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"A Scuola di… Genitori": Un Progetto per Sostenere le Famiglie a Casale Monferrato
Prossimo Incontro il 15 Novembre per Approfondire il Disagio dei Giovani con Esperti e Professionisti
Prossimo Incontro il 15 Novembre per Approfondire il Disagio dei Giovani con Esperti e Professionisti Il Progetto “A Scuola di… Genitori”: Un Supporto per le Famiglie di Casale Monferrato Nell’ambito delle iniziative a sostegno della genitorialità e della crescita familiare, l’associazione I Care Family, guidata dalla dottoressa Renza Marinone, ha lanciato il progetto “A Scuola di… Genitori”.…
#accoglienza educativa#Alberto Pellai#Alessandria today#associazione Kayrós#benessere famigliare#Biblioteca Ragazzi#Casale Monferrato#competenze genitoriali#Comune di Casale Monferrato#Corrado Rendo#crescita dei figli#Crescita Personale#dialogo genitori#dialogo intergenerazionale#don Claudio Burgio#Educazione civica#educazione comunitaria#educazione emotiva#educazione famigliare#educazione moderna#eventi a Casale Monferrato#For.Al#Genitorialità#gestione delle difficoltà#giovani e disagio#Google News#I Care Family#Inclusione sociale#incontri di formazione#Istituto Beccaria
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Paderno Dugnano, il 17enne racconta la notte della strage Emergono sempre più dettagli sulla strage di Paderno Dugnano, alle porte di Milano, dove un 17enne, nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre, ha ucciso con 68 contellate il padre, la madre e il fratello di 12 anni. A raccontare quei terribili momenti è stato proprio il giovane, detenuto in carcere Emergono sempre più dettagli sulla strage di Paderno Dugnano, alle porte di Milano, dove un 17enne, nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre, ha ucciso con 68 contellate il padre, la madre e il fratello di 12 anni. A raccontare quei terribili momenti è stato proprio il giovane, detenuto in carcere. Il compleanno del padre Gli omicidi sono avvenuti poche ore dopo i festeggiamenti per il 51esimo compleanno del papà. «È stata la sera della festa che ho pensato di farlo, non avevo ancora ideato questo piano, però avevo pensato di usare comunque il coltello perché era l'unica arma che avevo a disposizione in casa", ha messo a verbale l'adolescente. «Se ci avessi pensato di più non l'avrei mai fatto, perché è una cosa assurda», ha aggiunto. Ferocia e premeditazione Il racconto della strage è avvenuto durante l'interrogatorio di un'ora e mezza nel carcere minorile Beccaria di Milano, al termine del quale la gip Laura Margherita Pietrasanta ha convalidato l'arresto e disposto la custodia cautelare detentiva, con la possibilità di trasferimento anche in altro istituto penitenziario minorile. La giudice ha evidenziato la «singolare ferocia e l'accanimento nei confronti delle vittime», ma anche la «preordinazione dei mezzi» e la «propensione a cambiare e aggiustare la versione dei fatti». Oltre alla «pericolosità sociale» e alla sua «incapacità a controllare i propri impulsi». Da qui il pericolo di reiterazione del reato, ossia che possa ancora uccidere, e pure la conferma del quadro accusatorio, nell'inchiesta dei carabinieri e della procuratrice facente funzione Sabrina Ditaranto e della pm Elisa Salatino, e dell'imputazione di triplice omicidio pluriaggravato anche dalla premeditazione. L'enigma del movente Riguardo all'enigma sul movente, le parole del giovane girano ancora attorno a quel malessere per il quale lui voleva trovare una «soluzione». Ha raccontato che già da «qualche anno» aveva maturato «l'idea di vivere più a lungo delle persone normali, anche per conoscere il futuro dell'umanità» e aveva iniziato a «sentirsi un estraneo». Aveva pensato di scappare, di andare in Ucraina, ma non gli sembravano soluzioni utili per il suo «scopo». La strage causata dal «malessere» «Volevo proprio cancellare tutta la mia vita di prima", ha cercato di chiarire il ragazzo, dicendo, però, pure che non ce l'aveva con la famiglia nello specifico. «È da quest'estate che sto male, ma già negli anni scorsi mi sentivo distaccato dagli altri. Forse il debito in matematica può avere influito». Sentiva, comunque, la pressione della famiglia. E ancora: «Ogni tanto i miei genitori mi chiedevano se c'era qualcosa che non andava, perché mi vedevano silenzioso, ma io dicevo che andava tutto bene». Percepiva «gli altri come meno intelligenti e spesso non mi trovavo bene in certi ragionamenti o ritenevo che si occupassero e preoccupassero di cose inutili». Le ultime parole del padre Negli atti si legge tutta l'atroce ricostruzione della strage. «I miei genitori - ha affermato - sicuramente mi hanno parlato chiedendomi cosa fosse successo e perché avessi l'arma in mano. Io però non ricordo se li ho colpiti anche in camera loro». Sono stati «svegliati dalle urla di mio fratello». Nelle relazioni degli esperti il giovane ha detto che lui pensava «alle guerre e mi commuovevo pensando a queste situazioni», mentre «questo non lo vedevo in amici e familiari». La testimonianza del nonno materno Il nonno materno, che testimoniando ha parlato di una «famiglia perfetta» all'apparenza e che ora può incontrarlo con gli altri familiari, ha spiegato che il nipote gli ha detto che l'aveva fatto perché voleva «lasciare i beni materiali» e lui aveva inteso che voleva «staccarsi dai genitori». Gli ha chiesto pure perché se la fosse presa anche col fratello di 12 anni, fino ad ucciderlo, e il 17enne ha risposto: «Non sarei riuscito ad abbandonarlo».
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Milano: Arriva il CPM LET'S GROOVE DAY
Milano: Arriva il CPM LET'S GROOVE DAY. Il 24 giugno presso il CPM Music Institute (Via Privata Elio Reguzzoni, 15) si terrà il CPM LET’S GROOVE DAY, un doppio appuntamento per conoscere il DIPARTIMENTO DI BASSO E BATTERIA della scuola di musica fondata e presieduta da Franco Mussida. Dino D’Autorio e Roberto Gualdi, Responsabili dei Dipartimenti di Basso e Batteria, insieme ai docenti e ai diplomati della scuola,presenteranno la sezione ritmica e l’offerta formativa dedica ai bassisti e batteristi. Alle ore 18.00 Dino D’Autorio terrà un incontro dedicato ai bassistiin cui interverranno Antonio Petruzzelli, Giulio Corini e Siro Burchiani, professionisti del Pop, Jazz e Rock, mentre Roberto Gualdi, con i docenti Giovanni Giorgi, Marco Lori, Emiliano Cava e Matteo Sarubbi,presenterà l’offerta didattica di Batteria. Agli incontri prenderanno parte anche Giordano Giorgi e Luca Pegorari, studenti diplomati nel Triennio Accademico di Batteria Pop Rock che hanno concluso in maniera eccellente il loro percorso di studi e hanno fatto della loro passione una professione. Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria al seguente link: https://eventi.mycpm.it/eventi.aspx?_l2=166. Al termine della presentazione del Dipartimento di Basso e Batteria, dalle ore 18.45 si terranno le audizioni per entrambi gli strumenti. Per sostenere le audizioni è possibile prenotarsi tramite i seguenti link: https://eventi.mycpm.it/sessions.aspx?_l3=1182 (audizioni di Basso) e https://eventi.mycpm.it/sessions.aspx?_l3=1181 (audizioni di Batteria). Sul sito www.cpm.it/come-iscriversi#ui-id-3 sono disponibili i programmi di preparazione. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito ufficiale del CPM (www.cpm.it), inviare una e-mail a [email protected] o chiamare allo 02.6411461. Il CPM Music Institute (riconosciuto Istituto di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica dal MUR) vanta un programma didattico ricco e articolato di corsi specializzati nella formazione strumentale, vocale e professionale curati da insegnanti professionisti(Basso, Batteria, Canto, Chitarra, Pianoforte&Tastiere, Tecnico del Suono, Composizione Pop Rock, Electronic Music Producer, SongWriting, Arpa, Fiati e Violino Pop Rock) e propone percorsi Accademici, PreAccademici, Multi e Mono Stilistici, Individuali(AFAM, BAC, Diploma, Certificate, Individuali e Master). È inoltre possibile intraprendere il triennio e il biennio AFAM per conseguire il Diploma Accademico di 1° e 2° livello, titoli equivalenti ad una Laurea triennale e magistrale, riconosciute sul territorio nazionale e in tutti i Paesi Europei. Molti di coloro che hanno studiato al CPM lavorano oggi in orchestre prestigiose, suonano e cantano come coristi o musicisti all’interno di band di importanti artisti (da Laura Pausini ad Ermal Meta), altri hanno intrapreso carriere artistiche proprie (tra i quali Mahmood, Chiara Galiazzo, Renzo Rubino, Cordio, Tananai). Dal 1988 si occupa anche di portare la Musica in luoghi estremi, la più recente iniziativa è CO2 “Controllare l’odio” che consiste nell’installazione di speciali audioteche di sola musica strumentale divisa per stati d’animo, attive in 11 carceri italiane (Milano, Opera, Monza, Torino, Alessandria, Roma, Napoli, Venezia, Genova, Bologna, più una variante attiva al carcere minorile Beccaria di Milano). Realizza progetti musicali educativi per il sociale, come le attività educative inserite nei programmi di recupero della Comunità di San Patrignano, e per l’industria, come la progettazione di una radio di qualità per il circuito NaturaSì, per la cultura, con la partecipazione al Premio Campiello Giovani e i corsi formativi per i partecipanti ad Area Sanremo.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Il contributo di Paola Altrui in occasione della presentazione del dossier “Repressione e diritto al dissenso“
All’inizio di febbraio, il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha pubblicato un “Rapporto tematico sul regime detentivo speciale ex art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario”, contenente le risultanze delle 14 visite effettuate da tale organo collegiale, tra il 2016 e il 2018, presso le 12 Sezioni per detenuti in regime speciale previste dal predetto art. 41-bis.
In tali Sezioni risultavano detenuti 738 uominie 10 donne; al 19 gennaio del 2019, solo 363 su 748 di essi – di cui 4 donne – avevano una posizione giuridica definitiva (erano cioè stati condannati con una sentenza penale passata in giudicato); 51 di esse risultavano detenute in “Aree riservate”.
Il Rapporto reca 18 Raccomandazioni in ordine ad altrettanti profili di criticità riscontrati; esse tengono conto, fra l’altro, delle pronunce della Corte costituzionale che hanno riguardato l’art. 41-bis e delle prescrizioni impartite in materia dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT), della quale lo stesso Presidente dell’Autorità Garante, Mauro Palma, ha fatto parte fino al 2011.
È bene ricordare che la Corte costituzionale, più volte interpellata sul punto, ha ritenuto il regime detentivo speciale ex art. 41-bis non incompatibile con i principi costituzionali in materia di diritti fondamentali della persona (art. 2), di inviolabilità della libertà personale (art. 13) e di finalità rieducativa della pena (art. 27) a due precise condizioni:
che nessuna misura sospensiva dell’ordinario trattamento penitenziario (quale l’art. 41-bis) comporti restrizioni della libertà ulteriori rispetto a quelle derivanti dalla detenzione;che, in ogni caso, la relativa applicazione non determini mai la violazione del divieto di trattamenti disumani e degradanti, ovvero vanifichi la finalità rieducativa della pena.
È importante tener presenti tali presupposti perché è proprio l’eventuale conflitto con gli stessi, empiricamente verificato, a chiarire se ed in quali casi una misura cui è assegnata una funzione asseritamente cautelare assolva, in realtà, ad una finalità ulteriormente —ed illegittimamente— afflittiva nei confronti del detenuto.
Il regime detentivo speciale noto come “41-bis” nasce nel 1995 come misura emergenziale e provvisoria, al fine dichiarato di impedire che i capi e i gregari delle associazioni criminali possano continuare a svolgere, ancorché in stato di detenzione, funzioni di comando e direzione rispetto ad attività criminali poste in essere da altri criminali in libertà.
Nella formulazione originaria, pertanto, era prevista la sospensione temporanea del trattamento detentivo ordinario “quando ricorrano gravi ed eccezionali motivi di ordine e di sicurezza”; tuttavia, dopo una serie di proroghe, nel 2002 il 41-bis è entrato a regime nell’Ordinamento penitenziario, trasformandosi pertanto da misura straordinaria in istituto ordinario.
Tale normalizzazione ha trovato uno straordinario —e probabilmente calcolato— supporto nella valenza simbolica assunta presso l’opinione pubblica dal c.d. “carcere duro”, quasi che dichiararsi a favore o contro di esso implicasse, per ciò solo, lo schierarsi contro la criminalità organizzata ovvero il non prenderne sufficientemente le distanze. Plausibilmente, è proprio la difficoltà di ricondurre la trattazione del tema su un piano razionale a rendere arduo e impopolare ogni tentativo di affrontarne le ricadute sul versante della legittimità: ne ha fatto le spese lo stesso Presidente dell’Autorità Garante, il quale, a seguito della pubblicazione sulla pagina Facebook “Polizia penitenziaria – Società, Giustizia e Sicurezza” di un articolo che richiamava alcune criticità da lui evidenziate nel Rapporto sul regime detentivo speciale del 41-bis, è divenuto bersaglio di minacce e intimidazioni.
Tra le prassi carcerarie rispetto alle quali l’Autorità Garante ha formulato specifiche Raccomandazioni troviamo, a titolo esemplificativo: la presenza di sezioni o raggruppamenti costituiti da meno di tre persone detenute (n. 3); la ritardata esecuzione dei provvedimenti della Magistratura di sorveglianza (n. 7); l’apposizione di schermature stratificate alle finestre, sì da ridurre al minimo il passaggio di luce e aria fresca (n. 8); l’irrogazione di misure disciplinari ai detenuti che salutino un’altra persona ristretta chiamandola per nome (n. 12); il ricorso eccessivo alla misura dell’isolamento (n. 13); la concorrenza fra il tempo destinato alla lettura per mezzo del computer fisso e quello riservato ad attività esterne, sì da renderli alternativi fra loro (n. 15); l’imposizione di preclusioni eccessivamente rigorose alla fruizione dei canali televisivi (n. 6) e all’acquisto e alla disponibilità di organi di stampa e pubblicazioni (n. 16).
Nessuna, fra le predette prassi, risulta funzionale all’esigenza cautelare che costituisce presupposto e limite all’applicazione del regime detentivo speciale del 41-bis; molte di esse, al contrario, interferiscono con il percorso di recupero cui la Riforma del 1975 finalizza la detenzione, di fatto precludendo la rieducazione del condannato.
Il contrasto stridente tra la finalità dichiarata e quella effettivamente perseguita dal c.d. “carcere duro” (di fatto, indurre il detenuto alla collaborazione, fungendo altresì da deterrente nei confronti di coloro che operano nell’ambito della stessa o di altre associazioni criminali) impone pertanto, se non la totale espunzione dall’ordinamento del regime detentivo speciale ex art. 41-bis, quantomeno una significativa rivisitazione delle sue concrete modalità applicative, affinché le stesse non si traducano in una afflizione aggiuntiva e lesiva della dignità umana, oltre che confliggente con i principi costituzionali in materia di responsabilità penale e finalità rieducativa della pena.
Non sfugge, difatti, che una simile modalità di espiazione della pena (estesa, ricordiamolo, anche a soggetti la cui posizione giuridica non è ancora definitiva) prescinde da ogni valutazione in concreto circa il percorso di recupero più idoneo alla rieducazione del detenuto: giungendo addirittura a vanificarla quando, come spesso avviene, la cessazione del 41-bis e quella della pena detentiva avvengono contestualmente o a breve distanza l’una dall’altra. In tale ottica, ogni automatismo che correli la pena al reato anziché al reo, impedendo la sua individualizzazione, la priva, per ciò stesso, della sua finalità rieducativa, finendo per assolvere a una funzione meramente retributiva.
Ammesso, poi, che possa stilarsi una graduatoria delle pratiche degradanti, è la prassi richiamata dalla Raccomandazione n. 1 a suscitare la maggiore esecrazione: la previsione di apposite sezioni di “Area riservata” all’interno degli Istituti che ospitano Sezioni di regime detentivo speciale.
Tali Aree sono separate dalle altre che accolgono detenuti sottoposti al 41-bis, e sono destinate alle persone ritenute “apicali” dell’organizzazione criminale di appartenenza; vi si applica un regime detentivo ancora più rigoroso e al limite della tollerabilità, con limitazioni che talora comportano il quasi sostanziale isolamento della persona detenuta.
Proprio per evitare di incorrere nella violazione formale delle norme che regolano l’istituto dell’isolamento, viene spesso collocato nell’Area riservata anche un altro detenuto che non avrebbe titolo a starvi, ma che —nel crudo e spietato gergo carcerario— assolve alla funzione di “Dama di compagnia” nei momenti di “socialità binaria” e durante i passeggi.
La legittimazione formale di tale segregazione risiederebbe, secondo il Governo italiano (interpellato al riguardo dal CPT), nell’art. 32 del dPR 230/2000, che tuttavia concerne “la collocazione più idonea di quei detenuti e internati per i quali si possano temere aggressioni o sopraffazioni da parte dei compagni”. Tale esigenza cautelare, tuttavia, non risulta allegata né comprovata rispetto ai detenuti collocati nelle Aree riservate; e, men che meno, nei confronti dei detenuti loro assegnati per compagnia, i quali si trovano pertanto assoggettati a un regime detentivo di estremo rigore in modo del tutto ingiustificato (oltre che lesivo del principio di personalità della responsabilità penale).
Come ricordato dall’insigne giurista Andrea Pugiotto, Cesare Beccaria ebbe ad affermare che “Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”.
Se ciò è vero, un sistema detentivo incentrato solo sul contenimento delle persone in uno spazio e nella loro sottoposizione a limiti e obblighi (aggiuntivi alla pena detentiva e non giustificati da esigenze concrete) riduce le persone a cose, ed è offensivo della dignità umana tanto nella sua accezione statica quanto nella sua proiezione dinamica, come meta da riconquistare. È un sistema, dunque, di per sé destinato a inverare quel “trattamento disumano e degradante” che l’art. 27 della Costituzione e l’art. 3 della CEDU espressamente vietano.
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CORREVO PENSANDO AD ANNA Sabato 25 alle 18 da MAG si presenta l’autobiografia di Pasquale Abatangelo, protagonista degli anni di piombo
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/correvo-pensando-ad-anna-sabato-25-alle-18-da-mag-si-presenta-lautobiografia-di-pasquale-abatangelo-protagonista-degli-anni-di-piombo/
CORREVO PENSANDO AD ANNA Sabato 25 alle 18 da MAG si presenta l’autobiografia di Pasquale Abatangelo, protagonista degli anni di piombo
CORREVO PENSANDO AD ANNA Sabato 25 alle 18 da MAG si presenta l’autobiografia di Pasquale Abatangelo, protagonista degli anni di piombo
«Le storie come le mie ricominciano sempre. Prendete un ragazzino e destinatelo alla povertà. Poi speditelo lontano da sua madre, in un posto dove non vuole stare e, se disubbidisce, punitelo severamente. Mettetegli davanti agli occhi dei vecchi abbandonati. Fategli anche subire qualche molestia dai preti. Quando diventa grande, mostrategli che Polizia e Carabinieri sono lì per fregarlo, in nome della legge e delle sicurezza delle persone perbene. Cosa potete aspettarvi? Che si faccia sfruttare contento? Che vi dica grazie? Appena può, quell’animale morderà. Non penserà nemmeno di essere una vittima. Morderà e basta, Se avrà uno straccio di motivazione, morderà ancora più contento. Non è necessario che siano grandi ideali. Possono essere codici della malavita. Possono essere fanatismi religiosi. Vi siete fatti un nemico. Dovrete costruire posti dove tenerlo chiuso. Dovrete schiacciarlo. Lui proverà a ragionare. Cercherà di non soccombere. Forse arriverà addirittura a pensare di lottare insieme agli altri e di poter vincere». Queste righe, assai significative, più che una sinossi contenuta nelle pagine conclusive di un libro, sono un biglietto di presentazione di sessantanove anni di vita, trenta dei quali passati a pagare un debito con la giustizia per reati tipici di una generazione. Quella degli anni ’70. Gli anni di piombo. “Correvo pensando ad Anna” (2018, PGreco edizioni) di Pasquale Abatangelo si differenzia dalla corposa pubblicistica sugli anni del movimento di guerriglia rivoluzionaria dell’Italia post-sessantottina, per l’umanità delle vicende vissute dal suo protagonista, che con una prosa scorrevole e godibile racconta della sua infanzia da profugo proveniente dalla Grecia post-bellica, delle molestie subite in istituto a Firenze e del percorso criminale che intraprende quasi subito, per cercare di uscire da quella marginalità a cui la sua condizione di sottoproletario urbano l’aveva precocemente condannato. E come molti giovani della sua generazione, da detenuto comune comincia a conoscere i libri e la tensione ideologica del suo tempo, diventando, in breve tempo, detenuto politicizzato aderente ai Nuclei Armati Proletari, sull’onda di quel movimento di lotta sviluppatosi nelle carceri italiane, che prevedeva il contatto tra gli intellettuali rivoluzionari e chi proveniva dalla criminalità comune. Inizia un percorso di lotta in cui, tra un’evasione e l’altra, tra una cattura e una punizione durissima, si lega al mondo della lotta armata, teso a ottenere condizioni carcerarie più consone ai principi sanciti da Beccaria, ma anche a fare da seconda gamba a chi, fuori dalle prigioni, alimentava la prospettiva rivoluzionaria in Italia, in quella che Sergio Zavoli definì “La notte della Repubblica”. Concetti un po’ astrusi se visti con l’occhio del contemporaneo. Molto chiari, invece, per quelli che come Abatangelo, quegli anni li hanno vissuti girando da un carcere all’altro, fino a passare dall’inferno dell’Asinara. Non si andava per il sottile, a quei tempi. E le rivolte carcerarie erano all’ordine del giorno. I NAP (che poi confluirono nelle Brigate Rosse) in carcere erano organizzati e rispettati. Perfino temuti e odiati da camorristi e mafiosi. Nelle pagine del libro di Abatangelo c’è la descrizione minuziosa di ogni episodio, di ogni contatto con l’esterno, della vicenda umana vissuta nei colloqui con la moglie Anna (cui è dedicato il libro) e i due figli concepiti prima della lunga parentesi da detenuto politicizzato. Ci sono le storie di fratture e divergenze nel movimento, e i ritratti dei protagonisti di quegli anni, da Mario Moretti a Prospero Gallinari, da Renato Curcio ad Alberto Franceschini. E se alla fine della storia solo Gallinari sembra uscire bene dal ricordo dell’autore, che non si è mai pentito né dissociato da quell’esperienza, per comprendere appieno la realtà di quegli anni, bisogna leggere quelle vicende, apparentemente lontane anni luce, con quella realtà fatta di duri pestaggi da parte degli uomini in divisa che orinavano nelle pentole della minestra somministrata ai detenuti e non andavano per il sottile coi trattamenti carcerari. Erano anni di legislazione speciale contro il terrorismo, e tutto era ammesso. Una linea della fermezza da parte dello Stato, condivisa in primis dai grandi partiti di massa, dalla DC al PCI, il cui leader del tempo Enrico Berlinguer veniva aspramente criticato da quelli del movimento rivoluzionario. E c’è il sequestro Moro. Che costò anni e anni di carcere a Gallinari, scagionato molto tempo dopo dalla testimonianza di una brigatista dell’epoca, e durante il quale proprio le BR, in cambio della liberazione del leader democristiano, chiesero la liberazione di tredici detenuti politici, tra i quali c’era anche Pasquale Abatangelo, autore di un libro che va letto senza le lenti del pregiudizio, da parte di chi vuole conoscere questa pagina di storia contemporanea vissuta da uno dei suoi protagonisti. “Correvo pensando ad Anna” verrà presentato sabato 25 maggio alle 18 nello spazio culturale “MAG. La ladra di libri”. Gianluca Albanese dialogherà con l’autore.
«Le storie come le mie ricominciano sempre. Prendete un ragazzino e destinatelo alla povertà. Poi speditelo lontano da sua madre, in un posto dove non vuole stare e, se disubbidisce, punitelo severamente. Mettetegli davanti agli occhi dei vecchi abbandonati. Fategli anche subire qualche molestia dai preti. Quando diventa grande, mostrategli che Polizia e Carabinieri sono
Gianluca Albanese
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URBINO – Rebecca Bertolini del Liceo Scientifico Fanti di Carpi (MO) per la lingua inglese, Stefania Massimo del Liceo Nervi-Ferrari di Morbegno (SO) per la lingua francese, Alan Poggio dell’Istituto Superiore Curie-Vittorini di Grugliasco (TO) per la lingua tedesca e Chiara Fassoli del Liceo Scientifico Leonardo di Brescia per la lingua spagnola sono i vincitori della nona edizione del campionato nazionale delle lingue organizzato dall’università degli studi di Urbino Carlo Bo con il sostegno di UBI Banca.
I vincitori hanno superato una selezione fra i 18mila studenti del quinto anno delle superiori provenienti da tutta Italia iscritti a questa edizione del campionato. Le prove per l’accesso alla fase finale, iniziate lo scorso 15 ottobre e durate un mese, si sono svolte, tramite una piattaforma online realizzata dal Centro linguistico d’ateneo dell’università, direttamente nei laboratori linguistici delle scuole di provenienza, alla presenza dei docenti.
I 120 primi classificati di questa selezione, 30 per ogni lingua, si sono sfidati giovedì 14 febbraio a Urbino nelle semifinali, dove hanno dovuto affrontare un test al computer e un colloquio. I 10 migliori semifinalisti di ogni categoria si sono poi scontrati venerdì 15 febbraio nelle finali, dove hanno dovuto preparare un testo di scrittura creativa.
Oltre ai quattro vincitori assoluti per ciascuna lingua, è stato anche assegnato il premio speciale UBI Banca per prova di scrittura creativa più fantasiosa, estrosa e originale, che è andato a Noemi Albesano del Liceo Vasco-Beccaria di Govone-Mondovì (CN). Al secondo e terzo posto nella lingua inglese si sono classificati Lea Vergallo del Liceo Scientifico Aldo Moro di Reggio Emilia e Antonia Baresani Varini del Liceo Scientifico Calini di Brescia, nella lingua francese Sofia Basso dell’Educandato Femminile Setti Carraro di Milano e Sara Mombelli del Liceo Gambara di Brescia, nella lingua tedesca Sveva Federica Tecchia dell’Istituto Superiore Sella di Biella e Anna Russi dell’Educandato Femminile Uccellis di Udine, nella lingua spagnola Giulia Picchi del Liceo Galilei-Grattoni di Voghera (PV) e Maria Alice Grossi del Liceo Virgilio di Mantova.
I vincitori di ogni categoria avranno la possibilità il prossimo anno di iscriversi all’Università di Urbino con il totale abbuono, per il primo anno, delle tasse universitarie. Il campionato nazionale delle lingue di Urbino è stato riconosciuto, per il secondo anno consecutivo, dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) come competizione inserita nel programma annuale per la valorizzazione delle eccellenze scolastiche.
Sono oltre 50mila gli studenti che, a partire dalla prima edizione del 2011, hanno partecipato alle varie edizioni del campionato nazionale delle lingue.
“Il campionato nazionale delle lingue rappresenta una delle iniziative più prestigiose e di successo che contraddistinguono questa università- ha spiegato Vilberto Stocchi, Rettore dell’Università Carlo Bo di Urbino- il successo di questa manifestazione, che ha visto la partecipazione in questa nona edizione di ben 18mila studenti, conferma la bontà del nostro progetto che tende a mettere in luce i migliori talenti fra le nuove generazioni e ad avvicinarli in modo graduale al mondo dell’università e a quello del lavoro”.
“L’Università di Urbino è particolarmente soddisfatta per la collaborazione con UBI Banca -ha dichiarato Enrica Rossi, coordinatrice scientifico-didattica del campionato nazionale delle lingue- si consolida un rapporto di reciproca collaborazione fra l’università e il principale istituto di credito delle Marche che ci consente di proseguire nel comune percorso di valorizzazione delle eccellenze scolastiche”.
“Il supporto a questa importante iniziativa fa parte di un ampio progetto di UBI Banca dedicato ai giovani e sviluppato a livello nazionale- ha dichiarato Vincenzo Algeri, Responsabile dell’Area UBI Comunità, la divisione di UBI Banca specializzata nel no profit e nei rapporti con il territorio- sono infatti molte le iniziative che ogni anno vengono realizzate nei territori di presenza della Banca, per esempio nell’ambito dell’Educazione Finanziaria: solo nello scorso anno scolastico, sono stati coinvolti circa 16.800 studenti in 25 province d’Italia attraverso attività specifiche mirate ad offrire loro strumenti di alfabetizzazione economica utili a formare cittadini responsabili”.
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La Tortura. L'abolizione della tortura
LA TORTURA
L'abolizione della tortura
Il 30 novembre 1786 Leopoldo di Lorena, granduca di Toscana dak 1765 al 1790, promulgò una Riforma Penale con la quale abolì la pena di morte, la tortura e la mutiliazione delle membra. <<Abbiamo veduto con qaunta facilità nella passata legislazione era decretata la pena di Morte per i Delitti anco non gravi, ed avendo considerato che l'oggetto della Pena deve essere la soddisfazione al privato, ed al pubblico danno, La correzione del Reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della di cui emenda non può mai disperarsi la sicureza nei Rei dei più gravi ed atroci Delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il Pubblico esempio; che il Governo nella punizione dei Delitti, e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuo sempre a valersi dei mezi più efficaci col minor male possibile al Reo...avendo altresì considerato, che una ben diversa legislazione della pena di morte ha termine l'uso della tortura e della mutilazione delle membra>>. A suggello di quanto stabilito nella Riforma, il granduca ordinò <<la demolizione delle Forche ovunque si trovino>>, ed è uno strano e incredibile contrappasso il fatto che finirono al rogo le forche e gli strumenti di tortura, bruciati davanti alla folla in tutta la Toscana, a Firenze, lo spettacolo fu organizzato nelle Prigioni del Bargello. Questa legge, trovava la sua isppirazione nelle concezioni filosofiche dell'Illuminismo e soprattutto nell'opera più famosa dell'Illuminismo italiano Dei delitti e delle pene, che Cesare Beccaria pubblicò proprio nel Granducato di Toscana, esattamente a Livorno nel 1764. La polemica illuminista contro i giureconsulti trovò fertile humus nelle corti europee dei sovrani riformatori. Gli scritti del Muratori, del Verri, del Beccaria e di molti altri riuscirono finalmente dimostrare l'infondatezza della concezione inquisitoria, secondo la quale la tortura è uno strumento indispensabile per ottenere presunte verità, con il quale si può agevolmente piegare il suddito a volere del potere, quale che sia. Il processo inquisitoriale venne quindi ritenuto un luogo dove non poteva esistere la certezza della legge e dove l'arbirio dei giudici era l'unico modo per assicurare il colpevole alla giustizia. Nello Stato pontificio questo istituto decadde solamente con l'arrivo dei rivluzionari francesi nel 1799, per essere ripristinata subito dopo la loro cacciata; nell'opinione dei giuristi pontiici la tortura era l'ultimo baluardo contro il disordine dei <<tempi nuovi>>. Quella dello Stato della Chiesa era tuttavia una battaglia persa, poiché l'incalzare delle riforme avrebbe portato Pio VII a promulgare il Motu Prorio del 6 luglio 1816, a seguito dell'Editto del 5 luglio 1815 nel quale affermava: <<In una gran parte dei domini distaccati da lungo tempo dal Pontificio governo, il ripristino degli antichi metodi si rende pressocché impossibile o tale almeno, che non possa attenersi senza un notevole disgusto delle popolazioni. Nell'articolo 96 il papa stabiliva: <<L'uso dei tormenti e la pena della corda... rimangono perpetuamente aboliti>>. Nelle osservazioni sulla strutura e sinngolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630. Pietro Verri mette in luce i limiti di una concezione del diritto arbitraria e irrazionale attraverso lo studio di documenti relativi alla pestilenza del 1630.Secondo la vox populi la malattia era dovuta a: sicari incaricati di spargere il morbo, usando unguenti infetti. Le prime vittime di questa folle idea furono due cittadini che, sottoposti a tortura, confermarono la loro presunta colpa e i nomi dei complici. Verri rivela come la tortura non sia affatto valida per appurare la verità, ma consenta l'assoluzione del colpevole nel caso in cui costui possieda doti di resistenza al dolore notevoli, e vicceversa porti alla condanna di innocenti che non resistono ai tormenti o hanno una debole costituzione fisica. La Storia della colonna infame del Manzoni, che approfondisce le motivazioni del rifiuto della tortura sottolineando, anchhe l'aspetto sociale del problema: su dieci accusati, cinque vengono condannati, gli altri assolti perché favoriti da una migliore condizione sociale. Ma il rischio più grave è che il toerturato, per terrore, incolpi degli innocenti pur di fsr cessare la tortura. Si innesca un circolo vizioso che non porta a ricostruire la verità dei fatti. quindi annulla l'originaria motivazione del processo inquisitorio. Naturalismo e uguaglianza sono alla base Dei delitti e delle pene. Secondo Beccaria il diritto autentico e la politica morale durevole devono, infatti essere fondati su <<sentimenti indelebili dell'uomo>>; sono pertanto inutili la tortura e la pena di morte mentre le pene devono essere pubbliche, rapide e dolci per non scatenare la ferocia della folla. In particolare Beccaria si scaglia contro la pena di morte, considerato il massimo grado di inciviltà al quale può giungere uno stato civile, e contro la tortura. Se ilcompito della giustizia è la punizionde delle ingiustizie e la cattura dei colpevoli, la tortura fa l'esatto opposto perché colpisce tanto i criminali quanto gli innocenti, costrngendoli con la forza ad ammettere delitti dei quali, possono anche non essere gli autori, ed è evidente a chiunque che sotto tortura anche un innocente finirà per confessare reati che non ha commesso pur di porre fine al supplizio. La tortura è ingiusta perché finisce per essere una punizione che si applica prima della condanna: nessuno può essere definito reo prima della sentenza del giudice. E, una volta sottoposto a tortura, l'innocente è in una condizione peggiore del reo: infatti l'innocente, se viene assolto dopo avere subito la tortura, ha subito un ingiustizia, ma il reo chi ha solo guadagnato, peché è stato torturato ma, non avendo confessato, è risultato innocente e si è salvato da pene ben più gravi. Dunque l'innocente non può che perdere e il colpevole guadagnare, nel caso in cui venga assolto. Lo scritto del Beccaria venne stampato anonimo e, gli vennero molte critiche, soprattutto da parte della Chiesa cattolica, che nel 1766 inserì l'opera nell'Indice dei libri proibiti con questa motivazione: <<Autore del Trattato Dei delitti e delle pene. Carattere stravagante, borioso, il Beccaria ispirò il libro delle idee filantropiche e umanitariste del tempo, difendendo gli accusati a torto, le vittime degli errori giudiziari. Filosoficamente il trattato deriva dal Contratto Sociale del Rousseau...La tendenza al paradossale, al sensismo, la esaltazione dell'individuo contro la società, che è sempre imperfetta e tiranna le idee quindi dell'89, se esaltarono Beccaria, fecero però il suo libro riprovato, e dalla Chiesa condannato>>.
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Le notti della Taranta, la tre giorni dedicata alla danza tradizionale pugliese: protagonista il CPM Music Institute, tra le scuole di musica più ambite d’Italia.
Le notti della Taranta, la tre giorni dedicata alla danza tradizionale pugliese: protagonista il CPM Music Institute, tra le scuole di musica più ambite d’Italia. Domenica 11 giugno gli allievi del CPM Music Institute, tra le scuole di Musica più ambite d’Italia, fondata e presieduta da Franco Mussida, saranno protagonisti di due speciali appuntamenti al Parco Trabattoni di CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI), nell’ambito de LE NOTTI DELLA TARANTA, la tre giorni dedicata alla danza tradizionale pugliese in programma da venerdì 9 giugno, fino a domenica 11 giugno. Si inizierà domenica alle ore 19.00, con l’opening act a cura degli allievi di “Creamusica”, in cui i partecipanti al progetto del CPM Music Institute eseguiranno dal vivo alcuni loro brani inediti. Alle 21.00, invece, si tiene il concerto “CPM in folk”, durante il quale si alterneranno sul palco 5 band composte dagli allievi del CPM Music Institute. Verranno presentati dal vivo celebri brani della sfera pop contaminati con brani tipici del folk e viceversa, per dimostrare così la forte commistione tra i due generi, il popolare e il folkloristico. Ospite speciale della kermesse sarà Franco Mussida: sabato 10 giugno, alle ore 21.00 salirà sul palco de “Le Notti della Taranta” con l’Orchestra Popolare della Notte della Taranta. Insieme proporranno una speciale versione live di “È tutto vero”, singolo estratto da “IL PIANETA DELLA MUSICA e il viaggio di Iòtu” (CPM Music Factory/Self Distribuzione), e “Fuecu!”, brano scritto da Daniele Durante. Tutti gli eventi sono ad ingresso libero. Il CPM Music Institute (riconosciuto Istituto di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica dal MUR) vanta un programma didattico ricco e articolato di corsi specializzati nella formazione strumentale, vocale e professionale curati da insegnanti professionisti (Basso, Batteria, Canto, Chitarra, Pianoforte&Tastiere, Tecnico del Suono, Composizione Pop Rock, Electronic Music Producer, SongWriting, Arpa, Fiati e Violino Pop Rock) e propone percorsi Accademici, PreAccademici, Multi e Mono Stilistici, Individuali (AFAM, BAC, Diploma, Certificate, Individuali e Master). È inoltre possibile intraprendere il triennio e il biennio AFAM per conseguire il Diploma Accademico di 1° e 2° livello, titoli equivalenti ad una Laurea triennale e magistrale, riconosciute sul territorio nazionale e in tutti i Paesi Europei. Molti di coloro che hanno studiato al CPM lavorano oggi in orchestre prestigiose, suonano e cantano come coristi o musicisti all’interno di band di importanti artisti (da Laura Pausini ad Ermal Meta), altri hanno intrapreso carriere artistiche proprie (tra i quali Mahmood, Chiara Galiazzo, Renzo Rubino, Cordio, Tananai). Dal 1988 si occupa anche di portare la Musica in luoghi estremi, la più recente iniziativa è CO2 “Controllare l’odio” che consiste nell’installazione di speciali audioteche di sola musica strumentale divisa per stati d’animo, attive in 11 carceri italiane (Milano, Opera, Monza, Torino, Alessandria, Roma, Napoli, Venezia, Genova, Bologna, più una variante attiva al carcere minorile Beccaria di Milano). Realizza progetti musicali educativi per il sociale, come le attività educative inserite nei programmi di recupero della Comunità di San Patrignano, e per l’industria, come la progettazione di una radio di qualità per il circuito NaturaSì, per la cultura, con la partecipazione al Premio Campiello Giovani e i corsi formativi per i partecipanti ad Area Sanremo.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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CORREVO PENSANDO AD ANNA Nel libro di Pasquale Abatangelo le vicende dell’Italia degli anni di piombo
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/correvo-pensando-ad-anna-nel-libro-di-pasquale-abatangelo-le-vicende-dellitalia-degli-anni-di-piombo/
CORREVO PENSANDO AD ANNA Nel libro di Pasquale Abatangelo le vicende dell’Italia degli anni di piombo
CORREVO PENSANDO AD ANNA Nel libro di Pasquale Abatangelo le vicende dell’Italia degli anni di piombo
«Le storie come le mie ricominciano sempre. Prendete un ragazzino e destinatelo alla povertà. Poi speditelo lontano da sua madre, in un posto dove non vuole stare e, se disubbidisce, punitelo severamente. Mettetegli davanti agli occhi dei vecchi abbandonati. Fategli anche subire qualche molestia dai preti. Quando diventa grande, mostrategli che Polizia e Carabinieri sono lì per fregarlo, in nome della legge e delle sicurezza delle persone perbene. Cosa potete aspettarvi? Che si faccia sfruttare contento? Che vi dica grazie?
Appena può, quell’animale morderà. Non penserà nemmeno di essere una vittima. Morderà e basta, Se avrà uno straccio di motivazione, morderà ancora più contento. Non è necessario che siano grandi ideali. Possono essere codici della malavita. Possono essere fanatismi religiosi. Vi siete fatti un nemico. Dovrete costruire posti dove tenerlo chiuso. Dovrete schiacciarlo. Lui proverà a ragionare. Cercherà di non soccombere. Forse arriverà addirittura a pensare di lottare insieme agli altri e di poter vincere».
Queste righe, assai significative, più che una sinossi contenuta nelle pagine conclusive di un libro, sono un biglietto di presentazione di sessantanove anni di vita, trenta dei quali passati a pagare un debito con la giustizia per reati tipici di una generazione. Quella degli anni ’70. Gli anni di piombo.
“Correvo pensando ad Anna” (2018, PGreco edizioni) di Pasquale Abatangelo si differenzia dalla corposa pubblicistica sugli anni del movimento di guerriglia rivoluzionaria dell’Italia post-sessantottina, per l’umanità delle vicende vissute dal suo protagonista, che con una prosa scorrevole e godibile racconta della sua infanzia da profugo proveniente dalla Grecia post-bellica, d delle molestie subite in istituto a Firenze e del percorso criminale che intraprende quasi subito, per cercare di uscire da quella marginalità a cui la sua condizione di sottoproletario urbano l’aveva precocemente condannato.
E come molti giovani della sua generazione, da detenuto comune comincia a conoscere i libri e la tensione ideologica del suo tempo, diventando, in breve tempo, detenuto politicizzato aderente ai Nuclei Armati Proletari, sull’onda di quel movimento di lotta sviluppatosi nelle carceri italiane, che prevedeva il contatto tra gli intellettuali rivoluzionari e chi proveniva dalla criminalità comune.
Inizia un percorso di lotta in cui, tra un’evasione e l’altra, tra una cattura e una punizione durissima, si lega al mondo della lotta armata, teso a ottenere condizioni carcerarie più consone ai principi sanciti da Beccaria, ma anche a fare da seconda gamba a chi, fuori dalle prigioni, alimentava la prospettiva rivoluzionaria in Italia, in quella che Sergio Zavoli definì “La notte della Repubblica”.
Concetti un po’ astrusi se visti con l’occhio del contemporaneo. Molto chiari, invece, per quelli che come Abatangelo, quegli anni li hanno vissuti girando da un carcere all’altro, fino a passare dall’inferno dell’Asinara.
Non si andava per il sottile, a quei tempi. E le rivolte carcerarie erano all’ordine del giorno. I NAP (che poi confluirono nelle Brigate Rosse) in carcere erano organizzati e rispettati. Perfino temuti e odiati da camorristi e mafiosi.
Nelle pagine del libro di Abatangelo c’è la descrizione minuziosa di ogni episodio, di ogni contatto con l’esterno, della vicenda umana vissuta nei colloqui con la moglie Anna (cui è dedicato il libro) e i due figli concepiti prima della lunga parentesi da detenuto politicizzato. Ci sono le storie di fratture e divergenze nel movimento, e i ritratti dei protagonisti di quegli anni, da Mario Moretti a Prospero Gallinari, da Renato Curcio ad Alberto Franceschini. E se alla fine della storia solo Gallinari sembra uscire bene dal ricordo dell’autore, che non si è mai pentito né dissociato da quell’esperienza, per comprendere appieno la realtà di quegli anni, bisogna leggere quelle vicende, apparentemente lontane anni luce, con quella realtà fatta di duri pestaggi da parte degli uomini in divisa che orinavano nelle pentole della minestra somministrata ai detenuti e non andavano per il sottile coi trattamenti carcerari. Erano anni di legislazione speciale contro il terrorismo, e tutto era ammesso. Una linea della fermezza da parte dello Stato, condivisa in primis dai grandi partiti di massa, dalla DC al PCI, il cui leader del tempo Enrico Berlinguer veniva aspramente criticato da quelli del movimento rivoluzionario.
E c’è il sequestro Moro. Che costò anni e anni di carcere a Gallinari, scagionato molto tempo dopo dalla testimonianza di una brigatista dell’epoca, e durante il quale proprio le BR, in cambio della liberazione del leader democristiano, chiesero la liberazione di tredici detenuti politici, tra i quali c’era anche Pasquale Abatangelo, autore di un libro che va letto senza le lenti del pregiudizio, da parte di chi vuole conoscere questa pagina di storia contemporanea vissuta da uno dei suoi protagonisti.
“Correvo pensando ad Anna” verrà presentato sabato 25 maggio alle 18 nello spazio culturale “MAG. La ladra di libri” di corso Garibaldi, 281 a Siderno. Gianluca Albanese dialogherà con l’autore.
«Le storie come le mie ricominciano sempre. Prendete un ragazzino e destinatelo alla povertà. Poi speditelo lontano da sua madre, in un posto dove non vuole stare e, se disubbidisce, punitelo severamente. Mettetegli davanti agli occhi dei vecchi abbandonati. Fategli anche subire qualche molestia dai preti. Quando diventa grande, mostrategli che Polizia e Carabinieri sono
Gianluca Albanese
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