensavo di saperlo fare, prima ancora perché mi piaceva l’idea di lasciare nero su bianco i miei pensieri. Ora so che scrivo perché mi piace farlo, perché mi permette di capire qualcosa in più di me quando rileggo pensieri di molti anni prima o quando lascio dei moniti, delle profezie e posso riderne per la loro assurdità o compiacermi della loro precisione. 
Oggi, essenzialmente, scrivo per costruire il mio personaggio nel tempo. Non credo che sarò tanto importante un giorno da poter avere un’autobiografia, né avrei davvero la voglia di far leggere ad altre persone qualcosa che non riguarda nessun altro che me. In questo modo, però, mi guardo da fuori. E imparo a conoscermi sempre di più, ad apprezzarmi e a migliorarmi.  
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gloriabourne · 5 years
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Non sarei io se ogni tanto non facessi un post sfogo.
Tanto sapete già dove andrò a parare.
Il commento di Ermal sotto il post di Fabrizio, esatto.
Ma più che altro certe reazioni che ho letto su Twitter. E il post lo faccio qua perché tanto lo so che la gente di Twitter ha occhi ovunque, anche qui, e almeno su Tumblr ho più caratteri a disposizione.
Ho letto post di gente che diceva che Ermal ci stesse perculando con quel commento. Raga, ma quanti anni pensate che abbia? Ne ha quasi 40, se pensate che si metta a perculare la gente come i ragazzini delle medie che si fanno i dispetti avete qualche problema. Più che altro mi domando, se la pensate in questo modo, perché seguite qualcuno che secondo voi ha evidentemente un'età mentale di non più di 12 anni.
Capisco che voi che dite queste cose avete effettivamente una maturità mentale di un bambino delle elementari e quindi vi fa comodo pensare che anche gli altri siano così per non sentirvi soli, ma mi spiace deludervi. Certa gente con gli anni matura e smette di prendere per il culo gli altri.
Ovviamente non è il vostro caso, mi spiace per voi.
Altra cosa: quando dite che Ermal parla di gialloblu perché voi avete coniato questo termine, fate seriamente?
Prima cosa, ha messo due cuori colorati, non ha parlato di gialloblu. Seconda cosa: ma chi vi si incula? Spoiler: Ermal sicuramente no.
Ultima cosa e questa è una mia curiosità personale: ma perché dite/fate/scrivete certe cose in un determinato fandom, su una determinata ship, e poi andate a mettere like a chi prende per il culo la suddetta ship e suddetto fandom? È una domanda seria, non capisco perché lo fate. È come essere vegani e mangiarsi una bistecca.
E con questa domanda esistenziale vi lascio, portandomi dietro la mia espressione perplessa stile Britney Spears che caratterizza la mia faccia da ieri sera.
Baci e abbracci 💚
P.S.: io sono in grado di avere rapporti civili anche con chi non shippa metamoro, e molte persone che non li shippano riescono ad avere rapporti civili con chi invece supporta la ship. Come mai certa gente non ci riesce? Eppure vi assicuro che è facile, basta comportarsi da esseri umani normali 😊
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Fin dall'infanzia aveva coltivato il desiderio di morire, di togliersi la vita, come si suol dire, però non si era mai concentrato su questo desiderio fino al limite estremo. Non era riuscito a rassegnarsi al fatto di essere stato partorito in un mondo che in sostanza e fin dall'inizio lo aveva sempre disgustato in tutto e per tutto. Poi era cresciuto ed aveva creduto di poter uccidere in sé questo desiderio, pensava che esso ad un tratto sarebbe svanito, invece questo desiderio era diventato di anno in anno più intenso, anche se, così lui, l'intensità e la concentrazione su questo desiderio non erano giunte al limite estremo. La mia inesauribile curiosità ha impedito il mio suicidio, così lui, pensai. Noi non perdoniamo al padre di averci fatti, alla madre di averci gettati nel mondo e alla sorella di essere la perpetua testimone della nostra infelicità. Esistere, in sostanza, non significa nient'altro che questo: essere disperati, così lui. Mi alzo, penso con ribrezzo a me stesso e tutto ciò che mi aspetta mi fa orrore. Mi sdraio sul letto, non desidero nient'altro che morire, non svegliarmi più, poi invece mi risveglio e l'orrendo processo si ripete, seguita a ripetersi per cinquant'anni, così lui. Pensare che per cinquant'anni non abbiamo nessun altro desiderio se non quello di essere morti, eppure seguitiamo a vivere e non possiamo farci niente perché siamo incoerenti da cima a fondo, così lui. Perché siamo la meschinità in sé, l'abiezione in sé. [...] Non abbiamo talento esistenziale. [...] Non siamo neanche capaci di vivere, non siamo in grado di esistere, giacché in verità non esistiamo, ma piuttosto veniamo esistiti!
— Thomas Bernhard, Il soccombente
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fashionbooksmilano · 4 years
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Imaginarium
Un compendio di ispirazioni
Sibella Court
L’ippocampo edizioni, Milano 2019, 272 pagine, ISBN  978-88-6722-440-1
euro 49,90
email if you want to buy: [email protected]
Otto anni dopo il suo ormai leggendario "Etcetera, il gusto di arredare con le cose che si amano", Sibella Court torna alla ribalta con questo nuovo libro in cui, oltre a rivisitare le tante ispirazioni attinte alla Via della Seta, ritrova felicemente le proprie origini australiane. " Imaginarium è una miscela di passato e presente, un alternarsi di foto dei miei tanti viaggi, di interni e oggetti da me progettati. Qui si dispiegano le palette cromatiche con cui mi piace lavorare in un flusso ritmico di colori, fino ad approdare in un luogo dove la narrazione non ha bisogno di parole. Colleziono non solo oggetti, ma esperienze, ricordi, colori, profumi e idee. Tutto confluisce in una sorta di catalogo esistenziale che la fonte delle mie ispirazioni creative. Un po' archivio e un po' gabinetto delle curiosità: questo è il mio Imaginarium ."
13/06/20
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ikasdu64 · 5 years
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Fin dall'infanzia aveva coltivato il desiderio di morire, di togliersi la vita, come si suol dire, però non si era mai concentrato su questo desiderio fino al limite estremo. Non era riuscito a rassegnarsi al fatto di essere stato partorito in un mondo che in sostanza e fin dall'inizio lo aveva sempre disgustato in tutto e per tutto. Poi era cresciuto ed aveva creduto di poter uccidere in sé questo desiderio, pensava che esso ad un tratto sarebbe svanito, invece questo desiderio era diventato di anno in anno più intenso, anche se, così lui, l'intensità e la concentrazione su questo desiderio non erano giunte al limite estremo. La mia inesauribile curiosità ha impedito il mio suicidio, così lui, pensai. Noi non perdoniamo al padre di averci fatti, alla madre di averci gettati nel mondo e alla sorella di essere la perpetua testimone della nostra infelicità. Esistere, in sostanza, non significa nient'altro che questo: essere disperati, così lui. Mi alzo, penso con ribrezzo a me stesso e tutto ciò che mi aspetta mi fa orrore. Mi sdraio sul letto, non desidero nient'altro che morire, non svegliarmi più, poi invece mi risveglio e l'orrendo processo si ripete, seguita a ripetersi per cinquant'anni, così lui. Pensare che per cinquant'anni non abbiamo nessun altro desiderio se non quello di essere morti, eppure seguitiamo a vivere e non possiamo farci niente perché siamo incoerenti da cima a fondo, così lui. Perché siamo la meschinità in sé, l'abiezione in sé. […] Non abbiamo talento esistenziale. […] Non siamo neanche capaci di vivere, non siamo in grado di esistere, giacché in verità non esistiamo, ma piuttosto veniamo esistiti!
Thomas Bernhard, Il soccombente
Opera di Lotta van Droom 
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Eppure mi hai cambiato la vita
Parte due
Ho continuato a tenermi il passato cucito addosso per più di dieci anni ma un paio di settimane fa finalmente ho riempito le mie valige e sono partito verso Roma. Alla fine mi sono convinto e l'ho fatto, me ne sono andato e ho raggiunto il mio amico. Nuovo posto, nuova gente, nuova vita, mi sembrava veramente di aver finalmente chiuso i conti con il passato, di poter ricominciare tutto da capo senza il peso opprimente dei ricordi. Vedere Leo così tranquillo, così preso dalla sua nuova vita mi aveva convinto che forse c'era una possibilità per uno tormentato come me. Massì, va bene ricominciare qui, è il posto perfetto. Anche se il cuore continuava a battermi forte ogni volta che uscivo di casa e incrociavo un qualsiasi essere umano che me lo ricordasse anche per dettagli insignificanti. Lo stesso taglio di capelli, gli stessi occhi scuri, la stessa improbabile risata. Lui era ovunque e stavo impazzendo.
Per il primo mese non ho fatto nulla se non avere la paranoia ogni volta che mettevo piede fuori casa. Così Leo ha iniziato a suggerirmi di cercare un lavoro, una distrazione, sapevo che la sua pazienza stava finendo ma ehi, io ero in una piena crisi esistenziale che lui non poteva certamente capire. Lui sa a malapena di Fabrizio, figuriamoci se sa che mi sono appena imbucato nella tana del lupo solo per dimostrarmi che posso sopravvivere. Quindi mi sono limitato ad annuire un paio di volte finché stamattina mi sono ritrovato spedito fuori casa a calci in culo con la minaccia di dormire sulle scale del cortile se non mi sforzavo minimamente di fare qualcosa della mia vita. E ok, lo capisco benissimo quindi ci ho messo poco a convincermi a scendere in città alla ricerca di un qualsiasi cosa non sia "disperarsi a casa per essermi buttato in una cazzata più grande di me che nessuno capisce a mia esclusione."
Le strade sono piene di persone verso l'una, io è un po' che passeggio e non ho concluso molto. In realtà nulla. Mi sono reso conto con rammarico che probabilmente dovrei partire con aspettative piuttosto basse per il momento, sempre se ci tengo a tornare a dormire su un materasso vero. Questa prospettiva non mi fa impazzire ma alla fine sono venuto qui un po' troppo a caso e senza preparazione per avere qualsiasi tipo di pretesa. Così mi arrendo e metto da parte la vocina che mi dice "Hai studiato per fare molto di più nella vita!" e mi imbuco in dei bar a caso per chiedere se cercano nuovi dipendenti. Ho pure un po' di fortuna dal momento che da alcuni di quei bar me ne esco tutto contento con un foglio in mano pieno di numeri e "ci faremo risentire presto!" promessi con dei sorrisi smaglianti. A quanto pare in centro c'è una carenza di persone laureate in lingue che hanno voglia di buttare i loro anni di studio lavorando in un bar, chi lo avrebbe mai detto.
Mi siedo su una panchina con una leggera sensazione di soddisfazione che aleggia fra me e quei turisti distratti che mi passano davanti, uno uguale all'altro.
Oggi ero talmente distratto dalla mia missione che non ho nemmeno avuto tempo per farmi paranoie su Fabrizio, ero talmente preso dal mio presente che sono riuscito a dimenticarmi per mezza giornata del mio passato. Mi fa talmente strano pensarci che per un secondo mi sento vuoto come se la mancanza del pensiero di Fabrizio avesse lasciato un buco, che si riempie quasi subito della solita malinconia con contorno di rabbia e rimpianti. Sono a Roma per chiudere questo capitolo perché se qui, dove la presenza del suo ricordo diventa quasi fisica, riesco ad andare comunque avanti posso dire di essere libero, di aver vinto. E poi quante possibilità ci sono che me lo ritrovi davanti? Una su un milione se mi va bene? Dai, potrei quasi uscire vivo da questo mio tentativo di suicidarmi definitivamente a livello emotivo.
Dopo aver concluso la mia sessione giornaliera di "auto incoraggiamento a sopravvivere alle mie stesse paranoie", mi ricordo di non aver ancora mangiato nulla e la fame mi attacca come se ne fosse ricordata pure lei in quel momento. Sposto lo sguardo in giro alla ricerca di un posto in cui andare e opto di andare a mangiare qualcosa di veloce in uno di quei bar in cui non sono ancora stato, giusto per finire di catalogare mentalmente la quantità allucinante di edifici che mi ritrovo attorno. Roma è parecchio più grande di quel che mi aspettassi, ci si rischia di perdere al solo pensiero, figuriamoci gironzolare un po' a caso come faccio io che poi di senso dell'orientamento sto a meno uno.
Mi alzo e dopo aver ricevuto un'occhiataccia da parte di una turista che aspettava di sedersi su quella panchina da mezz'ora, mi avvio verso il primo bar che attira la mia attenzione. Non è proprio quel genere di posto che si può definire carino ma sicuramente ha un suo perché, uno stile a metà fra il rustico e il retrò che gli da un'aria esterna un po' improbabile. Mi convinco ad entrare spinto si dalla fame, ma anche da un'innata curiosità che mi si è insinuata in un angoletto della testa appena ho visto questo posto. Anche l'interno si riconferma improbabile, la prima cosa che si nota è questo gigantesco lampadario antico provato a rimodernare seguendo uno stile inesistente riassunto con un'accozzaglia di tante foto e cartoline attaccate un po' a caso. Lo osservo per un po' meravigliato alla ricerca di posti che ho visitato anche io. Trovo in un angolo una foto della mia Albania, una cartolina di Bari, di Firenze, Milano, Atene, qualche paesaggio spagnolo e tanti altri posti meravigliosi che però mi sfuggono. Alle mie spalle si avvicina qualcuno ma io sono ancora tutto preso dall'ammirare quel buffo e al contempo bellissimo lampadario.
<Bello, eh? E' quello che è grazie ai miei viaggi, con qualche contributo dei clienti più affezionati> gli si sente il sorriso nella voce mentre mi si avvicina ulteriormente.
Ci manca poco che mi prenda un colpo e muoia nel posto esatto in cui mi trovo. Mi sto sentendo male perché questo non è possibile, perché sono passato di fronte a questo bar almeno cento volte solo questa mattina e non posso credere che lui fosse qui per tutto questo tempo. Sotto il mio naso. Lui. Una possibilità su un milione. Una, cazzo. Davvero mondo, davvero?
<Tutto apposto, amico?>
Sobbalzo quando un Fabrizio Mobrici con una decina di anni in più mi si piazza davanti con un sopracciglio alzato. Mi fissa perplesso per un attimo senza capire, si chiede sicuramente che cazzo di problemi mi affliggano a starmene impalato di fronte a lui come mi fosse appena apparsa la Madonna. Ma poi finalmente capisce. Gli occhi gli si illuminano di consapevolezza e brillano come la prima sera in cui ci siamo conosciuti. Il bicchiere che stava per mettere a posto gli cade di mano e i suoi occhi si incollano ai miei come se ne dipendesse la vita di entrambi.
<Ermal...> lo sussurra appena e mi chiedo come riesca a parlare perché io mi sento gelare fino al centro delle ossa, l'unica cosa che da segno di vita è il cuore, che batte impazzito come se si stesse scavando una via di fuga da questa situazione. Probabilmente proverei anch'io a scappare se non mi fossi ghiacciato alla prima sillaba che ha pronunciato. 
Ebbene eccolo, per anni ho segretamente sognato di rivederlo e ora lui è qui di fronte a me in carne, ossa e un sacco di inchiostro. Gli fisso le braccia tatuate per staccare gli occhi dai suoi perché inizia a far male, sento tutti i ricordi repressi fare capolino insieme alle lacrime e non ho proprio voglia di fargli vedere quanto mi ha fatto male la sua assenza.
<Fabrizio...> la voce mi trema e mi maledico perché dopo tanti anni mi fa ancora un grande effetto solo dire il suo nome, figuriamoci averlo a due palmi da me. E' così fottutamente vicino e non accenna ad allontanarsi...
<Tu... cosa ci fai qui? Cioè, insomma, qui siamo a Roma e...> ha la faccia di uno che ha bisogno di sedersi per non cascare per terra dallo sgomento insieme al bicchiere che adesso se ne sta in frantumi ai nostri piedi. Continua a fissarmi alla ricerca di una risposta nella mia espressione ma in realtà non so nemmeno io cosa rispondergli. Sono venuto qua cercando di lasciarmi il passato alle spalle, sperando di ricominciare tutto da capo, io e le mie cazzo di convinzioni di merda. Ma che cazzo ho in testa? La segatura, forse?
<Volevo dimenticarti... non che abbia senso provarci a farlo nella tua Roma ma... diciamo che non mi aspettavo di ritrovarti, ecco> gli rispondo cercando di non far tremare la voce e un po' mi sento mancare, oltre che infinitamente coglione. Riesco solo a pensare che non ci parlavo da troppi anni e che pure una pseudo conversazione come questa fa bene a quella parte di me che lo aspetta da più di dieci anni. Sento il me diciasettenne riprendere possesso della mia testa e del mio cuore, davanti a me Fabrizio sembra ringiovanire in un battito di ciglia, mi sembra di essere di nuovo in quella vecchia pizzeria che amavamo tanto. Non riesco più a distinguere passato e presente e per un attimo sto bene davvero, tutto il dolore si cancella istantaneamente, tutto si mescola e io sono lui, lui è me e all'improvviso siamo di nuovo noi. Probabilmente sto ammattendo, già.
Mi viene da sorridere solo perché sono qua e c'è anche lui, non riesco a mettere in conto che probabilmente mi spezzerà il cuore di nuovo. Riesco solo a sorridere mentre il cuore mi si risana lentamente, vorrei avere la forza di fermarlo, di fargli capire che tanto è inutile, che tanto sarà di nuovo in pezzi prima di fine giornata, ma non ci riesco. E' così tanto che non batte così leggero che ho paura che se lo fermassi smetterebbe di battere per sempre.
Fabrizio mi sorride a sua volta ma sembra confuso. Chissà quanti cuori avrà rotto in questi anni, sarà abituato a vederli semplicemente sparire dalla sua vita -come gli esseri umani normali, s'intende- e invece io sono qui, a sorridergli come un povero scemo. A pensarci bene se fossi al suo posto sarei confuso pure io. Perché sono ancora qua? Mi aspetto davvero un lieto fine con un ragazzo che ha tutta l'aria di essere andato tranquillamente avanti nella sua vita in questi anni? Il passato mi rende davvero uno stupido, un illuso. All'improvviso è come se mi tornasse la ragione, lo guardo un'ultima volta e a fatica esco dal mio gelido torpore, mi volto e faccio per andarmene. Sono stanco di continuare a sperarci di nascosto, di illudermi, di lui che non è quello che mi serve nella vita. Mi serve andare avanti, solo quello. Bene Ermal, adesso l'hai visto bello e cresciuto, cresci anche tu, smettila di metterti idee coglione in testa e va avanti con la tua vita. Insomma, sempre che non sia chiederti troppo.
Sono quasi sulla porta quando mi sento afferrare per il polso sinistro, non faccio nemmeno in tempo a realizzare cosa sta succedendo che lui mi trascina fin dietro il bancone, sulla sinistra c'è una porta e con poca grazia lui ci si imbuca dentro e mi ci trascina al suo seguito lasciando il bar pieno di persone che ci guardano strabuzzando gli occhi. Oh, le persone, me ne accorgo solo adesso? Sto messo proprio male. 
Chiude la porta e me lo ritrovo faccia a faccia, a così pochi centimetri dal mio viso che sento le gambe tremare dalle caviglie al bacino. Istintivamente mi viene da indietreggiare ma non lo faccio, rimango lì a fronteggiarlo alla ricerca di tutta la mia scorta di coraggio che conservo da anni per questo momento. E anche perché mi ci sono ficcato da solo in tutto questo casino e sento che questa è la volta buona per perseguire le mie idee folli fino in fondo.
Ci fissiamo in silenzio per alcuni minuti, lui sembra aver appena realizzato di avermi praticamente sbattuto nel suo ufficio lasciando di là il bar mezzo pieno di persone, persone che hanno assistito alla scena fra un mormorio e l'altro con lo sguardo di chi sta guardando un gatto volare per la stanza. Non so con che dignità uscirò da qui ma probabilmente sarà pure quella a pezzi, tanto per cambiare. Quanto meno posso metterla nella lista insieme al mio cuore e alle mie speranze.
<Non provare mai più ad andartene> il suo tono per un istante ha il potere di congelarmi di nuovo sul posto però non basta a farmi abbassare la testa. Eccheccazzo, che è 'sta storia che sono io quello che prende e sparisce a caso? Ma si è bevuto il cervello o cosa?
<Sei tu che te ne sei andato, Fabrizio, non io> lo vedo tentennare di fronte alla rabbia nella mia voce e quasi mi viene da ridere, sono riuscito a metterlo in difficoltà per una volta e non viceversa. È strano vederlo così, sicuro com'è,  non pensavo di poter fare tanto effetto a qualcuno, soprattutto a lui. Mi guarda e nei suoi ci leggo qualcosa di strano, qualcosa che non gli è mai appartenuta, la disperazione. La vedo dilagare nei suoi occhi a macchia d'olio, un attimo prima è quello con la situazione sotto controllo, un attimo dopo è quello che sembra pure più disperato e insicuro di me.
Alza la mano e me la passa lentamente sulla guancia in una carezza che mi sembra così dolce, che fa evaporare in meno di un secondo tutto quel risentimento che mi stava bruciando fino ad un attimo prima. Mi guarda come fosse incantato, come se non ci credesse che sono veramente qui e io non so più come dovrei sentirmi. Se lui è disperato, io che sono infinitamente più insicuro di lui come dovrei sentirmi? Dovrei cadere in ginocchio di fronte al grande amore della mia vita? Svenire, forse? Oh, ma smettila di farti seghe mentali, santo cielo Ermal.
<Sei qui...> per un secondo gli trema la voce e la sua frase finisce per sembrare per metà una domanda e per metà un'affermazione. Gli occhi gli brillano talmente tanto che mi sento io sull'orlo delle lacrime anche per lui.
<Sono qui> respiro a fondo e mi do una scossa mentale. Ripigliati Ermal, adesso che ce l'hai qui te lo vuoi lasciare scappare? Ma sei scemo?
Gli appoggio la mano sopra quella che ha sulla mia guancia e senza pensarci troppo mi avvicino sempre di più a lui, bramo la sua vicinanza da così tanto che non riesco nemmeno più a ragionare.
<Mi sei mancato.>
<Anche tu> glielo sussurro sulle labbra e sento i brividi ovunque. Voglio che questo momento duri per sempre.
<Non volevo andarmene, io ti amavo ma... mi hanno costretto...>
Rimaniamo immobili, ciò è quello che definirei sganciare una bomba e Fabrizio è sempre stato bravo in questo. Il mio cervello va totalmente in palla al suo "io ti amavo". Me lo sono chiesto così tante volte negli anni se lui mi avesse mai amato quanto l'avevo amato io o anche se si fosse mai posto il problema se mi amasse o meno, e adesso me lo sta dicendo. Fabrizio mi amava e lo dice talmente vicino a me che sento il suo respiro infrangersi sul mio, le sue labbra così vicine alle mie che sono ad un millimetro dal baciarsi.
<Io ti amo ancora> appoggia anche l'altra mano sulla guancia libera e con i pollici mi scaccia quelle lacrime che non mi sono nemmeno accorto di avere. Lui mi ama ancora e anche io lo amo ancora, non ho mai smesso di amarlo.
<Io non ho mai smesso di amarti> finalmente lo bacio, finalmente elimino anche quei pochi millimetri che dopo tutti questi anni mi stavano uccidendo. Non desideravo altro da quando ho messo piede qui dentro e l'ho visto, è come essere arrivato a casa dopo anni di pellegrinaggi attorno al mondo. Lui ricambia come se non aspettasse altro e si stringe a me come se non volesse lasciarmi andare mai più. Mi sento come fossi Ulisse e lui fosse la mia Itaca.
Quando ci separiamo sento la testa girare, Fabrizio davanti a me è come avesse a tratti diciannove anni, a tratti trenta. E' un incontro talmente perfetto fra passato e presente che nessuno dei due si azzarda a dire nulla, rimaniamo semplicemente l'uno perso nell'altro finché lui non mi bacia ancora. E poi ancora e ancora, finché non mi sento più le labbra, finché non sento più male al cuore.
Salve gente! Spero vi sia piaciuta anche la seconda parte di questa breve fanfiction. Vi lascio questa piccola nota sotto per dirvi che forse, in futuro, volevo aggiungere magari anche un terzo capitolo. Per quello però ci sarà un po' da aspettare dato che ho solo una lista piena di idee e poche cose effetivamente concrete. Spero di combinare in fretta, per il momento chiudo qui.
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C. SBARBARO
Era da un sacco che volevo dedicare qualche riga a Sbarbaro. Tipo qualche mese. E mi dispiaceva non riuscire mai a farlo per davvero.  Presa dai sensi di colpa, come per scusarmi, ogni tanto ho cercato di inserirlo nella mia vita in circostanze casuali:  su di un articolo di poesia ci butto là uno "Sbarbaro" decontestualizzato e un po' preso alla sprovvista, quando aspetto alla stazione o mentre il mio ragazzo studia e allora nel mentre io apro google, "Sbarbaro" e vai di 5 minuti di zapping per siti.
Ormai è un pensiero familiare, a tratti simpatico.
Che poi in realtà io nemmeno lo conoscevo prima dell'università. Poi ho seguito un corso sulla poesia del '900 ed eccolo là inserito nel programma insieme ad altri tre autori minori, "Camillo Sbarbaro". Forse più spaesato e preso alla sprovvista di quando si è ritrovato nominato nel mio articolo.
Piccolo preambolo: i poeti del primo '900 se ne fregavano dei sublimi ideali che nobilitano la vita. Il loro era più un versificare i suoi avanzi, i residui.
Per essere chiari, non abbiamo l'Achille di turno ma un Totò Merumeni. Non abbiamo i trionfi ma gli ossi di seppia.
Un po' tutta la mentalità in quegli anni era per sommi capi questa. Basti pensare a Freud che descrive la psicoanalisi, praticamente sua figlia, come lo studio dei "rimasugli del mondo dei fenomeni".
Beh ecco, per me il grunge e compagnia bella nasce da questa roba qui, dalla celebrazione della marginalità.
Sbarbaro è così. È marginale. Se ne sta nell'angolo della sua Liguria e da lì non si smuove: metafisica regionale. La stessa di Montale, che non a caso è il diretto erede della sua bella poetica.
A lui interessa il perimetro del continente dell'esistenza, le sue rive e derive. Non le sue amazzonie, non le sue aurore boreali.
Fin dall'inizio la cosa che mi ha divorata di curiosità è che oltre ad essere poeta era il più famoso lichenologo d'Italia.
Adesso, i licheni. A me fa ridere.
Figuratevi un omino che dedica una vita intera a poesie, funghi e alghe. Da prenderci un caffè insieme, farci quattro chiacchiere per forza. E badate che ci faceva sul serio. Si è messo a descrivere più di cento specie diverse di licheni: le più felici portano ancora il suo nome, quasi come pegno per essere state messe finalmente alla luce da un tale gentiluomo.
“Sui licheni scrissi fin troppo, sempre cercando una spiegazione a questo hobby; nessuna conoscenza specifica, solo curiosità, piacere visivo, simpatia: la stessa che mi fa avvicinare tutto quello che non è vistoso, per gli altri senza importanza, misero”.
Secoli fa Beccaria scrisse qualcosa come "a stili diversi corrispondono idee diverse". Ancora non vi ho raccontato tutto di Camillo, ma non serve una laurea per capire che uno così non poteva scrivere come d'Annunzio.
La sua poesia approda sulle rive dell'anti-retorica. E nemmeno ci fa apposta, la sua non è alcuna ribellione alla tradizione letteraria. Non vi salti in mente che uno così faccia delle guerre; il suo stile petroso non è altro che l'estensione naturale di uno stile di vita ridotto ai minimi termini. Vi faccio un esempio.
 La sua raccolta si chiama "Pianissimo". Già il nome, vabè cosa ve lo dico a fare: poesia discreta e sussurrata a voce bassa, non fa promesse, è solo singhiozza piano -pianissimo- nel vuoto. Le edizioni successive alla prima furono ritoccate e ritoccate per rimuovere elementi stilistici che al poeta sembravano eccessivi, barocchi. Era come se attuasse di volta in volta una sorta di chirurgia antiestetica volta all'avvilimento dell'armonia.
L'eccesso, gli sbalzi verso l'alto, il sublime e in generale la verticalità erano aboliti nei suoi versi che erano tesi come l'orizzonte netto del deserto, come quando gli venne in mente di scrivere: “Nel deserto io guardo con asciutti occhi me stesso", e palesa elementarmente il il suo disagio esistenziale, l'impossibilità di creare rapporti, con l'esterno e con sè stessi.
E infine, ma di nuovo, i licheni: fonte di ispirazione, forme biologiche adattabili ovunque (“una muffa più un fungo, due debolezze che fanno una forza")
tranne che in prossimità degli umani.
In un esistenza talvolta amara talvolta crudele che trascorreva con l'idea che "nella vita come in trincea alzi la testa e fischiano le pallottole", la contemplazione dei licheni era la costante delle giornate:
"In due casi il mio amore per i licheni soffre eclissi: quando sono innamorato e quando scrivo. Vide giusto allora chi senza conoscermi lo diagnosticò una forma di disperazione".
Gira e rigira, è sempre l'amore a salvarci, a suggerirci l'autenticità tra i surrogati, a rendere inutili tutti quei disperati tentativi che ripetiamo giorno dopo giorno per salvarci le penne. Che poi "salvarci", altro non vuol dire che trovarci un senso, per non finire ad essere pellegrini alla mercè della casualità.
E, che ne dite, magari Sbarbaro voleva trovarsi un senso attraverso il ridurre all'osso tutto ciò che non comprendeva, compreso sè stesso.
Dentro di sè vedeva solo il vuoto:
"Io son come uno specchio rassegnato
che riflette ogni cosa per la via.
In me stesso non guardo perché nulla
vi troverei.."
E così con profonda umiltà si proiettava nei licheni per studirsi meglio e infine riconoscersi
"Magra dagli occhi lustri (...) la mia anima torbida che cerca chi le somigli".
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klimt7 · 1 year
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Il buio e le stelle
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Nuovi angoli del reale.
Indagare, dove conducano
quelle scale.
Una mattina, che non è niente male
e che la tua curiosità esistenziale
ti stupisce ancora con lo stupore
di quand'eri bambino
preso ad esplorare
di ogni possibilità, le strade.
Allora, come ora
tu non conosci le cose
ma ti ostini, caparbio
a prendere direzioni inusuali.
A incaponirti ad espandere il mondo.
A slabbrare il confine dal tuo cortile
al Buio inspiegabile
che ti aprono dentro, le Stelle.
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mikuhatsune91 · 2 years
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🐍🍎   ❓Seguite un genere perché gettonato o preferite i generi rari anche solo per curiosità? 𝗔𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗼𝗴𝗴𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗹𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘂𝗻 𝗽𝗼'.   Anche oggi vorrei esporre un dubbio esistenziale che specialmente nell'ultimo periodo mi fa pensare (sottolineo che non è un post offensivo, quindi spero non lo prendiate come tale ma è solo un mio pensiero e dubbio): ho notato che ultimamente il genere romance ricolme di spicy è quello che va di più. Molte autrici che sino a poco tempo prima lo criticavano, solo per guadagnare un po' di più ho notato abbiano iniziato a scriverlo e secondo me questa cosa è molto triste. Io ad esempio, non lo disdegno ma non lo preferisco, in generale non amo le opere er*tiche perché le trovo volgari, ma solo per giusto personale e ANCHE PERCHÉ RAGA IO NEMMENO RIESCO A SCRIVERLE CHE INIZIO AD ARROSSIRE E AD IMBARAZZARMI! Lo spicy ci sta, ma almeno io nelle mie opere lo metto molto lieve perché credo che poi rovinerebbe troppo il genere scelto. Spesso mi hanno detto: ma che ti frega? Scrivilo anche tu così vendi, ma io sinceramente non lo farò mai. Ok lo spicy perché già lo scrivo e resterò sempre nel mio lieve spicy, ok il romance, ma non scriverò mai un genere che non apprezzo (quindi in questo caso il romance spicy che in realtà è solo erotico per la maggiore) solo per far soldi. Sono felice che chi lo scrive venga apprezzato perché ogni autore merita, gusti personali a parte, ma non è bello secondo me sentirti dire di seguire la massa perché ormai è quello che va. Lo trovo triste per gli altri autori e gli altri generi. ❓Voi la pensate come me? O seguireste la massa solo per fare successo? (Qualsiasi ambito sia). (presso Benevento, Italy) https://www.instagram.com/p/CfQz-MTrLbR/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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clo-rofilla · 6 years
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Sono giorni strani, mi sento tarata male, dormo poco e male di notte e di giorno mi si chiudono quasi gli occhi e sonnecchio appena posso; non ho davvero impegni urgenti ma si affastellano inspiegabilmente le cose da fare e sembrano non finire mai. Sto sempre fuori casa e mi trascino come uno zombie. Le chat di gruppo dei due lavori mi sfibrano, è complicatissimo star dietro a tutto e non farsi prendere dal nervosismo, mi sento schiava del cellulare a dover stare sempre dietro alle notifiche di whatsapp e telegram. Inoltre è capitato che tutte le persone esistenti abbiano organizzato eventi o serate o appuntamenti o pranzi o cene tutti adesso, quindi sono stata appresso alla vita sociale tutti i giorni, e questo mi ha portata ad accumulare stanchezza, mangiare male, non avere più una routine regolare. Mi sento stanca e parecchio annebbiata, sento l’estremo bisogno di ritrovare un ordine a cui aggrapparmi per essere serena. Succede sempre così: quando non riesco più a seguire gli schemi che mi impongo mi sento male, mi stresso, mi innervosisco, divento di cattivo umore. Sento impellente l’urgenza di riappropriarmi dei miei spazi cadenzati, e mandare tutto e tutti (con affetto) a cagare per un po’.
Mi sento profondamente contraddittoria, una parte di me è fortemente legata alla creatività e alla voglia di fare, alla socialità, è legata al momento, all’ispirazione, allo spirito di avventura e carpe diem. La stessa che mi tiene in moto perpetuo, che mi spinge alla curiosità, che si stufa in fretta, e che ha sempre e costantemente bisogno di sentirsi in movimento e fare, fare, fare. L’altra è ferrea, ordinatrice, meticolosa, programmatrice, puntigliosa e portatrice assoluta di giudizio e moralità. Se le disordini i piani si arrabbia, si inquieta, si agita, e ti giudica pure. Deve seguire i suoi schemi. Deve giudicare inflessibile. Se stessa, in primis, gli altri poi. Deve ostinarsi a fare ciò che si è prefissata, cocciuta come un mulo. Sono sicura che l’ansia latente di questo periodo derivi tutta da questa contraddizione di fondo paradossale che vivo, e che in un periodo incerto e vago, di transizione esistenziale e lavorativa come quello dei 26 anni, è più accentuata che mai.
Morena dice che è perché sono una gemelli in cuspide di toro. Brutta bestia, i cuspidi.
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alemicheli76 · 3 years
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"Di miele e veleno" di Cristina Origone, Golem edizioni. A cura di Patrizia Baglioni
“Di miele e veleno” di Cristina Origone, Golem edizioni. A cura di Patrizia Baglioni
“Segui il gatto” Ecco, se dovessi darvi un consiglio quando sul vostro cammino incontrate un micio simpatico, che vi fissa con curiosità, quasi invitandovi ad avvicinarvi, seguite il gatto. Potrebbe essere questa una metafora esistenziale, la parabola sacra di un mondo di gatti o semplicemente un invito a seguire l’istinto. È quello che fa Simone il protagonista della serie “The waiter’s…
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pangeanews · 6 years
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Uno scrittore che non teme l’iconoclastia e la strafottenza: storia dell’inafferrabile Max Aub (che scrisse la più bella delle biografie immaginarie)
Chi è stato Max Aub e che cosa ha da dire ancora ai suoi lettori di oggi? Dare un giudizio complessivo su di lui è molto difficile senza ricostruire almeno parzialmente i suoi percorsi di scrittura e di vita. La poliedricità della sua produzione e i molteplici ruoli da lui impersonati (il commediografo, il romanziere, il saggista, il diarista e l’inventore di biografie tra il serio e il faceto) rendono difficile individuare una linea interpretativa all’interno della sua opera fitta e complessa. L’opera di Max Aub risulta difficilmente etichettabile all’interno dei recinti della critica tradizionale e, soprattutto, rifugge a una definizione valida una volta per tutte.
I tempi letterari di Max Aub sono stati almeno due. Alla dimensione sperimentalistica, tutta fatta di intuizioni estemporanee e di provocazioni programmaticamente intriganti, è sempre stata collegata un’importante serie di opere maggiormente legate a forme di realismo critico, inaugurata da testi teatrali più impegnati sotto il profilo sociale. A questa fase, tuttavia, è poi sempre stata intrecciata una serie di divertissement solo apparentemente disinvolti e smagati come è il caso della finta biografia artistica Jusep Torres Campalans del 1958.
In sostanza: Max Aub ha alternato testi di critica della società con intenti di intervento sulla realtà e la sua drammatica e prepotente urgenza a opere provocatorie e “leggere”, intese a produrre effetti esilaranti o solo spiazzanti nel lettore. A questo livello appartengono i testi teatrali raccolti sotto il titolo di L’Impareggiabile malfidato (l’opera con questo stesso titolo è del 1931) come pure i brevi testi narrativi che vanno direttamente inclusi nella categoria del “delitto esemplare”. Questa raccolta di testi brevissimi e folgoranti, il primo libro di Aub a essere conosciuto in Italia, se si escludono i testi teatrali della sua prima stagione, presenta illuminazioni surreali e spesso allucinate di notevole qualità espressiva.
Delitti esemplari viene attribuito alla fase satirica (o comunque umoristica) della prosa dello scrittore spagnolo ma, in realtà, è molto di più: è un tentativo di mostrare, in maniera deliberatamente amplificata, l’altra faccia dell’esistenza. Basterà leggere uno o due dei brevissimi raccontini della raccolta per rendersene conto:
«Sono maestro. Da dieci anni insegno nella scuola elementare di Tenancingo. Sui banchi della mia classe sono passati tanti bambini. Credo di essere un buon maestro. Lo credetti finché non spuntò fuori quel Panchito Contreras. Non mi prestava alcuna attenzione e non imparava assolutamente niente: perché non voleva. Nessuna punizione, né morale né corporale, gli faceva effetto. Mi guardava insolente. Lo supplicai, lo picchiai: non ci fu verso. Gli altri bambini cominciavano a prendermi in giro. Persi ogni autorità, il sonno, l’appetito, finché un giorno non ne potei più, e, perché servisse d’esempio, lo impiccai all’albero del cortile»
Il tono, come si può vedere, è beffardo, scritto da una penna intrisa nel vetriolo, fatta di provocazioni e di intimidazioni – una scrittura che non concede niente a nessuno e si fa spazio per pura forza di intelligenza, una scrittura che non teme l’iconoclastia e una qual certa dose di strafottenza, quella stessa che nel 1960 lo spinse a pubblicare La vera storia della morte di Francisco Franco. Ma Aub non è soltanto un giocoliere della parola – le tragedie da lui vissute sono autentiche. Considerato un autentico giovane talento del nuovo teatro spagnolo, antesignano del teatro dell’assurdo ancora di là da venire, l’impatto con le vicende tragiche e sanguinose della Guerra Civile spagnola, lo costringono alla fuga in Francia. Ricercato dai franchisti per il suo impegno politico (è sua la sceneggiatura di Sierra de Teruel, il film di André Malraux ispirato al suo romanzo La speranza e girato in studio tra il 1938 e il 1939, a guerra finita), Aub riparò in Francia dove si aspettava un’accoglienza quanto meno decente. E, invece, no: segnalato alla polizia francese come “comunista e rivoluzionario d’azione ebreo” viene arrestato il 5 aprile 1940 e detenuto, in un primo tempo, nello stadio di Roland Garros, poi spedito nel campo di concentramento di Le Vernet d’Ariège, a pochi chilometri dalla frontiera pirenaica. Rilasciato, in un primo tempo, grazie alla mediazione del governo messicano, le sue traversie continuano: imprigionato a Nizza, poi di nuovo a Le Vernet, finisce su una nave destinata al trasporto bestiame e deportato al campo algerino di Djelfa da cui riuscirà ad uscire il 18 maggio 1942 sempre per mediazione messicana e, dopo un soggiorno clandestino a Casablanca, si imbarca per il Messico dove resterà per tutto il resto della sua vita (Aub morirà il 23 giugno 1972 a soli 69 anni – era nato a Parigi nel 1903). Nei trent’anni dell’esilio messicano tornerà una sola volta in Spagna nel 1969. Delle vicende sconsolate e spesso irritate del soggiorno spagnolo (dal 23 agosto al 4 novembre di quell’anno) parlerà a lungo in La gallina ciega del 1971 che sarà il libro della disillusione e della critica alla società spagnola, del ritorno alle origini e della rinuncia definitiva a rientrare nel panorama culturale spagnola dell’epoca ormai postfranchista.
Ma la dimensione realistica, di denuncia esistenziale e di polemica politica insieme, non è concentrata soltanto nella serie di sei romanzi dedicati alle vicende della Guerra Civile e intitolati definitivamente nel 1968 Il labirinto magico, ma compare anche in testi precedenti come il dramma San Juan del 1943. In esso, la vicenda di una nave mercantile (il San Juan appunto) che dovrebbe trasportare dei profughi ebrei in fuga dalla Shoah ormai imminente verso la Palestina assurge a simbolo della tragedia universale del vivere e del dover scegliere che cosa fare in una situazione apparentemente impossibile. Bloccati in acque territoriali internazionali, respinti da tutti i paesi cui hanno chiesto asilo, i personaggi vivono l’attesa di una possibile soluzione dei loro problemi di sopravvivenza senza raggiungerla.
Il suo libro più significativo degli anni Cinquanta è però la biografia immaginaria dedicata a Jusep Torres Campalans, un pittore catalano che non è mai esistito ma che ricorda le vite di Picasso e di altri pittori spagnoli attivi a Parigi negli anni Trenta: quello di Aub è un esercizio divertito e divertente, fatto di innesti da biografie autentiche e di particolari forse autobiografici o forse dedotti imprudentemente da altre vite meno illustri e significative. Ma è soprattutto una dichiarazione di poetica, imbastita com’è di riflessioni sulla pittura, sulla natura e la filosofia dell’arte e la prospettiva di una sua trasformazione e rigenerazione profonde.
Jusep Torres Campalans è stato il primo libro di Max Aub a essere tradotto in Italia (anche se la sua eco non è stata straordinaria) – proporne la lettura oggi significa riproporre, in realtà e in termini nuovi, l’opera e la figura stessa del suo autore. Dedicato ad André Malraux con il quale Aub ha condiviso la realizzazione del film Sierra de Teruel (poi distribuito anni dopo la sua realizzazione, nel 1945, con il titolo più consono di L’Espoir), questo libro si pone a metà tra la serietà e la beffa, tra il romanzo di totale invenzione e la ricostruzione di ambiente storico, vuole essere un “ritratto in piedi” di un personaggio inesistente eppure vivo e presente nella mente di chi legge.
Il pretesto per la sua stesura risulta decisamente occasionale come si deduce dall’incipit del libro: dopo aver tenuto una conferenza a Tuxla Gutiérrez, capoluogo del remoto stato di Chiapas, l’Autore viene presentato a “un uomo magro, dal viso bruno, che chiamavano ‘don Jusepe’” e che gli chiede di dove sia. Ad Aub che gli risponde di essere nato a Parigi, l’uomo risponde: “Parigi… Esiste ancora, Parigi?” e, dopo aver sorriso, si allontana, “dritto, appoggiandosi al bastone”. Allo scrittore che richiede chi sia l’uomo, gli viene risposto che è Jusep Torres Campalans cioè un perfetto sconosciuto per lui. A questo punto, una qual certa curiosità prevale e le domande si moltiplicano: Chi è l’uomo? Cosa fa? Niente. Un personaggio misterioso, dunque. Per questo motivo, incuriosisce l’Autore che decide di ficcare “il naso nella sua vita”. Il risultato sarà la sua biografia per lumi e testimonianze sparse, un esame dettagliato della sua vocazione pittorica, squarci e illuminazioni sulla sua possibile vita privata e intima:
«Per un romanziere che ha scritto anche delle commedie, una biografia è come una trappola. Il personaggio c’è già, completo, e non si ha nemmeno libertà di tempo. Perché l’opera riesca bisogna attenersi strettamente al protagonista: descriverlo, farne l’autopsia, precisare le date, tentare una diagnosi. Evitare, entro certi limiti, ogni interpretazione personale. Esattamente l’opposto di quel che si fa in un romanzo. Metter le manette alla fantasia, stare ai fatti. Far storia. Ma ecco il punto: si può riuscire a capire un nostro simile servendosi soltanto della ragione?»
La domanda è metafisica ma Aub non l’affronta in questi termini. La verità non gli interessa, anzi lo impiccia, lo fuorvia, in parte lo disturba. Lo scrittore preferisce costruire un mondo del tutto immaginario che però spesso ha il sapore del reale.
In questa prospettiva è forse possibile oggi inquadrare la vicenda letteraria di questo scrittore vissuto tra Europa e Messico senza appartenere a nessuno di questi due universi culturali.
Giuseppe Panella
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Di Max Aub sono leggibili in Italia, tra l’altro, “Delitti esemplari” (Sellerio, 1981), “Gennaio senza nome” (Nutrimenti, 2017) e la biografia immaginaria di “Jusep Torres Campalans” edita quest’anno da Theoria.
L'articolo Uno scrittore che non teme l’iconoclastia e la strafottenza: storia dell’inafferrabile Max Aub (che scrisse la più bella delle biografie immaginarie) proviene da Pangea.
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