#LA PROVINCIA GIORNALE
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BOLOGNA: LO SCHIACCIANOCI DI ČAJKOSKI AL TEATRO CELEBRAZIONI
BOLOGNA: LO SCHIACCIANOCI DI ČAJKOSKI AL TEATRO CELEBRAZIONI
Domenica 18 dicembre ore 16 al Teatro Celebrazioni, va in scena il balletto Lo Schiaccianoci di Čajkovski, ultimo appuntamento di BABY BOFE’, la rassegna di musica classica per bambini di Bologna Festival. Spettacolo natalizio per eccellenza LoSchiaccianoci è un capolavoro del balletto classico che incanta per la magia delle sue musiche, andato in scena per la prima volta al Teatro Marijinskij di…
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#’TEATRO CELEBRAZIONI#Alissia Venier#BABY BOFè#BERGAMO TV#Bologna#CIAOCOMO#Compagnia Fantateatro#Corpo di Ballo della Scuola Studio Danza Ensemble#ESPANSIONE TV#GEOMETRA ANTONIO TAVECCHIO#GUIDO SAGRAMOSO#LA PROVINCIA GIORNALE#Orchestra del Collegium Musicum Almae Matrisù#SAN PIETROBURGO#Sandra Bertuzzi#SCHIACCIANOCI
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Mentre la Meloni si compiace sul social, citando assurdi sondaggi di "Libero" (il solo nome del giornale fa ridere, lettori 5, la Meloni, la sorella, il cognato, Salvini e lo stesso direttore), sta passando quasi sotto silenzio un fatto di una gravità inaudita accaduto a Crotone, dove un vice ispettore fuori servizio, è stato costretto prima a sparare (e uccidere) per auto-difesa, per poi essere linciato in strada dagli altri suoi aggressori e persino dai parenti del morto, scesi in piazza all'istante, manco fossero stati Zulu in agguato, nascosti dietro l'erba alta sulle colline sudafricane contro l'Esercito di Sua Maestà La Regina.
La Calabria va MILITARIZZATA.
Così come larghe parti della Sicilia , Napoli e la sua provincia e altre zone del sud, specificamente delle province di Bari e Foggia.
Non c'è altra soluzione e non è mai esistita altra soluzione se non la militarizzazione, i blindati per le strade, i fucili d'assalto spianati, le calibro cinquanta pronte all'uso, sui mezzi.
Queste larghissime sacche di popolazione delinquenziale ed animalesca , che popolano il nostro meridione, e IO SONO UN MERIDIONALE, vanno ESTIRPATE come la gramigna.
Una volta e per sempre.
Esse non rappresentano sparute minoranze, ma veri e propri ESERCITI DI CRIMINALI E BESTIE FEROCI in percentuale più che significativa, rispetto alla popolazione totale.
Interi quartieri, alle volte interi paesi, vivono al di fuori della legalità, completamente al di fuori, costituendo zone franche criminali.
E gli eserciti si combattono attraverso altri eserciti, meglio armati ed equipaggiati.
Casa per casa.
Casa per casa, strada per strada, vicolo per vicolo, con tanto di COPRIFUOCO e legge MARZIALE.
Solo così, questa piaga potrà essere debellata dal nostro meridione d'Italia, solo così potrà esserci il nostro riscatto, il nostro ingresso nella PIENA CIVILTA' , che ci viene negata dai tempi del brigantaggio ottocentesco.
Invece di postare CAZZATE, la Meloni ci facesse sapere, stesso mezzo, come intende risolvere questa questione, sulla quale non si è nemmeno espressa, idem con patate Piantedosi.
O pensiamo solo all'Ucraina e al Medio Oriente, invece che a far pulizia in casa nostra ?
Giuseppe Sabatino.
#mafia#camorra#'ndrangheta#sacra corona unita#Sud Italia perduto#questione meridionale#mezzogiorno d'Italia
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Una classe dirigente può esser tale senza avere nessuna delle caratteristiche minime per esercitare dignitosamente questo ruolo? Sicuramente ci si può trovare davanti ad una ruling class inadeguata, ma questo comporta che il Paese disgraziatamente sotto il suo potere sia condannato allo sfacelo. La giornata di ieri ha mostrato un mosaico di avvenimenti che dànno la misura effettiva della nullità – capitalistica, morale, economica, politica, culturale, ecc – di chi controlla questa sfortunata provincia dell’Impero. Andiamo con ordine, prendendo i titoli dal giornale che pretende di essere ancora “il salotto buono della borghesia italiana”. Il quale, fin da ieri mattina, ci invita a spargere lacrime simpatetiche con “il povero” Luciano Benetton, che si è accorto solo ora – 89enne, al momento di ritirarsi in dolce attesa – che il suo gruppo ha registrato perdite choc: «In pochi mesi da 13 a 100 milioni, ora il rosso sarà di 230». E’ appena il caso di ricordare che l’ex “re del maglioncino” è stato a capo di un piccolo impero economico multinazionale, “a gestione familiare”, che ha responsabilità dirette nella repressione dei Mapuche in Patagonia, nel crollo del Ponte Morandi per risparmiare sulla manutenzione (43 morti), accarezzando nel frattempo anche qualche giovane virgulto “democratico” in vena di arrampicate… Il “povero pensionato” accusa naturalmente l’ultimo amministratore delegato da lui stesso scelto con toni entusiatici, e ora se la vedranno con gli avvocati in tribunale. Secondo capitolo. “Morto nel suv con la fascetta al collo Giallo sul marito di FrancescaDonato”. L’eurodeputata un tempo leghista, quando ci istruiva in ogni talk show circa le cirtù salvifiche del neoliberismo condito con privatizzazioni e taglio delle tasse a ricchi ed imprese, nonché del complottismo novax, ha immediatamente sentenziato “Me l’hanno ucciso”. E noi stavolta – l’unica – le crediamo. Angelo Onorato, imprenditore ed ex candidato alle regionali con la Dc di Totò Cuffaro (formazione cui è approdata anche l’eurodeputata) è stato infatti trovato morto strangolato alle tre del pomeriggio dentro la sua auto, sulla parallela dell’autostrada per l’aeroporto di Palermo. Modalità e luogo dell’omicidio lasciano un portone spalancato a ogni ipotesi che riporti alla mafia (anche se I media sono molto cauti, in queste prime ore). Ma la cronaca nera politico-imprenditoriale ci continua a sottoporre i tormenti del “povero Giovanni Toti”, tuttora presidente della Regione Liguria nonostante sia agli arresti domiciliari, descritto con umana compassione dal Corrierone: “Toti, la vita ai domiciliari: l’ansia nella casa di Ameglia con la moglie convalescente e il cane Arold”. Le accuse di corruzione, le intercettazioni, i soldi di Spinelli… Tutto nelle righe dell’articolo, ma è il titolo che deve restare nella testa dei lettori, no?
Ci sarebbe da fare qualche domanda anche sulla morte del rettore dell’università Cattolica di Milano, suicida (ma non viene quasi mai ricordato, tanto meno nei titoli) e senza alcuna spiegazione apparente. Riserbo massimo, nessuna ipotesi, parce sepulto…
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ci sembra più interessante l’unica notizia di critica sociale vero uno degli esponenti peggiori di questa classe dirigente. A Marina di Pietrasanta, titola sempre il Corsera, “Irruzione degli attivisti al Twiga, ombrelloni piantati fra le tende dei vip: «La spiaggia è di tutti»”
Ma chi sono questi attivisti? Di chi è il Twiga?
Bisogna andare a spiluccare nelle pagine interne… E allora si viene a sapere che I primi fanno parte del coordinamento ‘Mare Libero’, che dal 2019 si battono contro la privatizzazione delle spiagge e per “restituire il mare alla collettività”. Hanno montato ombrelloni e sdraio, steso gli asciugamani tra i lettini dello stabilimento, solitamente meta di vip, calciatori e politici. E lì si sono rimasti, tra le proteste di alcuni clienti che hanno rivendicato la “proprietà privata” della spiaggia.
Mal gliene è incolto, però, visto che come spiegano i ragazzi “Piantiamo i nostri ombrelloni in questa spiaggia tornata libera perché le concessioni sono tutte scadute il 31 dicembre 2023. Lo ha deciso il Consiglio di Stato in attesa, come stabilito anche dall’Unione europea, delle gare”.
Quanto ai proprietari del Twiga, beh, sono storicamente gli stranoti Flavio Briatore e Daniela Santanché, ora ministro del turismo. Che è poi a ragione per cui ha venduto le sue quote al socio, anche se un’inchiesta de Il Domani ha verificato che continua a incassare profitti dal Twiga tramite una società creata ad hoc, la Ldd Sas, ditta creata ad aprile 2023 e controllata al 90% da Immobiliare Dani, a sua volta al 95% di Daniela Santanché.
Scatole cinesi, azzeccagarbugli da commercialisti, rapporto osè – mortiferi – con la grande criminalità organizzata, truffe pure e semplici, amministratori pubblici a busta paga…
In mano a questi stanno le nostre vite.
[...]
Una “classe dirigente” di impressionante squallore - Via
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“ In Ucraina i nazisti, che sono parte dell’apparato statale, ammazzavano tutti quelli che erano contrari alle loro idee, principalmente persone di sinistra. Alcuni forse potevano essere d’accordo con la politica di Putin, però chiamarli “putiniani” è un insulto alla loro memoria, perché molti di loro non erano d’accordo con la Russia; volevano un’Ucraina indipendente, comunista oppure liberale, ma senza il nazismo e gli oligarchi. Per questo uso il termine “di sinistra”. Anche il mio amico Oles Busina era di sinistra, ma non sopportava Putin, lo criticava sempre e voleva un’Ucraina indipendente sia dai russi sia dagli occidentali, e soprattutto era antifascista e denunciava la deriva nazista in Ucraina. Proprio in nome dei nostri amati diritti civili non è ammissibile l’uccisione del mio amico Oles Busina, grande patriota ucraino, antropologo e storico, scrittore e poeta. Colpevole di essersi schierato contro la glorificazione del nazismo da parte del governo golpista di Kiev e per questo freddato a colpi di pistola davanti a casa propria. Nessuno dei nostri difensori dei diritti umani che spesso accusano la Russia di Putin di mancanza della libertà si è mai esposto contro il regime golpista attualmente al potere in Ucraina, colpevole dell’uccisione di Olga Moroz, caporedattore di «Neteshinskij Vestnik», giornale dalle cui pagine lei e i suoi colleghi si esprimevano contro il regime. Nessuno si scandalizza per l’uccisione del deputato del parlamento ucraino Oleg Kalashnikov, organizzatore delle manifestazioni in sostegno del governo legittimo ucraino, oppositore del golpe. Nessuno qui in Occidente chiede al governo ucraino perché sono stati impunemente massacrati come oppositori del regime il procuratore Oleg Melnichuk, Oleksandr Peklushenko, già governatore dell’oblast di Zaporizhya, il capo del consiglio regionale di Kharkiv Aleksei Kolesnik, il segretario del Partito comunista della provincia di Starobeševe Vyacheslav Kovshun, il vicedirettore delle ferrovie ucraine Nicolai Sergienko e molte, moltissime altre persone colpevoli soltanto di aver espresso idee contrarie al governo. L’Occidente preferisce ripetere a sfinimento il mantra sulla presunta “democraticità” dell’Ucraina, anche se si tratta del paese più corrotto tra le repubbliche ex sovietiche, e per comprendere questo non serve prestare ascolto a nessuna propaganda russa, basta leggere i rapporti delle organizzazioni internazionali che monitorano la situazione in Ucraina, dai quali emergono denunce pesantissime, da far gelare il sangue anche al più insensibile tra gli esseri umani. I politici occidentali, però, preferiscono buttare miliardi di euro strappati ai propri contribuenti in quel contenitore contaminato irrimediabilmente dall’illegalità, dalla propaganda e dall’odio che è l’Ucraina di oggi, pur di sfruttarla come un campo di battaglia contro la Russia di Putin. L’Occidente, ovvero gli USA, non vuole perdere la sua egemonia militare ed economica nel mondo, che da unipolare di una volta ormai è diventato multipolare. In tutto questo, le vere vittime sono gli ucraini, che indottrinati dalla propaganda trentennale, che gli ha raccontato di tutto pur di cementificare nelle loro coscienze tre elementi: l’odio per la Russia, la fiducia negli oligarchi pro occidentali e soprattutto un nazionalismo radicale ed estremo che si basa non sull’amore verso la propria nazione, ma sull’odio nei confronti degli altri. Un nazionalismo macchiato dagli episodi più drammatici e più bui della storia ucraina. “
Nicolai Lilin, Ucraina. La vera storia, Piemme (collana Saggi PM), Novembre 2022¹; pp. 109-111.
#Nicolai Lilin#Ucraina#letture#leggere#saggistica#saggi#Storia contemporanea#geopolitica#Europa#Russia#USA#relazioni internazionali#Unione Europea#Donbass#giornalisti#Volodymyr Zelensky#Joe Biden#Vladimir Putin#democrazia#imperialismo americano#imperialismo russo#antimilitarismo#Storia del XXI secolo#libertà di pensiero#giornalismo#NATO#crimini contro l'umanità#libertà di parola#libri#oligarchi
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Evoluzione Italica e lucide analisi:
" Gennaio 1993: cattura di Riina.
Era il momento delle stragi, del Britannia, del trattato di Maastricht, della seconda repubblica che ci avrebbe svenduto;
Aprile 2006: arresto di Bernardo Provenzano.
Nello stesso periodo elezione di Clinton negli USA, designazione di Napolitano come capo dello stato, iniziò della globalizzazione;
Gennaio 2023: presa di Matteo Messina Denaro.
A pochi passi dal Mes e del colpo finale al paese.
Quando lo "stato" avanza allo step successivo, occorre un aggiornamento relativo nell'antistato, che di questo stato è il cuore militare. Ed occorre la conseguente cortina fumogena chi svia da decisioni importanti.
Il contorno nauseabondo sono le dichiarazioni, i complimenti, i pellegrinaggi sui luoghi degli eccidi con relative foto è interviste di vittoria dello Stato, quando lo stesso non esiste più.
Ma un popolo decerebrato merita queste pagliacciate, queste parate da autistici indotti.
Risibile poi il resoconto verbale:"Come si chiama lei?" - "Matteo Messina Denaro". Bingo!
Neanche all'asilo. Era in fila per il ticket col numero del CUP.
Ricostruzioni da massa con limitate capacità mentali e zero consapevolezza storica, da Cassibile in avanti.
Raccapriccianti i titoli, le sigle dei TG, il giubilo sui social: la mafia è sconfitta, lo stato reagisce, siamo liberi.
Manca solo sarà tre volte natale e festa tutto il giorno.
La verità ha il coraggio di dirla un giornale spagnolo: "solo in Italia si può festeggiare per una cattura dopo trent'anni di latitanza, con il soggetto che era residente nella provincia di riferimento".
Solo da noi si trasformano le vergogne in trionfi.
Ma un popolo da operetta non merita la verità.
Non né è all'altezza, non né è degno.
E allora musica, ricchi premi e cotillons.
Il paese dei cretini è sempre pronto a festeggiare.
Quando dovrebbe solo piangere. "
Marco Palladino
Cosa nostra adesso batte cassa...
Mai niente per niente e mai niente per caso.
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Una notiziola che racconta un po’ il modo in cui l’Italia racconta se stessa dal punto di vista gastronomico è quella che riguarda Oprah Winfrey e il suo recente soggiorno in Ciociaria. La (più) famosa conduttrice americana, 22 milioni e fischia di follower su Instagram, è stata qualche giorno a Fiuggi per un percorso benessere. Prima di tornare in America ha pubblicato sui social una foto che la ritrae con in mano una gigantesca pagnotta, corredata dalla didascalia: “Non potevo lasciare l’Italia senza il mio souvenir preferito: IL PANE!”. Quasi 200mila like, 3500 e passa commenti, uno di quei classici post che il giorno dopo vengono ripresi dalla stampa nazionale per celebrare, anche giustamente, qualche nostro piccolo vanto locale.
Solo che il post non viene ripreso praticamente da nessuno, a parte pochissime testate online soprattutto provinciali. Ho pensato che fosse strano, di solito quando di mezzo c’è un vip, un pezzetto d’Italia e una pizza, o un piatto di carbonara, contenuti del genere spiccano il volo. Quando Ilary Blasi è stata a Napoli per pasqua c’erano gallery, colonne, indirizzi su qualsiasi giornale, dal Corriere in giù. Forse il problema è proprio questo: non c’erano una pizza o un piatto di carbonara. Non c’era la costiera Amalfitana, una via da cartolina di Trastevere, una focaccia al formaggio con lo sfondo di Portofino. Non c’era, in sostanza, la bellezza più mainstream, ma un umile prodotto di un fornaio di provincia. Nemmeno una Dop, un’IGP da pubblicizzare da qualche consorzio. Solo un pane. E nemmeno Ilary Blasi, ma solo Oprah.
Eppure quel semplice pane, per l’americana molto influente, è evidentemente degno di celebrazione, è un prodotto eccellente tale da metterselo nel bagaglio a mano e riportarselo a casa con una storia da raccontare, da affettare al mattino come un piccolo pezzetto di Ciociaria, di Fiuggi, di Italia da asporto. Non è qualcosa che vogliamo raccontare di noi stessi? Forse no. Forse, quando qualcuno si lamenta delle troppe presenze nelle Cinque Terre, per fare un esempio, dovrebbe riflettere sul fatto che è quello è il frutto della nostra comunicazione all’esterno: cartoline e poco più, carbonare e poco più, spesso grazie a ottimi uffici stampa o testate di settore che si appassionano soprattutto a pochi cuochi o produttori amici. Cosa di cui evidentemente L’Antica Forneria Ciociara di Torre Cajetani non dispone, da piccola attività (immagino familiare) quale è.
Peccato, quel pane ci rappresenta molto più di tante ricette ad uso e consumo dei turisti e di tante notiziole ad uso e consumo dei titolari di attività.
@Lorenzo-Bigiarelli
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Marilù Mastrogiovanni
Gli unici padroni per un giornalista sono i lettori, il nostro Codice deontologico e la Costituzione italiana, la nostra Bibbia laica.
Marilù Mastrogiovanni, autrice di inchieste investigative sulla mafia e di numerosi libri e documentari, è giornalista, regista specializzata in linguaggi visuali, semiologa della comunicazione, ecofemminista esperta di linguaggio di genere e docente al Master di Giornalismo dell’Università di Bari.
Collabora con Il Sole 24 ore, Il Manifesto, Il Fatto quotidiano, Left e Narcomafie ed è consulente per Presa diretta (Rai3) e Euronews.
Da oltre vent’anni, dirige la rivista Il Tacco d’Italia giornale d’inchiesta scomodo e necessario.
Fa parte del team composto da dodici persone esperte in diritti umani selezionate dal Parlamento italiano per il Comitato per la prevenzione della tortura presso il Consiglio d’Europa.
È nel direttivo nazionale di Giulia giornaliste, associazione impegnata nella rimozione di discriminazioni e stereotipi contro le donne, veicolati attraverso un uso distorto del linguaggio e delle immagini. Tiene corsi di formazione di aggiornamento professionale per un uso non sessista della lingua.
Numerosi i premi nazionali e internazionali vinti per il suo impegno professionale.
La sua ricerca della verità ha scatenato pericolose reazioni da parte della Sacra Corona unita, la mafia del Salento. Ha scritto, facendo nomi e cognomi, descrivendo la gerarchia dell’organizzazione, indicando le aziende in cui i proventi dello spaccio di droga venivano reinvestiti, scoprendo una fitta rete di fiancheggiatori insospettabili tra i colletti bianchi.
Il suo nome completo è Maria Luisa Mastrogiovanni ed è nata a Casarano, in provincia di Lecce, il 31 ottobre 1969.
Si è laureata, nel 1998, in Lettere moderne all’Università Cattolica di Milano con la specializzazione in Comunicazioni sociali con una tesi in Semiotica sulle figure femminili del fumetto popolare. E successivamente si è diplomata in regia e sceneggiatura cinematografica e televisiva.
In quegli anni ha fondato e curato la rivista di teorie delle comunicazioni sociali Quaderni Eventuali e partecipato alla sceneggiatura, drammaturgia e regia di documentari, cortometraggi e spettacoli teatrali.
Nel 2001 è rientrata in Puglia dove ha conseguito il Master in comunicazione culturale e ambientale presso l’Università di Lecce.
Nel 2003 ha fondato e dirige il mensile d’inchiesta Il Tacco d’Italia, che fino al 2011 è stato in edizione cartacea per poi trasferirsi sul web dove è stato inattivo per un anno e mezzo a causa di un attacco hacker.
Tra il 2007 e il 2012 ha subito minacce e intimidazioni dalla criminalità organizzata per le sue inchieste sul business dei rifiuti e sulle speculazioni edilizie in zone protette.
Ha ricevuto decine di querele, tutte archiviate, da mafiosi, imprenditori e politici. Per motivi di sicurezza è stata costretta a trasferire la sua residenza a Bari.
Nel 2017 è stata tra le estensore del Manifesto di Venezia, che ha portato, nel 2021, alla modifica del Codice unico deontologico per la professione giornalistica, con l’introduzione dell’articolo 5 bis.
Nel 2019 l’OCSE (L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) l’ha inserita nel panel di esperte internazionali del SOFJO (Safety of Female Journalists Online).
Dal 2021 è presidente della giuria del premio internazionale UNESCO sulla libertà di stampa “Guillermo Cano World Press Freedom Prize“. Nella prima edizione ha premiato Maria Ressa, che insieme a Dimitri Muratov è stata insignita, pochi mesi dopo, del Nobel per la Pace che, per la prima volta, ha riconosciuto il lavoro giornalistico come presidio di democrazia e pace.
Nel 2022 ha fondato il Consorzio editoriale XQ e l’anno seguente il giornale multimediale multilingue XQ the why of the news, finanziato dalla Commissione europea.
Fa parte della redazione di Ossigeno per l’Informazione e Reporters Without Borders. Ha ideato e coordina il Forum delle Giornaliste del Mediterraneo. È socia fondatrice di CREIS (Centro di ricerca europeo per l’innovazione sostenibile) e fa parte del Centro di ricerca S/murare il Mediterraneo.
Il suo impegno è citato nei libri La donna che morse il cane di Gerardo Adinolfi, nel 2012, nel libro e Il meglio sud, del 2015 di Lino Patruno.
La sua voce libera e dissidente è un faro per le donne, per il Sud, per l’informazione, per i diritti umani e per le nuove generazioni, a cui dedica molto tempo e impegno convinta che è dalle scuole che bisogna ripartire per insegnare il valore dell’informazione come fondamento della Democrazia.
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Di quando mio padre mi presentò Giovanni Galeone
Vent’anni fa esistevano ancora le vacanze aziendali. Nel senso, le grandi ditte davano la possibilità ai propri dipendenti di poter usufruire di prezzi speciali in villaggi turistici che normalmente sarebbero stati fuori dalla portata dei loro portafogli. Solitamente il periodo era da scegliersi durante la bassa stagione, ma poco importava. Si trattatavi di luoghi che, altrimenti, in pochi si sarebbero potuti permettere. Anzi, era persino meglio: niente turisti che affollavano spiagge, musei o ristoranti, clima ancora sopportabile e prezzi, in generale, nettamente più coerenti.
Così, nel giugno del 1996, grazie all’offerta riservata ai dipendenti ENI, andammo per due settimane a Stintino, in provincia di Sassari. Mare azzurro come non lo avevo mai visto, da cartolina, spiagge bianche, gente che si divertiva, famiglie intere a spasso tra le case basse. Prendemmo il traghetto e stavo leggendo, in quei giorni, “Per chi suona la campana”. Le pagine erano sgualcite, ma chiudendo gli occhi e pensandoci intensamente riesco, tutt’oggi, a ricordare il loro profumo. Mi misi nella mia cuccetta dopo cena per leggere qualche pagina, ma mi addormentai quasi subito, che la nave bianca e blu della Tirrenia aveva appena abbandonato il porto di Genova. Mi risvegliai la mattina seguente con il sole che entrava dall’oblò e un gran viavai tra i corridoi. I rumori delle valigie che venivano appoggiate sulla moquette e le corse dei bambini. Eravamo arrivati.
Partimmo veramente presto, quel giugno, perché mi ricordo che dovetti chiamare un mio compagno di classe da una cabina telefonica per sapere i risultati finali degli scrutini: promosso senza nemmeno una materia da recuperare. Quell’anno scolastico era trascorso veramente liscio, tra le prime libertà di orari al sabato sera, i primi concerti, il Novara Calcio retrocesso in C2 per colpa di un gol di Jimmy Fialdini nel pareggio di Pistoia ai playout, i primi dischi e le magliette di Pearl Jam, Smashing Pumpkins e NoFX indossate sopra improbabili felpe col cappuccio.
La villetta a schiera dove alloggiavamo faceva parte di un residence molto elegante, con tante palme, tre bar, due negozi che ti vendevano di tutto, due piscine, i campi da tennis e tre ristoranti. Occupava praticamente tutta la dorsale est della collina che sovrastava il paese. La nostra, era una piccola casa gialla con il balconcino in mattoni e una scalinata ripida. Dal balconcino potevamo scorgere l’Asinara, dove stavano i brigatisti. Si vedevano il carcere e le luci, di sera, delle imbarcazioni che vi portavano i secondini. Prima di cena, tornati dalla spiaggia (riservata alle famiglie dei dipendenti anche quella) mi mettevo ad ascoltare musica e a guardare le navi che, in lontananza, attraccavano al porto di Sassari. Altri vacanzieri, altre macchine, altro divertimento al quale non ero abituato.
Mio padre si alzava sempre prima di tutti, di mattina. Non è mai stato un amante del mare, e la sua vacanza ideale in una località marittima come quella consisteva unicamente in passeggiate col cane, partite a tennis e qualche ristorante di pesce. Spiaggia, poca. Andava a piedi sino all’ingresso del complesso e comprava il giornale, portandoci dei dolci da uno dei bar.
Una mattina, mentre facevamo colazione, mi ragguagliò sui suoi giri mattutini.
Eravamo circa a metà della vacanza, era già passata una settimana e avevo nostalgia di casa. Mi mancavano i miei amici su in città. I giorni immediatamente successivi alla fine delle scuole erano, per noi del cortile, i più divertenti e spensierati di tutto l’anno. Senza impegni e senza scuola, passavamo il nostro tempo, dilatatissimo, giocando a pallone per tutti i campi del vicinato, parchetti o prati che fossero, uscendo di casa appena dopo pranzo e facendovi ritorno giusto prima di cena, sfruttando le giornate più lunghe dell’anno per fare, essenzialmente, ciò che più ci faceva fare. Erano giorni infiniti, ma che duravano poco: a fine giugno, infatti, c’era già chi partiva per le vacanze, chi si spostava al Sud per raggiungere i parenti al mare, chi andava in vacanza studio obbligato dai genitori. Tornati a settembre, sarebbe ricominciato di nuovo tutto da capo. Non trascorrere con gli altri quel periodo mi metteva angoscia, era come se mi stessi perdendo qualcosa di fondamentale per la mia vita.
<< Sai chi ho incontrato giù, all’edicola? Galeone, l’allenatore, lo conosci? >>
Mi ero appena svegliato. Il sole, in direzione del mare, era già alto. Volevo andare in spiaggia.
Certo che lo conoscevo, Giovanni Galeone. Nella stagione appena terminata aveva allenato il Perugia ed era stato esonerato prima di Natale, sebbene la squadra fosse saldamente al di sopra della zona retrocessione. Il presidente Gaucci, d’altronde, lo conoscevano già tutti. Nevio Scala ne prese il posto da gennaio e i Grifoni, a fine stagione, retrocessero in Serie B. Il Perugia era una di quelle squadre che mi erano sin da subito state simpatiche non appena salite nella massima serie. Andavo già allo stadio a tifare il Novara in quegli anni, ma ovviamente il campionato di Serie A, tra i miei coetanei, la faceva da padrone. Eravamo dei veri e propri nerds in materia.
<< Sì, l’allenatore? Cosa ci fa qui? >>
<< È qui in vacanza. Secondo te cosa ci fa uno, in un villaggio turistico?! >>
In effetti.
<< Non credevo fosse davvero lui, così gliel’ho chiesto. Abbiamo fatto due chiacchiere sul cane. Gentilissimo, tra l’altro. >>
Il cane in questione era il nostro, un incredibile meticcio giallognolo che stava simpatico a qualsiasi essere umano vi si avvicinasse.
Ci pensai su un attimo, alle parole di mio padre, perché ero sempre stato affascinato dalla persona, percepita attraverso uno schermo, di Giovanni Galeone. La sigaretta e il cappotto lungo, sembrava un attore di un film noir. Le maniere burbere e diametralmente opposte ai suoi colleghi, sempre azzimati e cordiali, anche nelle situazioni più difficili e critiche. Tutti ne parlavano come un innovatore, come uno Zeman di casa nostra, che non aveva paura ad attaccare ma che fondava il suo gioco sul fiato e le gambe dei due mediani, che aveva sempre avuto a disposizione e sempre preteso. Aveva riportato il Perugia nella massima serie dopo vent’anni e aveva forgiato la squadra in modo da creare un ambiente sano e duraturo. Avevo persino comprato Roberto Goretti e Federico Giunti al Fantacalcio, quell’anno, i due fari del suo centrocampo: arrivai secondo di un punto dietro un mio compagno che aveva praticamente tutta la Juventus. Me lo ricordavo a Pescara, ovviamente, e mi ricordavo anche della squalifica di un anno in cui incappò cinque anni prima per delle cose poco chiare riguardo a una partita, dicevano, inutile.
Il giorno dopo, mio padre, questa volta a pranzo, mi disse che aveva ancora incontrato Galeone, sempre all’edicola del villaggio, a far scorta di giornali. Lui comprava sempre “L’Unità” e ci tenne a sottolineare, con fare ironico, la diversità di vedute politiche con il mister. Avevano parlato del fatto che fosse senza squadra, e che fosse lì a Stintino in vacanza con sua moglie per un paio di settimane, a campionato chiuso e a ritiri non ancora iniziati. Aspettava una chiamata per ritornare in panchina.
<< Spero lo chiamino! >>, dissi. Ma non ne ero molto convinto. Più che altro mi sentivo abbattuto per a situazione di quel signore, che non avevo ancora conosciuto ma che aveva avuto modo di incontrare mio padre.
<< Guarda che non so quanto rimarrà qui ancora, se vuoi domani mattina te lo presento >>.
Erano diventati amici quindi, se si trovavano a fare due chiacchere ogni mattina. Mio padre amico di un allenatore di Serie A.
Avrei potuto seguirlo durante le sue passeggiate mattutine sin dall’inizio del nostro soggiorno, ma la pigrizia aveva sino a quel momento vinto in maniera preponderante sull’orario da rispettare. Decisi così che una levataccia mattutina poteva valere la candela.
Arrivammo al bar accanto all’edicola e in effetti Giovanni Galeone era lì, shorts bianchi e felpa in acetato, a parlare con il barista, all’ombra della tettoia del chiosco. Il sole picchiava già forte e non era nemmeno un orario così impossibile da sopportare.
<< Buongiorno, lui è mio figlio, Andrea! >> erano davvero entrati in confidenza, sembrava che mio padre mi stesse presentando a un suo amico di vecchia data. L’allenatore si girò verso di noi e salutò prima il cane, che stava scodinzolando già diversi metri prima. Ero stato derubricato anche dal quadrupede.
<< Buongiorno, Andrea. >> E gli strinsi la mano.
<< Giovanni, ciao. Finalmente hai accompagnato tuo papà a fare una passeggiata, lo vedo sempre in giro da solo! Ora che parto domani mi raccomando, accompagnalo tu! >>
Sorridemmo tutti e tre, lui ordinò un caffè appoggiando al bancone in marmo rosa la pila di quotidiani, sportivi e no, che aveva sottobraccio. Capii le dissonanze politiche dai nomi delle testate che aveva comprato, ma non importava. Io ordinai una bottiglietta di acqua frizzante e lo guardai più attentamente: non sembrava nemmeno uno di quei tanti allenatori di calcio italiani che si vedevano in televisione. Capello, Lippi, Trapattoni. La carnagione scurissima e quel modo, sicuro e metodico, di afferrare gli oggetti. Mi aspettavo si accendesse una sigaretta da un momento all’altro ma niente, non riuscii a scorgere nemmeno il pacchetto nelle tasche della felpa rossa e nera che indossava. Sembrava, in ogni suo movimento, a suo agio e non lasciava trasparire la malinconia che ero abituato a percepire quando mi capitava di vederlo in televisione, la domenica sera, intervistato.
Parlammo del luogo dove ci trovavamo, delle vacanze degli operai come lo era mio padre, di come fossero belle le spiagge e del fatto che erano ormai più di tre settimane che non buttasse una goccia di pioggia, in quelle zone. Non mi fece domande, non mi chiese come andassi a scuola o se giocassi a calcio: ascoltava e parlava con noi delle cose di cui parlano tutti gli esseri umani in vacanza.
Tre mesi dopo, io ero sui banchi di scuola ad affrontare una difficilissima seconda mentre lui, purtroppo, non aveva ancora ricevuto nessuna chiamata. A novembre arrivò a Napoli ma venne ulteriormente esonerato, ancora una volta con la squadra collocata ben lontana dai pericoli della retrocessione.
Ripensando a quei momenti, crescendo, non mi ero perso granché di quei giorni di giugno in città. Le vie del mio quartiere erano e sarebbero rimaste sempre le stesse anche senza di me, anche negli anni a venire. Mi accorsi che la mia presenza non fosse così fondamentale, anzi. Qualche palazzo nuovo, qualche lavoro di rifacimento dei marciapiedi, qualche targa commemorativa messa a caso nei parchetti dove giocavamo a pallone. Ancora oggi, però, quando vado a trovare i miei genitori, dopo essermi spostato da anni, avverto un senso di inadeguatezza, come se fossi in un paese straniero, o che abbia tradito. È come se quei luoghi fossero andati avanti correndo al doppio della velocità rispetto a me e rispetto ad altre zone della città. Come se mi rifiutassero, se mi ostracizzassero. Quando incrocio per caso qualcuno che conoscevo in quegli anni, qualche mio coetaneo con cui abbia condiviso dei momenti di gioco, l’unica emozione che riesca a provare è un misto di tranquillità e sollievo nel constatare che stia ancora bene, che abbia trovato una moglie, che abbia dei vestiti puliti e che si viva la sua vita in una casa accogliente. Non sono mosso dall’istinto di chiedergli che lavoro faccia, come stia di salute, dove abiti.
Quella mattina d’estate in Sardegna, io, mio padre e Giovanni Galeone non discutemmo di calcio, anche se la sera prima di incontrarlo mi ero ripromesso di chiedergli, ad ogni costo, se secondo lui Carmine Gautieri fosse più forte di Francesco Moriero, o se gli mancasse il suo pupillo Milan Rapaìc.
Non ne sarebbe valsa la pena.
Tornammo a casa che giugno si avviava ad attraversare le sue giornate più calde e sarei rimasto da solo. avvertii questa sensazione strana appena saliti sul traghetto del ritorno, nella pancia della nave bianca e blu, parcheggiando l'auto nel caos e nel rumore di altre centinaia di automobili. Settembre sarebbe arrivato come ogni volta velocissimo, portandosi dietro gli strascichi di mesi di speranze e sogni da adolescente. Sarebbero tornati presto i pullman di linea affollati, la spesa del sabato, i compiti in classe, la pioggia che ti appiccica le foglie morte sotto la suola delle scarpe pesanti.
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COMO: ALESSANDRO RAPINESE IN LIBRERIA CON IL SUO RACCONTO DI VITA PRIMA DI DIVENTARE SINDACO
COMO: ALESSANDRO RAPINESE IN LIBRERIA CON IL SUO RACCONTO DI VITA PRIMA DI DIVENTARE SINDACO
E’ uscito il libro di Alessandro Rapinese oggi Sindaco di Como, ma nel libro non si parla del suo attuale ruolo, bensì della sua vita prima di diventare primo cittadino. Il libro è sto presentato pochi giorni fà ufficialmente e in vendita nelle librerie da pochi giorni E poi vinse – la storia di Alessandro Rapinese, scritto a quattro mani da Gisella Roncoroni e Enrico Marletta, punte di diamante…
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#alessandro rapinese#como#e poi vinse#ENRICO MARLETTA#GISELLA RONCORONI#LA PROVINCIA GIORNALE#libri#SCRITTORE
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Terremoto EMILIA ROMAGNA, scossa di magnitudo 3.0 a Parma Periferia Sud, tutti i dettagli
articolo: https://www.3bmeteo.com/giornale-meteo/terremoto-emilia-romagna–scossa-di-magnitudo-3-0-a-parma-periferia-sud–tutti-i-dettagli-725645 05 agosto 2024 Scossa di terremoto Una scossa di terremoto di magnitudo 3.0, si è verificata alle ore 00:30 con epicentro a Parma Periferia Sud, in provincia di Parma. La profondità stimata è stata di circa 16.3 Km. Potete monitorare tutte le scosse in…
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Il “25 Aprile” del Veneto impiega almeno tre giorni per arrivare. I giornali continuano a nascondere la verità: “I sovietici ricacciati in contrattacco”, titola il Gazzettino del 25. Cadono le bombe su Santa Maria di Sala, Chioggia e Pellestrina. Il giorno dopo spazio ai “riti per San Marco nella Basilica d’oro”. E al cinema Santa Margherita “Il perduto amore, grande film a colori”, commedia tedesca con l’italiana Germana Paolieri: lei ama lui ma sposa l’altro, quando il primo ritorna il marito la lascia libera, ma lei si accorge di amare il marito che intanto muore! Soltanto il 27 aprile s’incomincia a capire qualcosa, quando in prima pagina compare l’annuncio del Comando tedesco alla popolazione di Venezia: “Qualora i combattimenti attualmente in corso dovessero avvicinarsi alla città di Venezia, e il nemico non porterà la lotta in città e la popolazione si comporterà in maniera assolutamente tranquilla, le FF. AA. germaniche non svolgeranno alcuna azione bellica e non eseguiranno distruzioni”. Il 28 aprile si capisce tutto. Esce il numero straordinario “Fratelli d’Italia-Il Gazzettino” firmato dal Comitato di Liberazione Nazionale che “dichiara iniziata anche nella provincia di Venezia la insurrezione nazionale per la liberazione del Paese dal giogo degli invasori tedeschi e dei traditori fascisti”. Il giornale dà anche altre notizie sorprendenti: “Mussolini Farinacci Pavolini e Graziani sono stati arrestati dai Volontari della Libertà”. [...]
Il Gazzettino di Padova 25/4/15
Padova 30/04/1945
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Notizie Bologna: Tutte le Novità dalla Provincia di Bologna
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2 mag 2024 15:01
CIELITO OLINDO – IL GIORNALISTA EDOARDO MONTOLLI SMONTA IL PRESUNTO SCOOP DI “GIALLO” SUL DIARIO SEGRETO DI OLINDO ROMANO: “LA CLAMOROSA CONFESSIONE È TALMENTE INEDITA CHE VIENE CITATA PERFINO A PAGINA 67 DELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO A COMO. OLINDO IGNORAVA CHE QUALCUN ALTRO AVREBBE MAI LETTO I SUOI APPUNTI SIA QUANDO SI PROFESSAVA COLPEVOLE, SIA QUANDO SI DICHIARAVA INNOCENTE. SONO IL SEGNALE DI UNA PERSONALITÀ DISTURBATA, MA ANCHE…” -
“ACCOGLI NEL TUO REGNO YOUSSEF E GLI ALTRI, A CUI NOI ABBIAMO TOLTO LA VITA” – IL SETTIMANALE “GIALLO” PUBBLICA I TESTI ORIGINALI (E LE IMMAGINI) DEL DIARIO SEGRETO DI OLINDO ROMANO. PAGINE CHE SEMBRANO UNA CONFESSIONE DELL’UOMO E CHE RISALGONO A QUATTRO MESI DOPO LA STRAGE DI ERBA. NESSUNO SAPEVA CHE STESSE TENENDO UN DIARIO SEGRETO, NASCOSTO DENTRO UNA BIBBIA...
STRAGE DI ERBA, LA FINTA ESCLUSIVA DI GIALLO SULLA BIBBIA DI OLINDO
Estratto da https://edoardomontolli.substack.com/
[…] Non c’è alcuna esclusiva e nessuna novità: nè il diario di Olindo è segreto, nè lo sono le sue immagini. La Bibbia di Olindo fu integralmente acquisita al processo di Como. Il quotidiano La Provincia di Como ci fece proprio una campagna sopra, con tanto di collage delle pagine, per accusare il netturbino. Quanto alla frase «mai vista prima» ovvero la clamorosa confessione, […] è talmente inedita che viene citata perfino a pagina 67 della sentenza di primo grado a Como.
Peraltro, a riportare per la prima volta quella frase «mai vista» fummo io e Felice Manti il 17 gennaio 2008 su Il Giornale, qualcosa come 16 anni fa. Sedici anni prima della finta esclusiva di Giallo. Però, esattamente come allora, nessuno si sofferma su alcuni fatti. Evidentemente, come appena documentato, perché non hanno alcuna cognizione degli atti.
Punto primo. Sulla Bibbia ci sono alcune ammissioni di colpevolezza e ben 71 ammissioni di innocenza. Ma ciò che conta è che in nessuno dei due casi Olindo sapeva che la Bibbia gli sarebbe stata sequestrata. Ignorava che qualcun altro avrebbe mai letto i suoi appunti sia quando si professava colpevole, sia quando si dichiarava innocente. Sono il segnale di una personalità disturbata, ma anche scioccata dai fatti.
Punto secondo. Su quella Bibbia Olindo prese un sacco di appunti in codice (del quale poi perdeva regolarmente le chiavi di decrittazione). Era il segnale evidente che ormai non si fidasse più di nessuno, costretto dalla sequenza degli eventi a recitare la parte del colpevole.
Punto terzo. Se bastasse una dichiarazione di colpevolezza a giustificare una condanna, avremmo le carceri piene di mitomani. Chi lo sostiene non ha alcuna cognizione della cronaca nera. Ne Il grande abbaglio raccontammo, ad esempio, il caso del mostro di Foligno: prima che Luigi Chiatti fosse arrestato, un giovane di Melegnano sostenne di essere il Mostro. All’inizio dissero che conosceva dettagli che solo l’assassino poteva conoscere. Poi si accorsero che in realtà non c’entrava assolutamente nulla.
Punto quarto. Olindo sapeva che doveva recitare una parte perché convinto di finire in manicomio con Rosa. La recitò anche con lo psichiatra Massimo Picozzi, raccontando una versione ancora totalmente sballata della strage, come abbiamo documentato in questo video.
Punto quinto. Non si è mai capito chi convinse Olindo a prendere appunti sulla Bibbia rivendicando i delitti. Così come nessuno ha mai saputo chi lo convinse a rispondere a Don Bassano Pirovano, che gli aveva scritto una lettera chiedendogli di pentirsi. Il Corriere della Sera ipotizzò che il ghost writer della missiva di Olindo fosse il suo compagno di carcere Giuliano Tavaroli, ma l’ex capo della security di Telecom smentì.
Di certo successe un fatto abbastanza sconcertante, specie per chi è un fedele cristiano: la lettera di pentimento di Olindo non finì infatti in un privato cassetto di Don Bassano Pirovano, ma venne spiattellata su tutti i giornali. Chi e perché lo fece, nessuno lo ha mai saputo.
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Anita Roddick
Se pensi di essere troppo piccolo per lasciare il segno, prova ad andare a letto con una zanzara.
Anita Roddick è stata l’imprenditrice inglese che ha creato The Body Shop il primo modello di business legato al rispetto per l’ambiente, capace di coniugare etica e profitto e il primo brand a proibire test sugli animali.
Una filosofia imprenditoriale improntata sull’idea rivoluzionaria che il business potesse avere un impatto positivo sulla società e sul pianeta.
La sua azienda di cosmetici che produceva e vendeva prodotti di bellezza naturali è stata tra le prime a promuovere il commercio equo con i paesi in via di sviluppo.
Nata col nome di Anita Lucia Perrella a Littlehampton, il 23 ottobre 1942, era la terza di quattro figli e figlie e Gilda Di Vito, emigrata a 17 anni in Inghilterra da Atina, in provincia di Frosinone e Donato Perrella, ristoratore di Brighton.
Sua madre sognava per lei una carriera da insegnante, ma il suo desiderio di avventura l’ha portata, dopo gli studi, prima a Parigi, dove ha lavorato alla biblioteca dell’International Herald Tribune e poi a Genova presso le Nazioni Unite.
Ha poi mollato tutto e intrapreso il suo “sentiero hippie” che l’ha portata a girare attraverso l’Europa, il Pacifico meridionale e l’Africa. Ha così scoperto culture di altri mondi, rituali e usanze comprese quelle per la cura del corpo e per la salute.
Tornata in Inghilterra, nel 1970 ha sposato Gordon Roddick, viaggiatore come lei che, qualche anno dopo, ha deciso di realizzare il suo sogno andare a cavallo da Buenos Aires a New York. Entusiasta del progetto del marito, ne ha finanziato il viaggio vendendo la sua piccola attività di ristorazione. Per sostenere la famiglia ha quindi iniziato a collaborare con un erborista locale creando cosmetici naturali mettendo a frutto le conoscenze acquisite durante i suoi viaggi.
Con un piccolo prestito, nel 1976, ha aperto il suo primo The Body Shop nella località balneare di Brighton.
L’idea di partenza era creare prodotti di qualità per la cura della pelle in contenitori da riempire con fragranze decise al momento.
Qualcosa di diverso dalla solita profumeria, piuttosto una filosofia di vendita che metteva al primo posto nella scala dei valori ambiente e solidarietà, il recupero dei materiali e la ricerca di essenze poco note.
Ogni prodotto aveva una storia ed era fatto con ingredienti naturali provenienti da tutto il mondo. Venduto in confezioni semplici e ricaricabili, costituiva un rituale quotidiano di amor proprio, senza false promesse di dimagrimento o ringiovanimento. Una fonte di gioia, conforto e autostima.
Dopo sei mesi aveva aperto un secondo punto vendita, nel 1984 è entrata in borsa e, nel 1991, dopo 15 anni di attività, la sua impresa era a un livello tale di successo da conquistare il World Vision Award for Development Initiative.
Credo che tutte le pratiche commerciali sarebbero notevolmente migliorate se fossero governate da principi” femminili“.
Molto attiva in diverse campagne per diritti umani e ambientali, si è unita a Greenpeace nella campagna Save the Whale per combattere la crudele caccia alle balene e promuovere l’uso dell’olio di jojoba come sostituto dell’olio dei capodogli, che a quel tempo era ampiamente utilizzato nei cosmetici. Ha anche sponsorizzato The Big Issue il giornale indipendente venduto da persone senza fissa dimora. Ha finanziato Amnesty International, e supportato campagne contro la distruzione delle foreste pluviali.
Nel 1990 ha fondato Children on the Edge, organizzazione per aiutare l’infanzia svantaggiata colpita da conflitti, disastri naturali, disabilità e HIV/AIDS, con la convinzione che il mondo degli affari dovesse offrire una forma di leadership morale.
Ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale e a raccogliere fondi per aiutare gli Angola Three, prigionieri afroamericani tenuti in isolamento per decenni.
Nel 1997, in contrasto agli ideali di bellezza filiforme, ha prodotto Ruby, una bambola corpulenta e fiera che è diventata l’incarnazione della campagna promozionale più importante del suo brand.
Nel 2004, Body Shop aveva 1980 negozi con più di 77 milioni di clienti in tutto il mondo. Il secondo marchio più affidabile nel Regno Unito e il 28° più importante al mondo.
Due anni dopo, lo ha venduto al gruppo L’Oréal per 652 milioni di sterline (circa 775 milioni di euro), scatenando numerose polemiche per il fatto che il colosso della cosmesi utilizzava test sugli animali e fosse in parte di proprietà di Nestlé nota per il pessimo trattamento riservato ai produttori dei paesi in via di sviluppo.
Intanto aveva anche istituito una scuola specializzata in Business e Impresa, The Roddick Enterprise Centre, in cui ha messo a punto la sua personale ricetta per l’imprenditoria costituita da motivazione, indipendenza, entusiasmo, ingegno, determinazione, consapevolezza dei rischi e, soprattutto, ottimismo.
Per la sua leadership virtuosa, Anita Roddick ha ricevuto premi e riconoscimenti in tutto il mondo, è stata nominata prima Ufficiale e poi Dama Commendatrice dell’Ordine dell’Impero Britannico e le sono state conferite diverse lauree e dottorati ad honorem. È stata anche insignita dall’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
Ha scritto diversi libri, tra cui Prendilo sul personale: come la globalizzazione ti influenza e modi efficaci per sfidarla e Troubled Water: Santi, peccatori, verità e bugie sulla crisi idrica globale.
Nel 2004 le è stata diagnosticata una cirrosi epatica in conseguenza di un’epatite di vecchia data. Da quel momento si è spesa per promuovere il lavoro di The Hepatitis C Trust con una campagna per sensibilizzare sulla malattia che l’ha vista ospite in importanti programmi televisivi britannici.Si è spenta, in seguito a un ictus, il 10 settembre 2007 al St Richard’s Hospital di Chichester.Ha lasciato il suo patrimonio di 51 milioni di sterline alla Roddick Foundation che, nel suo nome, continua ancora oggi a creare campagne in difesa dei diritti umani.
È stata una donna che si è fatta da sola, che ha avuto una grande intuizione e una visione. Un grande esempio di imprenditrice che ha fondato un impero partendo dal basso, nel rispetto della natura e delle persone, senza mai piegarsi a logiche e mode passeggere.
Ha creato un marchio in cui ogni prodotto e ogni decisione aziendale servivano a dare potere alle ragazze e alle donne, lottando per l’uguaglianza e creando opportunità lavorative secondo principi di inclusione, collaborazione e solidarietà.
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Esplode la pentola a pressione in casa, morta una 46enne nel Catanese
Una pachistana di 46 anni, madre di otto figli, è deceduta per l’esplosione di una pentola a pressione nella sua casa di Caltagirone, in provincia di Catania. Lo riportano i quotidiani La Sicilia e Giornale di Sicilia, parlando di incidente domestico probabilmente legato a un cattivo funzionamento della valvola di sfogo o a un errato uso della pentola. La donna è deceduta sul colpo. Sul posto è…
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