#Il Corriere Cultura
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abr · 3 days ago
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Questo libro è la PIETRA TOMBALE DEL WOKISMO, generalizzazione del WHITE GUILT. Hic et nunc. Non l'ha scritto Cruciani o Sallusti o Feltri ma Federico Rampini, un like a boss in posti wokissimi come Repubblica, Corriere, Sole24Ore. Cari Post e HuffPost, siete solo retroguardia che difende truppe in rotta, in una terra oimé devastata (cfr. post precedente sui danni del sinistrismo sinistrato passive aggressive inculcato nelle masse).
"È ora che qualcuno lo dica: «Grazie, Occidente!». Tutto il bene che abbiamo fatto, a noi stessi e agli altri, è il supremo tabù di questa epoca.
Nelle scuole non si insegna più la storia vera del progresso, che è nato a casa nostra e dove ha avuto un ruolo anche l'Italia. Invece nelle piazze e nella cultura contemporanea siamo sotto un processo permanente. È ora di ribellarsi, in nome della verità. Cinesi o indiani, brasiliani o africani, il mondo è popolato da miliardi di persone che devono la loro stessa esistenza... a noi.
La scienza occidentale, pensiamo alla nostra medicina e alla nostra agronomia, è stata copiata e applicata dal resto dell'umanità con benefici immensi. Se la longevità è aumentata, la mortalità infantile è crollata, il livello d'istruzione è cresciuto nel mondo intero, è perché l'Occidente ha esportato progresso.
Dove si combatte per migliorare i diritti umani - per esempio la condizione della donna - il paradigma da emulare siamo noi.
Il nostro modello industriale ha sollevato dalla miseria grandi nazioni. La sfida per un'economia più sostenibile e per decarbonizzare l'ambiente sarà vinta grazie alla ricerca scientifica e all'innovazione tecnologica dell'Occidente.
Il conformismo dominante impone una versione bugiarda della storia, in cui la «razza bianca», europea o nordamericana, ha seminato solo distruzione, oppressione, sofferenze. L'idea stessa di progresso è disprezzata, siamo sottoposti a un lavaggio del cervello quotidiano per inculcare la certezza che l'Apocalisse è dietro l'angolo (per colpa nostra).
Perché la Cina e l'Iran oggi si definiscono «repubbliche», un concetto che non esiste in Confucio o nel Corano? Una lezione di onestà storica è urgente per le nuove generazioni, aiuta a ricostruire la nostra autostima e a vedere il futuro con più fiducia.
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unevaguedeprintemps · 9 days ago
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La storia delle frittelle al marsala offre uno squarcio significativo sulla presunta integrazione con cui si cerca di far credere che esiste un Islam ben distinto dall’Islam del terrorismo.
Un Islam mite, progredito, moderato, quindi pronto a capire la nostra cultura e a rispettare la nostra libertà.
Virgilio infatti ha una sorellina che va alle elementari e una nonna che fa le frittelle di riso come si usa in Toscana. Cioè con un cucchiaio di marsala dentro l’impasto.
Tempo addietro la sorellina se le portò a scuola, le offrì ai compagni di classe, e tra i compagni di classe c’è un bambino musulmano. Al bambino musulmano piacquero in modo particolare, così quel giorno tornò a casa strillando tutto contento: «Mamma, me le fai anche te le frittelle di riso al marsala? Le ho mangiate stamani a scuola e…».
Apriti cielo.
L’indomani il padre di detto bambino si presentò alla preside col Corano in pugno. Le disse che aver offerto le frittelle col liquore a suo figlio era stato un oltraggio ad Allah, e dopo aver preteso le scuse la diffidò dal lasciar portare quell’immondo cibo a scuola. Cosa per cui Virgilio mi rammenta che negli asili non si erige più il Presepe, che nelle aule si toglie dal muro il crocifisso, che nelle mense studentesche s’è abolito il maiale. Poi si pone il fatale interrogativo:
«Ma chi deve integrarsi, noi o loro?».
Oriana Fallaci
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L’integrazione é impossibile. Aveva ragione.
Fonte Corriere Del Giorno
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libriaco · 1 year ago
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Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia
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L'Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. È questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neofascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano. Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un'organizzazione culturale arcaica, all'organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini. L'omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c'è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c'è niente che distingua - ripeto, al di fuori di un comizio o di un'azione politica - un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l'omologazione è ancor più radicale.
P. P. Pasolini, dall'articolo: Gli italiani non sono più quelli in Corriere della Sera, 10 giugno 1974. Ora in: P. P. Pasolini, Il fascismo degli antifascisti, Milano, Garzanti, 2022
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pettirosso1959 · 5 months ago
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di Leo P.:
Nel 2009 Sartori, che è stato l’ultimo intellettuale liberale a pensare fuori dagli schemi, scriveva sul Corriere della Sera:
“In tempi brevi la Ca­mera dovrà pronun­ciarsi sulla cittadi­nanza e quindi, an­che, sull’‘italianizzazio­ne’ di chi, bene o male, si è accasato in casa no­stra. Il fronte ‘accogliente’ è co­stituito dalla Chiesa e dal­la sinistra. La Chiesa deve essere, si sa, misericordio­sa, mentre la xenofilia del­la sinistra è soltanto un ‘politicamente corretto’ che finora è restato male approfondito e spiegato. Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla ‘integra­bilità’ dell’islamico. Se­condo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall'espe­rienza. La domanda è allo­ra se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorpo­razione etico-politica (nei valori del sistema politi­co), in società non islami­che. La risposta è sconfor­tante: no. In­ghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritro­vano con una terza gene­razione di giovani islami­ci più infervorati e incatti­viti che mai. Il fatto sor­prende perché cinesi, giapponesi, indiani, si ac­casano senza problemi nell’Occidente pur mante­nendo le loro rispettive identità culturali e religio­se. Ma — ecco la differen­za — l’Islam non è una re­ligione domestica; è inve­ce un invasivo monotei­smo teocratico che dopo un lungo ristagno si è ri­svegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo ‘italianizzan­dolo’ è un rischio da gi­ganteschi sprovveduti, un rischio da non rischia­re”.
Ne sa qualcosa il direttore dell’organizzazione per bambini “Arche”, Wolfgang Büscher, che ogni giorno si prende cura di 7.000 giovani in 33 strutture in tutta la Germania, che rivela alla BILD: “Siamo di fronte a una catastrofe”. Emerge chiaramente dalla dichiarazione dei giovani arabi citata da Büscher: “Prima tagliamo la gola agli ebrei, poi ai gay e infine ai cristiani!”. Dice Büscher: “Non ho mai sperimentato niente di simile. Un ragazzo di 12 anni venne da me e mi disse: ‘Ti odio. Ci riprenderemo il Paese’. Rifiutano la nostra cultura, i nostri valori. Il loro odio è inimmaginabile”.
Quasi una glossa all’articolo di Sartori che oggi il Corriere non pubblicherebbe mai.
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mezzopieno-news · 1 year ago
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LA VALLE CHE SALVA I LIBRI DAL MACERO
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Salvare i libri dalla discarica, in un periodo in cui la carta rischia di essere sostituita dal digitale e la cultura sembra essere sempre più volatile.
Un’iniziativa nata nelle valli piacentine dove un gruppo di amici appassionati di libri ha deciso di costruire un’alleanza tra territorio e letteratura, creando un percorso che unisce alcuni Comuni della bassa val Trebbia in una filiera di rinascita del libro. Un sentiero dove dare la possibilità ai vecchi libri destinati al macero di tornare a vivere, di essere conosciuti, riscoperti, venduti, trasformati e valorizzati attraverso la nascita di piccole attività artigianali e artistiche di legatoria, grafica, fumetto, disegno e in generale di valorizzazione della cultura e del territorio, per riportare interesse in zone che hanno bisogno di essere ritrovate e non dimenticate, come i libri. Un modo per dare opportunità di lavoro ai giovani ma anche di salvare le collezioni di libri di privati che con le loro donazioni trovano nuovi spazi alternativi al macero.
La rete della ‘Valle dei libri’ è nata ad ottobre e comprende oggi 5 Comuni: Calendasco, Gragnano, Gazzola, Agazzano e Piozzano situati nella Val Luretta, che hanno messo a disposizione spazi e locali dove i libri donati stanno trovando posto. “L’idea è quella di caratterizzare ogni Comune con un genere; per esempio, nel castello di Rivalta confluiranno titoli di arte, architettura, design, a Gragnano, nell’ex cinema, troveranno posto libri di cinema, teatro, musica e danza” racconta Giangiacomo Schiavi, editorialista del Corriere della Sera ideatore del progetto insieme a Lanfranco Vaccari, già direttore del Secolo XIX.
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Fonte: Libertà; con il gentile contributo di Giangiacomo Schiavi; foto di Bsr Gulluk
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klimt7 · 11 months ago
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Un libro per raccogliere fondi per iniziative contro la violenza di genere sulle donne e per dare vita alla Fondazione "GIULIA CECCHETTIN"
Nella serata di oggi 3 marzo 2024, Gino Cecchettin ospite del programma "CHE TEMPO CHE FÀ" ha mantenuto la promessa fatta all'indomani dei funerali di sua figlia Giulia. Gino ha presentato il libro dedicato alla memoria di Giulia e a raccogliere fondi per organizzare eventi e iniziative per lottare contro la Violenza di Genere sulle donne.
Dal giorno dei funerali della figlia Giulia, Gino Cecchettin ha scelto di condividere il proprio dolore cercando di affrontarlo e renderlo costruttivo perché possa essere di aiuto alle giovani e ai giovani del nostro Paese. In questo libro, attraverso la storia di Giulia, si interroga sulle radici profonde della cultura patriarcale della nostra società.
«Tu in questi giorni sei diventata un simbolo pubblico», scrive Gino Cecchettin alla figlia Giulia e a quanti vorranno ascoltare le sue sofferte parole di impegno, di consapevolezza e di coraggio. «Sei la mia Giulia e sarai per sempre la mia Giulia. Ma non sei più solo questo. Tu dopo quanto è successo sei anche la Giulia di tutti, quella che sta parlando a tutti. E io sento forte il dovere di manifestare al mondo che persona eri e, soprattutto, di cercare attraverso questo di fare in modo che altre persone si pongano le mie stesse domande».
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Il Corriere della Sera ha appena pubblicato un brano quale anticipazione dell'opera che sarà in tutte le librerie a partire dal 5 marzo.
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" imparare a danzare sotto la pioggia... "
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bicheco · 2 years ago
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Servitù volontaria
Va letta e riletta, la lettera di Ricardo Franco Levi, “Commissario Fiera del Libro di Francoforte del 2024”, che comunica al “professore carissimo” Carlo Rovelli di aver annullato la sua lezione alla Buchmesse dell’anno prossimo per i delitti di pacifismo e leso Crosetto. “Con grande pena, ma senza infingimenti”. Per non trasformare “un’occasione di festa e giusto orgoglio nazionale in motivo di imbarazzo per chi rappresenterà l’Italia… al massimo livello istituzionale”. Il dolente scrivente avverte tutto “il peso di questa lettera, che mai avrei voluto scrivere” (sic) e spera “che possa contribuire a non farmi perdere la sua amicizia”. Gran finale: “Con l’augurio di poter presto leggere un suo nuovo libro… le invio il migliore dei saluti”. Manca solo l’epigrafe che Longanesi voleva stampare sul Tricolore: “Tengo famiglia”.
La lettera è un reperto d’epoca, anzi d’epoche, perché avrebbe potuto scriverla qualunque prototipo d’intellettuale italiano in uno qualsiasi degli ultimi sei o sette secoli. È un capolavoro di servitù volontaria, dunque non richiesta, che spiega perché qui l’unica cultura degna di nota è quella autoritaria, qualunque sia l’autorità: l’intellighenzia non si concepisce come contropotere, ma come protesi e lingua del potere. Ha sempre bisogno di un padrone da servire. Se il padrone ordina, obbedisce. Se l’ordine non arriva, lo previene. Se il padrone cade, se ne cerca un altro. E non cambia mai idea, non avendone di proprie: cambia soltanto padrone. Il tapino Ricardo (con una c sola) – già giornalista per insufficienza di prove di Sole 24 ore, Corriere, Giorno, Messaggero e Stampa, fondatore-affondatore dell’Indipendente “liberal” (senza e), sottosegretario di Prodi, portavoce di Veltroni e ora presidente degli editori – è persino sincero, nella sua viscida cortigianeria censoria. Per lui, come per ogni maggiordomo, un intellettuale che critica il potere non è normalità democratica: è un’anomalia da stroncare prima che faccia precedente. Più del censore, che ora si rende due volte ridicolo con la retromarcia per ordine del governo, fanno pena i censori del censore (tipo Crosetto, che aveva invitato Rovelli a occuparsi di buchi bianchi e non del buco nero dei suoi conflitti d’interessi armati). Sono come Levi: per 15 mesi hanno stilato liste di fantomatici putiniani, silenziato e insultato i pacifisti, tentato di chiudere i programmi che li ospitano, ostracizzato artisti e autori russi (memorabile, ieri, il teatrino di Vespa e altri camerieri ai piedi di Zelensky). Ora la censura “liberal” e “progressista” si salda con quella della destra, che ne raccoglie i frutti senza neppure muovere un dito. Come disse Mussolini negli ultimi giorni di Salò: “Come si fa a non diventare padrone in un Paese di servi?”.
Marco Travaglio
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m2024a · 4 months ago
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.Sammy Basso, malore al ristorante: è morto a 28 anni. Era il più longevo malato di Progeria Sammy Basso ha avuto un malore al ristorante sabato sera 5 ottobre e poco dopo è morto all'età di 28 anni. Da Sanremo all’Università, il giovane vicentino ha fatto conoscere la sua malattia rara, la Progeria, che provoca l’invecchiamento precoce anche se non altera la mente. Sammy Basso: «La progeria? Vivo con leggerezza, preferisco le domande alla curiosità morbosa» L'annuncio della morte A diffondere la notizia attraverso i social lo staff dell'Associazione Italiana Progeria (A.I.Pro.Sa.B.) che proprio Sammy aveva fondato nel 2005 per diffondere le conoscenze sulla propria malattia e per promuovere la ricerca su di essa.   Il giorno prima aveva ricevuto il Premio Paolo Rizzi Lo scrittore e attivista Sammy Basso venerdì 4 ottobre aveva ricevuto il Premio Paolo Rizzi per la sezione Società, con il vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini e la scrittrice Melania Mazzucco per la sezione Cultura. Il Premio Paolo Rizzi, patrocinato dall'Ordine dei giornalisti del Veneto, dal Gazzettino, dal Comune di Venezia e dalla Regione Veneto è stato istituito nel 2010 per ricordare la storica firma del quotidiano veneziano La cerimonia di premiazione si è tenuta nella Sala Grande di San Rocco. A rappresentare il Comune di Venezia c'era l'assessore Michele Zuin.   Chi era Sammy Basso Nato a Schio il 1 dicembre 1995, si è laureato con 110 e lode in scienze naturali con indirizzo biologico molecolare all'Università di Padova nel luglio 2018 presentando una tesi dedicata all'esistenza di terapie per rallentare il decorso della propria patologia. Per farsi conoscere ha documentato il suo viaggio negli USA, lungo la Route 66, scrivendo un libro, intitolato Il viaggio di Sammy , e registrando una serie di episodi per il canale Nat Geo People di Sky. Lo staff lo staff dell'Associazione Italiana Progeria sui social ha scritto: “Oggi la nostra luce, la nostra guida, si è spenta. Grazie Sammy per averci reso partecipi di questa vita meravigliosa. Ci stringiamo attorno alla famiglia e agli amici nel rispetto del dolore in questo delicato momento di lutto”. Sammy Basso è morto sabato 5 ottobre. Era rientrato qualche giorno fa da un viaggio in Cina.   La famiglia Sammy viveva con la famiglia a Tezze sul Brenta. Nonostante la malattia, dopo aver conseguito la maturità scientifica al Liceo Scientifico St. "J. Da Ponte" di Bassano del Grappa, nell'anno accademico 2014-2015 si è immatricolato al corso di laurea di Fisica presso l'Università degli Studi di Padova per poi passare al corso di Scienze naturali. Il suo sogno, una volta completati gli studi, era di lavorare presso il CERN di Ginevra. Un anno dopo si iscrive inoltre alla Facoltà di Scienze naturali con l'intento di approfondire, una volta conclusi gli studi, la ricerca sulla progeria. Il 23 marzo 2021 consegue la laurea magistrale in Molecular Biology all'Università di Padova. Il 7 giugno 2019 ha ricevuto le insegne del Cavalierato dell'Ordine al Merito della Repubblica di cui era stato insignito motu proprio dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
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abr · 10 months ago
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il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati».
Sahra Wagenknecht. I detrattori la accusano di essere populista, (...) il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. (...) Sulla porta (del suo ufficio) è ancora appesa la targa del suo precedente partito, la Linke. (...)
Perché un nuovo partito? A chi puntate? «Alle persone con redditi medi o bassi. Dimenticate (...) dalla sinistra. (...) Prendete i Verdi, so che suona come un cliché: quelli che li votano, hanno un’istruzione accademica, vivono in centro, fanno la spesa nei negozi bio, guidano auto elettriche. Vogliono vietare gli aerei a tutti, spiegano perché non si dovrebbero fare le vacanze a Maiorca e poi volano in tutto il mondo. E' questa doppia morale che fa arrabbiare la gente».
«(M)olti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra. Ma non perché siano razzisti, nazionalisti, bensì perché (...) nessuno difende i loro interessi».(...) «(Noi) siamo conservatori di sinistra. Com’eravamo un tempo, prima di quest’ondata identitaria, prima dei discorsi woke».
Torniamo al diciannovesimo secolo? «No, alla Spd di Willy Brandt. Non siamo retrogradi, omofobi, grazie a Dio con queste tesi non abbiamo nulla a che fare. Ma dalla cannabis alla prostituzione, perfino sull’aborto — certo che sono a favore dell’aborto, ma non all’ottavo mese, e neppure al sesto — la sinistra ha preso una serie di posizioni sbagliate». (...)
«Per quanto riguarda l’Ucraina, (h)a ragione il Papa. Ci devono essere i negoziati, ora». Quindi tacciano le armi, e poi vediamo che fa Putin? «(...) L’avessero fatto sei mesi fa, sarebbe stato meglio. (I)l Papa (n)on ha parlato di capitolazione, ma del modo per non portare il Paese al suicidio. Io credo che Zelensky non abbia nessuna possibilità di vincere, alimentare quest’illusione è pericoloso». Non pensa che (...) Putin potrebbe attaccare la Polonia (o L'Estonia)? «No, perché non è in grado di farlo. L’esercito russo ha fallito nel prendere Kiev. Che possano reggere un confronto con la Nato lo escludo». (...)
Cosa pensa della Ue? «Che si dovrebbe concentrare su quello che può regolamentare. Noi vogliamo smantellare la centralizzazione. Siamo per l’Europa delle democrazie sovrane. (...) In ogni caso, noi non vogliamo conservare l’attuale Europa, ma cambiarla».
Suo padre era iraniano, il suo vice Fabio Masi ha origini italiane. Perché — con questi legami — è così contraria all’immigrazione? «Non siamo in principio contro l’immigrazione. I problemi nascono quando sono in troppi ad arrivare (...). Si crea un sovraccarico. L’altro punto critico è quando l’identità di alcune comunità di migranti si fonda sul rifiuto della cultura del Paese ospitante. Guardiamo cosa succede in Francia, dove ci sono realtà parallele inaccettabili nelle quali si pratica un Islam radicale».
«Per me la caduta del Muro è stata una liberazione. Avevo difficoltà nella Germania dell’Est, volevo le riforme, avevo criticato i vertici, la pianificazione centralizzata. Non ho trovato posto all’università nonostante gli ottimi voti. Mi avevano proposto di fare la segretaria: allora ho risposto che sarei rimasta a casa a leggere, e avrei vissuto dando ripetizioni. La «Svolta» per me è stata una benedizione, ho potuto studiare. (...)».
via https://www.lafionda.org/2024/03/28/parola-a-sahra-wagenknecht-unintervista/, riporta una intervista al Corriere.
Segni di vita intelligente a sinistra. Pur sempre statalismo, ma perlomeno mitigato dal nazionalismo identitario. Aspettiamo le due o tre generazioni che servono per veder questi segni propagati anche qui, giù nella provincia arcadica, guarda caso sempre più incazzata e stracciona.
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carmenvicinanza · 8 months ago
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Biki
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Biki è stata una importante imprenditrice della moda che ha contribuito a lanciare il made in Italy nel mondo.
Ha vestito attrici e teste coronate e, soprattutto, ha forgiato lo stile di Maria Callas che si affidava completamente al suo gusto.
Nata a Milano il 1 giugno 1906 come Elvira Leonardi, portava il nome della nonna, sposata in seconde nozze con il compositore Giacomo Puccini che era solito chiamarla affettuosamente col soprannome Bicchi, birichina, più tardi trasformato in Biki, su suggerimento di Gabriele D’Annunzio. Cresciuta in un ambiente colto e raffinato, tra musica, teatro e arte, aveva sviluppato, sin da piccola, un gusto naturale per l’eleganza.
Aveva imparato a fare la maglia e cucire grazie alla nonna Elvira, durante la Grande Guerra. Dopo gli studi al liceo Manzoni, frequentando il mondo dell’arte e della cultura, aveva viaggiato spesso in Europa per seguire le tournée di Arturo Toscanini, padre della sua cara amica Wally, in Francia, allora patria della moda mondiale, aveva avuto modo di apprezzare lo stile dei couturiers e trarne ispirazione.
Nel 1934, la sua prima esperienza imprenditoriale è stata Domina, casa di biancheria intima che proponeva camicie da notte che somigliavano ad abiti da sera, scollate, trasparenti e sensuali che destarono scandalo e, insieme, ammirazione.
Dopo il successo del nuovo modo di vestire la notte, decise di mettersi in proprio e creare capi di alta sartoria, abiti da gran sera e tailleurs. In breve era diventata la sarta delle maggiori personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della finanza.
Nel settembre 1936 ha sposato Robert Bouyeure, antiquario francese, con il quale ebbe una forte intesa anche in campo lavorativo. L’anno seguente nacque la loro figlia Roberta, che ha seguito le orme della madre e lavorato con lei fino alla fine.
Dopo la crisi provocata dalla guerra, per risollevarsi, ebbe l’intuizione di mettere la sua arte al servizio delle mutate esigenze sociali e, in un clima profondamente cambiato, pur restando fedele al suo stile, lanciare la prima linea di prêt-à-porter.
Per prima, per sostenere i costi, ha utilizzato fibre sintetiche e artificiali e costruito alleanze con fabbriche di tessuti.
Il suo stile si caratterizzava per gli accostamenti audaci di colori e di tessuti, come il blu marino e il verde mela, il viola e il blu, il giallo e l’arancio, e l’unione di pelle e chiffon, tela e jersey di seta, feltro e raso.
Dalla metà dei Cinquanta alla metà dei Sessanta ha consolidato uno stile italiano che non imitava più la haute couture francese.
È stato il suo decennio d’oro. Grazie al contributo del couturier francese Alain Reynaud, marito di sua figlia, la sua maison ha conosciuto uno sviluppo internazionale. La trasgressione lasciava il posto alla linearità e impeccabilità dello stile.
In quegli anni ha aperto negozi in varie località italiane e svizzere, come Saint Moritz, Portofino e Roma e poi ancora in Francia, negli Stati Uniti e ancora in Giappone, dove ebbe grande popolarità.
È stata questa l’epoca della cliente più nota, Maria Callas, conosciuta nel 1951, di cui ha inventato il look e che, da testimonial d’eccellenza, con le sue tournée in giro per il mondo aveva rafforzato la fama della sartoria. Il loro è stato un sodalizio iconico di amicizia e stile.
È di Biki anche l’abito nero indossato da Jeanne Moreau nel film La notte di Michelangelo Antonioni, del 1961.
Questa signora appartenente a una classe sociale che non aveva bisogno di lavorare, si è impegnata fino all’ultimo giorno della sua vita. Non amava farsi chiamare stilista ma semplicemente sarta. Insignita del titolo di Commendatore prima e di Grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, poi, è stata, per diversi anni, nel consiglio d’amministrazione del Corriere della Sera. 
Aveva ereditato dalla madre, che si era risposata con Mario Crespi, uno dei maggiori proprietari, una grossa fetta di azioni dell’impero editoriale.
Ha tenuto rubriche di moda su varie riviste e alla radio.
Dopo gli anni sessanta, che hanno visto il fiorire della rivoluzione anche negli abiti, in contro tendenza, ha lanciato una moda molto sobria, destabilizzando coi suoi abiti da sera confezionati in tweed.
Ha abbandonato le passerelle solo negli anni Ottanta, per dedicarsi al nascente mercato asiatico e alla sua Biki-Japan.
Con la sua morte, avvenuta il 24 febbraio 1999, la maison è stata chiusa.
La documentazione relativa alla sua vita e attività creativa, è depositata presso le Civiche Raccolte Storiche del Comune di Milano.
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agrpress-blog · 8 months ago
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“Ritorno in Puglia” di Marco Ferrante presentato nella Biblioteca di Sacrofano “Al Tempo Ritrovato” È stato presentato giovedì 23... #altemporitrovato #andreagaribaldi #bibliotecacomunale #bompiani #katianani #libreria #madiamauro #marcoferrante #piantaparole #ritornoinpuglia #sacrofano #vandabraghetta https://agrpress.it/ritorno-in-puglia-di-marco-ferrante-presentato-nella-biblioteca-di-sacrofano-al-tempo-ritrovato/?feed_id=5473&_unique_id=66522aab20e96
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enkeynetwork · 10 months ago
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paoloferrario · 11 months ago
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Emanuele Trevi, La vecchiaia? E' un balcone, di Emanuele Trevi, in Corriere della Sera 15 marzo 2024. Recensione di: Domenico Starnone, Il vecchio al mare, Einaudi, 2024
letto in edizione cartacea cerca in: cerca in: https://www.corriere.it/cultura
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italiaefriends · 11 months ago
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"Ne uccide più la penna....." di Francesca Tofanari
“Ne uccide più la penna….” è l’ultimo libro di Francesca Tofanari, giornalista che collabora con il Corriere della Sera nelle pagine locali di cultura e ottima scrittrice di gialli al femminile. Con questo suo ultimo lavoro dal Francesca immerge il lettore al centro di un intricato mistero.La morte di una vigilessa, uccisa con un tacco Louboutin e quella di una scrittrice ritrovata in un pozzo…
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'A MUZZARELL'
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✔️ 𝐒𝐓𝐑𝐄𝐀𝐌𝐈𝐍𝐆 𝐎𝐑𝐀 𝐐𝐔𝐈 ▶ https://t.co/w41Mz105pg
:: Trama 'A Muzzarell' ::
Daniele, dodicenne di Castel Volturno, sta per perdere sua nonna che vive a 40 km di distanza, a Bagnoli nei Campi Flegrei, la sua ultima volontà: mangiare una mozzarella fatta dal figlio, il padre di Daniele, allevatore di bufale. Il ragazzo decide di accontentare la nonna ed intraprende un viaggio, prima in motorino e poi a piedi, in compagnia della sua crush, Martina. Il viaggio diventa un percorso alla scoperta di se stesso e al tempo stesso una via di fuga dalla realtà. Alla morsa della droga e dell'emarginazione sociale, al clan di spacciatori, di cui rischia di diventare corriere, si oppongono incontri imprevisti con persone non comuni ed esperienze paranormali, che affiorano con insistenza scatenando in Daniele ricordi di un'età felice dimenticata troppo presto o addirittura mai vissuta. Su tutto aleggia la misteriosa presenza di una donna che appare in diverse vesti ed età e che sembra affiancarlo nel suo viaggio verso la libertà.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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giancarlonicoli · 1 year ago
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17 gen 2024 18:26
“SONO CONTRARIO A QUALUNQUE FORMA DI SANZIONE PENALE NEI CONFRONTI DI CHI SI ESERCITI NEL SALUTO ROMANO” – LO STRAORDINARIO ARTICOLO DI LUIGI MANCONI PER ‘REPUBBLICA’: “RESTA IMPREGIUDICATA LA PIENA LIBERTÀ DI PENSIERO QUANDO SI TRATTI DI MERA ESPRESSIONE DI IDEE, COMPRESE LE PIÙ IGNOBILI” -L’ATTO DI ACCUSA ALLA SINISTRA CHE HA DIMENTICATO DI COMMEMORARE I SUOI GIOVANI MORTI PER MANO DEI TERRORISTI NERI – “È IL RISULTATO DI UNA CERTA TENDENZA ALLA SMEMORATEZZA DA PARTE DELLA CULTURA E DEL SENSO COMUNE DI SINISTRA, RESI FRAGILI DA UNA ROVINOSA CRISI DI IDENTITÀ” -
Luigi Manconi per La Repubblica - Estratti
Nei giorni successivi alla manifestazione neofascista dello scorso 7 gennaio ho avvertito forte la tentazione di replicare come segue: e allora Valerio Verbano? Il 22 febbraio del 1980, il diciannovenne Verbano venne ucciso, nella propria abitazione, da un commando di tre uomini che, dopo aver legato e imbavagliato i genitori, attesero il suo ritorno da scuola.
Quegli assassini non furono mai individuati. Poi, alla mia mente sono tornati i nomi di Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli e quelli di Walter Rossi, Roberto Scialabba, Claudio Varalli, Alceste Campanile, Francesco Mangiameli e altri ancora. Tutti militanti di sinistra uccisi da neofascisti, in genere rimasti impuniti.
Mi rendo conto che la mia è una reazione umorale e regressiva: ripropone ancora una volta una cupa aritmetica delle vittime, che dovrebbe portare a sancire il primato dei morti di una parte rispetto ai morti della parte avversa. Ragionando in questo modo non si fa altro che riprodurre una logica perversa che rinnova il risentimento e ripropone una inesausta pulsione di vendetta. E, invece, penso che una simile spirale debba essere interrotta il prima possibile.
Non mi sembra che vadano in questa direzione le parole di Francesco Storace che, intervistato dal Corriere della Sera, non esprime alcun sentimento di compassione verso le vittime uccise dai militanti della sua parte politica; e racconta che anche oggi «per noi di destra la vita è ancora complicata»: ennesima manifestazione del vittimismo dei privilegiati. E, invece, gente come noi, passata attraverso esperienze di violenta contrapposizione e ormai anziana, dovrebbe svolgere un ruolo di mediazione e di “disarmo” mentale, senza ammiccamenti e retropensieri, sfuggendo alla conta efferata di chi ha più morti. E rispettando le vittime della violenza politica dell’uno e dell’altro fronte, allora nemici e oggi — ci si augura — solo avversari: anche irriducibili e acerrimi avversari.
Ma torniamo ai fatti di Acca Larentia.
Sono risolutamente contrario a qualunque forma di sanzione penale nei confronti di chi si eserciti nel saluto romano in quelle circostanze: e proprio perché quel saluto assume la forma di un rituale funebre in omaggio a persone delle quali si condividono l’identità politica e i valori. Insomma, non penso che si debba promuovere l’azione repressiva contro una cerimonia che ha tutti i connotati di una commemorazione. Certo, anche di natura politica ma, ancorché pubblica, piegata al proprio interno e all’interno della propria comunità.
E carente, dunque, di quella valenza istigativa o di quel rischio emulativo che ne giustifica la sanzione penale, nel rispetto dei principi di materialità e offensività delle norme incriminatrici. Penso che diversamente vada valutato il ricorso al saluto romano quando sia collegato all’uso della violenza o quando si riveli strumento di istigazione alla commissione di reati. A quel punto il nesso tra parole e gesti e atti criminali va considerato sotto il possibile profilo penale.
E sono altrettanto contrario allo scioglimento d’autorità di organizzazioni come CasaPound (diverso è il caso di Forza Nuova, che sembra non estranea ad attività terroristiche), in quanto ritengo che una eventuale sua “clandestinizzazione” risulterebbe ancora più pericolosa per la vita democratica.
Resta impregiudicata la piena libertà di pensiero quando si tratti di mera espressione di idee, comprese le più ignobili. Ma il discorso non si ferma qui. 
(...)
Non avviene altrettanto a sinistra. Con pochissime eccezioni le vittime della violenza neofascista sono state consegnate all’oblio. È il risultato di una certa tendenza alla smemoratezza da parte della cultura e del senso comune di sinistra, resi fragili da una rovinosa crisi di identità. Da qui l’incapacità di fare, di quei lutti, un calendario civile delle ricorrenze.
All’opposto, il minoritarismo neofascista conserva una sua vitalità (non solo criminale) e trova nel suo inveterato culto della morte un ulteriore motivo per la sua vocazione funeraria e martirologica. È questa impossibilità di elaborare il lutto di quegli anni di “guerra civile simulata” che rende insidiosa la coreografia fascistica, in quanto alimenta il rancore e il revanscismo. E impedisce che la ferita possa suturarsi.
Sono trascorsi decenni e se non saremo capaci di collocare storicamente quelle morti, consegnandole a un passato che non dovrà mai più ripetersi e a una memoria senza vendetta, quella crudele vicenda rischia di non avere mai fine.
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