#Innovatore Musicale
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Guè: Maestro del Rap Italiano e Innovatore Musicale
Guè è un nome importante nel mondo della musica italiana. È un maestro del rap con oltre dieci anni di carriera. La sua storia è di un artista che ha cambiato il rap, portando nuovi suoni. Ha saputo unire stili diversi, diventando un innovatore musicale. Questo lo ha reso amato da molti e apprezzato dalla critica. Grazie al suo talento e al suo carisma, Guè ha conquistato un grande seguito. Punti…
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Storia Di Musica # 313 - AA.VV. - She Rocks Volume 1, 2017
Un giovane chitarrista di origini italiane (i nonni arrivarono negli Stati Uniti dalla Lomellina) nel 1978, quando ha appena 18 anni, manda una cassetta e una trascrizione del leggendario pezzo The Black Page al suo creatore, Frank Zappa. Il brano si chiama così perchè lo spartito è così pieno di segni musicali (punti, segni, note) ed è famoso perchè di una complessità mostruosa. Zappa impressionato dal talento del giovane chitarrista lo contatta e dopo che il nostro giovane eroe finisce la scuola, lo invita a Los Angeles, gli fa un provino e lo stipendia prima come trascrittore ufficiale e poi, dal 1980 fino al 1985, lo porta sul palco e in studio a registrare, presentandolo come il suo "little Italian virtuoso" e gli assegna spettacolari assolo definiti "impossible guitar parts". Quel giovane chitarrista è Steve Vai, unanimemente considerato uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi. Oltre ai dischi, ai concerti, ai premi, al ruolo di innovatore dello strumento (leggendarie le chitarre Ibanez Jem con lui sviluppate) il suo è sempre stato un lavoro di ricerca sia strumentale sia umano: cacciatore di talenti prima, e poi produttore ed editore musicale. Nel 1999 infatti fonda insieme a Ray Scherr, il fondatore di Guitar Center, la più grande catena di negozi di strumenti musicali di tutte le Americhe (con oltre 300 negozi) una etichetta discografica, Favored Nations, con il preciso obiettivo di sviluppare la musica chitarristica, di scovare nuovi artisti e di produrre quelli già affermati. Il primo disco prodotto è del 2000, Coming To Your Senses del chitarrista jazz fusion Frank Gambale, di lì in poi è un susseguirsi di grandi nomi. A metà del decennio successivo, Vai sente la necessità di rispondere, con un disco, ad una domanda: Who says the ladies can’t rock?.
Per questo in collaborazione con l'associazione Women’s International Music Network mette su una compilation, insieme con Brad Tolinski, direttore di una delle bibbie dei chitarristi e chitarriste, Guitar World, di strepitose chitarriste, a cui dà il titolo di She Rocks Vol.1, sottotitolo: A Collection of Kick-Ass Guitar Goddesses, che esce nel gennaio del 2017. In scaletta 11 brani di 11 chitarriste che comprendono diversi generi, dal jazz rock al blues, ma che spingono forte verso l'hard rock e l'heavy metal, per un assortimento niente male. C'è una delle scoperte di Vai, la tedesca Yasi Hofer (qui presente con una torrida sua composizione, Cosmic Star), c'è la leggenda del rock femminile Lita Ford, delle Runwayas, che si unisce alle Lez Zeppelin, una tribute band femminile dei mitici Led Zeppelin, cantando The Lemon Song (uno dei testi più maliziosi ed erotici del catalogo di Plant e soci, nello slang "lemon" è una metafora del pene) accompagnata da Steph Paynes, che nella compilation regala una meravigliosa The Sun At Her Eastern Gate (Payne è stata anche scrittrice e giornalista del rock per riviste come il New Music Express e Rolling Stone). C'è il blues di U Know What I Like di Kat Dyson (che è stata più volte la lead guitar dei tour internazionali di Zucchero), il trascinante heavy metal di Transmogrify, brano scritto da Orianthi, chitarrista e polistrumentista australiana che accompagnò Micheal Jackson nel suo ultimo tour This Is It. Jackson era un grande estimatore di chitarriste, tanto che nella compilation c'è pure il contributo di un'altra sua storica sessionista, Jennifer Batten, che lo ha accompagnato nei tour di Bad, Dangerous e History: qui è presente la sua In The Aftermath. Si passa dal jazz rock di Sarah Longfield (The Taxi Time Travel Task Force) alle sonorità sofisticate di Yvette Young, uno dei talenti più puri in circolazione (Hydra), alle super prove di nomi più famosi come Nita Strauss (la chitarrista di Alice Cooper), che contribuisce con Pandemonium e Gretchen Menn con Scrap Metal. Da ricordare anche il brano di Nili Brosh, A Matter Of Perception, la chitarrista è stata per anni star degli spettacoli musicali del Cirque Du Soleil e insieme ad altre protagoniste di questa compilation suonerà in una tribute band, The Iron Maidens, che omaggia al femminile la musica degli inglesi Iron Maiden. In copertina c'è un disegno di Laura B. Whitmore, musicista, produttrice e ex manager di importantissime etichette discografiche, che nel 2012 fondò la WiMN per fornire supporto, informazioni e un senso di comunità alle donne in tutti gli aspetti del settore musicale, compresi artisti, addetti ai lavori, educatori e studenti.
La dicitura Vol.1 mi ha fatto sempre sperare in un Vol.2 che al momento non è ancora arrivato. Tuttavia questo disco è prova viva che " A Lady Can Surely Rocks".
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"Per me la musica e la vita sono una questione di stile."
Il 26 maggio del 1926, nasceva l'uomo che avrebbe cambiato più volte la storia dell'evoluzione della musica Jazz
Miles Dewey Davis III (26 Maggio 1926 – 28 Settembre 1991)
Compositore e trombettista statunitense jazz, considerato uno dei più influenti, innovativi ed originali musicisti del XX secolo.
Miles Davis fu e resta famoso sia come strumentista dalle sonorità inconfondibilmente languide e melodiche, sia per il suo atteggiamento innovatore (peraltro mai esente da critiche), sia per la sua figura di personaggio pubblico. Fu il suo un caso abbastanza raro in campo jazzistico: fu infatti uno dei pochi jazzmen in grado di realizzare anche commercialmente il proprio potenziale artistico e forse l'ultimo ad avere anche un profilo di star dell'industria musicale. Una conferma della sua poliedrica personalità artistica fu la sua (postuma) ammissione, nel marzo 2006, alla Rock and Roll Hall of Fame; un ulteriore riconoscimento di un talento che influenzò tutti i generi di musica popolare della seconda metà del XX secolo.
Sono trascorsi 33 anni, ormai, dalla sua scomparsa a soli 65.
Osannato e condannato dalla critica, è palese il contributo che Miles ha dato alla musica.
Durante la sua intensa carriera ha attraversato innumerevoli stili e generi, reinventandosi e rimettendosi continuamente in gioco per non essere sopraffatto dallo scorrere delle mode, dai gusti e dai nuovi idoli del pubblico.
Una carriera di eccessi tra musica, pittura, boxe, donne, droga, lusso e razzismo.
Un uomo forte e fragile nello stesso tempo, un mito, che rimarrà tra i più significativi e suggestivi per molto, molto tempo ancora
Atlantide
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[✎ ITA] RollingStone Korea : Articolo - RM Fa Strada Nella Cultura Contemporanea Con il Suo Potente, Appassionato e Personalissimo Colpo di Pennello | 27.09.2023
RM Fa Strada Nella Cultura Contemporanea Con il Suo Potente, Appassionato e Personalissimo Colpo di Pennello
Isak Choi | 27. 09. 2023 | Twitter 🗞 Articolo
K
Attualmente, RM è una delle figure più interessanti ed influenti nel mondo K-pop. Guadagnarsi sia l'interesse che la credibilità non è cosa da poco, eppure RM ci è riuscito. Non si è limitato ad affermarsi come un innovatore, in questa scena musicale, ma continua tuttora a sfidarla e a rimodellarla. Il 6 settembre, durante l'inaugurazione della settimana della "Frieze Seoul", RM ha giocato un ruolo chiave durante l'evento d'apertura, presso il Leeum Art Museum, dove si teneva la mostra "Willow Drum Oriole" dell'artista Kang Seokyeong. Non c'è dubbio che coloro che si sono trovatə alla sua presenza abbiano provato un senso di trepidazione. Vestito Bottega Veneta – brand caratterizzato da un'estetica rigorosa - e sfoggiando un elegante capo rasato, RM emanava un intrigante mix di lusso vellutato e disordinata compostezza, un po' come il rombo di un pickup. Tuttavia c'è un motivo ancor più profondo per cui questo momento ha saputo generare tale e tanto entusiasmo.
Il K-pop sembra non aver radici. Talvolta, in uno stesso album, possiamo trovare le tonalità allegre ed asettiche del city pop unite ad un ritmo latino-americano e ad influenze quali Prom Queen e Lady Marmalade, YOLO e Karma. Ed è proprio quest'assenza di fulcro artistico a permettere l'avanzamento e l'evoluzione del genere. Profondamente legato ed immerso in questa corrente musicale, RM ci svela le origini culturali alla base del K-pop, solitamente percepito come effimero e chiassoso – alla stregua di TikTok. RM incarna ciò che Charles Baudelaire descriveva come 'l'essenza della modernità' ne <Il Pittore della Vita Moderna>, ovvero colui che "estrae dalla moda quello che può contenere di poetico nel quotidiano e distilla l’eterno dall’effimero". Intrecciando la tumultuosa storia della penisola coreana con il vigore moderno dell'industria K-pop, RM descrive quella 'K' non come una mera etichetta, ma come "un marchio di prestigio nato dal duro lavoro e dagli sforzi dei nostri predecessori (i quali hanno sempre cercato di affermare la grandezza della cultura coreana)". L'orgoglio che RM nutre per la cultura coreana è affine allo zeitgeist, e ci porta a farci una domanda provocatoria: essere profondamente coreani corrisponde ad essere profondamente globali? Dire che RM ha esteso l'orizzonte di questa conversazione – rianimata dall'emergere trionfale della 'K' a livello globale - non sarebbe, dunque, un'esagerazione.
RM non fa che reiterare il "potere della cultura alta". Fa frequenti donazioni alla "Fondazione per il Patrimonio Culturale Coreano Oltreoceano", che ha il fine di preservare e promuovere il patrimonio culturale coreano all'estero, facendo conoscere le eccellenze coreane a livello globale. Inoltre, è ambasciatore per le Pubbliche Relazioni del Ministero della Difesa Nazionale e dell'Agenzia per il Recupero e l'Identificazione dei Caduti nella Guerra di Corea. RM sfrutta la sua influenza per dare nuova linfa alle radici storiche e rifocillare la cultura coreana. E la sua recente avventura musicale non fa che sposare questa missione. Da quando ha intrapreso le attività individuali in previsione del "Secondo Capitolo" nella carriera dei BTS, RM ha fatto entusiasmanti collaborazioni con giovani artisti coreani, che sono tra i principali rappresentanti della scena musicale di tendenza, a Seoul, quali Hwang So-yoon, Paul Blanco ed i Balming Tiger, abbattendo i ristretti confini che solitamente relegano il K-pop nel contesto della musica idol, nonché espandendone gli orizzonti.
Il motivo per cui la presenza di RM all'inaugurazione della mostra "Kang Seokyeong: Willow Drum Oriole" si è fatta sentire è perché rappresenta simbolicamente il suo status attuale. Era il primo giorno della settimana della Frieze Seoul, ad un evento che celebrava la vera essenza della cultura contemporanea coreana, presso un prestigioso museo d'arte ricco di una vasta collezione di tesori nazionali, e RM era lì, al centro di tutte le attenzioni. Per forza l'arrivo di questo giovane musicista di fama, talento, contemporaneità, nonché una visione artistica notevole, ha suscitato fermento ed entusiasmo tra il pubblico.
La cultura nuova inizia dalle audaci pennellate degli artisti più arditi dell'epoca cui essa appartiene. RM sta tracciando e aprendo la strada alla cultura contemporanea grazie ai suoi potenti, appassionati e personalissimi colpi di pennello.
"Ciò che desidero è che il nostro paese diventi il più bello al mondo. (...) L'unica cosa io abbia mai desiderato è il potere della cultura alta", diceva Baekbeom Kim Gu nel suo "My Wish", sognando questa "nazione bellissima".
Senza titolo
6 agosto 2023. RM ha preso il palco. Vestito di un completo multicolore ma sobrio e minimal, si è erto, libero ed imponente, sotto la luce dei riflettori. RM, che non era più salito su un palco così grande per oltre un anno, ha partecipato come ospite ad uno dei concerti conclusivi del tanto atteso tour mondiale di Agust D. Qui, ha svelato una nuova canzone, canticchiando dolcemente "You don't have to be (non c'è bisogno che tu sia)". Nella sua voce, c'era nostalgia, come il senso di vertigine che potremmo provare quando, improvvisamente, ci ricordiamo di guardare il cielo, nel bel mezzo della frenetica e vuota routine di tutti i giorni. Per questa sua ultima performance prima dell'arruolamento, RM ha scelto un inedito senza titolo. No, avete capito bene, non aveva neppure un titolo. Trasparente e radiosa come l'improvviso movimento di un mondo addormentato, questa canzone racchiude in sé l'essenza del suo percorso musicale. Dalla disperata supplica nella title track del suo album solista (Indigo 2022), 'Wild Flower': "Ti prego, liberami da questa bramosia, costi quel che costi, oh, ti prego, lasciami essere me stesso", fino alla mano che – lui che è costantemente etichettato con moltissimi titoli – estende a se stesso nel brano 'Still Life'...E questo brano sembrava un'esortazione: "Torniamo insieme allo stadio di 'innocenza e purezza primigenie'", di cui il pittore Yun Hyeong-keun parla come dello "scopo dell'umanità", che RM ha anche citato nel suo capolavoro musicale, 'Yun'.
È così che le pennellate di RM si allargano sempre più, lasciando segni profondi ed un riverbero, esattamente come fanno tutte le cose importanti e d'impatto.
⠸ eng : © SaraBangtan07 | Ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
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Jimi Hendrix: il chitarrista che ha rivoluzionato la musica
Jimi Hendrix è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi chitarristi e musicisti rock della storia. La sua breve ma intensa carriera ha lasciato un'impronta indelebile sulla musica, influenzando generazioni di artisti e ispirando fan di tutto il mondo. In questo articolo, esploreremo la vita, la carriera e l'eredità duratura di Jimi Hendrix. I Primi Anni Jimi Hendrix è nato il 27 novembre 1942 a Seattle, nello stato di Washington, negli Stati Uniti. Fin dalla giovane età, ha dimostrato un interesse innato per la musica e ha iniziato a suonare la chitarra a 15 anni. La sua formazione musicale è stata influenzata da artisti come B.B. King, Muddy Waters e Chuck Berry, ma Hendrix ha rapidamente sviluppato un proprio stile unico che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo. La Carriera Musicale La carriera musicale di Jimi Hendrix è esplosa nei metà degli anni '60. Nel 1966, si trasferì a Londra, dove formò la sua band, The Jimi Hendrix Experience, con il bassista Noel Redding e il batterista Mitch Mitchell. Nel 1967, la band pubblicò il suo album di debutto, "Are You Experienced," che divenne rapidamente un successo internazionale. Hendrix era noto non solo per la sua incredibile abilità tecnica con la chitarra, ma anche per la sua innovazione sonora. Ha introdotto nuove tecniche di chitarra e ha sperimentato con effetti elettronici che hanno contribuito a definire il suono psichedelico dell'epoca. Il suo stile di chitarra, caratterizzato da assoli straordinari e l'uso creativo del feedback, è diventato una firma distintiva della sua musica. I Momenti Iconici La carriera di Hendrix è costellata di momenti iconici che rimangono impressi nella memoria dei fan e degli appassionati di musica: - L'esibizione a Monterey Pop Festival (1967): L'esibizione dei The Jimi Hendrix Experience al Monterey Pop Festival è leggendaria. Hendrix concluse la sua performance bruciando la sua chitarra sul palco, un atto che diventò un'icona del rock 'n' roll. - L'interpretazione di "The Star-Spangled Banner" a Woodstock (1969): La performance di Hendrix all'edizione del 1969 del festival di Woodstock è stata una delle sue più celebri. La sua versione distorta dell'inno nazionale degli Stati Uniti d'America è diventata un simbolo dell'opposizione alla guerra del Vietnam. La Fine Prematura Nonostante il suo successo straordinario, la carriera di Jimi Hendrix è stata segnata da turbolenze personali e problemi di salute. Purtroppo, il 18 settembre 1970, all'età di soli 27 anni, Hendrix morì per un'overdose accidentale di barbiturici a Londra. La sua morte ha lasciato il mondo della musica in lutto per la perdita di uno dei suoi talenti più brillanti e promettenti. L'Eredità Duratura L'eredità di Jimi Hendrix continua a vivere attraverso la sua musica e il suo impatto sulla cultura popolare. Le sue canzoni, come "Purple Haze," "All Along the Watchtower" e "Voodoo Child," sono considerate classici del rock e sono ancora ascoltate e amate oggi. Hendrix ha aperto nuove strade nell'uso della chitarra elettrica, influenzando una generazione di chitarristi e musicisti. Oltre alla sua musica, l'immagine di Hendrix come icona ribelle e creativa è rimasta un punto di riferimento per la cultura rock. È stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame e continua a essere celebrato attraverso tributi, coperture delle sue canzoni e riedizioni del suo lavoro. Conclusioni Jimi Hendrix è stato un vero genio musicale, un innovatore e un'icona della cultura rock. La sua musica e la sua personalità carismatica hanno lasciato un'impronta indelebile sulla storia della musica e continuano a ispirare musicisti e appassionati di tutto il mondo. La sua breve ma intensa carriera è un ricordo eterno del potere della creatività e della passione nella musica. Jimi Hendrix resterà per sempre uno dei chitarristi più influenti e amati della storia della musica. Foto di Vicki Hamilton da Pixabay Read the full article
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Messina: L'Horcynus Festival immagina le città del futuro
Messina: l'Horcynus Festival immagina le città del futuro. Dal 17 luglio al 6 agosto al Parco Horcynus Orca di Capo Peloro, con alcuni appuntamenti in programma anche a Roccavaldina (ME), si svolgerà la XXI edizione dell'Horcynus Festival, a cura della Fondazione Horcynus Orca e della Fondazione MeSSInA. "Visioni, Immaginare le città del futuro" è il tema per il 2023. Decine le proiezioni cinematografiche in programma sul grande schermo all'aperto del Parco Horcynus Orca, comprese le pellicole selezionate dal Festival del Cine Espanol Y Latinoamericano, oltre al concerto di Stefano "Cisco" Bellotti, la lettura teatrale del premio UBU 2022 Marco Cavalcoli, laboratori educativi, presentazione di libri e momenti di riflessione sulle questioni più urgenti nell'area mediterranea. "L'Horcynus Festival non è pensato unicamente come rassegna e contenitore artistico, ma vuole rappresentare uno spazio di lavoro e di confronto aperto tra linguaggi, contesti culturali, saperi economici scientifici e tecnologici, approcci etici ed estetici differenti. Da anni, infatti, il Festival accompagna la vita, l'evoluzione e il processo di internazionalizzazione del Distretto Sociale Evoluto di Messina. Questo evento, inoltre, è alla continua ricerca di strade nuove per contrastare le diseguaglianze economiche, sociali e di riconoscimento dei processi di mutamento climatico, promuovendo metamorfosi per garantire un futuro più giusto" spiega Gaetano Giunta, Fondazione MeSSInA. "Questo Festival è un'occasione per mettere insieme riflessione ed emozione. Grazie alla sinergia di Fondazione MeSSInA, Fondazione Horcynus Orca, Università di Messina e Comune, ancora una volta rendiamo pubblico, con 20 giorni di eventi, lo spirito che accompagna un lavoro quotidiano che vuole promuovere la bellezza e la scienza e siamo certi che, anche quest'anno, il nostro festival contribuirà a ribadire ancora una volta la centralità per il nostro futuro del Mediterraneo e delle politiche che lo riguardano con la consapevolezza di essere, pur nelle diversità, una comunità di destino" aggiunge il Presidente della Fondazione Horcynus Orca, Giuseppe Giordano. Il programma cinematografico, per la storica sezione del Festival "Arcipelaghi della Visione" è diretta da Franco Jannuzzi, mentre la sezione "Musica Nomade" è curata da Giacomo Farina e Luigi Polimeni. "Quest'anno ospiteremo il concerto di Cisco, all'anagrafe Stefano Bellotti, cantante e co-fondatore dello storico collettivo musicale Modena City Ramblers, icona e colonna sonora dei movimenti giovanili progressisti degli ultimi trent'anni italiani. Cisco si esibirà mercoledì 26 luglio alle ore 22.00, nella giornata dedicata ad un'analisi della storia contemporanea italiana, attraverso una finestra sulla strage di Portella della Ginestra del 1947, indicata come l'inizio della strategia della tensione per arginare l'avanzata dei movimenti democratici dei lavoratori che, proprio dalla Sicilia, iniziavano a contrastare i poteri forti e occulti e che decidevano i destini di tutto il Sud e dell'intero Paese" annunciano Farina e Polimeni. "La novità di quest'anno è la prima edizione di 'Vedere la Musica', un concorso nazionale di videoclip musicali che dialoga con il linguaggio principale del Festival, che è l'audiovisivo. In tempi in cui la tecnologia prêt-à-porter e la comunicazione peer-to-peer hanno facilitato l'accesso alla condivisione dei propri prodotti artistici, è stato un modo per monitorare e stimolare il mondo dell'audiovisivo musicale giovanile ed emergente. Unico concorso siciliano del genere si avvale della presidenza della giuria di Carlo Massarini, storico presentatore e innovatore della RAI" aggiungono Farina e Polimeni. Per quanto riguarda la parte dedicata al cinema, il direttore artistico Franco Jannuzzi, spiega: "Anche per me l'impegno quest'anno è stato quello di far 'Vedere la Musica', e così la programmazione del Festival è ricca di film in cui la musica è protagonista. Una chicca molto particolare, in programma nella serata inaugurale del 17 luglio, è l'opera rock 'Orfeo 9' di Tito Schipa Jr., un lavoro molto interessante che, in Italia, ha anticipato tante cose. Segnalo anche la pellicola Song to Song di Terrence Malick e Buena Vista Social Club di Wim Wenders, due esempi fondamentali di opere cinematografiche musicali." prosegue Jannuzzi. "Il tema del Festival di quest'anno sono le visioni e come immaginare le città del futuro e, su questo solco, ho voluto programmare un film molto importante di Jean-Luc Godard, Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville, girato in bianco e nero nel 1965 in una Parigi notturna e in via di trasformazione. Altre scelte ci permettono di offrire una varietà di programmazione che ci dà una visione trasversale e una prospettiva sul futuro", conclude Jannuzzi. Anche per l'edizione 2023 torna al Parco Horcynus Orca di Capo Peloro il Festival del Cine Espanol Y Latinoamericano, a cura di Iris Martin-Peralta e Federico Sartori, in città grazie alla collaborazione delle fondazioni messinesi con l'Ambasciata di Spagna in Italia. Dal 30 luglio all'1 agosto tre giorni di pellicole, in versione originale con sottotitoli in italiano, con una selezione che dà ampio spazio a film altrimenti invisibili in Italia.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Sweet Charity1969, The Aloof, The Heavyweight, The Big Fish.
Sweet Charity ” The Aloof ” Rich Man’s Frug ”
Bob Fosse directed and choreographed
Nome: Robert Louis Fosse
23 Giugno 1927, Chicago, Illinois, USA/23 Settembre 1987, Washington D.C., USA
Bob Fosse, danzatore, regista e coreografo, è tra i più amati e rappresentati nel mondo, geniale innovatore nel teatro moderno musicale. I più grandi artisti attuali si ispirano ancora a lui per le loro coreografie. Con il suo stile caratteristico e inconfondibile, nella sua carriera e nella vita privata si alternano successi strepitosi sul palcoscenico a disastri sentimentali e insuccessi nella vita privata. Il fallimento di tre matrimoni, l’amore per il suo lavoro e l’ambizione sfrenata, gli faranno perdere la figlia, la moglie, la fidanzata e, come inevitabile conclusione della trasgressione e gli eccessi che lo hanno contraddistinto, la sua stessa vita. Grazie al suo stile di danza energico e vitalissimo, quando morì nel 1987 stroncato da un infarto a 60 anni, era già una leggenda vivente di Broadway (non a caso il film All that Jazz è il sua biografia cinematografica). Figlio d’arte, debuttò giovanissimo a Broadway. Negli anni Cinquanta recitò in molti musical, senza però mai davvero emergere. Una leggenda dice che mentre lavorava sul set di un film per la MGM, Bob Fosse sbirciava dietro le quinte del film “The Band Wagon” durante gli intervalli per vedere Fred Astaire e imparare i suoi movimenti di danza…
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Ottant’anni. Strana età per una rockstar, se non addirittura incongrua rispetto allo stereotipo che vorrebbe eroi sempre giovani, freschi, esuberanti. Ma il signor Bob Dylan non è tipo da farsi condizionare da così banali dettagli anagrafici. I suoi ottant’anni li dimostra tutti, fino in fondo, con segni profondi e cicatrici dell’anima. Ha un volto autentico, da nobile superstite, da sopravvissuto impegnato in una sua particolare forma di resistenza umana. È scontroso, arcigno, irsuto, un nugolo di capelli sgraziati su quel naso adunco che da sei decenni simboleggia il suo spigoloso rapporto con il mondo. Che poi è il suo grande fascino, la sua irresistibile forza.
Poeta laureato, profeta in giaccone da motociclista. Napoleone vestito di stracci. Inafferrabile, come un sasso rotolante. È stato analizzato, classificato, crocifisso, sezionato, ispezionato e respinto, ma mai capito abbastanza.
Entrò nella mitologia nel 1961, con chitarra, armonica e berretto di velluto a coste, metà Woody Guthrie, metà Little Richard. Era il primo folksinger punk. Introdusse la canzone di protesta nel rock. Rese le parole più importanti della melodia e del ritmo. La sua voce, nasale e rauca, che suona «come sabbia e colla», come disse David Bowie, e il suo fraseggio sensuale sono unici. Può scrivere canzoni surreali con una logica interna – come un dipinto di James Rosenquist o come una poesia di Rimbaud – e semplici ballate che piovono dritte dal cuore con la stessa semplicità. Può tirar fuori le tenebre dalla notte e dipingere di nero il giorno.
Definirlo un eroe dei nostri tempi potrebbe essere riduttivo. Più passa il tempo, più la storia della musica popolare si ingarbuglia in miriadi di confusi intrecci, e più la sua figura rifulge, cresce d’importanza.
Oggi possiamo dire che l’opera di Bob Dylan sembra centrale, una sorta di straordinaria e irripetibile sintesi di valori poetici e musicali, di processi sociologici e artistici. Il menestrello di Duluth, infatti, non è stato soltanto il pifferaio della contestazione pacifista. È stato anche questo, non c’è dubbio, ma è stato molto di più. In quegli stessi anni, la stagione della protesta giovanile, in quel decennio infuocato in cui la sua figura e alcune sue canzoni (Blowin in the wind su tutte) si saldarono in modo inestricabile con le vicende sociali e politiche del tempo, Dylan riuscì anche a essere il cantore del lato oscuro del sogno americano. Più che cantare la speranza, e l’ottimismo adolescenziale, creò una galleria di eroi perdenti, amari, maciullati dall’“american way of life”. È una vera e propria galleria di antieroi, da Emmett Till a John Brown, da George Jackson fino al pugile Hurricane.
Più in generale si può dire che Dylan è stato il primo intellettuale della storia del rock. Prima di lui non si era abituati a conferire ai musicisti popolari, se non ai folksinger più impegnati, un rilevante valore intellettuale. Prima di lui Elvis Presley e gli altri eroi degli anni Cinquanta erano dei grandi talenti, dotati di intuito, di un selvaggio e contagioso istinto. Ma non c’era ancora la coscienza e la consapevolezza del proprio ruolo. Elementi che irrompono impetuosamente, invece, con l’avvento di Dylan, l’artista che ha portato la musica rock dall’innocenza primitiva delle origini alla profonda coscienza dei decenni successivi.
Robert Allen Zimmerman, che nel 1962 ha legalmente cambiato il suo nome in Bob Dylan, ha anche un altro enorme merito. Un po’ come a Louis Armstrong viene riconosciuto il grande pregio di aver in qualche modo portato a una prima compiuta definizione il linguaggio del jazz, che certamente non ha inventato, ma che ha rafforzato, evoluto, sintetizzato. Dylan ha compiuto qualcosa di analogo, prendendo il materiale folk ereditato dalla grande stagione degli hobo e lo ha velocemente condotto a maturazione, estendendo la portata, gli orizzonti e la potenza della canzone popolare tradizionale. Al di là delle apparenze, è lui il più grande innovatore, come dimostrò a più riprese con tutti i suoi capolavori elettrici degli anni Sessanta e Settanta.
Fin dai primi album, Dylan introduce un linguaggio complesso, preso in prestito dalla letteratura, dal cinema, dalla lingua quotidiana, da visioni sempre più surreali e audaci. Con lui la canzone diventa un prodotto artistico maturo, del tutto autonomo, capace anche di creare per la prima volta nella storia un alto livello di massa. Realtà che qualcuno comprese anche all’epoca, come John Lennon che nel 1965 dichiarò che a mostrare la strada era proprio Bob Dylan. Altri, come i membri dell’Accademia Reale Svedese, che gli assegneranno il Premio Nobel per la Letteratura, ci arriveranno molto più tardi, precisamente nel 2016.
Il mistero Dylan, grazie a una irripetibile coincidenza di valori artistici ed epocali, significò anche che, per la prima volta, musiche dichiaratamente non commerciali divennero incontenibili successi di vendita. Da quel momento l’industria discografica, costretta dagli eventi, aprì le porte al nuovo, senza più temere l’originalità e l’innovazione, consentendo l’afflusso di forze e di idee completamente nuove. Da allora la musica rock è cambiata, ma da allora è costantemente cambiato anche Bob Dylan, il primo nemico del suo stesso mito, deciso sempre a metterlo in discussione, ad osteggiarlo, a concedere poco alla platea.
Questo gli ha consentito di sopravvivere al suo tempo, di raggiungere il traguardo degli ottant’anni in modo vitale, inquieto, come un artista al quale la maturità non è servita da alibi per smettere di interrogarsi e provocare domande. Segno di una coscienza che il rock di oggi farebbe bene a recuperare. Per progredire e ritornare al passo con i tempi.
Intanto si preparano i festeggiamenti: Patti Smith, che nel 2016 andò a Stoccolma a ritirare il Nobel a suo nome – e si impappinò, commossa, mentre cantava A hard’s rain a-gonna fall – celebrerà Dylan il 22 maggio allo Spring Festival del Kaatsbaan Cultural Park nello stato di New York. Festa anche a Duluth, dove Dylan nacque il 24 maggio 1941, mentre nella vicina Hibbing, dove la famiglia si trasferì dopo che il padre Abram Zimmermann, colpito dalla polio, aveva perso il lavoro, i piani per un monumento nel cortile del liceo dove Bob (“Zimmy”) si diplomò nel 1959 sono tuttora “caduti nel vento”. Al centro delle celebrazioni anche la pubblicazione di tre nuovi libri e una riedizione: “You Lose Yourself You Reappear” di Morley, mentre il biografo Clinton Heylin tornerà a esaminare gli anni formativi in “The Double Life of Bob Dylan” e “Bob Dylan: No Direction Home” del 1986 del giornalista del New York Times e amico Robert Shelton (che nel frattempo è morto) verrà aggiornata e ripubblicata.
Elusivo come sempre, Dylan è bloccato nella casa di Point Dume a Malibu da quando un anno fa il Covid gli ha impedito di andare in Giappone per una nuova tappa del “Never ending tour”, ma non di fermarsi nel suo lavoro. Durante il lockdown ha composto un nuovo album e venduto per 300 milioni di dollari il suo catalogo musicale a Universal Music. Tra un anno poi l’apertura dell’archivio segreto affidato al miliardario del petrolio George Kaiser: il Bob Dylan Center sorgerà a Tulsa, Oklahoma, dove già, in un gemellaggio simbolico, sono custodite le carte del suo idolo Woody Guthrie. E, nel frattempo, il “grande vecchio” del rock prepara il suo ritorno sul palco nel 2022.
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"Miles Dewey Davis III è stato un compositore e trombettista statunitense jazz, considerato uno dei più influenti, innovativi ed originali musicisti del XX secolo. È difficile non riconoscere a Davis un ruolo di innovatore e genio musicale." (Wikipedia) [Nascita: 26 maggio 1926, Alton, Illinois, Stati Uniti Decesso: 28 settembre 1991, Santa Monica, California, Stati Uniti Strumento: tromba Periodo di attività musicale: 1944 – 1975; 1980 – 1991] . . #milesdavis (presso Planet Earth) https://www.instagram.com/p/CAqINAnKS_A/?igshid=98ma38t55h82
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26/7 Achille Lauro dj set al MOLO - Brescia
special adv by ltc - lorenzo tiezzi comunicazione
Innovatore e precursore di nuove tendenze musicali, artistiche ed estetiche, Achille Lauro è uno dei pochissimi personaggi dello show biz musicale italiano ad essere davvero tale sia per giovani e giovanissimi, quelli che affollano i locali e i concerti. sia per gli adulti, che lo seguono soprattutto da media e tv.
Il 26 luglio 2019 Achille Lauro è protagonista di uno scatenato show / dj set al MOLO Brescia. Quest'anno il locale simbolo del divertimento estivo in città e non solo è cresciuto moltissimo. Nel corso di una stagione di grandi party iniziata nello scorso maggio, MOLO Brescia ha ospitato i mitici Eiffel 65 (5 luglio) e pure il Deejay Time al completo (7 giugno). Più volte è arrivato a Brescia poi il collettivo di Vida Loca, party hip hop / pop / urban da 400 party l'anno (tra Italia, Formentera e Malta) e qualche volta dal MOLO è passato pure Rehab, festa hip hop di riferimento che infatti prende vita qui il 26 luglio ospitando Achille Lauro.
Tra 2018 e 2019 Achille Lauro ha calcato i palchi di tutta Italia con un tour lungo più di un anno, che lo ha portato a Roma sul palco del Circo Massimo, per lo storico concerto di Capodanno 2019. A febbraio 2019, Achille Lauro è stato uno dei protagonisti del Festival di Sanremo con "Rolls Royce", così come il suo libro "Sono io Amleto" (Rizzoli) ha registrato in poco tempo dalla sua uscita ben 3 edizioni. Il suo ultimo singolo si intitola "1969", autentica metafora per descrivere l'incredibile momento che l'artista sta vivendo.
26/7 Achille Lauro dj set @ MOLO - Brescia Orari e prezzi https://www.facebook.com/events/364926417503580/
MOLO - Brescia continua a far ballare con stile. Con ogni tempo atmosferico. Tanto la voglia di divertimento non si ferma di certo per qualche goccia d'acqua e la struttura è in gran parte al coperto. Il locale infatti è un vero giardino estivo "strategico"... per cui chi ha voglia di divertirsi non deve certo aver paura del maltempo. Il club è aperto ogni giovedì sera con Frìo. Il venerdì invece è Friday Format. Mentre ogni sabato si continua a ballare con guest d'eccezione e ottimi guest.
MOLO Brescia informazioni 3332105400 - 3925090313via Sorbanella 3, Brescia www.instagram.com/molo_brescia www.facebook.com/molo.brescia
orari e prezzi di tutti i party MOLO - Brescia www.facebook.com/pg/molo.brescia/events/
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David Bowie: Artista Camaleontico e Innovatore Musicale
David Bowie è più di un nome; è una icona nel mondo della musica. La sua vita di David Bowie è un viaggio unico di creatività e innovazione. Ha cambiato il panorama musicale, passando dal glam rock all’elettronica. Con il suo talento, Bowie ha mescolato e reinventato stili musicali. Ha lasciato un segno indelebile con una carriera piena di sorprese. La sua visione creativa ha toccato non solo la…
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Crossing the Atlantic
https://static.labiennale.org/files/musica/Documenti/programma_2018.pdf
Diario di viaggio #2
Ciao ragazzi!
Infine sono arrivata a Venezia. Nella verità, sono arrivata il 4 ottobre, ma non ho avuto tempo libero per scrivere qui a causa di una ottima ragione...
Sono stata nel Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Sono stata li per la prima volta. Questo evento si è cominciato il 28 settembre ed è durato fino il 7 ottobre, l’ultima domenica. Sfortunatamente sono andata solo a tre giorni di festival, dal 5 al 6 ottobre, però è stato un’esperienza molto diversa ed indimenticabile, che te lo dirò.
Primo di tutti, cos’è questo festival?
Anche chiamato “Crossing the Atlantic” o Biennale Musica, il Festival Internazionale di Musica Contemporanea è un festival che segue il pensiero di Ivan Fidele, un direttore e musico italiano. È stato creato nel 1930 e si succede ogni due anni. L’ultima edizione è stata la 62ª.
L’intenzione ogni anno è aggiornare ed allargare il concetto di musica contemporanea ed estendere l’esperienza musicale dei visitatori ed anche degli musiche. In fuga dal convenzionale, copre stili musicale più prossimi del “classico”, come rock, jazz e tango, diversi dalla maggior parte degli festival in Europa, che sono focalizzati in techno (io ad esempio solo era andata a festival di musica elettronica).
Nel presente anno, si era previsto un totale di 18 concerti, con ben 40 prime esecuzioni, 18 assolute , 1 prima europea e 21 italiane.
La mia esperienza
Bene, come ho detto, sono andata a due giorni di festival. Ho guardato un totale di tre presentazioni.
Il 5 ottobre, si erano presentati due gruppi musicale. Il primo è stato l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, che hanno propiziato un’immersione nella dimensione onirica attraverso una presentazione musicale basata su testi di autori diversi, da Saffo a Pablo Neruda. Io sono innamorata della poesia. È stato una cosa unica.
Il Victor Wooten Trio ha fatto la seconda presentazione del giorno. Victor Wooten è innovatore nella tecnica esecutiva di basso e è stato nella lista dei dieci migliori bassisti di sempre secondo “Rolling Stone”. Suona con il batterista Dennis Chambers e il sassofonista e flautista Bob Franceschini. Il trio ha presentato di prima il suo ultimo album portato in USA nel 2017. Lo stilo è molto prossimo di rock, ch’io amo.
Il 6 ottobre ho guardato il spettacolo incredibile “Aliados” di Sebastian Rivas. È un’opera multimediale che supera le aspettative con la sua originalità tra sperimentazione digitale, acustica ed elettronica. Ci sono molti suoni, immagini e voci in tempo reale, come un’opera del nostro tempo. La cosa che ma mi ha impressionato è stato la rievocazione dell’incontro realmente avvenuto tra Augusto Pinochet e Margaret Thatcher ai tempi del conflitto tra Argentina e Regno Unito per le Isole Falkland.
La domenica, 7 ottobre, ero molto stanca e a causa di questo non sono andata alla chiusura del festival. Tuttavia, le due giorni che ero lì sono stato sufficienti.
Questo è quanto!
Eccovi il programma completo:
https://static.labiennale.org/files/musica/Documenti/programma_2018.pdf
Ho anche trovato un video di “Aliados” per guardarvi:
youtube
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Gotik
Genere musicale: Rap
Nome: Davide Di Salvia
Città: Bari
Classe: 1988
La storia del Rap a Bari, innovatore, leggenda
INTRO
Davide di Salvia, in arte Gotik, è un rapper classe 1988 nato e cresciuto a Bari, dove è attivo musicalmente.
BREVE BIO
Gotik si avvicina al rap nel 2006, quando comincia a fare i primi freestyle nei cypha e nelle jam. Presto produce alcuni brani in studio. Con il brano sul Bari Calcio "U baar best" raggiunge oltre 700.000 views. Da lì in poi inizia a produrre parecchi brani, fino a pubblicare più di dieci dischi: "Dal tramonto all'album" con Romeo, "Nameless", "One Life" , "A testa Alta" , "Criminology vol. 1" seguito dal vol. 2 e dal vol. 3, "Reroledx mixtape", "Jerzeey", "Leggenda", "23:33", "Los Reyes".
Gotik è il primo che ha portato la musica di Bari fuori dal territorio e il primo a viaggiare per i concerti fuori dalla regione. Ha dato vita ad una scena rap più mainstream, lavorando a prodotti musicalmente più commerciali.
Nel 2021 confessa di avere un sogno nel cassetto, ossia quello di fare della musica il proprio lavoro.
Gotik ha collaborato con Sfera Ebbasta, Vincenzo Da Via Anfossi, Caneda, Vacca, Surfa, Izio Sklero, Montenero Dogo Gang, Manri, Romeo Rom, Skit, Marracash, Clementino, Rischio, Exo e molti altri.
Al momento lavora con l'etichetta Alba Agency Records di Bari.
QUESTO È GOTIK
Mambolosco è l'artista che Gotik reputa più significativo per la sua produzione musicale.
Gotik ha grande esperienza in live, si è esibito al New Demode Club di Bari, al
MissCombino di Milano, a Cosenza,
Roma, Matera, al Palazzo San Gervasio. È quindi ben disposto a prendere parte a concerti.
I link e i contatti di Gotik:
Spotify:
YouTube:
Instagram:
https://www.instagram.com/davide.gotik/
La redazione di Artist_Advisor.
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La musica per me non è mai stata una religione. Ho sempre ascoltato altro, a parte la musica che accompagnava naturalmente i miei dettami stilistici in fatto di guardaroba. Fin dagli albori della musica, se non ci fosse stata una ricerca verso il nuovo, saremmo ancora, innaturalmente, ai cilindri di cera, affascinanti, ma largamente superati. Si usavano tecnologie per creare qualcosa di nuovo - il rock’n’roll stesso è anche frutto di tecnologie usate all’uopo, oltre a un’evoluzione stilistica della musica americana. Il discorso serve a introdurre un personaggio musicale a me caro: Raymond Scott, nato a Brooklyn, NY, nel 1908 e scomparso nel 1994. Egli, oltre che musicista, fu un vero innovatore e, tra le altre cose, scrisse il classico brano ‘Powerhouse’ (1937), divenuto, a metà del XX° secolo, un vero e proprio classico tra le orchestre americane. La raccolta che vedete in foto, contenente molte incisioni dal 1937 al 1940, uscì dapprima nel 1992 e fu ristampata in Olanda 6 anni dopo,: la acquistai ad Amoeba Records a San Francisco, un posto dove, se si amano i dischi, si diventa matti perchè non si sa da dove iniziare, vista l’immensità del luogo. Questo ed altri CD caddero nel mio carrello, per un totale di circa 100 dollari e alla cassa mi regalarono, come bonus, due manciate di spillette del negozio. Raymond Scott con la sua Orchestra si adoperò per musicare molti cartoni animati Looney Tunes (e non solo), e in seguito scrisse e musicò anche svariati jingles pubblicitari innovativi tra gli anni ‘50 e ‘60, mentre parallelamente la sua attività di inventore di strumenti musicali non accennava a rallentare. La riscoperta di massa di questo artista avvenne dopo la sua morte, e furono, nel tempo, pubblicate molte compilations di sue composizioni, che oggi vanno sotto titoli quali “Soothing Sounds For Babies” o “Microphone Music”, ed anche riedizioni di suoi album degli anni ‘50 e ‘60. Nel 2010 il regista Stanley Warnow produsse un film documentario a lui dedicato intitolato “Deconstructing Dad”. Non nascondo che mi piacerebbe suonare in un combo che fa cose di questo genere.
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Big Band - quali erano le migliori?
Le migliori orchestre jazz
Il suono di una big band è uno dei suoni più impressionanti di tutto il jazz. In questo articolo daremo un'occhiata ad alcune delle migliori big band della storia, alle loro musiche e ai bandleaders responsabili di aver fatto storia. Ci sono jazz band di tutti i tipi di formazione e dimensioni. Alcuni degli album più celebri sono stati realizzati da intimi trii, duo e persino musicisti solisti. All'altra estremità dello spettro dell'ensemble, che fornisce potenza e gamma dinamica quasi ineguagliabili, c'è la musica da big band. La big band, o orchestra jazz, come talvolta viene anche chiamata, apparve per la prima volta negli anni '10, prima di raggiungere la massima popolarità negli anni '30 e '40 durante l'era della musica swing. Le implicazioni finanziarie della guida di gruppi più grandi e il cambiamento dei gusti del pubblico significarono che il periodo di massimo splendore del jazz da big band come musica popolare mainstream giunse al termine. Ma rimasero grandi big band e orchestre jazz che facevano una vasta gamma di musica, e questa ricca tradizione continua ancora oggi. Le Formazioni tipiche della Big Band e le aggiunte. La formazione strumentale di una big band varia da ensemble a ensemble, ma è tipicamente composta da circa 17 musicisti, divisi in quattro sezioni: - cinque sassofoni - quattro tromboni - quattro trombe - una sezione ritmica di pianoforte, contrabbasso e batteria Le aggiunte solitamente includono: chitarra, corno francese, tuba o un cantante. Le grandi band negli anni '20 e '30 tendevano ad essere leggermente più piccole. Un gran numero di musicisti come questo rende più complicata l'improvvisazione collettiva, quindi le grandi band tendono a utilizzare molto più materiale scritto rispetto a gruppi jazz più piccoli come trii e quartetti, sebbene le caratteristiche di assoli improvvisati appaiano ancora in abbondanza per fornire contrasto con le sezioni dell'ensemble. Quindi, senza ulteriori indugi, ecco il nostro sguardo ad alcune delle migliori big band e orchestre jazz di sempre, con una registrazione consigliata per ognuna. In questo articolo conosceremo le seguenti Big Band: - Fletcher Henderson e la sua Orchestra - la Duke Ellington Orchestra - Count Basie Orchestra - Benny Goodman - Dizzy Gillespie - Woody Herman e The Herd - Buddy Rich Big Band - l'Orchestra di Thad Jones / Mel Lewis - Gil Evans - l'Orchestra Maria Schneider
Fletcher Henderson e la sua orchestra
Il pianista, arrangiatore e compositore Fletcher Henderson non è riuscito a raggiungere il tipo di successo mainstream a lungo termine come alcuni degli altri leader di questa lista, ma il suo contributo allo sviluppo del jazz e al linguaggio musicale per big band è stato incredibilmente significativo .
La sua orchestra jazz con sede a New York era la band afroamericana più popolare degli anni '20, e i suoi arrangiamenti ebbero una notevole influenza sulle band di enorme successo dell'era swing nei due decenni successivi. C'era una tradizione esistente di gruppi da ballo che suonavano principalmente materiale scritto, che Henderson fondeva con lo stile pesantemente improvvisato che si era sviluppato a New Orleans per creare un suono da big band jazz. Un'altra innovazione è stata la separazione della band nelle sezioni strumentali che vediamo oggi. Louis Armstrong ha preso d'assalto la scena jazz quando si è trasferito a New York per unirsi all'Orchestra nel 1924, mentre Coleman Hawkins, il padre del sassofono tenore nel jazz, era un altro solista in primo piano. Anche i trombettisti Henry "Red" Allen, Roy Eldridge e i sassofonisti Benny Carter e Chu Berry, tutte le voci principali dell'era swing, hanno suonato con la band in vari momenti. Purtroppo a causa di un misto di fattori finanziari e sfortuna Henderson fu costretto a sciogliere la band nel 1934 e vendere alcuni dei suoi arrangiamenti a Benny Goodman. Album di Fletcher Henderson consigliato: Fletcher Henderson and the Birth of Big Band Swing Include brani classici come "Sugar Foot Stomp", dove è presente un ottimo assolo di Armstrong.
La Duke Ellington Orchestra
Il repertorio musicale che Duke Ellington ha composto e arrangiato per la sua Orchestra è così ampio, unico e significativo che richiederebbe virtualmente il proprio sottogenere. In effetti, la produzione del pianista e bandleader è spesso descritta come "beyond category". Duke è salito alla ribalta per la prima volta al Cotton Club di Harlem, dove ha guidato una band di 11 elementi, a partire dal 1927 e, complessivamente, ha diretto la sua orchestra per ben 51 anni, dal 1923 fino alla sua morte nel 1974. In un periodo così lungo ovviamente la formazione della sua band è cambiato nel tempo. Un'edizione particolarmente significativa è stata la "Blanton-Webster band". Con il gigante del sassofono tenore Ben Webster e il pioniere del contrabbasso Jimmy Blanton, ha registrato brani classici come "In a Mellow Tone", "Cotton Tail", "Never No Lament" e "C Jam Blues" nei primi anni '40, che rimangono tutti parte integrante del repertorio jazz standard di oggi. Un contributo chiave al mondo del suono di Ellington è stato il compositore, arrangiatore, pianista e paroliere Billy Strayhorn. Il braccio destro di Ellington ha aggiunto numerosi brani al repertorio della band, tra cui "Take the 'A' Train", il tema musicale dell'orchestra. Ellington ha iniziato la sua carriera suonando musica per ballerini swing, ma il repertorio che ha prodotto per l'Orchestra comprendeva anche ambiziose forme estese, musica da film e opere sacre, ed è considerato da molti uno dei compositori americani più significativi di qualsiasi genere. Album di Duke Ellington consigliato: Ellington at Newport Questo classico album dal vivo del Newport Jazz Festival del 1956 include il famoso assolo blues di 27 ritornelli del sassofonista tenore Paul Gonsalves. Il lungometraggio dell'altoista principale Johnny Hodges su “ I Got it Bad (and That Ain't Good) ” è un altro punto culminante.
Count Basie Orchestra
Per molti, la Count Basie Orchestra, con il suo suono intriso di vibrato e profondo swing, è la quintessenza della big band del jazz. Basie aveva suonato il piano con i Blue Devils di Walter Page e l'orchestra di Bennie Moten - due importanti prime band swing - prima di formare il suo gruppo con sede in Kansas dai resti di quest'ultimo, dopo la prematura morte di Moten nel 1935. La sua band a metà degli anni '30 comprendeva musicisti come il sassofonista tenore Lester Young, il chitarrista Freddie Green, il batterista Jo Jones e i cantanti Helen Hume e Jimmy Rushing, e suonava in uno stile "jam session" di Kansas City, con assoli competitivi accompagnati da riff a base di accompagnamenti. Negli anni '50 Basie guidò quella che è conosciuta come la versione del "Secondo Testamento" della band. Ora utilizzando strutture complesse prese da arrangiatori esterni come Neal Hefti, Sammy Nestico e Quincy Jones, hanno sviluppato un suono istintivamente riconoscibile. Molti di questi arrangiamenti sono ancora oggi eseguiti da big band di tutto il mondo. L'Orchestra ha anche collaborato con cantanti durante questo periodo, tra cui Frank Sinatra, Ella Fitzgerald e Billy Eckstine. La band ha continuato a girare e registrare dopo la morte di Basie nel 1984, e dal 2013 è stata diretta dal trombettista Scotty Barnhart. Registrazione consigliata di Count Basie: The Atomic Mr. Basie Questo classico album da big band del 1958 contiene composizioni e arrangiamenti di Neal Hefti, brillantemente suonata dalla Count Basie Orchestra.
Benny Goodman
La musica swing era lo stile dominante del "pop" americano tra il 1935 e il 1946, e i leader di big band come Artie Shaw, Duke Ellington, Glenn Miller e Tommy Dorsey erano grandi star. Il virtuoso clarinettista Benny Goodman è stato soprannominato "il re dello swing", ed è stato uno dei leader più famosi durante questo periodo. Durante un periodo di segregazione razziale negli Stati Uniti, Goodman, figlio di immigrati ebrei Russi, guidò una delle prime band razzialmente integrate, assumendo gli afroamericani Teddy Wilson e Charlie Christian, che furono i pionieri della chitarra elettrica nel jazz negli anni '30. Uno dei suoi più grandi successi è stato "Sing, Sing Sing", un classico per big band, con assoli lunghi per clarinetto e batteria. Registrazione chiave di Benny Goodman: The Famous 1938 Carnegie Hall Jazz Concert Questo disco documenta la prima esibizione in assoluto di una band jazz nella famosa Carnegie Hall di New York.
Dizzy Gillespie
Dizzy Gillespie era un innovatore nello stile bebop degli anni '40, che si concentrava sul jazz per piccole formazioni, dopo il materiale probabilmente più populista dell'era swing. Ma il leggendario trombettista guidava anche una big band, che era molto influente, colmando il divario tra il suono rauco, i ballabili della musica swing e il futuristico movimento bebop che stava emergendo. Gillespie aveva suonato in big band come giovane sideman, inclusa una guidata dal cantante Billy Eckstine, e con talenti come Miles Davis, Charlie Parker, Sarah Vaughan e Dexter Gordon, tutti musicisti che avevano già avuto delle loro rispettive carriere come solisti. Sebbene il grande ensemble di Gillespie fosse relativamente di breve durata e non registrasse neanche lontanamente così prolificamente come le altre band di questa lista, ebbe una notevole influenza sul linguaggio del jazz moderno. Il "First Great Quintet" di Miles Davis, uno dei più famosi gruppi hard bop degli anni '50, ha preso parte del suo repertorio dalla Gillespie Big Band - Brani come "Two Bass Hit", "Salt Peanuts", "Woody'n You , "E Tadd's Delight "- con gli arrangiamenti ridotti per l'ensemble più piccolo. Il Modern Jazz Quartet, uno dei gruppi più popolari del movimento Cool jazz, è stato formato dalla sezione ritmica della band: John Lewis (piano), Milt Jackson (vibrafono), Ray Brown (contrabbasso) e Kenny Clarke (batteria) , anche se Brown è stato sostituito da Percy Heath. Gillespie è stato anche un pioniere nella creazione del jazz afro-cubano, e ha incluso questa influenza latina in molte delle sue classifiche di big band, come "Con Alma", "Manteca" e "Tin Tin Deo". Album Dizzy Gillespie Big Band consigliato: Birks Words - The Verve Big Band Sessions Queste registrazioni degli anni '50 mettono in risalto la tromba del leader su arrangiamenti eccellenti suonati da una band con grande swing. C'è una bella dose di umorismo su brani come "Hey Pete! Let’s Eat Mo’ Meat”.
Woody Herman e The Herd
Il clarinettista e sassofonista Woody Herman guidò un ensemble a metà degli anni '30 noto come "The Band That Plays The Blues", prima di avere un successo con "Woodchopper's Ball" nel 1939, che vendette cinque milioni di copie. Quando il bebop emerse negli anni '40, Herman abbracciò la nuova musica, ingaggiando Dizzy Gillespie per scrivere alcuni arrangiamenti per la sua prima big band, che chiamò The First Herd. Herman ha anche sperimentato con la musica classica e ha incaricato Igor Stravinsky di scrivere Ebony Concerto che vede una parte di clarinetto impegnativa per il leader da esibire alla Carnegie Hall nel 1946. L'edizione più amata di Herman della band è stata The Second Herd, che ha formato nel 1947. L'ensemble era anche conosciuto come The Four Brothers band, un epiteto preso dal titolo di un brano di Jimmy Giuffre che presentava la sua famosa sezione di sassofoni composta da Zoot Sims, Serge Chaloff, Herbie Steward e Stan Getz. Tutti e quattro sono stati fortemente influenzati dallo stile fresco e leggero del sassofono tenore di Lester Young, alunno di Basie. Herman guidò un Third Herd dal 1950 al 56 e continuò a girare e registrare con varie edizioni della sua big band fino alla sua morte nel 1987. Assunse un cast rotante di giovani musicisti di talento e assunse l'influenza del rock 'n' roll, dimostrando il suo desiderio sempre presente di adattarsi alle nuove tendenze. Album di Woody Herman consigliato: Blowin 'Up a Storm! The Columbia Years 1945-47 Questa compilation include alcune delle registrazioni più importanti di Herman, come Ebony Concerto di Stravinsky, e "Four Brothers", la famosa sezione di sassofono suonata da The Second Herd.
Buddy Rich Big Band
Buddy Rich era un bambino prodigio come batterista, cantante e ballerino di tip tap, prima di iniziare la carriera dietro la batteria con gruppi swing guidati da Artie Shaw, Tommy Dorsey e Bunny Berigan. Ha anche suonato in piccoli gruppi con Charlie Parker e Dizzy Gillespie, Ella Fitzgerald e Louis Armstrong e Lester Young. Dal 1966 ha guidato la sua big band nonostante il fatto che la popolarità delle orchestre jazz fosse diminuita dalla seconda guerra mondiale. La band comprendeva i migliori jazzisti e musicisti della West Coast, e gli arrangiamenti a tutto gas si sono concentrati fortemente sulla virtuosa batteria di Rich, con numerosi assoli. Nonostante la sua grande abilità come batterista, Rich non ha mai imparato a leggere la musica, quindi quando la band suonava un nuovo arrangiamento un altro batterista suonava per primo la parte, permettendo al direttore della band di impararla ad orecchio. Era famoso per il suo temperamento focoso e per essere un duro taskmaster con i suoi sidemen, come mostrato in una serie di famose registrazioni che furono segretamente fatte di lui mentre rimproverava i suoi musicisti su un tour bus negli anni '80. Album Buddy Rich consigliato: Swingin 'New Big Band Registrato nel 1966, contiene il famoso "West Side Story Medley" della band, una suite di arrangiamenti di canzoni del musical di Leonard Bernstein.
L'orchestra di Thad Jones e Mel Lewis
Vanguard Jazz Orchestra Il trombettista, compositore e arrangiatore Thad aveva suonato con la Count Basie Orchestra negli anni '50, contribuendo con assoli e arrangiamenti ad alcuni degli album più amati della band. Mel Lewis era un batterista che ha trascorso la sua carriera a Los Angeles ed era considerato una specie di grande specialista di ensemble, avendo lavorato con la Concert Jazz Band di Gerry Mulligan, l'Orchestra di Stan Kenton e Dek- Tette di Marty Paich. Con Lewis che ora vive a New York, la coppia ha fondato un'orchestra jazz nel 1965, concentrandosi su nuovo materiale avventuroso che era tuttavia profondamente radicato nella tradizione classica della big band. La band è stata ribattezzata Vanguard Jazz Orchestra e dopo la morte di Jones e Lewis continua a esibirsi ogni lunedì sera al Village Vanguard nel Greenwich Village di New York. Registrazione consigliata di Thad Jones: Presenting Thad Jones/Mel Lewis and the Jazz Orchestra Classifiche come "Three in One" e "Mean What You Say" sono estremamente impegnative e rimangono popolari tra le big band avanzate oggi.
Gil Evans
Gil Evans è meglio conosciuto per le sue collaborazioni con Miles Davis, con i suoi arrangiamenti sofisticati che brillano su album di ensemble più grandi come Birth of the Cool, Miles Ahead, Sketches of Spain e Porgy and Bess. Evans non ha guidato una big band in tournée con personale coerente nel modo in cui hanno fatto personaggi sgargianti come Duke Ellington e Count Basie, e ha fatto una vasta gamma di lavori freelance per altri artisti, ma il canadese ha registrato una serie di album sotto il suo proprio nome. Evans è considerato uno dei più grandi orchestratori jazz di tutti i tempi, e il suo stile di arrangiamento distintivo fa uso di strumenti non standard nella Big Band, come il corno francese e la tuba, oltre ad aver preso influenze da compositori classici impressionisti come Debussy e Ravel. Album di Gil Evans consigliato: The Individualism of Gil Evans Un cast impressionante compone la big band in questo album del 1964, tra cui Phil Woods, Wayne Shorter, Eric Dolphy e Thad Jones.
L'Orchestra Maria Schneider
Maria Schneider ha lavorato come copista e assistente per Gil Evans, prima di studiare con Bob Brookmeyer (ex trombonista, arrangiatore e direttore musicale per la Thad Jones - Mel Lewis Orchestra). Ha diretto il suo grande ensemble dall'inizio degli anni '90, con 18 dei migliori musicisti jazz contemporanei di New York, e in gran parte concentrandosi su musica originale evocativa del genere. Schneider ha aperto la strada al modello di crowdfunding, che le consente di raccogliere fondi per registrare costosi album di grandi gruppi in modo indipendente attraverso le prevendite online. Ha vinto un Grammy per la collaborazione della band nel 2016 con David Bowie, il singolo "Sue (Or In A Season of Crime)" e l'Orchestra continua a fare molti tour. Album consigliato dalla Maria Schneider Orchestra: Concert in the Garden Questo programma di musica originale, che mostra varie influenze latine, ha vinto un Grammy Award come miglior album nel 2005. Read the full article
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Panorama in blu
un progetto di In fact and in fiction in collaborazione con Gloria Pasotti e Mutty.
Gli olivi, per il loro andar torcendosi, sono a Cosimo vie comode e piane, piante pazienti e amiche, nella ruvida scorza (...) sebbene i rami grossi siano pochi per pianta e non ci sia gran varietà di movimenti. Su un fico, invece, stando attento che regga il peso, non si è mai finito di girare; Cosimo sta sotto il padiglione delle foglie, vede in mezzo alle nervature trasparire il sole, i frutti verdi gonfiare poco a poco, odora il latrice che geme nel collo dei peduncoli. Il fico ti fa suo, t’impregna del suo umore gommoso (...) poco dopo a Cosimo pareva di stare diventando fico lui stesso e, messo a disagio, se ne andava. Sul duro sorbo, o sul gelso da more, si sta bene; peccato siano rari. Così i noci (...) veden vo mio fratello perdersi in un vecchio noce sterminato, come in un palazzo di molti piani e innumerevoli stanze (...) d’andar a star lassù; tant’è la forza e la certezza che quell’albero mette a essere albero, l’ostinazione a essere pesante e duro, che egli s’esprime persino nelle foglie. Cosimo stava volentieri tra le ondulate foglie dei lecci (...) o anche desquamava la bianca corteccia dei platani, scoprendo strati di vecchio oro muffito. Amava anche i tronchi bugnati come ha l’olmo, che ai bitorzoli ricaccia getti teneri e ciuffi di foglie seghettate e di cartacee samare; ma è difficile muovercisi perché i rami vanno in su, esili e folti, lasciando poco varco. Nei boschi, preferiva faggi e querce: perché sul pino le impalcate vicinissime, non forti e tutte fitte di aghi, non lasciavano spazio né appiglio (...).
Da Il Barone rampante di Italo Calvino
L’ipotesi di Calvino nel Barone rampante di progettare Repubblica Arborea, una società nella natura, uno stato ideale fondato sugli alberi e abitato da uomini giusti, è forse una delle prospettive a cui più ci piace pensare nella costruzione di questo progetto.
Un “tempo condiviso” per raccontare paesaggi, osservare lo scenario che ci circonda in una dimensione diversa, attraverso una visione non dal punto di vista umano ma da quello di un albero che, come fosse un balcone si affaccia e vede tutto ciò che il mondo contiene, un mondo disposto a sua volta su tanti balconi che irregolarmente s’affacciano su un unico grande balcone che s’apre sul vuoto
dell’aria, sul davanzale che è la breve striscia di terra e di mare contro il grandissimo cielo.
Da Paesaggi di Calvino di Fabio Di Carlo
Il Barone rampante offre un esempio eclatante per costruire il nostro discorso, per immaginare un nuovo ambiente di relazione: una casa sopra gli alberi, in dialogo con lo spazio antropizzato ma in un’altra posizione, da una prospettiva diversa, che permette una lettura più ampia dei fenomeni e delle forme di vita che lo abitano.
Come dice Giuseppe Barbera nell’introduzione di Abbracciare gli alberi, “Milioni di anni fa siamo scesi dagli alberi, per passare gran parte del nostro tempo a tagliarli e bruciarli. Da diecimila anni abbiamo anche imparato a piantarli e coltivarli, ma lo abbiamo fatto in misura molto minore. E adesso che avremmo bisogno di loro per mantenere gli equilibri ecologici, ci accorgiamo che sono pochi e malcurati”.
La necessità di ritrovare un rapporto armonico con il mondo naturale è diventata un’urgenza effettiva, che chiede di riconciliarsi con le altre forme di vita, abbandonando l’ottica del predominio e ripensando alla posizione dell’uomo all’interno del pianeta, come ospite rispettoso.
“Parlare di giardino è una necessità!” (G. Clément)
In Giardini, paesaggio e genio naturale di Gilles Clément, caposcuola e innovatore del pensiero contemporaneo sul rapporto tra umanità - natura - pianeta – essere animale, troviamo una delle definizioni più accorte di paesaggio, che meglio rispecchia l’impronta che il progetto Panorama in blu vorrebbe lasciare.
Paesaggio indica ciò che si trova alla portata del nostro sguardo. (...) Alla domanda “che cos’è il paesaggio?”, possiamo rispondere così: ciò che conserviamo nella memoria dopo aver smesso di guardare; ciò che conserviamo nella memoria
dopo aver smesso di esercitare i nostri sensi all’interno di uno spazio investito dal corpo. Non c’è scala nel paesaggio, esso può presentarsi nell’immenso e nel minuscolo, si presta a ogni tipo di materia - vivente o inerte - , a tutti
i luoghi, illimitati o privi di orizzonte. (...) Trattandosi di una percezione (e della sua trascrizione, per esempio in un dipinto: i primi paesaggisti sono pittori e non arredatori), il paesaggio sembra essenzialmente soggettivo. Viene letto attraverso un potente filtro, fatto di vissuto personale e di armatura culturale. Tali constatazioni fanno del paesaggio un oggetto irriducibile a una definizione universale. In teoria, per ogni luogo, vi sono tanti paesaggi quanti sono gli individui che lo interpretano. In realtà esistono situazioni di condivisione: quando per esempio la bellezza drammatica o serena di un paesaggio tocca allo stesso modo un gruppo di persone riunite nello stesso istante, sotto la stessa luce e di fronte allo stesso spettacolo, a condizione che tale gruppo condivida le stesse chiavi di lettura, la stessa cultura. Nessuno saprà mai quale emozione intima animi ciascun individuo del medesimo gruppo. E’ questo il volto irrimediabile nascosto del paesaggio.
Da Giardini, paesaggio e genio naturale di Gilles Clément
Il paesaggio, dunque, come esperienza visiva generata dal punto di vista dell’osservatore (e viceversa) è il concetto chiave che accompagna la nostra ricerca sul tema del rapporto tra ambiente e forme della sua rappresentazione. Un osservatore in movimento, che spostandosi nello spazio matura la propria visione sia di ciò che si trova fuori dal sé sia di ciò che si trova dentro e diviene in grado di scorgere una possibile simmetria, tra la natura e la sua espressione artistica.
Il camminare presuppone che ad ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e che pure qualcosa cambi in noi. Perciò gli antichi maestri della cerimonia
del tè decisero che per giungere al padiglione dove il tè sarà servito l’invitato percorra un sentiero, sosti su una panca, guardi gli alberi, attraversi un
cancello, si lavi le mani in un bacile scavato nella roccia, segua il cammino
tracciato dalle pietre lisce fino alla semplice capanna che è il padiglione del tè. [...] E’ limitando il numero di cose intorno a noi che ci si prepara ad accogliere l’idea di un mondo infinitamente più grande. L’universo è un equilibrio
di pieni e di vuoti.
Da I mille giardini di Italo Calvino
In Walkscapes Francesco Careri esprime la sua idea di camminare come strumento di trasformazione e percezione del paesaggio. Girovagare diviene una pratica estetica che comincia con il nomadismo dell’uomo primitivo spinto da un bisogno di sopravvivenza e continua con le differenti correnti artistiche come la Landscape Architecture, il Dada, il surrealismo, la Minimal Art e la Land Art, secondo le quali il camminare diventa un vero e proprio strumento del fare arte.
L’atto di attraversare lo spazio nasce dal bisogno naturale di muoversi per reperire cibo e le informazioni necessarie alla propria sopravvivenza. Ma una volta soddisfatte le esigenze primarie il camminare si è trasformato in forma simbolica che ha permesso all’uomo di abitare il mondo. Modificando i significati dello spazio attraversato, il percorso è stato la prima azione estetica che ha penetrato i territori del caos costruendovi un nuovo ordine sul quale si è sviluppata l’architettura degli oggetti situati. Il camminare è un’arte che porta in grembo il menhir, la scultura, l’architettura e il paesaggio. Da questa semplice azione si sono sviluppate le più importanti relazioni che l’uomo intesse con il territorio.
Da Walkscapes. Camminare come pratica estetica di Francesco Careri.
Panorama in Blu è, infine, un tentativo di re-invenzione di paesaggi, come similmente avviene nella scrittura musicale: attraverso la composizione, l’ingrandimento e la moltiplicazione di sparsi elementi di memoria vengono a crearsi nuovi paesaggi che suonano come nuove armonie.
PANORAMA IN BLU un progetto di In fact and in fiction in collaborazione con Gloria Pasotti, Mutty e la preziosa partecipazione di Daria Magagnotti.
5 settembre 2020
MUTTY - Castiglione delle Stiviere :-)
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