#Il Foglio Edizioni
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pier-carlo-universe · 21 days ago
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“Le ultime ceneri dell’Avana”, il nuovo libro di Alessandro Zarlatti
Alessandro Zarlatti, romano di nascita e viterbese d’adozione, è tornato sul panorama editoriale con “Le ultime ceneri dell’Avana”, la sua settima pubblicazione e la prima nelle collane delle Edizioni Il Foglio. Un uomo gettato in un anno indescrivibile, il 2020 all’Avana – città che agonizza nel suo eterno tramonto, tra la pandemia e le ceneri dei suoi fuochi ormai spenti  – trova il coraggio…
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iannozzigiuseppe · 2 months ago
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Editoria: ritorsioni, insulti, diffamazione sui social, inadempimento contrattuale e libri mandati al macero se l'autore dice di "no" allo spam. Il Foglio letterario di Gordiano Lupi è anche questo!
Editoria: ritorsioni, insulti, diffamazione sui social, inadempimento contrattuale e libri mandati al macero se l’autore dice di “no” allo spam. Il Foglio letterario di Gordiano Lupi è anche questo! Giuseppe Iannozzi Ecco cosa sta succedendo. Ho fatto esplicita richiesta che non mi venga inviato materiale non richiesto dal mio ex editore Gordiano Lupi delle Edizioni il Foglio. Non l’ho mai…
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queerographies · 2 years ago
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[Pier Paolo Pasolini. Il cinema, l'amore & Roma][Patrice Avella][Gordiano Lupi]
Un libro su Pier Paolo Pasolini non cattedratico e dogmatico, ma facile e piacevole da leggere come se fosse un romanzo.
“Pensiamo un momento solo alla fondamentale importanza che ha sempre avuto nella cultura occidentale l’amore; come dall’amore siano venute le grandi costruzioni dello spirito, i grandi sistemi conoscitivi; e vedremo che l’omosessualità ha avuto nella vita di Pasolini a Roma lo stesso ruolo che ha avuto l’eterosessualità in quella di tante vite non meno intense e creative della sua. Forse una…
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micro961 · 7 months ago
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Paola Mattioli - Il nuovo libro “Paola, Io”
La raccolta poetica che coinvolge ogni emozione
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La scrittrice Paola Mattioli pubblica la sua nuova raccolta di poesie “Paola, Io” con le Edizioni We. Si tratta di un libro intimo, personale, dove la carica emotiva è portata ai massimi livelli: ogni essere umano può sentirsi vicino alle tematiche trattate ed è stimolato alla riflessione. L’anima dell’artista è messa a nudo e, attraverso le parole, desidera farsi conoscere da un pubblico di lettori sensibili, capaci di accogliere la profondità del suo messaggio. I versi, oltre ad abbracciare argomenti a Lei cari, sono anche dedicati a personaggi realmente esistiti, che vengono omaggiati con assoluto rispetto. Ogni poesia merita di essere letta con attenzione, empatia e raffinatezza, al fine di poter ricavare un’esperienza completa, capace di arricchire l’esistenza di ognuno.
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Storia dell’artista
Paola Mattioli è nata a Bologna il 27 novembre del 1972. È cresciuta in un ambiente stimolante, con i genitori e la sorella Silvia: la precaria condizione di salute, tuttavia, l’ha costretta a vivere sotto una campana di vetro. La scuola magistrale è un punto di svolta nella sua vita, poiché inizia ad uscire dal bocciolo della timidezza, iniziando a fiorire. In questo periodo, si appassiona alla scrittura di poesie, facendo scivolare liberamente le parole sul foglio. La formazione scolastica prosegue con la frequentazione di un corso professionale serale per Assistente di Comunità Infantili (due anni in uno). Subito dopo il diploma, intraprende una fase lavorativa da impiegata precaria, che danneggia la speranza di poter costruire un futuro. Nel ‘95, Paola partecipa ad un concorso per Educatori Nido, risulta idonea e viene assunta dal comune di Bologna, diventando di ruolo nel 2007. Dopo la morte della madre, riprende a scrivere costantemente, avvertendo il bisogno di esprimere i suoi sentimenti più profondi. È così che nascono i suoi componimenti in età matura, dove si alternano momenti di silenzio e di euforia e viene a galla, con una vena malinconica, l’irrinunciabile bellezza della vita e dei suoi aspetti.
Blog: www.lepoesiedipaolamattioli.it
Facebook: https://www.facebook.com/VorreidiPaolaMattioli
Instagram: https://www.instagram.com/paolamattiolipoetessa/
YouTube: https://www.youtube.com/@PaolaMattiolipoetessa
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alemicheli76 · 8 months ago
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"Il giovane clone di Gesù" di Giovanni Menicocci, Helike edizioni. A cura di Alessandra Micheli
Davanti ai fiumi di Babilonia, lì ci siamo seduti abbiamo pianto, ricordando Sion Sono seduta davanti al foglio con le note di River of Babylon nelle orecchie, sparata a tutto volume, mentre il cielo diventa grigio ferro e inizia a soffiare con rabbia piangendo lacrime di rimpianto. E il vento cosi furioso in questo strano luglio diventa quasi rasserenante. Per me che ho il cuore in fiamme, la…
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adrianomaini · 1 year ago
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Raccontava di qualche sosta lungo il tragitto da Varapodio a Ventimiglia
Raccontava di qualche sosta lungo il tragitto da Varapodio a Ventimiglia https://ift.tt/GWpxzsl Ventimiglia (IM): il tratto iniziale di strada delle Ville Ho rivisto Rocco da lontano dopo cinquant’anni passando davanti alla casa di sua figlia, affacciato al poggiolo del secondo piano, sopra alle Calandre. Mi sono chiesto cosa ci facesse lì, lui che abitava solitario sulla collina di Peidaigo, nascosto tra qualche pinastro ma con davanti il disegno mobile del mare. Ho sospettato avesse problemi di salute. Non mi ha riconosciuto credo e mi ha salutato come fa con tutti quelli che passando a piedi per la strada delle Ville e alzano gli occhi, augurandomi buona passeggiata con la stessa gentilezza con cui quando ero piccolo mi offriva le sue olive cunzate* alla calabrese che stava mangiando con una pagnotta: “volete favorire?”. Ho capito che era lui per deduzione. Quando lo conoscevo ero un bambino sui dieci anni, ma ero il figlio del padrone o almeno del datore temporaneo di lavoro quando c’era da cavare le patate e Rocco dava del voi per rispetto quasi a tutti. Nell’ora meridiana del pasto e del riposo si sedeva sotto al grande albero di pissalùte* nella fascia in fondo alla campagna che raccoglievamo per fare seccare sul terrazzo e confezionare a pani avvolti nelle foglie di alloro. Oltre alle olive schiacciate alla calabrese mangiava qualche fetta di mortadella impacchettata in un foglio di carta oleata e in un altro foglio di carta grezza bianca per alimenti come facevano i salumieri. Quel foglio bianco lo utilizzava nel frattempo per scrivere la brutta copia della lettera per la sua donna che abitava e lavorava a Romano Lombardo dove erano note fabbriche di caramelle, tra cui l’azienda dolciaria Enrico Pagliarini. Le caramelle erano vendute in una scatola di lamiera che veniva spesso utilizzata come portagioie o portadocumenti da nascondere nell’armadio. A casa nostra era la cassaforte tenuta sul comò, c’erano dentro un po’ di soldi di scorta per un paio di mesi, in attesa di andare a vendere al mercato e c’erano anche dei buoni postali nominativi da diecimila lire che mia nonna ogni tanto mi regalava. Ma questa è la storia di casa mia. Rocco era arrivato col padre e la famiglia da un paese calabrese da cui era derivato il loro cognome. Raccontava di qualche sosta lungo il tragitto da Varapodio a Ventimiglia e il periodo vissuto a Genova in via Borgo Incrociati, vicino alla stazione di Brignole. Poi a Ventimiglia Vecchia li avevano accolti molto meglio e nelle campagne faceva anche delle giornate dal Lillo per insertare*. C’è chi se ne ricorda ancora. Rocco aveva messo su anche un piccolo banco di calze sul mercato del venerdì, e un giorno alla settimana non poteva assolutamente venire in campagna. La filanca, finita la guerra, attirava i clienti francesi che approfittavano del cambio favorevole del franco. Ogni tanto tirava un urlo e i clienti accorrevano al suo banco. Il fratello Salvatore lo incontro più spesso e mi parla nel nostro dialetto con un accento di un paese che non esiste nella realtà. Oggi dopo più di sei mesi sono salito a Ventimiglia Vecchia e c’era il manifesto di una settimana fa che annunciava che Rocco è mancato all’età di 91 anni e che a causa del virus non hanno fatto la funzione religiosa. Avrei voluto parlargli, ricordare qualcosa insieme. Ho perso un’altra occasione. * Cunzate: olive schiacciate e condite, insaporite alla calabrese - Pissalùte: pissalutti, varietà di fichi con picciuolo allungato - Insertare: innestare. Arturo Viale, Punti Cardinali. Da capo Mortola a capo Sant'Ampelio, Edizioni Zem, 2022 Altre pubblicazioni di Arturo Viale: La Merica...non c'era ancora, Edizioni Zem, 2020; Oltrepassare. Storie di passaggi tra Ponente Ligure e Provenza, Edizioni Zem, 2019; L'ombra di mio padre, 2017; ViteParallele, 2009; Quaranta e mezzo; Viaggi; Storie&fandonie; Ho radici e ali; Mezz'agosto, 1994. Adriano Maini via Aspetti rivieraschi https://ift.tt/dX1PGTH January 18, 2024 at 03:55PM
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giancarlonicoli · 1 year ago
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30 ott 2023 15:45
LA SPETTACOLARE AUTODISTRUZIONE DI VITTORIO SGARBI – "IL FOGLIO”: “È UN MISTO TRA D’ANNUNZIO E BRUNO CORTONA, OSCILLA TRA ‘IL PIACERE’ E ‘IL SORPASSO’. MA, A DIFFERENZA DI D'ANNUNZIO, SGARBI NON NECESSITA DI POLVERINE, LUI PRODUCE ECCITANTI DA SÉ” – “RICHIESTO DI AUTODEFINIRSI IN UNA FRASE RISPOSE: ‘MI CACCIANO SEMPRE’. ANCHE ADESSO, CON LE INDAGINI PER PRESUNTE MALVERSAZIONI FINANZIARIE, LA SUA POLTRONA, È PERICOLANTE, PER L’ENNESIMA VOLTA” – “I GUAI DI SGARBI SON SEMPRE DI DUE CATEGORIE, QUELLI ASCRIVIBILI ALLO SBROCCO PURO E SEMPLICE E QUELLI DELL’INTRALLAZZO ARTISTICO-PECUNIARIO” -
Estratto dell’articolo di Michele Masneri per “il Foglio”
L’abbiamo visto invecchiare con noi, cambiare, crescere, anche ammorbidirsi, è la nostra Camilla Parker Bowles (anche per le chiome). Come una regina la sua immagine è ovunque, anche tra le decine, forse centinaia di comuni della penisola di cui è assessore alla Cultura in una specie di performance in cui lui è testimonial seriale e “protagonista del Novecento” come diceva quel tale delle televendite, seriale come in un multiplo di Andy Warhol, sempre contemporaneo anche se antico.
E’ stato uno dei primi politici a denudarsi sulla copertina dell’Espresso, ha inventato per primo lo scontro fisico quando i talk-show ancora erano pacate presentazioni di libri. Però Vittorio Sgarbi è sempre a un passo dal trono, regina non diventa mai, molto meno astuto di Camilla si ferma sempre un momento prima, anzi a un certo punto regolarmente cade. Per incidente autoprocurato. 
Così anche adesso con le indagini scatenate da denunce arrivate ai magistrati e riportate dal Fatto, per presunte malversazioni finanziarie, parallele a un non gradimento del suo ministro, Sangiuliano, il tronetto anzi la poltrona di Vittorio Sgarbi è pericolante, per l’ennesima volta. A Panorama nel 2018 richiesto di autodefinirsi in una frase rispose: “Mi cacciano sempre”. “Cacciato da sottosegretario del ministro Urbani, cacciato da assessore alla Cultura a Milano dal sindaco Letizia Moratti, da Alto commissario a piazza Armerina, da sindaco di Salemi”. Ora l'hanno cacciato pure da Miss Italia, a cui doveva presenziare (diecimila euro il cachet). 
Giuliano Urbani, che era il “suo” ministro nel 2001, anno di una delle principali defenestrazioni di Sgarbi, ha commentato l’altro giorno col Corriere: “Mi dispiace perché Vittorio è una persona buona, che tende a crearsi problemi da solo”. A quell’epoca, Sgarbi pensò bene di attaccare la moglie del ministro, oltre a combinare pasticci per certe opere col Vaticano.
“E’ una persona buona”, ha ribadito Urbani. “L’ha indebolito la scomparsa dei genitori, le uniche due persone che potevano parlargli. E’ rimasto due volte orfano, legalmente e psicologicamente”. La scomparsa dei genitori e soprattutto della mamma come freno inibitore lo accomuna a Berlusconi.
Anche per Sgarbi infatti la mamma è stata fondamentale: in quel di Ro Ferrarese Rina Cavallini, farmacista, formidabile rezdora emiliana, tirò su il figlio per i più ampi destini. Raccontano che lei soprattutto di Vittorio era musa e tuttofare. Per le mille collaborazioni del figlio, libri giornali saggi, lei sbobinava di notte e teneva degli addetti a scrivere per lui, poi la mattina all’alba controllava, e spediva gli articoli.
[…]
La sorella Elisabetta nella complicata psicologia di casa ha fatto fatica a emanciparsi, e alla scomparsa della mamma Rina si è trasformata pure lei nella protettrice e musa del figlio-fratello. E oggi il rapporto vero e solido è proprio quello con lei, la carismatica doppelgänger di Vittorio, Elisabetta, capa delle edizioni Nave di Teseo: i due passano la giornata al telefono tra di loro, fin nelle ore più piccole, da macchina a macchina, da albergo ad albergo, come se fossero le star di boy band impegnate in due tournée parallele.
Entrambi non bevono, non fumano, non dormono e non mangiano, le loro batterie si ricaricano solo al contatto tra loro, per induzione; hanno partner mansueti la cui funzione è soprattutto il contenimento di queste energie degli Sgarbi in eccesso. Energie che in Vittorio esplodono notoriamente negli scontri tv (mitico quello con Roberto D'Agostino a "L'Istruttoria" di Giuliano Ferrara).
Uno dei rarissimi casi che vide Sgarbi con la pila scarica fu invece quello con Aldo Busi, un altro italiano Duracell che pare rientrare nella categoria sgarbiana, cioè geniali o genialoidi che a un certo punto perdono la brocca, o in cui l’amore di sé e dei denari trabocca qualunque altra dote.
 I due hanno molto in comune. Anche Sgarbi è diventato famoso sul palco del Maurizio Costanzo Show, esordendo nel 1987 abbrutendo una professoressa, mentre negli stessi anni Aldo Busi salpava col suo primo grande romanzo, “Seminario sulla gioventù” che molto beneficiò di quel palco.
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Leggendario appunto lo scontro anni fa tra i due da Piero Chiambretti: Busi attaccò Sgarbi sulla mancata carriera universitaria, su quella fiorente invece politica ma soprattutto sferrò un micidiale e precisissimo attacco psicoanalitico (“la tua è una servitù poco gratificante ascrivibile a un eterno ritorno di uno stato di infantilità. Hai bisogno di un padre”).
La risposta fu un sintetico: “Fatti i cazzi tuoi”, e però lì Sgarbi (che in quella occasione introdusse per la prima volta il celebre “capra”), forse caso unico nella storia delle sue tenzoni televisive, soccombette appunto, forse perché l’attacco busiano proveniva da altro idealtipo simile, altro geniaccio di provincia autosabotato dal carattere e dall’ego. Alla fine: “Tu cerchi sempre giocattolini da rompere. Tu sei il classico figlio del dottore che non ha mai fatto un cazzo in tutta la sua vita” gli disse Busi.  E lì Sgarbi vacillò, come se fosse l’attacco più preciso mai ricevuto, una freccia imbevuta nel veleno che bagna le stesse terre, il contado ferrarese come quello bresciano.
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Pure i guai di Sgarbi son sempre di due categorie, quella ascrivibile allo sbrocco puro e semplice, che ce lo rende simpatico, e quella diciamo dell’intrallazzo artistico-pecuniario, e qui non si vuol scendere nella complicata vicenda che lo vede sotto accusa – quadri comprati e non notificati, prestazioni a pagamento forse incompatibili col suo ruolo istituzionale, infine debiti col fisco – né si vuol dire che gli esperti d’arte non possano anche essere commercianti.
Il più grande di tutti, Bernard Berenson, era entrambi, e anzi traeva orgoglio dalle perizie e attribuzioni ben pagate, ma Sgarbi sembra aver perfezionato il meccanismo estendendolo anche alla monetizzazione del reading e di tutto ciò che comporta l’essere Sgarbi cioè l’uomo di cultura televisivo e riconoscibile e ubiquo ai casi, polemista-recensore-presentatore-assessore alla Cultura h24 con lampeggiante e gettone di presenza. “Sono indignato dal comportamento di Sgarbi, va bene? Lo vedevo andare in giro a fare inaugurazioni, mostre e via dicendo. Ma mai avrei pensato che si facesse pagare per queste cose”, ha detto il “suo” ministro di oggi, Gennaro Sangiuliano. 
[…]
Qui, il talento di Sgarbi di “estrarre valore” anche da questo immenso scrittore diffuso che è l’Italia, merita una riflessione: dunque, secondo il Fatto, ecco un bonifico del 23 maggio per presentare a Milano il libro di una tal Melanie Francesca, autodefinita poetessa, autoconsiderata “una James Joyce tutta al femminile”.
La presenza di Sgarbi come presentatore è evidenziata in ogni modo possibile, e poi Sgarbi alla poetessa dedica questa bella parole: “A null’altro di più attinente si potrebbe paragonare questa ambiziosa e gravosa summa in tre parti, Adamo ed Eva, Eden e Apocalisse, se non a un testo a carattere sacrale, accompagnato da illustrazioni in tono (Melanie disegna bene), con cui viene proposta una versione originale del Verbo, la parola rivelata riguardante l’origine e il fine del tutto”.
Melanie disegna bene, ma paga pure abbastanza bene, per il disturbo sono 2.500 euro (Sgarbi realizza il sogno di tutti noi, con duemilacinquecento a presentazione, il problema di sussistenza degli scrittori sarebbe risolto, altro che legge Bacchelli e cuneo fiscale e Pnrr).
“Se vai avanti così ti toccherà vendere le litografie di Cascella e i mobili in stile” fu una maledizione busiana. Il fantasma, il doppio di Aldo Busi ritorna sempre (in comune i due hanno anche l’amore per il danaro e l’adorazione per la mamma). Un altro pasticcio corrente sgarbiano non penale ma che spiega il personaggio è l’organizzazione della prossima mostra dedicata a Robert Mapplethorpe, famoso per i nudi maschili che si sarebbe dovuta allestire nella sua città, Ferrara, a palazzo dei Diamanti.
Sarebbero dovute arrivare a marzo le foto affiancate per la prima volta a dipinti e disegni di De Pisis. Ma alla Fondazione newyorchese che gestisce le immagini del fotografo il titolo non è piaciuto e si è tirata indietro. “Fiori e cazzi”, era il titolo sgarbiano. “A quel punto ho detto io no. Ho preso atto della decisione. Se mi devono mettere il velo su un artista che per tutta la vita ha fotografato uomini nudi, si tengano Mapplethorpe e lo rendano santo”.
Tutto giusto. Ma a una cena, ricordiamo che Vittorio senza toccar cibo (odia mangiare, odia stare a tavola) chattava con qualcuno dell’organizzazione della mostra, ordinando: “Mettici più cazzi!”. E qui non può che tornare alla memoria il leggendario “Cazzi e canguri”, romanzo di Busi col sottotitolo “pochissimi i canguri”.
Sgarbi ha anche un altro primato poco noto, nella sua carriera ormai quasi quarantennale dopo gli inizi come supplente di latino a Tresigallo in provincia di Ferrara, poi i primi libri e il successo mondano e televisivo: è anche uno degli italiani più ritratti nella storia. Circolano centinaia, migliaia di sue raffigurazioni pittoriche, si dice sia secondo solo al Duce […]
Come se la sua immagine non fosse abbastanza ubiqua tra tv, giornali, anche Instagram. Un suo collaboratore pubblica infatti le stories della vita prevalentemente notturna, la sgarbeide fuori orario tra auto col lampeggiante che sfrecciano tra musei aperti apposta, inaugurazioni, custodi tirati giù dal letto, riunioni mentre albeggia coi fidi consiglieri. Che sono quasi sempre gli stessi. […]
I collaboratori, Sgarbi, li sottopone a vita frenetica, di giorno e appunto di notte, tanto più che questi, che sono spesso sia collaboratori che fan, dopo un po’ mollano. Anche Alain Elkann che era una specie di addetto stampa araldico nel 2001 ci litigò, poi la lite rientrò, e pare che all’esperienza ministerial-vitalistica col lanzichenecco Sgarbi Elkann abbia dedicato il romanzo “L’invidia”. Anche oggi sarebbe stato un collaboratore a mandare anonimamente le denunce, arso da sete di vendetta.
Perché la sgarbeide è assoluta o non è, è una missione e una scelta di vita, non viene tollerata una mezza fedeltà. Soprattutto la notte. La notte è il suo regno. Qualche volta infatti spesso si addormenta, di giorno, a inaugurazioni e proiezioni, ma la notte, la notte si rianima come un Nosferatu delle Belle Arti.
Di notte ha rischiato anche la vita, nel 2015, in autostrada, partito da Brescia dopo una manifestazione dedicata al Moretto e la visita a due chiese col favore delle tenebre. I primi sintomi all’altezza di Mantova, a Carpi il crollo, a Modena il ricovero. “Alle 3,58 di mattina”, secondo i referti. Commenti del paziente: “Se fossi andato avanti ancora sarei morto in autostrada, magari a Roncobilaccio. Non è il massimo morire a Roncobilaccio”.
Poi: “Ho dovuto annullare 26 impegni. Avrò un cuore nuovo, potrò fare qualunque abuso ma non so quanto Viagra potrò prendere”. E poi: se ha paura della morte? “Ma io vivo in questo modo proprio perché ho paura della morte”.
A vegliare sulla vita e a scongiurare la morte di Sgarbi c’è l’eterea, solida Sabrina Colle, moglie-non moglie (gli Sgarbi, come i Berlusconi, non si sposano più) che attende, modera, comanda. Contiene. Nei saloni questi sì dannunziani dietro al teatro Argentina, tra dipinti e oscuri velaggi, la notte è il territorio sgarbesco che – altra cosa in comune con Berlusconi – è insonne, dunque eccolo lì, su un divanetto, in fondo in fondo, mentre la casa pullula di cortigiani, belle ragazze, ragazze così così, segretari coi fogli che cascano, e lui lì che gira su se stesso, detta, bacia, perizia, agguanta la vita (notturna). Magari in mutande.
La visita a casa Sgarbi è una tappa inevitabile nel grand tour romano, quando ti installi nella capitale prima o poi qualcuno – di notte – ti dirà: andiamo a casa di Vittorio, come a dire, ti porto al premio Strega o alla villa Furibonda. E’ un passaggio importante, iniziatico. Anche se la vera casa di Sgarbi è la macchina, lui infatti in auto bivacca, l’auto (perennemente col lampeggiante acceso) sfreccia ad altissima velocità di badia in badia di museo in museo, di inaugurazione in inaugurazione, ricolma di carte, documenti, libri, mentre Vittorio seduto davanti a destra (mai dietro) compulsa, gli occhiali tirati su, le novità del momento anzi del secondo, sul cellulare a cui è perennemente attaccato.
Sgarbi insomma è un misto tra D’Annunzio e Bruno Cortona, la sua vita oscilla tra “Il piacere” e “il Sorpasso”; il suo gesto più filologicamente dannunziano fu nel 1998 quando cercò di rompere l’embargo internazionale alla Libia di Gheddafi, violando – col fido Glidewell e un manipolo di arditi – il blocco aereo e atterrando a Tripoli con due piccoli Piper decollati da Lampedusa.
Ma per restare a terra, una volta lo si incontrò in un grand hotel della Versilia con una signora dall’aria spaesata che aveva tirato su chissà dove, un’ammiratrice, anche un po’ agée, a cui aveva fatto vivere il brivido, per qualche giorno, della vita sgarbesca, tra suite e inaugurazioni (e chissà poi dove l’avrà depositata).
Perché la vera dimensione di Sgarbi è la provincia, la provincia delle pievi e dei conventi e delle cattedrali ma anche degli industriali e dei burrifici. […]
Come Berlusconi e D’Annunzio e Busi non è un fenomeno urbano e metropolitano, la sua presenza appartiene a un contado che si immagina leggendario. Al suo passaggio le signore sospirano, e lui non è insensibile. Ma come Berlusconi e a differenza del Vate, Sgarbi non necessita di polverine, lui produce eccitanti da sé, è autosufficiente come uno di quegli enormi impianti eolici disseminati nella infinita provincia italiana, quei mulini a vento che sono tra i suoi nemici preferiti.
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pleaseanotherbook · 2 years ago
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Raccolte di racconti: una selezione
Come sa bene chi mi segue da un po', a me piace molto leggere raccolte di racconti di vario genere: distopici, fantastici, romantici, improbabili, realistici, magici. Il problema vero e che non sono in grado di parlarne approfonditamente. Vorrei dire tante cose e poi mi ritrovo a fissare il foglio word vuoto e non so mai cosa dire. Ecco perché ho deciso di raccogliere in unico post i commenti ad alcune delle raccolte di racconti che ho letto nell’ultimo anno (o forse un po’ più di un anno, ma dettagli). I titoli sono i seguenti e ce n’è davvero per tutti i gusti, da personaggi reali, a realismo magico, dal fantasy alle fiabe passando per alcune delle mie case editrici preferite. Enjoy!
Morgana: L’uomo ricco sono io di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri edito da Mondadori
Fiabe Islandesi di vari edito da Iperborea
Libertà grande di Julien Gracq edito da L’Orma editore
L’uovo di Barabablù di Margaret Atwood edito da Racconti Edizioni
Fra le tue dita gelate di Francisco Tario edito da Safarà Editore
Le maestose rovine di Sferopoli di Michele Mari edito da Einaudi
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"Una ragazza dovrebbe avere una stanza tutta per sé e una rendita di 500 sterline l'anno." Con questa frase politicamente rivoluzionaria e di cui purtroppo la memoria collettiva ha conservato solo la prima parte, Virginia Woolf lega strettamente il discorso sull'emancipazione femminile ai soldi, presentati come la premessa stessa della libertà. Il denaro è il vero tabù da violare quando si parla di donne perché è il potere più grande, quindi per definizione è stato per anni solo degli uomini. Ma allora perché tutt* continuano a consigliare alle donne, oggi come allora, di sposarsi con un uomo ricco? Perché in molte famiglie si insiste a non insegnare alle ragazze a gestire il denaro, facendo loro credere che farsi procurare da qualcun altr* la sicurezza materiale sia un traguardo di vita? In queste pagine troverete imprenditrici scaltre e un po' corsare, che tra rispettare le leggi o se stesse non hanno mai avuto dubbi, artiste carismatiche che non hanno pensato nemmeno per un momento di dover essere protette dal patrimonio dei loro partner. Vedrete politiche convinte che il miglior modo per arrivare in alto è non farsi vedere mentre si sale, e mistiche per le quali è la natura delle intenzioni, non il denaro con cui le realizzi, a segnare il confine tra ciò che è bene e ciò che è male. Vi emozionerete per campionesse sportive che per vincere tutto hanno rischiato di perdere la sola cosa che contasse davvero, e vi innamorerete di intellettuali contraddittorie che con la loro creatività hanno fatto abbastanza soldi per dichiarare una guerra (e pazienza se era quella sbagliata). Sono donne alle quali la libertà è spesso costata cara, ma che non hanno mai smesso di pensare di potersela permettere, perché volere beni propri e volere il proprio bene spesso sono la stessa cosa. In ciascuna delle loro vite - Oprah Winfrey, Nadia Comaneci, Francesca Sanna Sulis, J.K. Rowling, Helena Rubinstein, Angela Merkel, Madame Clicquot, Beyoncé, Chiara Lubich e Asia Argento - risuona forte la frase fulminante e sovversiva di Cher che, quando sua madre le consigliava di smettere di cantare e trovarsi un uomo ricco, ebbe l'ironia di rispondere: "Mamma, l'uomo ricco sono io".
Di Michela Murgia nello specifico ho parlato in un post dedicato solo a lei ma trovo sempre molto interessante leggere i suoi scritti. Anche se non sempre sono d’accordo con la sua prospettiva pure fornisce sempre spunti per riflettere. Anche questa raccolta nasce dalla nuova stagione del podcast Morgana di Storielibere.fm che Michela Murgia porta avanti insieme a Chiara Tagliaferri, tutta dedicata al tema soldi e potere. La ricchezza è ancora la misura con cui si misura il successo di una persona? Ed è davvero così discriminante quando è una donna a voler emergere? Che cosa si nasconde dietro le vite di donne che ce l’hanno fatta? In genere molta sofferenza e tantissimi sacrifici e anche forse una certa dose di spregiudicatezza che non fa mai male. Quando l’unico obiettivo della tua vita dovrebbe essere accasarti, trovare il giusto partito e mettere in piedi la tua famiglia, affermare che “l’uomo ricco sono io” diventa ancora più sovversivo. Le donne raccontate dalla Murgia sono incredibilmente controverse, non per forza persone da stimare ma sicuramente donne di un certo peso, la cui storia dimostra che hanno scelto di combattere per il loro posto del mondo. Delle loro storie rimane il peso delle loro azioni, il modo in cui si sono fatte forti dei loro passi anche quando questi pesavano come macigni, anche quando tutto sembrava correre contro di loro. Michela Murgia ha la capacità di tenere il lettore lì, ancorato alla pagina, anche quando quella pagina diventa minacciosa.
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Terra di miti e leggende che sembrano riecheggiare ancora nei suoi paesaggi lunari, l’Islanda ha dato voce alla sua creatività anche in un originale patrimonio di fiabe, qui raccolte in un’antologia inedita. Un mondo di castelli stregati, lotte in sella ai draghi e viaggi per mare con le barche di pietra dei troll, popolato da bellissime regine che si rivelano orchesse, elfi dispettosi che è bene farsi amici, giganti a tre teste che escono dalle grotte di lava, e una natura «vivente» piena di misteri, dove ogni roccia, animale o corso d’acqua può nascondere un’insidia o una presenza fatata. Storie che raccontano l’eterna lotta tra il bene e il male a colpi di magie, metamorfosi e prove di astuzia e di coraggio, ma anche l’origine di un proverbio o di un’antica credenza che fonde il sacro e il pagano, come quella degli elfi, i «figli sporchi» che Eva non è riuscita a lavare prima di una visita di Dio e che da allora dimorano negli anfratti rifuggendo ogni sguardo umano. Storie in cui i motivi di Biancaneve o della Bella addormentata hanno risvolti per noi inaspettati, e se la giustizia trionfa sempre come vuole la tradizione, punendo i malvagi e dando felicità e ricchezza ai probi, ogni fiaba ci sorprende con uno humour irriverente, un’inedita sensualità o una crudezza che ricorda le saghe. Pagina dopo pagina ci avviciniamo all’anima di un popolo che nelle solitudini boreali ha sempre viaggiato con la parola, l’immaginazione, la poesia.
Iperborea è una di quelle case editrici che hanno uno stile riconoscibile e chiaro, in una dichiarazione di intenti speciale e senza vie d’uscita. Se il tuo sguardo vaga tra gli scaffali di una libreria li riconosci sempre i loro volumi: sia per la grafica, che per il formato, ma soprattutto per i temi. Immergersi nel mondo della Islanda allora diventa una scelta consapevole e un cammino in cui perdersi e in cui riconoscere la stessa universalità delle nostre storie. L’uomo ha sempre avuto l’esigenza intransigente di raccontare, di spiegarsi in maniera speciale il mondo che lo circonda. E allora eccoli l’ elfi e magie, draghi e streghe, regine e contadini tutti contraddistinti da quei temi universali che ripercorrono le leggende di tutti i popoli. L’infinita lotta del bene contro il male si riconosce anche in paesaggi ricoperti di neve e dal clima terribile. Li riconosci anche quando segui folletti in posti che non riconosci e la sera intorno al fuoco c’è la capacità di rivivere ogni sfumatura dell’animo umano.
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In rari e preziosi casi, la potenza della letteratura è tale da far vivere il miraggio della perfezione. Lo si scorge come un miracolo sospeso, ad esempio, nella serie di poemi in prosa che compone Libertà grande, raccolta di testi vertiginosi pubblicata originariamente nel 1946 e poi arricchita per oltre un ventennio da uno dei maestri di stile del Novecento francese. Attraversando deserti di ghiaccio, architetture trasfigurate dalla luce dell’alba e porti affollati di vele notturne Julien Gracq si abbandona a suggestioni dal sapore surrealista senza per questo rinunciare al nitore classico della frase cesellata né tantomeno a un gusto romanzesco capace di donare un afflato d’avventura a ogni paesaggio. Diario di viaggi immaginari e taccuino di estasi letterarie, Libertà grande è una celebrazione, un inno, un incantesimo dove la lingua si dispiega nel suo massimo potere evocativo e la parola è l’orizzonte in cui gli esseri umani abitano il mondo.
L’Orma Editore è una delle mie case editrici preferite e mi ha sempre regalato dei testi unici e particolari che mi hanno affascinata con la loro magia. Di Julien Gracq volevo leggere “La riva delle sirti” ma ancora non sono riuscita a iniziarlo, ma questo volume di racconti mi ha dato un assaggio della potenza della sua scrittura. Non so bene come descriverlo perché le atmosfere sognanti delle sue descrizioni sono difficili da riportare su carta ma l’espediente che usa è uno dei miei preferiti. I diari di viaggio e la descrizione di città mi hanno sempre incantato fin da quando mi è capitato in mano per la prima volta “Città invisibili” di Calvino, e questo migrare ininterrotto, questo mettersi in cammino verso un mondo sconosciuto mi ha sempre affascinato. Julien Gracq ha dalla sua l’abilità di dare in un rapido colpo d’occhio lo scorcio di prospettive uniche, delle albe indimenticabili, porti che si spalancano di fronte allo sguardo con la potenza di un sogno. Ogni prospettiva è unica e affascinante e allo stesso tempo incastonata in un percorso vagamente onirico, tutto nei suoi racconti ha il brillio del ghiaccio colpito dal sole e il freddo spettrale della notte.
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Una fine che si approssima e di cui si intravedono le crepe nella parete, questo è l’incombente senso di minaccia e l’anticipo di liberazione che si deve provare dentro un uovo, un guscio protettivo e autosufficiente dove ci si prepara alla sopravvivenza in un mondo esterno probabilmente pericoloso. E proprio in quest’uovo pronto a schiudersi sembrano vivere le donne ritratte in questi racconti da Margaret Atwood, ognuna di loro, come nella favola di Barbablù, ha una chiave per entrare in una stanza segreta e ha tutta l’intenzione di usarla. Magari per abbandonarsi a reminiscenze seguendo un flusso che le conduce all’idillio di un’ultima lunga estate al riparo dalla vita adulta, trascorsa nei boschi a sfuggire da un fidanzato noioso oppure in un mare dove l’orizzonte è chiuso da ingombranti mercantili. Le Betty e le Loulou di questo mondo, impegolate come sono in complicatissimi ménage domestici, tentano di tenere tutto assieme rimandando l’inevitabile crollo, che sia con un gruppo di poeti sfaccendati che dipendono dall’unica donna della casa o una fragile esistenza fatta di colazioni accanto a un marito fedifrago. In questi momenti in cui la fine dei tempi sembra farsi quotidiana, Atwood è ancora capace di sgretolare il rivestimento di cui sono circonfuse le nostre vite per metterne a nudo tic e manie, paure e slanci.
Margaret Atwood è una donna affascinante che potrebbe parlare per ore e io starei lì ad ascoltarla ricordare aneddoti rapita. E anche in questa raccolta di racconti ritroviamo tutta la forza della sua penna. Ricordo perfettamente di aver comprato questo volume in una libreria caffè di Torino insieme ad un mio amico perché ero rimasta affascinata dalla copertina. Questo blu piuttosto opaco e poco sgargiante, il titolo evocativo come pochi, e la firma inconfondibile di una donna che mi incanta. Leggerlo è stato come entrare nelle stanze di Barbalù ma soprattutto in un mondo di donne che non sono mai troppo libere, troppo felici, troppo indipendenti. Ogni racconto apre uno scorcio, una consapevolezza, una via. Sembra tutto semplice e lineare, poi ti avvicini ed emergono i problemi sotterrati in giardino, ti avvicini e scopri le idiosincrasie di un mondo che ci vuole fragili ma capaci di mandare avanti una casa, delicate ma forti abbastanza per mettere al mondo dei figli, femminili ma non così provocanti da attrarre attenzioni indesiderate. Il contraltare di vite piene di opportunità che sono compromessi imprescindibili e lacrime di fronte alla sfortuna di aver incontrato la persona sbagliata al momento sbagliato. Ma d’altronde le nostre vite non sono mai semplici e la Atwood non indora mai la pillola, ma le sue parole sono sempre un faro.
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“Fra le tue dita gelate”, dedicato all’amata moglie Carmen Farell, il “mágico fantasma” che attraversa impalpabile il respiro di ogni pagina, è considerato all’unanimità il capolavoro di Francisco Tario, enigmatico protagonista della letteratura messicana del Novecento. Scritti con una prosa di inquietante bellezza, i racconti surreali, grotteschi e sensuali qui riuniti illuminano i varchi di accesso verso una dimensione altra che scorre parallela alla comune percezione, disseminando il testo di anticipazioni che solo i lettori più scaltri sapranno individuare e svelando, solo in parte, l’enigma della narrazione. Nascite mostruose, oceani voraci e amori chimerici: lo spirito avanguardistico di Tario avverte il lettore di trovarsi sul terreno sdrucciolevole tra la veglia e il sogno, tra l’incubo e il ricordo, e che il solo modo di uscirne è attraversarlo, facendo attenzione a non scivolare per sempre nel lato del possibile.
Ah ho letto questa raccolta perché Cristina di Safarà mi ha incantato con la sua descrizioni quando sono passata a trovarla all’ultimo Salone del Libro qui a Torino. Sicuramente non è un libro facile e sicuramente è una di quelle raccolte in cui devi credere e ti devi lasciare circondare. Francisco Tario ha uno stile che non scende a compromessi che si diverte a muoversi in un mondo che è pieno di sfumature, è un equilibrista sulle pagine che diventano una tela in cui disegnare qualsiasi cosa. Incasellarlo in qualche etichetta diventa impossibile perché le pagine si affastellano in una corsa che  diventa contraddittoria e impossibile, ma proprio per questo irresistibile. Ogni racconto riprende un tema, lo esacerba alla ricerca profonda di una verità che resta sepolta negli intenti dello scrittore. Evocare le sue immagini più sconvolgenti, contraddittorie e inquietanti diventa difficile ma sicuramente immergersi nel suo mondo un’esperienza da ripetere.
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Ogni ossessione a Sferopoli è già stata catalogata, qualsiasi mito o superstizione trova conferma, i sogni sono moneta corrente, la letteratura è l'unica divinità. Nella geografia immaginaria e nella filologia fantastica di questo libro può capitare che il carteggio fra una padrona di casa e un inquilino precipiti in un contrappasso metafisico, e che al calar delle tenebre i teschi si raccolgano intorno a quello fra loro più loquace; che il tema assegnato da un maestro elementare susciti un maleficio, o che un esame universitario sia l'occasione per uno studente impreparato di esibirsi in uno sfoggio linguistico ultraterreno. A furia di passeggiare rimirando ogni angolo di questa dimensione, al turista potrebbe venire fame: è allora che scoprirà quanto da bambino Mozart andasse pazzo per il gorgonzola, e solo dopo aver messo in tasca una ricetta per la coda alla vaccinara potrà proseguire la visita. Non mancheranno le dispute: se si è fortunati si incontreranno gli otto rabbini più potenti del mondo pronti a sfidarsi in una gara di golem, o due parroci rivali disposti a tutto pur di raccogliere i funghi migliori. Dopo la «finzione autobiografica» di Leggenda privata, Michele Mari torna a una delle forme più congeniali: il racconto. Con la fiducia affabulatoria di chi, esplorando le infinite possibilità del genere, sa di poter sorprendere – oltre i suoi lettori – prima di tutto se stesso.
Puntavo il libro di Mari da un sacco di tempo perché proprio come quello di Julien Gracq mi ricordava le atmosfere delle città di Calvino. Ma devo dire che in realtà mi ero immaginata tutto un libro, con esattamente il mood della scoperta, la vividezza delle immagini e lo pregustavo così tanto che sono rimasta interdetta quando mi sono trovata davanti effettivamente “Le maestose rovine di Sferopoli”. Sono ancora indecisa nell’affermare se mi sia piaciuto o no, ma non è colpa del racconto di Mari ma solo della mia fantasia. Effettivamente è un libro di città, ma è anche una raccolta di immagini e di tradizioni (la storia del Gorgonzola davvero molto divertente). Si è un po’ turisti e un po’ storici, un po’ esperti di cibo e un po’ sognatori mentre si esplora il mondo immaginario di Mari che fonda le sue radici esattamente al centro delle nostre leggende e abitudini più consolidate. Si esplora, si scopre e si sogna in un intreccio di possibilità che rendono possibile qualsiasi cosa anche il tracimare in mondi che sono tutt’altro che perfetti.
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giallofever2 · 6 years ago
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Cannibal Ballad. Il cinema selvaggio di Ruggero Deodato
Libro di Davide Magnisi e Gordiano Lupi
Descrizione
Regista eclettico, capace di attraversare tutti i generi cinematografici, segnandoli con la lezione realista del suo mentore Roberto Rossellini, Ruggero Deodato deve la sua fama a una straordinaria abilità tecnica e narrativa nel rappresentare la violenza della società contemporanea. Il libro analizza tutti i suoi film e i temi del suo cinema e contiene una lunga intervista al regista e ai protagonisti di, tra gli altri, "Ondata di piacere", "Ultimo mondo cannibale", "Cannibal Holocaust", "La casa sperduta nel parco", "Ballad In Blood”
Editore Ass. Culturale Edizioni Il Foglio Piombino
Data di pubblicazione 30 gen 2019
Lingua Italiano
Pagine 500
#cannibalballad #gordianolupi #davidemagnisi #ruggerodeodato #edizioniilfoglio #edizioniilfoglioletterario #ilfoglioletterario #giallofever
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stilouniverse · 2 years ago
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Massimo Santini - Luca Santini "Il mio cuore elettrico", Edizioni Il Foglio
Massimo Santini – Luca Santini “Il mio cuore elettrico”, Edizioni Il Foglio
Guida (per tutti) alla scoperta delle Aritmie Cardiache «Guida alla scoperta del nostro cuore. Tutto ciò che forse già sapete o pensate di sapere. Tutto ciò che non conoscete e vi piacerebbe conoscere».  Un libro divulgativo per spiegare a chiunque, in termini semplici, le aritmie del nostro cuore: è quanto si prefigge il Cuore di Roma Onlus – organizzazione no-profit deputata all’educazione…
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nipresa · 4 years ago
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Sempre per la rubrica MA QUANTO SONO INTELLIGENTI AL FOGLIO, DIOMIO MA COME FANNOOOOO???, scopro dalla rassegna stampa di oggi un articolo in cui si dice che ad ascoltare gli interventi beceri in Senato della destra contro il DDL Zan viene il sospetto che ci sia davvero la regia di qualche autocrate dell'est (e fin qui…) perché sono il miglior spot possibile contro… la democrazia parlamentare. Oh, io ero convinto che fossero un lunghissimo spot contro le persone che la legge dovrebbe tutelare, derise e ridotte a macchiette che comprano bambini su internet e decidono giorno per giorno se sentirsi uomo, donna o chissà, e invece è in pericolo la democrazia parlamentare. MA QUANTO SONO INTELLIGENTIIIIIIIIIIII? (per inciso, oggi la loro collana sui classici del pensiero cancellato offre Il grande Gatsby, al momento disponibile su amazon, solo in italiano, in non meno di DODICI DIVERSE EDIZIONI) (via Valerio Lundini Una Pezza Di Lundini GIF - ValerioLundini UnaPezzaDiLundini EmanuelaFanelli - Discover & Share GIFs)
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iannozzigiuseppe · 1 year ago
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Da "Il male peggiore. Storie di scrittori e di donne" di Iannozzi Giuseppe: "Binario morto" - Ass. Culturale Il Foglio
Binario morto da “Il male peggiore” di Giuseppe Iannozzi Ho seguito il binario del treno fino a consumare le suole delle scarpe. L’ho seguito per giorni interi, fermandomi solo per dormire, mangiare e bere. L’ho seguito perché non avevo altre possibilità. Alla fine ho scoperto d’esser in faccia al tramonto, a un binario morto. Ho camminato tanto, fino a piagarmi i piedi, ed è stato come se mai…
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suite116 · 4 years ago
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“Questa è la travolgente e irresistibile storia di un professore di disegno all’Académie des Beaux-Arts di Parigi, che si chiama Joann Sfar e che una mattina all’alba viene svegliato dal direttore dell’Istituto che lo convoca per partecipare a un dibattito pubblico con la ministra della Cultura dedicato alle molestie sessuali. Da questa «pubblica rappresentazione» a uso dei media parte una cavalcata a metà tra romanzo e manuale di storia dell’arte in cui l’autore rivendica con forza la sua idea del disegno e della percezione della realtà, per lanciare i suoi strali quasi céliniani contro il «corretto» e il «conforme». Questo terzo capitolo del romanzo autobiografico di uno dei più geniali autori del nostro tempo affronta, fra mille altre cose, una questione cruciale di questa nostra strana epoca, una rivoluzione culturale che ha sconvolto la vita di tutti noi dentro questa era cattiva e che non vuole più essere né disegnata né rappresentata. Il modello dal vero si ribella, esce dal foglio o dalla tela, strappa il pennello dalle mani del pittore e gli dice: è finita per te, caro mio, adesso il mio ritratto me lo faccio da solo”
(via Modello dal vero - Edizioni Clichy)
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alemicheli76 · 1 year ago
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“Giacomo Giacomo” di Giuseppe Pulina, Maxottantotto edizioni. Romanzo di formazione. A cura di Jessica Dichiara
Sono stata la penna di molte persone reali, soprattutto disabili che non avevano la possibilità di scrivere per sé. La mia mano era appoggiata sul foglio ma non ero io a scrivere e i vari personaggi che nascevano tra le righe non erano creature mie ma appartenevano alla mente e alla voce dell’autore-protagonista della storia. Così quando nel preambolo Giuseppe Pulina ribadisce il ruolo di…
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giancarlonicoli · 1 year ago
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3 set 2023 11:00
“GINO E MICHELE? SONO SPREGIUDICATI. DA FLAVIO BRIATORE TE LO ASPETTI, NON DA CHI FINGE DI ESSERE UN “COMPAGNO” – MAURIZIO MILANI, UNO DEI FONDATORI DELLO STORICO ZELIG, ATTACCA: “NON MI HANNO PIÙ CHIAMATO, MA POSSO CAPIRLI PERCHÉ HANNO DATO ALLO 'ZELIG' UN TAGLIO DA VILLAGGIO TURISTICO - CON FABIO FAZIO HO LAVORATO IN SEI EDIZIONI DI 'CHE TEMPO CHE FA' MA PER LA COLLABORAZIONE CON 'IL FOGLIO' MI SONO ACCORTO CHE MI FACEVANO MOBBING. NON VOLEVO RIMANERE DI FIANCO A FILIPPA LAGERBÄCK COME UN FIGURANTE" - "PAOLO ROSSI? UN FURBO. BEBO STORTI? ARRIVAVA ALLA CAZZO DI CANE MEZZ’ORA PRIMA DI SALIRE SUL PALCO" -  E SU VALERIO AIRO’ SPIEGA CHE… - VIDEO -
Gianmarco Aimi per www.rollingstone.it 
Qualche tempo fa circolava sui social una foto, in bianco e nero, dov’erano ritratti alcuni dei comici più significativi della scorsa generazione: Aldo, Giovanni e Giacomo, Antonio Albanese, Antonio Cornacchione e… “l’ultimo a destra”. Era Maurizio Milani, che con quel manipolo di cabarettisti è stato uno dei fondatori dello storico Zelig, il locale milanese che ha sfornato i migliori talenti dell’umorismo a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 ma che, a differenza degli altri, ha raccolto – almeno a livello di notorietà – molto meno di quello che in tanti si sarebbero aspettati. Surreale, caustico, disincantato, il collega Daniele Luttazzi, di certo non tenero nei giudizi, lo ha incensato: «Fra noi comici ci sono come delle gerarchie, e lui in questo momento è Dio».
(...)
Ormai il tuo “posto fisso” è a Il Foglio, dove collabori da anni.
Devo ringraziare della segnalazione Mariarosa Mancuso, che mi ha fatto conoscere all’allora direttore Giuliano Ferrara. Lui mi dedicò anche una puntata monografica su La7. Finché c’è stato il produttore Paolo Guerra ho sempre lavorato (è venuto a mancare nel 2020, nda), oggi faccio un po’ più fatica. I produttori più potenti sono Beppe Caschetto e Lucio Presta, che vendono programmi alle tv a scatola chiusa. Anche se poi in Rai si lamentano le maestranze.
(...) A Bolzano con Paolo Rossi inciampai per davvero in una cassa acustica e le persone cominciarono a ridere. La sera dopo l’abbiamo inserito nel copione e hanno riso in due. Si percepiva che era finto. Anche se mangi le parole o sbagli i congiuntivi va bene, ma risulti fresco e arrivi. Poi c’è chi esagera, come Bebo Storti.
È famoso per il personaggio del Conte Uguccione. Che cosa faceva?
Lui non preparava nulla, una roba da pazzi. Almeno un canovaccio su un’ora e mezza di spettacolo dovresti averlo, lui niente. A Forlì il direttore del teatro alla fine ci ha detto: «Una roba così non l’ho mai vista, non so neanche dire se è bella o è brutta». Un’altra volta al Ciak di Roma, arriviamo in camerino e la moglie di Bebo ci fa: «Non si viene qui a fare queste figure…». È come se io e te adesso salissimo sul palco a improvvisare per un’ora.
Dopo ci avete riso sopra o è qualcosa su cui si recrimina?
Bebo aveva questa caratteristica: se ingranava subito l’improvvisazione andava alla grande, ma se non succedeva era facile prendere i fischi. Come a Livorno, siamo andati davanti alla gente ma si capiva che non avevamo voglia di lavorare. Al teatro Goldoni a Venezia altra situazione imbarazzante con me e Dario Vergassola, non rideva nessuno. Ma proprio perché non rideva nessuno, paradossalmente, c’era una signora in prima fila che rideva come una matta. Una scena talmente parossistica che si è trasformata in un successo.
È anche per questa vena da improvvisatore che non ti abbiamo mai visto al cinema?
Può essere, eppure Bebo Storti lo ha fatto. Anche Paolo Rossi, che è furbo, improvvisa ma ha sempre un canovaccio al quale aggrapparsi. Bebo invece saliva sul palco alla garibaldina. Ma un conto è andare in discoteca con tutti ubriachi, un altro nei teatri importanti con il tuo spettacolo in abbonamento. E lui arrivava alla cazzo di cane mezz’ora prima. Intanto che camminiamo per le strade e nel parco pubblico della cittadina lombarda, ogni passante lo saluta con un sorriso, tanto che a un certo punto ci appartiamo in un angolo.
(...)
Dopo sei anni, dal 2003 al 2009, non ti abbiamo più visto anche a Che tempo che fa condotto da Fabio Fazio. Come mai?
Perché Fazio è bravo, però è molle. Quando ho accettato di collaborare a Il Foglio di Giuliano Ferrara, mi chiamò l’allora capo struttura di Rai3 in quota Pd, Loris Mazzetti, che mi disse: «Guarda che la linea editoriale qui è chiara e tu vai a scrivere su un giornale di Berlusconi?». Da quel momento i miei spazi sono stati ridotti e spostati nella zona meno nobile. Poi sono passato a una settimana sì e una no, a seguire solo il sabato finché una volta non mi hanno mandato in onda dicendo di aver sforato con i tempi. Così gli ho detto che non ci sarei più andato. Quando ti fanno mobbing lo capisci. Non volevo rimanere di fianco a Filippa Lagerbäck come un figurante. Fazio poteva dire qualcosa a Mazzetti, ma non lo fece.
(...)
C’è qualcuno che ti ha deluso nel mondo dello spettacolo?
Direi Gino e Michele. Non mi hanno più chiamato, ma posso capirli perché hanno dato allo Zelig un taglio da villaggio turistico. Io sono un monologhista che non ha bisogno di travestirsi con le pinne o come una drag queen. La comicità di situazione è un’altra cosa.
Insomma, con Gino e Michele sembri avere un conto aperto.
Sono stato a casa di Michele Mozzati sul lago di Varese, ha una villa della madonna. A un certo punto vado in bagno e vedo che c’è una vasca lunghissima molto strana. Così quando esco chiedo a cosa serve a Diego Parasole, un collega che era con me. E lui: «Ah non lo sai? Quella vasca fa le onde al contrario, così nuoti e intanto fai esercizio». Ed era vent’anni fa. Sai, Flavio Briatore è Flavio Briatore ed è coerente, non va a far finta di essere un “compagno” che gli spiace per il salario minimo. Così come non ti aspetti che un calciatore vada a rompere le vetrine per protestare insieme a quelli dei centri sociali.
C’è ancora chi, come hai raccontato in passato, rimane spiazzato alle tue battute?
Alcuni mi dicono: «Scusi, ma sa che lei non mi fa ridere?». La gente è ormai abituata al comico che deve avere il naso rosso tipo clown. Ma come nella musica ci sono vari generi. A me piacciono, oltre a Nino Frassica, Valerio Lundini, Nicola Vicidomini e Rocco Tanica.
Sai che c’è un giovane comico che alcuni dicono ti somigli?
Se ti riferisci a Valerio Airò, vai a vedere su Youtube i commenti ai suoi filmati. In moltissimi scrivono: “Milani come sei invecchiato bene” oppure “ma chi è il figlio di Milani?”. Mentre sotto ai miei video: “Sei uguale a Valerio Airò”. Lì però gli ho risposto: “Questo è stato girato nel 1993 a Cielito Lindo”. Lui avrà 30 anni, forse non era neanche nato. Non c’è problema, però non ditemi che sono io a copiare lui. Ma sai che ho avuto una soffiata?
Su Valerio Airò?
Mi hanno detto che lui si è messo su quella strada imbeccato da Gino e Michele e da Giancarlo Bozzo, che sono spregiudicati. Lo so perché ho ancora conoscenze all’interno di Zelig. Pare gli abbiano fatto vedere le videocassette dei miei vecchi sketch consigliandogli di prendere spunto. Pensa che quando fece un’apparizione a Sky e c’era Rocco Tanica gli disse: «Assomigli a Maurizio Milani». Lui può fare quello che vuole, ma i pezzi si sovrappongono. Mi pare stia succedendo quello che era accaduto tra Giorgio Porcaro e Diego Abatantuono.
Ti riferisci alla paternità del personaggio del “Terrunciello”?
Lo inventò Giorgio Porcaro, ma i benefici se li prese tutti Diego Abatantuono. Diego non aveva voglia di andare a scuola e la mamma, che faceva la guardarobiera al Derby, lo portava con sé. Non aveva la patente e andava in giro con i I Gatti di Vicolo Miracoli ad aggiustare le luci. Un giorno ha visto Giorgio Porcaro che interpretava il ‘Terrunciello’ e l’ha rifatto avendo successo. Un po’ come sta succedendo tra me e Airò.
Maurizio Milani ce l’ha ancora un sogno che vorrebbe realizzare?
Se ci penso, di tutti i colleghi della mia generazione sono l’unico che non ha mai fatto neanche una posa al cinema. Con Aldo Giovanni e Giacomo una volta gliel’ho detto: «Ma con tutti i film che avete fatto, cosa vi costa mettermi lì a fare il barista?». A 62 anni non sono mai stato su un set per lavorare. Non spero mi chiami Marco Bellocchio, basterebbe un regista underground. Ho fatto la tv, il teatro, i libri e i giornali, ma il cinema non è capitato.
In effetti, guardando quella foto degli inizi allo Zelig sei l’unico che manca all’appello.
E la gente sui social si chiede “chi è il primo a destra?”. Sono cose che fanno rimanere male.
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myborderland · 5 years ago
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Nel 1976 esce presso le edizioni La Nuovo Foglio un volume di ritratti fotografici di Carlo Gajani intitolato Ritratto, identità, maschera. Tra i vari personaggi presenti nel volume c’è anche Calvino. Lo scrittore ha conosciuto Gajani attraverso Gianni Celati; due volumi narrativi e sperimentali dell’autore di Comiche, Il chiodo in testa del 1974 e La bottega dei mimi del 1977, contengono fotografie di Gajani. Questi si è dedicato alla fotografia e alla pittura dopo aver esercitato la professione di medico, e prima ancora aveva studiato pianoforte al Conservatorio. L’artista bolognese è tra i primi che indaga il tema del ritratto fotografico, non solo attraverso i suoi scatti, ma interrogando, secondo lo spirito proprio dell’epoca, i suoi soggetti fotografici: propone un questionario a tutti. Dopo averli fissati in immagine li sollecita con alcune domande. Dal canto suo, in quel periodo Calvino si sta interrogando sul medesimo tema. Ne tratta in due testi, quello intitolato “Identità” (1977), che ora si legge nei Saggi dei Meridiani, e questo di risposta all’artista bolognese che potete leggere qui di seguito. 
Scrive in “Identità”, effetto anche di un seminario collettivo diretto da Lévi-Strauss, da lui seguito a Parigi: “È il fuori che definisce il dentro, nell’orizzontalità dello spazio così come nella dimensione verticale del tempo”.
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