#La Pulce edizioni
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Camping
Camping è un silent book che si colloca a metà strada tra il realismo più icastico e il surrealismo più onirico. Ci sono, in apertura, due campeggiatori che si scambiano picchetti storti, come avviene di dover fare anche ai campeggiatori più accorti, ne manca sempre uno; un sub che mentre indossa la muta salva la sua intimità grazie al provvidenziale tronco di un albero; papà che leggono mentre…
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Il negro non sospettava di nulla. Non si avvedeva di esser comprato e rivenduto ogni quarto d'ora, e camminava innocente e felice, tutto fiero delle sue scarpe d'oro lucente, della sua uniforme attillata, dei suoi guanti gialli, dei suoi anelli e dei suoi denti d'oro, dei suoi grandi occhi bianchi, viscidi e trasparenti come occhi di polpo. Camminava sorridendo, la testa inclinata sulla spalla e gli occhi perduti nel vagar remoto di una nuvola verde nel cielo del color del mare, tagliando, con la candida forbice dei suoi denti aguzzi, la frangia azzurra che orlava i tetti, le gambe nude delle ragazze appoggiate alla ringhiera dei terrazzi, i garofani rossi sporgenti dai vasi di terracotta sui davanzali delle finestre. Camminava come un sonnambulo, assaporando con delizia tutti gli odori, i colori, i sapori, i suoni, le immagini che fanno dolce la vita: l'odore delle frittelle, del vino, dei pesci fritti, una donna incinta seduta sulla soglia di casa, una ragazza che si gratta la schiena, un'altra che si cerca una pulce nel seno, il pianto di un bambino in culla, il riso di uno 'scugnizzo', il lampo del sole nel vetro di una finestra, il canto di un grammofono, le fiamme dei Purgatorii di cartapesta dove i dannati bruciano ai piedi della Vergine, nei tabernacoli agli angoli dei vicoli, un ragazzo che col coltello abbagliante dei suoi denti di neve trae da una curva fetta di cocomero, come da un'armonica, una mezzaluna di suoni verdi e rossi scintillanti nel cielo grigio di un muro, una fanciulla che si pettina affacciata alla finestra, cantando 'ohi Marì' e mirandosi nel cielo come in uno specchio. Il negro non si accorgeva che il ragazzo che lo teneva per mano, che gli accarezzava il polso, parlandogli dolcemente e guardandolo in viso con occhi mansueti, ogni tanto cambiava. (Quando il ragazzo vendeva il suo black a un altro 'scugnizzo', affidava la mano del suo negro alla mano del compratore, e si perdeva tra la folla.) Il prezzo di un negro al 'mercato volante' era calcolato sulla sua larghezza e facilità nello spendere, sulla sua golosità nel bere e nel mangiare, sul suo modo di sorridere, di accendere una sigaretta, di guardare una donna. Cento occhi esperti e avidi seguivano ogni gesto del negro, contavano le monete ch'egli traeva di tasca, spiavano le sue dita rosee e nere, dalle unghie pallide. V'erano ragazzi espertissimi in questo minuto e rapido calcolo. (Un ragazzo di dieci anni, Pasquale Mele, comprando e rivendendo negri al 'mercato volante', s'era guadagnato in due mesi circa seimila dollari, con i quali aveva acquistato una casa nei pressi di Piazza Olivella.) Mentre vagabondava di bar in bar, di osteria in osteria, di bordello in bordello, mentre sorrideva, beveva, mangiava, mentre accarezzava le braccia di una ragazza, il negro non si accorgeva di esser diventato una merce di scambio, non sospettava neppure di esser venduto e comprato come uno schiavo. Non era certo dignitoso, per i soldati negri dell'esercito americano, "so kind, so black, so respectable", aver vinto la guerra, essere sbarcati a Napoli come vincitori, e trovarsi ad essere venduti e comprati come poveri schiavi. Ma a Napoli queste cose accadono da mille anni: è quel che è capitato ai normanni, agli angioini, agli aragonesi, a Carlo VIII di Francia, a Garibaldi stesso, allo stesso Mussolini. Il popolo napoletano sarebbe morto di fame già da molti secoli, se ogni tanto non gli capitasse la fortuna di poter comprare e rivendere tutti coloro, italiani o stranieri, che pretendono di sbarcare a Napoli da vincitori e da padroni.
Curzio Malaparte, La pelle, Edizioni “Aria d'Italia”, Roma-Milano, 1957 [1ª ed.ne 1949]; pp. 29-31.
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“Poiché ogni cosa vivente è Sacra!”: William Blake e Giuseppe Ungaretti nell’aldilà della poesia
Nei diversi autoritratti che costellano la sua insigne carriera si notano i caratteri della cultura e della serena scaltrezza. Era amico di Samuel Johnson e di Edmund Burke, che spese parole alate sulla sua salma, fu il massimo ritrattista dell’età inglese aurea. Mostrava agli altri il lato migliore, sbozzato in caritatevole enigma. L’altro, invece, viso teso all’estasi nel celebre ritratto di Thomas Philips, illustrava gli altri mondi, questi gli apparivano miseri e una cloaca l’ambizione, umana troppo umana. Per lui la carne era viatico mica approdo, era vicolo non porto, un unicorno verso i regni di là. Naturalmente, erano magnetizzati dai contrari: una fece storia nel suo tempo, l’altro forgiò i tempi a venire.
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I am hid. “Io mi sono nascosto”. La prima delle Annotations di William Blake “ai discorsi di Sir Joshua Reynolds” si chiude con questa ammissione radicale. Dove si è nascosto, William Blake, il poeta che raffigurava The Ghost of Flea, il fantasma di una pulce, come un mostro gigantesco, demoniaco, interstellare, prefigurazione degli “Avengers”, che ha ispirato Jim Morrison e Jim Jarmush, che influenzò William Butler Yeats e ispirò papiri esegetici a Northorp Frye, a Gilbert Keith Chesterton, a Harold Bloom? Blake si è nascosto nel retro del mondo, nell’enigma delle cose, dove l’oscuro fiammeggia e l’origine degli esseri – geometricamente indimostrabile – si rivela. William Blake “il Nascosto” avrebbero potuto titolare l’immane rassegna alla Tate di Londra, in scena fino al 2 febbraio 2020, “con oltre 300 opere originali, la più vasta mostra su Blake degli ultimi vent’anni”. Invece, hanno preferito il pop, usando una trinità di aggettivi – “Ribelle, Radicale, Rivoluzionario” – che sta indosso a Blake come a James Dean. Il genio di Blake – “Il Genio Poetico è il vero Uomo, il corpo o forma esterna dell’Uomo deriva dal Genio Poetico”, scriveva lui – è lì, nel nascosto, nel forgiare una genia all’ambiguo, nello scovare mitologie sotto l’unghia del visibile. Così, “Nelle foreste della notte” – il titolo del saggio di Stefano Zecchi che sigilla la fondamentale edizione delle Opere di Blake edita da Guanda nel 1984 per cura di Roberto Sanesi – ci abbaglia Urizen, il “creatore degli uomini” e suo figlio Los, il tempo, il creatore del mondo, e Ahania, il piacere, e Rintrah, l’ira, e poi Bromion e Ocalythron e Urthona, in una cosmologia contraddittoria che pare provenire dagli gnostici dell’Antico Testamento – dai fantasmagorici libri di Enoch – e prevedere i deliri del Maldodor di Lautréamont, l’ebbrezza di Rimbaud, Il Signore degli Anelli di Tolkien e il Necronomicon di Lovecraft.
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Di fatto, l’implacabile esuberanza lirica di Blake – che ebbe bisogno, per cementarsi, come accade alle voci che accadono come una tempesta, del fraintendimento e della cattiva coscienza degli intellettuali del suo tempo – non si affratella ad alcuna mistica, egli è l’emblema dell’ispirato e del desolato, per cui “l’Esuberanza è Bellezza”, e i delicati acquerelli, le possenti incisioni – alla Tate ci sono tutti i capolavori di Blake, normalizzati in moda, da Newton a Cerberus e The Ancient of Days – sono necessarie per affacciare la visione poetica verso lo sconfinato. Per fortuna, nonostante le mostre ‘mostruose’, Blake resta il nascosto, l’inafferrabile. Come introdurre nell’imbuto didattico, nello scioglilingua degli accademici cartesiani versi come questi: “Roteando rotondi in due piccole Orbite, & chiusi in due piccole Cave,/ Gli Occhi osservarono l’Abisso, per timore che solide ossa rendessero ghiaccio ogni cosa;/ Ed una terza Età passò oltre & uno Stato di lugubre dolore” (da Milton)? Di Blake è sonora, ora, due secoli dopo – la Tate ci avverte che nel 1809 Blake realizzò, a casa del fratello, la prima esposizione delle opere, naturalmente stroncata dalla stampa – l’opera pittorica; quella poetica non può scalfirla l’esegesi, essa prevede il salto, bisogna lasciarsi catturare.
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“Chiunque si disponga a Scardinare l’Esecuzione dell’Arte si dispone a Distruggere l’Arte”. Nelle Annotations Blake stila un sommario di storia dell’arte. “La sua Lode a Raffaello è come il Sorriso Isterico della Vendetta. La sua Affabilità & il suo Candore sono la trappola nascosta & il festino avvelenato”, attacca disintegrando le asserzioni di Sir Joshua. “Rubens, Correggio & Tiziano” sono detti “Idioti”; Savator Rosa è “il Ciarlatano della Pittura”. Blake non sopporta quelli che “si fanno beffe dell’Ispirazione & della Visione”. Adora Michelangelo perché è possente, immaginifico, ��biblico’, in bilico sugli abissi.
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In Italia, William Blake ha avuto un sommo traduttore: Giuseppe Ungaretti. Il rapporto non fu occasionale né sporadico: “Lavoro alle traduzioni di Blake da più di sette lustri. È un poeta difficile. Sempre, anche quando è semplice come l’acqua. Ma c’è poeta, o un qualsiasi uomo che parli, che sia nel suo dire interamente decifrabile?”, scrive il poeta nel Discorsetto del traduttore che apre Visioni di William Blake, album di traduzioni edito da Mondadori nel 1965. I primi “giochi” dentro l’opera di Blake sono pubblici nel 1930 su “Il Tevere”, poi Ungaretti li accoglie nel complessivo Traduzioni – insieme a poesie di Saint-John Perse, Esenin, Góngora, Jean Paulhan – pubblicato nel 1936 dalle Edizioni di Novissima. Nel 1993 Mondadori ripubblica Blake secondo Ungaretti in un volume memorabile – copertina nera, da cui appare, nuda, sinuosa, La Verità secondo Jules Lefebvre – introdotto da Aldo Tagliaferri (che ha questa intuizione: “Era possibile innestare la poesia di Blake solo in una poesia capace tanto di stringata sentenziosità quanto di avvolgente mistero e di scatti impetuosi… Ungaretti si dimostra interprete più efficace, e al contempo più partecipe, di quanto lo sia stato, poniamo, Gide in francese”). Di quel libro, tuttavia, se ne sono perse le tracce. Un peccato, perché Ungaretti, Lancillotto della ‘poesia pura’ che aveva sintonia con i poeti che rompono le norme del linguaggio, sfasciando la grammatica in graniglia di bagliori – la fascinazione per Blake, ma anche per Lautréamont e Hölderlin – sapeva bene che “il vero poeta anela a chiarezza: è smanioso di svelare ogni segreto: il proprio, il segreto della sua presenza terrena cercando di conoscere il segreto dell’andare della storia e dei motivi che reggono l’universo, cercando d’impossessarsi, folle, del segreto dei segreti. Egli ha coscienza che la parola è difficile, ma, e se ne dispera, la rende fatalmente più oscura, più intrappolata nei significati che, cerando di nudarla e di coprirla di luce, le moltiplica”.
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Le parole di Ungaretti su Lautréamont: “Nella poesia di Lautréamont sono dunque compenetrati questi caratteri di gran parte della recente poesia francese ed europea: uno schianto carnale che apre il volo a fiori di fuoco, e insieme una lucidità cruda che per vertigine di irrisioni fa salire l’espressione all’infinito distacco del sogno; una necessità di strappare alla realtà le sue maschere, e di restituire alla natura la sua maestà tragica”.
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In Joshua Reynolds, insigne ritrattista e fondatore della Royal Academy of Arts, Blake vedeva l’icona del mentitore, dell’esteta impostore, che di un volto non afferra il mistero, ma soltanto la somma pattuita per dipingerlo. “Simulazioni dell’Ipocrita”, giudicava i discorsi cattedratici di Reynolds, e inutili gli esagitati sforzi dell’intelletto: “Reynolds Pensa che l’Uomo Impari tutto ciò che sa. Io dico al Contrario che l’Uomo Porta in Sé Tutto ciò che ha”. Così, deliberò di vivere nascosto, Blake, come gli eremiti ustionati dall’angelo, come gli uomini incapsulati nel futuro. “Mi considero sufficientemente Pago di vivere come faccio ora, & temo solo di portare Sfortuna ai miei amici”, scrisse il poeta a John Linnell, il 25 aprile del 1827. Qualche giorno prima, a George Cumberland, “Sono stato molto vicino ai Cancelli della Morte & ne sono tornato alquanto gracile, un Vecchio debole e malfermo, ma non in Spirito & Vita, non nell’Uomo Reale. L’Immaginazione che Vive per Sempre”. Morì tre mesi dopo. Si pensava come a un “Povero Giobbe”, stava illustrando la Divina Commedia. Nessuno fu più vigile di lui. (d.b.)
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Un canto di libertà
(William Blake nella traduzione di Giuseppe Ungaretti)
1. Cacciò un gemito l’Eterna Femmina! L’udirono su tutta la Terra.
2. La costa d’Albione è malata, silente; le praterie d’America languiscono!
3. Ombre di Profezia rabbrividiscono lungo fiumi e laghi, e mormorano attraversando l’oceano. “Francia, il tuo mastio abbattilo!”.
4. “Spagna d’oro, rompi le barriere dell’antica Roma!”.
5. “Tu, Roma, getta le tue chiavi negli abissi, che cadano giù, sempre in eterno cadano giù”.
6. “E piangi!”.
7. Essa raccolse nel tremito delle sue mani il terrore neonato, urlante.
8. Sulle montagne infinite di luce, ora precluse dall’Atlantico, il fuoco neonato si erse davanti al re stellato.
9. Pavesate di nevi dall’aspetto grigio e di facce burrascose, le ali invidiose sbatterono sul vuoto.
10. La mano, trafiggente lancia, divampò in alto, sfibbiato lo scudo; avanzò la mano della gelosia fra i capelli in fiamme e scagliò il neonato prodigio attraverso la notte stellata.
13. Le membra di fuoco, i capelli in fiamme passarono rapidi come il sole che affonda nel mare d’occidente.
18. Con tuono e fuoco guidando le legioni stellate attraverso solitudini desolate, egli promulga dieci comandamenti, dalle palpebre, con nero sgomento, saettando di raggi il baratro,
19. Dove il figlio del fuoco nella nube orientale, mentre il mattino arruffa le piume del suo petto d’oro,
20. Sbaragliando nuvole con scritte di anatemi, schiaccia e riduce in polvere sotto i suoi piedi la legge di pietra, sciogliendo i cavalli eterni dalle tane della notte, gridando, “Non c’è più impero! Ora cesseranno il leone e il lupo”.
Coro: “I Preti del Corvo dell’alba, nel loro nero letale, non maledicano più con voce rauca i figli della gioia! Né quelli ch’egli ha accettato fratelli, e che, tiranno, chiama liberi, pongano più limite o costruiscano tetto! Né la pallida e religiosa lussuria chiami più verginità quella che ha desideri ma non li attua! Poiché ogni cosa vivente è Sacra!”
William Blake
*In copertina: William Blake, “Newton”, 1795-1805 ca., Tate Gallery, London
L'articolo “Poiché ogni cosa vivente è Sacra!”: William Blake e Giuseppe Ungaretti nell’aldilà della poesia proviene da Pangea.
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Camping
Campingè un silent book che si colloca a metà strada tra il realismo più icastico e il surrealismo più onirico. Ci sono, in apertura, due campeggiatori che si scambiano picchetti storti, come avviene sempre di dover fare anche ai campeggiatori più accorti, ne manca sempre uno; un sub che mentre indossa la muta salva la sua intimità grazie al provvidenziale tronco di un albero; papà che leggono…
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Passi da gigante
Se un gigante vuole andare alla scoperta di qualcosa di molto piccolo è bene che si munisca di lente di ingrandimento. Se poi vuol farlo in mezzo alla natura, anche le scarpe devono essere adatte e un bel paio di galosce verdi possono essere rivelarsi la scelta ideale.
Passi da gigante, di Anais Lambert – 2019 Pulce edizioni
Le sguardie sono piene di delicate minuzie: piume, foglioline, rametti,…
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Un bambino e la sua storia, ritratti dall’alto, la storia che legge è bianca, ancora da scrivere, forse la propria.
La qualità dei ritagli, e delle illustrazioni composte di ritagli, è l’equilibrio fra la fluidità delle parti e al contempo la nettezza dei margini, che ci sono eppur non sono contenuti in contorni netti. In questo libro è evidente e ben gestito, la prima impressione è esattamente di serenità fluida, equilibrio.
24 bambini a Natale, di Manuel Baglieri – 2019, Pulce
24 bambini a Natale, di Manuel Baglieri – 2019, Pulce
È il primo dicembre, segnato a destra, nell’angolo in alto della pagina, il numero, che è una data, si mescola col testo di cui è parte integrante, dando il via a una narrazione che procederà così, per date e blocchetti di testo.
Due bambini ascoltano il silenzio bianco dei fiocchi di neve. Tre bambini e i loro desideri, qualcuno li disegna, qualcun altro sogna, mentre un rametto d’agrifoglio piano, pianissimo, cresce.
24 bambini a Natale, di Manuel Baglieri – 2019, Pulce
Diciannove bambini ne hanno accesa una. Questo il momento più poetico e dolce, struggente come le fiammelle delle candele. Tavola che condensa in sé la semplicità complessa e la poesia di questo albo che si rivela speciale, proprio come speciali sono i giorni dell’attesa e poi, del Natale.
Titolo: 24 bambini a Natale Autore: Manuel Baglieri Editore: Pulce Dati: 2019, 56 pp., 14,00 €
24 bambini a Natale Un bambino e la sua storia, ritratti dall'alto, la storia che legge è bianca, ancora da scrivere, forse la propria.
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https://atlantidekids.com/2019/12/03/24-bambini-a-natale/ 3 dicembre, -21 a #Natale La qualità dei ritagli, e delle illustrazioni composte di ritagli, è l’equilibrio fra la fluidità delle parti e al contempo la nettezza dei margini, che ci sono eppur non sono contenuti in contorni netti. In questo libro è evidente e ben gestito, la prima impressione è esattamente di serenità fluida, equilibrio. "24 bambini a Natale", di Manuel Baglieri, Pulce Edizioni #Calendariodellavvento #Adventcalendar #AKAdvent2019 #atlantidekids #letteraturaperipiccoli #BarbaraFerraro #albiillustrai #leggolefigureneilibri #art #illustration #Libriperlinfanzia (presso Rome, Italy) https://www.instagram.com/p/B5mtS4toI-J/?igshid=f81kqsijyne1
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