#Italia dell’Ottocento
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La Garibaldina – La nuova indagine di Milli Pazienza tra delitti, misteri e segreti del passato. Recensione di Alessandria Today
📖 Titolo: La Garibaldina – La nuova indagine di Milli Pazienza ✍️ Autore: Mara Antonaccio 📅 Data di pubblicazione: 6 marzo 2025 📚 Genere: Thriller, Giallo storico, Mistero, Paranormale ⭐ Valutazione: ★★★★☆ (4,7 su 5) Recensione: Mara Antonaccio torna con La Garibaldina, il secondo capitolo della serie di Milli Pazienza, un thriller investigativo che intreccia passato e presente in…
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Wilma Neruda

Combattendo come un novello San Giorgio contro il Drago del Pregiudizio, con la sua straordinaria intonazione, uno stile puro non secondo a quello di alcun uomo, l’intelligenza nell’interpretazione unite alla grazia femminile, dimostrò cosa potessero fare le donne.
Wilma Neruda è la violinista ceca che, nell’Ottocento, è riuscita a fare della musica la propria professione, aprendo la strada a tante artiste a cui veniva precluso lo studio del violino, considerato uno strumento maschile.
Colonna portante della diffusione popolare della musica nella Gran Bretagna dell’Ottocento, la sua carriera è durata più di sessant’anni.
Nata col nome di Wilhelmine Maria Franziska Neruda, a Brno, in Moravia, il 21 marzo 1838, in una famiglia di musicisti, il padre l’aveva introdotta allo studio del pianoforte che riteneva più consono al suo genere, ma lei aveva cominciato a suonare di nascosto il violino del fratello e si era dovuto arrendere al fatto che avesse un enorme talento.
Bambina prodigio, così come suo fratello e sua sorella, si è esibita per la prima volta in pubblico all’età di sette anni, suonando una sonata di Bach.
La fama di questa giovanissima che suonava con la sicurezza e la sensibilità di un adulto, era diffusa nei circoli dell’epoca, tanto che la famiglia si era spostata a Vienna per farla studiare con Leopold Jansa che l’aveva ascoltata per caso e l’aveva voluta come sua allieva, nonostante fosse una femmina.
Aveva 11 anni quando venne invitata a suonare per la Philarmonic Society, venne definita “una bambina, per anni e aspetto ma un Paganini in miniatura”. L’intonazione e la sua tecnica facevano presa sul pubblico con la magia della nobiltà di stile, del calore e la risonanza più intima con la musica.
Per i suoi meriti, nel 1861, fu eletta alla Kungliga Musikaliska Akademien che contava, tra i suoi allievi, anche Christiano IX di Danimarca, padre della futura Principessa del Galles, Alexandra a cui fu legata da un lungo rapporto di amicizia e stima.
Nel 1863 le venne conferita la medaglia Litteris et Artibus.
L’anno seguente, a Stoccolma, sposò il compositore Ludvig Norman con cui aveva fondato la prima Società di Concerti e da cui ebbe due figli, Ludwig e Waldemar. Un matrimonio infelice interrotto nel 1869, quando si era trasferita in Inghilterra dove si esibiva davanti a tutta la nobiltà europea, incantando per il suo gusto, grazia e tecnica.
Appassionata musicista da camera, seguendo l’incoraggiamento di Henri Vieuxtemps, si era unita a una serie di Monday Popular Concert a Londra ed è stata la prima donna in un quartetto d’archi maschile, ricoprendo la posizione di primo violino, quando non c’era il suo amico di sempre Joseph Joachim.
Rimasta vedova, nel 1888 aveva sposato Sir Charles Hallè, musicista anglo-tedesco con il quale intraprese tour in Australia e Sud Africa. Alla coppiava il merito di aver fatto conoscere l’intero repertorio cameristico di Beethoven affiancandolo ad autori contemporanei che hanno suonato anche in città periferiche, nelle fabbriche o nelle scuole nelle quali vennero, per la prima volta, proposti programmi educativi.
Nel 1895 anche il secondo marito era morto e lei era andata a vivere in Italia, nel Palazzo Beltramini di Asolo, che le era stato donato da Edoardo Principe di Galles e futuro re del Regno Unito. L’aveva seguita il figlio Ludvig, morto pochi anni dopo mentre scalava le Dolomiti.
Nel 1899, ha intrapreso un tour negli Stati Uniti e in Canada. Si esibiva sempre vestita di nero, come tributo al figlio defunto.
Sebbene possedesse diversi violini, amava esibirsi con uno Stradivari del 1709, appartenuto in precedenza a Heinrich Wilhelm Ernst che oggi è conosciuto come lo Stradivari Lady Hallé, dal nome che aveva adottato dopo il matrimonio col celebre musicista.
Nonostante avesse un carattere molto forte che poteva essere scambiato per superbia o freddezza, non disdegnava consigli e incoraggiamenti per le nuove generazioni.
Era amica della scrittrice George Eliot, di Joseph Joachim, Alfredo Piatti e della Principessa Alexandra che, diventata regina, nel 1901 le aveva conferito il titolo di Violinist to the Queen e, nel 1903, la medaglia Science, Art and Music.
Ha passato gli ultimi anni della sua vita tra Londra e Berlino, dove ha insegnato allo Sternschen Konservatorium fino al 1902.
Si è esibita fino alla fine dei suoi giorni, si è spenta a causa di una influenza degenerata in polmonite, il 15 aprile 1911, a Berlino.
Omaggiata con onorificenze e dediche di vario tipo, encomiata da pubblico e musicisti sui contemporanei, ha continuato a ispirare opere, romanzi e racconti.
In Uno studio in rosso di Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes assiste a una sua esibizione al St. James di Londra, entusiasmandosi per la sua maestria nell’uso dell’arco.
Wilma Neruda aveva un grande talento e amava la musica in maniera incondizionata. Non ha rinunciato a suonare mai, nonostante i primi divieti, i pregiudizi, le dicerie. Ha avuto una carriera professionale e vissuto del suo lavoro, nonostante venisse pagata molto meno dei suoi colleghi, ha fatto cose che nessuna aveva osato fare prima di lei. Ha insegnato e incoraggiato alla pratica musicale intere generazioni e, soprattutto, ha dimostrato, che anche una donna poteva suonare il violino e girare il mondo per essere applaudita per il suo lavoro.
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Forse non tutti sanno che Albert Einstein trascorse parte della sua giovinezza a Pavia.
Il padre Hermann, sul finire dell’Ottocento, avviò un’attività industriale proprio a Pavia.
L’Officina Einstein-Garrone fu una importante fabbrica elettro-tecnica che produceva dinamo e l’edificio lo si può ancora ammirare ancora oggi in Viale Partigiani.
Mentre i genitori erano a Pavia, il giovane Albert decise di lasciare la scuola tedesca di Monaco di Baviera, troppa rigida a sua detta. Simulò così un esaurimento nervoso e raggiunse la famiglia in Italia.
Albert trascorse a Pavia la primavera e l’estate del 1895 e ci tornò poi nei periodi di pausa universitaria. Amava fare lunghe corse in bicicletta in Oltrepo Pavese e bagni notturni nel Ticino.
La famiglia Einstein visse a Pavia presso Palazzo Cornazzani, in via Ugo Foscolo 11, villa con portici e affreschi quattrocenteschi in cui nel 1808 era vissuto Ugo Foscolo. Qui l’allora 16enne Albert trascorse mesi gioiosi come ricorda nella sua biografia. C’è anche chi sostiene che Einstein avesse scritto proprio a Pavia la sua prima memoria scientifica.
Certo è che Albert Einstein a Pavia instaurò una bella amicizia con Ernestina Marangoni.
I rapporti proseguirono durante gli anni e, dopo la guerra, nel 1946, Ernestina scrisse al vecchio amico ormai famoso chiedendogli di adoperarsi per la ricostruzione del ponte coperto di Pavia, danneggiato nel 1944 dai bombardamenti alleati.
Nella risposta, scritta in italiano e visibile al Museo di storia dell’Università, si avvertono il dolore e lo sdegno per le atrocità della guerra e delle persecuzioni antisemite che avevano colpito, in Italia, anche la sua famiglia.
La Fisica nucleare è ben presente a Pavia. Per chi non lo sapesse nel 1965 entrò in funzione un reattore nucleare presso il laboratorio di energia nucleare applicata dell’Università di Pavia. Fu un reattore nucleare a scopo di ricerca voluto dal prof. Rollier che viene utilizzato per vari tipi di sperimentazioni in particolare radiochimica e fisica nucleare.
In occasione della serie TV ‘Hanno Ucciso l’Uomo Ragno‘ di Sydney Sibilia in onda su Sky, durante la prima puntata si fa un chiaro riferimento al soggiorno di Albert Einstein a Pavia. Lo scienziato inizialmente che seguì il padre controvoglia, ma successivamente il giovane Einstein scoprì la bellezza della città e del suo Oltrepò.
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Viaggi in Italia John Ruskin
a cura di Attilio Brilli
Passigli Editori, Bagno a Ripoli (Fi) 2020, 256 pagine, 23,2x28cm, ISBN 9788836818211
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
Ultimo dei grandi viaggiatori inglesi a compiere nella prima metà dell’Ottocento il Grand Tour del ‘Bel Paese’, John Ruskin ha scritto alcune delle pagine che meglio illustrano le bellezze dell’Italia e dei suoi tesori d’arte, lo stato delle sue città e le condizioni di vita della sua gente.
Questo libro è dedicato ai primi due viaggi di Ruskin nel 1840 e nel 1845, quelli maggiormente formativi della sua sensibilità artistica. Attraverso i suoi appunti di viaggio, le lettere al padre, e soprattutto i meravigliosi schizzi e acquerelli viene illustrata un’Italia alla vigilia del suo Risorgimento, ma anche alla vigilia del suo profondo cambiamento.
Un libro dunque che ci consente di riprendere possesso di un’Italia perduta.
07/10/24
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La Scultura del giorno: il busto di Louise Engels come Flora di Rauch
La scultura del giorno che vi propongo oggi è il busto di Loiuse Engels come Flora, scolpito da Christian Daniel Rauch tra il 1835 e il 1839. Rauch fu uno degli scultori tedeschi neoclassici più celebri dell’Ottocento e una figura di spicco della scuola berlinese. Poco conosciuto in Italia ma molto noto in Germania, Rauch elaborò raffinate sculture dotate di grazia e leggerezza, proprio come il…
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L' impresa individuale segnala un declino quasi ventennale
Il primo maggio nasce per ricordare le battaglie dell’Ottocento per la giornata lavorativa di otto ore, le rivendicazioni sindacali che ancora oggi caratterizzano questa giornata la associano soprattutto ai lavoratori dipendenti, ma in realtà è la festa di tutti i lavoratori, anche quelli autonomi. Questo è ancora più vero in Italia, dove il lavoro autonomo gioca un ruolo più significativo che altrove, anche nel dibattito politico, e dove la frontiera tra lavoro autonomo e lavoro dipendente non è sempre così chiara. Mentre il numero di lavoratori dipendenti, mese dopo mese, raggiunge nuovi record, il lavoro autonomo continua il suo declino ormai quasi ventennale (a inizio 2024, dopo una piccola ripresa, il numero di autonomi è nuovamente sceso sotto la soglia dei 5 milioni). Dopo il picco di metà anni Ottanta, si era assistito a un primo calo negli anni Novanta, ma è soprattutto all’avvio e in seguito alla crisi finanziaria e dei debiti sovrani che il numero è crollato. In poco meno di vent’anni, il numero di lavoratori autonomi è sceso di un milione di unità. Invece di un futuro in cui tutti saremo imprenditori di noi stessi, andiamo verso il tramonto del lavoro autonomo? No, la questione è più sottile. Non tutti gli autonomi sono uguali Il mondo degli autonomi è composto da lavoratori molto diversi tra di loro. Più della metà sono lavoratori in proprio e liberi professionisti, cioè che esercitano attività di lavoro autonomo. Solo il 7 per cento sono imprenditori in senso stretto, cioè che esercitano attività di impresa. Il 5 per cento, poi, sono collaboratori occasionali e il 4 per cento coadiuvanti (non retribuiti) nell’azienda di un familiare. Sul totale, meno di un terzo degli autonomi è un “datore di lavoro”, cioè ha dipendenti. Il resto sono autonomi senza dipendenti. Quanti di questi lavoratori senza dipendenti siano veramente autonomi e non dipendano, invece, nei fatti dalle richieste di un committente non lo sappiamo. I dati che sono raccolti regolarmente nelle indagini sulle forze lavoro non permettono questo tipo di analisi. Tuttavia, in un approfondimento tematico ad hocnel 2018, l’Istat rilevava come tra gli autonomi senza dipendenti, quelli che dipendono da un committente principale fossero il 20,8 per cento, quelli che devono adeguare l’orario di inizio e fine della giornata lavorativa alle esigenze del cliente principale il 10,5 per cento e coloro che ricadono in entrambe le categorie il 6 per cento. Stando a questi numeri, circa un lavoratore autonomo su cinque (cioè, un milione di persone oggi) non ha i diritti del lavoro subordinato (ma ne condivide alcuni obblighi) e non gode di tutta la flessibilità che il lavoro autonomo può offrire. Prima della pandemia, il calo riguardava sia i datori di lavoro che, in maniera più marcata, i lavoratori autonomi senza dipendenti. Guardando all’evoluzione più recente, si può notare invece come dopo il periodo della pandemia, in cui anche il numero di datori di lavoro si è contratto (nonostante gli aiuti pubblici che hanno limitato di molto il numero di fallimenti), gli autonomi che hanno altri lavoratori alle proprie dipendenze sono cresciuti a ritmi sostenuti, tanto da essere in linea negli ultimi trimestri con quello dei lavoratori dipendenti, mentre sia continuato il calo degli autonomi senza dipendenti. Più opportunità di lavoro dipendente Visto da questa prospettiva, quindi, la riduzione del numero di lavoratori autonomi appare sotto un’altra luce, certamente meno negativa. Pur senza poter avanzare spiegazioni definitive, si può ipotizzare che, negli ultimi trimestri, il calo sia in parte il riflesso delle maggiori opportunità di lavoro dipendente. Chi una volta apriva una partita Iva in mancanza d’altro, ora ha maggiori possibilità di trovare un lavoro dipendente. Se, poi, il calo degli autonomi senza dipendenti riflettesse anche un consolidamento e un aumento della taglia delle imprese, per esempio degli studi professionali, questo sarebbe un altro fattore positivo per l’economia italiana, visto che da tempo si è capito che “piccolo non è bello”. Quali siano le dinamiche territoriali dietro questi numeri non lo sappiamo, non tanto tra Nord e Sud (il calo è concentrato al Mezzogiorno), ma tra aree interne e centri urbani: se il consolidamento vuol dire un supermercato a fondo valle e la chiusura dei negozietti nei paesi di montagna, significa anche minori servizi. Al momento, per quanto possiamo osservare con i dati disponibili, i numeri sul lavoro autonomo, pur andando in senso opposto a quelli del lavoro dipendente, suggeriscono comunque una maturazione del fenomeno (meno sopravvivenza e più impresa) e una convergenza verso la media europea. Un motivo in più per festeggiare il lavoro e i lavoratori in questo primo maggio. Read the full article
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PRIMO MAGGIO
ARTICOLI/ITALIA/ 🇮🇹 Le origini della celebrazione risalgono alla fine dell’Ottocento: il 4 maggio 1887 quattro lavoratori furono condannati a morte a Chicago in seguito agli scontri con la polizia avvenuti durante una dimostrazione per estendere le otto ore lavorative a tutti gli Stati Uniti (concesse in Illinois il 1 maggio dello stesso mese). Per onorare la loro memoria, i partiti socialisti…
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Preraffaelliti. Rinascimento moderno
Con oltre 300 opere l’esposizione dedicata ai Preraffaelliti a Forlì è la più grande mai realizzata in Italia sul più importante movimento artistico inglese dell’Ottocento
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La Mostra Dinastia Savini al Museo Ottocento Bologna prorogata al 5 maggio 2025 con tre inediti ritrovati di Alfonso e Alfredo Savini
Dopo il grande successo della mostra Dinastia Savini, Museo Ottocento Bologna ha prorogato l’esposizione fino al 5 maggio 2025. I protagonisti della mostra – Giacomo (1768-1842), Alfonso (1838-1908) e Alfredo (1868-1924) –, grazie alla complessità genealogica e alle relative qualità artistiche, possono essere considerati, a buon diritto, l’autentico specchio dell’Ottocento artistico bolognese:…
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Selma Lagerlöf

Selma Lagerlöf, scrittrice svedese, è stata la prima donna della storia insignita del Premio Nobel per la letteratura.
Autrice di numerosi romanzi e racconti, la sua opera epico-narrativa è stata quasi tutta ispirata alle tradizioni popolari della sua regione e alla vita di quell’aristocrazia provinciale colta ma decaduta che, con la rapida industrializzazione del paese, andava fatalmente tramontando.
La fiaba pedagogica è stata il mezzo che le ha consentito di realizzare un equilibrio tra verità psicologica e senso del meraviglioso.
Nata a Sunne, in Svezia, il 20 novembre 1858, ebbe un’infanzia difficile dovuta a una malattia all’anca che la costringeva a forti dolori e lunghi periodi di degenza, alleviati dalla compagnia della nonna, narratrice di racconti di miti e leggende del mondo nordico.
Era una maestra indipendente e moderna, quando, nel 1891, ha pubblicato il suo primo romanzo la Saga di Gösta Berling, storia scritta per intrattenere i suoi nipoti in cui reinterpreta la mitologia scandinava dandone un volto fortemente contemporaneo, grazie al quale i classici uomini-eroi, si scoprono fragili e imperfetti.
Il libro, considerato la sua opera principale, ebbe un enorme successo che le aveva portato un cospicuo premio in denaro con cui aveva potuto lasciare l’insegnamento per cominciare a viaggiare con la sua compagna, la scrittrice Sophie Elkan. Insieme visitarono Italia, Egitto, Palestina, Francia, Belgio e Olanda, luoghi di ispirazione per opere successive.
È stata molto attiva nelle rivendicazioni dei diritti delle donne e ha partecipato al Congresso dell’Alleanza internazionale per il diritto al voto femminile.
Figura eminente della letteratura svedese, è stata la prima scrittrice a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1909, per l’elevato idealismo, la vivida immaginazione e la percezione spirituale che caratterizzano le sue opere.
Coi proventi del Nobel, aveva riacquistato e ristrutturato la residenza di famiglia che suo padre era stato costretto a vendere a causa di un dissesto finanziario.
Nel 1914 è stata la prima donna a entrare nell’Accademia Svedese.
Ha ricevuto lauree ad honorem ed è stata insignita della Legion d’Onore francese. Anni dopo, Marguerite Yourcenar l’ha definita “la più grande scrittrice dell’Ottocento“.
Alla morte di Sophie Elkan, nel 1921, ne aveva ereditato i beni personali che andarono a costituire una sorta di museo nella sua casa, noto come Elkanrummet (Stanza Elkan).
Con l’avvicendarsi della persecuzione nazista è stata una ferma oppositrice dell’interventismo e della guerra, ne ha condannato gli orrori nel romanzo L’esiliato, i cui diritti d’autore vennero destinati al Comitato internazionale per il soccorso dei profughi politici, procurandosi la messa al bando di tutte le sue opere in Germania.
Si è spenta il 16 marzo 1940 a causa di un’emorragia cerebrale.
Sulla sua vita libera e coraggiosa, sono stati scritti libri e tratti diversi film. Le è stato dedicato un asteroide ed è stata effigiata su una banconota svedese.
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Vilfredo Pareto non era uno stupido
Il venti per cento dei nostri sforzi genera l’ottanta per cento dei risultati Pareto è stato un economista e sociologo italiano della seconda metà dell’Ottocento. La sua teoria, Principio di Pareto, conosciuta informalmente come legge 80/20 prendeva spunto dalla distribuzione della ricchezza in Italia, più precisamente aveva rilevato che circa il 20% delle persone possedeva circa l’80% dei…
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Riconoscimenti meritati per il sempre più affermato scrittore e letterato siciliano, a cui è stato consegnato il Premio “Filippo Reale”. Dopo il primo posto della sezione Narrativa Saggio di Etnabook con i racconti del suo Riscatto (alcuni erano già apparsi su antologie e concorsi nazionali), per i tipi di Felici Editore, Federico Bianca continua a ricevere innumerevoli consensi professionali. Lo scorso 5 novembre, all’interno del Castello Normanno di Adrano (CT), si è svolta la premiazione della VI edizione del Premio “Filippo Reale”. Il riconoscimento è intitolato a Filippo Reale, poeta e drammaturgo dell'Adrano dell’Ottocento. Nato nel 1809 e morto nel 1877, Reale fece parte delle più prestigiose accademie di cultura, siciliane e non. Socio fondatore dell'Accademia Gioienia di Catania, fu fra i principali animatori delle Accademie di Stesicorea di Catania e Zelantea di Acireale. Scrisse la tragedia Maria Stuarda e il poema epico Costantino. Questo premio viene assegnato ogni anno, su segnalazione di una giuria qualificata, a personaggi siciliani che si sono distinti in ambiti quali Storia, Letteratura, Musica, Teatro, Medicina, Scienza, Giornalismo. Federico Bianca è stato insignito del premio per la sezione narrativa, «visti i suoi studi e i suoi meriti», si legge nella motivazione del Consiglio Direttivo e della Presidenza del Comitato per la Cultura. A consegnargli materialmente l’onorificenza sono stati il presidente del Premio, il Dott. Filippo Marotta Rizzo, e l’avvocato Massimo Mallucci, presidente nazionale di “Italia Reale”, alla presenza del Dott. Giuseppe D’Urso nelle vesti di Direttore del Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell'Aci, che ha patrocinato la manifestazione. «È un grande onore ricevere tale riconoscimento. Il Premio Reale si è sempre contraddistinto per la sua ricerca di talenti siciliani, in un’ottica che riunisce l’amore per le radici della nostra terra e il gusto per la novità e l’originalità degli interessi culturali e artistici», ha dichiarato Bianca nell’occasione. Ha poi proseguito, felice: «Nel mio caso, la grande tradizione letteraria siciliana - mi riferisco a Verga, Pirandello, Ercole Patti, Rosso di San Secondo, Nino Savarese, Brancati, Sciascia - si amalgama con la mia passione per il cinema, il fumetto, il mondo di Hollywood e la grande letteratura europea. Il Castello Normanno, con il suo bellissimo museo, è una splendida cornice, ideale per sintetizzare tradizione e contemporaneità». A conclusione dell’evento, Bianca ha sottolineato: «Dopo le presentazioni a Castel Ursino, Etnacomics, la Società Storica Catanese, il Battiati Jazz Festival, Pisa e Carrara (dove sono stato ospite del mio editore, Fabrizio Felici), il Salone del Libro di Torino, la Fiera Internazionale del Libro di Brindisi e la vittoria di Settembre dell’Etna Book Festival, sono felice che la mia opera ‘Riscatto’ abbia potuto trovare qui ospitalità e apprezzamenti. Colgo infine l’occasione per ringraziare gi amici più stretti che mi hanno da sempre aiutato con questo libro, tra cui Sissi Sardo, Marilina Giaquinta, Antonio Celano, Fabrizio Felici, Simone Taormina, Federica Giovannone, Alfio D’Agata, Daniele Gangemi». Federico Bianca (classe 1982) si avvicina al mondo della letteratura, dei fumetti e del cinema fin da bambino. Diploma di Maturità Classica, e poi Laurea triennale in Lettere moderne. A seguire, la Laurea specialistica in Filologia me un Dottorato di ricerca in Italianistica. Da siciliano innamorato della sua terra, continua a viverci, specializzato nell’insegnamento della lingua italiana agli stranieri. Tutor esterno alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania, nonché docente di ruolo di materie letterarie negli istituti secondari di secondo grado. Oltre a Riscatto, finora ha pubblicato tre monografie per Convivio Editore: Lolita, un mito euramericano tra romanzo e sceneggiatura; Carlo Alianello nella cultura italiana e europea; Giovanni Papini: la vita, le opere, la poetica.
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Turner, Paesaggi della Mitologia a Venaria Reale

Fino al 28 gennaio 2024 la Reggia di Venaria propone la mostra Turner. Paesaggi della Mitologia, a cura della storica dell’arte inglese Anne Lyles, continuando così la prestigiosa collaborazione con la Tate UK dopo la mostra che si è tenuta nel 2022 dedicata a John Constable. L’esposizione si trova al primo piano delle Sale delle Arti e presenta una selezione di una quarantina di opere provenienti dalla prestigiosa istituzione britannica, nelle quali Turner esprime non solo la sua passione per la pittura di paesaggio, ma anche quella per temi legati alla mitologia classica greca e romana. Nelle dieci sale della mostra i visitatori trovano sia i grandi dipinti a olio su tela, realizzati da Turner per essere esposti alla Royal Academy di Londra, sia gli acquerelli e gli schizzi in cui l’artista manifestò con libertà e spontaneità la sua visione romantica della Natura e del Mito. Tra gli artisti britannici più noti e amati, William Turner fu celebre per i suoi paesaggi, dove la Natura è concepita nell’ambito di una estetica del Sublime, con fitte nebbie, tempeste di mare e fenomeni naturali che incutono timore all’uomo e al contempo attraggono. Ma Turner si affermò a livello internazionale all’inizio dell’Ottocento dipingendo grandi quadri per le grandi rassegne ufficiali, con scene tratte dalla Bibbia, dalla letteratura classica e dalla mitologia ancora influenzati dallo stile dei suoi predecessori francesi, come Nicolas Poussin e Claude Lorrain, oltre ai personaggi che popolano il mondo della mitologia, dopo che ebbe studiato da vicino alla National Gallery di Londra i dipinti degli Old Masters. Inoltre, durante i primi anni da studente della Royal Academy, l’artista imparò a riprodurre fedelmente, a matita o a gessetto, i calchi delle più celebri statue del mondo classico, come l’Apollo del Belvedere. A influenzare ulteriormente i quadri di mitologia classica di Turner contribuì Richard Wilson, che nella seconda metà del Settecento visse per un lungo periodo nel sud Italia, tra Roma e Napoli, dove le sue tele erano popolate da figure della classicità o mitologiche, in paesaggi idealizzati, ma influenzati da luoghi reali che aveva visitato. Il desiderio di Turner di conoscere i paesaggi italiani di Wilson si realizzò nel 1819, per le difficoltà che comportava un viaggio in Europa durante le guerre napoleoniche. In Italia Turner tornò poi nel 1828 per un soggiorno più lungo e da allora usò proprio i paesaggi italiani come sfondo per i soggetti mitologici. Alcune opere della mostra, come The Bay of Baiae with Apollo and the Sibyl (1823), documentano come il soggetto mitologico fosse trattato da Turner con sempre più dettaglio e consapevolezza storica. Lo sfondo di rovine romane e la figura della Sibilla Cumana simboleggiano i temi che l’artista aveva più a cuore tra bellezza e decadenza, gloria e declino, fragilità della vita e caduta degli imperi. Read the full article
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I Macchiaioli a Gubbio dal 4 novembre
‘I Macchiaioli e la pittura en plein air tra Francia e Italia’ è il titolo della mostra che la città di Gubbio ospita dal 4 novembre al 3 marzo 2024 per celebrare uno dei movimenti più importanti e rivoluzionari della scena artistica italiana nella seconda metà dell’Ottocento. L’esposizione, a cura di Simona Bartolena, riunisce oltre 70 opere dei grandi protagonisti della storia dei…
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Riassunto minimo minimo, tagliato con l’accetta. Sainte-Beuve fu il critico letterario principe dell’Ottocento; aveva un suo metodo, che fu chiamato «metodo biografico»; il metodo consisteva nell’usare la biografia dell’autrice o autore per comprendere meglio, o addirittura spiegare, e alla fin fine valutare, l’opera. Hyppolite Taine, più o meno suo contemporaneo, faceva la stessa cosa in modo appena un po’ diverso: più che alla biografia intima del personaggio si interessava ai contesti economici e sociali della sua formazione, alla sua posizione sociale eccetera. La critica marxista spesso si limitò a raffinare il grossolano positivismo di Taine; talvolta arrivò a concetti molto interessanti e produttivi, come quello di «rispecchiamento» (Lucàks): nell’opera d’arte si rispecchia la società nella quale essa è nata, ma non si rispecchia nei contenuti bensì nelle forme dell’opera stessa (capire come: questo è il problema). Benedetto Croce dichiarò che l’arte è intuizione e separò la poesia dalla non-poesia; ma come critico letterario, in realtà, a mio avviso, non fece che esercitare un finissimo, uno straordinariamente fine (e discutibile) gusto (e gusto non solo per la poesia, ma anche – spero che don Benedetto da lassù non mi senta – per la buona retorica). Poi arrivarono gli anni della linguistica, dello strutturalismo, del close reading, delle opere letterarie considerate come meri testi, come meri oggetti, separate dal tempo e dal luogo della loro origine (e tanto più dalla persona che le originò); mentre dappertutto serpeggiava il freudismo, in parte come triste rinascita del biografismo alla Sainte-Beuve, in parte come (molto più interessante) tentativo di fare vera psicoanalisi dei testi, delle opere, delle parole, alla Francesco Orlando. Ieri ci si appassionava alla «letteratura vista da lontano», come recita il titolo di un libro di Franco Moretti, al tentativo di indagare la letteratura usando statistiche, grafici, schemi, nella speranza di formare un sapere cumulativo, trasmissibile da uno studioso a un altro e da una generazione a un’altra; oggi siamo all’eclettismo post-postmodernista (l’unica cosa su cui quasi tutti gli eclettici sono d’accordo è il parlar male dello strutturalismo, del freudismo, di Benedetto Croce e di Franco Moretti). Fine del riassunto minimo minimo, tagliato con l’accetta.
Oggi, nell’oggi-oggi, nell’oggi-istantaneo, ho l’impressione che stia venendo fuori, nel modo in cui nei giornali si parla delle opere letterarie, una sorta di paradigma etico. L’equazione è semplice.
– l’autore entra nell’opera. Che si tratti di autofiction (o di una delle diversissime cose qualsiasi che siano state tassonomizzate come autofiction negli ultimi anni) o di reportage narrativi con licenza d’invenzione (o senza licenza) o di un misto delle due cose, fatto sta che l’autore entra esplicitamente (implicitamente c’è sempre stato, da che mondo è mondo) nell’opera. È lui che si presenta, ci accompagna, fa da mediatore con la realtà, vive i sentimenti che dobbiamo vivere noi lettori o – al contrario – vive i sentimenti che noi lettori non dobbiamo vivere (un movimento catartico, in un modo o nell’altro): quando l’autore entra nell’opera in un certo modo, di fatto si produce una sorta di pedagogia; e che si tratti di un «fate (sentite, emozionatevi ec.) come me» o di un «non fate (sentite, emozionatevi ec.) come me», è uguale; perché comunque la storia è scritta in un tempo successivo, nel quale anche l’eventuale traviamento o l’idiozia o la cattiveria eccetera sono diventati storia, acqua passata.
– l’opera è valutata sulla base della sua utilità, ossia delle informazioni che porta con sé; ma (attenzione!) informazioni nel senso in cui le intendono i giornali italiani (e forse di tutto il mondo: ma io sto parlando di Italia), ovvero non tanto informazioni sui fatti (i fatti, un tempo pretesi come «separati dalle opinioni», oggi sono stati tout court aboliti) ma informazioni su come si deve pensare, su come si deve orientare l’attenzione, su qual è il tema indignativo del giorno, e così via. L’opera letteraria è letta come se fosse un pezzo giornalistico un po’ lungo e (forse) con qualche libertà formale in più.
Così, un’opera può essere giudicata negativamente, ossia ritenuta una brutta opera, se l’immagine dell’autore che si ritrova nell’opera stessa è un’immagine da «brutta persona» (da quand’è che si usa quest’orrenda locuzione?) non rimediata da assoluzioni o autoassoluzioni o conversioni o rasserenamenti o altre vincite al lotto della lotteria morale. Ovviamente questo modo di ragionare tende a estendersi anche a quelle opere nelle quali l’autore non sia esplicitamente presente nell’opera stessa, ossia i romanzi veri e propri: se c’è un protagonista (e di solito, come da tradizione, c’è) questo non potrà essere letto che come rappresentante morale dell’autore, e quindi un’eventuale promozione o condanna morale del personaggio coinvolgerà la persona stessa dell’autore.
Tutto questo in un tempo di grandissimo conformismo morale, nel quale – come è stato da più parti spiegato e rispiegato nelle discussioni suscitate dal «Contro l’impegno» di Walter Siti – allo scrittore, all’intellettuale, all’artista (al calciatore!), non si chiede più, come si chiedeva nei tanto deprecati (per esempio) anni Settanta, di essere campione di trasgressione: bensì di essere à la page su tutte le questioni etiche del momento (al massimo ci si possono concedere, come diceva con assai ben trovate parole Gianluigi Simonetti in un articolo di qualche tempo fa, «trasgressioni ben temperate»).
Il bello è che tutto questo non c’entra niente, manco un filino, con la letteratura. La quale è nient’altro che: creazione di forme.
Giulio Mozzi
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Italia, meraviglia continua.......
È talmente grande il nostro patrimonio che non siamo ancora effettivamente consapevoli dell'eredità che abbiamo ricevuto, quando ne prenderemo piena coscienza, saremo sicuramente capaci di comunicarlo al mondo, per quanto realmente vale e per quanto veramente merita.
Ogni nostra nuova scoperta, viene condivisa, perché riteniamo che la condivisione sia elemento imprescindibile di crescita.
Venerdì 16 giugno 2023, la conferenza stampa di presentazione del Progetto "SCIENCE SNACK
IN FONDAZIONE SCIENZA E TECNICA"
Un Progetto finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca sul bando Contributi annuali / Legge 113/91 – D.D. 1662 del 22-10-2020 – PANN20_00168-CUP
Il progetto ha previsto il coinvolgimento delle Dipendenti, di Esperti dell’Università di Firenze, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Arcetri e dell’istituto Nazionale di Ottica, del Museo Galileo, che hanno offerto le loro competenze come punti di riferimento di eccellenza.
Il Museo della Fondazione Scienza e Tecnica di Firenze costituisce la più grande raccolta in Italia e una tra le più complete in Europa di strumenti per lo studio e la didattica della fisica della seconda metà dell’Ottocento. Comprende il Gabinetto di fisica e il Gabinetto di storia naturale.
Fanno parte del Museo anche la Biblioteca ed il Planetario.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Museo_della_Fondazione_scienza_e_tecnica
La Fondazione Scienza e Tecnica opera per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico e scientifico dell'ottocentesco Istituto Tecnico Toscano.
https://www.fstfirenze.it/
Science Snack su youtube
https://youtube.com/playlist?list=PLYWngCb1jtR9qYuvD-iXjRz5yvlBPisme
Riccardo Rescio I&f Arte Cultura Attualità
Elena Tempestini Etpress Comunication
Ministero della Cultura Città di Firenze Cultura Città metropolitana di Firenze Toscana Promozione Turistica Feel Florence Fondazione CR Firenze Fondazione Sistema Toscana Regione Toscana
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