#Il mulino della fortuna
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Mariana Tudorache. Insieme a lei parliamo di Mihai Eminescu, Ioan Slavici e Florence Macleod Harper. Intervista alla traduttrice
Mariana Tudorache Insieme a lei parliamo di Mihai Eminescu, Ioan Slavici e Florence Macleod Harper Intervista alla traduttrice di Giuseppe Iannozzi Mariana Tudorache ha tradotto tre libri di grande pregio letterario e poetico: “Amando in segreto” di Mihai Eminescu, “Il mulino della fortuna” di Ioan Slavici e “Addio Russia! Una testimone della rivoluzione del 1917” di Florence Macleod Harper.…
#Addio Russia! Una testimone della rivoluzione del 1917#Amando in segreto#Florence Macleod Harper#Giuseppe Iannozzi#Il mulino della fortuna#intervista alla traduttrice#Ioan Slavici#LdM Press#Lorenzo de’ Medici Press#Mariana Tudorache#Mihai Eminescu
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L'amore ai tempi dei lupi
– Sono nato nel 1926, un tempo su queste colline che vedi di fronte a te c’erano dei carbonai, estraevano il carbone necessario per far partire i treni – mi disse poco dopo essersi seduto accanto a me.
Mi aveva chiesto di potersi accomodare su una di quelle panchine della villetta comunale, dove andavo spesso a leggere un libro, perché lì giungeva l’ultimo raggio di sole di quella giornata di ottobre. Oggi non ricordo il suo volto, né so se l’ho mai più incontrato. Cominciò a raccontare senza che gli avessi chiesto nulla, era spinto da un’urgenza comunicativa e non me la sentii di oppormi.
– Devi sapere che sulle colline arrivarono dei lupi, forse scappati dal freddo dell’Abruzzo. Un giorno un carbonaio trovò un piccolo lupetto ferito a una gamba, che cercava di riscaldarsi sulla cenere ancora tiepida, e che era residuo del fuoco che gli uomini, i carbonai, avevano acceso la sera precedente. L’uomo si prese cura del lupetto, lo accudì, gli dava da mangiare, lo metteva a dormire al riparo, finché guarì dalla ferita. La sua natura lo riportò dai suoi simili un giorno che sentì un ululato provenire da un punto imprecisato del bosco.
Non sapevo perché avesse deciso di parlarmi di quella vicenda del lupetto, non sapevo nemmeno quanto di leggendario ci fosse nel suo racconto. Il tono con cui raccontava era così privo di enfasi, ma al tempo stesso così partecipato, che restavo ad ascoltarlo con piacere.
– L’anno successivo quello stesso carbonaio aveva posto della carne all’interno del suo accampamento di fortuna. Una sera, rientrando dal lavoro, trovò sei lupi affamati che gli stavano sottraendo il cibo. Si sentì spacciato. Sbagliava. Il capo – branco era il lupo che egli aveva salvato l’anno precedente. Con una serie di ululati strani, il lupo riconoscente quietò i suoi compari, che continuarono a mangiare la carne senza avventarsi sull’uomo. Il lupo ha buona memoria, a quanto pare.
Anche “l’uomo con gli occhi del 1926” ne aveva, a giudicare da quel che mi raccontava. Non indagai sulla veridicità della storia, del resto lui si limitava a riferirmela, e se anche avesse aggiunto elementi romanzeschi, che ci sarebbe stato poi di tanto grave?
Continuò in una sorta di flusso di coscienza ininterrotto, come spesso accade a coloro che hanno una certa età e che ricordano episodi lontani nel tempo in ogni minimo dettaglio.
Mi raccontò anche la sua personale storia di guerra, che in quanto personale è inevitabilmente soggettiva, condizionata, limitata, ma non per questo meno reale.
Dove oggi sorge un campo di calcetto, all’epoca della seconda guerra mondiale c’erano, almeno stando a quel che mi raccontò l’uomo, quattro cannoni della contraerea tedesca.
– I tedeschi, quelli che stavano nella mia zona, avevano un buon rapporto con la popolazione. Mussolini aveva emanato una legge per razionare il grano, quello in eccesso doveva essere portato all’ammasso.
Sui tedeschi e su Mussolini avevo da ridire, strabuzzai gli occhi e lui colse il mio sgomento, ma poi capii che lui non era un nostalgico fascista, che non ignorava, adesso, quel che il nazismo e il fascismo hanno rappresentato. Solo che “quei” tedeschi, quelli della sua minima e privata storia, non erano orchi, almeno a lui non apparvero tali.
– Gli americani, che erano giunti per liberarci, bombardarono senza stare troppo a distinguere i veri obiettivi delle bombe. Un giorno vidi a 40 – 50 metri da me cadere qualcosa dal cielo, pensavo fossero pacchi di pane o comunque cibo, invece erano bombe, ed è solo per un miracolo che sono qui a raccontarti questa storia. C’era un mulino, le madri di famiglia andavano lì a prendere il pane per sfamare i figli. Un giorno un bombardiere americano sganciò una bomba uccidendo una settantina di persone.
Ascoltavo ripromettendomi di indagare più a fondo sulle vicende, anche se temevo (cosa che infatti accadde) che di lì a pochi giorni mi sarei dimenticato di questo proposito, preso dalle mie questioni personali.
– Poi c’erano i tedeschi cattivi, lo so. C’erano anche tanti italiani che saltarono da un carro all’altro non appena si presentava l’occasione, gli apparati che avrebbero dovuto proteggerci erano tutti corrotti.
Parlava, ripeto, senza retorica, nonostante stesse descrivendo avvenimenti enormi. Pensavo a un uomo di oggi, mediamente inserito, né guerrafondaio né troppo impegnato politicamente, che all’improvviso si trova in mezzo a eserciti, bombe, armistizi, razzie, soprusi, stupri. Per quanti sforzi potessi fare, però, il mio pensiero non poteva neanche minimamente paragonarsi al suo ricordo. Lui aveva vissuto certe situazioni, io no, e questo scava un abisso.Lo ascoltavo, ogni tanto facevo qualche domanda ma lasciavo che fosse lui, se voleva, a raccontare, perché non avevo intenzione di risvegliare ricordi terribili oltre a quelli che già aveva.
Poi, improvvisamente, dopo un po’, cambiò discorso. Prese a parlarmi della sua vita sentimentale, di come aveva conosciuto sua moglie, della sua vita da esule all’estero, per lavoro, dove aveva incontrato italiani disonesti che l’avevano raggirato.
– L’uomo e la donna sono piccole colture selvagge, destinate a rimanere tali fino a che non s’incontrano per germogliare altri fiori. Mia moglie l’ho conosciuta in un pomeriggio del 1950. C’era il sole, come oggi. La vidi seduta di fronte a una bottega. Chiesi a un mio amico di accompagnarmi, mi vergognavo di dirle che mi ero innamorato.
Sorrisi, ripensando a quante volte mi ero sentito stupido nell’infatuarmi così, al primo sguardo. Ebbi la conferma che questo genere di follie erano sempre accadute.
– La mamma della ragazza mi disse che non era il caso. Poi, però, ci frequentammo, ci innamorammo l’uno dell’altro e dalla nostra unione nacquero dei figli. Le piccole colture selvagge avevano dato frutti.
L’uomo con gli occhi del 1926 mi aveva raccontato tutto questo, quel giorno, e ancora oggi non so perché.
– Tu ce l’hai una ragazza? – mi chiese poi alla fine del racconto.
– No – gli risposi sorridendo.
– Quanti anni hai?
– Trentadue.
– Ti facevo più giovane! Ti devi sbrigare, devi trovare una ragazza! – mi disse colpendomi affettuosamente sulla spalla sinistra.
Passeggio ancora per le strade del mio paese. Mi siedo spesso su quella panchina dove due anni fa “l’uomo con gli occhi del 1926” mi affiancò. Non sempre c’è il sole. Quasi mai c’è compagnia.
Oggi pomeriggio ho ripensato a quel giorno, alla sua pacca sulla spalla, alla storia delle “piccole colture selvagge”, alla bottega aperta in una domenica pomeriggio del 1950.
La strada principale del mio paese è illuminata a festa.Fa freddo. Pochi temerari girano per le strade. Ogni tanto passa una coppia. Allora può accadere che mi torni alla mente quella domanda.
– Tu ce l’hai una ragazza?
E’ strano come ciò che un tempo ti avrebbe ferito, solo due anni dopo ti fa sorridere. Non credo che la “maturità” in tutto questo c’entri qualcosa. Piuttosto penso che si tratti di “oblio”. Per essere più preciso: non penso più. Sorrido.
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“Mia mamma faceva la cubista, mi ha avuta a ventuno anni. Entrambi i miei genitori hanno sofferto molto, per la tossicodipendenza.
Sono stata anni a tentare di sistemare una cosa che non è sistemabile, non da una ragazzina.
Io ho la terza media e per dirlo ci ho messo anni: mi vergognavo come una ladra. Rimpiango moltissimo il fatto di essere ignorante.
Potrei fare un film dai miei otto anni ai ventitrè, con tutti i personaggi della mia vita: anche solo sul pianerottolo c’erano spacciatori, gente sessualmente promiscua, alcolizzati, la mia famiglia che non era quella del Mulino bianco. Ma tutto il quartiere aveva volti parecchio coloriti: osservandoli è come se avessi studiato, ho amato tante di quelle persone. Mi hanno dato la possibilità di vedere la vita con serenità: tutte le cose si risolvono e anche quando soffri è una fortuna, perché stai vivendo.
Considero il mio passato la mia fortuna: mi ha dato la possibilità di vedere la vita cruda fin dall’inizio e non l’ho subita.”
#Elodie ❤️
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Ci sono alcune famiglie che sono proprio belle da guardare perché sono ben assortite ed equilibrate. E no, non sto parlando della famiglia della mulino bianco o quella nei film americani. Ho appurato con i miei occhi che esistono per davvero e che abitano il pianeta Terra proprio come noi! E credo anche che sia una gran fortuna farne parte.
Buongiorno 🌼
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DALLA PAROLA DEL GIORNO
Gesù disse ai suoi discepoli: «È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi! Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: "Sono pentito", tu gli perdonerai». Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe». (Lc 17,1-6)
Come vivere questa Parola?
La fallibilità è insita nell’umanità e la nostra natura è contraddistinta dalle “cadute”. La fermezza del vangelo, tuttavia, non è rivolta principalmente alle possibilità di cadere, ma alla conseguenza che spesso scaturisce dalle nostre decisioni errate che rischiano di ostacolare il cammino. Il termine scandalo, infatti, significa letteralmente “ostacolo”, “pietra d’inciampo”. Le scelte sbagliate, infatti, possono finire per essere impedimento alla felicità dei nostri fratelli. Possiamo rallentare, frenare o addirittura bloccare la ricerca di senso di chi ci vive accanto. La nostra cattiva testimonianza, oppure, la durezza delle nostre parole, gli inganni, i preconcetti possono diventare “ostacolo”, finendo per imprigionare e bloccare. Differenti e numerosi possono essere i casi, ma è sufficiente riflettere sulle reali conseguenze di certe opzioni per comprendere come lo “scandalo” sia sempre in agguato. Gesù sintetizza il concetto in questo modo: «È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!». Per fortuna, tuttavia, afferma anche che occorre essere sempre disponibili al perdono dell’altro che commette peccato, probabilmente perché lo scandalo maggiore, è esattamente la carenza di perdono. Siamo sempre molto attenti a ciò che si sbaglia, finendo per tralasciare la mancanza di misericordia sia chi commette l’errore, e sia chi lo ha subito.
La voce di un teologo
Per eliminare gli scandali Dio dovrebbe togliere la libertà agli uomini. L'inevitabilità dello scandalo corrisponde alla necessità della croce, con cui chi ama porta su di sé il male dell'amato. Il cristiano non è un perfetto e la salvezza è un esercizio costante di misericordia. La comunità cristiana non è un luogo dove non si pecca, ma dove si perdona. (Lino Pedron)
(Commento di don Maurizio Lollobrigida SDB)
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Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello | Riassunto e analisi per capitol...
Mattia Pascal vive a Miragno, dove il padre, intraprendente mercante che ha fatto fortuna in modo misterioso, ha lasciato in eredità alla sua famiglia (composta da sua moglie e i loro due figli, Mattia e Roberto) diversi possedimenti, tra cui un podere con mulino; questi averi sono gestiti da Batta Malagna, un disonesto amministratore soprannominato “la talpa” che lentamente li sta prosciugando (approfittandosi dell’inettitudine della madre di Mattia). Mattia racconta brevemente della sua infanzia, passata tra le lezioni del modesto istruttore privato Pinzone e le visite della severissima zia Scolastica, che cerca inutilmente di convincere la madre di Mattia a risposarsi con Gerolamo Pomino, padre di un grande amico di Mattia e Roberto, anch’esso chiamato Gerolamo Pomino (II).
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Libri per l’estate
Non potevamo certo lasciarvi accaldati per l’afa estiva e assetati di libri da gustare in vacanza! Ecco dunque una puntata fresca fresca di questa ormai consolidata rubrica di consigli letterari.
Iniziamo con due classici.
Processi verbali di Federico De Roberto: estremamente interessante l’esperimento di realismo verista di queste novelline (come le chiama l’autore nella sua concisa e lucidissima prefazione), che ricordano il Verga del ciclo dei vinti (folgorante in questo senso Il rosario), con il ricorso ai proverbi popolari (tanto va la secchia al pozzo, finché si rompe; carcere, malattia, necessità, si conosce l’amistà), con squarci di storia (il ’48 a Napoli e la rivolta di Bronte ne I vecchi), ma anche Pirandello e Guy de Maupassant, per non parlare di Lupetto, che sembra addirittura anticipare Raymond Carver. Esilarante e boccaccesco, un autentico gioiellino, il racconto di chiusura Il viaggio a San Vito.
Il denaro di Émile Zola: un’analisi acuta e quanto mai attuale del mondo degli affari e della Borsa. Imperi economici acquisiti e persi in un sol giorno, i re della finanza ossequiati e riveriti, i falliti derisi e respinti. In una sorta di eterno ritorno le azioni umane si riproducono ciclicamente senza lasciare l’insegnamento necessario a evitare il ripetersi degli errori. Così questo affresco della Borsa francese durante il Secondo impero ricorda le recenti bolle finanziarie che hanno causato la rovina di migliaia di piccoli risparmiatori e il crollo dei mutui fondiari. A manovrare i movimenti di una banca fantasma nata grazie alla complicità di diversi prestanome è il visionario Saccard, a cui il lettore (e con lui diverse figure femminili e un’infinita serie di dipendenti del gioco) si affeziona nonostante tutto e di cui segue le mosse con apprensione e ininterrotta curiosità per quasi 600 pagine che scorrono veloci come un fiume in piena, il fiume del denaro (l’argent del titolo) che passa per le mani di affaristi e speculatori, ma spesso solo in forma virtuale. La cosa più sorprendente è che lo spunto per la trama è tratto da un episodio realmente accaduto: la parabola del banchiere Paul Eugène Bontoux e della banca Union Générale fallita nel 1882. Se il denaro è il tema principale, questo romanzo appartiene pur sempre al ciclo dei Rougon-Macquart ed esplora le tare genetiche che, nella visione deterministica del naturalismo francese, minano la famiglia e ne spiegano i comportamenti. Victor, il figlio perverso e deforme del protagonista, ricorda ‘Coniglio mannaro’, uno degli ultimi discententi dell’indimenticabile famiglia Scacerni de Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli. E non poteva mancare neppure il tema dell’antisemimitismo, caro all’autore del J’accuse. Insomma un piatto completo, per gli amanti della buona letteratura.
Non possiamo tralasciare l’ultimo Simenon pubblicato da Adelphi, Il dottor Bergelon: “Qualcosa si era guastato, senza che lui riuscisse a capire cosa”. La verità è che un fatto increscioso, una malaugurata deviazione dalla consueta routine ha avvelenato la pace interiore del protagonista al punto da fargli mettere in discussione l’intera sua esistenza. Affrontare Simenon è sempre come scendere negli abissi più profondi dell’animo umano.
Per chi avesse la fortuna di non aver mai letto Manuel Vázquez Montalbán, sono stati appena ristampati Le terme e Il labirinto greco in cui l’investigatore Pepe Carvalho esprime al meglio le sue doti culinarie e il suo fiuto per le indagini, il tutto in uno stile degno del grande Chandler.
Uno degli autori prediletti di Andrea G. Pinketts, Stuart Kaminsky, professore di storia e critica cinematografica alla Northwestern University di Evanstone, Illinois, farcisce con le proprie competenze letterarie e cinematografiche i suoi gialli hard boiled, per cui Bela Lugosi e William Faulkner diventano clienti del detective privato Toby Peters (“affettuosa parodia dell’investigatore della scuola dei duri”, da Hardboiled blues di Gian Franco Orsi) in due casi che si intrecciano in Never cross a Vampire. Gli amanti del noir potranno cogliere in queste pagine spunti per rivedere vecchi film o scoprirne di nuovi e introvabili. Così anche per Una pallottola per Errol Flynn, Il caso Howard Hughes e Follie di Hollywood, ma nei suoi gialli troviamo molte altre star, come Mae West, Gary Cooper, Clark Gable, Buster Keaton, Judy Garland e Raymond Chandler: pare proprio che il mondo del cinema sia una inesauribile fonte di ispirazione.
Fedele all’idea che uno scrittore dovrebbe trattare di ciò che conosce, nel creare i personaggi Kaminsky non esita a inserire cenni autobiografici, come le radici russe per l’ispettore Rostnikov (Morte di un dissidente: “Le sue armi: una falce, un martello e una bottiglia di vodka”), e la fede ebraica per il poliziotto Abe Lieberman, che opera in una Chicago quanto mai violenta e movimentata (La follia di Lieberman), città d’origine dello scrittore. Infine il detective Lew Fonesca, trasferitosi da Chicago (Midnight Pass) nell’atmosfera assolata e apparentemente pacifica della Florida, specializzato nella ricerca di persone scomparse (Cattive intenzioni, Parole al vento). Notevoli le collaborazioni con il regista Don Siegel per Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo, e con Sergio Leone per i dialoghi di C’era una volta in America. Insomma uno scrittore prolifico (possiamo contare una sessantina di titoli) per amanti del cinema, della letteratura e di uno stile ironico e versatile.
Un altro libro ambientato nella Hollywood degli anni d’oro: Perché corre Sammy?, di Budd Schulberg, Oscar alla migliore sceneggiatura originale per Fronte del porto, sceneggiatore di Il paradiso dei barbari con un esordiente Peter Falk e soggettista di Un volto nella folla di Elia Kazan e di Il colosso d’argilla con Humphrey Bogart.
“Quello che mi faceva infuriare era che Sammy era la persona più scaltra e più ottusa che avessi mai conosciuto. Era dotato di un’intelligenza che era in grado di impiegare unicamente a vantaggio di Sammy Glick. È un tipo di intelligenza che comporta una certa ottusità: una specie di sterminata zona d’ombra con un solo raggio di luce diritto davanti a se stessi”.
Ma chi è Sammy? Un arrivista, un arrampicatore sociale, con meno scrupoli che talento, di un cinismo disarmante, egoista e avido, anche le sue apparenti qualità sono solo difetti astutamente mascherati: “un piccolo fattorino ebreo sempre di corsa che diventa un potente produttore, sacrificando ogni cosa d’umano alla sua assetata ambizione”. Consigliato da Kurt Vonnegut (a sua volta scrittore ammirato da Umberto Eco), che addirittura lo paragona a Francis Scott Fitzgerald, è una lettura scorrevole e moderna che ci lascia agganciati al mistero di questo personaggio odioso e intraprendente fino all’ultima pagina. C’è, naturalmente, molto di autobiografico nelle opere di Schulberg: “Figlio del tycoon della Paramount, e lui stesso, per un certo tempo, prediletto di Hollywood... ma anche comunista inciampato nelle reti del Mccarthismo, spesso e volentieri elesse il mondo di Hollywood quale osservatorio ideale... I disincantati si concentra su come muore, in America, una leggenda. Uno scrittore grande e dimenticato, che ha avuto tutto, ed è stato travolto assieme a un mondo lussureggiante dalla crisi del ’29, si lascia umiliare e consumare nel corpo e nella dignità in un ultimo infimo lavoro da sceneggiatore di filmetti”. In questo caso l’episodio autobiografico si riferisce all’incontro di Schulberg con Scott Fitzgerald, chiamato dagli studios a collaborare alla revisione di una sua sceneggiatura.
Il 22 giugno 2022 potrete assistere alla presentazione del romanzo di Manuela Cattaneo della Volta e Livio Sposito, Un cuore al buio: Kafka, che si terrà presso la biblioteca Valvassori Peroni. Il libro racconta la “storia e la vita delle cinque donne che hanno amato Franz Kafka”.
Buone vacanze da tutto lo staff delle biblioteche di Milano!
#federico de roberto#Emile Zola#Riccardo Bacchelli#Georges Simenon#manuel vazquez montalban#pepe carvalho#stuart kaminsky#andrea pincketts#budd schulberg#elia kazan
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NANDA VIGO: “GIOVANI E RIVOLUZIONARI”
Il titolo può trarre in inganno, poiché leggendolo si potrebbe pensare ad un saggio storico della casa editrice Il Mulino o magari di Laterza… Invece no, non si tratta di questo. “Giovani e rivoluzioni” (Ed. “Mimesis/le parole dell’arte”) è uno straordinario volumetto di pettegolezzi artistici e dico subito che uso il termine pettegolezzi in senso assolutamente positivo. Nanda Vigo, compagna di vita di Piero Manzoni (sì proprio l’autore della “merda d’artista”), è stata protagonista un po’ defilata della scena artistica a italiana tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Designer stravagante e “psichedelica”, conobbe e fu in contatto con tutti i più grandi artisti italiani dell’epoca e questo gustoso diario racconta degli incontri e degli scontri, delle consonanze e delle dissonanze, che l’autrice ebbe con loro. Potremmo aggiungere che il diario tratta anche “del personale e del politico”, come si sarebbe detto allora, e rende molto bene l’idea di cosa accadde tra Brera e New York, o forse sarebbe meglio dire tra il Bar Jamaica e il MoMa. Nanda Vigo ci racconta particolari gustosi e anche un po’ pruriginosi di un mondo che la maggior parte di noi ha conosciuto solo dai libri o dalle esposizione delle opere e che, raccontato da una protagonista, sembra essere molto meno leggendario e molto più godibile. Nel diario capita di leggere anche di persone vicine ai novaresi (sempre sonnacchiosi e indifferenti); è il caso dello spietato giudizio su Antonio Calderara che Nanda Vigo non esita a definire un frustrato. Per fortuna qualcun altro, vicino anche alla nostra città, come fu Guy Harlof risulta essere affabile e ospitale (aveva preso casa in Via dei Fiori Chiari a due passi da Brera e dal Bar Jamaica e spesso le serate degli artisti terminavano a casa sua). Chi altri avrebbe potuto ci avrebbe potuto svelare la passione di Manzoni per il sesso orale o raccontarci di Dada Maino nuda sdraiata su un letto che si finge Nefertiti per sedurre un ragazzo un po’ sbronzo? Ma naturalmente il fulcro di tutta la sua diaristica non che poteva che essere l’amato Piero, anzi “il” Piero, con l’articolo determinativo che caratterizza sempre il gergo milanese. Ma è proprio questo articolo che ci fa comprendere la prossimità di Nanda Vigo con i grandi dell’arte italiana del dopoguerra; insieme a Piero Manzoni ecco il Lucio (Fontana), con il quale la Vigo intrattenne anche rapporti di lavoro, il Giò (Ponti), che lavorò intensamente con lei, il Gianni (Colombo), il Bruno (Munari), ma anche l’Enzo (Biagi), il Gualtiero (Marchesi), il Nanni (Balestrini), l’Antonio (Porta) e poi ancora il Gian Maria (Volonté), il Franco (Maria Ricci), la Mariangela (Melato) il Nanni (Svampa) e si potrebbe continuare. Ai pettegolezzi gustosi si affianca una narrazione nostalgica dei tempi andati e indimenticabili, anni di creatività, di appassionato dibattito politico, giocato tutto negli ambienti della sinistra milanese. Oggi i giovani del titolo sono diventati vecchi o se ne sono andati e le “rivoluzioni” non si possono nemmeno immaginare, ma tutto questo patrimonio artistico, ideale e politico ci è stato lasciato come eredità spirituale. Se mi è concessa una riflessione digressiva, e forse poco pertinente, chissà quale patrimonio ci lasceranno la Meloni e Salvini…
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E a proposito di duetti, che mi dici di quelli non dico "forzati" (Ermal non è certo il tipo che si farebbe obbligare) ma come minimo "di convenienza" escogitati dalla Mescal e palesemente non frutto di un'idea degli artisti coinvolti... mi viene in mente proprio quello con Bugo. Era chiaro che uno come Bugo avesse bisogno d'essere accostato a un nome più grande (quello di Ermal) per avere più chance di successo, cosa che non ha funzionato, alla fine
Perché il pubblico non è mica scemo, lo capisce quando una collaborazione è studiata unicamente per quegli scopi strategici. Ma l'unione delle loro voci? E la chimica umana, che a parer mio dovrebbe essere una condizione necessaria? Dove le mettiamo quelle cose lì in un duetto come quello con Bugo? Dopo la bellezza e la perfezione della canzone Metamoro gli standard per i duetti di Ermal si sono alzati, ci sta essere un po' esigenti, no?
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I duetti forzati ci sono da sempre (purtroppo o per fortuna).
Faccio un esempio pratico che tiro spesso in ballo: il duetto di Annalisa e Raige.
Durante un'intervista hanno raccontato come sono arrivati alla decisione di fare quella canzone insieme. Ricordo perfettamente che Raige raccontò di voler dare una nuova veste a un pezzo che aveva già scritto e di volerlo fare insieme a una voce femminile. Ha pensato subito ad Annalisa, artista che lui già stimava, e durante un festival estivo le ha parlato di quest'idea. Lei è stata subito entusiasta e hanno deciso di procedere.
A quel punto io ricordo perfettamente che Raige disse che aveva giocato a loro favore anche il fatto di essere sotto la stessa casa discografica, che quindi li aveva supportati da subito.
Questo per dire che se ad esempio Annalisa fosse stata con la Warner (la casa di cui facevano parte entrambi all'epoca) e Raige invece fosse stato con un etichetta indipendente (come ora), probabilmente il duetto non si sarebbe mai fatto perché la Warner avrebbe preferito fare duettare Annalisa con un artista della stessa casa o almeno di una casa a pari livello.
Tutto questo per dire che le case discografiche incidono molto sulle decisioni. Non sempre e non del tutto, ovviamente.
Ermal ha sempre detto di essere molto libero di decidere, che la Mescal gli ha sempre lasciato molta libertà e io di questo ne sono fermamente convinta.
Ma la Mescal è una casa discografica e come tale ogni tanto deve anche tirare acqua al suo mulino. Quindi è ovvio che cerchi di spingere artisti della propria casa a duettare.
Gli artisti diventano una sorta di proprietà della casa discografica - e infatti ricordo che dopo il duetto metamoro negli album di entrambi c'era scritto, esempio: "Ermal Meta appare per gentile concessione di Mescal", come se la Mescal avesse fatto un favore a Ermal concedendogli di fare quel duetto - e quindi è anche normale che la decisione finale su progetti e duetti degli artisti sia della casa discografica.
Parlando nello specifico del duetto con Bugo, a me in realtà non è dispiaciuto (nonostante non mi piaccia particolarmente Bugo), ma non ti nascondo che non è una di quelle canzoni che ascolto volutamente. Cioè se mi capita in riproduzione casuale va bene, ma non la vado a cercare di proposito.
Sicuramente altri duetti sono più riusciti e come dici tu, dopo il duetto con Fabrizio (o anche solo con Elisa, che secondo me è tra i migliori), ci si aspetta sempre qualcosa di qualità molto alta. Non che i duetti successivi siano stati di qualità bassa eh, però insomma ci siamo capiti 😂
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Grazie della bella e lunga risposta. Qualcuno potrebbe dire che quello della famiglia è un cliché, ma non la penso cosí. Esistono famiglie tossiche, mica la vita è il mulino bianco, ma fortunatamente sono una minoranza. Nella maggior parte dei casi, sí, la famiglia è davvero l’unica cosa per cui vale la pena sacrificarsi, anche perché sai che anche loro farebbero lo stesso per te.
Passa una splendida giornata anche tu! ❤️
Hai ragione, spesso è un cliché, ma io sono stata molto fortunata. Per quanto sia, spesso, snervante avere due fratelli maggiori, so con certezza che mi guardano le spalle come due guardiani ahaha per quanto possano risultare un po' opprimenti due genitori severi, mi hanno cresciuta con amore, passione e tolleranza. È grazie a loro se oggi so distinguere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato.
Ho avuto anche la prova che loro per me darebbero la vita perché quando stavo annegando c'erano soltanto loro a porgermi la mano per tirarmi su rischiando di cadere nel mare profondo in cui mi ero cacciata.
Mi hanno fatto amare la vita.
E come hai detto tu, c'è chi purtroppo questa corazza della famiglia non ce l'ha quindi non è proprio un cliché, è solo una gran fortuna!
Sei gentile e ti auguro tanta serenità 🥰🌼
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BREVE STORIA DELLA LETTERATURA
(Sinossi rapida di alcuni fra i più importanti libri di tutti i tempi, ad uso di studenti di ogni ordine e grado)
- Un vecchio fa tutto in sei giorni, poi si riposa. Ma non toccategli la frutta.
- Un giovane vince una mela e così crepa un sacco di gente.
- Un perdigiorno va a zonzo e a donne mentre sua moglie tesse.
- Un tale si fa dalla Turchia al Lazio con un vecchietto sulle spalle, poi aspetta il proprio Turno.
- Sono finiti i tavoli quadrati, così ne usano uno rotondo.
- Un tizio sbaglia strada. Ed è un inferno.
- Laura non ci sta.
- Durante la peste, tre uomini e sette donne se la spassano.
- A Canterbury si chiacchiera.
- Un principe può fare il cazzo che gli pare.
- Una tizia non sta zitta per mille notti di fila e il re non ne può più.
- La tipa non lo caga e allora lui spacca tutto.
- Liberano Gerusalemme, senza sapere che tanto lì ci saranno casini per altri mille anni.
- Un tale sbrocca e non sa più il verbo essere.
- Un idiota fa a botte con un mulino.
- Due ragazzi si innamorano e così muore mezzo Veneto.
- Un tizio gira un casino e poi torna a casa.
- Un tale ha un'idea inFaust.
- Mettere insieme pezzi di morti non è una grande idea.
- Nonostante tutto, si sposano.
- Non ci sta nemmeno Silvia.
- A Natale cantano e così un tizio passa la notte in bianco.
- Una balena mangia la gamba a uno, poi ha ancora fame e si mangia anche il resto.
- Una bambina si cala una pastiglietta, così parla ai conigli.
- Prima c'è la guerra e poi c'è la pace.
- Prima c'è un delitto e poi c'è un castigo.
- Prima uno è buono e poi è cattivo.
- Un anemico ha bisogno di sangue e allora pianta un casino.
- Uno è bello, ma ha un quadro brutto in soffitta.
- Un bambino fa la bestia.
- A Venezia si muore.
- Un tale mangia pesante e il giorno dopo si sente uno scarafaggio.
- Un tipo cerca il tempo perduto e ne fa perdere un sacco pure a noi.
- Ulisse si ritrova a Dublino. E sua moglie sempre lì a tessere.
- Un tizio non ha voglia di far niente, così si inventa una religione.
- Si muore anche a Orano.
- Un fratello non si fa i cazzi suoi.
- Un principino rompe il cazzo a tutti, poi per fortuna muore.
- Bastava usare un'aquila.
- Le mosche portano sfiga.
- Un imperatore fa lo sborone.
- Un tale sale su un albero e non sa più come scendere.
- C'è gente che sta sola per un secolo, ma non è sola.
- Nei conventi si muore male.
- Un pagliaccio non fa ridere, così lo crepano di mazzate.
- Prima non ci vedono, poi ci vedono di nuovo.
- Uno sfregiato ha più culo che anima.
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Ogni bambino del nostro quartiere sogna di poter incontrare durante il sonno il "visitatore della notte". Non esiste alcun dubbio, è un personaggio vero, ma il suo regno fantastico si trova solo nei cuori innocenti. Nelle sere di festa e di Aid i nostri genitori ci dicono: "Lavati e va' a letto, leggi la Fatiha, esprimi un desiderio e mettiti a dormire. Forse avrai la fortuna di incontrare il visitatore della notte, che esaudirà i tuoi desideri..." Vari desideri si sono succeduti durante le diverse fasi della vita, suppliche passate direttamente dal cuore nelle mani del visitatore della notte... "O visitatore della notte, fa' chiudere la scuola e prenditi il nostro maestro." "O visitatore della notte, aprimi le porte del monastero e colmami di more." "O visitatore della notte, restaura le vecchie case del nostro quartiere." "O visitatore della notte, proteggici dalla povertà, dall'ignoranza e dalla morte." Un giorno, durante la mia infanzia, ho assistito a un grande corteo che attraversava il nostro quartiere. Al centro, in mezzo alle altre persone, vidi un uomo straordinario. Il quartiere era affollato di uomini, le donne in gran numero erano affacciate alle finestre, e le grida di gioia s'alternavano al suono dei flauti e dei tamburi. Il corteo passò davanti ai negozi, ai magazzini pubblici, al mulino, al forno, ai bagni, alla scuola elementare e a quella superiore, al sabil storico, al tunnel, alla zawiya, alle piazze, e anche alla taverna, alla fumeria e al cimitero. Alla vista di quell'uomo possente rimasi senza fiato, e il mio cuore si riempì di una gioia infinita. Ero fermamente convinto di una cosa e pensai: "Quell'uomo straordinario è il visitatore della notte, venuto espressamente per esaudire i miei desideri notturni." Urlai a più non posso con la mia voce sottile: "Viva il visitatore della notte! " Accadde ciò che non avrei mai immaginato: la gente si ammutolì, i visi si contrassero come se le persone avessero bevuto del succo di limone salato. L'imam della zawiya mi prese per l'orecchio e mi sussurrò: "Sei un bel mascalzone!" Il padrone dei magazzini pubblici ordinò a uno dei suoi guardiani: "Allontana quel maleducato..." Colmo di rabbia e di dolore, venni acciuffato e riportato a casa. Lì, profondamente afflitto, mi misi a sedere sul divano, con gli occhi intrisi di lacrime. A un certo punto, mio padre mi rimproverò serenamente: "Sciocco, ti sei dimenticato che il visitatore della notte si incontra solo nel sonno?!?"
Naghib Mahfuz, Il nostro quartiere, Feltrinelli (traduzione di Valentina Colombo, collana Universale Economica), 1991; pp. 86-87.
[1ᵃ edizione originale:حكايات حارتنا (Racconti del nostro quartiere), 1975 ]
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Caro professore,
ho sempre scritto di te qui, ho scritto di noi.
Ho scritto dei miei sentimenti, del mio dolore.
Ho scritto di quando la tua mancanza si faceva sentire e tu non c'eri.
Ho scritto qui per sfogo, per rabbia, per dirti ciò che a parole non riuscivo mai ad esprimere.
Dopo mesi rileggendomi, quasi mi viene da sorridere, è come se avessi rivissuto quei momenti, quelle notti passate a scrivere con le lacrime agli occhi, quei pomeriggi vuoti e quelle sere sperando in un qualcosa che non sarebbe mai più ritornato.
Rileggere le mie parole, i miei ti amo, ti voglio e quant'altro mi ha fatto sentire quasi stupida, ho rivisto in me una tredicenne che si innamora per la prima volta e scrive pagine di diario. Ma non rinnegheró mai i miei sentimenti, non rimangeró mai tutti ciò che ho scritto o detto e soprattutto provato.
Ripensare al passato, non mi fa più male, anzi, guardo indietro e ripenso a quanto io abbia lottato e quante cose io abbia superato in questi lunghi mesi, sembra anche a me impossibile. Ho lottato contro l'assenza, la nostalgia, i ricordi che mi tormetavano, contro le parole della gente che non sapeva niente di noi, contro le tue parole che il più delle volte mi ferivano, la tua indifferenza e tutti i tuoi gesti, delle volte quasi cattivi.
Ho lottato anche contro me stessa.
Contro il mio cuore che nonostante tutto il male, tutte le bugie, tutta la falsità sulla quale dal primo giorno hai basato il nostro rapporto, continuava a volerti, a trovare sempre del buono in te, a giustificarti.
Ho lottato contro la mia volontà e miei istinti, contro tutte quelle volte in cui avrei voluto chiamarti e dirti che avevo voglia di te e non l'ho fatto.
Anche se poi in un modo o nell'altro mi ritrovavo sempre lì, dove tu mi lasciavi e quando volevi tornavi a riprendermi.
E sapessi quante volte, sarei voluta andarmene per davvero, quante volte avrei voluto che i miei 'basta' fossero stati veri. Quante volte avrei voluto far tacere la voglia di vederti, di averti, non darle ascolto. E quanto ho insultato me stessa, ma quando si trattava di te, diventavo la persona più debole del mondo.
Ho dovuto fare i conti con i cambiamenti.
Abituarmi a non averti più, a doverti condividere.
A vedere foto dove sei felice con un'altra, e quante volte vi ho immaginati insieme, facendomi del male da sola.
Ad oggi credo che ci abbia pensato il tempo, senza nemmeno accorgemene, ha stravolto tutto.
Ti svegli una mattina e capisci che tutto questo non fa più per te, capisci che delle parole anche se ti feriscono, ti aprono gli occhi e la mente e sai bene a che parole mi riferisco, quel giovedi non potrei mai dimenticarlo. Mi dicesti che per te non era mai stato nulla, mi asciguai le lacrime e me ne andai. Da lì promisi a me stessa che non mi avresti più ferita. Ti rendi conto che la vita è andata avanti, che non si è fermato tutto a quel 'non voglio stare con te', ma che inventabilmente le cose hanno svolto il loro corso naturale ed anche tu.
Che non può piovere per sempre ma che il sole arriva prima o poi, e dipende solo da noi.
Mi sono guardata intorno e ho visto quante cose la vita per fortuna mi ha donato. E non parlo di cose materiali, parlo degli affetti. Io non ho mai permesso a me stessa di essere triste, di piangere, io odio essere di malumore. Io sono un uragano di emozioni, sono quella che porta con sé sempre felicità, adrenilina, caos. Sono quella a cui le amiche ripetono ' ma come fai ad avere sempre tutta questa voglia e vitalità' quella che 'fa entrare tutti nel mood' altra frase che mi dicono spesso, quella che coinvolge tutti. Sono quella che aspetta il weekend con ansia, che arriva a scuola felice solo di sabato e chi mi consoce sa quanto sia sacro per me. Sacro come i miei amici, le mie uscite e tutte le cose che amo fare. Sono quella che ci resta male per un'ora e poi non ci pensa più, che vede sempre in positivo e vive alla leggera.
Con te tutto questo non c'era più, ero sempre nervosa, eri al centro di tutto, pensavo sempre alle stesse cose, traendo da sola conclusioni anche insensate. Forse amare troppo qualcuno significa anche questo. Ma amare non è solo dolore.
Ora non so bene cosa provo per te ora, non so cosa sei diventato per me.
Forse ho paura di scoprirlo, ho paura di riaprire ferite quasi ricucite, di rivivere momenti che voglio dimenticare, chiudere con il mio passato e tu fai parte di quello. Ora sto bene, sono tranquilla, quella tranquillità che da tempo avevo perso.
Sto provando cose nuove, sentimenti nuovi e voglio farlo al meglio. Voglio che debba essere tutto vero, sensato e anche se un giorno dovesse finire con questa nuova persona, vorrei poter ricordarmi di tutto con un sorriso, senza bugie, senza terze persone, senza sentimenti falsi, parole dette giusto per, gesti solo per arrivare a degli scopi, proprio come è successo con te. Non voglio rifare gli stessi errori o fare le cose che tu hai fatto a me.
Inevitabilmente nonostante il male, io ti porterò sempre dentro. Credo che spesso mi ritroverò anche a contattarti, anzi spero che la persona con cui ora sono felice, non mi dia mai mancanze o modo di dover pensare al passato. Putroppo mi hai dato tanto da ricordare.
Non potrei mai dimenticare quella notte al mare, quando c'eravamo solo io, te e la luna. Poi l'alba, un pacchetto di sigarette e due felpe. Quando restammo a parlare tutta la notte in acqua e poi macchina. A parlare di noi, di quanto fosse impossibile stare insieme ma di come quello sarebbe stato il nostro ricordo più bello. Che senso ha avuto? Eppure lo abbiamo fatto e ci siamo sempre giustificati con 'mica tutto deve avere un senso', è con questa frase che diamo senso alle nostre due teste di merda. Così simili eppure così incompatibili.
Non potrei mai dimenticare di tutte le notti passate insieme, delle volte in cui abbiamo fatto le otto del mattino, delle sveglie che puntualmente non abbiamo mai sentito, dei nostri corpi sudati in piena estate o pieni di brividi per il troppo freddo, in inverno. E Dio la tua schiena, che ho baciato, morso, graffiato, sulla quale ho dormito. .. così enorme che vicino mi sentivo davvero una bambina piccola. Non potrei mai dimenticare il modo in cui dormi, di come mi abbracci durante la notte, fino a farmi sentire il tuo cuore di come mi respiri sul collo, fastidioso e bellissimo allo stesso tempo. Di tutte le cose che ci siamo detti, tra un orgasmo e l'altro. E anche di tutte le cose che forse non abbiamo mai avuto il coraggio di dirci. Di tutte le volte che abbiamo detto è l'ultima, sperando di non essere presi in considerazione, senza capire che più ci allontanavamo più eravamo impegnati a cercarci. E quante volte ci siamo ripetuti che non ce ne importava niente, quante volte abbiamo detto 'non ti penso' 'non ti cerco', quante volte ti ho ripetuto quanto ti odiassi. Con te non ho mai avuto molti controllo, ho superato sempre tutti i limiti. Fino a farmi male.
Io e te non siamo mai stati come tutti gli altri, come le coppie morbose impegnate a rendere pubbliche le loro relazioni da mulino bianco sai come le chiamo, io e te siamo un perfetto contrasto di perversione e disagi.
L'abbiamo fatto ovunque e delle volte ancora ti cerco nel mio letto, e quando sono seduta sul divano ancora immagino la scena di me e te, stretti con la voglia di averci a mille.
Come dimenticare i litigi, i giorni passati insieme, le serate, le ore a telfono, e tutte le stronzate.
E anche se odio ammetterlo siamo simili su tante cose, e sono proprio le cose che di te più ho odiato che ho scoperto di avere, e sono quelle che ho amato più di tutte le altre. Siamo entrambi sbagliati, contorti, viviamo in un mondo tutto nostro e ragioniamo secondo le nostre regole, non sopportiamo chi si impone, odiamo sentirci in gabbia, non sappiamo mai ciò che davvero vogliamo perché viviamo alla giornata, e come dicevi sempre tu, chissà se raggiungeremo mai il nostro equilibrio. Io forse resterò in bilico ancora per molto , tu magari pian piano stai migliorando e anche se la tua felicità non comprende me, io sto bene sapendo che tu stai bene.
Sei stato il casino più grande della mia vita, hai stravolto tutto. Sei stato la cosa più brutta ma anche la più bella. Sei stato la persona che più ho amato e che più ho odiato. Sei stato la persona che mi fa fatto più male ma anche quella che mi ha fatto sentire infinitamente bene e viva.
Ora sto scoprendo cosa significa l'essere voluta davvero, lui non mi fa mancare nulla, mi tratta da priorità. Mi rispetta, mi ascolta, mi corteggia ogni giorno come se fosse il primo. Riesco ad aprirmi con lui, a dialogarci di tutto e di più ed anche quando litighiamo so che non mi lascerebbe mai. Ho una relazione perfetta, il sogno di ogni ragazza. Tutto questo con te non l'ho mai avuto, non sei mai stato in grado di darmelo, o forse non hai mai voluto. Non ho mai avuto sicurezze, mai considerazione. Ma quel poco che mi hai dato, io l'ho apprezzato e forse anche troppo, tanto da idealizzarlo.
Eppure tu resterai sempre la mia parte irrazionale, la parte dei miei istinti, dei mie desideri, quella che non avrà mai controllo con te.
Spero che anche tu possa pensarmi, ricordati di me, delle mie strane fantasie, dei miei modi di fare, delle mie stronzate, le mie urla, dei miei capelli sempre in disordine, della mia pelle delicata e sempre piena di lividi, dei miei occhi azzurri, del mio corpo, della mia voce, di come mordo le unghia quando sono nervosa. Di tutte le cose che ti ho detto e promesso, e di tutto ciò che ho fatto per restarti accanto. E di tutto quello che insieme abbiamo fatto. Delle volte in cui con me hai perso il controllo, delle volte in cui non riuscivi a starmi distante, di come mi stringevi mentre lo facevamo e di tutto ciò che provavi.
Ieri mi hai detto per la prima votla 'addio', e ho sentito un brivido lungo la schiena. E mi sono ricordata di una canzone:
Passiamo il resto della vita assieme questa sera. La vita è stare con te a letto, tutto il resto è attesa.
Ci possediamo solo il tempo che passiamo assieme. E a tutti e due così sta bene.
La nostra storia che non finisce mai di finire.
Senza chiamarsi tutti i giorni con niente da dire. E più ne faccio e più al settaccio passo le esperienze, Niente non rimane niente.
Abbiamo fatto così tanto ed ora non rimane niente di noi, abbiamo mollato la presa.
Allora Addio caro Don.
Non dimenticarmi, io non lo farò.🤞🏼❤️
E buona fortuna tu sai per cosa, il tuo sogno.. Vorrei tanto poterci essere e vedere come ti brilleranno gli occhi in quei giorni. Credo in te.
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Bisogna raccontare Andrea Zanzotto per capire chi siamo stati, cosa dobbiamo proteggere. Sul “Filò” di Silvio Castiglioni
Il testo più longevo. Forse il più bello o forse no, poco importa: non si allontaniamo dal vero se pensiamo che sia quello più sentito, più sincero. Perché Filò di Silvio Castiglioni è profondo come una radice: ha debuttato nel 2000 a Guado del Po, sulla via Francigena, e in questi anni ha camminato costantemente e con parsimonia quasi contadina. Nonostante non sia lungo la traiettoria ideale dello storico percorso che unisce Roma a Canterbury, il Mulino di Amleto di Rimini, sabato scorso, ha chiesto all’attore (e lo ha ottenuto) uno scartamento laterale: la città di Federico Fellini, comunque, è pur sempre un crocevia di storia (Ariminum, più di duemila anni fa), di viabilità (dall’Arco d’Augusto si snoda la via Flaminia che termina in Piazza del Popolo; a nord invece la Romea e la Popilia, a Ovest – circa – la via Emilia) e di tradizioni rurali.
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Filò contiene buona parte della vita di Silvio Castiglioni: quella di uomo e quella artistica. Quella di mensch veneto, conficcato come una stella alpina – rara e bellissima – nel terriccio padano. E quella di attore: la Grande Commedia dell’Arte e i Maestri del Novecento, Bread and Puppet di Peter Schumann e Odin Teatret di Eugenio Barba per esempio ma anche Sandro Lombardi e Federico Tiezzi.
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“Far filò”. Si faceva ‘sti tenpi andàti quando le donne contadine e montanare, in inverno, si riunivano nelle stalle per filare, quindi fare maglie e sciarpe, oppure rammendare pantaloni e calze. Chiacchiere e pissi pissi a volume medio, che tanto lì non ci sono orecchie che le scòlta, storie lunghe per tenersi compagnia e aspettare – insieme – il ritorno della bella stagione.
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L’humus fertile delle tradizioni, la necessità ancestrale e profonda di raccontare una pagina del passato, il divertimento che nasce quando si recupera, filologicamente, fotografie che ti hanno descritto o solamente sussurrato. Anche questo è (o forse solo questo è) teatro.
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Silvio Castiglioni si traveste da Don Chisciotte e accompagna gli spettatori nel veneto legnoso: una maschera – quella dello Zanni della Commedia dell’Arte – per mettere subito in chiaro le cose: si traversa un dialetto per arrivare dentro a una stalla di fieno, calore, memorie del sottosuolo, voci di lontani parenti.
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Il testo di partenza, quello di Andrea Zanzotto, in realtà è un pretesto. Un pre-testo: partire dall’autore per raccontare se stessi. Nell’estate del ’76 il poeta inizia a collaborare al Casanova di Federico Fellini. Nello stesso anno viene pubblicata l’opera Filò dalle edizioni Ruzzante di Venezia che comprende la lettera di Fellini, dove dichiara le sue aspettative, i versi per il film Casanova, quelli sul dialetto e una lunga nota. Scrive Zanzotto: “Sono grato a Fellini di avermi spinto gentilmente ammiccando e quasi segnando silenzio con un dito sulle labbra, a questa breve ma per me non trascurabile discesa per scorciatoie assai precipiti, molte volte intraviste, mai praticate in precedenza proprio qui e così: con un occhio a tante deesse, dalla Testa, a Rèitia (la principale divinità, femminile, venetica, ndr), a Venezia, alla Gigantessa bambola: tutte riducibili ad una sola realtà, pur nell’immensa lontananza delle loro icone, dei loro significati, dei loro tempi”.
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Silvio, in Filò, fa un nodo ai suoi amori regionali: il Veneto, e la Romagna (è stato Direttore artistico del Festival di Santarcangelo per diversi edizioni), e la Lombardia. In questo triangolo scaleno si muove, cammina. Vive. Non solo sul palco.
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Si parte dal Veneto più rùstego, l’anticamera. L’accesso alla stanza dei bottoni. In quella accanto, Paolo e Paola Castiglioni preparano un risotto con il tastasàl, la carne di maiale (non la salsiccia, proprio la carne di maiale) con l‘aglio, il vino bianco, il pepe, il sale e il rosmarino. Cibo per le orecchie e cibo per il naso. Manicaretti per il cuore e manicaretti per la bocca. Cucina fusion, ma tradizionale. Come tradizionale – nel senso più nobile del termine – è questo assolo lucido di Silvio: un po’ Paolo Rumiz (tanti i luoghi che tocca con le parole, e non solo la triade Veneto-Romagna-Lombardia) un po’ Cervantes, un po’ Ruzzante certamente, ma altrettanto capace di una scrittura autonoma e personalizzata.
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Non ingannino le maschere indossate da Castiglioni: il viaggio è autentico. Veneto, Milano, Siviglia, Buenos Aires, Friuli. Sulla rotta degli emigrati italiani che andavano a cercare fortuna fuori. Si va di liscio, di tango, di ricordi, di odori. E la storia raccontata, resa ancora più credibile dall’utilizzo del dialetto veneto, diventa una nave.
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Dialetto come baluardo – come ultimo avamposto – di biodiversità. Non ieri che era la lingua madre bensì oggi: salvaguardiamolo quindi con parsimonia e calore sembra dire Silvio Castiglioni. Alcune cose vivono nell’idioma di un luogo e sono intraducibili.
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Un cantastorie che porta in scena, accompagnato dalla fisarmonica di Beppe Chirico-Sancio Panza, il racconto della storia dell’Italia post bellica. Trent’anni “veri” che oscillano tra memoria e invenzioni, tra bocconi amari – i sogni che si hanno da piccoli raramente si realizzano – e stelle cadenti che indicano la via: l’oca che non vuole essere ammazzata, l’asino che uccide, il vecchio leone di un circo dimenticato, il maiale che viene sacrificato per sfamare la famiglia.
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Filò funziona. Eccome se funziona: il microcosmo apparente si innalza a Storia. E a teatro, soprattutto a teatro, profuma di vero. Come il risotto col tastasàl che a fine spettacolo gli spettatori assaggiano.
Alessandro Carli
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